Cosa pensano gli studiosi scettici delle apparizioni di Gesù?

I Vangeli riportano che i discepoli, delusi e smarriti dopo la crocifissione e morte del loro mentore, ebbero in visione lo stesso Gesù, che mostrò loro la sua resurrezione dai morti. Un fatto che li sconvolse e convinse, tanto da essere disposti al martirio pur di non negare quanto visto. Ma cosa c’è di vero in tutto questo? I critici spiegano che i racconti evangelici sarebbero tardivi rispetto ai fatti, che i discepoli stiano mentendo o che, al limite, abbiano avuto allucinazioni. Ma queste conclusioni non appaiono neppure analizzando gli studi degli esperti più scettici, agnostici e atei.

Innanzitutto sfatiamo il mito della narrazione tardiva dei Vangeli: già uno o due anni dopo la morte di Gesù di Nazareth, infatti, nella piccola comunità di cristiani di Gerusalemme si proclamava e annunciava il primissimo credo cristiano: la crocifissione, la morte e la resurrezione di Cristo. E’ dimostrato dalla Prima Lettera ai Corinzi, redatta in modo definitivo da San Paolo nel 50-55 d.C. utilizzando, però, informazioni apprese dai discepoli nel 35 d.C. le quali, oltretutto, erano note già da qualche anno. A sostenere l’origine antichissima della lettera paolina (scritta prima dei Vangeli) è la quasi totalità degli esperti, non sono soltanto studiosi di fede cristiana, da qualcuno frettolosamente ed erroneamente tacciati di essere “di parte”, come se non avessero il dovere morale di dimostrare in modo oggettivo le loro tesi, esattamente come gli studiosi ebrei, agnostici o musulmani (tutti di parte?). Anche numerosi storici notoriamente scettici sono convinti che la prima e completa fonte sul Gesù storico risalga agli anni immediatamente successivi a Gesù. Li abbiamo citati in questo articolo recente.

Non si tratta di un dato poco significativo: se i cristiani avessero annunciato falsità o invenzioni ai loro concittadini su quanto accadde a quell’ebreo così noto -almeno per un breve periodo-, sarebbero stati immediatamente smentiti dagli ebrei, dai membri del Sinedrio e dai romani. In caso di menzogne o invenzioni, la piccola setta cristiana sarebbe stata facilmente schiacciata e ridicolizzata dagli altri testimoni oculari degli eventi, a lei avversi. Eppure, non soltanto nessuno accusò i cristiani di mentire, ma lo storico ebreo Giuseppe Flavio confermò, in modo indipendente, il contenuto dei Vangeli.

Altro elemento interessante: non è giunta alcuna notizia storica di qualcuno che dimostrò che nella tomba dove venne sepolto quell’Uomo c’era un cadavere o che il Nazareno fosse stato sepolto in altro luogo: anche in questo caso, ebrei e romani avrebbero con rapidità messo a tacere i falsi racconti dei seguaci del Cristo. Se ne deduce che la tomba risultò davvero vuota ma ciò, probabilmente, non sconvolse più di tanto la gran parte degli abitanti di Gerusalemme, anche perché il concetto di resurrezione risultava inconcepibile per gli ebrei di allora. Come ha scritto il grande scettico Robert W. Funk, il non credente fondatore del Jesus Seminar: «La convinzione che Gesù era risorto dai morti aveva già messo radici nel momento in cui Paolo si convertì attorno al 33 d.C. Presupponendo che Gesù morì verso il 30 d.C., il tempo di sviluppo quindi fu di due o tre anni al massimo» (citato in RW Hoover, Jesus Seminar, The Acts of Jesus, Polebridge Press 1998, p. 466).

Se affrontiamo direttamente l’apparizione di Gesù ai discepoli, dopo la morte, è interessare e curioso rintracciare negli studi dei principali studiosi del Gesù storico, in particolare quelli più scettici sulla sua divinità, la convinzione storica che i discepoli videro effettivamente qualcosa e pensassero realmente di aver visto Gesù risorto e, pur di non negare tale ferrea convinzione, furono disposti al martirio. Nessuno di loro ipotizza l’allucinazione collettiva, che è stata scartata da anni. Ma lasciamo la parola all’eminente EP Sanders, un “protestante liberal e secolarizzato”, come si definisce: «Che i seguaci di Gesù (e più tardi, anche Paolo) abbiano avuto esperienze di risurrezione è, a mio parere, un fatto storico. Non considero le deliberate frodi come una spiegazione utile. Molte di queste persone passarono il resto della loro vita a proclamare di aver visto il Signore risorto, e molti di loro sarebbero morti per tale causa. Dopo la sua morte i suoi seguaci hanno sperimentato quella che descrivevano come “resurrezione”: l’aspetto di una persona vivente ma trasfigurata. Ci hanno creduto, l’hanno vissuto e sono morti per questo» (EP Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Books 1993, pp. 279-280).

L’agnostico Bart D. Ehrman, della University of North Carolina, ha scritto: «Gli storici, naturalmente, non hanno alcuna difficoltà a parlare della credenza nella risurrezione di Gesù, poiché questa è una questione di pubblico dominio […]. Perché, allora, alcuni discepoli hanno affermato di aver visto Gesù vivo dopo la sua crocifissione? Non dubito affatto che alcuni discepoli abbiano affermato questo. Non abbiamo nessuna delle loro testimonianze scritte, ma Paolo, scrivendo circa venticinque anni dopo, indica che questo è ciò che hanno affermato e non penso che lo stia inventando. Anzi, aveva incontrato alcuni di loro soltanto tre anni dopo l’evento (Galati 1,18-19)» (B.D. Ehrman, The New Testament: An Historical Introduction to the Early Christian Writings, Oxford University Press 2004, p. 282). Il teologo tedesco e ateo Gerd Lüdemann ha a sua volta commentato, in modo sorprendente: «Può essere considerato storicamente certo che Pietro e i discepoli abbiano avuto esperienze dopo la morte di Gesù, in cui Gesù apparve loro come Cristo risorto» (G. Lüdemann, What Really Happened to Jesus?, Westminster John Knox Press 1995, p. 80).

Paula F. Fredriksen, studiosa liberal del Gesù storico (che ritiene un predicatore apocalittico) presso l’Università ebraica di Gerusalemme, ha infine annotato: «Conosco le loro parole, quello che hanno visto era il Gesù innalzato. Questo è quello che dicono e tutte le prove storiche che abbiamo attestano la loro convinzione su quello che hanno visto. Non sto dicendo che davvero hanno visto Gesù risorto. Non ero lì. Non so cosa abbiano visto. Ma so, come storica, che devono aver visto qualcosa. La convinzione dei discepoli di aver visto il Cristo risorto, il loro trasferimento a Gerusalemme, l’inclusione dei Gentili come Gentili. Tutti questi sono fondamenti storici, fatti noti indubitabili della prima comunità dopo la morte di Gesù» (P.F. Frederickson , Jesus of Nazareth: King of the Jews, Vintage 2000).

Ecco dunque che crollano le errate convinzioni popolari, dopo anni di cattiva istruzione. I racconti evangelici non sono emersi decenni o persino secoli dopo i fatti che raccontano, nessuno storico la pensa così: già 1-3 anni dai i fatti, il credo cristiano è fissato e annunciato da uomini e donne talmente certi -dopo la delusione al momento della cattura di Gesù- da sfidare le persecuzioni cristiane e da risultare talmente convincenti da aver creato un popolo che dura fino ai giorni nostri. Gli storici più scettici, inoltre, scartano la menzogna degli apostoli e l’allucinazione collettiva: rimane perciò la domanda di cosa accadde che li trasformò radicalmente, che confermò nella roccia la loro fede. Dissero di aver visto il Messia risorto e gli studiosi non hanno motivi validi per negare la loro estrema convinzione. «Qualcosa devono aver visto, è indubitabile»: oltre a qui l’analisi prettamente storica -“laica”, si potrebbe dire- non può andare. Ma è già molto.

La redazione

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Andare a Messa migliora anche la salute mentale: nuovo studio

«I nuovi dati suggeriscono che il coinvolgimento religioso favorisce la salute mentale, promuove l’impegno sociale, fornisce risorse psicologiche (speranza, ottimismo, senso della vita) e promuove migliori stili di vita». Lo ha riferito un nuovo studio, pubblicato su Sleep Health: Journal of National Sleep Foundation.

La scommessa l’ha vinta, un’altra volta, Blaise Pascal. Il matematico, infatti, azzardò una provocante riflessione: colui che crede vince sempre, se Dio esiste, infatti, otterrà la salvezza. Se si sbaglia, avrà comunque vissuto un’esistenza più serena rispetto a chi non crede. «La religione e la spiritualità influenzano positivamente la salute e la qualità della vita di una persona», ha scritto Christopher Ellison, del Dipartimento di Sociologia dell’Università del Texas ed autore della ricerca.

Il recente studio statunitense, quindi, si aggiunge alla già corposa letteratura scientifica sull’argomento, che abbiamo voluto raccogliere in un nostro apposito dossier.

Per completezza di informazione citiamo il responso delle ricerche più recenti: le coppie sposate che frequentano assieme la Messa, vivono più a lungo, hanno meno probabilità di essere depresse e meno probabilità di divorziare (30-50% in meno), secondo la Harvard School of Public Health. Su JAMA Psychiatry, invece, si legge che le donne americane che frequentano la celebrazione religiosa almeno una volta alla settimana (o più), hanno cinque volte meno probabilità di suicidarsi rispetto a quelle che non si recano mai in chiesa. Infine, le statistiche dell’indice di felicità nazionale della Gran Bretagna hanno suggerito che i cristiani erano tra le persone più felici della nazione, mentre coloro che non si identificano in una particolare religione hanno generalmente ottenuto tassi più bassi di soddisfazione.

Casualità? Crediamo di no. Non è indifferente aver o meno afferrato il senso compiuto della vita, aver o meno incontrato la Verità, cioè quel Gesù di Nazareth che è rimasto presente e compagno dell’uomo nei volti dei testimoni della comunità cristiana. Con Dio o senza Dio, tutto cambia, anche nella persona, arrivando al suo benessere psico-fisico.

Lo ha ben accennato il filosofo della scienza Evandro Agazzi, scrivendo: ««Chi crede in Dio, in un contesto anche di ragione e non di pura fede, può riscontrare questo vantaggio: egli è perfettamente in grado di conoscere, spiegare e comprendere quanto conoscono e comprendono anche coloro che non credono e, in più, riesce a comprendere certe dimensioni della vita e dell’uomo che ad essi sfuggono e che costituiscono il senso della vita» (E. Agazzi, Quando Dio aiuta a capire, in Corriere della Sera, 23/06/85, p. 3).

La redazione

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L’Argentina respinge l’aborto, storico voto grazie a donne e Chiesa

Quel che non accadde in Italia il 22 maggio 1978 e in Irlanda il 25 maggio 2018, è accaduto oggi in Argentina. La legalizzazione dell’aborto è stata storicamente respinta da 38 deputati contro 31, preferendo salvare “entrambe le vite” -secondo lo slogan dei pro-life argentini- quella della madre e quella del figlio. Molto ha influito lo schieramento compatto per il “no” della Conferenza episcopale, guidata da vescovi vicini all’argentino Papa Bergoglio e da lui scelti personalmente.

E’ una sconfitta del potente apparato mediatico che ha letteralmente censurato le migliaia di manifestanti per la vita caratterizzate dal colore “azzurro”: in pagina solo ed esclusivamente fotografie delle bandiere “verdi”, quelle pro-aborto (e anche in questi primi minuti dopo il voto, i quotidiani esteri -in Italia quasi nessuno ha ancora dato la notizia- scelgono foto di manifestanti “verdi” tristi e sconsolati, ignorando la esultante “marea azzurra”). Un esempio su tutti: nonostante un sondaggio avesse riportato che la maggioranza delle donne argentine era schierata contro l’aborto, ieri La Stampa informava dell’evento raccontando della sfida delle donne per l’aborto legale e dando visibilità solo alla “marea verde”.

E’ una vittoria per coloro che non credono che la storia sia irreversibile. Il fatto che vi sia stata un’Irlanda che ha ceduto, non significhi che la battaglia per il diritto alla vita sia compromessa. El Salvador ha recentemente respinto la legge sull’interruzione di gravidanza -annullando le pressioni di New York Times e Amnesty International– e lo stesso ha fatto oggi l’Argentina.

Ieri raccontavamo quanto la Chiesa ci abbia messo la faccia, come da qualche minuto è stato ribadito anche da Clarin, principale quotidiano di Buenos Aires. Anche l’Osservatore Romano e Vatican News hanno seguito il dibattito in questi mesi, sottolineando la mobilitazione in difesa della vita e a “favore degli scartati”. Linguaggio bergogliano, chiaramente, in quanto il Papa è stato comunque un protagonista. Sia perché i vescovi che hanno organizzato marce, celebrazioni e chiesto intercessioni alla Vergine di Luján, patrona del popolo argentino, hanno animato cattolici, protestanti e non cattolici con le tante citazioni di Francesco sull’aborto come dramma, «non come diritto» (dall’esortazione apostolica Gaudete et exsultate). Sia perché i pastori più attivi sono stati Víctor Manuel Fernández, arcivescovo di La Plata e collaboratore personale di Papa Bergoglio, e il card. Mario Poli, arcivescovo di Buenos Aires, che ha tenuto uniti i deputati contro l’aborto. Poli è stato scelto da Francesco come suo successore nell’arcidiocesi della capitale argentina, dove ieri sera ha celebrato una partecipatissima messa “per la vita”.

La Conferenza Episcopale ha saputo convogliare molti voti della sinistra e delle femministe. L’intervento che verrà più a lungo ricordato sarà quello del del deputato Luis Gustavo Contigiani del Frente Progresista Cívico y Social il quale, staccandosi dall’orientamento del suo partito, ha annunciato con passione e commozione -consapevole della portata delle sue parole- il sostegno alla vita. Da socialista convinto, ha affermato che «non c’è un atto più rivoluzionario che difendere la vita e la giustizia sociale per la patria. Non posso dissociare la mia lotta per la giustizia sociale, per lo sviluppo del nostro paese, per l’uguaglianza delle opportunità. Non posso dissociare questo alla lotta per ciò che si trova nel ventre di una madre, che ha lo stesso diritto di vivere della madre da cui è nato. Siamo tutti giustizieri nel campo dell’economia, sono il primo che difende il lavoro, che difende i poveri,
però nel campo della vita siamo privatisti, ci doniamo al mercato, non c’è più interesse pubblico, nessuno che difende nessuno. Io pretendo di essere coerente, signor presidente!»
. E coerenza è stata.

 

AGGIORNAMENTO, ORE 17:00
Nelle piazze della capitale i sostenitori dell’aborto hanno aggredito i manifestanti pro-vita con lancio di oggetti e bottiglie. La polizia ha risposto con gas lacrimogeni e almeno una persona è rimasta ferita. Ricordiamo che nulla di tutto questo accadde -a parti invertite- quando l’aborto divenne legale in Irlanda, due mesi fa. Atti che parlano da soli e mostrano dove sia di casa la violenza, non solo culturale.

La redazione

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Jean-Paul Sartre sfiorò la conversione durante la prigionia: «lì ero felice»

Pochi giorni fa il mondo cattolico, in particolare, ha festeggiato l’anniversario di Paul Claudel, poeta e drammaturgo francese, convertitosi nel 1886 a Notre-Dame de Paris, ascoltando il Magnificat durante la Messa di Natale. Autore de L’annuncio a Maria, lo stupendo dramma che cambiò l’esistenza di centinaia di persone. Pochi sanno, però, che anche Jean-Paul Sartre rimase impressionato da Claudel. Sfiorando la conversione.

Oltre a La nausea, l’esistenzialista francese -non credente- scrisse uno dei più bei testi letterari sulla Natività del Cristo. Fu elaborato grazie all’amicizia con alcuni prigionieri cattolici, con cui condivise una parte del cammino della vita nel campo di concentramento di Treviri. Bariona o il figlio del tuono. Racconto di Natale per credenti e non credenti, si intitola. Scritto nel 1940, la storia ruota attorno alla figura di capo villaggio nei pressi di Betlemme, Bariona per l’appunto. Sartre descrive un suggestivo rapporto di intimità tra la Madonna e il Bambino, alludendo ai fatti a lui contemporanei della Francia occupata dai Nazisti e la necessità di un’amicizia per un’ideale maggiore, tra prigionieri credenti e non credenti, esortandoli alla resistenza.

Un Sartre inedito, distante dagli esiti nichilistici de La nausea, imprevedibilmente apertosi alla possibilità di una speranza. Riconobbe la positività dell’essere e descrisse, con rara delicatezza, l’affezione stupita di Maria, unitamente al pudore protettivo di Giuseppe, per il “Dio bambino”, l’attesa dell’uomo per quel Figlio. Lì individuò il perno della solidarietà tra gli uomini che sconvolse la sua solitudine laica. Che fu un momento particolare della sua vita, lo rivelò successivamente: «Nello Stalag ho trovato una forma di vita collettiva che non avevo più conosciuto dopo l’École Normale, e voglio dire che insomma lì ero felice» (J.P. Sartre, Oeuvres romanesques, Paris 1981, p. LXI.).

Durante la prigionia, Sartre, conobbe alcuni sacerdoti, tra cui l’abate Marius Perrin, con cui si legò amicizia. «Tutto sommato» scrisse la maggiore biografa di Sartre, Annie Cohen-Solal, «con i preti si sentì in fraternità. Nonostante interminabili discussioni sulla fede». Nel campo, «questo anticristo aveva intrecciato relazioni cordiali con un gran numero di preti e di gesuiti» (A. Cohen-Solal, Sartre, Milano 1986, p.188). Ed eccoci al contatto con Claudel. Nello stesso arco di tempo, coincidenza vuole, Sartre si appassionò proprio al drammaturgo francese (nonché a Bernardos). Affermò: «Le due grandi scoperte che ho fatto nel campo sono state “La scarpetta di raso” e il “Diario di un curato di campagna”. Sono i soli libri che mi abbiano veramente fatto un’impressione profonda» (Sartre, intervista con Claire Vervin per l’articolo Lectures de prisonniers, in Les lettres françaises, 2 dicembre 1944, p. 3). Claudel, da parte sua, fu uno dei pochissimi intellettuali cattolici di quel periodo a prestare attenzione alle disperate opere di Sartre, come A porte chiuse e L’essere e il nulla, in cui il filosofo arriva ad affermare che l’uomo è “una persona inutile” persa in un mondo indifferente.

Il filosofo Massimo Borghesi, docente di Filosofia morale all’Università di Perugia, ha raccontato che «mai Sartre è stato più vicino nell’intuire il mistero cristiano, quel nuovo inizio che rende possibile la speranza. Inizio legato alla nascita di un bambino». Come afferma Bariona, protagonista dell’opera: «Un Dio-Uomo, un Dio fatto della nostra umile carne, un Dio che accetterebbe di conoscere quel gusto di sale che c’è in fondo alle nostre bocche quando il mondo intero ci abbandona, un Dio che accetterebbe in anticipo di soffrire ciò che soffro oggi […]. Andiamo, è una follia». Annota Borghesi: «Questa follia si tramuta in “stupore ansioso” nello sguardo tenero e trepidante di Maria. “Lo guarda e pensa: questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia”. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive».

Sartre non scriverà più così, né di Dio né dell’uomo. Fu una inedita parentesi di speranza e -come ammise lui stesso- di felicità. L’opera del Natale resterà un’eccezione nella sua bibliografia, «come se la peculiare atmosfera del campo lo avesse reso più vicino al mistero dell’esistenza. Quanto basta, tuttavia, per consegnarci una delle più belle rappresentazioni del Natale nella letteratura del Novecento».

La redazione

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Giorno del voto: tranello al Papa e duro attacco dei vescovi argentini all’aborto

Imminente la votazione al Senato in Argentina sulla legalizzazione dell’aborto. L’arcivescovo di Buenos Aires, Mario Poli -scelto personalmente da Papa Francesco come suo successore- è intervenuto in modo diretto ed esplicito nel dibattito pubblico a poche ore dalla votazione. Inizierà oggi (alle 14, ore italiane) e si protrarrà fino alla mattina di domani.

Pochi quotidiani italiani hanno riportato la trappola di uno studente argentino, Nicolás Fuster, ai danni di Francesco: infiltratosi tra i pellegrini durante l’Udienza di mercoledì scorso, è riuscito a consegnare al Papa una lettera assieme ad un fazzoletto verde. Il suo amico fotografo ha immortalato la scena, che è diventata virale in Argentina promossa dai militanti favorevoli all’interruzione di gravidanza. Il colore verde, infatti, è stato scelto dai promotori del “si”, contro l’azzurro dei pro-life. La Sala Stampa del Vaticano ha immediatamente emesso un comunicato: «Ogni mercoledì, ogni udienza generale, il Papa riceve centinaia di lettere, fazzoletti (non solo verdi), cappelli e altri doni. Utilizzare la consegna di un “regalo trappola” senza che il destinatario sapesse cosa fosse né cosa cercasse non sembra molto onesto».

Forse anche a causa di questo episodio, la Conferenza Episcopale Argentina ha cambiato strategia nell’opporsi alla legge a poche ore dall’inizio del dibattito parlamentare. Se fino a prima aveva promosso preghiere per la vita, ricevuto i deputati contrari alla legalizzazione e invitato ad appelli di preghiera e digiuno “per la vita”, cercando però di non clericalizzare troppo la situazione per evitare la controproducente reazione del popolo argentino (è stato rilevato che il 70% disapprova l’intervento della Chiesa nelle decisioni politiche), pochi giorni fa i vescovi hanno scelto di giocare duro, “incoraggiando e manifestando” le manifestazioni contro la legge, parlando di “dittatura del più forte” se dovesse essere approvata e minacciando il senso democratico per una decisione che incoraggia l’uccisione di una vita umana.

A guidare la dura reazione, oltre al card. Poli, anche il teologo più vicino a Francesco, Víctor Manuel Fernández. Per questo i quotidiani argentini parlano di strategia “all’ombra del Papa”, consapevoli di come la questione stia a cuore a Bergoglio. Il quale, giustamente, lascia campo ai vescovi locali per le situazioni specifiche, preferendo dettare la linea parlando in senso generale e rivolgendosi mondo intero.

Motivi per essere ottimisti rispetto all’esito della votazione ce ne sono, tanto che il più importante quotidiano di Buenos Aires -il Clarin– parla di «rifiuto della legge praticamente dato» (e ieri sera ha ribadito: «il rifiuto alla legge gode di una maggioranza consolidata»). Innanzitutto, si osserva l’imbarazzo dei grandi media nel parlare di questo storico voto e la rassegnazione nei “verdi” (i pro-aborto). Inoltre, su 72 senatori, 37 hanno già anticipato la loro opposizione contro i 31 a favore, i sondaggi alla popolazione più recenti sono tutti d’accordo nel valutare come crescente il fronte oppositore (in particolare le donne, come da noi riportato) e le province settentrionali (dove la Chiesa è più influente) sono contro la legge e contribuiscono ai 22 dei 37 voti necessari. Non vorremmo essere smentiti, limitandoci ad osservare che le premesse sono piuttosto differenti da quelle che anticiparono il voto irlandese, nel maggio scorso.

Di certo la Chiesa argentina, ancor più di quella irlandese che comunque non si tirò indietro, si è giocata fino in fondo, “all’ombra del Papa” come sono tutti convinti nel Paese sudamericano. Una piccola nota: soltanto ora ci siamo accorti che il durissimo intervento del giugno scorso di Francesco contro l’aborto (che definì “pratica nazista”), girato a livello internazionale, cadeva solo due giorni dopo l’approvazione della legge alla Camera argentina. Oggi tocca al Senato.

La redazione

 

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Abusi sessuali: incriminato il presidente degli Atei americani

Anche David Silverman, presidente di American Atheists -la principale organizzazione laicista degli Stati Uniti-, è stato sollevato dall’incarico dopo denunce credibili di violenze sessuali. Identiche circostanziate accuse che hanno colpito poco tempo fa l’ultima celebrità del movimento ateista, il fisico Lawrence Krauss. Qualche anno fa, invece, era toccato al fondatore della principale rivista atea, Michael Shermer.

La Chiesa cattolica americana (e cilena, in particolare) sta facendo i conti con il terribile scandalo della pedofilia, del quale tutti siamo enormemente umiliati e arrabbiati. Ma, nel suo piccolo, anche la comunità ateista è scossa da un fenomeno diffuso legato, anche in questo caso, all’abuso sessuale, seppur nei confronti delle donne. Oltre a misoginia e discriminazione femminile. Reati e scandali di cui pochi parlano e che, perché no, andrebbe reso noto dato chd le femministe laiche lo stanno definendo addirittura un’epidemia essendo, molte di esse, state rese vittime. Degli abusi e del clima di omertà.

Silverman era il gran sacerdote degli atei americani dal 2010, ottimo oratore, autore del libro Combattere Dio: un Manifesto ateo in un mondo religioso e promotore di tante fallite campagne come la piuttosto ridicola iniziativa di richiedere la legalizzazione della parola “atheist” nelle targhe automobilistiche.

Attualmente esistono tre denunce contro di lui (solo due riguardano abusi fisici): l’aggressione fisica e sessuale nei confronti di una donna durante una convention di atei a Memphis (dopo aver consumato droga), la costrizione ad un incontro sessuale indesiderato di una studentessa universitaria in cerca di lavoro presso l’associazione di cui Silverman era presidente e la nomina in un posto di alto livello di una donna con cui aveva relazioni sessuali (l’uomo, oltretutto, è sposato). Le accuse vengono considerate credibili, circostanziate e confermate da testimoni.

A commento di questo importante fenomeno di discriminazione che sta fuoriuscendo dalla comunità ateista statunitense, Alex Nichols ha scritto:

«Verso la fine degli anni ’90 si è materializzata una certa specie di idiota. Era maschio, aggressivo, pedante, logico autoproclamato, impegnato nelle scienze dure, incline a dare inizio a frasi con “in realtà”, e quasi sempre dedito all’idea che la sua incredulità in Dio gli garantisse la superiorità intellettuale. È stato un momento fantastico per essere un idiota soddisfatto di sé, con il debole dello spiegare la vita alle persone. Una volta terminato il mandato di George Bush, una volta ritiratisi i promotori del creazionismo nelle scuole e una volta che i millennial si sono affermati come la generazione meno religiosa fino ad oggi, il movimento ateista ha avuto bisogno di nuovi obiettivi. Uno di essi sono state le donne. I peggiori neo-atei hanno così scoperto che non avevano affatto bisogno dell’ateismo. Potevano essere altrettanto insopportabili da soli, su Youtube, sputando assurdità contro il genere femminile. I greci, quei presunti inventori della logica occidentale, avevano un nome per tale tipo di uomo. Lo hanno chiamato “idiota”».

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La redazione

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Ma, alla fine, a cosa serve il cristianesimo?

A cosa serve il cristianesimo? E’ una domanda spiazzante, ma saper rispondere è quanto mai necessario, pressati da una cultura che ne nega qualunque ruolo positivo nella storia moderna e da un’altra che ne riconosce un contributo notevole ma superato, tanto che oggi se ne potrebbe farne anche a meno.

Per molti, il cristianesimo è una religione come tante altre. Ha i suoi pregi e i suoi difetti, e si potrebbe anche comporre una lista delle influenze cristiane sulla cultura europea, come ha ben fatto ed esempio lo storico statunitense Thomas Woods in Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale (Cantagalli 2007). Ma, in Oriente si potrebbe fare lo stesso valorizzando l’apporto delle religioni orientali, o l’induismo in India.

Remì Brague (nella foto), emerito di Filosofia medievale e araba presso la Pantheon-Sorbonne University, ha affermato: «Come una religione fra tante, il cristianesimo ha reso possibile la nascita delle differenti nazioni d’Europa. La fusione degli abitanti romanizzati dell’Impero e dei popoli “barbari” immigrati è avvenuta attraverso la partecipazione a un’unica fede. Tuttavia è verosimile che questo ruolo avrebbe potuto essere assunto da un’altra religione. L’elemento decisivo in effetti fu che i nuovi arrivati adottarono la religione dei popoli conquistati. E questo sarebbe potuto accadere ugualmente con, diciamo, la religione di Mithra, se avesse avuto il sopravvento, o anche il manicheismo che giunse più tardi. L’islam ha fatto anch’esso qualcosa di simile per le regioni del mondo che ha conquistato».

Certo, il cristianesimo è totalmente differente dalle altre religioni (e, forse, non è nemmeno corretto definirlo così): la sua verità è una Persona incontrabile e non un libro o un decalogo di precetti, ed è grazie alle sue uniche caratteristiche che ha potuto distinguersi da tutte le concezioni religiose: «l’oggetto rivelato nel cristianesimo», ha proseguito il filosofo Brague, «non è un “messaggio”, e ancora meno un “libro santo” dettato in una precisa lingua, ma una persona. Di conseguenza, ogni cultura si vede riconosciuta una stessa dignità. Ogni popolo è alla stessa distanza da Dio». Tuttavia, la domanda sull’utilità del cristianesimo rimane ancora inevasa .

Oggi, allora, a cosa serve il cristianesimo? Perché non se ne potrebbe fare a meno? La risposta data da Remì Brague in occasione del conferimento della honoris causa da parte della Pontificia Università Giovanni Paolo II di Cracovia, vale la pena di essere letta integralmente:

«Il cristianesimo non pretende di apportare alla cultura dei nuovi contenuti: gli fornisce una nuova prospettiva. La rivoluzione cristiana è per così dire una rivoluzione fenomenologica. Essa consiste nel rendere visibile ciò che fino a quel momento era invisibile. Si spande una nuova luce, ed è per questo che in un certo senso non accade nulla. Quando accendo la luce nel mio ufficio, in un certo senso non succede proprio nulla: non appare nessun mobile in più, nessun libro in più, nessun foglio in più svolazza per terra. Ma in un altro senso, succede qualcosa di più importante: la totalità di ciò che era già presente diventa visibile. Questa dichiarazione secondo cui il cristianesimo non apporta nulla di nuovo può apparire paradossale, addirittura sconvolgente. In realtà non faccio altro che esprimere con l’aiuto di un’immagine nuova un’idea molto antica. Questa antica saggezza si trova infatti presso uno dei primi padri della Chiesa greci, sant’Ireneo di Lione. Egli scrive, con una formulazione ardita, che Cristo non ha portato nulla di nuovo. Ma ha rinnovato tutte le cose apportando se stesso».

L’eminente filosofo francese altro non fa che strutturare una geniale frase dello scrittore convertito Clive Staples Lewis, pronunciata durante un convegno alla Oxford Socratic Club: «Io credo nel cristianesimo come credo che il sole è sorto. Non solo perché lo vedo, ma perché attraverso di esso vedo tutto il resto». L’incontro con Cristo non modifica la realtà, ma permette di vederla nella sua profondità, con uno sguardo finalmente libero dalle circostanze e una domanda di senso ultimo della vita finalmente corrisposta, seppur mai saziata: come l’acqua corrisponde alla sete, seppur non saziandola per sempre.

La redazione

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A.R. Wallace scoprì l’evoluzione biologica: «è guidata da una Mente»

Da pochi giorni è stato pubblicato il libro Nature’s Prophet (University Alabama Press 2018), dedicato a Alfred Russel Wallace. L’autore, Michael A. Flannery, storico della Scienza presso la University of Alabama di Birmingham ha sostenuto che la formulazione dell’evoluzione biologica di Wallace era del tutto incompatibile con quella di Darwin. Infatti, la sua teoria si svolgeva in un contesto teleologico. Un’evoluzione teistica, si potrebbe dire.

Flannery, membro del controverso movimento Intelligent design, ha suggerito che proprio questa apertura teleologica gli fu fatale dal punto di vista della fama, che andò quasi esclusivamente al suo competitor Charles Darwin, co-scopritore della selezione naturale. Non si può escludere, anche se va ricordato che molti dei primi darwinisti furono teisti e cristiani, ben più vicini esistenzialismente a Wallace che all’agnostico Darwin. Pensiamo ad Asa Gray, Lyell, Herschel, Henslow, Mivart, De Filippi, Chambers, Rosa, De Nouy, Sinnott, Marcozzi

L’entomologo George Beccaloni, che nel 2013 ha curato una mostra su Wallace al Natural History Museum di Londra, ha spiegato: «Wallace era quello che aveva la carta pronta per la pubblicazione, e se l’avesse inviata direttamente ad una rivista per farla pubblicata, la selezione naturale sarebbe stata la scoperta di Wallace». Invece, il naturalista scelse di inviare il suo lavoro al collega Darwin, inconsapevole che anch’egli stava lavorando in modo parallelo sulla stessa intuizione. Seguirono operazioni poco oneste nei confronti di Wallace da parte di Darwin e di due suoi colleghi, Sir Charles Lyell e Joseph Hooker, tanto che Beccaloni le definisce azioni «moralmente piuttosto riprovevoli».

La storia, in ogni caso, lo ha messo più ai margini rispetto a Darwin e siamo d’accordo con il fisico Gerald L. Schroeder quando proprio a UCCR ha confidato che sarebbe giusto celebrare anche un Wallace Day, magari ricordando che non volle mai concedersi al riduzionismo e allo scientismo e sostenne sempre la superiorità dello spirito sulla materia. Credeva in un Dio trascendente e nel finalismo della natura, dicendo:

«Un esame onesto e inflessibile delle forze della natura ci dice che ad un certo periodo della storia della terra ci fu un atto di creazione, un dono alla terra di qualcosa che prima non aveva posseduto, e da quel dono, il dono della vita, è giunta la popolazione infinita e meravigliosa delle forme viventi. Poi, come sapete, io ritengo che vi fu un successivo atto di creazione, un dono per l’uomo, quando uscì dalla sua ascendenza scimmiesca , uno spirito o un’anima. Niente nell’evoluzione può spiegare l’anima dell’uomo. La differenza tra l’uomo e gli altri animali è incolmabile e dimostra che l’uomo possiede una facoltà inesistente in altre creature. Poi ci sono la musica e la facoltà artistica. Ma l’anima è stata una creazione a parte».

E ancora:

«Come uomo che studia ciò che lo circonda per vedere dove si trova, la conclusione raggiunta è questa: in tutto il mondo, non qui e là, ma ovunque, e nelle operazioni molto più piccole della natura in cui l’osservazione umana è penetrata, c’è uno scopo e un orientamento continuo e di controllo […]. Potrebbe non essere possibile per noi dire come questa guida viene esercitata, ed esattamente con quali poteri, ma per coloro che hanno occhi per vedere e la mente abituata a riflettere, c’è una direzione intelligente e consapevole, in una parola, vi è una Mente».

La redazione

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Preti in Francia: crescono i “tradizionalisti” in comunione con Francesco

Una notizia ha mandato in fibrillazione gli amici della “resistenza anti-papista”. In Francia, tra i paesi occidentali più in crisi di ordinazioni sacerdotali, il 20% dei preti ordinati sarebbe un “tradizionalista”.

Uno dei commenti esultanti è stato questo: «un segnale importante, in considerazione dell’aperto sfavore che il Pontefice regnante ha dimostrato a più riprese verso i giovani sacerdoti che prediligono la tradizione della Chiesa». Appare una voluta e maligna confusione tra l’adesione alla “Tradizione” con la celebrazione della messa in latino, inducendo che soltanto i preti che utilizzando il Vetus Ordo sarebbero in linea con il deposito della dottrina cattolica. L’aver tirato ingiustamente in ballo Francesco, inoltre, è la conferma che in certi ambienti qualunque notizia viene usata come arma per colpire il Papa: i gruppi più fecondi di ordinazioni sarebbero quelli sfavoriti da Bergoglio: questo è il brutto messaggio che si vuol far passare.

Falsa anche l’affermazione che Francesco guardi con sfavore il rito antico, errata convinzione nata al tempo del commissariamento dei Frati Francescani dell’Immacolata, quando la Santa Sede indusse loro a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario. Ma –è già stato chiarito«solo per rispondere a problemi specifici e tensioni createsi in questa Congregazione», in particolare il fatto che la maggioranza dei frati desiderava celebrare con il novus ordo. Sul tema specifico, Papa Bergoglio ha invece apprezzato la possibilità concessa dal suo predecessore di celebrare la Messa con l’antico rito, ma considera giustamente «preoccupante il rischio di ideologizzazione del Vetus Ordo, la sua strumentalizzazione». Molti tradizionalisti, infatti, considerano niente meno che “eretici” coloro che utilizzano il rito moderno, avendo fatto di un’ossessione esistenziale la Messa tridentina quando invece, come venne previsto da Benedetto XVI, è da considerarsi una forma straordinaria e non ordinaria.

Tornando ai gruppi francesi “tradizionalisti” con maggiori ordinazione sacerdotali, la notizia si è scoperto essere non del tutto vera. Tra queste congregazioni c’è la Fraternità sacerdotale San Pietro (FSSP), che -oltre ad essere in perfetta comunione con Papa Francesco– predilige legittimamente la vecchia liturgia in latino (anche se le Scritture vengono lette in lingua locale), ma non vuole certo «reintrodurla nelle parrocchie ed imporla in una certa qual misura alla gente. Ambedue le forme del rito possono arricchirsi reciprocamente». Se fanno fede le parole di padre Bernhard Gerstle, membro della Fraternità, se ne deduce che si tratta di una comunità spiritualmente ordinata, per nulla “tradizionalista”, sedevacantista o farisaica, non ancorata ideologicamente al passato. Infatti, il prelato ha voluto precisare: «Non mi piace affatto il termine “tradizionalista”. Noi non siamo “tradizionalisti” ma semplicemente cattolici. E come cattolici apprezziamo la Tradizione. Ma non in modo tale da essere del tutto contrari ai cambiamenti e agli adattamenti organici».

La Fraternità sacerdotale San Pietro riconosce «la nuova liturgia come valida e legittima», seppur critica molti sviluppi della riforma liturgica, tra cui l’orientamento della celebrazione non più ad orientem e la comunione data nelle mani ai fedeli. Il sacerdote riconosce che si tratta di «cambiamenti della forma esterna», ma teme che «abbiano portato non pochi preti e fedeli ad una concezione piuttosto protestante della messa». I timori, seppur esagerati, sono comprensibili ed in parte condivisibili anche se il problema vero resta l’educazione alla fede: si può ricevere la comunione sulla lingua ed in ginocchio senza coglierne il significato, solo per una obbedienza formale ad un “si è sempre fatto così”. Non c’è nulla di automatico e non è la forma che cambia il cuore dell’uomo. Tra l’altro, sul punto, Benedetto XVI, ha già chiarito: «La comunione in bocca non è un’imposizione, io ho sempre praticato entrambe le forme» (Ultime conversazioni, Garzanti 2016, p. 175).

Padre Gerstle ha anche preso le distanze dall’ala intransigente della Fraternità San Pio X, una comunità -questa sì-, fortemente tradizionalista. La quale, ha avvertito il sacerdote, «deve riconoscere che non c’è alternativa alla riconciliazione con Roma». Al contrario, «la Fraternità San Pietro ha intrapreso uno studio senza pregiudizi dei testi conciliari ed è giunta alla conclusione che in essi non esiste alcune rottura con le precedenti affermazioni dottrinali. Ci sono tuttavia vari testi formulati in maniera tale da dar luogo a degli equivoci. Da parte di Roma ci sono stati dei chiarimenti che anche la Fraternità San Pio X dovrebbe riconoscere. Per noi non esiste una chiesa pre- e post- conciliare. C’è solo una chiesa che risale a Cristo».

Infine, nella fraternità francese florida di vocazioni, non c’è affatto un’inimicizia verso il Santo Padre, anzi! «Nostra preoccupazione principale deve essere la premura per la salvezza delle anime, come di continuo sottolinea Papa Francesco», ha spiegato ancora il sacerdote della Fraternità San Pietro. Il 30 marzo 2014, nella parrocchia della SS. Trinità dei Pellegrini, affidata proprio alla Fraternità Sacerdotale San Pietro, l’allora vescovo ausiliare di Roma (futuro arcivescovo “bergogliano” di Bologna) mons. Matteo Zuppi,  celebrò la santa Messa in rito “antico”. Senza alcun problema o “sfavore”.

La redazione“”

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Il falsi numeri dell’aborto clandestino

Per quanto ci si sforzi di far passare quell’azione come atto di libertà, nell’interesse della donna ed addirittura della sua salute, l’aborto resta quel che tutti sanno: l’uccisione di una vita umana. La storia mostra che la menzogna è stata sempre indispensabile per far digerire all’opinione pubblica la sua liberalizzazione.

Ed è andata così in tutto il mondo, e quindi anche negli Stati Uniti, all’inizio degli anni 70. La Corte Suprema legalizzò l’interruzione di gravidanza con la famosa e contestatissima sentenza “Roe vs Jane Roe”; Norma Leath Mc Corvey va in sposa ad un uomo violento a soli sedici anni, ha due figlie e durante la terza gravidanza chiede allo Stato del Texas di poter abortire: le viene accordata l’autorizzazione. Da iniziò il suo impegno come attivista pro -aborto (anni dopo l’approvazione della legge che porta il suo nome si convertì alla fede cattolica e divenne un’attivista pro-life). La legge viene approvata nel 1973 a livello federale e porta appunto il suo nome.

Come è stato ben ricostruito, durante la discussione della legge vennero falsificati i dati: ogni anno, riportarono i media, fra 5.000 e 10.000 donne morivano a causa degli aborti clandestini. La verità emerse solo successivamente e svelò un’altra situazione. Esaminando i dati dei decenni e degli anni precedenti al 1973, ad esempio nel 1930, l’ Istituto Guttmacher (che negli USA si occupa di “politiche della riproduzione”) sostenne che l’aborto era «la causa ufficiale della morte per quasi 2.700 donne». Nel 1940, quel numero scese tra le 1400 e le 1700 vittime dell’aborto clandestino. Negli anni ’50 le morti diminuirono a 300.

Nel 1964, questi decessi furono 264 e l’anno seguente circa 193 . Nel 1969 , tre ricercatori scrissero sull’American Journal of Public Health: «La cifra citata frequentemente di 5.000 – 10.000 morti all’anno per l’aborto illegale appare irrealistica». Nel 1972, l’anno precedente di Roe, furono 51 le morti relative ad aborti illegali e ad aborti spontanei. Larry Lader e Bernard Nathanson, i principali fautori della legge e interessati in prima persona all’industria dell’aborto, più tardi affermarono di aver gonfiato le cifre perché di grande effetto. La questione fu definitivamente chiusa da un rapporto del 1975 della National Academy of Sciences che dimostro come «il numero totale di decessi dovuti all’aborto denunciati dal National Center for Health Statistics è stato inferiore a 500 dal 1958 e inferiore a 100 dal 1971».

I promotori dell’aborto legale truffarono i cittadini americani. Un decalogo attribuito a Noam Chomsky, filosofo e teorico della comunicazione, spiega le principali tecniche attraverso le quali si mette in atto la manipolazione di massa. Fra le tecniche studiate, il linguista americano indica che puntare sulle emozioni altrui porta sempre ottimi risultati: minimizzando la razionalità della notizia e massimizzando l’aspetto emotivo, si otterrà la neutralizzazione dell’aspetto critico. Pochissimi, in USA e altrove, si occuparono di verificare il numero delle morti nei decenni precedenti. E 5000-10000 fu un numero emotivamente devastante, che giunse all’obiettivo.

Questa strategia, inoltre, tende a far credere alla persone che il problema derivi dalle loro stesse convinzioni, inducendole al senso di colpa per quanto sta accadendo: migliaia e migliaia di morti all’anno costituiscono un’ottima motivazione per voler cambiare le cose, anche non considerando che le morti dei bambini saranno infinitamente di più. Lo stesso grimaldello dell’aborto clandestino, con numeri appositamente gonfiati, è stato utilizzato in Italia, recentemente in Irlanda e in questi giorni in Argentina.

Carla Vanni

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