Bioetica

In questa sezione del sito web, dedichiamo spazio alle motivazioni, filosofiche, teologiche e scientifiche, che sostengono la posizione della Chiesa sulle tematiche bioetiche.

Si tratta di un campo delicato e “divisivo” anche all’interno del mondo cattolico, che spesso genera posizioni ideologicamente fideistiche o pregiudizialmente anti-fideistiche. Tuttavia, la visione tradizionale cattolica si basa sul diritto naturale, i cui argomenti sono comprensibili attraverso il solo uso della ragione. Questo spiega perché molte persone condividono tale visione, anche se distanti dall’esperienza cristiana.

Da un lato, troviamo l’uomo contemporaneo che desidera “tutto” e pretende di trasformare ogni desiderio in un diritto, spinto da un forte relativismo etico. Dall’altro lato, c’è una posizione di prudenza che si impegna affinché nella società permanga un’alta visione morale dell’uomo, salvaguardando la dignità della vita e rispettando l’integrità dell’umanità. Ciò implica respingere l’assunto secondo cui ogni risultato raggiunto dalla ricerca scientifica debba essere legittimamente applicabile alla società.

Nei seguenti dossier, costantemente aggiornati, presentiamo su varie tematiche le ragioni della posizione cattolica, supportate da studi scientifici, riflessioni filosofiche e teologiche.

 

Ecco i nostri dossier:

 
 

Matrimonio o convivenza? La parola agli studi scientifici.

E’ meglio sposarsi o convivere? Due genitori o famiglie monogenitoriali? Le coppie di fatto sono una realtà molto diffusa e sempre meno persone sono disposte all’impegno del matrimonio. Ma per la coppia e i figli cosa è davvero conveniente, secondo un’indagine oggettiva? In questo dossier abbiamo raccolto tutti gli studi scientifici e sociologici sul tema.

 
 

Psicologi contro adozioni gay: ecco quanti sono.

Cosa dicono gli psicologi sulle adozioni alle coppie dello stesso sesso? Esiste un fronte compatto a sostegno dell’omogenitorialità e delle adozioni gay? Vi è una unanimità di parere sul tema da parte degli esperti? Niente di più lontano dalla verità.

 
 

L’omofobia non esiste: lo dicono i dati e la ricerca.

E’ davvero in corso un’emergenza omofobia in Italia? Cosa dicono gli studi in merito? La verità è che l’omofobia non esiste, è quanto dimostriamo con questo dossier in cui abbiamo elencato tutti gli studi e varie testimonianze di omosessuali che smentiscono l’esistenza di un’endemica intolleranza nella popolazione italiana, tanto da dover giustificare leggi ad hoc.

 
 

omogenitorialità

Adozioni omosessuali, la scienza dice no: elenco degli studi.

Cosa dice la letteratura scientifica sulle adozioni da parte di persone omosessuali? In questo dossier abbiamo raccolto gran parte degli studi più autorevoli, per offrire una panoramica spesso nascosta sui grandi media.

 
 
 
 

Tutte le risposte da dare a chi è a favore dell’aborto.

Cosa rispondere a chi vuole l’aborto? Hanno ragione i “pro-choice” oppure ci sono argomenti razionali per controbattere alle argomentazioni di chi è a favore dell’interruzione di gravidanza? In questo dossier una lista di agili risposte.

 
 

L’aborto non è un diritto, mai è stato definito così dalla legge.

L’aborto è un diritto della donna, si sente dire spesso. Ma dove sta scritto? Secondo quale legge? Oltre alla controversia etica del presunto diritto di interrompere una vita umana seppur allo stadio embrionale, nessuna legge lo ha mai dichiarato un “diritto”.

 
 

La storia dell’aborto e l’eugenetica: Lenin e Hitler i primi a legalizzarlo.

L’aborto, pur da sempre esistito, è stato legalizzato sulla scia della promozione dell’eugenetica nel XIX secolo, e le prime leggi a depenalizzarlo furono promulgate in paesi fortemente illiberali come l’Unione Sovietica, la Germania nazista e la Cina comunista.

 
 

Embrione e feto sono persone umane, ecco cosa dice la scienza.

Con questo dossier abbiamo analizzato i principali testi universitari di embriologica medica e dato la parola a biologi, ginecologi, neurologi, medici e attivisti favorevoli all’aborto.

 
 

L’aborto e la menzogna della bomba demografica.

L’aumento della densità di popolazione inibisca realmente la prosperità umana e dunque l’aborto sarebbe necessario come metodo di controllo demografico? Questo è quello che hanno da sempre sostenuto ecologisti, abortisti e radicali. Ma si tratta di una tesi ampiamente smentita.

 
 

Si abortisce per motivi superficiali: cosa dice la ricerca.

Quali sono le cause dell’aborto? Perché le donne scelgono di interrompere la gravidanza? Gravi problemi di salute o rischi di mortalità, vittime di stupro o malformazioni irreversibili del concepito? Niente di tutto ciò, gli studi mostrano che l’accesso all’aborto avviene per motivi superficiali e risolvibili per la maggior parte.

 
 

Aborto e cancro al seno: ecco tutti gli studi scientifici.

Esiste un legame tra interruzione di gravidanza e il cancro al seno? Sì, secondo una vasta gamma di pubblicazioni, spesso oscurate dai media. Eccole raccolte in questo dossier.

 
 

L’aborto minaccia la salute delle donne: sindrome Post Aborto.

Le conseguenze psicologiche più ricorrenti dell’interruzione di gravidanza sono descritte dalla sindrome post aborto volontario, che provoca ripercussioni psicologiche importanti nelle donne. Troppo spesso, per motivi ideologici, tutto ciò viene minimizzato dai media: ma ecco cosa dice la letteratura scientifica.

 
 

L’aborto e la probabilità di infezioni all’utero: rassegna scientifica.

L’interruzione di gravidanza comporta numerose e possibili conseguenze per la donna, tra le quali danni cronici all’utero. Ecco una raccolta di studi scientifici che lo provano.

 
 

L’aborto causa nascite premature e aborti spontanei: ecco gli studi.

La letteratura scientifica mette in guardia sulle conseguenze dell’interruzione di gravidanza in quanto comporta alto rischio di successivi aborti spontanei e nascite premature. In questo dossier abbiamo raccolto gli studi.

 
 

L’aborto causa la placenta previa: rassegna scientifica.

Tra i tanti aumentati rischi per la salute della donna, l’interruzione di gravidanza comporta anche un alto rischio di soffrire di placenta previa nelle gravidanze successive, con alti rischi per la salute materna e quella fetale. Ecco una raccolta di studi scientifici.

 
 

L’aborto e la mortalità materna: rassegna scientifica.

L’aborto chirurgico aumenta o diminuisce la mortalità materna? Cosa dice la letteratura scientifica in merito? Abbiamo raccolto una serie di studi scientifici che dimostrano il collegamento tra l’interruzione di gravidanza ed un aumentato rischio di mortalità della donna.

 
 

Aborto e dolore fetale, cosa dice la scienza.

Il feto umano percepisce dolore? A che età della vita uterina? L’aborto procura dolore al concepito? Secondo la letteratura scientifica esistono prove di dolore fetale già alla 20° settimana, qui un elenco di studi che lo dimostrano.
 
 

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L’omofobia non esiste: lo dicono i dati e la ricerca

P.zza Montecitorio, flash mob contro l'omofobiaEsiste davvero l’omofobia? E’ davvero in corso un’emergenza omofobia? Cosa dicono gli studi in merito? La verità è che l’omofobia non esiste, è quanto dimostriamo con questo dossier in cui abbiamo elencato tutti gli studi e le testimonianze di omosessuali che smentiscono l’esistenza dell’omofobia.

 
 
 

Al di là di spiacevoli episodi di bullismo, che colpiscono tutte le minoranze (in maggior parte le persone obese), non vi è per fortuna alcuna emergenza omofobia in Italia.

Ed è un bene, i cattolici sono i primi ad esserne felici, d’altra parte Catechismo cattolico vieta qualunque offesa o discriminazione verso le persone omosessuali, che vanno guardate con attenzione e fratellanza.

Il ricorso continuo all’allarmismo omofobia da parte dell’associazionismo Lgbt ha 3 scopi ben precisi:

1) Legittimare davanti all’opinione pubblica le rivendicazioni sociali (matrimonio, adozione, gender theory ecc.) a discapito della famiglia naturale, come ammesso dal senatore Ivan Scalfarotto: il dibattito sull’omofobia, ha detto, non allontana quello sui matrimoni gay o sulle unioni, «io direi che lo precede. Perché sono due cose diverse. E l’una viene logicamente prima dell’altra»1I. Scalfarotto, Caro Cerno, io non faccio spot, intervista a L’Espresso, 26/08/13.
2) Giustificare l’introduzione dei corsi gender nelle scuole, mascherati sotto gli “indispensabili” corsi anti-omofobia.
3) Introdurre il reato d’opinione, negando la parola a chi ha visioni differenti su tematiche come matrimonio, adozione, maternità surrogata ecc.

 
 

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L’EMERGENZA OMOFOBIA NON ESISTE, ECCO DATI E RICERCHE

 

  • Il 01 marzo 2022 l’Oscad, l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori della Polizia di Stato, ha pubblicato i dati relativi al 2021. Su 361 segnalazioni di reati di matrice discriminatoria comunicati dalla Polizia di Stato, infatti, 77 riguardano l’orientamento sessuale o l’identità di genere. Oltretutto bisogna considerare che si tratta soltanto di segnalazioni alla polizia, senza alcun accertamento del reato. E nonostante ciò, solo il 21,3% del totale riguarda la cosiddetta omofobia.

 

  • Il 13 dicembre 2021 l’attivista transessuale Alessandra Gracis ha negato l’esistenza di un “allarme omotransfobico” in Italia: «Io non ho avuto una percezione negativa della mia sessualità da parte della gente comune. C’è invece un pregiudizio nella politica , doi destra e di sinistra. Ed è il colmo che sia il senatore Carlo Giovanardi l’unico a darmi un po’ di ascolto».

 

  • Il 22 novembre 2021 viene pubblicata un’indagine da Vox – Osservatori Italiano sui Diritti con lo scopo di realizzare una “mappa dell’intolleranza” studiando i tweet denigratori verso alcune categorie. E’ emerso che la categoria più odiata sono le donne, seguite dagli ebrei, dai musulmani e dai disabili. In fondo alla classifica si collocano gli omosessuali e i migranti.

 

  • Il 13 luglio 2021 Umberto La Morgia, fondatore dell’associazione Omosessuali di Destra, si è opposto ad una legge contro l’omofobia in quanto provocherebbe «un rischio evidente di chilling effect, ovvero il timore di esprimersi liberamente per non incorrere in sanzioni legali. Rispetto all’omofobia ha affermato: «Molte storie che leggiamo sui giornali sono anche gonfiate e strumentalizzate e questo, da gay, non mi piace. Se poi guardiamo ai reati, posso dire che l’Oscad, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori del Viminale, ha registrato molti più reati a danno dei disabili che di omosessuali, lesbiche e trans».

 

  • Il 09 luglio 2021 anche il quotidiano La Stampa ha ammesso che un caso di presunta omofobia a lungo stigmatizzato sui media con lo scopo di promuovere una legge punitiva (ma dal contenuto antropologicamente ideologico, come il ddl Zan), non aveva alcun movente omofobico. Il suicidio dell’omosessuale 18enne di Torino, Orlando Merenda, è stato subito strumentalizzato da numerosi quotidiani (come la stessa La Stampa, Open ecc.) e da esponenti Lgbt, come Luxuria che ha motivato il suicidio dal fatto che «l’#omofobia lo ha sopraffatto». Il Consiglio comunale di Torino ha perfino dedicato un minuto di silenzio in nome di Orlando alle vittime dell’omofobia. Ed invece gli inquirenti hanno scoperto che alla base del suicidio c’è un ricatto proveniente da giro di prostituzione in cui il giovane era caduto.

 

  • Il 01 luglio 2021 sui quotidiani è uscita la vicenda di Malika Chalhy, 22 anni, che sui social aveva commosso l’Italia sostenendo di essere stata cacciata dai genitori dopo il suo coming-out omosessuale. E’ nata una raccolta fondi che le ha permesso di intascare 150mila euro che la giovane ha usato per comprarsi una Mercedes di lusso, un bulldog francese da 2.500 euro, vestiti e tatuaggi, sperperando così il denaro che le sarebbe servito per vivere in maniera indipendente dai “genitori omofobi”. Tutta la sua storia è costellata di bugie: aveva confermato più volte di voler devolvere la cifra racconta in beneficenza, ma l’ufficializzazione dell’ente o dell’associazione a cui destinare il denaro non è mai arrivata. Ha sostenuto di aver deciso di fondare un’associazione per le vittime di discriminazioni assieme a Laura Boldrini, la quale però ha smentito qualunque contatto con la giovane. Di omofobia non si parla più e qualcuno mette in dubbio perfino la sua omosessualità.

 

  • Il 25 giugno 2021 il giornalista Filippo Facci ha riportato i dati aggiornati dell’Oscad, l’Osservatorio del Ministero dell’Interno a cui affluiscono i dati della polizia, dei carabinieri e anche le segnalazioni di crimini o discrosi d’odio contro l’orientamento sessuale da parte delle vittime. Dal 2011 al 2019 i casi sono 316 (solo segnalazioni, non reati), un numero decisamente inferiore alle profanazioni di tombe per odio razziale e religioso, ad esempio, le quali ammontano a 1168. Il report analizza anche i dati riportati dai centri antiviolenza italiani (tra cui i centri che tutelano le aggressioni omofobe), i quali hanno ricevuto 126.513 chiamate dal 2013 al 2020, l’1% dei casi era relativo alla discriminazione omotransfobica e l’89% riguardava invece le donne. Il giornalista ha fatto correttamente notare, tuttavia, che i fondi statali elargiti a tali centri per le donne equivalgono a 28 milioni di euro (quindi 249€ a vittima, secondo i dati) mentre i fondi per i centri antiviolenza Lgbt equivalgono a 4 milioni di euro (3.162€ a vittima, secondo i dati).

 

  • Il 19 luglio 2020 il giornalista e attivista gay Simone Alliva è intervenuto nuovamente su L’Espresso a sostegno della necessità di una legge contro l’omofobia. L’articolo è marcatamente vittimista e parte dalla premessa che «secondo le denunce di Arcigay, nel 2019 sono state 138 le aggressioni omofobe, di cui 74 al Nord e l’ultima a Pescara qualche giorno fa che ha mandato in ospedale un ragazzo con una mascella rotta». Questi sono gli unici dati che Alliva cita a sostegno dell’emergenza omofobia. Peccato siano numeri di parte, promossi da un ente che è ideologicamente e retoricamente impegnato nell’allarmismo ingiustificato. Se si tratta di aggressioni (di qualunque tipo) vanno denunciate all’autorità giudiziaria e, se giungono ad una condanna, questi sono i veri numeri attendibili da citare.

 

  • Il 17 luglio 2020 il magistrato Alfredo Mantovano ha respinto l’esistenza di «un vuoto normativo» sull’omofobia in quanto «l’esame obiettivo delle disposizioni contenute nel codice penale e nelle leggi penali a tutela della persona, unitamente ai dati riguardanti i reati che hanno come parti offese persone omosessuali o transessuali, non fanno riscontrare lacune nelle norme incriminatrici». Sono propri i dati del ministero dell’Interno, «in particolare dall’organismo che in esso ha il compito di monitorare gli hate crime» a far «escludere che ci si trovi di fronte a un fenomeno sociologicamente rilevante». Ogni offesa alla persona, di qualunque orientamento sessuale, è già condannata dai «delitti contro la vita (art. 575 e ss. cod. pen.), contro l’incolumità personale (art. 581 ss. cod. pen.), i delitti contro l’onore, come la diffamazione (art. 595 cod. pen.), i delitti contro la personalità individuale (art. 600 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà personale, come il sequestro di persona (art. 605 cod. pen.) o la violenza sessuale (art. 609 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà morale, come la violenza privata (art. 610 cod. pen.), la minaccia (art. 612 cod. pen.) e gli atti persecutori (art. 612 bis cod. pen.)». La vera discriminazione verso le persone omosessuali, continua il magistrato, «sarebbe ritenere non applicabile nei loro confronti una o più di tali disposizioni a causa del loro orientamento sessuale: ma nell’ordinamento non vi è nulla di tutto questo. Una tutela rafforzata nei loro confronti sarebbe però egualmente discriminatoria verso le persone eterosessuali, o comunque verso soggetti il cui orientamento sessuale non sia in alcun modo emerso nella vicenda concreta oggetto di giudizio». L’ordinamento penale prevede anche «l’aggravante dei motivi abietti e futili di cui all’art. 61 co. 1 n. 1 cod. pen., ovvero l’aggravante dell’avere “profittato di circostanze […] di persona […] tali da ostacolare la […] difesa” (art. 61 co. 1 n. 5 cod. pen.)». Le formulazioni di carattere generale e astratto delle circostanze aggravanti, ha concluso Mantonvano, «appaiono tali da ricomprendere ogni concreta situazione nella quale si manifesti da un lato l’assoluta inconsistenza e riprovevolezza di ciò che ha motivato l’azione illecita, dall’altro l’approfittamento di uno stato di particolare disagio personale: dunque, sono idonee a includere, determinando l’aggravamento della pena, offese rivolte a persone a causa del loro orientamento sessuale, se il riferimento a quest’ultimo è il riflesso di una insulsa banalità, ovvero se colpisce una vittima con difficoltà a reagire».

 

  • Il 15 luglio 2020 la giornalista Selvaggia Lucarelli ha esposto diversi sospetti sull’attivista lgbt Cathy La Torre, avvocata e una delle tante voci sull’emergenza omofobia. L’accusa della Lucarelli è che La Torre si sia inventata minacce e odio online -e ne abbia gonfiato esageratamente i numeri- a scopo promozionale della sua professione e per costruirsi un’immagine mediatica vittimistica, utile alle sue mire politiche. Vi sono pensanti ombre (già raccontate da Open online) anche sull’associazione di avvocati Lgbt Odiare ti costa, creata dalla stessa attivista arcobaleno, accusati di poca trasparenza e contraddizioni sui numeri delle presunte vittime da loro difese.

 

  • Il 06 luglio 2020 il travestito Mauro Coruzzi, in arte Platinette, nota icona Lgbt, ha affermato: «Una legge contro l’omofobia? Mi annoia l’idea di dover limitare ancora una volta l’ironia, il linguaggio non convenzionale. Se dico a una persona “sei proprio una finocchia persa”, che cosa c’è che non va? Ci sono famiglie orrende, nuclei familiari imbarazzanti ma perché non si può fare il family day se altri sfilano nel gay pride? E non sopporto il vittimismo, il piagnisteo continuo degli Lgbt».

 

  • Il 19 giugno 2020 il giurista Vladimiro Zagrebelsky approva l’attuazione di una legge sull’omofobia con tale motivazione: «Di fronte alla frequenza di aggressioni o insulti di natura discriminatoria non si vede come si potrebbe non essere favorevoli». Ed il punto è proprio questo: l’assenza di dati e numeri a supporto di tale errato convincimento rende non necessaria una legge in tal senso. Nel suo articolo Zagrebelsky intende rassicurare sul fatto che una legge sull’omofobia garantirà la libertà d’espressione, tuttavia mostra di ritenere «espressione ingiuriosa», meritevole di condanna, quella formulata da un cittadino islandese che si è detto disgustato dall’educazione Lgbt nelle scuole. Così facendo il giurista ha confermato i timori dei critici di un tale provvedimento legislativo: chi si oppone all’educazione gender nelle scuole sarà ritenuto autore di “espressioni ingiuriose”, pienamente condannabile dalla (futura) legge.

 

  • Il 14 giugno 2020 su L’Espresso esce un’anticipazione dell’ultimo libro del giornalista gay Simone Alliva, il tema è comprensibile dal titolo “Caccia all’omo” (Fandango 2020). Tuttavia non si parla di dati, di numeri né di ricerche, le uniche fonti a sostengo di un fenomeno omofobia sono i racconti del presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, Sebastiano Secci. E’ lui a raccontare tanti episodi discriminatori subiti dai soci, ma ovviamente sono testimonianze di parte e mai giunte a denunce o -tanto meno- a condanne per i presunti autori degli episodi descritti.

 

  • Il 14 maggio 2020 la Commissione europea ha pubblicato un report intitolato A long way to go for LGBTI equality, basato sulle esperienze di discriminazione riportate dalla comunità LGBT. Ad aver subito una discriminazione omotransfobica è l’8% del campione degli omosessuali italiani intervistati, una percentuale più bassa della media europea (11%). Solo Malta e Portogallo riportano dati inferiori.

 

  • Il 21 gennaio 2020 l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori (OSCAD) ha contato 969 reati con matrice discriminatoria commessi nel 2019. Un dato in calo rispetto al 2018, in cui se ne erano registrati 1.111 e in ulteriore diminuzione rispetto al 2017, quando ve ne furono 1048. La maggior parte dei crimini d’odio nel 2019 riguardano razzismo e xenofobia (726), categorie che includono discriminazioni per razza-colore, etnia, nazionalità, lingua, Rom e Sinti, antisemitismo, musulmani e membri di altre religioni. Al secondo posto i reati legati alla discriminazione della disabilità (161) e per ultimi i reati per orientamento sessuale e identità di genere (82). Rispetto a questi ultimi, viene registrato un calo in quanto nel 2018 erano 100, 63 nel 2017 e 38 nel 2016. Degli 82 reati legati all’orientamento sessuale, 29 sono legati specificamente all’aggressione fisica.

 

  • Il 07 dicembre 2019 il prof. Wilfred Reilly, docente di Scienze politiche alla Kentucky State University, ha analizzato i dati più recenti negli Stati Uniti smentendo l’esistenza di un’epidemia di violenza nei confronti dei transessuali, in quanto il tasso risulta essere dell’1,48% annuale. Gli afroamericani hanno invece un tasso di violenza/omicidio del 18,88%, mentre gli uomini bianchi del 6,68%. «Gli omicidi transgender», ha concluso, «sono di gran lunga inferiori ai tassi di omicidio per gli afroamericani, gli americani poveri di tutte le razze e gli individui maschi in generale. La verità è che non c’è un’epidemia di omicidi transgender. Il tasso di omicidio transgender registrato è 1/3 o meno del tasso di omicidio complessivo per tutti i cittadini americani e residenti legali».

 

  • Il 07 novembre 2019 GLAAD, organizzazione no-profit di attivismo LGBT, ha annunciato nel suo rapporto annuale Where We Are on TV che nel 2019 vi sono stati il 10% di personaggi omosessuali all’interno delle serie TV. Ha anche chiesto che “ci si assicuri che il 20% dei personaggi delle serie trasmesse in prima serata siano LGBTQ entro il 2025”. Nel mondo reale, tuttavia, tutti gli studi condotti sul tema hanno concluso che le persone LGBT rappresentano dal 2 al 4% della popolazione. Così, i personaggi omosessuali sono presentati in televisione tre volte più frequentemente di quanto siano presenti nel mondo reale.

 

  • Il 04 novembre 2019 l’attivista Lgbt Chad Felix Greene ha esaminato un campione di 118 casi di omicidio di transessuali elencati Human Rights Campaign. Ha concluso che di essi, 4 omicidi erano chiaramente motivati ​​da “pregiudizi anti-trans” e odio, 37 omicidi erano dovuti a violenza domestica da parte del partner sessuale, mentre 24 omicidi erano stati effettuati dai clienti stessi delle prostitute trans. I restanti omicidi erano essenzialmente atti casuali di violenza, come il coinvolgimento casuale in sparatorie ecc. Lo studioso ha concluso: «Non abbiamo ancora prove di un modello o di un'”epidemia” di violenza. È certamente falso che i trans vengano “sistematicamente cacciati” o che siano specificamente presi di mira. Quello che sappiamo da tutte le risorse disponibili è che la violenza subita da queste persone proviene da una gamma molto ampia di persone con background e identità diverse. È chiaramente qualcosa molto più legata ad una questione di ambienti ad alto rischio che ad una discriminazione basata sull’identità».

 

  • Il 21 marzo 2019 il giornalista e speaker radiofonico omosessuale Pierluigi Diaco ha affermato: «Anche se ci sono stati alcuni episodi molto gravi e di conseguenza condannabili, non penso che esista un allarme omofobia: gli italiani sono in buona parte persone civili e rispettose dell’altro».

 

  • Il 19 marzo 2019 l’opinionista e giornalista omosessuale Klaus Davu ha dichiarato: «Di sicuro è una cazzata dire che l’Italia è intollerante verso i gay: il nostro è un Paese ospitale, dove non ha senso il vittimismo omosessuale. Gli atti di omofobia si legano solamente al bullismo, che naturalmente va combattuto».

 

  • Il 3 marzo 2019 sui quotidiani italiani è emersa una vicenda legata ad un “cartello omofobo” a Roma, in cui si annuncia l’affitto di una casa, con l’aggiunta: «no ad animale e gay». Indignazione generale, ma la notizia è una fake news.

 

  • Il 25 febbraio 2019 il transessuale Nikki Joly, del Michigan (Stati Uniti), è stato accusato di aver dato fuoco alla propria casa (uccidendo cinque animali domestici all’interno) nel tentativo di simulare un crimine di odio omofobo contro se stesso.

 

  • Il 31 dicembre 2018 un’indagine pubblicata dall’Oscad-Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, ha elencato i dati relativi alle segnalazioni di atti discriminatori (quindi non condanne e nemmeno denunce) pervenuti dal 10/09/2010 al 31/12/2018. In otto anni le segnalazioni quelle che appaiono propriamente hate crime e hate speech sono in totale 1512. Di esse 897 (59.3%) hanno come matrice la razza o l’etnia, 286 (18.9%) la religione, 118 (7.8%) la disabilità, 197 (13%) l’orientamento sessuale, 15 (1%) l’identità di genere. Dunque, in otto anni l’insieme di segnalazioni per ragioni di orientamento sessuale o di identità di genere sono 212: 26.5 segnalazioni all’anno. Si potrà convenire che non appare un numero da emergenza.

 

  • Il 19 dicembre 2018 l’attore Fabio Testi ha spiegato di essere stato costretto a lavorare all’esterno denunciando il fatto che «devo fare un tesserino da gay per lavorare in Rai […] ormai in Italia il lavoro artistico si è limitato a certi gruppi, dove io son tagliato fuori perché sono troppo quadrato. Io non ho tesserino e allora mi lasciano a casa così non gli rompo i coglioni».

 

  • Il 27 luglio 2018 Niki Vendola, ex governatore della Puglia e attivista di primo piano nel mondo Lgbt, ha criticato le parole del ministro Lorenzo Fontana, affermando: «Quando ficco il naso nella Rete, dove vivono le galline pavloviane che replicano il copione della
    guerra degli insulti, mi sento in pericolo. Quando sono per strada, col mio compagno e nostro figlio, incontro solo simpatia e affetto»
    .

 

  • Nel marzo 2018 il presidente di Arcigay Napoli, Antonello Sannino, ha dichiarato: «La storia purtroppo ci insegna che le più violente azioni contro le persone lgbt sono nate in seno alla comunità lgbt stessa».

 

  • Nel dicembre 2016 sulla rivista Social Science and Medicine è stato confutato il più grande studio -pubblicato da Mark Hatzenbuehler- a sostegno della tesi secondo cui lo stigma sociale aumenterebbe il rischio di suicidi tra gay. La raccolta dei dati su cui si è basato l’autore dello studio originale aveva infatti gravi carenze metodologiche. Ne abbiamo parlato anche in un articolo sul nostro sito web.

 

  • Nel giugno 2016 una maxi indagine dell’ILGA (International Lesbian and Gay Association), ha studiato le opinioni sull’omosessualità in oltre cinquanta Stati. Dai risultati si evince che in Italia, per quanto riguarda ad esempio la punibilità dell’essere LGBTI, solo l’11% degli Italiani favorevole, contro il 13% degli spagnoli, il 15% degli olandesi, il 17% dei francesi e il 22% degli inglesi. Anche le problematiche dell’avere un vicino di casa omosessuale coinvolgono non più del 22% degli Italiani, quasi la stessa percentuale degli osannati Stati Uniti di Obama (21%), la stessa della Francia e comunque una percentuale minore, per esempio, di quella registrata in Inghilterra (26%), Paese considerato un autentico faro in tema di diritti civili (non a caso prevede la cosiddetta “maternità surrogata” da decenni).

 

  • Il 18 maggio 2016 il senatore Carlo Giovanardi ha riportato la risposta che ha ricevuto dalla Prefettura e dalla Questura in merito ad un presunto attacco che Gay Center ha dichiarato di aver ricevuto da militanti di Forza Nuova. Agli organismi competenti non risulta essere avvenuta nessuna aggressione, tanto che nessuna denuncia è stata presentata. Il fatto contestato è l’affissione di un volantino con il titolo “La perversione non sarà mai legge”, alla porta del Gay Center e di un analogo volantino ad una sede del Pd, con critiche alla legge sulle Unioni Civili.

 

  • Il 04 maggio 2016 il giornalista omosessuale Paolo Hutter, impegnato contro le discriminazioni, ha affermato: «Credo che l’omofobia, per quanto non sia estirpata, rappresenti solo una minoranza della società, soprattutto nel tessuto urbano. E lo dimostra il fatto che non sia più sensato nascondersi, visto che non esistono praticamente più discriminazioni sul lavoro».

 

  • Il 12 aprile 2016 è apparsa sui quotidiani la notizia di pesanti insulti omofobi e sputi ad una squadra di calcio di ragazzini con divisa di colore fucsia. Il presidente della squadra è intervenuto spiegando che la vicenda è chusa da tempo, si è trattata di una semplice frase fuori luogo e la vicenda è stata già chiarita senza necessità di interessamento e strumentalizzazione mediatica.

 

  • Nel gennaio 2016 la comunità Lgbt si è prodigata nel boicottaggio della compagnia ferroviaria Italo, la quale ha creato una scontistica a favore dei partecipanti del Family Day, addirittura è intervenuto il Codacons chiedendo l’intervento dell’Antitrust per verificare la legittimità degli sconti. Italo ha risposto spiegando che offre sconti a qualunque gruppo a ridosso di qualunque manifestazione, ed infatti si è scoperto che lo stesso aveva fatto nel 2014 in occasione del Gay pride di Padova. Dopo innumerevoli scritte e tweet di odio e insulti, alcuni hanno fatto dietrofront. Sul sito Gay.it è stato riconosciuto che non si è verificata alcuna forma di omofobia.

 

  • Il 14 dicembre 2015 prosegue l’operazione di lobbyng a favore del ddl sulle unioni civili e l’Unità intervista la presidente delle Famiglie Arcobaleno, Marilena Grassadonia, la quale nega l’esistenza di omofobia e discriminazione, afferma di essere ben integrata, così come lo sono i bambini che vivono con la coppia.

 

  • Il 14 dicembre 2015 prosegue l’operazione di lobbyng a favore del ddl sulle unioni civili e “Il Mattino” intervista la solita coppia felice omosessuale con bambini dove ci si lamenta della legge italiana. Tuttavia viene negata l’omofobia e si legge: «Nel quartiere qualcuno si è accorto di loro e le reazioni sono state genuine e calorose». «Non ci aspettavamo altro che quelle, onestamente», dice Fabio. «Il mondo reale è molto diverso da quello che alcuni personaggi vogliono farci credere con i loro commenti bigotti e ipocritamente anticonformisti. La gente che incrociamo ogni giorno è solo curiosa di sapere come abbiamo avuto Luca, poi esternano gioia per questa nascita. Nessuno si è mostrato disgustato e inorridito» dall’utero in affito.

 

  • Nel novembre 2015 i dati pubblicati dall’Osce (Organizzazione intergovernativa per la cooperazione e la sicurezza in Europa) sui “crimini di odio e discriminazione” in Italia e in altri 46 Paesi, hanno rilevato 27 crimini contro persone Lgbt su un totale di 596 casi, durante l’anno 2014, decisamente inferiori ai crimini xenofobici, razzisti (413) o anti-religiosi (153).

 

  • Nell’ottobre 2015, un’altra coppia omosessuale, con figlio prodotto tramite utero in affitto («Come da accordi la partoriente non ha riconosciuto la neonata. Il bébé è passato direttamente nelle braccia dei neogenitori veneti», queste le fredde parole per descrivere la mercificazione dei bambini) intervistata da un quotidiano locale, ha affermato: «Non vedo il pregiudizio negli occhi dei suoi compagni, né in quello dei nostri vicini di casa e dei nostri amici. Tutti sanno la nostra storia, abitiamo in un piccolo paesino di provincia».

 

  • Nell’ottobre 2015 una coppia omosessuale intervistata da Repubblica ha raccontato la realtà quotidiana. Non essendoci più la volontà di spingere sulla bufala dell’omofobia ma piuttosto delle unioni civili e della stepchild adoption, la coppia di donne ha raccontato la positiva accoglienza che ricevono, perché «la società da questo punto di vista è più avanti delle leggi». Perfino al catechismo della “figlia”, «siamo state accolte a braccia aperte».

 

  • Nel settembre 2015 la web serie di approfondimento giornalistico diffusa da Panorama Tv, #Truenumbers, ha confermato che le denunce arrivate nel 2014 all’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, per discriminazione contro le persone omosessuali sono solo il 7,4% e, addirittura, appena il 2,38% sono le segnalazioni arrivate per presunte discriminazioni sul posto di lavoro.

 

  • Il 30 giugno 2015 un attivista LGBT è stato accusato di aver falsificato le molestie che aveva denunciato di aver subito in seguito ad un’aggressione omofoba. Si era procurato da solo i lividi che aveva mostrato sui social e alla polizia, inventandosi un pestaggio subito per il fatto di essere gay.

 

  • Nel maggio 2015 è comparsa l’ennesima intervista di Repubblica a una coppia lesbica con bambino, descritta come sempre come fosse il paradiso dell’amore e dell’affetto, seguendo il ben collaudato copione della retorica Lgbt. Le due donne dichiarano anche di non aver subito mai alcuna discriminazione in Italia anzi, «gli italiani sono molto più avanti delle legge dello Stato», ha spiegato una delle due. E il dilagante fenomeno dell’omofobia?

 

  • Nell’aprile 2015 il corso di formazione per gli insegnanti di Udine contro l’omofobia nella scuola, organizzato da Arcigay, ha visto la partecipazione solo di pochissimi insegnanti. L’organizzatore Davide Zotti, responsabile nazionale scuola Arcigay sanzionato per aver rimosso i crocifissi dalla scuola in cui insegna, ha commentato dicendo che «si tratta evidentemente di un tema scomodo». Evidentemente non c’è nessun caso di omofobia segnalato nelle scuole, altrimenti sarebbe percepito come tema giustamente urgente da affrontare. I temi scomodi non sono temi urgenti.

 

  • Nell’aprile 2015 diversi quotidiani hanno riportato un’aggressione omofoba a Rovigo ai danni di due omosessuali ai quali sarebbe stato tirato un bicchiere in faccia mentre si stavano banciando. Si è poi scoperto che la questura ha ricostruito i fatti rilevando semplicemente un banale incidente tra due persone in un bar.

 

  • Nel febbraio 2015 si è scoperto che, alla faccia della discriminazione, lo storico circolo omosessuale “Mario Mieli” di Roma paga soltanto 251€ di affitto, la metà di quello che pagano i comuni cittadini. E’ certamente un caso che l’associazione sia stata guidata per anni da Imma Battaglia, che oggi è consigliera comunale di SEL.

 

  • Nel febbraio 2015 Cristiano Malgioglio, noto omosessuale italiano, ha affermato di aver partecipato ad un’iniziativa contro l’omofobia in Spagna: «E volevo anche fare qualcosa contro l’omofobia (che io non ho mai vissuto sulla mia pelle, però)». Parlando dell’Italia: ««Io, più che essere guardato male per l’omosessualità eventuale, venivo guardato male perché sono una creatura particolare. La mia immagine è ed era eccessiva».

 

  • Nel dicembre 2014 appare sulla cronaca un rarissimo caso di condanna da parte della giustizia per aggressione ad una persona omosessuale. Il verdetto di primo grado: dieci anni per lesioni e tentata rapina ai due imputati. Flavio Romani, presidente di’Arcigay ha commentato: «Una pena esemplare che lancia un segnale importantissimo. L’omofobia, pur non essendo ancora contemplata dal nostro codice penale, era inequivocabilmente il nocciolo della vicenda […] La severità della pena pone l’accento proprio su quell’odio, talmente ostinato da manifestarsi con inaudita violenza, molto oltre quella che sarebbe stata necessaria per sottrarre alle vittime gli oggetti di valore. Gli stessi giudici insomma hanno riscontrato nella condotta degli aggressori una peculiarità che ne aggravava la colpa e in quella peculiarità trova ragione la durezza delle pena». Come è stato fatto notare, Romani ammette che con gli strumenti giuridici già ora in possesso dei giudici è possibile sanzionare reati compiuti per motivi abietti quali l’odio verso una persona omosessuale. Addirittura il presidente nazionale dell’Arcigay parla di “pena esemplare”.

 

  • Nel novembre 2014 il Mossos d’Esquadra, il corpo di polizia regionale della regione autonoma spagnola della Catalogna, ha rivelato che nel 2013 vi sono state 45 denunce per omofobia. Dati che, è stato fatto notare, smentiscono quelli riportati e gonfiati dalle associazioni omosessuali, come l'”Observatorio contra la Homofobia Paralelamente” e “l’Observatorio catalán contra la Homofobia” del Frente de Liberación Gay de Cataluña, secondo i quali vi sarebbero state 384 denunce.

 

  • Nel novembre 2014 l’Ufficio scolastico regionale per il Piemonte ha smontato il caso della “professoressa omofoba”, Adele Caramico, accusata sui media di aver definito “malati” gli omosessuali durante una lezione di religione all’istituto Pininfarina. Uno studente omosessuale, militante dell’Arcigay, l’ha denunciata su “Repubblica” accusandola di questa falsità, per giorni i media hanno montato il caso, che è stato chiuso dal comunicato ufficiale dell’ente regionale piemontese: «la lezione di religione è iniziata regolarmente, con la richiesta agli studenti di scrivere delle riflessioni sulla bioetica e, in seguito ad una loro insistente richiesta formulata circa mezz’ora dopo, la professoressa ha affrontato in modo appropriato il tema dell’omosessualità. Il dialogo è proseguito con un gruppo di due o tre ragazzi, mentre il resto della classe procedeva con lo svolgimento del compito assegnato. Le diverse posizioni emerse durante la conversazione rispecchiano il dibattito corrente nella società italiana circa il tema in discussione. Dalle testimonianze dei ragazzi si riscontra che il dialogo si è svolto con serenità, con toni e termini propri di un ambiente scolastico e della sensibilità degli studenti. Non si sono evidenziati fenomeni di coercizione o proselitismo da parte della professoressa, che durante il dialogo non ha abusato del proprio ruolo né ha tenuto comportamenti offensivi, ma ha svolto la propria funzione educativa nel rispetto dei diritti e della dignità degli studenti».

 

  • Nel novembre 2014 l’attivista Lgbt Aurelio Mancuso si è decisamente opposto al ddl Scalfarotto contro l’omofobia, spiegando: «La legge così come si presenta è bene che non sia approvata, perché nel tentativo di tutelare le persone omosessuali e trans nei fatti depotenzia tutto l’impianto originario della normativa, introducendo specifiche odiose». Secondo Mancuso la legge non ha la capacità di prevenire la discriminazione e dovrebbe estendersi a «tutte quelle identità che continuano a subire discriminazioni in tutto il mondo». Altrimenti, come di fatti è avvenuto, «questo ha prodotto la sensazione di vaste aree di opinione pubblica che si voglia introdurre delle norme speciali per gli omosessuali». Ha quindi concluso: «l’omofobia non è un fatto penale, non è un dramma su cui fondare esposizioni mediatiche, è un fenomeno culturale e sociale da contrastare […]. Piuttosto che una brutta e contraddittoria legge, meglio nessuna legge. A volte bisogna ammettere di aver sbagliato, sull’omofobia e sulla transfobia gli errori sono stati molteplici a iniziare dal testo base da cui alla Camera si è partiti, un articolato, confuso, ideologico, contraddittorio, perfetto per essere smontato e travolto, quel che poi è accaduto».

 

  • Nell’ottobre 2014 l’attivista Lgbt Aurelio Mancuso rende noto, soddisfatto, di un rapporto dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali secondo il quale il 54% delle persone omosessuali in Italia si sentirebbe discriminato. Oltre al fatto che non viene reso noto come è stato svolto questo sondaggio (anonimo? Su campione volontario?), ancora una volta la richiesta di una legge sull’omofobia si basa non su dati oggettivi ma sulla “sensazione” di ipotetiche percentuali di persone omosessuali intervistate (non si sa in che modo). Troppo facile far notare che questi ipotetico gruppo di omosessuali italiani ha tutto l’interesse a definirsi discriminato, anche se ciò fosse falso, consapevole che le loro dichiarazioni -impossibili da dimostrare- servirebbero come spinta lobbystica verso una legge come quella liberticida del ddl Scalfarotto.

 

  • Nell’ottobre 2014 il noto attore omosessuale Paolo Poli ha parlato in un’intervista di come ha vissuto da omosessuale nell’Italia degli ultimi 70 anni. Non ha mai usato il termine “omofobia”, alla domanda se ha mai avuto problemi in quanto omosessuale ha risposto: ««Beata solitudo, vera beatitudo. Tutti siamo un po’ scombinati. Chi possiede un po’ di cervello sta benissimo anche da solo. Una vita serena, lo ripeto. Ho fatto un lavoro che adoro, ho amato e sono stato amato. La piacevolezza fisica aiuta: da giovane ero molto cercato da uomini e donne».

 

  • Nell’ottobre 2014 Antonio Angeli de “Il Tempo”, dichiaratamente a favore di unioni, matrimoni e adozioni omosessuali, ha spiegato -alla faccia dell’omofobia- che oggi in Italia «l’argomento dei diritti LGBT è diventato la moda del momento. E non manca chi, in un modo o nell’altro, lo sfrutto per farsi un po’ di pubblicità».

 

  • Nell’ottobre 2014 l’on. Scalfarotto è stato invitato in un liceo romano a confrontarsi con l’avvocato Gianfranco Amato sul tema dell’omofobia. Durante l’incontro l’avvocato Amato ha affermato: «se si lasciasse decidere al parlamento cosa è un matrimonio e si utilizzasse il solo criterio del sentimento, allora si potrebbe arrivare al paradosso di definire matrimonio come l’unione di cinque donne, di tre donne e tre uomini, o addirittura di un uomo e un cane, considerando l’aspetto affettivo che alcuni nutrono per gli animali domestici». Il quotidiano “Repubblica” ha usato questa frase per colpire Amato, diffondendo la frase in modo modificato: «Se stabiliamo che una famiglia può essere fatta da due uomini o da due donne allora arriveremo anche a dire che una famiglia è quella composta da un uomo ed il suo cane». Scalfarotto, intervistato dal quotidiano, ha raccontato che dopo questa frase di Amato, gli studenti «si sono accorti immediatamente, nella loro genuinità, della gravità delle affermazioni, si sono alzati tutti in piedi per applaudirmi. Io ho sentito una grande speranza, perché vuol dire che le nuove generazioni, per fortuna, sono immuni dai germi dell’intolleranza e dell’odio». Bene, se le nuove generazioni sono immuni dall’omofobia significa che è una menzogna sostenere il clima omofobo nelle scuole e tanto vale rinunciare alle migliaia di progetti scolastici Lgbt.

 

  • Nell’ottobre 2014 è stato smontato un ennesimo caso di “omofobia” inventato dai media: nell’ottobre 2013 un giovane di 21 anni si è tolto la vita lanciandosi da un palazzo a Roma, lasciando una lettera nella quale ha detto di essere gay e di vivere in una società omofoba. O almeno così ha raccontato “Repubblica”. In seguito ad un’interrogazione di Carlo Giovanardi, il Vice Ministero degli Interni, Filippo Bubbico, ha affermato: «Attualmente, tuttavia non sono emersi elementi di riscontro in merito ai segnalati episodi di discriminazione a sfondo omofobo».

 

  • Nell’ottobre 2014 l’on. Ivan Scalfarotto, responsabile del ddl contro l’omofobia, ha affermato che anche una legge a favore delle unioni civili per gli omosessuali sarebbe omofoba se desse la possibilità di usufruirne anche alle persone eterosessuali. Si tratterebbe di “omofobia culturale”. Un esempio di come l’uso di questo termine privo di una precisa definizione (cos’è l’omofobia? Di cosa si ha fobia?) abbia perso ormai ogni riferimento con la realtà, venendo usato verso tutti e contro tutti coloro che si desidera.

 

  • Nell’ottobre 2014 un’altra coppia omosessuale italiana, con un bambino in adozione, ammette l’inesistenza del fenomeno omofobia: «Non abbiamo mai avuto problemi all’asilo, con il pediatra, per le vaccinazioni. E neanche ne ha avuti con i suoi coetanei. Forse una differenza la vedremo quando sarà più grande o forse mai».

 

  • Nell’ottobre 2014 il quotidiano comunista “Il Manifesto”, una delle voci italiane più omofile, ha esultato per la nuova legge contro l’omofobia entrata in vigore a Barcellona, definendola «all’avanguardia». Infatti se questa legge fosse vigente in Italia, si legge sul quotidiano, sarebbero sanzionate le manifestazioni civili e pacifiche delle “Sentinelle in Piedi”, così come il legittimo intervento del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, per evitare che i sindaci “ribelli” di alcune città riconoscano matrimonio omosessuali contratti all’estero, in violazione della legge italiana. Ecco dove si vuole arrivare.

 

  • Nell’ottobre 2014 è stato smascherato l’ennesimo caso di omofobia architettato dall’Arcigay. Nel 2012 alla discoteca “Just In” di Germignaga (Varese) quattro ragazzi, di cui il presidente dell’Arcigay di Verbania Marco Coppola, denunciarono di essere stati picchiati e buttati fuori dal locale in quanto omosessuali. Tuttavia i buttafuori sono stati tutti assolti perché «il fatto non sussiste», il tribunale di Varese ha verificato non li minacciarono, non li offesero e ovviamente non li picchiarono. Marco Coppola e i suoi amici sono stati inoltre denunciati dal proprietario della discoteca per diffamazione a mezzo stampa e calunnia dopo essersi inventati la discriminazione raccontandola ai quotidiani.

 

  • Nell’ottobre 2014, in una delle quotidiane interviste di “Repubblica” ad una coppia omosessuale, anche questa volta è stata smentita l’esistenza di un clima omofobico. Uno dei due ha raccontato infatti: «nella vita di tutti i giorni siamo una coppia accettata da famiglia, vicini e colleghi»

 

  • Nel maggio 2014 è stato scoperto un altro caso di finta omofobia. Il giovane omosessuale Richard Kennedy si è fatto male da solo, ma prima di essere scoperto ha attaccato la “società omofoba” e “gruppi omofobi” che lo avrebbero aggredito, con il sostegno dei media: «urlando insulti omofobi lo ha spinto a terra, picchiandolo in testa». La polizia inglese ha trovato però un filmato a circuito chiuso in cui si vede Kennedy inciampare da solo cadendo con la faccia sul marciapiede.

 

  • Nel maggio 2014 il quotidiano “La Stampa” ha intervistato due uomini, Andrea Rubera e Dario De Gregorio, che hanno avuto in regalo due bambini da una donna. Uno dei due, Dario, ha affermato rispetto alla situazione in Italia: «Non mi sento giudicato da chi mi circonda e i miei figli vivono in condizione di grande serenità e benessere»

 

  • Nel maggio 2014 qualche quotidiano ha riportato i risultati di un questionario (dunque non uno studio) realizzato dall’università “La Sapienza” di Roma, distribuito a 1800 studenti. L’8% dice di essere stato vittima di generico bullismo, dunque le vittime dell’omofobia sono ancora inferiori. Il 47% avrebbe sentito a scuola espressioni omofobe (senza precisare cosa sia omofobia: opporsi alle nozze gay è omofobia?), uno su quattro le ha sentite dai suoi professori. I dati non possono essere presi in seria considerazione non solo per la loro generalità (non si definisce mai cos’è “omofobia”, ad esempio) ma sopratutto a causa dell’inattendibilità di un questionario anonimo distribuito in un delimitato punto geografico ad un numero bassissimo di soggetti.

 

  • Nel maggio 2014 due omosessuali italiani, Andrea Rubera e Dario De Gregorio, hanno raccontato di aver avuto un figlio in regalo da una madre generosa, «un atto di generosità, un po’ come donare il sangue». In seguito hanno smentito il fenomeno dell’omofobia, spiegando che «nel nostro Paese più che altro ci sono pregiudizi e tabù più sul fronte giuridico che sociale. Non mi sento giudicato da chi mi circonda e i miei figli vivono in condizioni di grande serenità e benessere».

 

  • Nel maggio 2014 la militante Lgbt Anna Paola concia ha accusato il conduttore radiofonico Giuseppe Cruciani di essere “ricchione”. Nessuna associazione omosessuale l’ha accusata di omofobia, nonostante l’utilizzo pubblico di un termine discriminatorio verso i gay. Se ad usare quel termine fosse stato qualcuno contrario alle rivendicazioni Lgbt si sarebbe alzato il solito polverone.

 

  • Nel maggio 2014 il transessuale Laura Matrone di Castel Volturno ha spiegato di essersi operato nel 2002 per tentare di assomigliare esteticamente ad una donna, affermando che «sono una donna normalissima che non ha mai avuto nessuna difficoltà di inserimento nella vita sociale».

 

  • Nel maggio 2014 uno studio condotto dall’University of California ha rilevato che la discriminazione contro le bambine in sovrappeso aumenta lo stress e le porta a mangiare in modo esagerato, divenendo spesso vittime dell’obesità. Ivan Scalfarotto, che ha proposto un ddl contro l’omo-fobia, non solo non si è basato su alcun dato statistico, ma non ha nemmeno proposto un emendamento anche per difendere gli studenti e i cittadini dalla obeso-fobia. E non si può certo considerare un fenomeno poco diffuso.

 

  • Nell’aprile 2014 un team di ricercatori dell’Australian Institute for Suicide Research and Prevention (AISRAP) ha pubblicato lo studio intitolato Suicides among lesbian, gay, bisexual, and transgender populations in Australia: An analysis of the Queensland Suicide Register, apparso sull’Asia Pacific Psychiatry. Appurando l’alto tasso di suicidi nella comunità omosessuale, gli autori hanno scoperto che una delle principali cause è dovuto allo stress vissuto con i loro partner romantici. «Tendiamo a supporre che il disagio psicologico che le persone LGBTI stanno attraversando spesso è dovuto al rifiuto della famiglia. Ma sembra che non sia così. Il conflitto sembra essere in gran parte correlato a problemi relazionali, con i partner».

 

  • Nell’aprile 2014 Alex Corlazzoli, maestro della scuola primaria, ha candidamente rivelato su “Il Fatto Quotidiano” quale sia lo scopo mascherato dei corsi anti-omofobia nelle scuole: «Come ho già sostenuto altre volte è inutile parlare di adozioni gay, di matrimoni tra omosessuali se prima non creiamo una cultura capace di aprirsi alla diversità. A partire dalla scuola».

 

  • Nel marzo 2014 uno studente transgender di un liceo americano ha riferito alla polizia di essere stato fisicamente e sessualmente aggredito da tre ragazzi mentre stava utilizzando la toilette degli uomini. In poche ore si è scoperto che la storia era falsa e il transgender ha ammesso di essersi inventato tutto per attirare la sensibilità dell’opinione pubblica.

 

  • Nel marzo 2014 dati Euripes 2013 e del Telefono azzurro hanno rilevato che ben il 25% degli studenti è vittima di forme di bullismo, indipendentemente dai comportamenti sessuali.

 

  • Nel gennaio 2014 il presidente di Arcigay Milano, Marco Mori, ha rivelato che le scuole hanno presentato «pochissime richieste» di ricevere i “kit didattici” contro l’omofobia, evidentemente non avvertendo alcuna emergenza.

 

  • Nel gennaio 2014 dai dati forniti alla Commissione Giustizia del Senato dall’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD), istituito presso il Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, è emerso che dal settembre 2010 sono pervenute 611 segnalazioni su presunti reati a sfondo discriminatorio motivati da origine etnica o razziale, genere, convinzioni religiose, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, età, lingua. 253 di queste riguardano atti discriminatori costituenti reato e tra queste il 57% è motivato dalla razza/etnia, il 27% dall’orientamento sessuale, l’11% dal credo religioso, il 2% da disabilità. Le segnalazioni circa l’orientamento sessuale sono dunque 83 in tre anni (una media di 28 all’anno): 35 casi sono offese come ingiurie/diffamazioni (il 42,17%, 11 casi all’anno); 33 casi riguardano aggressioni/lesioni (39,76%, 11 casi all’anno), 5 casi sono istigazione alla violenza omofoba (6,02%, 1,6 casi all’anno), 4 casi di danneggiamenti, 4 casi legati al suicidio della vittima (4,82%, 1,3 casi all’anno) e 2 casi di minacce (2,41%, 0,6 casi all’anno). Anche se un solo atto di discriminazione sarebbe già troppo, 28 casi all’anno di atteggiamenti omofobi non sono affatto un’emergenza.

 

  • Nel gennaio 2014 è emerso che in Italia c’è talmente urgenza di difendere i diritti degli omosessuali che la “Casa dei diritti”, inaugurata a Milano nel dicembre 2013 per la difesa dei diritti e alla loro tutela contro la discriminazione di orientamento sessuale, rimane chiusa sei giorni su sette.

 

  • Nel gennaio 2014 si è scoperto che ad uccidere il parrucchiere omosessuale Daniele Fulli (volontario di Gay Center e habitueè di incontri sessuali a pagamento) è stato un ragazzo gay tossicodipendente che frequentava da qualche settimana, il movente sono stati i soldi. Nessuna omofobia nemmeno in questo caso, nonostante il caso sia stato strumentalizzato per giorni. Dopo l’emergere della verità, Gay Center ha voluto comunque parlare pubblicamente di omofobia.

 

  • Nel gennaio 2014 uno dei pochi casi di omofobia documentato da immagini video è stato commesso ai danni di una coppia omosessuale non da persone italiane, ma da un gruppo di ragazzi dell’Est.

 

  • Nel gennaio 2014 il noto calciatore tedesco Thomas Hitzlsperger, con un passato fra Inghilterra, Germania e Lazio, ha dichiarato la propria omosessualità venendo citato su tutti i principali quotidiani. Hitzlsperger ha negato l’esistenza dell’omofobia, anche in Italia: «essere omosessuali in Inghilterra, Germania o Italia non è un problema, nemmeno negli spogliatoi», ha spiegato.

 

  • Nel gennaio 2014 il principale quotidiano italiano, il “Corriere della Sera” ha spiegato che, alla faccia dell’omofobia, in italia gli uomini gay sono privilegiati più delle donne eterosessuali: «anche gli uomini gay hanno una vita più facile e possono avere maggiori opportunità delle donne, pure di quelle che non sono necessariamente gay».

 

  • Nel dicembre 2013 Flavio Romani, presidente di “Arcigay” ha dichiarato che oggi in Italia: «nessuno si scandalizza più per le coppie omosessuali». Eppure, due mesi prima la situazione italiana dipinta da Romani era differente spiegando così gli obiettivi di Arcigay: «scalzare secoli di pregiudizio e far evaporare i mille stereotipi legati all’omosessualità e alle persone gay e far vedere che gay e lesbiche non sono quei personaggi strani e incollocabili». Come si evince il fenomeno omofobia viene citato soltanto quando fa comodo, essendo appunto stato inventato per questo scopo.

 

  • Nel dicembre 2013 in uno dei pochi attacchi ad una coppia omosessuale certificati dalla polizia in Italia è stato perpetrato da un gruppo di ragazzi -tra cui un albanese- guidati da un moldavo, Cristian Burea.

 

  • Nel dicembre 2013 un giovane omosessuale romano ha scritto a “Repubblica” di essere stato aggredito da un uomo che lo ha colpito alle spalle urlandogli offese come “frocio”. Tutti parlano di “ennesima aggressione omofobica”, nessuno riesce a dimostrare la veridicità del racconto e sopratutto a spiegare come l’aggressore abbia potuto riconoscere un omosessuale da dietro e spiegare i motivi per cui improvvisamente abbia deciso di aggredirlo. Si parla inoltre di “50 casi dall’inizio dell’anno”, ma nessuno di questi è stato dimostrato come vero.

 

  • Nel dicembre 2013 lo scrittore omosessuale Andrew Sean Greer ha pubblicato anche in Italia il libro “Vite impossibili” (Bompiani), spiegando che oggi è più facile essere gay che donna.

 

  • Nel dicembre 2013 è stato svelato un altro finto caso di omofobia architettato da militanti Lgbt. Nel mese scorso è girata in tutto il mondo la notizia della cameriera lesbica Dayna Morales a cui i clienti del suo ristorante in New Jersey non hanno lasciato la mancia perché, avrebbero scritto sullo scontrino, «non siamo d’accordo con il tuo stile di vita». Le associazioni gay sono scese in campo contro l’omofobia e alla donna sono piovuti fiumi di donazioni. I due clienti però hanno mostrato lo stesso scontrino, con data e ora, completamente privo di qualunque scritta. La donna è stata costretta a rimborsare tutti coloro che le hanno donato soldi, è stata licenziata e il ristorante ha avviato una causa legale contro di lei.

 

  • Nel novembre 2013 una ragazza di 12 anni ha tentato il suicidio lanciandosi dalla finestra della propria abitazione a Milano, dopo essere stata vittima di bullismo a causa del suo essere in sovrappeso. La vicenda ha avuto poca diffusione, nessuno ha rivendicato alcuna emergenza bullismo e nessuno ha strumentalizzato il tragico tentativo.

 

  • Nell’ottobre 2013 è riemersa la tragica storia di Matthew Shepard, un 21 del Montana (USA) che nel 1998 è stato brutalmente assassinato. Gli attivisti omosessuali hanno sempre riferito che il movente era la sua omosessualità. Aaron Hicklin sulla rivista omosessuale “The Advocate” ha però ammesso che gran parte della narrazione è falsa, spiegando che Shepard è stato picchiato a morte non perché era “gay”, ma per «ragioni molto più complicato», molto probabilmente per un affare di droga andato male.

 

  • Nell’ottobre 2013 la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del fascicolo sul suicidio di Roberto, un adolescente omosessuale suicidatosi gettandosi dal terrazzo di casa. Nonostante il caso sia stato strumentalizzato per mesi dalle associazioni omosessuali, gli inquirenti hanno accertato che la vittima non ha deciso di togliersi la vita a causa di episodi di bullismo e omofobia, ma per un disagio esistenziale non generato dall’ambiente esterno. Eppure perfino Nichi Vendola, subito dopo il suicidio del giovane, ha abusato della sua morte per accusare la classe dirigente a chiedere «perdono per le vittime dell’omofobia e per aver consentito che l’odio per le diversità diventasse lessico ordinario della contesa politica». Anche Flavio Romani, presidente di Arcigay, si era accodato allo sciacallaggio dicendo che «è ai ragazzi e alle ragazze come questo quattordicenne che bisogna pensare quando si dibatte dell’omofobia».

 

  • Nel settembre 2013 i dati Eurispes hanno mostrato che l’82% degli italiani dichiara di non avere nei confronti degli omosessuali atteggiamenti diversi rispetto a quelli che si hanno nei confronti di chiunque altro. Solo il 9,4% dichiara di sentirsi imbarazzato in loro presenza, mentre il 4,5% afferma che preferisce non entrarci in contatto. Solo l’1,3% mostra apertamente un atteggiamento di disapprovazione nei loro confronti. Osservando questi dati emerge, dunque, che soltanto il 15% circa degli intervistati non ha un atteggiamento di completa e serena accettazione con gli omosessuali, e vive condizioni di disagio, più o meno marcate (che vanno dall’imbarazzo alla disapprovazione manifesta), quando vi entra in contatto. La religione pare avere un ruolo decisamente marginale nelle prese di posizione contro i gay, e solo il 5,5% degli intervistati ritiene che chi è contrario all’omosessualità lo faccia per rispettare i dettami della propria religione.

     

    • Nel settembre 2013 l’Associazione Genitori e amici di Persone Omosessuali (AGAPO) ha scritto una lettera (ripresa su “Tempi.it”) alla presidente della Camera Laura Boldrini e ai parlamentari italiani, testimoniando che «dall’esperienza derivata dai numerosi corsi di educazione alla diversità sostenuti anche dalla nostra associazione, si può constatare che l’ambiente in cui crescono oggi in Italia i giovani con tendenza omosessuale in genere non è omofobo. Per quanto i sentimenti possano essere caratterizzati da incomprensioni, insicurezza, imbarazzo e, a volte, disagi e timori, l’odio nei confronti dei “gay” rappresenta un fenomeno complessivamente marginale. In Italia le leggi per tutelare le persone discriminate, anche omosessuali, esistono già. Il codice penale prevede infatti la persecuzione di reati per percosse, lesioni, minacce, ingiurie, diffamazione, diffamazione a mezzo stampa, inoltre esiste l’articolo 61 sulle aggravanti per motivi abietti o futili. Qualora si costati che l’attuale legge non sia sufficiente, il primo passo da compiere sarebbe certamente quello di monitorare l’applicazione della legge esistente, prima di introdurne un’altra».

     

    • Nel settembre 2013 da alcuni dati pubblicati è emerso che in Italia la comunità Lgbt (“gayeconomy”) in Italia spende oltre 20 miliardi all’anno. Gli omosessuali italiani godono di un forte potere di acquisto (le stime parlano di un reddito superiore del 23% rispetto al resto del mercato) e di una forte predisposizione alla spesa in tempo libero, moda, viaggi e brand di qualità. Dati assolutamente sorprendenti per una minoranza che vorrebbe passare come isolata, impaurita e discriminata.

     

    • Nel settembre 2013 è emerso un caso di etero-fobia a Genova: davanti all’ingresso del Rosa dei Venti, noto dal 2009 per essere il cuore degli eventi “gay friendly”, tre ragazzi (solo uno gay) vestiti in maniera non appariscente, sono stati allontanati perché per i gestori del locale «non eravamo abbastanza omosessuali. Ci hanno pure invitato a dimostrare la nostra natura baciandoci davanti a loro». Un caso di discriminazione sessuale che però non ha sollevato alcun polverone, cosa che sarebbe senz’altro avvenuta se si fosse verificata a parti inverse.

     

    • Nel settembre 2013 uno studio americano ha mostrato dati allarmanti per chi vorrebbe portare nelle scuole i vari corsi anti-bullismo e anti-omofobia: i risultati hanno infatti mostrato che gli studenti che frequentano le scuole con programmi anti-bullisimo hanno più probabilità di essere vittima di bullismo rispetto a bambini e adolescenti che frequentano scuole senza questo tipo di programmi. Il motivo? «Una possibile ragione è che gli studenti hanno imparato ad essere bulli da queste campagne e programmi anti-bullismo», ha spiegato Seokjin Jeong professore di criminologia.

     

    • Nell’agosto 2013 il deputato PD Ivan Scalfarotto, omosessuale e primo firmatario del ddl sull’omofobia che introdurrebbe un’aggravante per chiunque incitasse all’omofobia (anche un’opinione potrebbe rientrare in questi casi), ha candidamente ammesso che tale dibattito non allontana quello sui matrimoni gay, o sulle unioni, «io direi che lo precede. Perché sono due cose diverse. E l’una viene logicamente prima dell’altra».

     

    • Nell’agosto 2013 un cittadino ha rivolto una lettera aperta, satirica ma significativa, alla presidente della Camera Laura Boldrini scrivendo: «mi rivolgo a lei che si è dimostrata così sensibile alle sofferenze psicologiche dei gay per farle presente che esiste una categoria a rischio suicidio che non è contemplata fra quelle da proteggere dalla discriminazione. Io lo so perché appartengo a questa categoria: sono gli uomini bassi. Vede, io sono alto 1,50m, e mi creda, è tutta la vita che soffro per gli scherni della gente. Anche quando non dicono niente lo sento che mi considerano un diverso. Capto commenti, occhiate, è una tortura. E’ assolutamente ingiusto che, accanto alla discriminazione contro i gay, non venga punita anche la discriminazione contro i bassi […]. L’altezza, anzi la bassezza, è una caratteristica che attraversa tutte le razze, come l’omosessualità. Basterebbe aggiungere la parola “altezza” dopo “orientamento sessuale” e, dopo, introdurre l’informazione nelle scuole, farsi carico di chi discrimina i bassi, che sono bassofobi, perché cambino la loro mentalità criminogina. Insomma mettere al primo posto i diritti civili anche de bassi».

     

    • Nell’agosto 2013 il più importante militante Lgbt russo, Nikolay Alekseyev, presidente di “GayRussia” e del “Moscow Pride Organizing Committee”, si è definito contrario alla legge russa che vieta la propaganda gay tra i minori, tuttavia ha preferito criticare gli attivisti gay occidentali e i loro boicottaggi, schernendo anche i pochi omosessuali russi che chiedono asilo politico all’Occidente, accusandoli di farlo non per necessità ma per meri motivi turistici. «La legge federale che vieta la cosiddetta propaganda (non il comportamento) di rapporti sessuali non tradizionali ai minori, firmata dal presidente russo Vladimir Putin è vista come la più scandalosa tra le legislazioni nel mondo da quando Adolf Hitler è salito al potere per sterminare gli ebrei. Forse in tutto il mondo le persone sono convinte che questa legge è orribile, che possiamo usare tutti i mezzi che abbiamo per protestare contro essa». C’è chi sostiene, ad esempio, che «le autorità russe stanno portando via i bambini dai loro genitori omosessuali, il che ovviamente non ha nulla a che fare con la realtà». Il presidente di “GayRussia” ha anche sottolineato ironico che «la cosiddetta “orribile” legge contro la propaganda gay è in vigore da più di sette anni e la sua applicazione ha portato addirittura a ben due condanne!: Fedotova e Bayev sono stati infatti multati per 50$ ciascuno». Tutto qui. Inoltre, «i russi non sono così omofobi come vengono rappresentati» e le vere «conseguenze di queste leggi saranno prevalentemente sociali, non è legali».

     

    • Nell’agosto 2013 l’editorialista più laico del “Corriere della Sera”, Piero Ostellino, ha spiegato che «non c’è bisogno di una legge contro l’omofobia, e impegnarne il Parlamento è un anacronismo persino ridicolo e pericoloso. La smania iper legislativista non realizza la democrazia, ma ne è la patologia che distrugge le libertà liberali». Ovviamente ha scatenato la violenza e l’intolleranza Lgbt, alla quale ha risposto in un secondo articolo: «molti italiani sono rimasti fascisti anche se non lo sanno e credono di essere progressisti».

     

    • Nell’agosto 2013 in Francia è stato creato un villaggio di abitazione destinato ai soli pensionati omosessuali, «un’oasi privata per la comunità gay e lesbica» e vietato a chiunque sia eterosessuale. Una selezione dunque a base sessuale che certamente avrebbe scatenato i militanti dei diritti umani se il villaggio fosse stato riservato ai soli eterosessuali. Nessuno però ha giustamente parlato di “eterofobia”.

     

    • Nel luglio 2013 molti quotidiani hanno riportato la notizia dell’incendio doloso al liceo Socrate di Roma, collegandolo immediatamente al fatto che l’istituto sarebbe un simbolo della lotta all’omofobia. Pochi giorni dopo si è scoperto che gli autori, costituitisi negli uffici della Digos, erano studenti intenzionati a vendicarsi della bocciatura subita.

     

    • Nel luglio 2013 i ricercatori della Bowling Green State University hanno scoperto; che le persone obese sono vittime di discriminazione, ad esempio avevano meno probabilità di essere ammesse ad un corso di laurea quando l’ingresso comportava un colloquio di persona. Gli studiosi parlano di un pregiudizio nei confronti delle persone in sovrappeso, eppure nessuno ha chiesto una legge che le tuteli o ha manifestato per il loro diritto di essere rispettati in quanto minoranza.

     

    • Nel giugno 2013 una ricerca effettuata a livello internazionale dal prestigioso “Pew Research Center” ha collocato l’Italia tra i Paesi del globo aventi i maggiori tassi di accettazione dell’omosessualità. Precisamente l’ottavo al mondo, il medesimo grado di accettazione dell’omosessualità (74%) di Paesi come l’Argentina, dove il matrimonio gay è legale dall’estate del 2010.

     

    • Nel giugno 2013 Tommaso Cerno, giornalista omosessuale de L’Espresso ed ex presidente dell’Arcigay si è opposto alla ridefinizione del matrimonio: «Mi chiedo che cosa ci sia di rivoluzionario e giacobino nell’immagine di una coppia gay che passeggia per il prato di una villetta residenziale portando a spasso il cane». Per i gay è una trappola: «per trent’anni gli omosessuali si sono sempre caratterizzati come ‘i diversi’, e in nome di questa orgogliosa diversità hanno caratterizzato le loro battaglie per costringere la società a formulare un modello di relazione che andasse di là dal matrimonio classico borghese, che peraltro contiene in sé la parola ‘madre’ alla quale la cultura omosessuale è tendenzialmente estranea». Non solo non è omofobo negare il matrimonio gay, ma esso stesso è estraneo alla cultura Lgbt.

     

    • Nel maggio 2013 uno studente sedicenne di Roma ha tentato il suicidio gettandosi dal terzo piano dell’Istituto Tecnico Nautico “Colonna”. Le associazioni Lgbt hanno strumentalizzato la vicenda e molti giornalisti si sono addirittura inventati frasi che il giovane avrebbe scritto sulla discriminazione che riceveva in quanto gay: “Sedicenne si getta dalla finestra a scuola: «Deriso perché gay, non ce la faccio più»” ha titolato il “Messaggero”. “Il padre lo umilia perché gay. Sedicenne si lancia dal balcone”, ha titolato “La Stampa” ecc. Gli inquirenti hanno tuttavia accertato che sul ragazzo non c’è mai stato bullismo o atti di omofobia, e lui stesso ha dichiarato: «Mai preso di mira per il mio orientamento sessuale». Non risulta nemmeno un’ostilità da parte del padre, dato che i due non si vedevano da dieci anni, tanto che il pm Eugenio Albamonte ha escluso l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio. Il ragazzo ha detto: «Il bullismo non c’entra col mio gesto, è stata colpa di un malessere interiore, delle mie insicurezze. A pochi avevo confidato la mia omosessualità. Non posso far sentire sui miei compagni il peso del mio gesto. Loro non c’entrano. Semmai ci ha diviso una sorta di reciproca indifferenza. Loro con i loro interessi, moto sigarette e uscite di gruppo, e io, sempre più introverso, con i miei, internet, lo studio, i miei silenzi. Ho legato solo con due o tre compagni di classe. Con loro sì mi confidavo. Non sono stato lasciato solo insomma. Al massimo avrebbero potuto intuire la mia inquietudine». Una inquietudine diffusa tra i giovani, ancora una volta strumentalizzata.

     

    • Nel maggio 2013 è circolata la bufala di un campo militare in Sudafrica in cui si convertono “i gay effeminati in veri uomini” e in cui sono morti tre adolescenti. E’ stata poi svelata la verità: i tre adolescenti morti sono veri ma non si tratta di un campo di conversione per gay, né, ancora, ci sono prove che quelle tre povere vittime fossero omosessuali. Era un campo “per trasformare i ragazzi in uomini”. Poi pian piano nel diffondere la notizia, come è stato svelato, militanti omosessuali hanno approfittato della notizia per modificare i fatti e introdurre gli omosessuali e la volontà di convertirli.

     

    • Nel maggio 2013 è stato pubblicato dalla European Fundamental Rights Agency (FRA) il più grande sondaggio sui crimini d’odio e discriminazione nei confronti delle persone LGBT. Il risultato è che un quarto delle 93.000 persone LGBT che hanno risposto al questionario ha dichiarato che di essere stata vittima di violenza fisica. Una cifra tragica se fosse vera, peccato che –come è stato dimostrato– ci sono numerosi fattori problematici: innanzitutto il sondaggio non si basa su fatti verificabili, ma sulla percezione della discriminazione. In secondo luogo le uniche persone ammesse a partecipare al sondaggio erano persone LGBT, ciò significa che non c’è modo di confrontare la loro percezione con la percezione della società in generale. In terzo luogo, il questionario è molto lungo e solo persone altamente motivate a dimostrare di aver subito discriminazioni avrebbero risposto a ben 50 domande. Infine, essendo anonimo una persona poteva compilare il questionario tutte le volte che voleva. Occorre anche osservare che le conclusioni del FRA sono molto suggestive, quasi pilotate, come il suggerimento di mostrare maggior apprezzamento per lo stile di vita LGBT da parte dei leader religiosi. Un blog di diritto internazionale ha parlato di “sondaggio falso”, sottolineando anche che pochi dei 23.000 crimini d’odio citati da persone LGBT anonime sono stati denunciati alla polizia, quando non si sarebbe stato alcun motivo per non denunciare.

     

    • Nell’aprile 2013 i genitori di una scuola media di New York, la Linden Avenue Middle School, hanno denunciato indignati che le loro figlie sono state costrette a baciarsi tra loro (fra lo stesso sesso) durante una lezione contro il bullismo verso gli omosessuali e l’identità di genere. Una conferma dello scopo nascosto dei corsi anti-omofobia nelle scuole.

     

    • Nell’aprile 2013 un blog di diritto internazionale ha mostrato come l’omofobia sia poco diffusa in Europa. Prendendo il caso della Germania che ha 81 milioni di abitanti e rappresenta circa il 16% della popolazione dell’UE, è stato fatto notare che i dati relativi al 2011 del Federal Office for Criminal Investigation (Bundeskriminalamt) each year publishes a detailed statistical report, the “Polizeiliche Kriminalstatistik” (PKS) mostrano che vi sono stati un totale di 5.990.679 casi penali segnalati in quell’anno, di cui 197,030 riguardavano grave violenza fisica (“omicidio e omicidio colposo”: 2.174 casi; “stupro e aggressioni sessuali”: 7,539 casi, “assalti causando gravi lesioni corporali”: 139,091 casi). Assumendo che i “crimini di odio omofobico” non sono maggiori che in altri Paesi, si è quindi confrontato i dati della polizia tedesca con i 23.000 crimini d’odio citati da persone LGBT anonime in un dubbio questionario anonimo realizzato dall’European Fundamental Rights Agency (FRA). Il 16% (percentuale abitanti Germania rispetto agli abitanti europei) dei 23.000 equivale a 3,680 aggressioni. Dato che le associazioni Lgbt sostengono che il numero di omosessuali è il 10% della popolazione, 3,680 aggressioni contro le persone LGBT all’anno -rispetto a un totale di 570.000 reati denunciati che coinvolgono vari gradi di violenza- indica chiaramente che le persone LGBT sono meno frequentemente attaccate rispetto alle altre persone.

     

    • Nel marzo 2013 è emerso che un ragazzo, Andy Cannon, abusato sessualmente dal suo papà adottivo e dal suo partner omosessuale è stato etichettato come un “bambino indisciplinato”, e imbottito di farmaci anti-psicotici, dagli assistenti sociali che hanno ignorato sistematicamente le sue lamentele per anni, lasciandolo nella casa della coppia omosessuale. Oltretutto, lodando pubblicamente i due uomini come “genitori molto attenti”. Il caso, che ha avuto risvolti penali, si è finalmente concluso dopo quasi un decennio di battaglie legali, quando un tribunale ha ordinato un risarcimento di circa 30 mila euro a Cannon. Il ragazzo ha dichiarato: «Credo che se mio padre adottivo avesse avuto una relazione eterosessuale allora le mie lamentele sarebbero state ascoltate anche prima. Sembra che gli assistenti sociali non volevano essere visti come chi vittimizza i gay. Hanno preferito guardare il “politically correct” e lasciare loro il permesso di adozione per evitare eventuali ripercussioni».

     

    • Nel gennaio 2013 l’importante editorialista de “Il Corriere della Sera” Ernesto Galli della Loggia, ordinario di Storia contemporanea presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM) e direttore del corso di dottorato di ricerca in Filosofia della storia, ha dovuto difendersi dall’attacco delle associazioni gay dopo aver scritto un suo commento critico alla legalizzazione dei matrimoni omosessuali in Francia. Una deputata del Partito Democratico (PD), Cristiana Alicata, lo ha ad esempio definito «intellettuale proto-nazista». Galli della Loggia ha trovato «semplicemente disgustoso (oltre che inefficace e stucchevole) questo modo di vista di sostenere il proprio punto di vista e le ragioni degli omosessuali, il quale lungi dal fondarsi su argomenti concreti e dati di fatto, mira esclusivamente a colpevolizzare l’interlocutore facendogli dire cose che non si è mai sognato di dire e presentandolo come un cripto-nazista […]. Tutto ciò lascia la sgradevole impressione che al fine di ottenere con successo, le legittime, sacrosante campagne del movimento gay, più che di convincere il pubblico cerchino solo di chiudere la bocca a chi la pensa diversamente».

     

    • Nel gennaio 2013 Julie Bindel, famosa attivista per i diritti degli omosessuali, ha negato che sia omofobia negare le nozze gay, anche perché gli omosessuali sono sempre stati contro all’istituzione del matrimonio: «le rivendicazioni oggi sono diventate entrare nell’esercito, sposarsi in chiesa e allevare bambini adottati», stiamo assistendo ad una «isteria pro-matrimonio». Ha quindi spiegato che è «solo una parte non maggioritaria del mondo omosessuale» ad essere «davvero convinta che “sia importante estendere i diritti del matrimonio a coppie dello stesso sesso” e che solo un’infima minoranza (uno su quattro) “sarebbe pronta a sposare il suo/la sua partner se la legge lo consentisse”?».

     

    • Nel gennaio 2013 Alfonso Signorini, da omosessuale dichiarato, si è opposto alle nozze gay: «Io sono contrario al matrimonio gay o etero che sia. E lo dico da omosessuale. Sono contrario alle adozioni da parte di coppie gay. La famiglia è una sola. Un maschio e una femmina. E’ nella natura delle cose da sempre». Non può essere omofobia negarlo.

     

    • Nel gennaio 2013 l’attivista lesbica Nathalie de Williencourt, portavoce di Homovox, oltre ad opporsi alle nozze gay ha sostenuto che «prima chi si opponeva al matrimonio gay veniva subito chiamato omofobo da quasi tutti i grandi media ed era impossibile opporsi senza essere immediatamente tacciati di omofobia. Io e i miei amici omosessuali, che non possiamo certo essere accusati di omofobia, chiediamo che ci sia un dibattito per permettere le unioni omosessuali, ma creando un’istituzione diversa dal matrimonio».

     

    • Nel dicembre 2012 la Procura di Roma ha abbandonato la pista dell’omofobia nel caso del suicidio del giovane Andrea, studente 15enne di Roma (che non era omosessuale), perché nessun elemento a sostegno di tale teoria è stato rilevato. Il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e il pm Pantaleo Polifemo hanno ritenuto trattarsi di un fatto “intimo”. Eppure questo suicidio è stato per mesi strumentalizzato dalle associazioni gay sostenendo essersi trattata di omofobia (con tanto di fiaccolate). Gay Center, ad esempio, attraverso il portavoce Fabrizio Marrazzo, aveva subito divulgato un comunicato dicendo: «si è ucciso perché veniva vessato in quanto omosessuale». Gli stessi compagni avevano scritto una lettera «per smentire ciò che è stato pubblicato nell’edizione dei quotidiani nel giorno 22/11/2012 riguardo al suicidio di un nostro compagno di classe. Noi, gli amici, abbiamo sempre rispettato e stimato la personalità e l’originalità che erano il suo punto di forza. Non era omosessuale, tanto meno dichiarato, innamorato di una ragazza dall’inizio del liceo».

     

    • Nel novembre 2012 l’omosessuale e non credente francese Xavier Bongibault ha spiegato che non c’è alcuna omofobia nel negare le nozze gay, criticando le decisioni del governo Hollande: «Il piano del governo è tutt’altro che unanime nella comunità gay. Contrariamente a quanto dicono i mezzi di comunicazione, la richiesta non viene dalla maggioranza degli omosessuali. La maggior parte non è interessata, ma l’influenza del movimento LGBT è tale che molti non osano dirlo».

     

    • Nel novembre 2012 Jean-Pierre Delaume-Myard, omosessuale dichiarato e noto documentarista francese, ha negato che omofobia significhi negare il matrimonio e l’adozione omosessuale: «L’ordine del giorno è quello del matrimonio per tutti. Ma molti omosessuali non hanno alcuna voglia di sposarsi. Gli autori e intellettuali omosessuali del XIX secolo si rivolterebbero nella tomba pur di respingere questa idea borghese».

     

    • Nel settembre 2012 l’omosessuale Doug Mainwaring ha criticato chi ritiene che essere contro il matrimonio omosessuali sia essere «omofobi. In alcuni casi, questo può essere vero. Sono certo tuttavia che la stragrande maggioranza ritenga sufficiente, come me, visualizzare il “matrimonio” come un termine immutabile, che può essere applicato solo agli eterosessuali. Io sono gay. Qualche anno fa ero dall’altra parte della barricata su questo argomento. Ma più leggevo, pensavo, studiavo e tentavo di difendere la mia posizione, più mi rendevo conto che non potevo farlo. I rapporti omosessuali dovrebbero essere sostenuti dalla società, ma sono cresciuto convinto, tuttavia, che il termine “matrimonio” non deve essere modificato o regolato in alcun modo». Ha quindi concluso: «Ammettiamolo: non dovremmo tentare di forzare un qualcosa che non è mai stato pensato per le coppie dello stesso sesso. Le relazioni omosessuali sono diverse da quelle eterosessuali».

     

    • Nell’agosto 2012 è stato smontato l’ennesimo caso di finta omofobia architettato dal giovane omosessuale Joseph Baken il quale aveva scosso l’opinione pubblica mostrando il suo volto tumefatto e affermando di essere stato picchiato a causa della sua inclinazione sessuale. Dopo il polverone scatenato dalla lobby Lgbt è emerso un filmato in cui si vede il giovane omosessuale cadere da solo contro un marciapiede compiendo un’acrobazia su una strada asfaltata, riconoscendo di aver creato un falso reato. Un giudice lo ha condannato a 180 giorni di carcere, con tanto di multa da $ 300.

     

    • Nell’agosto 2012 l’omosessuale Charlie Rogers ha raccontato alla polizia di Lincoln (Nebraska) di essere stata pestata, poi lasciata dinanzi all’abitazione della sua vicina di casa perchè omossessuale. Tre uomini mascherati si sarebbero introdotti in casa, l’avrebbero legata e con della vernice spray avrebbero scritto parole offensive sui muri della sua residenza. Una manifestazione di solidarietà organizzata dalle associazioni LGBT ha raccolto circa $ 1.800, subito depositati in un conto bancario per Rogers. Peccato che l’episodio di omofobia si sia rivelato ancora una volta del tutto inventato, ideato dalla stessa protagonista per accendere i riflettori sull’argomento. Nei quattro interrogatori sostenuti dalla finta vittima, infatti, le versioni presentate si sono dimostrate contrastanti, elementi sempre diversi si aggiungevano alle descrizioni e il letto su cui la donna diceva di aver subito violenze non presentava alcun segno di lotta. La donna è stata denunciata e arrestata.

     

    • Nel luglio 2012 presso il “Central Connecticut State University” si è tenuto un “rally di solidarietà” a nome della 19enne Alexandra Pennell, una lesbica che avrebbe ricevuto note di odio a causa del suo comportamento sessuale. I funzionari hanno poi scoperto che era lei stessa l’autrice.

     

    • Nel giugno 2012 l’opinionista del Daily Mail, Andrew Pierce, si è rivolto al primo ministro inglese affermando: «signor Cameron, io sono un conservatore e un omosessuale, e mi oppongo al matrimonio gay. Sono un bigotto?». Ha fatto anche altri nomi di noti omosessuali contrari al riconoscimento delle unioni gay, come David Starkey e Alan Duncan, scrivendo poi «nessuno dei miei amici gay vogliono il matrimonio gay come legge». Nessuna omofobia, dunque, a negare le nozze gay.

     

    • Nel maggio 2012 una coppia di lesbiche ha denunciato alla polizia di aver trovato la scritta “Kill the Gay” sul loro garage, con tanto di corda da impiccagione. I funzionari di polizia hanno accertato che anche in questo caso erano state le due donne ad aver inscenato gli incidenti, condannandole per malizia criminale e falsificazione.

     

    • Nel marzo 2012 un gruppo di ricercatori della Yale University ha rilevato che la minoranza più discriminata sono le persone obese, molto di più delle discriminazioni basate sulla razza, sull’orientamento sessuale, sull’etnia, sulle disabilita’ fisiche e sulla religione.

     

    • Nell’agosto 2011 David Blankenhorn, un sostenitore dei diritti dei gay negli Stati Uniti ha affermato che «ridefinire il matrimonio per includere le coppie gay e lesbiche eliminerebbero del tutto nel diritto, e indebolirebbe ancora di più, l’idea di base che occorre una madre e un padre per ogni bambino». Non vive alcuna omofobia nel non potersi sposare, anzi.

     

    • Nell’aprile 2011 l’omosessuale Richard Waghorne, ricercatore in filosofia politica e commentatore su diversi quotidiani anglosassoni, ha spiegato che «per dirla personalmente non mi sento minimamente discriminato per il fatto che non posso sposare una persona dello stesso sesso. Capisco e accetto che ci siano buone ragioni per questo». Ha poi aggiunto che «il dibattito sul matrimonio gay può collassare sulle accuse di omofobia. Il messaggio, esplicito o implicito, è spesso quello che l’essere anti-matrimonio gay significa essere in qualche modo anti-gay. Figure pubbliche che si oppongo devo farlo abitualmente ricevendo gli insulti di bigottismo o omofobia». Ha quindi continuato: «la risposta riflessa di molti sostenitori del matrimonio gay è quello di dipingere ogni forma di dissenso come pregiudizio, come se l’unica ragione per difendere il matrimonio come è esistito fino ad oggi fosse stata una certa varietà di bigottismo o uno squilibrio psicologico».

     

    • Nel settembre 2007 il Daily Mail ha riportato la notizia che una coppia omosessuale inglese è stata lasciata libera di abusare sessualmente dei bambini dati loro in affido perché gli assistenti sociali hanno avuto paura di intervenire, temendo di essere accusati di discriminazione e omofobia.

     

    • Nel 2003 un ampio studio di confronto tra un migliaio di omosessuali e eterosessuali adulti nel Regno Unito, pubblicato sul British Journal of Psychiatry, non ha trovato alcun aumento di bullismo verso gli uomini gay rispetto a quanto avviene verso gli uomini eterosessuali, sia a scuola che in altri luoghi, sia verbalmente o fisicamente. «Le affermazioni sul fatto che le persone gay e lesbiche siano vulnerabili a tali esperienze a causa della loro sessualità sono spesso prese come valore nominale e non sono giudicate nel contesto della prevalenza di tali eventi nella società», hanno concluso i ricercatori. Per spiegare gli alti tassi di disturbi psicologici vissuti da persone omosessuali hanno poi affermato: «Può essere che il pregiudizio della società contro gay e lesbiche porti ad una maggiore angoscia. Al contrario, la psicologia gay e lesbica può portare ad assumere stili di vita che rendono queste persone più vulnerabili al disturbo psicologico. Tali stili di vita possono includere aumento dell’uso di droghe e alcol».

     

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Tutte le risposte da dare a chi è favorevole all’aborto

Donna incinta domandaCosa rispondere a chi vuole l’aborto? Hanno ragione i pro-choice oppure ci sono argomenti razionali per difendere il diritto alla vita e controbattere alle argomentazioni di chi è a favore dell’interruzione di gravidanza? In questo dossier una lista di agili risposte.

 
 
 

Osservando il dibattito contemporaneo riguardo all’interruzione di gravidanza, esistono almeno 17 argomentazioni ripetute frequentemente dai sostenitori per sostenerne la liceità etico-morale. Eppure, ad un attento esame, nessuna di queste convinzioni “pro-choice” regge ed è anzi molto facile replicare con argomenti “laici” e razionali, ovvero sostenibili senza coinvolgere motivazioni religiose.

Qui di seguito abbiamo suggerito rapide risposte ai più comuni argomenti pro-aborto.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

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1. L’EMBRIONE NON E’ UN ESSERE UMANO.

Tutto il dilemma sull’aborto comincia da qui. Se l’embrione non fosse un essere umano, ma il fantomatico grumo di cellule, non ci sarebbe alcun problema etico ad interrompere la gravidanza, non si sarebbe di fronte a due vite umane: quella della madre e quella del figlio. Eppure è ormai un’evidenza scientifica il momento in cui inizia la vita biologica dell’essere umano, qualunque libro di embriologia ne parla: al momento del concepimento si forma il patrimonio genetico dell’individuo che definisce per sempre il nuovo essere come appartenente alla specie umana.

Su “The Developing Human: Clinically Oriented Embryology” (Saunders 2003, p. 16), di K.L. Moore, il manuale usato nelle università mediche americane, ad esempio troviamo scritto: «Lo sviluppo umano inizia al momento della fecondazione, cioè il processo durante il quale il gamete maschile o spermatozoo si unisce ad un gamete femminile (ovulo) per formare una singola cellula chiamata zigote. Questa cellula totipotente altamente specializzata segna il nostro inizio come individuo unico […]. Un zigote è l’inizio di un nuovo essere umano (cioè, l’embrione)».

L’altissimo numero di ginecologi obiettori, dopotutto (non soltanto cattolici), dimostra che chi lavora a contatto con embrioni e feti vede chiaramente che si tratta di esseri umani, lo riconoscono anche i ginecologi abortisti. Il dott. Nicola Surico, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), ha affermato: «Far abortire una donna è un lavoro che non piace a nessuno. Molti miei colleghi dopo un po’ non ce la fanno più: si tratta pur sempre di interrompere una vita, e questo pesa. È un dolore traumatico per le pazienti che lo richiedono ma è un problema anche per i medici: ne ho conosciuti molti inseguiti dal rimorso». La femminista Mariella Gramaglia ha affermato che la «maggioranza di laiche femministe detesta l’aborto con tutto il cuore». Nessuno detesterebbe l’aborto se si trattasse di sopprimere un grumo di cellule e non essere umano.

In ogni caso, per chi avesse ancora dubbi, la considerazione etica più elementare sarebbe quella di applicare una presunzione di umanità o di presunzione di vita: non è lecito correre il rischio di uccidere un uomo sulla base di un dubbio. Nessuno abbatterebbe un palazzo se avesse un dubbio che all’interno possano trovarsi delle persone.


 

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2. L’EMBRIONE E’ UN ESSERE UMANO MA NON UNA PERSONA.

Chi non intende negare l’evidenza scientifica ma comunque vuole legittimare l’interruzione di gravidanza, tenta spesso una distinzione filosofica tra essere umano e persona, basandosi sul funzionalismo: la definizione di una persona deriva dal suo funzionamento o dal suo comportamento, se non può dimostrare di essere persona allora non lo è. Solo chi è sufficientemente capace di esprimere la propria personalità può entrare nella categoria di persone e avere diritto alla vita.

Ma chi può dire che cosa è “sufficiente”? La linea può essere tracciata a volontà, la volontà del più forte. Secondo Hitler gli ebrei non avevano sufficienti capacità per essere persone degne di rispetto, mentre prima era toccato agli zingari o ai neri. La storia mostra che per uccidere altre persone -feti, nemici dello stato, ebrei, armeni, cambogiani ecc.- basta semplicemente definire le vittime come non-persone, sottolineando che non soddisfano determinati criteri. Ma chi stabilisce i criteri? Ogni volta che la personalità è definita funzionale, la linea di demarcazione tra persone e non-persone si baserà su una decisione della maggioranza che è al potere e tale decisione, data la caducità della natura umana, sarà inevitabilmente basata sull’interesse personale. La capacità funzionale di un soggetto non può qualificarlo in alcun modo: un gatto che non può fare le fusa, non può cacciare i topi e non può arrampicarsi sugli alberi, non si può dire che, per questo, non sia un felino. Si dice al massimo che è un gatto con limitate capacità. Se per essere “persone”, inoltre, si deve prescindere dalla corporeità ed è necessario solo avere competenze psichiche superiori (autocoscienza, razionalità, linguaggio) allora si deve concludere che trasferendo i contenuti della corteccia cerebrale in un individuo di un altro corpo significa trasferire interamente quell’individuo e quella persona. Una tesi che ovviamente nessuno accetta, la continuità dev’essere corporea e non tanto degli stati mentali.

Infine, senza contare le grandi capacità del feto umano (capacità di sognare, di relazionarsi in caso di gemelli, sensibilità al dolore, capacità di emozionarsi, imparare suoni e voci ecc., per approfondire L. Nilsson & L. Hamberger, “A Child is Born“, 4th edition, Bantum Dell 2003, pp. 98-141), chi prova a sostenere con il funzionalismo la categoria degli “esseri umani non persone” si trova a dover necessariamente ampliare gli inclusi, non solo zigoti-embrioni-feti umani ma anche neonati, disabili e malati gravi. Le loro capacità infatti, non sono così diverse da quelle del feto: i neonati, ad esempio, a sei settimane dal parto non hanno ancora sviluppato le principali funzioni mentali umane, così come esse sono assenti nelle persone in coma, durante il sonno o affette da malattie come l’Alzheimer. Non a caso i ricercatori della Consulta di Bioetica (laica), hanno infatti affermato: le «non-persone non hanno diritto alla vita, non vi sono ragioni per vietare l’aborto dopo il parto», da praticare finché il soggetto non è «in grado di effettuare degli scopi e apprezzare propria vita». Così, «i feti ed i neonati non sono persone, sono ‘possibili persone’ perché possono sviluppare, grazie ai loro meccanismi biologici, le proprietà che li rendono ‘Persone’», ed è lecito ucciderli perché, «affinché si verifichi un danno, è necessario che qualcuno sia nella condizione di sperimentare tale danno». Il filosofo Peter Singer, docente di Princeton, si è a sua volta chiesto: «Perché limitare l’uccisione dentro il corpo della donna? E’ ipocrita far abortire all’ottavo mese e non consentire l’eutanasia neonatale. Né un neonato né un pesce sono persone, uccidere questi esseri non è moralmente così negativo come uccidere una persona, non penso che l’uccisione di un feto o di un bambino sia moralmente equivalente con l’uccisione di un essere razionale e autocosciente». Chi rifiuta tale argomentazione per i neonati -perfettamente coerente in un approccio funzionalistico- deve necessariamente rifiutarla anche rispetto a zigote-embrione-feto.

Per rispondere alla eventuale contro-obiezione sull’accusa di biologismo, si può approfondire qui, per la contro-obiezione dei “gemelli monozigoti” invece approfondimento1 e approfondimento2.


 

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3. L’EMBRIONE E’ UNA PERSONA MA “POTENZIALE”.

Esiste anche la variante di coloro che riescono ad accettare l’evidenza scientifica e quella filosofica sulla personalità, ma replicano sostenendo che non si devono confondere le potenziali persone con le persone reali. Il feto sarebbe solo “potenzialmente” una persona e deve crescere per essere una persona reale. Eppure, se il feto è soltanto una persona potenziale, dovrà pur essere un qualcosa di reale al fine di essere una persona potenziale, no? Allora che cosa è? Una cellula? Una scimmia? Un oggetto? No, non esistono “persone potenziali” più di quanto non ci sono “scimmie potenziali”. Un embrione umano diventerà certamente un bambino, così come l’adolescente diventerà certamente un adulto, a meno che la loro vita non venga interrotta prima. Non esistono “persone potenziali” come gli adolescenti non sono “adulti potenziali”.

Tutte le persone sono reali, come tutte le scimmie sono reali. Al massimo possiamo dire che scimmie reali sono potenziali nuotatrici e che persone reali sono potenziali filosofi (un embrione è un potenziale filosofo, questo si!). L’essere è reale, il funzionamento è potenziale, l’obiezione confonde “una persona potenziale” con “una persona potenzialmente funzionante”. Nessuno ha mai pensato alla categoria delle “persone potenziali” prima che sia nata la controversia sull’aborto, ed è molto sospetto che tale categoria sia stata inventata per giustificare l’uccisione di altri esseri umani.


 

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4. NON SI PUO’ IMPORRE ALLA DONNA DI PARTORIRE.

Finite le obiezioni sull’embrione, si passa generalmente l’attenzione verso la donna. Per molti l’obiezione maggiore è che comunque non si possa imporre alla donna di partorire. Ma chi lo ha detto? Il diritto alla vita di un essere umano vale più della libertà di scelta di un altro essere umano, altrimenti l’omicidio sarebbe legale. Oltretutto, tutte le leggi che regolamentano l’aborto impongono già alla donna di partorire: ad esempio in Italia, la Legge 194 vieta l’interruzione di gravidanza dopo «i primi novanta giorni» a meno di circostanze precise, mentre prima si può abortire solo in determinate circostanze: «un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito». Dopo i 90 giorni e prima, in circostanze normali, la Legge 194 obbliga la donna a partorire, così come tutti coloro che difendono questa legge. Anche se poi vengono prodotti certificati medici compiacenti che parlano di rischi fisici e psicologici per spostare di fatto al 6° mese il limite dell’aborto “libero”.

La 194 prende atto, infatti, che dopo i tre mesi non si può più negare al concepito la condizione di essere umano, legittimando l’aborto anche dopo i 90 giorni si dovrebbe di conseguenza modificare anche la legge sull’omicidio. Tuttavia, il paletto dei 90 giorni (che, del resto, cambia da Stato a Stato) è antiscientifico e completamente arbitrario, la scienza come abbiamo visto individua l’esistenza dell’essere umano a partire dal concepimento. Chi sostiene che non si debba imporre alla donna di partorire dovrebbe combattere la legge 194, chiedendone una che liberalizzi totalmente l’aborto, dal momento del concepimento al momento del parto, accettare delle restrizioni significa negare il principio che non si possa obbligare la donna a partorire.

A concepimento avvenuto, il diritto alla vita, alla tutela di una vita che già esiste, è il diritto più importante. A meno che non vi siano problemi per salute della donna realmente gravi e proporzionati al tipo di soluzione (soppressione di un’altra vita) prospettata, per cui entrano in conflitto due interessi simili: allora, può subentrare il diritto della donna all’autotutela, è possibile ricorrere al principio generale dello “stato di necessità” (art. 54 del codice penale), che rende “non punibile” chi commette un reato 1. La Corte Costituzionale, in due storiche sentenze (n.27 del 1975 e la n.35 del 1997), ha sancito che «ha fondamento costituzionale la tutela del concepito, la cui situazione giuridica si colloca (…) tra i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dall’articolo 2 della Costituzione, denominando tale diritto come diritto alla vita (…); sono diritti fondamentali anche quelli relativi alla vita e alla salute della donna gestante; il bilanciamento tra detti diritti fondamentali, quando siano entrambi esposti a pericolo, si trova nella salvaguardia della vita e della salute della madre, dovendosi peraltro operare in modo che sia salvata, quando ciò sia possibile, la vita del feto; al fine di realizzare in modo legittimo questo bilanciamento, è obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che l’aborto venga praticato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire nella gestazione».

Come ha affermato il card. Bergoglio, futuro Papa Francesco, «nei confronti di una donna in stato di gravidanza dobbiamo sempre parlare di due vite, le quali debbono entrambe essere preservate e rispettate, poiché la vita è un valore assoluto. Il diritto alla vita è un diritto umano fondamentale. L’aborto non è mai una soluzione».


 

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5. L’ABORTO E’ IL DIRITTO DELLE DONNE A DECIDERE.

Quasi tutti i sostenitori dell’aborto accettano il responso scientifico, ma poi concludono legittimando l’omicidio, come ha fatto pubblicamente Faye Wattleton, l’ex presidente di Planned Parenthood: «Io penso che ci stiamo illudendo se crediamo che la gente non sappia che l’aborto è un omicidio. Qualsiasi pretesa di dire che l’aborto non uccide è sempre un segno di una nostra ambivalenza. L’aborto uccide il feto, ma il corpo è della donna. E’ lei che decide» (F. Wattleton, “Speaking Frankly” May/June 1997, Volume VII, Number 6, 67).

Sarebbe una libertà della donna. Eppure quando la legge permetteva di decidere sulla vita e sulla morte degli schiavi o della propria moglie o dei propri figli, non esisteva comunque il diritto umano a decidere sulla vita di un’altra persona, anche allora era la negazione del diritto alla vita degli schiavi, delle donne e dei figli. La legge si oppone al principio della presunta “libertà” della persona di fare quel che vuole con la vita (non può guidare senza cinture di sicurezza, né togliersi il casco in motorino ad esempio). Nell’aborto, la questione è poi ampliata, poiché non solo la donna che si sottopone all’intervento aumenta i rischi di peggiorare la sua salute ma priva la vita ad un altro essere umano.

Nessuno ha il diritto di decidere sulla vita di un altro essere umano, anche se oggi l’omicidio è legalizzato tramite la legge sull’aborto: «Ma voi», ha chiesto Papa Francesco, «pensate che oggi non si facciano, i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li proteggono». Non è la legge a determinare cosa è giusto e cosa è sbagliato, decidere di uccidere un altro essere umano è sempre sbagliato e non sarà mai un diritto.


 

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6. SE L’ABORTO FOSSE PROIBITO AUMENTEREBBERO GLI ABORTI CLANDESTINI.

Diverse obiezioni giocano sugli esiti catastrofisti che avverrebbero se l’aborto non fosse liberalizzato, ad esempio si parla sempre dello spauracchio degli aborti clandestini (condito da minacce dei “cucchiai d’oro” e “mammane”). Eppure non esiste alcuna correlazione dimostrata tra aborto illegale e aumento di aborti clandestini. In realtà se una pratica è legalizzata essa aumenta e si diffonde, se è vietata essa diminuisce (si veda la legge sull’obbligo del casco in motorino, ad esempio). In caso contrario, il diritto penale non avrebbe alcun motivo di esistere e si dovrebbero legalizzare riviste e programmi pedopornografici per combattere la pedofilia e la vendita di superalcolici ai minori per evitare l’alcoolismo minorile. Le donne assumono l’aborto come una soluzione ai loro problemi quando esso è legale. Infatti, dall’entrata in vigore della legge 194 la mortalità delle donne in età feconda, non ha avuto alcuna significativa diminuzione statistica improvvisa e, sopratutto, gli aborti clandestini permangono anche oggi, a parecchi anni di distanza dall’introduzione della legge sull’aborto.

Inoltre, nei Paesi in cui è proibito l’aborto o fortemente ristretta la possibilità, come Cile, Irlanda e Polonia, non esiste un alto tasso di aborti clandestini. Dati divulgati nell’aprile 2011 mostrano anche che in Irlanda esiste una decrescita del numero di donne irlandesi che si recano in Gran Bretagna per abortire.

Per quanto riguarda l’Italia, è stato dimostrato che prima dell’entrata in vigore della Legge 194 non esisteva alcuna emergenza di aborti clandestini e tale legge è stata approvata sulla base di dati menzogneri. Recentemente è stato anche dimostrato che il Guttmacher Institute, il braccio di ricerca di Planned Parenthood, ha mentito e appositamente gonfiato proprio i numeri degli aborti clandestini nei Paesi in via di sviluppo al fine di creare una pressione lobbystica verso l’introduzione di leggi a favore dell’interruzione di gravidanza. Il “Washington Post” ha commentato spiegando che il più importante network di cliniche abortiste «a generato per anni numeri gonfiati sugli aborti clandestini nei paesi in via di sviluppo», con lo scopo di «far sembrare che vi fosse una chiara necessità di rendere l’aborto legale per proteggere le donne sottoposte a tutti quegli aborti». Gli aborti clandestini sono uno spauracchio usato negli ultimi 40 anni per legittimare l’aborto legale.


 

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7. LA LEGGE 194 HA DIMINUITO IL NUMERO DI ABORTI.

Questa tesi è legata a quella prima: la Legge 194 non sarebbe servita solo contro gli aborti clandestini (e abbiamo visto che non è così), ma avrebbe anche diminuito il numero di aborti. I cattolici, dunque, dovrebbero essere contenti. Eppure, non solo non esistono fonti che dimostrino tale correlazione, ma è invece dimostrato che la diminuzione del numero di aborto è dovuta ad una serie molteplice di fattori: a) l’ampio accesso alle pillole abortive e del giorno dopo (che in caso di concepimento sono abortive); b) è diminuita la fertilità generale; c) è aumentata la consapevolezza della drammaticità dell’aborto, permessa dal progresso della medicina ed è cresciuta l’attività dei consultori familiari come certificato recentemente dal Ministero della Salute («il ruolo positivo che tali servizi hanno avuto nella riduzione del rischio di aborto tra le italiane. Forse la riduzione del tasso di abortività tra le cittadine straniere osservato recentemente, come riportato nel capitolo sulla cittadinanza, può essere in parte imputabile al lavoro svolto da questi servizi», pag. 31); d) e anche dall’aumento costante del numero di medici obiettori di coscienza (anche questo dato confermato dallo stesso rapporto: «si osserva come l‟esercizio del diritto all’obiezione di coscienza abbia riguardato elevate percentuali di ginecologi fin dall‟inizio dell‟applicazione della Legge 194, con un aumento percentuale del 17.3% in trenta anni, a fronte di un dimezzamento delle IVG nello stesso periodo», pag. 8).

I dati degli Annuari Statici mostrano infine che le interruzioni di gravidanza sono cresciute notevolmente già subito dopo il 1978: 68.000 aborti nel 1978; 187.752 nel 1979; 220.263 nel 1980, 224.377 nel 1981; 234.377 nel 1982. Poi c’è stata una diminuzione del numero ma non è pensabile che sia merito della Legge 194 dato che, proprio tale legge, è stata la causa di un progressivo aumento subito dopo la sua emanazione. Una conferma la abbiamo guardando alla Spagna, dove a seguito di una legge sempre più permissiva, in dieci anni gli aborti sono aumentati del cento per cento.


 

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8. SE L’ABORTO FOSSE PROIBITO PEGGIOREREBBE LA SALUTE MATERNA.

La seconda tesi catastrofista è legata alla prima: l’aborto servirebbe a proteggere la salute materna. Tale affermazione è confutata dal fatto che i Paesi in cui è proibito l’aborto o fortemente ristretta la possibilità (ad esempio Cile e Irlanda) la mortalità femminile per ragioni attinenti alla gravidanza e al parto è decisamente più bassa rispetto ai Paesi in cui l’aborto è legale. Ad esempio nel 2013 sul “Journal of American Physicians and Surgeons”, si sono confrontati i dati sanitari nazionali per un periodo di 40 anni tra l’Irlanda e la Gran Bretagna, rilevando migliori risultati sulla salute materna e sui neonati in Irlanda, dove l’aborto è fortemente ristretto, rispetto alla Gran Bretagna, dove l’aborto è legale dal 1968. Nel 2016 alcuni studi hanno mostrato l’ottima salute materna della Polonia nonostante la forte limitazione dell’aborto.

Anche uno studio condotto studiando le cartelle cliniche di quasi mezzo milione di donne in Danimarca ha mostrato che a fronte di un aborto indotto si registrano tassi di mortalità materna più elevati, mentre i dati relativi al 2005 per l’Irlanda mostrano bassi tassi di mortalità materna. Non è un caso che il 70% dei cittadini approvi il divieto di aborto, consapevole che non c’è alcuna conseguenza sulla salute materna. Infine, un altro studio irlandese, realizzato dal Pensions and Population Research Institute (PAPRI) ha rilevato che «è perché sono bassi i tassi di aborto tra le donne irlandesi che l’Irlanda presenta una bassa incidenza di malattie materno-infantile note per essere legate all’aborto: bambini nati morti, sottopeso nelle nascite singole o multiple, nascite pretermine o premature, paralisi cerebrale e di mortalità materna…». E ancora: «L’Irlanda beneficia anche di bassa incidenza di cancro al seno e relativamente buona salute mentale tra le donne, una bassa incidenza di alcune malattie del sistema immunitario a cui hanno contribuito i bassi tassi di aborto. La liberalizzazione delle leggi sull’aborto in Irlanda può provocare elevati tassi abortivi ed un deterioramento nei confronti di queste condizioni che incidono sulla salute delle donne».

Occorre anche rilevare che il principale motivo per cui si abortisce non è certo per problemi di salute, ma per questioni economiche, facilmente risolvibili con una politica sociale orientata alle famiglie. Nel 2002, infatti, gli aborti ripetuti sono stati il 24,2% del totale, di cui il 17% circa delle donne sono alla seconda esperienza, il 4,7% alla terza, l’1,5% alla quarta, lo 0,8 alla quinta o più. E’ molto difficile credere che in tutti questi casi di aborto ripetuto si possa parlare di “serio pericolo per la salute fisica o psichica” della donna.

E’ proprio l’aborto, invece, una delle cause del peggioramento della salute della donna. E’ stato dimostrato infatti che aumenta il rischio di: mortalità materna, cancro al seno, sindrome depressiva, nascite premature, infezioni all’utero, placenta previa. Il cardinale Carlo Maria Martini ha ricordato: «A partire dal concepimento nasce un essere nuovo. È questo l’essere di cui si tratta, fin dall’inizio, c’è una continuità nell’identità. Ciò che è aperto a un così grande destino, di essere chiamato per nome da Dio stesso, è degno fin dall’inizio di un grande rispetto. Ogni violazione di questa esigenza di affetto e di cura non può essere vissuta che in un conflitto, in una profonda sofferenza, in una dolorosa lacerazione» (“In cosa crede chi non crede”, Liberl 1996, p. 12).


 

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9. SE L’ABORTO FOSSE PROIBITO LA BOMBA DEMOGRAFICA ESPLODEREBBE.

La terza obiezione catastrofista richiama direttamente le teorie di Malthus del 1800. Eppure, come è stato ampiamente dimostrato da studi demografici e da economisti e sociologi, non esiste alcuna bomba demografica, ma, al contrario, esiste un serio problema di inverno demografico a causa dell’invecchiamento della popolazione, che mette a repentaglio la sopravvivenza delle nostre società (in Europa in particolare) ed è la causa della crisi economica che stiamo vivendo. Anche paesi come la Cina hanno smesso di usare l’aborto come mezzo di controllo della popolazione, proprio per questioni legate all’economia.

Un recente studio in Irlanda, realizzato dal Pensions and Population Research Institute (PAPRI) ha concluso: «le leggi restrittive sull’aborto hanno permesso un tasso di natalità, nella Repubblica e nell’Irlanda del Nord, molto più alto rispetto alla media europea, beneficiando di un profilo demografico più giovane e con meno dipendenza in materia di immigrazione rispetto ad altri paesi europei». In ogni caso, anche se fosse vero il problema della crescita della popolazione, la soluzione non potrebbe mai essere, comunque, l’eliminazione della vita umana. Il fine non giustifica i mezzi.


 

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10. L’ABORTO E’ UN DIRITTO RICONOSCIUTO UNIVERSALMENTE.

Nonostante venga ripetuto continuamente è falso. Nessuno strumento di diritto internazionale sui diritti umani riconosce il diritto all’aborto, come spiegato dal ministro della Giustizia spagnolo, Alberto Ruiz Gallardón («nessuna legge internazionale include l’aborto come un diritto»). In Italia la legge n.194/78, si intitola “tutela sociale della maternità” (e non “tutela dello sforzo di evitare la maternità”…). L’articolo 1 spiega che lo Stato “tutela la vita umana fin dal suo inizio”, e che l’aborto “non è mezzo per il controllo delle nascite”. L’art. 2 prevede: superamento delle cause che potrebbero indurre all’interruzione di gravidanza, come il volontariato a servizio della maternità. L’art. 5 richiede a medici e consultori l’aiuto a rimuovere le cause di aborto e la promozione di interventi atti a sostenere la donna in direzione della prosecuzione della gravidanza. L’art. 7 prevede l’adozione di misure idonee a salvaguardare la vita del feto.

La legge non tutela un inesistente diritto di abortire, è chi sostiene l’aborto che fa di tutto per stravolgerla, per disapplicarne le parti relative alla prevenzione. Importante il riconoscimento di Vladimiro Zagrebelsky, magistrato ed ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo: «la Corte europea ha affermato che, in materia così delicata, legata come è a valutazioni di natura etica, gli Stati hanno un margine di apprezzamento nazionale che giustifica l’adozione di soluzioni diverse. Essa non ha mai affermato che esista un “diritto all’aborto”, anzi ha negato che possa pretendersi una pura e semplice libertà di scelta da parte della donna. Nemmeno la legge italiana prevede un “diritto all’aborto”, essa regola la difficile, drammatica contrapposizione tra la prosecuzione della gravidanza e la tutela della madre». Il giudice della Corte suprema americana, Antonin Scalia, ha dichiarato che l’aborto non è un diritto riconosciuto dalla Costituzione degli Stati Uniti: «Volete il diritto all’aborto? Non c’è nulla a tal proposito nella Costituzione Usa. Se si attribuisce a certe parti della Costituzione un significato mutevole in modo che esse assumano quello che la società attuale pensa che debbano avere, non ci sono affatto limitazioni per la stessa società»

Anche Cesare Mirabelli, già Presidente della Corte costituzionale, ha spiegato che «la Corte costituzionale ha sempre affermato che non esiste alcun diritto all’aborto e che vanno tutelati anche i diritti dell’embrione e non solo quelli della madre». D’altra parte, anche tutti i pronunciamenti del Tribunale europeo vanno in questa direzione. Proprio il Parlamento europeo ha respinto in via definitiva nel 2013 il rapporto Estrela su “Salute e diritti sessuali e riproduttivi”, che avrebbe sponsorizzato l’aborto come diritto umano.

Papa Francesco ha spiegato: «mentre si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte anche presunti diritti, non sempre si tutela la vita come valore primario e diritto primordiale di ogni uomo. Il fine ultimo dell’agire medico rimane sempre la difesa e la promozione della vita». Benedetto XVI ha detto: «L’aborto non è un diritto umano. Il diritto alla vita è il diritto umano fondamentale, il presupposto per tutti gli altri diritti e l’aborto è una ferita sociale»


 

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11. LA NORMALIZZAZIONE DELL’ABORTO E’ INARRESTABILE.

Tanti, avendo pochi argomenti a loro sostegno, puntano sullo scoraggiare i propri interlocutori accusandoli di essere retrogradi e facendogli notare che i loro sforzi sono vani poiché la normalizzazione dell’aborto è inarrestabile e non si potrà mai più tornare indietro. Anche questo è falso, l’aborto è giudicato un’eccezione (mai un diritto) in tutte le legislazioni europee ed ovunque è oggetto di un dibattito pubblico molto acceso. Ogni anno aumentano le leggi restrittive in tutto il mondo tanto che nel 2013 il prof. Karen O’Connor, docente di Scienze politiche alla “American University” ha sostenuto che la legge americana Roe vs Wade che legalizza l’aborto «sta per essere ribaltata», probabilmente entro il 2015. Alcuni quotidiani si lamentano perché in due anni (2011 e 2012) sono state approvate 135 leggi anti-aborto, perché è ormai sempre più difficile abortire e ci sono ormai troppi blocchi. Altri hanno fatto notare che 205 restrizioni sull’aborto sono state approvate negli anni scorsi, più delle 189 emanate nel corso del decennio precedente.

Sempre nel 2013, Planned Parenthood, la più potente ONG dedicata alla diffusione dell’aborto, ha dovuto chiudere 23 cliniche, mentre 54 fornitori di aborto in 27 stati hanno chiuso o interrotto i loro servizi recentemente. Tutto questo nonostante un presidente fortemente favorevole all’aborto come Barack Obama. Anche quasi tutti i paesi dell’ex blocco comunista continuano ad approvare leggi sempre più restrittive, dal 2013 ad esempio in Russia è vietato perfino pubblicizzare l’interruzione di gravidanza. Lo stesso nell’America Latina e in tutti i Paesi che in futuro probabilmente colonizzeranno l’Europa. Anche la resistenza dei cittadini è in crescita, lo dicono i sondaggi, in particolare sono le nuove generazioni a non considerarla più una scelta morale. Nel maggio 2012, ad esempio, la società d’indagine Gallup ha rilevato che coloro che si definiscono “pro-choice” sono calati al 41%, mentre i pro-life americani sono saliti al 50%.


 

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12. L’ABORTO E’ UNA CONQUISTA FEMMINISTA A CUI NON POSSIAMO RINUNCIARE.

E’ falso ed è proprio l’opposto: l’aborto è la garanzia ultima dell’irresponsabilità sessuale del maschio: con l’aborto l’uomo è portato ad ignorare le conseguenze dell’attività sessuale, confidando nella possibilità di abortire (e scaricando sulla donna il peso morale, psicologico e sociale di questa decisione). Da quando l’aborto è stato legalizzato quasi ogni mese sui quotidiani compaiono storie di donne costrette ad ogni tipo di pressione per farle abortire. Ecco alcuni esempi: giugno 2013; settembre 2013; novembre 2013.

Dobbiamo, invece, rinunciare all’aborto perché dobbiamo rinunciare alla “cultura dello scarto”, lo ha spiegato Papa Francesco, opponendosi ad una «una diffusa mentalità dell’utile, la “cultura dello scarto”, che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli. La nostra risposta a questa mentalità è un “sì” deciso e senza tentennamenti alla vita».


 

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13. LA LEGGE SULL’ABORTO NON OBBLIGA AD ABORTIRE CHI E’ CONTRARIO.

Chi non vuole abortire non è obbligato a farlo, viene sostenuto, spiegando che non ci sarebbero conseguenze per chi è in disaccordo. Se fosse vero non si capirebbe l’opposizione alla poligamia o alla pena di morte. In ogni caso, da Platone in poi, chiunque dovrebbe sapere che ogni legge ha una funzione pedagogica, ogni scelta giuridica ha un impatto sociale e modifica la società in cui i cittadini vivono.

Inoltre le conseguenze sociali sono tante: a) la legge sull’aborto permette l’esistenza di una pressione psicologica sulle donne, molte delle quali non abortirebbero se l’aborto non fosse legale e concepito come la soluzione di tutti i loro problemi (due ricercatori dell’Università di Trento, Erminio Guis e Donatella Cavanna hanno scoperto che il 32 per cento delle donne che hanno abortito non l’avrebbe fatto se non ci fosse stata la legge 194 a permetterlo, cfr “Maternità negata”, Milano 1988). b) La legalizzazione dell’aborto ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico la violenza su un essere umano come soluzione legittima per risolvere i problemi. c) L’aborto legale significa che lo Stato non protegge la vita di un gruppo di esseri umani, i nascituri. Ha degradato l’impegno umanistico dello Stato, della società nel suo complesso e la legge. Tutto questo ha conseguenze negative per tutti i cittadini, favorevoli e contrari all’aborto.

Il card. Bergoglio, futuro Papa Francesco, ha spiegato: la «decisione amministrativa che amplia le ipotesi di depenalizzazione dell’aborto, comporta conseguenze di natura giuridica, culturale ed etica, poiché le leggi improntano la cultura di un popolo, e una legislazione che non protegge la vita favorisce una cultura di morte. Di fronte a questa deprecabile decisione lanciamo un appello a tutte le parti coinvolte, ai fedeli e ai cittadini, affinché, in un clima di massimo rispetto, vengano adottati mezzi positivi di promozione e protezione della madre e del suo bambino in tutti i casi, a favore sempre del diritto alla vita umana».


 

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14. L’OPPOSIZIONE ALL’ABORTO E’ UN’OPINIONE RELIGIOSA.

Per molti torna utile identificare gli oppositori all’aborto con i cattolici e i credenti, i quali si baserebbero su principi religiosi, come la sacralità della vita, ai quali una società laica non è tenuta ad aderire. Eppure è il laicissimo Giuramento d’Ippocrate a proclamare: «Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo» e nella sua versione moderna: «non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona». Ippocrate non era cattolico, tanto meno lo sono le migliaia di agnostici e non credenti contrari all’aborto (citiamo Pasolini, Montanelli, Ferrara, Pera ecc.) e le associazioni anti-abortiste formate da non credenti come la “Secular Pro Life”. Il “papa laico” Norberto Bobbio, ad esempio, ha detto nel 1981: «Dice Stuart Mill: “Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l’individuo è sovrano”. Adesso le femministe dicono: “Il corpo è mio e lo gestisco io”. Sembrerebbe una perfetta applicazione di questo principio. Io, invece, dico che è aberrante farvi rientrare l’aborto. L’individuo è uno, singolo. Nel caso dell’aborto c’è un “altro” nel corpo della donna. Il suicidio dispone della sua singola vita. Con l’aborto dispone di una vita altrui. Quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido, in senso assoluto, come un imperativo categorico, il “non uccidere”? E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere».

Inoltre, se legalizzassimo tutto quello che vieta la Chiesa perché altrimenti sarebbe ingerenza e violazione della laicità, allora dovremmo legalizzare l’omicidio, lo stupro, la rapina ecc. Non sembra, dunque, un argomento molto serio. L’opposizione all’aborto è un tema laico, lo ha spiegato Papa Francesco: «non per un discorso di fede – no, no – ma di ragione, per un discorso di scienza! Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non esiste una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra. La credibilità di un sistema sanitario non si misura solo per l’efficienza, ma soprattutto per l’attenzione e l’amore verso le persone, la cui vita sempre è sacra e inviolabile». Per questo, «la Chiesa fa appello alle coscienze, alle coscienze di tutti i professionisti e i volontari della sanità, in maniera particolare di voi ginecologi, chiamati a collaborare alla nascita di nuove vite umane».


 

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15. LA CHIESA PREFERISCE LA VITA DELL’EMBRIONE A QUELLA DELLA MADRE.

Uno dei tentativi finali è quello di mettere sulla difensiva i cattolici e la Chiesa, accusandoli di concentrarsi solo sull’embrione e non sulla madre. E’ ovviamente falso, padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia morale alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale ha spiegato: «Esistono situazioni gravi che ancor oggi danno problemi assistenziali come, per esempio, la gravidanza extrauterina, la preeclampsia gravidica e la corioamnionite. In questi casi il medico deve svolgere la sua missione di prendersi cura di ogni vita, di quella della madre e di quella del figlio, senza discriminazioni di valore: non si può sopprimere direttamente una vita innocente per salvarne un’altra». Nei casi in cui non è possibile salvare la vita del figlio «ci si preoccuperà doverosamente di salvare almeno la vita della madre». Questo però «dipende dalla concretezza della situazione clinica e non certo da una scelta che privilegia una vita rispetto ad un’altra».

Nel 2012 un Comunicato dei vescovi d’Irlanda ha ricordato che la Chiesa cattolica «non ha mai insegnato che la vita di un bambino nel grembo materno debba essere preferita a quella della madre. In virtù della comune umanità una madre e il suo bambino non ancora nato sono entrambi sacri e con eguale diritto a vivere». Nel testo si puntualizza, altresì, che «quando una donna in stato di gravidanza gravemente malata ha bisogno di cure mediche che possano mettere a rischio la vita del proprio bambino» tali trattamenti «sono eticamente ammissibili se ogni tentativo è stato fatto per salvare la vita di entrambi».

Il card. Bergoglio, futuro Papa Francesco, ha spiegato che «occorre ascolto, vicinanza e comprensione da parte nostra per salvare tutte e due le vite» e perché «vengano adottati mezzi positivi di promozione e protezione della madre e del suo bambino in tutti i casi, a favore sempre del diritto alla vita umana».

Occorre ricordare che nessuno definisce queste donne delle assassine (come vorrebbe qualche volgare semplificazione). Nel determinare la gravità di un comportamento contano anche molti fattori soggettivi: le pressioni psicologiche subite, l’ansia, la paura, il grado di consapevolezza (che può essere fortemente ridotta in un contesto culturale che si sforza di sminuire la gravità del gesto). Benché non si possa escludere, purtroppo, che esistano casi di colpevole superficialità di alcune donne, soprattutto quando ricorrono all’aborto più volte. Molto maggiori, in ogni caso, sono le responsabilità di coloro che abbandonano la madre in quei frangenti, o addirittura la incoraggiano a cercare quel tipo di ‘scorciatoia’.


 

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16. CHI E’ CONTRO L’ABORTO DOVREBBE IMPEGNARSI NELLA CONTRACCEZIONE

Questa obiezione appare efficace e in linea di principio può anche essere vera. La Chiesa cattolica, infatti, non ha mai chiesto l’astinenza completa e non ha mai guardato al sesso soltanto a fini procreativi. «Il pensiero cattolico è sovente equivocato, come se la Chiesa sostenesse un’ideologia della fecondità ad oltranza, spingendo i coniugi a procreare senza alcun discernimento e alcuna progettualità. Ma basta un’attenta lettura dei pronunciamenti del Magistero per constatare che non è così», ha spiegato Giovanni Paolo II. La Chiesa, infatti, insegna ed approva i Metodi naturali per la regolazione della fertilità. Le donne, ad esempio attraverso strumenti scientificamente validi come il “Billings Ovulation Method”; possono scegliere il loro comportamento sessuale. I cattolici, dunque, si impegnano già nel sostenere una maggior responsabilità nei confronti della sessualità.

Tuttavia occorre stare bene attenti a non confondere i metodi naturali con la contraccezione. I primi non sono metodi contraccettivi perché, come spiegato, permettono un’apertura all’accoglienza di un eventuale nascituro e, usando dei periodi infecondi, si fruisce di un’indicazione data dalla natura (da Dio stesso), senza frapporre una barriera. Lo stesso Giovanni Paolo II ha spiegato che tra contraccezione e metodi naturali c’è «una differenza assai più vasta e profonda di quanto abitualmente non si pensi e che coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili». Ed è solo con il ricorso ai metodi naturali che «la sessualità viene rispettata e promossa nella sua dimensione veramente e pienamente umana, non mai invece “usata” come un “oggetto” che, dissolvendo l’unità personale di anima e corpo, colpisce la stessa creazione di Dio nell’intreccio più intimo tra natura e persona» (“Familiaris consortio” n. 32 EV VII, 1624).

Infine, occorre rispondere all’obiezione anche ricordando che l’uso di contraccettivi non diminuisce affatto il numero di aborti, anzi in parecchi casi lo aumenta. Lo hanno mostrato, ad esempio, i dati diffusi nel 2013 dal Ministero della Salute della Spagna: il 43% (contro il 32%) delle 119mila donne che hanno abortito nel 2011, avevano usato un metodo contraccettivo. Secondo alcuni studiosi, la causa è molto probabilmente quella riscontrata in tanti altri studi, ovvero che un’ampia offerta di contraccettivi porta facilmente ad assumere il modello comportamentale conosciuto come “rational choice model”, ovvero la convenienza verso una vita sessuale liberata dalla paura della gravidanza. E’ quello che Edward C. Green, direttore dell’AIDS Prevention Research Project al centro Harvard per gli Studi su Popolazione Sviluppo definisce “compensazione di rischio” parlando dell’HIV: «C’è un’associazione costante, dimostrata dai nostri migliori studi, inclusi i “Demographic Health Surveys” finanziati dagli Stati Uniti, fra una maggior disponibilità e uso dei condoms e tassi di infezioni HIV più alti, non più bassi. Questo può essere dovuto in parte a un fenomeno conosciuto come “compensazione di rischio”, che significa che quando si usa una “tecnologia” a riduzione di rischio come i condoms, spesso si perde il beneficio (riduzione di rischio) “compensando” o prendendo chances maggiori di quelle che uno prenderebbe senza la tecnologia di riduzione del rischio».


 

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17. SONO CONTRO L’ABORTO MA FAVOREVOLE ALLA SUA LEGALIZZAZIONE

Una delle prime cose che sorprende dei promotori dell’interruzione di gravidanza è che essi sono in realtà contrari ad essa. Non la praticherebbero mai, definendosi tuttavia favorevoli alla cosiddetta “libertà di scelta”. L’aborto è una cosa “brutta”, “sbagliata”, ma ognuno deve essere libero di fare i propri sbagli, dicono.  Eppure l’aborto non è un fatto di coscienza e non è una questione di libertà, come abbiamo già risposto al punto 5), chi assume questa posizione si contraddice: perché si è contrari all’aborto? Non certo perché si considera l’embrione un grumo di cellule, altrimenti cosa ci sarebbe di moralmente riprovevole?

L’aborto non riguarda solo la singola coscienza della donna, poiché esso minaccia un diritto altrui, il diritto alla vita di un altro essere umano. L’unico motivo per essere contrari all’aborto è perché si accetta che l’embrione e il feto sono esseri umani. Ma se si è favorevoli alla sua legalizzazione allora si è favorevoli all’omicidio e chi è favorevole all’omicidio dev’essere definito omicida (da homo-uomo e cidium-uccisione), oppure sostenitore di omicidi. Ognuno faccia i conti con la propria coscienza, un giorno sarà chiamato a rendere conto.

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Adozioni omosessuali, la scienza dice no: elenco degli studi

omogenitorialità Adozioni gay, cosa dice la letteratura scientifica? In questo dossier gran parte degli studi più autorevoli, per offrire una panoramica spesso nascosta sui grandi media.

 
 
 

Nel gennaio 2013 la Prima sezione civile della Cassazione ha sostenuto che si tratta di un «mero pregiudizio» affermare che sia «dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale», in quanto «non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza». In molti hanno visto in tale dichiarazione la prima apertura in Italia all’adozione da parte di persone dello stesso sesso.

Vengono così liquidati come “pregiudizio” una consistente mole di dati scientifici prodotti fino a oggi, contrari alla loro posizione.

In questo dossier, in continuo aggiornamento, elenchiamo in ordine cronologico la letteratura scientifica e autorevoli pronunciamenti su questa tematica, i quali mostrano che la difesa della famiglia naturale si basa su un “giudizio” certamente morale, ma anche fondato su basi medico-scientifiche.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 

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1) ADOZIONI GAY, SITUAZIONE GENERALE DELLA RICERCA

Le principali associazioni scientifiche mondiali hanno assunto una posizione favorevole o neutrale circa l’adozione da parte di figli da parte di coppie omosessuali.

Tuttavia, almeno per quanto riguarda la più influente, l’American Psychological Association (APA), alcuni ex presidenti hanno affermato che tale posizione è tutt’altro che basata su evidenze empiriche.

«L’APA», ha spiegato ad esempio, Nicholas Cummings, ex presidente APA, professore emerito di Psicologia presso l’Università del Nevada, «ha permesso che la correttezza politica trionfasse sulla scienza, sulla conoscenza clinica e sull’integrità professionale. Le persone non possono più fidarsi della psicologia organizzata per parlare di prove, piuttosto ci si deve basare per quel che riguarda l’essere politicamente corretti. Al momento la governance dell’APA è investita da un gruppo elitario di 200 psicologi che si scambiano le varie sedi, commissioni, comitati, e il Consiglio dei Rappresentanti».

Vale la pena ricordare, inoltre, che la principale ricercatrice dell’APAn che si occupa dei pronunciamenti ufficiali circa l’omosessualità, è Charlotte Patterson, lesbica, convivente e attivista LGBT.

Nonostante queste prese di posizione “politicamente corrette”, numerosi studiosi continuano a sottolineare come la vulgata della “no differences” (“nessuna differenza”) tra figli di coppie omosessuali ed eterosessuali, sia fondata su basi empiriche inesistenti o deboli, al contrario della stabilità di evidenze scientifiche che mostrano come il luogo ideale per la crescita di un bambino sia la famiglia formata da madre e padre biologici, meglio se sposati.

In particolare, è stato fatto notare che:

a) In diversi studi i campioni di soggetti esaminati non sono adeguatamente selezionati e randomizzati, ad esempio quelli in cui il campione di analisi si propone in modo volontario;
b) In molti studi il ridotto numero di figli di omosessuali esaminati non è rappresentativo (quasi sempre sotto le 40 unità);
c) Vi sono importanti difficoltà di ricerca a causa del numero ridotto del fenomeno e della sua dispersione geografica;
d) la quasi totalità degli studi “neutrali” riguarda “famiglie” omosessuali femminili, dove il figlio è cresciuto inizialmente in una normale famiglia eterosessuale; e) Gli studi ad intervista risultano in genere poco affidabili in quanto osservazioni qualitative-soggettive possono raccogliere alterazioni derivanti da desiderabilità sociale;
f) una nuova elaborazione dei dati raccolti da alcuni dei primi studi porta a risultati diversi, e non è possibile distinguere se si tratti di errori statistici o di alterazioni volontarie dei ricercatori.

E’ condivisibile la constatazione di Walter R. Schumm (Kansas State University) circa l’esistenza di un bias pro-omosessuale nella gran parte delle ricerche al riguardo.

 

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2) ADOZIONI GAY, ECCO GLI STUDI SCIENTIFICI

 

  • Nel novembre 2016 i ricercatori dell’università di Oxford hanno rilevato la fondamentale e insostituibile importanza della figura paterna, sopratutto nei primi anni di vita. In particolare è stato positivamente associato allo sviluppo emotivo e ai comportamentali positivi nei bambini.

 

  • Nel settembre 2016 il prof. Walter Schumm, docente presso la Kansas State University ha pubblicato lo studio intitolato A Review and Critique of Research on Same-Sex Parenting and Adoption. In esso ha documentato come la maggior parte degli studi a favore dell’omogenitorialità sono imperfetti, non conclusivi, basati su piccola scala e quasi tutti condotti su coppie istruite e benestanti. E molte questioni preoccupanti, inoltre, non raggiungono mai i media. Ad esempio, l’instabilità del rapporto sembra essere più elevato tra coppie di genitori gay e lesbiche e potrebbe essere un fattore di influenza negativo per i bambini, inoltre è stato osservato che la maggior parte dei ricercatori ritiene che molte, se non la maggior parte, coppie gay e lesbiche non sono monogami e questo è un altro fattore negativo per la salute dei bambini.

 

  • Nell’aprile 2016 la Pediatric Academic Societies (PAS), schierata politicamente a favore dell’omogenitorialità, ha presentato uno studio con il quale vorrebbe giustificare la sua posizione sulla tematica. Il campione utilizzato sono 732 padri gay contattati tramite un sondaggio online, i quali hanno risposto sul rendimento scolastico, l’autostima e le relazioni tra pari dei loro figli. Le risposte date sono state più che prevedibili: l’88% ha detto che “non era vero” che il loro bambino è infelice o depresso e così via. Lo studio è stato presentato sotto al titolo: “I figli di padri gay sono ben adattati”. Un esempio perfetto di come vengano realizzate le ricerche a favore dell’omogenitorialità: campione irrilevante, sondaggi online e risposte dei genitori rispetto a cosa pensano dei loro figli.

 

  • Nell’agosto 2015 sul British Journal of Education, Society & Behavioural Science sono stati riesaminati 3 precedenti studi pubblicati tra il 2004 il 2008 dal Dr Jennifer Wainright e dalla Dr.ssa Charlotte Patterson, forse tra i più citati a sostegno della genitorialità omosessuale in quanto hanno utilizzato per la prima volta un campione rappresentativo, concludendo che i bambini che crescono con genitori dello stesso sesso non hanno svantaggi rispetto a quelli che crescono con genitori di sesso opposto. La revisione dei dati ha tuttavia rilevato che dei 44 casi di coppie lesbiche che costituivano il campione, ben 27 erano in realtà genitori eterosessuali male identificati (un errore presente nell’Add Health survey consultato dai due autori), cioè erano bambini che vivevano con una madre e un padre. Dopo la correzione dell’errore fatale, la ri-analisi del campione ha rivelato che gli adolescenti cresciuti con genitori dello stesso sesso sperimentano una significativamente minor esperienza di autonomia e livelli maggiori di ansia rispetto ai bambini con genitori di sesso opposto. Analizzando i dati del campione di adolescenti cresciuti con famiglie omosessuali è emerso inoltre che se i due genitori dello stesso sesso erano sposati, i bambini mostrano sintomi ben maggiori di crisi di depressione, di pianto e attacchi di panico rispetto a quelli cresciuti con genitori non sposati.

 

  • Il 25 gennaio 2015 sul British Journal of Education, Società & Behavioral Science è stato pubblicato uno studio intitolato “Emotional Problems among Children with Same-Sex Parents: Difference by Definition”. Come abbiamo mostrato anche su UCCR, basandosi su un campione più ampio rispetto a quelli di qualsiasi altro precedente studio è stato mostrato che vi sono «problemi emotivi maggiori per i bambini con genitori dello stesso sesso rispetto a quelli con genitori di sesso opposto addirittura con una incidenza più che doppia». Ovviamente lo studio ha ricevuto alcune critiche dal mondo Lgbt, alle quali è stato però ottimamente risposto.

 

  • Il 21 gennaio 2015 sul British Journal of Medicine & Medical Research è stato pubblicato lo studio intitolato “Child Attention-Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD) in Same-Sex Parent Families in the United States: Prevalence and Comorbidities” in cui si è rivelato che i bambini cresciuto con genitori dello stesso sesso negli Stati Uniti hanno avuto più del doppio della probabilità di soffrire della Sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) rispetto ai bambini cresciuti con genitori di sesso opposto. In molti casi la causa è dovuta a forme di bullismo e discriminazione.

 

  • Il 10 gennaio 2015 sul “Journal of Scientific Research & Reports” è stato pubblicato lo studio “Bias in Recruited Sample Research on Children with Same-Sex Parents Using the Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ)” il quale ha mostrato un bias (“pregiudizio”) a sottovalutare le difficoltà psicologiche dei bambini cresciuti con coppie omosessuali negli studi che si avvalgono di campioni di popolazione reclutati. Per questo «gli studi non dovrebbero basarsi sui campioni reclutati, ma rigorosamente casuali. Allo stesso modo le riviste scientifiche o accademiche dovrebbero astenersi dal pubblicare studi basati su campioni di popolazione reclutati e non anonimi». Infatti, gli studi basati su campioni casuali hanno mostrato maggiori problemi emotivi tra questi bambini, più il campione era grande e più le differenze erano statisticamente significative.

 

  • Nel dicembre 2013 Richard E. Redding, vice cancelliere dell’istruzione universitaria e docente di Diritto e Psicologia presso la Chapman University, ha ricordato il noto “caso Regnerus” (il sociologo aggredito mediaticamente per aver realizzato uno studio i cui risultati rilevavano maggiori problemi per i bambini cresciuti da genitori omosessuali), affermando che «la scienza, in particolare le scienze sociali, sono spesso politicizzate. La controversia Regnerus dimostra che il punto di vista socio-politico degli scienziati influenza spesso il tipo di scienza che viene condotta su questioni di rilevanza politica, influenza l’interpretazione dei risultati e il grado di analisi critica che questi studi ricevono». E’ noto che nelle scienze sociali il rapporto tra liberali e conservatori è da 8:1 a 30:1 e questa «omogeneità di vedute socio-politiche porta quasi sempre ad un “pensiero di gruppo”, un fenomeno che si verifica quando i membri del gruppo hanno sfondi relativamente omogenei o viste ideologiche simili».

 

  • Nel dicembre 2013 i ricercatori del McGill University Health Centre hanno pubblicato sulla rivista “Cerebral Cortex” uno studio nel quale rilevano come l’assenza del padre durante la crescita porti i bambini ad aumentato rischio di comportamenti devianti riscontrabili nella fase adulta. Hanno concluso gli autori: questi studi «dovrebbero indurre i ricercatori a guardare più profondamente nel ruolo dei padri durante le fasi critiche della crescita e suggeriscono che entrambi i genitori sono importanti nello sviluppo della salute mentale dei bambini».

 

  • Nel dicembre 2013 Douglas W. Allen, docente di Economia alla Simon Fraser University, ha pubblicato sulla rivista accademica peer review “Review of Economics of the Household” dopo aver confrontato su larga scala la genitorialità omosessuale, le famiglie monoparentali e genitori non sposati di sesso opposto basandosi sui dati del censimento canadese del 2006. I dati raccolti hanno mostrato che i bambini cresciuti da coppie gay e lesbiche hanno avuto solo il 65% di probabilità di ottenere il diploma delle scuola superiore rispetto ai bambini cresciuti in famiglie naturali con due genitori di sesso complementare, ovviamente confrontati per reddito e istruzione dei genitori simile. I figli di coppie dello stesso sesso hanno avuto anche tassi di diploma più bassi rispetto ai figli di genitori single.

 

  • Nel giugno 2013 i risultati dello studio “The Australian Study of Child Health in Same-Sex Families” condotto dall’università di Melbourne e realizzato tramite questionari online, hanno sostenuto che i bambini che crescono nelle same-sex families (famiglie omosessuali) avrebbero uno sviluppo normale e punteggi più alti dei coetanei in tema di benessere e coesione familiare per via delle discriminazioni cui sono sottoposti. E’ stata mediaticamente presentata come la “più ampia ricerca al mondo” sul tema, anche se basata su 500 soggetti. In realtà, è stato osservato, la ricerca è viziata dall’errore presente in quasi tutti gli studi che affermano la “normalità” dei bambini cresciuti con coppie dello stesso sesso: il campione non è casuale, ma reclutato attraverso annunci, pubblicità, elenchi di indirizzi mail della comunità gay (campionamento di convenienza e non probabilistico). Inoltre lo studio, il cui autore è il dottor Crouch, omosessuale militante, non chiarisce se si tratta di figli coi genitori sposati, conviventi, separati o single. La situazione economica di oltre 400 bambini su 500 è fuori dal comune, fra i 60.000 ed i 250.000 dollari, così come i titoli di studio dei genitori gay reclutati sono risultati mediamente superiori a quelli degli altri di confronto. Lo studioso Walter R. Schumm della Kansas State University, ha invece sottolineato che la rivista su cui è stata pubblicata la ricerca non è peer-review e quindi non ha la necessaria credibilità scientifica, inoltre l’età dei bambini è inferiore ai 10 anni quindi le risposte probabilmente sono state compilate dai genitori che, si sa, vogliono pensare sempre il meglio per i figli. Anche Mark Regnerus, della University of Texas, ha rilevato difetti evidenti nella metodologia della ricerca. Critiche sono arrivate anche da studiosi italiani (qui)

 

  • Nel maggio 2013 la rivista “Early Children Develop­ment and Care” ha dedicato sette articoli alla figura del padre e del suo contributo allo sviluppo mentale del bam­bino. Viene confermato che padre e madre so­no ugualmente importanti per il figlio ed insostituibili poiché ognuno ha un suo ruolo indispensabile per l’equilibrio psicofisico del bambino. Nell’edi­toriale si ricorda che i figli di genitori con ruoli madre-padre differenziati «hanno capacità sociali più sviluppate e sono più pronti alla competizione» rispetto ai figli di genitori con ruoli non differenti. Inoltre, viene affermato, «i padri sembrano giocare un ruo­lo maggiore nel processo di apertura dei figli al mondo esterno che è legato allo sviluppo dell’autonomia e alla ca­pacità di affrontare i rischi». Invece, «le madri attribuiscono maggior valore al lavoro in casa, al supporto e­motivo per i figli e all’educazione ses­suale».

 

  • Nel novembre 2012 uno studio pubblicato su Demography ha mostrato forti limitazioni nell’interpretazione di uno studio precedente (Rosenfeld 2010) e utilizzando lo stesso insieme di dati di tale indagine, si è verificato che rispetto a quanto accade nelle tradizionali famiglie sposate, i bambini allevati da coppie dello stesso sesso presentano il 35% in meno di probabilità di progredire attraverso un percorso scolastico normale. Ha inoltre rilevato che «quasi nessuna delle ricerche che utilizzano campioni rappresentativi a livello nazionale ha incluso genitori dello stesso sesso come parte dell’analisi»

 

  • Nell’agosto 2012 uno studio pubblicato su Child Development ha mostrato la fondamentale importanza della figura paterna nello sviluppo dell’adolescente, evidenziando il fatto che più tempo trascorre con il padre e maggiore sarà l’autostima del ragazzo, e migliori saranno le sue abilità sociali.

 

  • Nel luglio 2012, sulla rivista Social Science Research il prof. Loren Marks della Louisiana State University ha mostrato l’infondatezza della posizione “possibilista” dell’American Psychological Association (APA), secondo la quale i figli di genitori gay o lesbiche non sarebbero svantaggiati rispetto a quelli di coppie eteorsessuali. Lo scienziato ha analizzato i 59 studi citati dall’APA per sostenere la propria tesi, dimostrandone l’inaffidabilità dal punto di vista scientifico e attestando notevoli differenze sussistenti tra figli adottati da coppie gay conviventi e figli naturali di coppie eterosessuali

 

  • Sempre nel luglio 2012 il sociologo Mark Regnerus dell’Università del Texas, basandosi sul più grande campione rappresentativo casuale a livello nazionale, ha pubblicato uno studio su Social Science Research con il quale, interrogando direttamente i “figli” (ormai cresciuti) di genitori omosessuali, ha dimostrato un significativo aumento di problematiche psico-fisiche rispetto ai figli di coppie eterosessuali. Lo studio ha ricevuto numerose critiche su alcuni quotidiani internazionali da parte di alcune fazioni di parte (come associazioni gay, militanti e anche scienziati ecc.) ma avendo superato la revisione anonima in peer-review lo studio può essere confutato soltanto attraverso una pubblicazione a sua volta pubblicata su una rivista scientifica di pari livello. Dall’altra parte l’indagine ha trovato il sostegno di un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari attraverso un comunicato pubblicato sul sito della Baylor University. In ogni caso, l’Università del Texas ha comunque avviato un’indagine interna per analizzare nuovamente lo studio di Regnerus, pubblicando un comunicato finale con il quale si rileva che «nessuna indagine formale può essere giustificata sulle accuse di cattiva condotta scientifica», dato che «non ci sono prove sufficienti per giustificare un’inchiesta». L’indagine interna ha riconosciuto la legittimità del lavoro e la fedeltà al protocollo seguita dalla metodologia utilizzata. Occorre infine ricordare che, come accade in tutti gli studi scientifici, anche in quello di Regnerus esistono delle imprecisioni e lo stesso sociologo lo ha tranquillamente ammesso. Tuttavia questa ammissione è stata divulgata come un riconoscimento da parte dello studioso dell’inattendibilità del suo lavoro, ma in realtà egli ha semplicemente affermato (il link originale non è più rintracciabile, qui un sito Lgbt riprende le sue parole, seppur strumentalizzandole): «Io ho parlato di “madri lesbiche” e “padri gay”, quando in realtà, non conoscevo il loro orientamento sessuale, conoscevo solo il loro comportamento di relazione omosessuale. Ma per quanto riguarda gli stessi risultati, io li confermo». L’importanza e la diffusione di questo studio nel campo scientifico è stata mostrata nelle dichiarazioni di Pietro Zocconali, presidente dell’Associazione Nazionale Sociologi (ANS) e di Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio per i Diritti dei minori e consulente della Commissione parlamentare per l’Infanzia, i quali hanno entrambi fatto riferimento a tale indagine. Nel dicembre 2016 sul New York Post, Naomi Schaefer Riley è tornata sull’argomento scrivendo: «Regnerus è stato oggetto di aspre critiche per le sue scoperte in un articolo 2012 sugli effetti della genitorialità omosessuale sui bambini. Nonostante le richieste di correzione, l’Università del Texas non ha trovato irregolarità. I critici sono rimasti in disaccordo con la sua metodologia, ma non c’era alcun mistero su come è arrivato alle sue conclusioni».

 

  • Ancora nel luglio 2012 Daniel Potter dell’American Institutes for Research ha pubblicato sul Journal of Marriage and Family uno studio con il quale si è concentrato sui bambini cresciuti all’interno di relazioni dello stesso sesso, paragonandoli a quelli cresciuti con genitori di sesso opposto. Ha sottolineato come la ricerca mostri chiaramente che «i bambini cresciuti in famiglie tradizionali (vale a dire, con i due genitori biologici sposati) tendono a fare meglio dei loro coetanei cresciuti in famiglie non tradizionali».

 

  • Nel marzo 2012 l’American College of Pediatricians ha preso posizione su questa tematica affermando: «i bambini allevati da due individui dello stesso sesso crescono in modo adeguato come i bambini allevati in famiglie con una madre e un padre? Fino a poco tempo la risposta univoca a questa domanda è stata “no”. Nell’ultimo decennio, tuttavia, organizzazioni sanitarie professionali, accademici, politici e mezzi di comunicazione hanno affermando che i divieti di genitorialità verso le coppie dello stesso sesso debbano essere tolte. Nel prendere questa decisione di tale portata, qualsiasi sostenitore responsabile dovrebbe basarsi su elementi di prova completi e conclusivi. Ma non solo non è questa la situazione, ma esistono al contrario prove tangibili che i bambini esposti allo stile di vita omosessuale possono avere un rischio aumentato di danno emotivo, mentale e anche fisico». Si è concluso quindi: «l’American College of Pediatricians ritiene inopportuno, potenzialmente pericoloso e pericolosamente irresponsabile, per i bambini, annullare il divieto di adozione per i genitori dello stesso sesso. Questa posizione è radicata sulle migliori conoscenze scientifiche disponibili».

 

  • Nel marzo 2012 su Hormones and Behavior è apparso lo studio di Ruth Feldman intitolato “Oxytocin and social affiliation in humans”, che ha confermato, dal punto di vista psico-sociale dello sviluppo dei bambini, il beneficio della complementarità di una famiglia intatta, formata da una madre e da un padre, situazione ottimale per un sano sviluppo del bambino. Lo studio in particolare fa notare la differenza dei ruoli delle madri e dei padri, l’importanza di queste differenze per lo sviluppo umano, suggerendo che i sistemi umani dell’ossitocina possono spiegare le diverse e complementari funzioni materne e paterne» (pag. 380-391)

 

  • Nel dicembre 2011 su Archives of Sexual Behavior uno studio ha mostrato che le figlie 17enni di madri lesbiche, concepite mediante inseminazione artificale, sono più propense a segnalare a loro volta un comportamento omosessuale e ad identificarsi come bisessuali, rispetto alle figlie di genitori eterosessuali.

 

  • Nell’ottobre 2011 uno studio realizzato dal Melbourne Institute of Applied Economic and Social Research presso l’Università di Melbourne, ha scoperto che i ragazzi adolescenti (meno per le femmine) che hanno una figura paterna presente nella loro vita hanno significativamente meno probabilità di impegnarsi in successivi comportamenti delinquenziali rispetto ai loro coetanei orfani o senza padre. «Il senso di sicurezza generato dalla presenza di un modello di ruolo maschile in un giovane un effetto protettivo per un bambino, indipendentemente dal grado di interazione tra il bambino e il padre», ha detto il professor Deborah Cobb-Clark, direttore del Melbourne Institute e autore principale dello studio. Dunque è importante anche solo la presenza, senza valutare la qualità di questa figura. «I padri offrono ai bambini modelli di ruolo maschile e possono influenzare le preferenze dei bambini, valori e atteggiamenti, dando loro un senso di sicurezza e rafforzano la loro autostima», ha continuato. In particolare, lo studio ha rilevato che ogni forma di comportamento delinquenziale è stato ridotto di 7,6 punti percentuali per i ragazzi che vivevano con i loro padri biologici, e di 5 punti percentuali per quelli che vivono con il loro padre non biologico. «I padri sono associati ad una riduzione particolarmente grande di incidenza in comportamenti violenti e la lotta tra gang di ragazzi adolescenti»

 

  • Nell’agosto 2011 sul Canadian Journal of Behavioural Science uno studio a lungo termine ha esaminato come i padri contribuiscono a rendere i loro figli più intelligenti e meglio controllabili. La situazione muta notevolmente nei bambini con i padri assenti.

 

  • Nel marzo 2011 sono apparsi i risultati di uno studio condotto dall’Istituto di ricerche economiche e sociali (ISER) dell’Università di Essex, Regno Unito. Dopo aver utilizzato un campione di 11.825 adulti e 1.268 giovani (età 10-15) è stato valutato il grado di felicità dei bambini nelle famiglie con alto e basso reddito verificando che l’influenza maggiore sulla felicità di un bambino è se esso vive con entrambi i genitori -maschio e femmina- e dal rapporto che hanno con essi, in particolare la loro madre.

 

  • Nel 2010 uno studio pubblicato su Marriage & Family Review ha esaminato la letteratura scientifica precedente mostra che essa «suggerisce maggiore conoscenza circa la stabilità delle relazioni omosessuali (lesbiche) di quanto precedentemente sospettato e che, in media, tali rapporti tendono ad essere meno stabili di quelli dei genitori eterosessuali sposati». Evidentemente l’alta instabilità, rilevata statisticamente, dei rapporti di coppie omosessuali è un dato contrario all’affidamento dei bambini, conoscendo i danni sui minori causati dalla separazione e dal divorzio.

 

  • Nel 2010 sulla base del censimento USA del 2001, lo studio con conclusioni “no differences”  di Michael J. Rosenfeld ha esaminato (su oltre 700.000 casi) quanti ragazzi sono stati bocciati a scuola a seconda del nucleo famigliare: 6,8% i figli naturali di coppie eterosessuali, 9,5 e 9,7% i figli di coppie lesbiche e gay. A parità di fattori (reddito, residenza…) la probabilità è non statisticamente significativa, 7,94% (etero) e 9,07% (omo). L’interpretazione è stata messa in forte dubbio in quanto è stato fatto notare che tale divario non può risultare ai ricercatori come “non significativo”

 

  • Nel settembre 2010 in uno studio apparso su Archives of Sexual Behavior gli studiosi hanno mostrato che gli adolescenti cresciuti in famiglie lesbiche hanno meno probabilità di essere vittime sessuali di un altro genitore (la pedofilia è un fenomeno prevalentemente maschile) ma maggiore probabilità (le femmine) di essere a loro volta omosessuali o identificarsi come bisessuali (circa +200%), mentre i maschi sono meno predisposti a relazioni eterosessuali (-35%). Le ragazze mostrano anche un minore ricorso a protezioni contraccettive durante i rapporti sessuali (-35%), e sebbene questo non sia correlato a un aumento di rischio di malattie veneree, implica un maggiore ricorso alla pillola del giorno dopo (+560%).

 

  • Nel luglio 2010 sul Journal of Biosocial Science uno studio ha mostrato che «l’ipotesi che i genitori gay e lesbiche avrebbero più probabilità di avere figli gay, lesbiche, bisessuali o dall’incerto orientamento sessuale è confermata». La percentuale di bambini di genitori gay e lesbiche che hanno adottato un’identità non-eterosessuali a distanza di tempo è tra il 16% e il 57%.

 

  • Nel 2009 su Psychological Reports una revisione di 9 studi ha dimostrato che i bambini cresciuti con genitori gay erano (a) più propensi ad adottare interessi e attività omosessuali, (b) più propensi a segnalare confusione sessuale, (c) più suscettibili ad essere socialmente disturbati, (d) più propensi all’abuso di sostanze, (e) meno propensi a sposarsi, (f) più inclini ad avere difficoltà nelle relazioni d’amore, (g) meno religiosi e più non convenzionalmente religiosi, (h) più inclini ad avere difficoltà emotive, (i) più probabilità di essere esposti a molestie da parte dei genitori, e (j) più inclini al tradimento.

 

  • Nel 2009 su Psychological Reports uno studio ha mostrato che in diversi studi sulla genitorialità gay, «taluni risultati potenzialmente negativi possono essere stati oscurati da effetti soppressori». Tuttavia, si prosegue, «le differenze sono state osservate, tra cui alcune prove in dissertazioni più recenti, le quali suggeriscono che l’orientamento sessuale dei genitori potrebbe essere associato con l’orientamento sessuale dei bambini in seguito all’emulazione e l’attaccamento all’adulto». Si conclude quindi che «la più recente ricerca sulla genitorialità gay continua ad essere viziata da molte delle stesse limitazioni delle ricerche precedenti in questo settore di studi, compresi gli effetti soppressori trascurati».

 

  • Nel novembre 2009 sull’American Psychologist è stata pubblicata una ricerca di Charlotte J. Patterson nella quale si conclude che i risultati «non forniscono alcuna garanzia per la discriminazione legale contro» le famiglie omosessuali in quanto i bambini si svilupperebbero in modo simile a quelli nelle coppie eterosessuali. E’ stato fatto notare in seguito che la Patterson è un’attivista omosessuale, convivente con tre bambini e ricercatrice di riferimento su questo tema dell’American Psychological Association. Nel suo studio ha riconosciuto che «la ricerca sui genitori gay e lesbiche e i loro figli è ancora molto nuova e sono relativamente scarsi gli studi longitudinali che seguono famiglie di gay e lesbiche nel tempo». Tuttavia la sua stessa indagine presenta numerosi difetti di campionamento, oltre al fatto che 44 bambini -come da lei utilizzati- non possono essere rappresentativi. In passato, dopo un’analisi dei suoi studi da parte di un tribunale della Florida, la Corte ha concluso che «l’imparzialità della Dr. Patterson è venuta in discussione quando prima del processo si è rifiutata di consegnare ai suoi legali le copie della documentazione da lei utilizzata negli studi. Questa corte le aveva ordinato di farlo ma lei ha unilateralmente rifiutato, nonostante i continui sforzi da parte dei suoi avvocati di raggiungere tale scopo. Entrambe le parti hanno stabilito che il comportamento della dott.essa Patterson è una chiara violazione dell’ordine di questa Corte. La dott.ssa Patterson ha testimoniato la propria condizione lesbica e l’imputata ha sostenuto che la sua ricerca era probabilmente viziata dall’utilizzo di amici come soggetti per la sua ricerca. Tale ipotesi ha acquisito ancora più credito in virtù della sua riluttanza a fornire i documenti ordinati» (JUNE AMER, Petitioner, v. Floyd P. Johnson, District Administrator, District X, Florida Department of Health and Rehabilitative Services, Respondent, 17th Judicial Circuit in and for Broward County, Case No. 92-14370 (11). July 27, 1997)

 

  • Nel febbraio 2006 sul Journal of Family Issuses, lo studio “The ParentChild Relationship and Opportunities for Adolescents’ First Sex”, realizzato da Mark D. Regnerus e Laura B. Luchies, basandosi su 2000 adolescenti ha notato che la relazione padre-figlia, più che quella madre-figlia, è risultata essere un fatto fondamentale durante la transizione dell’adolescente alla fase della attività sessuale

 

  • Nel maggio 2006 una ricerca pubblicata sul Journal of biosociali Science ha chiaramente evidenziato che l’orientamento omosessuale dei genitori influenzava significativamente quello dei figli.

 

  • Nel 2006 i ricercatori Gunnar Anderson et al., nello studio intitolato “The Demographics of Same-Sex Marriages In Norway and Sweden”, pubblicato su Demography hanno rilevato che il rischio di divorzio è maggiore nei matrimoni dello stesso sesso. Non è stata rilevata, inoltre, nessuna variazione sulla notevole instabilità nel corso tempo, anche in funzione della nuova legge legalizzante le unioni gay. Gli autori hanno stimato in particolare che in Svezia il 30% dei matrimoni femminili rischiano di finire in divorzio entro 6 anni, rispetto al 20% dei i matrimoni di sesso maschile e il 13% di quelli eterosessuali (pp. 76-89). L’alta instabilità dei matrimoni omosessuali, rilevata statisticamente, è un altro dato importante contro all’adozione di bambini da parte di queste coppie.

 

  • Nell’aprile 2005 uno studio su Psychological Reports ha rilevato che il 50% degli abusi su bambini in adozione in una indagine sulla popolazione generale, e il 34% di abusi determinati dal DCF dell’Illinois, erano stati vittime di un genitore omosessuale.

 

  • Nel 2005 sul Journal Of Law & Family Studies è stato mostrato come la letteratura scientifica dica chiaramente che madri e padri sono essenziali per ottimizzare la crescita dei figli. La complementarità di genere offre ai bambini la possibilità di prosperare in un ambiente migliore, mentre altre forme familiari non sono altrettanto utili o salutari per i bambini. Ricerche sostanziali dimostrano infatti gli effetti negativi dell’assenza del padre, mentre si possono solo supporre le conseguenze negative dell’assenza della madre. Inoltre, si continua a leggere, i dati che emergono sul collocamento dei bambini in coppie omosessuali forniscono segnali di avvertimento significativi, suggerendo che ci sono differenze tra i bambini allevati da coppie omosessuali ed eterosessuali.

 

  • Nel febbraio 2005 su Psychological Reports sono stati analizzati i dati dell’Illinois child services dal 1997 al 2002, mostrando che gli omosessuali praticanti erano proporzionalmente più inclini ad abusare sessualmente dei bambini a loro affidati o adottati rispetto ai genitori eterosessuali.

 

  • Nel dicembre 2003 uno studio su Psychological Reports ha mostrato che nel campione selezionato la maggioranza di vittime di abusi sessuali aveva genitori omosessuali, arrivando a concludere che tali dati dovrebbero «mettere in discussione l’attuale politica favorevole all’adozione e all’affidamento a genitori omosessuali»

 

  • Nel 2002 su Regent Law Review University George Rekers e Mark Kilgus hanno recensito 35 dei migliori studi disponibili sulla genitorialità omosessuale pubblicati su riviste accademiche, arrivando alla conclusione che «tranne pochissime eccezioni, gli studi esistenti sulla genitorialità omosessuale sono metodologicamente errati e devono essere considerati non più di un lavoro-pilota esplorativo che suggerisce indicazioni per studi di ricerca rigorosi» (p. 345). Questi studi, hanno proseguito, «sono metodologicamente difettosi, fuorvianti, distorti, e forme di propaganda a sfondo politico che irresponsabilmente affermano conclusioni che non sono scientificamente giustificate» (p. 375)

 

  • Nel giugno 2002 i sociologi Kristin Anderson Moore, Susan M. Jekielek e Carol Emig, attraverso il loro studio, hanno dimostrato che esiste un ampio corpus di ricerche che indicano come i bambini si sviluppano meglio quando crescono con entrambi i genitori biologici, all’interno di un matrimonio. Hanno affermato in particolare: «non è semplicemente la presenza di due genitori, ma è la presenza di due genitori biologici che sembra sostenere lo sviluppo dei bambini».

 

  • Nel febbraio 2002 su Psychological Reports uno studio ha rilevato che su 57 bambini cresciuti con genitori omosessuali, 48 presentavano una o più problematiche di vario tipo attribuibili al genitore omosessuale. Inoltre, il 27% delle figlie e il 20% dei figli erano a loro volta omosessuali

 

  • Nel gennaio 2001 su Marriage Law Project alcuni ricercatori hanno valutato 49 studi empirici sull’omogenitorialità evidenziando almeno un difetto fatale in tutti. Come risultato, essi concludono che nessuna generalizzazione può attendibilmente essere basata su tali ricerca e che l’affermazione che non vi sia alcuna differenza tra l’omogenitorialità e la genitorialità eterosessuale è priva di qualsiasi fondamento scientifico

 

  • Nel 2001 i sociologi Judith Stacey e Timothy J. Biblarz della University of Southern California hanno pubblicato su American Sociological Review una revisione di 21 studi precedenti sui figli di genitori omosessuali constatando che la ricerca non ha trovato differenze sistematiche tra i bambini allevati da una madre e padre e da quelli allevati da genitori dello stesso sesso. Tuttavia hanno mostrato che le madri lesbiche hanno avuto un effetto femminilizzante sui loro figli e un effetto mascolinizzante sulle loro figlie, tanto che essi riferiscono: «le ragazze adolescenti e i giovani adulti allevati da madri lesbiche sembrano essere stati più sessualmente avventurosi e meno casti, in altre parole, ancora una volta, i bambini (soprattutto le ragazze) allevati da lesbiche sembrano discostarsi dalla norma tradizionale basata sul genere, mentre i bambini cresciuti da madri eterosessuali appaiono conforme ad essa». Inoltre hanno rilevato più alti tassi di omosessualità tra i bambini cresciuti in famiglie omosessuali: «Riconosciamo i pericoli politici nel far notare che gli studi recenti indicano una maggiore percentuale di figli di genitori omosessuali che sono inclini a impegnarsi in attività omosessuali» (Stacy, J. & Biblarz, TJ (2001). Does sexual orientation of parents matter? American Sociological Review, 66 (2), pp. 159-183). Inoltre anche loro hanno anche osservato che in diverse occasioni tali ricerche offrivano risultati che venivano distorti dalla loro interpretazione in base alle inclinazioni degli studiosi. Hanno quindi concluso che le «pressioni ideologiche vincolano lo sviluppo intellettuale in questo settore». Tutto questo è avvenuto per «non attirare le ire degli attivisti omosessuali o incoraggiare la retorica anti-gay»

 

  • Nel 2000 uno studio realizzato da R.N. Williams ha osservato che figli di genitori lesbiche avevano significativamente più probabilità di essere impegnati in relazioni omosessuali e minore autostima di quelli cresciuti in famiglie eterosessuali. Williams ha scoperto inoltre che diverse omissioni sono state fatte da altri ricercatori che hanno condotto la ricerca in queste aree (Williams, R. N. (2000). A critique of the research on same-sex parenting, in D.C. Dollahite, ed., Strengthening Our Families, Salt Lake City, Utah: Bookcraft, p.352-355.)

 

  • Nel 1999 su “American Psychologist”, rivista dell’American Psychological Association (APA), è apparso l’articolo intitolato Deconstructing the Essential Father firmato da due sostenitori delle istanze Lgbt, Louise Silverstein e Carl Auerbach, in cui si sostiene che né le madri né i padri sono essenziali per lo sviluppo del bambino e che la genitorialità responsabile può verificarsi all’interno di una varietà di strutture famigliari. I due autori sostengono le loro posizioni dall’osservazione del comportamento animale, in particolare dalle scimmie americane chiamate uistitì, concludendo che i bambini, come gli animali, non hanno bisogno di madri e padri, ma solo di operatori sanitari che si prendano cura di loro.
    Sorprendentemente non c’è alcun riconoscimento delle differenze incolmabili tra gli esseri umani e gli animali, inoltre loro stessi scrivono: «Riconosciamo che la lettura della nostra letteratura scientifica sostiene
    la nostra agenda politica
    . Il nostro obiettivo è quello di generare nell’opinione pubblica iniziative che supportino gli uomini nel loro ruolo paterno, senza discriminare le donne e le coppie dello stesso sesso. Siamo interessati anche a favorire politiche pubbliche che supportano la legittimità di diverse strutture familiari, piuttosto che privilegiare i due genitori eterosessuali»
    . Gli autori hanno anche dichiarato: «Ci rendiamo conto che alcune delle ricerche che citiamo per sostenere il nostro punto di vista si sono rivelate scorrette». In altre parole, i due attivisti non si mostrano preoccupati per ciò che è meglio per i bambini (il migliore interesse del bambino non è mai stato menzionato nell’articolo), né sono preoccupati del fatto che le loro fonti non sono supportate dalla scienza.

 

  • Nel 1999 su Violence and Victims è stata messa a confronto la vittimizzazione violenta subita tra gli uomini e le donne con una storia di convivenza dello stesso sesso e le loro controparti con una storia di matrimonio eterosessuale. Lo studio ha trovato che gli intervistati omosessuali, rispetto a quelli eterosessuali avevano significatamene più probabilità di: (a) essere stati violentati come minori e adulti, (b) essere fisicamente aggrediti da bambini, (c) essere fisicamente aggrediti da adulti dai loro partner. Lo studio, si conclude, «conferma che la violenza domestica è più diffusa tra coppie gay rispetto a coppie eterosessuali». L’alto tasso di violenza domestica nelle coppie omosessuali, rilevata statisticamente, è un dato da tenere in considerazione circa la loro possibilità di adozione di bambini.

 

  • Nel 1999 sul Journal of Marriage and Family, lo studio Paternal Involvement and Children’s Behavior Problems di Paul R. Amato & Fernando Rivera ha verificato che i padri riescono a offrire un un contributo unico per il comportamento dei propri figli. L’influenza positiva della presenza della madre e del padre è stata confermata, è risultata indipendentemente e significativamente associata ai problemi di comportamento dei bambini. In particolare l’influenza paterna gioca un ruolo importante nel mantenere nel figlio bassi livelli di delinquenza e criminalità e abbassando le probabilità che la figlia adolescente possa entrare in stato di gravidanza. Questi risultati sono stati confermanti anche dopo aver controllato per il coinvolgimento della madre.

 

  • Nel marzo 1999 David Popenoe, professore emerito di Sociologia presso la Rutgers University, ha pubblicato il libro Life without Father (Harvard University Press 1999) mostrando come madri e padri svolgono ruoli diversi nella vita dei loro figli: «attraverso il loro gioco, così come nelle altre attività dei figli, i padri tendono a sottolineare competizione, sfida, iniziativa, l’assunzione di rischi e di indipendenza, mentre le madri, al contrario, forniscono sicurezza emotiva e personale». I genitori inoltre disciplinano i loro figli in modo diverso: «Mentre le madri forniscono una grande flessibilità e simpatia nella loro disciplina, i padri offrono prevedibilità e coerenza». Ed ancora: «Entrambe le dimensioni sono fondamentali per una efficiente, equilibrata educazione dei figli, in tre decenni di attività come scienziato sociale sono a conoscenza di dati in cui il peso delle prove è così decisamente schiacciante: nel complesso, per i bambini, le famiglie con due genitori eterosessuali sono preferibili alle altre forme di relazioni» (p. 176)

 

  • Nel 1997 sul Journal of Sex Research sono stati analizzati i profili di 2.583 omosessuali, scoprendo che il campo modale dei partner sessuali andava dal 101 al 500. Inoltre, il 10,2-15,7% ha avuto tra i 501 e i 1000 partner, un ulteriore 10,2-15,7% ha riferito di aver avuto più di 1000 partner vita sessuale. L’altissimo tasso di numero di partner, conseguente all’instabilità delle relazioni omosessuali, è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

  • Nel 1997 su Violence and Victims è stato analizzato un campione di 283 gay e lesbiche, i quali hanno riferito le loro esperienze sia come vittime che come autori di violenza nella loro relazione. I risultati generali indicano che il 47,5% delle lesbiche e il 29,7% dei gay è stato vittima di un partner dello stesso sesso. L’alto tasso di violenza domestica nelle coppie omosessuali, rilevato statisticamente, è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

  • Nel 1997 su University of Illinois Law Review Lynn D. Wardle si è occupato dell’uso improprio di studi di scienze sociali a confronto tra gli effetti della genitorialità omosessuale alla genitorialità eterosessuale, affermando: «collettivamente, gli studi di scienze sociali che pretendono di dimostrare che i bambini cresciuti da genitori che si impegnano in comportamenti omosessuali non sono soggetti a un rischio significativamente maggiore sono metodologicamente e analiticamente viziati, e cadono al di sotto degli standard di affidabilità necessari per sostenere tali conclusioni» (p. 852). Questi studi hanno ignorato gli effetti potenziali significativi dei figli di gay, tra cui un maggiore sviluppo dell’orientamento omosessuale nei bambini e svantaggi emotivi e cognitivi causati dalla mancanza di genitori di sesso opposto, e una precaria sicurezza economica (p. 833-920)

 

  • Nell’ottobre 1997 sul Journal of Child Psychology and Psychiatry sono stati mostrati i risultati di uno studio che ha confrontato trenta famiglie con genitori lesbiche e 42 famiglie con una madre single eterosessuale e con 41 famiglie formate dai genitori eterosessuali. I risultati hanno mostrano che i bambini cresciuti in famiglie senza padre fin dall’infanzia hanno vissuto con maggior intensità e interazione il rapporto con la madre, anche se sono stati percepiti meno cognitivamente e fisicamente competenti rispetto ai loro coetanei con un padre presente in famiglia

 

  • Nel 1996 sul Journal of Gay & Lesbian Social Services è stato analizzato un campione di 288 soggetti gay e lesbiche, rilevando una elevata incidenza di storie personali segnate dall’abuso nella loro relazione omosessuale. Il tasso di violenza, rilevato statisticamente, che contraddistingue le relazioni omosessuali è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

  • Nel 1996 nello studio di S. Sarantokas intitolato “Children In Three Contexts: Family, Education, and Social Development”, pubblciato su Children Australia, si conclude che: «Nel complesso, lo studio ha dimostrato che i figli di coppie sposate hanno più probabilità di fare bene a scuola a livello accademico e sociale rispetto ai figli di coppie conviventi e omosessuali» (pp. 742-743)

 

  • Nel gennaio 1996 in uno studio scientifico su Developmental Psychology i ricercatori Tasker e Golombok, anche se hanno cercato di affermare il contrario, hanno rivelato attraverso i loro risutlati una connessione tra l’essere cresciuto in una famiglia lesbica e l’essere omosessuali, infatti nessuno dei bambini provenienti da famiglie eterosessuali aveva avuto una relazione lesbica o gay, al contrario, cinque (29%) delle diciassette figlie e uno (13%) degli otto figli cresciuti in famiglie omosessuali hanno riferito di avere avuto almeno una relazione dello stesso sesso. Lo studio ha presentato altre piccole manipolazioni interpretative

 

  • Nel 1995 su Developmental Psychology è stato fatto notare che il 9,3% di un gruppo di 75 figli di 55 padri gay o bisessuali sono omosessuali a loro volta, dato che è notevolmente superiore alla prevalenza di maschi omosessuali nella popolazione generale.

 

  • Nel 1994 su Archives of Sexual Behavior ci si è concentrati sugli episodi di attività sessuale non consensuale tra 930 uomini omosessuali attivi in Inghilterra e Galles. Il 27,6% di essi ha riferito di essere stato aggredito sessualmente da altri uomini, un terzo è stato costretto ad attività sessuali da altri uomini con i quali aveva avuto o stava avendo un rapporto sentimentale. Il tasso di violenza domestica, rilevato statisticamente, che contraddistingue le relazioni omosessuali è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

  • Nel 1994 in una ricerca sul Journal of Divorce & marriage sono stati analizzati i dati di letteratura pubblicati sulla genitorialità omosessuale e dei suoi effetti sui bambini. Scrivono i ricercatori: «Ogni studio è stato valutato secondo gli standard accettati di ricerca scientifica. La scoperta più impressionante è stata che tutti gli studi mancavano di validità esterna, e non un singolo studio rappresentava la sub-popolazione di genitori omosessuali. Solo tre studi hanno soddisfatto gli standard minimi di validità interna, mentre gli undici restanti presentati hanno mostrato minacce mortali alla validità interna. La conclusione che non vi sono differenze significative nei bambini allevati da madri lesbiche rispetto a madri eterosessuali non è supportata dalla ricerca scientifica». Hanno inoltre aggiunto: «Un altro limite reciproco di molti degli studi è stato quello già identificato da Rees (1979), vale a dire, il desiderio politico e giuridico “di presentare una felice e ben regolata famiglia lesbica al mondo”» (p. 116)

 

  • Nel 1994 la Harvard University Press ha pubblicato un ampio studi dei ricercatori Sara McLanahan e Garry Sandefur sui bambini cresciuti senza un genitore. La loro conclusione è stata: «i bambini che crescono in famiglie con un solo genitore biologico hanno uno sviluppo peggiore, in media, rispetto ai bambini cresciuti in famiglie con entrambi i genitori biologici, indipendentemente dal fatto che la madre residente si sia risposata»

 

  • Nel dicembre 1994 sul Journal of Interpersonal Violence sono stati analizzati i rapporti intimi tra omosessuali, concludendo che la “violenza lesbica” non è un fenomeno raro. Quasi tutti gli intervistati (circa 300 soggetti) sonno stati vittima di uno o più atti di aggressione verbale da parte del loro partner durante l’anno precedente, e il 31% ha riferito uno o più abuso fisico subito, mentre il 12% ha dichiarato di essere stata vittima di un grave abusi fisici. Il tasso di violenza domestica, rilevato statisticamente, che contraddistingue le relazioni omosessuali è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

  • Nel 1993 su Families and Society sono stati sintetizzati i lavori Erik Erikson, uno dei più apprezzati psicologi dello sviluppo in tutto il mondo, notando che le madri e i padri amano in modo diverso e non sono affatto intercambiabili. Inoltre, gli adolescenti che hanno rapporti affettuosi con i loro padri presentano migliori abilità sociali, maggiore fiducia, e sono più sicuri nelle loro competenze.

 

  • Nel 1993 sul New Directions for Child and Adolescent Development lo studio intitolato “Distinctive role of the father in adolescent separation-individuation” di Shmuel Shulman e Moshe M. Klein, ha analizzato il rapporto tra il padre e l’adolescente, valorizzando il suo ruolo come unico e insostituibile. Hanno concluso: «i padri, più delle madri, trasmettono la sensazione agli adolescenti di poter contare su se stessi, così padri possono fornire un “ambiente facilitante” per il conseguimento, da parte dell’adolescente, della differenziazione dalla famiglia e del consolidamento dell’indipendenza» (pp. 41-53).

 

  • Nel 1992 sul Journal of Sex & Marital Therapy gli studiosi Freund K, Watson RJ hanno pubblicato lo studio “The proportions of heterosexual and homosexual pedophiles among sex offenders against children: an exploratory study”, analizzando i profili degli autori di pedofilia, da cui è emerso -seppur senza generalizzare- che la percentuale di pedofili veri tra le persone con uno sviluppo omosessuale è maggiore rispetto a persone che si sviluppano eterosessualmente. In particolare hanno rilevato che il rapporto tra vittime femmine e maschio era di circa 2:1, anche se il rapporto tra uomini eterosessuali e omosessuali è di circa 20:1. I due ricercatori hanno concluso affermando che i loro risultati «supportano l’idea che uno sviluppo omosessuale spesso non si traduce in androphilia [desiderio sessuale per gli uomini] ma in pedofilia [desiderio omosessuale di ragazzi]. Questo, ovviamente, non dovrebbe essere inteso come dire che gli androphiles possano avere una maggiore propensione ad offendere i bambini di quanto non facciano gli uomini gynephiles [interessati alle donne]» (p. 41).

 

  • Ne 1991 sul Journal of Social Service Research uno studio ha valutato la violenza domestica tra coppie omosessuali e eterosessuali concludendo che l’abuso tra partner lesbiche si verifica maggiormente (55%) rispetto ai rapporti eterosessuali (37 al 55%). Il tasso di violenza domestica, rilevato statisticamente, che contraddistingue le relazioni omosessuali è un dato da tenere in considerazione nel dibattito sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

 

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Matrimonio o convivenza? La parola agli studi scientifici

E’ meglio il matrimonio o convivenza? Sposarsi o convivere? Due genitori o famiglie monogenitoriali? Per la coppia e i figli cosa è davvero conveniente, secondo la letteratura scientifica? In questo dossier abbiamo raccolto tutti gli studi scientifici e sociologici sul tema.

 

Cosa dicono gli studi scientifici che mettono a confronto il matrimonio alla convivenza? E’ questo l’oggetto del seguente dossier.

Premettiamo brevemente che la Costituzione italiana definisce l’unione matrimoniale di un uomo e una donna la “cellula fondamentale della società”, in quanto è la soluzione che garantisce sostegno materiale e morale, educazione e stabilità fisica e affettiva ai figli che nascono dalla relazione. Negli ultimi anni questa struttura è stata messa in crisi da altre “identità familiari”, meno impegnative verso una serie di diritti e di doveri implicati nel matrimonio (civile e religioso).

La differenza tra matrimonio civile e cattolico è che i membri della coppia uniti in Chiesa si promettono reciproca fedeltà eterna davanti all’autorità di Dio e tale gesto diventa un sacramento, ovvero l’alleanza degli sposi è integrata nell’Alleanza di Dio con gli uomini.

La convivenza appare una scelta a metà, soggetta a revisioni e scadenze, e pone colui che vive una simile esperienza in un atteggiamento che presuppone fin dall’inizio una temporaneità o una possibile data di fine rapporto, influendo così sulla tenuta della relazione stessa. Abbiamo voluto interrogare la letteratura scientifica, ccercando una conferma o una smentita di questo giudizio e volendo capire cosa è meglio per la coppia e i figli.

 

 

|ELENCO DI STUDI SOCIOLOGICI|

 

  • Nell’aprile 2020 lo psicologo Nicholas Zill, già direttore del National Survey of Children, ha pubblicato un articolo intitolato Family Still Matters For Key Indicators of Student Performance, nel quale ha esaminato i risultati di un sondaggio realizzato dal National Household Education Survey (NHES). Si conclude che gli scolari che vivono con entrambi i genitori, uniti tramite matrimonio, ottengono risultati migliori nell’ambito del progresso scolastico (voti migliori, comportamento migliore, meno sospensioni. Gli studenti delle famiglie monoparentali e quelli delle famiglie sposate non sono tutti uguali nelle prestazioni accademiche e nel comportamento in classe, ha concluso lo psicologo.

 

  • Nel settembre 2018 sul Journal of Marriage and Family una ricerca ha confermato che «permane un rischio maggiore di divorzio per coloro che convivono prima del matrimonio». I ricercatori hanno scoperto che «la convivenza prima del matrimonio è associata a minori probabilità di divorzio nel primo anno di matrimonio, ma aumenta le probabilità di divorzio in tutti gli altri anni testati e questa scoperta è confermata da decenni di dati pubblicati».

 

 

  • Nel marzo 2017 i ricercatori W. Bradford Wilcox e Laurie DeRose hanno pubblicato un saggio mostrando come, «analizzando i dati di 16 paesi in tutta Europa, scopriamo che i bambini nati da coppie conviventi hanno circa il 90% in più di probabilità di vedere la separazione dei loro genitori rispetto ai bambini nati da genitori sposati». Nel volume, Wilcox e DeRose hanno concluso che esiste qualcosa di specifico nel matrimonio che lo rende più vantaggioso per i bambini rispetto alla convivenza: genera stabilità familiare.

 

  • Nel marzo 2017 Peter H. Schuck, professore emerito di Legge alla Yale Law School, ha pubblicato il libro One Nation Undecided, nel quale ha scritto: «La famiglia è il nucleo essenziale di qualsiasi società ed il costante declino delle famiglie con due genitori è probabilmente la tendenza sociale più consequenziale degli ultimi cinquant’anni. In effetti, il singolo miglior predittore di bassa mobilità verso l’alto in una data area geografica è la frazione di bambini con un solo genitore».

     

    • Nel febbraio 2017 uno studio realizzato dal Family Studies and Social Trends Institute ha dimostrato che i bambini nati da coppie non sposate e conviventi -sia negli Stati Uniti che in Europa-, hanno quasi il doppio delle probabilità di vedere i loro genitori separarsi, rispetto ai bambini nati da genitori sposati.

  •  

    • Nel dicembre 2016 sul Journal of the American Heart Association è apparso lo studio intitolato Marital History and Survival After Stroke, in cui gli studiosi hanno concluso: «I risultati hanno mostrato che i rischi di morire a seguito di un ictus erano significativamente più alti tra i non sposati, i risposati, i divorziati e i vedovi, rispetto a coloro che sono rimasti costantemente sposati». La notizia è arrivata anche sui quotidiani italiani.

     

    • Nel giugno 2016, il prof. Pierpaolo Donati, ordinario di Sociologia presso l’Università di Bologna e direttore del CEPOSS (Centro Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria), ha dichiarato: «Le ricerche empiriche mostrano che la famiglia naturale è soprattutto una risorsa, anziché un freno, per il benessere della società. Le coppie sposate o orientate al matrimonio sono più generative di beni relazionali di tutte le altre forme. Felici sono quei nubendi che non si sposano primariamente per il solo fatto di essere innamorati, ma innanzitutto perché mirano al bene della loro relazione sponsale e ai beni che derivano da tale relazione. Il fatto di sposarsi costituisce un valore aggiunto per le persone e per la società, in quanto il patto matrimoniale migliora la qualità delle relazioni di coppia e ha importanti conseguenze positive (biologiche, psicologiche, economiche e sociali) per bambini e adulti. La coabitazione non è uguale al matrimonio, perché rende più instabili le relazioni e crea maggiori incertezze nella vita dei figli. Il divorzio (o il non arrivare a sposarsi) aumenta il rischio di fallimento scolastico dei figli. Le nascite fuori del matrimonio aumentano il rischio di povertà sia per i figli sia per le madri. L’analisi di tre differenti strutture famigliari, in particolare delle famiglie con coppia genitoriale unita, famiglie ricomposte e famiglie monogenitoriali, evidenzia la maggiore fragilità di queste due ultime strutture famigliari».

     

    • Nell’aprile 2016 Anna Egalite, docente presso la North Carolina State University, ha esposto i risultati di un’indagine sul backgroud dei genitori ed il successo scolastico dei figli. Oltre al livello educativo dei genitori, il reddito familiare e l’incarcerazione dei genitori, la struttura familiare è risultata determinante e ha «serie implicazioni per il benessere e il successo scolastico di un bambino». Le famiglie con due genitori, ha spiegato l’esperta, «in generale hanno molti altri attributi che influenzano il livello di istruzione dei loro figli, la salute mentale, le prestazioni del mercato del lavoro e la formazione familiare. Prove più rigorose documentano anche significativi effetti negativi dell’assenza di un padre sul rendimento scolastico dei bambini e sullo sviluppo sociale ed emotivo, portando ad un aumento del comportamento antisociale».

     

    • Nel marzo 2016 è stato dimostrato che l’essere sposati è associato ad una riduzione della probabilità di una famiglia di essere povera, tra il 41 e l’80 per cento, a fronte di una famiglia di non sposati. Al contrario, i genitori single hanno molta più probabilità di essere poveri rispetto ai genitori sposati.

     

    • Nel marzo 2015 uno studio pubblicato dall’American College of Pediatricians ha mostrato che «contrariamente all’attuale percezione di molti adolescenti e giovani adulti che vedono la convivenza come un sostituto del matrimonio o come un trampolino di lancio verso un matrimonio più sicuro, gli studi dimostrano che le convivenze hanno maggiori probabilità di dissolversi rispetto ai matrimoni e che i matrimoni preceduti dalla convivenza hanno maggiori probabilità di fallire rispetto ai matrimoni non preceduti da convivenza». Inoltre, i ricercatori hanno riscontrato il doppio della probabilità «che i partner conviventi implichino infedeltà e violenza tra loro». Infine, anche per i figli, «siano essi nati prima, durante o dopo la convivenza dei genitori, sono maggiormente a rischio di conseguenze negative tra cui parto prematuro, insuccesso scolastico, istruzione inferiore, maggiore povertà durante l’infanzia e redditi più bassi da adulti, più problemi di carcerazione e comportamento, genitorialità single, negligenza medica e problemi di salute cronici sia medici che psichiatrici, più abuso di sostanze (alcol e tabacco) e abusi sui minori. È anche più probabile che le donne conviventi scelgano di porre fine alla vita del proprio figlio prima della nascita».

     

    • Nel febbraio 2015 lo psicologo Nicholas Zill ha spiegato che il basso tasso di vittime di criminalità dei bambini che vivono con i due genitori biologici non è dovuta all’assenza di un maschio adulto in casa a proteggere la famiglia. Infatti, i bambini che vivono con un genitore biologico e un genitore acquisito hanno anch’essi mostrato un tasso elevato di esposizione alla violenza: 84 bambini su 1.000. Lo stesso dicasi per i bambini che vivono con entrambi i genitori biologici che sono conviventi e non sposati: 60 bambini su 1000. La miglior sicurezza per loro è un matrimonio stabile.

     

    • Nel dicembre 2014 sul “National Bureau of Economic Research” si è mostrato che le persone sposate sono più soddisfatte della propria vita rispetto ai single e il benessere della vita matrimoniale persiste anche nel lungo termine. Ma, anche se il picco di benessere e felicità c’è immediatamente appena dopo sposati, il matrimonio serve di più negli anni successivi, quando si entra nella “crisi di mezza età”. Il matrimonio fa bene sempre, ma diventa più importante quando le cose vanno male e c’è bisogno di un supporto. Ed è per questo che il matrimonio funziona meglio se il partner è anche un amico, l’effetto benefico è in media due volte maggiore per le coppie che sono anche “migliori amici”, che sommano l’amicizia all’amore.

     

    • Nel novembre 2014 sul The Linacre Quarterly una meta-analisi di studi precedenti ha concluso che i bambini che vivono con i loro genitori biologici sposati hanno costantemente un migliore benessere fisico, emotivo e scolastico. «La migliore letteratura scientifica fino ad oggi suggerisce che, con l’eccezione dei genitori che affrontano violenze coniugali irrisolvibili, i figli crescono meglio quando i genitori lavorano per mantenere unito il matrimonio. Di conseguenza, la società dovrebbe compiere ogni sforzo per sostenere matrimoni sani e per scoraggiare le coppie sposate dal divorziare».

     

    • Nel novembre 2014 l’economista indiana Aparna Mathur, ha scritto su Forbes: «La scarsità dei tassi di matrimonio non è semplicemente un fenomeno sociale e culturale, ma ha importanti implicazioni economiche, come i tassi di partecipazione alla forza lavoro degli uomini, i tassi di abbandono delle scuole superiori dei bambini e i tassi di gravidanza giovanili. Dal momento che questi fattori sono altamente correlati con le opportunità economiche e la possibilità di salire la scala del reddito, questo suggerisce che la disparità di reddito tra le generazioni e la mobilità economica sono criticamente influenzata da decisioni e atteggiamenti delle persone verso il matrimonio. Dal momento che le famiglie monoparentali non sposate generalmente aumentano le fila di famiglie a basso reddito, mentre gli adulti ricchi ed istruiti sposano sempre più partner provenienti da ambienti socio-economici simili, le tendenze di disuguaglianza sono aggravate».

     

    • Nel novembre 2014 uno studio di Guner, Kulikova e Llull dell’Università autonoma di Barcellona ha mostrato come il matrimonio faccia bene alla salute. Gli economisti hanno analizzato i dati degli americani tra i 20 e i 64 anni e hanno scoperto che esiste un divario nello stato di salute tra single e sposati che raggiunge il picco di 12 punti a favore delle persone che hanno contratto un matrimonio. La spiegazione è dovuta a quello che chiamano “effetto protettivo” del matrimonio: le persone si prendono più cura di sé stesse e del proprio partner, l’effetto protettivo è poi evidente sul fronte della prevenzione. Le persone sposate sono molto più portate a sottoscrivere un’assicurazione sanitaria e a effettuare controlli sanitari al colesterolo o alla prostata rispetto ai single.

     

    • Nel settembre 2014 uno studio pubblicato dal Department for Education inglese ha dimostrato che i figli di genitori sposati hanno più fiducia, sono più coscienziosi e assumono meno comportamenti anti-sociali rispetto a quelli con genitori non sposati o in famiglie monogenitoriali.

     

    • Nel luglio 2014 uno studio pubblicato dall’American College of Pediatricians ha mostrato che rispetto alle coppie sposate alla nascita di un figlio, quelle che convivevano alla nascita del bambino avevano una probabilità quattro volte maggiore di separarsi nei tre anni successivi. Inoltre, «la convivenza mette a rischio sia chi convive che i propri figli e nipoti attuali e futuri», secondo i ricercatori. Questi rischi per i bambini includono: peggior rendimento scolastico, aumento del rischio di problemi comportamentali, ansia, depressione e problemi di relazioni sociali; aumento del rischio di abusi sui minori; aumento dei rischi di lesioni fisiche, malattie, ospedalizzazione, somatizzazione e mortalità precoce; aumento dell’abuso di sostanze dannose; aumento dell’incidenza di obesità, malattie respiratorie, attività sessuale adolescenziale e gravidanza (incluso un aumento dei rischi di morte e prematurità per i figli di questi adolescenti); un rischio più elevato di ipertensione, asma e depressione in età adulta; più malattie psichiatriche durante l’infanzia, tentativi di suicidio, malattie legate all’alcol e malattie legate ai narcotici; basso livello socioeconomico, scarso benessere soggettivo e aumento dei problemi coniugali e del divorzio; minore rendimento scolastico e maggiore coinvolgimento nella criminalità sia piccola che grave; più povertà e alto rischio di divorzio dai loro futuri partner.

     

    • Nel giugno 2014 in un articolo sul Washington Post due ricercatori hanno dimostrato che «le donne sposate sono notevolmente più sicure rispetto alle loro coetanee non sposate, e le ragazze/bambine che vivono in una casa con un padre sposato hanno nettamente meno probabilità di essere vittime di abusi o aggressioni rispetto alle ragazze/bambine che vivono senza il loro padre».

     

    • Nel maggio 2014 è stato dimostrato che i bambini che vivono in famiglie con due genitori sposati hanno meno probabilità, anche vivendo in quartieri pericolosi, di essere esposti a crimini violenti rispetto ai bambini di genitori non sposati o divorziati. In particolare, per ogni 1.000 bambini in famiglie con genitori sposati 36 hanno assistito o subito violenze. Al contrario, tra i bambini che vivono con una madre non sposata, il tasso di esposizione a crimini violenti era quasi tre volte superiore: 102 bambini su 1.000. Tra i bambini che vivono con madre separata o divorziata, il tasso di esposizione è stato più che doppio rispetto a quello per i figli di genitori sposati: 89 bambini su 1.000.

     

    • Nell’aprile 2014 sul SAGE Journals una meta-analisi di trenta studi ha concluso che gli studenti che provenivano da una famiglia con due genitori biologici e da alti livelli di coinvolgimento con tali genitori, avevamo maggior successo scolastico rispetto agli studenti figli dei single. Oltre alla struttura familiare, i ricercatori hanno rilevato che la fede di uno studente ha un impatto significativo sul suo rendimento scolastico: frequentare regolarmente la chiesa e definirsi una persona molto religiosa è associato ad un miglior rendimento scolastico. I risultati dell’indagine sono stati più dettagliatamente esposti dall’autore stesso, il prof. William Jeynes, docente di Educazione alla California State University di Long Beach.

     

    • Nel marzo 2014 l’American College of Cardiology ha pubblicato uno studio in cui si rileva che le persone sposate hanno tassi più bassi di diverse malattie cardiovascolari rispetto a coloro che sono single, divorziati o vedovi. Il rapporto tra matrimonio e minori probabilità di malattie vascolari è particolarmente pronunciato prima dei 50 anni.

     

    • Nel marzo 2014 il rapporto del “Family Societies and Research Project” ha rilevato che i figli di divorziati abbandonano prima la casa dei genitori, ma preferiscono la convivenza, il loro rendimento a scuola cala, e quando questi scelgono una università, hanno minori aspettative. In più, risultano avere più facilmente problemi nutrizionali e di ansia, e c’è più possibilità che usino droghe e facciano pensieri di suicidio. Chi vive con la presenza di un patrigno o una matrigna è aiutato finanziariamente, ma non ci sono prove che questa presenza abbia un effetto positivo sul benessere psicologico e sui risultati scolastici.

     

    • Nel gennaio 2014 Nick Schulz dell’American Enterprise Institute ha pubblicato il volume “Home Economics: The Consequences of Changing Family Structure” nel quale ha confermato attraverso l’analisi della letteratura scientifica che i figli del divorzio e i bambini con genitori non sposati tendono a fare molto peggio nella vita rispetto ai bambini di coppie sposate. Un dato non trascurabile, ha osservato, è quello del reddito: crescere al di fuori di una famiglia con due genitori significa beneficiare di un reddito non solo più basso ma anche di meno mobilità sociale. A esempio tra i bambini che iniziano sotto al terzo grado della distribuzione del reddito, solo il 26% di quelli con genitori divorziati riesce a spostarsi verso l’alto rispetto al 42% dei nati da madri non sposate e il 50% di coloro che crescono con due genitori sposati.

     

    • Nel settembre 2013 uno studio della Fundaction ATYME ha rilevato che il divorzio è deleterio per l’87 percento dei casi nei bambini, generando sintomi di rabbia in quelli più grandi (, mentre nei bambini piccoli si rileva tristezza e paura.

     

    • Nel settembre 2013 sul “Journal of Clinical Oncology” uno studio su 734.889 persone ha rilevato che i malati di cancro sposati hanno più probabilità di vivere più a lungo rispetto a quelli che non sono sposati. Alcuni esperti hanno anche soprannominato l’effetto del matrimonio sul cancro come uguale o più potente alla chemioterapia.

     

    • Nel maggio 2013 uno studio realizzato da ricercatori della Rice University e della University of Houston, ha stabilito che i bambini (campione di 10.400 soggetti) che vivono in famiglie in cui i genitori sono sposati hanno meno probabilità di essere obesi.

     

    • Nel maggio 2013 uno studio ha rilevato che quasi nove su dieci bambini nati da genitori conviventi hanno la probabilità di veder divisa la loro famiglia all’età di 16 anni, mentre la metà di loro non vivrà con entrambi i genitori naturali quando raggiungeranno l’adolescenza. Nel 2013 solo il 9% dei bambini nati da coppie conviventi avrà ancora i loro genitori che vivranno insieme quando ne avranno 16.

     

    • Nel maggio 2013 una ricerca è realizzata dall’Instituto de Estudios del Capital Social (INCAS) della Universidad Abat Oliba CEU ha stabilito che «i figli minori che vivono con entrambi i genitori biologici in un matrimonio stabile hanno un welfare molto più elevato rispetto ad altri tipi di situazioni». Fra le altre conclusioni questa è particolarmente interessante: «si può dire con forza che la famiglia classica previene la violenza domestica contro le donne e verso i bambini, i quali hanno tutti gli indicatori di salute migliori, beneficiano di un reddito più alto e maggiori condizioni stabili e favorevoli».

     

    • Nel marzo 2013 uno studio pubblicato su Public Health da ricercatori canadesi, ha mostrato che sia le figlie che i figli di famiglie divorziate hanno significativamente più probabilità di iniziare a fumare rispetto ai loro coetanei provenienti da famiglie sposate. L’analisi si è basata su 19.000 americani e gli autori hanno anche confermato l’esistenza di bassi livelli di istruzione e di reddito, di problemi di salute mentale per adulti figli di genitori divorziati.

     

    • Nel febbraio 2013 i ricercatori dell’Università di Missouri hanno scoperto, in una ricerca pubblicata sul Journal of Family Psychology, che le persone sposate hanno una migliore salute mentale e fisica dei loro coetanei non sposati e hanno meno probabilità di sviluppare malattie croniche rispetto alle persone vedove o divorziate.

     

    • Nel gennaio 2013 una pubblicazione del World Family Map Project ha mostrato che vivere con due diversi genitori permette ai bambini di avere punteggi migliori di alfabetizzazione, a prescindere dalla ricchezza e dall’istruzione. Questo è vero in Canada come lo è negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Australia: «I bambini che vivono con due genitori hanno punteggi più elevati nella capacità di lettura e meno probabilità di ripetere l’anno rispetto a quelli che vivono con uno solo dei due genitori o nessuno dei genitori», hanno detto i ricercatori. Inoltre, «le famiglie con un genitore acquisito forniscono risultati più deboli rispetto alle famiglie con i due genitori biologici».

     

    • Nel gennaio 2013 un grande studio pubblicato su European Journal of Preventive Cardiology basato sul registro dati sugli infarti al miocardico tra il 1993 e il 2002 basato su 15.330 soggetti, ha rilevato che il non essere sposati aumenta il rischio di infarto fatale e non fatale negli uomini e nelle donne, indipendentemente dalla loro età. Al contrario, dicono i ricercatori dello studio, soprattutto tra le coppie di mezza età, l’essere sposati e vivere assieme è associato a «prognosi decisamente migliori sugli eventi cardiaci acuti».

     

    • Nel gennaio 2013 una ricerca condotta presso il Duke University Medical Center a Durham, North Carolina, ha scoperto che le persone non sposate presentano un rischio più alto di morte prematura in particolare durante la middle age, ovvero tra i quaranta e i sessant’anni.

     

    • Nel gennaio 2013 una ricerca pubblicata sul Journal of Drug Issues raffrontando – sulla base di uno studio longitudinale con informazioni su oltre 10.000 studenti – il “capitale sociale familiare” , ossia come il legame tra genitori e figli (specie in termini di comunicazione e fiducia) col “capitale sociale scolastico”, ossia la capacità di una scuola di essere un ambiente positivo per crescita ed approfondimento, i ricercatori hanno rilevato come gli studenti con alti livelli di “capitale sociale familiare” e bassi livelli di “capitale sociale scolastico” abbiano meno probabilità di fumare o bere rispetto a quelli con alti livelli di “capitale sociale scolastico” ma bassi livelli di “capitale sociale familiare”. Secondo gli autori, nonostante l’elevato valore dei programmi scolastici contro l’uso di droghe, i genitori rivestono un ruolo decisivo nel plasmare le decisioni dei loro figli riguardanti il consumo di alcol e marijuana.

     

    • Nel dicembre 2012 uno studio sul matrimonio è stato pubblicato sul Journal of Public Health, ed è relativo a un confronto di donne sposate in gravidanza con donne conviventi o single. L’indagine ha mostrato che le donne sposate sono meno soggette all’abuso subito dai partner, all’abuso di sostanze stupefacenti e alla manifestazione di depressioni post-partum.

     

    • Nel dicembre 2012 lo studio “Violent Crime Against Youth, 1994-2010” ha mostrato che nel 2010, il 27,8% di 1000 giovani con un capofamiglia celibe, sono state vittime di un grave crimine violento. Allo stesso tempo, solo il 7,4% ogni 1000 giovani che vive con entrambi i genitori è stato una vittima.

     

    • Nel dicembre 2012 su Child Care Health Development una ricerca, basata sulla popolazione canadese ed effettuata confrontando dati raccolti nel 2005 con quelli rilevati dieci anni prima, nel 1995, ha mostrato che il divorzio comporta, per i figli di genitori decisi a lasciarsi, una percentuale di abusi pari al 10,7%.

     

    • Nel settembre 2012 uno studio realizzato dall’Heritage Foundation ha rivelato che crescere con genitori sposati aumenta notevolmente (82%) le prospettive di sfuggire alla povertà per i bambini. Gli autori hanno affermato: «Il matrimonio è di grande beneficio per i bambini, gli adulti e la società, ha bisogno di essere incoraggiato e rafforzato».

     

    • Nel settembre 2012 uno studio pubblicato sul Journal of Stroke ha dimostrato che gli uomini adulti che hanno sperimentato il divorzio dei genitori prima di aver compiuto 18 anni, presentano tre volte più probabilità di subire un ictus rispetto agli uomini i cui genitori sono rimasti assieme.

     

    • Nel settembre 2012 da dati del National Crime Victimization Survey tre ricercatori hanno rilevato che i giovani hanno meno probabilità di essere vittime di reato se vivono con due genitori piuttosto che in famiglie monoparentali.

     

    • Nell’agosto 2012 uno studio condotto dall’Università di Cincinnati (UC), e presentato alla 107a riunione annuale della “American Sociological Association”, ha mostrato come gli uomini divorziati hanno segnalato un consumo di alcool significativamente maggiore rispetto agli uomini sposati. Per quanto riguarda le donne, il consumo di alcool era un problema con maggiore probabilità tra le donne divorziate rispetto a quelle sposate a lungo termine.

     

    • Nel maggio 2012 uno studio sull’European Journal of Population ha analizzato sistematicamente il benessere di uomini e donne sposati, divorziati, single e conviventi in 45 paesi europei e poi ha calibrato l’effetto della cultura normativa del paese nel determinare il benessere. E’ risultato che gli individui sposati hanno un più alto livello di benessere, seguiti (in ordine) da conviventi, dai single e dai divorziati/vedovi. Gli studiosi hanno smentito che la causa di tale malessere in chi non è sposato dipenda dall’influenza negativa della società su di loro (condizionamento sociale), tanto che gli autori hanno concluso: «il rifiuto sociale del proprio status di partenariato non rende le persone infelici […]. La conclusione generale che si può formulare è il clima sociale normativo ha poco impatto su come le persone valutano i la loro vita nei diversi tipi di relazioni»

     

    • Nell’aprile 2012 un articolo apparso sul “New York Times” scritto dalla psicologa clinica Meg Jay dell’Università della Virginia, ha spiegato come gli studi mostrino in modo chiaro che la convivenza pre-matrimoniale aumenta notevolmente il tasso di divorzio.

     

    • Nel gennaio 2012 in un editoriale sul “British Medical Journal” due ricercatori -David e John Gallacher dell’università di Cardiff- hanno spiegato che le persone sposate vivono più a lungo, le donne sperimentano una migliore salute mentale, mentre gli uomini in una relazione stabile e duratura, come quella prevista dall’unione coniugale, hanno una migliore salute fisica, concludono che «a conti fatti è vale probabilmente fare lo sforzo di sposarsi». Inoltre, lo studio ha evidenziato nelle donne sposate un abbassamento del 10-15 per cento del tasso di mortalità ed un calo dei rischi di andare incontro ad ictus, malattie cardiache e complicazioni dovute a stili di vita non salutari, nella porzione dei candidati maschili che erano impegnati in una relazione matrimoniale. I ricercatori hanno anche confermato che il divorzio può avere un impatto devastante sugli individui, mentre l’avere molti partner è collegato ad un aumento di rischio di morte.

     

    • Nel dicembre 2011 uno studio su “Archives of General Psychiatry” ha mostrato che gli uomini con bassi livelli di comportamento antisociale sono più propensi a sposarsi e che il matrimonio accentua la loro tendenza ad astenersi da comportamenti antisociali. E’ dunque evidenziato un effetto causale del matrimonio alla desistenza dal comportamento antisociale.

     

    • Nel settembre 2011 la Monash University di Melbourne (Australia) ha pubblicato i risultati di uno studio con il quale si dimostra come il matrimonio è uno dei fattori-chiave nella diminuzione della criminalità, riducendo drasticamente la percentuale di assassini, per una semplice ragione: l’autocontrollo.

     

    • Nell’agosto 2011 uno studio pubblicato sulla rivista “Health Psychology” ha stabilito che se qualcuno subisce un bypass coronarico, ha 3 volte più probabilità di essere vivo dopo 15 anni se è sposato rispetto a chi è single, divorziato o vedovo. Gli uomini sottoposti a intervento chirurgico di bypass hanno vissuto più a lungo in virtù del semplice fatto di essere sposati, indipendentemente da quanto fosse felice o infelice l’unione. Le donne felicemente sposate avevano invece quasi quattro volte più probabilità di essere vive dopo 15 anni dall’operazione rispetto alle donne single o divorziate.

     

    • Nel 2011 in un rapporto sul matrimonio e la famiglia, il professor Patrick Parkinson, della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Sydney, ha dichiarato: «Il governo australiano non può continuare a ignorare la realtà che due genitori tendono a fornire risultati migliori, per i bambini, di uno solo, e che l’ambiente più stabile e sicuro per i bambini è quando i genitori sono, e rimangono, sposati l’uno con l’altro». Ha inoltre aggiunto che: «se c’è un grande cambiamento demografici nelle società occidentali che può portare a una vasta gamma di conseguenze negative per molti bambini e giovani, è se essi crescono in una famiglia diversa da quella generata dai loro due genitori biologici>»

     

    • Nel 2011 è stata pubblicata la terza edizione di Why Marriage Matters: Thirty Conclusions from the Social Sciences, opera di diciotto studiosi americani di problemi della famiglia che operano in istituzioni accademiche di diverso orientamento politico-culturale. La conclusione unanime del rapporto è che l’aumento del numero di coppie di conviventi con bambini è la maggiore e poco riconosciuta minaccia alla qualità di vita dei figli nelle famiglie americane di oggi. W. Bradford Wilcox, dell’University of Virginia e coordinatore dello studio, ha spiegato sul New York Times: «In uno straordinario ribaltamento di tendenze, il tasso di divorzio delle coppie sposate con figli è tornato quasi ai livelli che conoscevamo prima della rivoluzione del divorzio iniziata negli anni Settanta. Tuttavia l’instabilità familiare complessiva è in aumento negli Stati Uniti. Ciò sembra essere in parte dovuto al fatto che più coppie stanno avendo figli all’interno di unioni di fatto, che sono molto instabili. Il nostro rapporto mostra anche che i figli all’interno di unioni di fatto hanno maggiori probabilità di soffrire a causa di una serie di problemi sociali ed emotivi – uso di droghe, depressione, fallimento scolastico – in confronto ai figli di famiglie sposate e non separate». Inoltre, i bambini all’interno di coppie conviventi, secondo un recente rapporto, «hannno anche almeno tre volte più probabilità di essere fisicamente, sessualmente o emotivamente abusati». Infine, lo studioso ha concluso: «la convivenza implica meno impegno, meno stabilità, meno fedeltà sessuale, e meno sicurezza ai partner romantici e ai loro figli. Di conseguenza, le coppie conviventi hanno più del doppio delle probabilità di dividersi e quattro volte più probabilità di essere infedeli a l’uno all’altro, rispetto alle coppie sposate. Tutto questo ha implicain queste casecrescono in queste situazioni».Lo psicologo John Gottman, tra i massimi esperti statunitensi di relazioni matrimoniali, professore emerito di psicologia all’Università di Washington ha dichiarato che «tale instabilità ha un notevole impatto negativo sui bambini, il quale si nota nell’esternalizzazione dei disturbi, cioè più aggressività, che a livelo interno, cioè più in depressione. I figli delle coppie conviventi sono più a rischio rispetto a quelli delle coppie sposate».

     

    • Nell’ottobre 2011 uno studio norvegese ha rilevato un eccesso di mortalità delle persone non sposate rispetto ai coniugi, in costante aumento per gli uomini. Tra le donne anziane, l‘eccesso di mortalità di chi non si è mai sposato rispetto a chi lo ha fatto, è aumentato. I norvegesi non sposati presentano dunque una minore sopravvivenza di fronte ad una diagnosi di cancro.

     

    • Nell’agosto 2011 un ampio studio apparso in un editoriale del “British Medical Journal” ha rivelato la presenza di benefici se si sceglie di sposarsi piuttosto che convivere. L’esperto dell’Università di Cardiff, John Gallacher, che ha preso in esame lo studio, ha sostenuto che un marito e una moglie felici mangiano in modo più sano, hanno più amici e si prendono maggiore cura l’uno dell’altro: «Il matrimonio e altre forme di relazione possono essere posti su una scala di impegni, maggiore è l’impegno e maggiore è il beneficio», spiega lo studioso. Il matrimonio visto come un impegno quindi e per questo associato a una migliore salute mentale in confronto alla convivenza, la quale solitamente è meno stabile.

     

    • Nell’agosto 2011 uno studio pubblicato negli Stati Uniti dall’ente di ricerca “Child Trends”, dal titolo “Parental Relationship Quality and Child Outcomes Across Subgroups”, ha concluso che i figliastri hanno una probabilità doppia, rispetto ai figli che vivono con i propri genitori sposati, di sviluppare problemi comportamentali. La problematicità è ancora superiore per i figli che vivono con una coppia di fatto, i quali presentano una probabilità tre volte superiore di avere problemi di comportamento.

     

    • Nel maggio 2011 su “The Journals of Gerontology” uno studio ha rilevato che i conviventi con disabilità hanno notevolmente meno probabilità di ricevere cure dal proprio partner rispetto a quanto avviene per le persone sposate. Questo risultato, si spiega, rispecchia l’evidenza di un minore impegno dei conviventi nella relazione e nell’assolvere gli obblighi inerenti l’istituzione del matrimonio.

     

    • Nel marzo 2011 uno studio pubblicato dall’Institute of Social and Economic Research dell’Università di Essexsu, sulla base di una serie di fattori indicativi, ha concluso che le persone conviventi sono significativamente meno felici nel loro rapporto rispetto alle persone sposate e i figli che vivono con un solo genitore sono meno propensi a dirsi del tutto felici della loro situazione.

     

    • Nel febbraio 2011 uno studio pubblicato su “BMC Public Health” ha rilevato che le donne conviventi con un partner senza essere formalmente sposate erano esposte ad maggiore rischio di violenza domestica rispetto a coloro che sono sposate.

     

    • Nel 2010 uno studio pubblicato sul “Bureau of Justice Statistics” ha mostrato che le donne sposate sono vittime di tutte le forme di violenza domestica in livelli drammaticamente inferiori rispetto alle donne conviventi. Per quanto riguarda gli uomini, quelli sposati hanno da 3 a 4 volte meno probabilità di commettere violenza contro i loro familiari e gli stranieri rispetto ai loro coetanei non sposati. Il matrimonio risulta dunque essere un meccanismo di sicurezza fondamentale

     

    • Nel 2010 una metanalisi complessiva ha concluso che la convivenza presenta una significativa associazione negativa con la stabilità coniugale e la qualità coniugale. Studiando tutti i principali studi sul tema si è anche scoperto che gli effetti negativi della convivenza sono rimasti costanti nel tempo, nonostante che essa sia diventata un comportamento più diffuso nella società.

     

    • Nell’agosto 2010 ricercatori della Northwestern University e dell’Università di Chicago hanno pubblicato uno studio sulla rivista “Stress”, rilevando una buona riduzione del livello di cortisolo, noto come l’ormone dello stress psicologico, sopratutto nei soggetti sposati o che hanno un partner stabile. Dario Maestripieri, professore di Sviluppo umano comparativo presso l’Università di Chicago, ha commentato: «anche se può sembrare che il matrimonio sia stressante, abbiamo un crescendo di prove che dimostrano come il matrimonio sia invece il tampone contro lo stress»

     

    • Nel 2010 Harry Benson, direttore del Bristol Community Family Trust, e Stephen McKay dell’università di Birmingham hanno ripartito 12.500 coppie con figli, sposate e non sposate, in cinque diverse categorie a seconda del reddito, scoprendo che anche paragonando coppie economicamente omogenee, quelle di fatto hanno da 2 a 2,5 volte più probabilità di rompersi di quelle sposate. Inoltre, il 97% delle coppie intatte in cui i figli abbiano oltre 15 anni, sono coppie sposate. La convivenza a lungo termine, spiegano, è molto rara.

     

    • Nel luglio 2009 i ricercatori dell’Università di Denver hanno rilevato che le coppie che convivono prima di sposarsi (o le coppie di fatto) hanno una maggiore probabilità di divorziare rispetto a coloro che scelgono di aspettare a vivere insieme fino a dopo il matrimonio. Inoltre, queste coppie hanno riferito una soddisfazione più bassa rispetto al loro matrimonio.

     

    • Nel 2008 i dati del “US Census” hanno mostrato che le donne (e i loro figli) hanno tre volte meno probabilità di vivere sempre in povertà, se sono sposate rispetto a quelle single o conviventi

     

    • Nel 2007 i ricercatori Paul Amato e Rebecca Maynard della Pennsylvania State University hanno argomentato attraverso uno studio che occorre prevenire le nascite al di fuori del matrimonio, propongono tassi di divorzio più bassi, offrendo programmi più educativi per le coppie prima e durante il matrimonio. Rivolgendosi ai sistemi scolastici offrono prove sul fatto che la salute e la corretta educazione sessuale sono molto problematiche per i genitori non sposati. Rafforzare il matrimonio, sostengono gli autori, è anche potenzialmente una strategia efficace per lottare contro la povertà.

     

    • Nel febbraio 2006 sul “Journal of Marriage and Family” uno studio si è concentrato sul ruolo del padre biologico, dimostrando che i figli che vivono lontano dal proprio padre naturale presentano un rischio maggiore di avere un’esperienza di crescita negativa.

     

    • Nel 2005 sul Journal of Human Sexuality i ricercatori evidenziato che il luogo migliore per la crescita di un bambino è all’interno di un matrimonio formato da un uomo e una donna. «Crescere un bambino in un ambiente in cui uno dei genitori è inevitabilmente assente», hanno inoltre spiegato, «è molto diverso dal pianificare una struttura familiare che elimina volutamente i ruoli di madre e/o padre». In questo caso si verificheranno «conseguenze negative per lo sviluppo del bambino e la sua probabilità di vivere una vita soddisfacente».

     

    • Nel 2005 sulla rivista “The Future of Children” il sociologo Steven Nock dell’University of Virginia ha mostrato come l’indebolimento della genitorialità è causato dalla rivoluzione contraccettiva, dal declino del matrimonio come principio organizzatore della vita adulta, e la sempre più accettata visione che il matrimonio e la paternità debbano essere questioni private. Egli considera poi le abbondanti prove scientifiche sulle conseguenze positive del matrimonio sia per quanto riguarda il benessere economico che la salute degli adulti americani.

     

    • Nel 2005 su “Journal of Marriage and Family” uno studio ha confermato gli effetti deleteri del divorzio, mostrando che i figli mostrano livelli più elevati di ansia/depressione e comportamento antisociale rispetto ai bambini i cui genitori restano sposati.

     

    • Nel 2005 studiosi della Harvard University hanno rilevato notevoli prove del fatto che il matrimonio aiuta a mantenere in vita gli esseri umani. Le persone separate, divorziate, single o vedove, infatti, presentano un rischio particolarmente elevato di morire prematuramente. Al contrario, i coniugi hanno un rischio più basso rispetto a tutti gli altri gruppi, e questa è una prova ormai verificata in tutto il mondo.

     

    • Nel 2005 il prof. P.R. Amato della Pennsylvania State University, ha dimostrato che i bambini che crescono con i due genitori biologici sposati, hanno meno probabilità di sperimentare una vasta gamma di problemi cognitivi, emotivi e sociali, non solo durante l’infanzia, ma anche in età adulta. Hanno inoltre un tenore di vita più elevato e fanno maggiori esperienze di cooperazione familiare, sono emotivamente più vicini ad entrambi i genitori, e sono sottoposti a meno eventi stressanti.

     

    • Nel 2005 un rapporto di un team diversificato di studiosi americani della famiglia, ha spiegato che «le persone sposate sembrano gestire meglio la malattia, monitorandosi la salute l’un l’altro, hanno redditi più alti e adottano migliori stili di vita di quanto non facciano i single».

     

    • Nel 2004 nello studio intitolato Father absence and youth incarceration (Center for Research on Child Wellbeing Working Paper), Cynthia C. Harper e Sara S. McLanahan hanno scoperto che i giovani che crescono in famiglie senza padre hanno il doppio delle probabilità di finire in prigione rispetto a quelli che provengono da famiglie tradizionali con due genitori.

     

    • Nel 2004 i ricercatori Gregory Acs e Sandi Nelson hanno concluso la loro ricerca con queste parole: «studio dopo studio costantemente i documenti dicono che, in media, i bambini che vivono con i propri genitori sposati, biologici o anche adottivi, se la passano meglio su una serie di indicatori rispetto ai bambini in qualsiasi sistema vivente».

     

    • Nel 2004, uno studio realizzato da “Urban Institute” ha rilevato che «vivere con genitori conviventi non è così benefico per i bambini come vivere con genitori sposati». Valutando tutta una serie di studi precedenti, i ricercatori hanno tentato di spiegare il motivo per cui «i bambini vivono con conviventi non se la passano così come i bambini che vivono con genitori sposati».

     

    • Nel giugno 2004 ricercatori del dipartimento di Psicologia dell’Università di Denver hanno mostrato che coloro che hanno convissuto prima del matrimonio hanno avuto maggiori interazioni negative, minore impegno interpersonale, un inferiore qualità del rapporto, più bassi livelli di fiducia rispetto alle persone che non hanno convissuto prima del matrimonio (anche dopo aggiustamenti sulla durata della convivenza). I risultati suggeriscono dunque che coloro che convivono prima del matrimonio sono a maggior rischio per una povertà di risultati coniugali.

     

    • Nel maggio 2004 uno studio su “Journal of Marriage and Family” ha mostrato che i bambini che vivono in famiglie con genitori biologici conviventi sperimentano risultati peggiori, in media, rispetto a quelli che risiedono con due genitori biologici sposati. Tra gli adolescenti dai 12-17 anni, la convivenza dei genitori è associata negativamente al benessere, a prescindere dai livelli economici.

     

    • Nel febbraio 2004 sul Journal of Marriage and Family si è valutato il benessere dei figli cresciuti in famiglie ricostituite (campione 13 mila), arrivando alla conclusione che gli adolescenti che vivono con genitori acquisiti, spesso conviventi, hanno uno sviluppo peggiore rispetto ai loro coetanei che vivono con due genitori biologici sposati, e gli adolescenti che vivono in famiglie ricostituite conviventi vivono un’esperienza di maggiore svantaggio rispetto ai loro coetanei che vivono in famiglie ricostituite coniugate.

     

    • Nel novembre 2003 uno studio su “Journal of Marriage and Family” ha rilevato che gli adolescenti che vivono con genitori acquisiti o conviventi spesso vivono una situazione peggiore rispetto ai loro coetanei che vivono con i due genitori biologici sposati. I risultati, spiegano gli autori, contribuiscono alla comprensione del dibattito sulla convivenza circa l’importanza del matrimonio per i bambini.

     

    • Nell’agosto 2003 uno studio pubblicato su “Journal of Marriage and Family” ha rilevato che i coniugi che hanno convissuto prima del matrimonio hanno anche riferito una qualità inferiore del loro rapporto coniugale e una maggiore instabilità della relazione.

     

    • Nel maggio 2003 uno studio del “Center for Law and Social Policy” ha rilevato che in media i bambini che crescono in famiglie con entrambi i genitori biologici lo fanno in modo migliore rispetto a coloro che crescono con genitori single o conviventi. Rispetto ai bambini cresciuti da genitori sposati, i bambini in altri tipi di condizioni hanno più probabilità di raggiungere livelli più bassi di istruzione, diventare genitori adolescenti, maggiori problemi di salute mentale e maggiore povertà.

     

    • Nel maggio 2003 sul “Journal of Marriage and Family Study” è stato mostrato infatti che le coppie conviventi hanno dalle quattro alle otto volte più probabilità di interrompere il loro rapporto rispetto a coloro che sono sposati. Secondo un altro studio– anche una volta sposati, coloro che hanno convissuto prima del matrimonio hanno più probabilità di separarsi o divorziare (il 33% in più, in particolare) rispetto a chi non ha convissuto.

     

    • Nel 2003 uno studio sociologico ha rilevato che i bambini che vivono con genitori sposati (sia biologici che adottivi) provano meno esperienze di disagio materiale rispetto ai bambini che vivono con madri sole, con genitori conviventi o acquisiti

     

    • Nel 2002 una ricerca basata sui dati del National Longitudinal Study Educational (Nels), pubblicata su “Demography”, ha scoperto che gli adolescenti che vivono con genitori non sposati (conviventi) hanno meno probabilità di arrivare al diploma di scuola superiore o di frequentare il college, sono più propensi a fumare o bere, e più propensi ad avviare precocemente l’attività sessuale.

     

    • Nel 2002 sul “Journal of Marriage and Family” ricercatori della Pennsylvania State University hanno rilevato che le coppie che convivono prima del matrimonio hanno una maggiore instabilità coniugale rispetto alle coppie che non convivono. Inoltre, i coniugi che convivono prima del matrimonio presentano più alti tassi di separazione coniugale e di divorzio

     

    • Nel 2002 uno studio realizzato dal Max-Planck-Institut, intitolato “Dissolution of unions in Europe: A comparative overview” e basato su 17 Paesi nord americani e europei ha mostrato che – senza eccezioni – le convivenze hanno una più bassa probabilità di sopravvivere, rispetto ad unioni iniziate direttamente con un matrimonio. Non solo, ma -scrivono i ricercatori- «alcuni paesi europei sono caratterizzati da particolarmente stabili modelli familiari. Questi paesi si trovano in diverse zone d’Europa, ma tutti hanno in comune la caratteristica di essere fortemente dominati dalla confessione cattolica», ed inoltre, «le coppie che iniziano la loro unione con la convivenza sono esposte a rischi di perturbazione notevolmente superiori rispetto alle coppie che iniziano a vivere insieme solo dopo il matrimonio». Paesi con una quota più alta di unioni di fatto sperimenteranno un’alta proporzione di unioni instabili.

     

    • Nel 2002 i ricercatori E. Dourleijn E e A. Liefbroer hanno confermato che le persone che convivono e non sono sposate e le persone che hanno convissuto prima del matrimonio (ex conviventi), presentano un più alto rischio di scioglimento dell’unione sentimentale rispetto a coloro che hanno iniziato la convivenza dopo il matrimonio. Gli ex conviventi hanno infatti un basso livello di impegno rispetto al matrimonio in generale, un atteggiamento negativo sulla vita familiare o presentano personalità o caratteristiche socio-economiche che li predispongono alla dissoluzione della relazione. I risultati rivelano anche che se la convivenza è praticata da circa la metà della popolazione, allora gli ex conviventi si trovano ad avere circa gli stessi rischi di dissoluzione delle persone sposate, «tuttavia, i loro rischi di scioglimento saranno sempre superiori a quelli delle persone che si sono sposate subito senza convivere prima».

     

    • Nel 2002 su “Journal of Marriage and Family” uno studio ha mostrato che vivere separati da entrambi i genitori biologici, indipendentemente dal motivo, è associato ad un aumentato rischio di divorzio in età adulta. In particolare, i bambini nati fuori dal matrimonio, anche se non hanno sperimentato il divorzio dei genitori o la loro morte, avvertono un rischio molto elevato di interruzioni coniugali quando saranno adulti.

     

    • Nel 2002 lo studio “The Kids Are Alright? Children’s Well-Being and the Rise in Cohabitation” ha rilevato che i bambini hanno molta meno probabilità di essere poveri, di soffrire di insicurezza alimentare, di leggere raramente, e avere problemi comportamentali, se essi vivono all’interno di una coppia sposata, piuttosto che con genitori conviventi. I figli di questi ultimi hanno comunque qualche beneficio in più rispetto ai bambini che vivono con madri single.

     

    • Nell’ottobre 2002 i ricercatori W. Sigle-Rushton e S. McLanahan hanno espresso preoccupazione per l’aumento delle convivenze piuttosto che il matrimonio, del sesso prematrimoniale, del tasso di divorzi poiché un grande corpo di ricerca indica in modo chiaro che tutto questo ha un impatto deleterio sui bambini, sulle famiglie e sula società nel suo complesso. In particolare lo studio ha dimostrato che i bambini cresciuti in con madri single sono svantaggiati rispetto ai loro coetanei e questo inconveniente persiste oltre l’infanzia. L’assenza del padre inoltre porta a risultati negativi nel rendimento scolastico, nella salute psicologica, maggiori comportamenti delinquenziali e minore benessere economico e delle relazioni in età adulta.

     

    • Nel giugno 2002 i sociologi Kristin Anderson Moore, Susan M. Jekielek e Carol Emig, attraverso il loro studio, hanno dimostrato che esiste un ampio corpus di ricerche che indicano come i bambini si sviluppano meglio quando crescono con entrambi i genitori biologici, all’interno di un matrimonio. Hanno affermato in particolare: «non è semplicemente la presenza di due genitori, ma è la presenza di due genitori biologici che sembra sostenere lo sviluppo dei bambini». Essi hanno concluso promuovendo strategie per la riduzione delle nascite fuori del matrimonio e invitando a sostenere i matrimoni stabili.

     

    • Nel 2001 uno studio realizzato dall’Urban Institute ha mostrato che gli adolescenti (sia bianchi che ispanici) che vivono in famiglie con genitori conviventi presenta una situazione peggiore, in media, rispetto a quelli che vivono con madri single: mostrano significativamente più probabilità di un minor impegno scolastico, hanno più probabilità di essere sospesi o espulsi dalla scuola (sempre rispetto a quelli che vivono con una madre single). «La nostra analisi», scrivono i ricercatori, «dimostra che vivere con una madre single e il suo fidanzato non è migliore di vivere con soltanto una madre single. In molti casi (in particolare per i bianchi e gli ispanici), è significativamente peggiore. I risultati più favorevoli che osserviamo, invece, sono per gli adolescenti che vivono con i loro genitori biologici, che sono sposati l’uno all’altro»

     

    • Nel novembre 2001 una ricerca su “Journal of Marriage and Family” ha mostrato che il divorzio dei genitori ha approssimativamente raddoppiato le probabilità che i figli avrebbero visto a loro volta la fine del proprio matrimonio con un divorzio. Invece, i figli che hanno visto i loro genitori rimanere sposati, anche se con difficoltà, non hanno rilevato un elevato rischio di divorzio.

     

    • Nell’agosto 2001 uno studio ha mostrato come gli adolescenti maschi e femmine provenienti da famiglie divorziate presentano maggiori problemi accademici, psicologici e comportamentali di coetanei i cui genitori restano sposati. Le analisi indicano che le adolescenti di sesso femminile hanno più probabilità di essere colpite dal processo di divorzio dei genitori, rispetto agli adolescenti di sesso maschile.

     

    • Nel 2001 uno studio della Florida Atlantic University basato su oltre 400.000 omicidi commessi tra il 1976 e il 1994, si è concentrato sul tasso di uxoricidio (l’omicidio di una donna dal suo partner). Si è riscontrato che l’incidenza di uxoricidio era nove volte superiore nelle donne che convivevano con gli uomini rispetto a quelle che erano invece sposate.

     

    • Nel maggio 2000 uno studio sul “Journal of Marriage and Family” ha mostrato che rispetto ai bambini cresciuti con madri vedove, i figli cresciuti con madri divorziate presentano livelli significativamente più bassi di istruzione, stato occupazionale e felicità in età adulta.

     

    • Nel 2000 uno studio pubblicato su “Journal of Health and Social Behavior” ha confrontato la convivenza con il matrimonio, rilevando che i conviventi maschi e femmine, in particolare, presentano livelli più elevati di depressione (2,8 volte in più) e maggiori livelli di consumo di alcol, rispetto ai loro coetanei sposati.

     

    • Nel 2000 una relazione dell’U.S. Department of Justice, intitolata “Intimate Partner Violence” ha rilevato che le donne sposate nelle famiglie tradizionali presentano un minor tasso di violenza, al contrario delle donne unite in altri tipi di relazioni. Le donne non sposate al loro “partner intimo” (cioè, erano conviventi), hanno infatti registrato un tasso di violenza quattro volte superiore a quello delle donne sposate (11,3 per mille rispetto a 2,6 per mille).

     

    • Nel 2000 la sociologa Linda Waite, esperta in famiglia e matrimonio, e il sociologo Maggie Gallagher, hanno spiegato nel loro libro The Case for Marriage: Why Married People are Happier, Healthier and Better Off Financially (Doubleday, 2000), che «le persone sposate sono più felici, più sane e hanno migliori condizioni economiche: infatti, praticamente tutti gli studi realizzati hanno scoperto che uomini e donne sposati sono più felici dei single. Il vantaggio della felicità per le persone sposate è molto grande e molto simile per uomini e donne, e appare in ogni paese su cui abbiamo informazioni» (pag. 168). Inoltre, dallo studio è emerso che le persone sposate sono molto più capaci di essere fedeli rispetto ai loro coetanei conviventi, in particolare gli uomini conviventi hanno presentato quasi quattro volte più probabilità, rispetto ai mariti, di aver tradito l’anno precedente, ma anche le donne conviventi -generalmente più fedeli degli uomini-, hanno presentato otto volte più probabilità, rispetto alle mogli, di tradire il partner

     

    • Nel 2000 il prof. il prof. David Popenoe, docente di sociologia e co-direttore del National Marriage Project presso la Rutgers University, ha scritto il libro “Life without Father” nel quale ha documentato come «il declino della paternità è uno dei problemi più inquietanti che affliggono la società americana: criminalità, sessualità prematura e fuori dal matrimonio, nascite da adolescenti, deterioramento rendimento scolastico, depressione, abuso di sostanze e di alienazione tra gli adolescenti, e la numero crescente di donne e bambini in condizioni di povertà derivano da essa».

     

    • Nel 1998 una ricerca su “Journal of Marriage and Family” ha rilevato che il rischio del consumo di droga è più alto tra gli adolescenti in custodia a padri non biologici (padre acquisito) e a padri single, anche dopo aver aggiustato gli effetti per sesso, età, razza-etnia e reddito familiare. Il rischio di uso di droga è più basso nei figli cresciuti in famiglie con madre e padre biologici.

     

    • Nel 1998, un importante studio sul “Journal of Marriage and the Family” ha esaminato il legame tra felicità personale e lo stato civile in 17 diverse nazioni industrializzate, trovando che le persone sposate hanno un livello significativamente più alto di felicità rispetto alle persone non sposate. Questo effetto era indipendente a protezioni finanziarie e alle variabili di controllo, comprese le condizioni socio-demografiche e di carattere nazionale.

     

    • Nel 1998 il docente di sociologia all’Università della Virginia, Steven L. Nock, ha pubblicato il libro “Marriage in Men’s Lives” (Oxford University Press 1998) nel quale spiega e dimostra come il matrimonio e la paternità promuovano un senso di scopo, un maggiore impegno e responsabilità che porta gli individui a proteggere la loro salute al fine di prendersi cura degli altri

     

    • Nel 1996 è stato pubblicato il volume “Life without father” (The Free Press 1996) di David Popenoe, professore emerito di Sociologia persso la Rutgers University, nel quale si dimostra come i bambini nati al di fuori matrimonio hanno cinque volte più probabilità di vivere in povertà, rispetto a chi cresce all’interno famiglie stabili e intatte. Inoltre questi bimbi presentano due o tre volte più probabilità di avere problemi psichiatrici da adolescenti. Il sociologo spiega che, anche se è evidente che vi siano casi in cui bambini allevati da genitori single non presentano questi problemi, sono però un’eccezione: «in tre decenni di attività come scienziato sociale, conosco pochi altri organismi di dati in cui il peso delle prove è così decisamente concorde sul fatto che i bambini nati in famiglie con due genitori sono preferibili a quelle con un solo genitore e a genitori non sposati», ha affermato Popenoe a pag. 176

     

    • Il 6 aprile 1995 con un articolo su “The New England Journal of Medicine” viene recensito uno studio realizzato da Sara McLanahan e Garry Sandefur. Si legge: «C’è bisogno di preoccuparsi per l’aumento delle famiglie monoparentali, o si tratta semplicemente di stili di vita alternativi, senza conseguenze per lo sviluppo del bambino? I dati raccolti da McLanahan e Sandefur dimostrano inequivocabilmente che i bambini hanno bisogno di due genitori. Non è che le madri single non possono crescere figli che diventeranno adulti con successo, la maggior parte lo fanno. Ma il rischio di un esito sfavorevole è molto più elevato per i bambini in famiglie monoparentali rispetto a quelli in famiglie con due genitori. I dati dimostrano che i bambini che crescono in famiglie monoparentali, se i genitori non sono sposati, o sono separati o divorziati, hanno il doppio del rischio di andare male a scuola, problemi comportamentali, abbandono della scuola superiore, essere senza lavoro, mentre per le ragazze c’è il doppio del rischio di diventare madri adolescenti». Questo perché «separazione e divorzio sono evidenti fattori di stress per i bambini», inoltre con «il nuovo matrimonio molti bambini devono adattarsi ai genitori acquisiti e fratellastri, un terzo di questi secondi matrimoni finisce in un altro divorzio, portando ad ulteriore stress».

     

    • Nel gennaio 1995 Steven L. Incocco dell’University of Virginia ha pubblicato uno studio su “Journal of Family Issues” rilevando che le persone conviventi hanno maggiore probabilità di esprimere livelli più bassi di impegno nelle loro relazioni, di riferire livelli inferiori di felicità nelle loro relazioni e di avere rapporti con i genitori più poveri rispetto alle persone sposate.

     

    • Nel 1994 uno degli studi più grandi e sofisticati mai condotto sulla sessualità negli Stati Uniti ha rilevato che, condotto da Robert T. Michael, John H. Gagnon, Edward O. Laumann e Gina Kolata, ha rilevato che le persone che hanno riferito i massimi livelli di soddisfazione sessuale fisica ed emotiva sono coppie sposate, arrivate al matrimonio senza precedenti esperienze sessuali

     

    • Nel 1993 uno studio pubblicato su “American Sociological Review” ha mostrato come l’esperienza del divorzio e della disgregazione familiare durante l’infanzia aumenta notevolmente le probabilità di avere un basso stato occupazionale in età adulta. Al contrario, i soggetti che provengono da ambienti familiari composti dai due genitori biologici mostrano l’opposto.

     

    • Nel 1992 sulla rivista “Journal of Marriage and Family” uno studio ha rilevato che genitori single, matrigne e patrigni e partner conviventi offrono meno attenzioni positive ai bambini rispetto ai genitori originali. Secondo i ricercatori questo è dovuto al fatto che due adulti sono più efficaci di uno, e che i genitori adottivi o acquisiti sono maggiormente estranei riguardo ai bambini.

     

     

    • Nel 1992 ricercatori della Bowling Green State Univeristy hanno dimostrato che la convivenza è associata ad un rischio maggiore di scioglimento, tanto che la moltitudine di dati ha portato ad affermare che la probabilità maggiore di divorzio dopo la convivenza «sta iniziando ad assumere lo status di una generalizzazione empirica».

     

    • Nel 1992 una ricerca condotta congiuntamente da ricercatori dell’Università di Yale e dell’Università della California ha rilevato che uno dei risultati più consistenti in epidemiologia psichiatrica è che le persone sposate godono di una migliore salute rispetto a quelle non sposate. I ricercatori hanno riscontrato il maggior numero di disturbi mentali tra i divorziati e separati, mentre il tasso più basso era tra le persone sposate. Single e vedovi erano in una fascia intermedia.

     

    • Nel 1992 sociologi dell’Università del Wisconsin-Madison hanno pubblicato uno studio attraverso il quale si dimostrava che le coppie che avevano convissuto prima di sposarsi riferivano una peggiore qualità del loro matrimonio, un minore impegno, una visione più individualistica ed una maggiore probabilità di divorzio rispetto alle coppie che non avevano convissuto. Gli effetti negativi crescevano al crescere del periodo di convivenza.

     

    • Nel 1991 su “American Sociological Review” è stato rilevato che i bambini che vivono con i genitori single o genitori acquisiti in una convivenza (o secondo matrimonio) ricevono meno incoraggiamento e meno aiuto nell’attività scolastica rispetto ai bambini che vivono con entrambi i genitori naturali (biologici).

     

    • Nel 1991 una rassegna di oltre 130 studi pubblicati negli ultimi 100 anni, realizzata da ricercatori dell’University of California, ha mostrato un alto impatto sul benessere personale dovuto al matrimonio. Le persone sposate, infatti, hanno mostrato una miglior salute e benessere rispetto alle persone in qualsiasi altra categoria relazionale.

     

    • Nel 1990 lo studio intitolato “Mortality Differentials by Marital Status: An International Comparison” ha rilevato che uomini di mezza età non sposati, siano essi single, divorziati o vedovi, hanno in media due volte più probabilità dei loro coetanei sposati di morire prematuramente. Le donne non sposate, invece, presentano circa una volta e mezzo più probabilità di morte prematura rispetto alle donne sposate. Questi risultati sono coerenti a livello internazionale.

     

    • Nel 1989 i ricercatori Lois Verbrugge e Donald Balaban hanno rilevato che le donne e gli uomini non sposati generalmente trascorrono il doppio del tempo come pazienti negli ospedali rispetto ai loro coetanei sposati.

     

    • Nel 1988, una ricerca di ricercatori dell’Università del Wisconsis pubblicato sull’American Sociological Review ha esaminato gli effetti della disgregazione della famiglia nell’infanzia sull’esperienza familiare da adulti, rilevando una forte evidenza del fatto che le donne che trascorrono parte della loro infanzia in famiglie monoparentali sono più propense a sposarsi e avere figli precocemente, a partorire prima del matrimonio, e vedere rompere il loro matrimonio.

     

    • Nel 1988, l’American Sociological Review ha pubblicato una ricerca secondo cui il tasso di divorzio o scioglimento della coppia per coloro che avevano convissuto prima del matrimonio era superiore dell’80% rispetto a coloro che non avevano mai convissuto.

     

    • Nel giugno 1988 uno studio sul “Journal of Family Issues” ha completamente respinto l’idea che la convivenza prima del matrimonio migliori la scelta del partner. Essa è infatti risultata essere negativamente correlata all’interazione coniugale e positivamente correlata al disaccordo coniugale e alla propensione al divorzio.

     

    • Nel 1984 lo psicologo E. Greenberger si è concentrato sul confronto tra crescita dei bambini in famiglie monoparentali e con due genitori, rilevando che contributi essenziali per lo sviluppo ottimale dei bambini, come l’indipendenza e l’individualità, sono virtualmente impossibili da offrire per chi è single e che la famiglia è l’ambito primo e più importante per lo sviluppo di sentimenti sul sé.

     

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Psicologi contro adozioni gay: ecco quanti sono

Cosa dicono gli psicologi sulle adozioni alle coppie dello stesso sesso? Esiste un fronte compatto a sostegno dell’omogenitorialità e delle adozioni gay? Vi è una unanimità di parere sul tema da parte degli esperti? Niente di più lontano dalla verità.

In questo dossier (è quello originale, sul web esistono copia e incolla di questo), continuamente aggiornato, abbiamo raccolto gli interventi più autorevoli e noti di scienziati, psicologi, psichiatri, esperti dell’infanzia, filosofi, giuristi, magistrati, sociologi e pediatri: addetti ai lavori che però raramente trovano spazio sui grandi media. Questo dossier è correlato a quello sugli studi scientifici in merito all’omogenitorialità).

 

Elenco degli psicologi (e non solo) contrari all’omogenitorialità.

Una raccolta di citazioni con relative fonti nelle quali decine di intellettuali ed esperti (indipendentemente dal credo o non credo religioso) hanno manifestato che non è affatto positivo per i bambini, né sinonimo di progresso, venire affidati o adottati a coppie dello stesso sesso.

 

La psicanalista Claude Halmos, una dei massimi esperti riconosciuti in età infantile, ha spiegato che è sbagliato affermare che le coppie omosessuali sono uguali a quelle etero, e «rivendicando il “diritto alla non differenza” richiedono che le coppie gay abbiano il diritto “come le coppie eterosessuali” di adottare bambini . Questo mi sembra un grave errore». Così, ha proseguito:

«I bambini che hanno bisogno di genitori di sesso diverso per crescere». La questione, ha scritto, non è se «gli omosessuali maschili o femminili sono “capaci” di allevare un bambino», ma essi non «possono essere equivalenti ai “genitori naturali” (necessariamente eterosessuali)». In questo dibattito, inoltre, «il bambino come persona, come un “soggetto” è assente». Ed ecco il vero punto della questione: «ignorando un secolo di ricerche, i sostenitori dell’adozione si basano su un discorso basato sull”amore”, concepito come l’alfa e l’omega di ciò che un bambino avrebbe bisogno», non importa se esso arrivi da un uomo e una donna, o da due donne. Ma queste affermazioni, ha continuato la psicanalista, «colpiscono per la loro mancanza di rigore» perché «un bambino è in fase di costruzione e, come per qualsiasi architettura, ci sono delle regole da seguire se si tratta di “stare in piedi”. Quindi, la differenza tra i sessi è un elemento essenziale della sua costruzione». Invece si vuole mettere il bambino «in un mondo dove “tutto” è possibile: dove gli uomini sono i “padri” e anche “mamme”, le donne “mamme” e anche “papà”. Un mondo magico, onnipotente, dove ciascuno armato con la sua bacchetta, può abolire i limiti», ma questo risulta essere «debilitante per i bambini». Essi si “costruiscono” attraverso «un “legame” tra il corpo e la psiche, e i sostenitori dell’adozione si dimenticano sempre il corpo. Il mondo che descrivono è astratto e disincarnato». Nella differenza sessuale, invece, «tutti possono trovare il loro posto […], consente al padre di prendere il suo posto come “portatore della legge […], permette al bambino di costruire la sua identità sessuale».

 

La psicologa italiana, Silvia Vegetti Finzi, docente di Psicologia Dinamica presso l’Università di Pavia, membro del Comitato Nazionale di Bioetica e dell’Osservatorio Permanente sull’infanzia e l’adolescenza è intervenuta sul Corriere della Sera spiegando:

Sigmund Freud definisce l’Edipo come “l’architrave dell’inconscio”, cioè «il triangolo che connette padre, madre e figlio. Entro le sue coordinate si svolgono i rapporti inconsci erotici e aggressivi, animati dall’onnipotenza Principio di piacere, “voglio tutto subito”, che coinvolgono i suoi vertici. Per ogni nuovo nato il primo oggetto d’amore è la madre ma si tratta di un possesso sbarrato dal divieto dell’incesto, la Legge non scritta di ogni società». La rivalità con il padre, nell’immaginario, è automatica e termina per due motivi: «per il timore della castrazione, la minaccia di perdere il simbolo dell’Io, e per l’obiettivo riconoscimento della insuperabile superiorità paterna. Non potendo competere col padre, il bambino s’identifica con lui e sceglie come oggetto d’amore, non già la madre, ma la donna che le succederà». Attraverso questo gioco delle parti, dunque, il figlio riesce a prendere «il posto che gli compete nella geometria della famiglia, assume una identità maschile e si orienta ad amare, a suo tempo, una partner femminile. Tralascio qui il percorso delle bambine, troppo complesso per ridurlo a mera specularità. Ma già quello maschile è sufficiente a mostrare come l’identità sessuale si affermi, non in astratto, ma attraverso una “messa in situazione” dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori». Noi non abbiamo un corpo e «non è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale. La psicoanalisi non è una morale e non formula né comandamenti né anatemi ma, in quanto assume una logica non individuale ma relazionale, mi sembra particolarmente idonea a dar voce a chi, non essendo ancora nato, potrà fruire soltanto dei diritti che noi vorremo concedergli».

 

Pietro Zocconali, presidente dell’Associazione Nazionale Sociologi (ANS), ha affermato:

«I bambini sono dotati di grande capacità di adattamento, tuttavia, sulla base della letteratura scientifica disponibile vivono meglio quando trascorrono l’intera infanzia con i loro padri e madri biologici. Il bambino riconosce se stesso e il proprio futuro rispecchiandosi e relazionandosi al maschile e al femminile di una madre e di un padre, biologici o adottivi. In assenza di questa diversità sessuale il benessere del bambino è a rischio, come dimostra la stragrande maggioranza dei dati raccolti dalla più validata letteratura psico-sociale a livello mondiale e non da quattro sofismi artatamente richiamati dalla comunità gay e privi di riconoscimento scientifico».

 

Giovanni Corsello, presidente della Società italiana di Pediatria, ha affermato:

«vivere in una famiglia senza la figura materna o paterna potrebbe danneggiare il bambino. Materie delicate come la stepchild adoption sollevano forti interrogativi. Alcuni bimbi che hanno due mamme o due papà mostrano maggiori difficoltà di inserimento sociale e scolastico, e manifestano nelle attività ludiche segnali di fragilità e turbamento».

In un precedente intervento aveva detto:

«Ciò che risulta rischioso e inutile è un dibattito teso a promuovere situazioni simili come assolutamente fisiologiche. Non si può infatti negare, sulla base di evidenze scientifiche e ragionamenti clinici, che una famiglia costituita da due genitori dello stesso genere può costituire un fattore di rischio di disagio durante l’infanzia e l’adolescenza, quando il confronto con i coetanei e le relative ricadute psicologiche, diventano elemento decisivo sul piano relazionale. Non si possono considerare legittimi i diritti di una coppia di genitori senza contemporaneamente valutare contestualmente e nella loro interezza e globalità i diritti dei figli».

 

Alberto Villani, vicepresidente della Società Italiana di Pediatria, ha dato supporto e conferma alla posizione assunta pubblicamente dal dott. Giovanni Corsello, presidente della Società italiana di Pediatria:

«Il professor Corsello, presidente della Società Italiana di Pediatria, ha detto quello che credo sia importante dire, ossia che va salvaguardata la figura del bambino; come pediatri non possiamo da un lato dire, ad esempio, che l’allattamento materno svolge un ruolo fondamentale e poi negare il ruolo della madre. Quindi la madre non può essere importante solo quando allatta o solo quando c’è la gestazione. Da anni ormai, grazie all’epigenetica si è ben compreso che un individuo è quello che è sua madre prima ancora di concepire l’individuo. Quindi è chiaro che nella formazione, nella crescita di un bambino, il ruolo materno e il ruolo paterno sono fondamentali. Noi dobbiamo prevedere per il bambino quella che è la sua situazione ottimale. Quindi senz’altro esiste un ruolo paterno, un ruolo materno, esiste anche addirittura una genetica diversa e innegabilmente questo ha un valore».

 

Francesco Paravati, presidente della Società Italiana di Pediatria Ospedaliera (SIPO), ha dichiarato in merito alle cosiddette “nuove famiglie” (divorziati, conviventi, omosessuali…):

«Quello che c’è di scientifico oggi dimostra che il bambino cresce confuso nell’identità perché perde i punti di riferimento, sia nelle “famiglie” monoparentali che nelle unioni omosessuali. Il problema a carico del bambino è una difficoltà ad interloquire con punti di riferimento chiari». In questi contesti familiari, ha continuato Paravati, «il bambino rimane ancora più, diventa un bambino meno sociale, un bambino che matura più tardi, con ritardi nel linguaggio». In particolare, i figli delle coppie omosessuali «in Italia sono 100 mila, ma negli Stati Uniti sono milioni e il problema è davvero ragguardevole e occorre davvero una riflessione. La problematica è data principalmente dal fatto che il bambino, sopratutto nei primi anni di vita, è più confuso in cui manca un riferimento ad un’identità di entrambi i genitori. Avere due mamme, una mamma che fa da papà diventa difficoltoso, anche nei riscontri dell’ambito sociale. Il punto principale è la crescita in uno stato di confusione per quanto riguarda i punti di riferimento genitoriali, importante nella vita psicologica di un bambino». Ha anche sottolineato che in ogni caso «le problematiche delle “nuove famiglie” sono fenomeni recenti, tutti i risultati di qualunque organismo scientifico sono perciò preliminari e non definitivi. Avrei comunque un atteggiamento pregiudiziale». In conclusione, rispetto alle famiglie monoparentali (separazione), «il problema del bambino è decisamente complesso. Queste famiglie sono confuse nei loro confronti, spesso i genitori hanno troppi anni per accudirli, esistono 4-6 nonni in seguito alla prima e seconda unione. E’ una situazione devastante per i bambini».

 

Il presidente della Asociación Española de Pediatría (AEP), dott. Alfonso Delgado Rubio, ha affermato:

L’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali «non è la situazione ideale» per la loro crescita. Al contrario, «avere un padre e una madre è la situazione naturale e logica». L’opzione successiva, secondo i pediatri spagnoli, è l’adozione da parte di una donna o di un uomo single e senza un partner, anche se nemmeno questa può essere ritenuta una “situazione ideale”.

 

Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio per i Diritti dei minori e e consulente della Commissione parlamentare per l’Infanzia, ha affermato:

«Un’equipe, guidata dal prof. Loren Marks della Louisiana State University ha messo a punto un’ennesima analisi, pubblicata sul Social Science Research, che attesta le notevoli differenze sussistenti tra figli adottati da coppie gay conviventi e figli naturali di coppie eterosessuali». Una analisi, quella citata da Marziale, che secondo lui stesso, valida «quanto rilevato da Mark Regnerus, professore di Sociologia presso l’Università di Austin, a capo di un’equipe che ha osservato che quanti sono cresciuti in famiglie omosessuali sono dalle 25 alle 40 volte più svantaggiati dei loro coetanei cresciuti in famiglie normali. Sono costretto a ripetere che non sono omofobo e che sono aperto ad ogni altro sacrosanto diritto civile per la comunità omosessuale, ma sulle adozioni non è dato transigere. Si tratta del diritto di ogni bambino ad avere una famiglia pedagogicamente completa delle figure di riferimento, maschile e femminile, e non già di appagare le voglie degli adulti che per avere figli devono ricorrere a metodi alternativi rispetto al naturale rapporto eterosessuale».

 

Il neuropsicologo Nacho Calderon, direttore dell’Instituto de Neuropsicología y Psicopedagogía Aplicadas (INPA) di Madrid, ha affermato:

«L’ideologia del gender è appunto un’ideologia. Le ideologie vanno e vengono, ma gli animali sono maschi e femmine sessuati da 10.000 milioni di anni. L’effetto che può avere è quella di provocare uno sviluppo inadeguato dei bambini. Già a quattro anni i bambini non solo hanno chiaro di che sesso sono, ma sono in grado di distinguere quello degli altri. Senza bisogno che vedano le nudità, ma solo dall’aspetto fisico, dai caratteri sessuali secondari, dai lineamenti del volto e, in base ad essi, si comporta in modo appropriato».

 

Giuseppe Di Mauro, presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS), affiliata alla SIP Società Italiana di Pediatria, ha escluso ogni possibilità alle adozioni gay:

«noi ci batteremo sempre sul fatto che la famiglia è composta da uomo e donna con figli, e possibilmente con più di un figlio». Ha poi continuato il pediatra, rispetto alle famiglie monoparentali: «se nel contesto sociale il bambino si trova a vivere solo con la mamma o solo con il papà, sicuramente c’è una diversità, c’è qualcosa che non funziona». Parlando di unioni omosessuali, «io mi auguro che in Italia e in Europa non venga mai approvata una legge sulle adozioni gay, questi bambini che emulano la famiglia, i genitori…si rischia di fare un esercito di gay, è qualcosa che non vedo bene, è tendenzialmente ad alto rischio che il bambino abbia problemi psichiatri e psicosomatici. Creiamo un diverso, un qualcosa di anti-naturale, noi abbiamo maschi e femmine e non vedo altre caselle». Il pediatra ha quindi proseguito: «sono sicuro che la stragrande maggioranza di questi ragazzi possono avere dei problemi non indifferenti. Se la famiglia è il punto di riferimento, allora io che sono figlio di due gay come posso fare tutto il contrario di quello che fanno i miei genitori?». La famiglia deve insegnare anche il comportamento sessuale, «ci sono attività e comportamenti che il bambino vuole condividere con il padre e altri con la madre. Noi dobbiamo combattere sul fatto che il nucleo uomo-donna-bambini non deve sfaldarsi». De Mauro ha infine ribadito la più totale contrarietà all’adozione da parte di coppie gay, «non permetterei mai, se fossi io a decidere in Italia, di far allevare un figlio -con tutto il rispetto ai gay- ad una coppia omosessuale. L’importante è difendere il bambino, a me interessa questo. L’omosessuale faccia l’omosessuale, ma non è adatto ad accudire un figlio, non può andare contro natura. Io penso al bambino, noi pediatri vogliamo una salute fisica e psicologica del bambino».

In un’altra occasione ha confermato:

«Da pediatra ritengo che il bambino deve incontrare stili educativi diversi, uomo-donna; dal suo punto di vista l’habitat migliore è quello di una famiglia composta da padre e madre uniti il più a lungo possibile. Perché quello che deve interessare è il bambino. Non c’entra niente il “diritto” dei genitori, non sono in discussione quelli legali o civili degli omosessuali, c’è di mezzo un’altra persona. Bisogna chiedersi: in queste situazioni il bambino è contento? Come medico mi interessa non solo la sua salute fisica ma anche quella psichica, etica e morale, il suo equilibrio affettivo». Nell’articolo Minori affidati ad omosessuali: il punto della ricerca la SIIPS ha sintetizzato ottimi argomenti contro l’affidamento dei bambini a coppie prive di complementarietà sessuale, giustificati dai risultati scientifici e sociologici.

 

Carlo Nordio, magistrato e Procuratore Aggiunto della Repubblica a Venezia, ha scritto:

«Primo. Per migliaia di anni, in tutte le latitudini e in tutte le civiltà, l’officio educativo è stato affidato (laddove possibile) a padre e madre. Secondo. La nostra Costituzione all’articolo 29 definisce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, e all’articolo 30 disciplina la paternità e la sua ricerca (a proposito: ma credete veramente che Togliatti e Terracini, per non parlare di De Gasperi e Saragat, potessero lontanamente pensare a un’adozione da parte di gay?). Terzo. Nella tradizione culturale laico-illuministica ogni forma educativa diversa da quella impartita dalla famiglia tradizionale è stata sempre guardata con sospetto e sarcasmo, anche quando proveniva da filosofi come Platone, Campanella e Rousseau».

 

Guido Crocetti, professore di Psicologia clinica presso “La Sapienza” di Roma e direttore del Centro italiano di Psicoterapia psicoanalitica per l’Infanzia e l’Adolescenza, ha affermato:

«oggi viviamo in una cultura che tende ad azzerare sempre più le diversità, persino quelle biologiche, fisiche, incontestabili: l’essere maschio e femmina non è un’invenzione, parte da un dato biologico, e come tale va anzi valorizzato. La nostra cultura da ambivalente – basata sul binomio maschile/femminile – sta diventando ambigua, a tutti i livelli: nelle relazioni uomo/donna, ma anche padre/madre e figli. Questa continua ambiguità confonde i ruoli, le funzioni, i codici comportamentali, gettando nel caos soprattutto i più fragili, quei bambini che invece chiedono, vogliono, esigono un papà e una mamma, ognuno dei due con un suo ruolo e le sue proprie funzioni. Da trent’anni lavoro sui disagi psichici dei bambini e do voce ai loro bisogni. I bambini vogliono la coppia, la esigono imprescindibilmente, e la vogliono insieme, unita. Imperativo categorico è che sia formata da un padre e una madre: è questa la garanzia di cui hanno bisogno per esistere. Poi i bambini sopravvivono sempre, anche alle guerre, alle carestie, agli abusi e alle violenze, ma questo – appunto – è sopravvivere, non vivere nel pieno dei loro diritti. Posso citare almeno un secolo di studi internazionali che lo dimostrano. O recuperiamo regole e limiti strettamente correlati ai valori, o la psicopatologia infantile avrà sempre più piccoli pazienti da curare».

 

Il filosofo Giacomo Samek Lodovici, docente presso l’Università cattolica, ha spiegato:

«è ovvio che le coppie omosessuali non possono contribuire mediante la procreazione alla continuazione della società. Si obbietta che potrebbero farlo adottando dei bambini ma, in realtà, dare dei bambini in adozione a queste coppie significa, quanto meno, privarli della figura materna/paterna, che non può essere surrogata da chi è uomo/donna». Inoltre, «i dati che finora abbiamo a disposizione mostrano che i bambini affidati a queste coppie hanno una probabilità molto più alta di soffrire di gravi disturbi psicologici, di avere un’autostima bassa, una maggiore propensione alla tossicodipendenza e ad autolesionarsi». Tutto questo, ha spiegato il filosofo (citando ovviamente le fonti bibliografiche), per i seguenti 5 motivi: 1) assenza della figura materna/paterna; 2) brevità dei legami omosessuali; 3) probabilità molto superiori degli omosessuali di avere una salute peggiore; 4) i bambini che vengono adottati hanno alle spalle già una storia di sofferenze e/o violenza: così, alla differenza tra i genitori naturali i genitori adottivi – che già di per sé costituisce una difficoltà – si viene ad aggiungere il fatto che la coppia dei secondi non è analoga alla coppia dei primi; 5) è insito nel bambino un bisogno di divisione dei ruoli, di sapere “chi fa che cosa” e “da chi mi posso aspettare questo atteggiamento e da chi mi posso aspettare quell’altro. Il matrimonio monogamico, ha quindi concluso, offre maggiore garanzie di stabilità, perché: a) il vincolo giuridico matrimoniale rafforza il legame; b) il diverso atteggiamento dei coniugi (che fanno un progetto di definitività) rafforza l’impegno; c) l’antropologia culturale dimostra che la ritualizzazione (per es. la cerimonia nuziale) di un impegno accresce la capacità di rispettarlo. Inoltre lo Stato deve proteggere il matrimonio monogamico perché è l’istituto giuridico migliore per garantire la continuazione di una società.

 

La psicologa Trayce Hansen ha spiegato:

La tesi per cui l’amore sia l’unica cosa di cui necessitano i bambini, al di là che venga da genitori etero o dello stesso sesso, «e tutto ciò che ne deriva, è falsa. Perché l’amore non è abbastanza! I bambini crescono meglio se allevati da una madre e un padre sposati. E’ in questo ambiente che essi hanno più probabilità di essere esposti alle esperienze emotive e psicologiche di cui hanno bisogno per crescere. Uomini e donne portano la diversità nella genitorialità; ciascuno da un contributo prezioso per l’allevamento dei figli che non può essere replicato dagli altri: madri e padri semplicemente non sono intercambiabili, due donne possono essere entrambe buone madri, ma non possono essere un buon padre. L’amore materno e quello paterno, anche se ugualmente importanti, sono qualitativamente diversi: ciascuna di queste forme di amore senza l’altra può essere problematica, perché ciò che un bambino ha bisogno è l’equilibrio complementare che i due tipi di amore dei genitori forniscono. In secondo luogo, i bambini progrediscono attraverso stadi di sviluppo prevedibili e necessari ed alcune fasi richiedono maggiormente il supporto della madre, mentre altre richiedono più la presenza di un padre. In terzo luogo, i ragazzi e le ragazze hanno bisogno di genitori di sesso opposto per essere aiutarli a moderare le proprie inclinazioni di genere. In quarto luogo, il matrimonio omosessuale aumenta la confusione sessuale e la sperimentazione sessuale da parte dei giovani: il messaggio implicito ed esplicito del matrimonio omosessuale è che tutte le scelte sono ugualmente accettabili e desiderabili. E quinto, se la società permette il matrimonio omosessuale dovrà anche permettere altri tipi di matrimonio. La logica giuridica è semplice: se non si vieta il matrimonio omosessuale per discriminazione, allora il divieto del matrimonio poligamo o di qualsiasi altro raggruppamento civile sarà anch’esso considerato discriminatorio. La saggezza accumulata di oltre 5.000 anni è giunta alla conclusione che la configurazione ideale coniugale e parentale è composta da un uomo e una donna: il matrimonio omosessuale sicuramente non è nel migliore interesse dei bambini».

 

Il giurista Francesco D’Agostino, professore di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, membro del Consiglio Scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e Presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica, ha affermato:

«A mio avviso, dietro a tutta questa dinamica – che riguarda ormai la grande maggioranza dei Paesi occidentali – non c’è tanto una nuova consapevolezza del valore del rapporto di coppia omosessuale quanto, piuttosto, una continua e, sembra, inarrestabile perdita di valore dell’essenza del matrimonio in quanto tale». Ha quindi continuato: «Quanto più il matrimonio viene interpretato come un’esperienza eticamente ed antropologicamente fragile, e priva comunque di un grande spessore sociale, tanto più diventa facile equiparare al matrimonio esperienze di rapporto – come quella omosessuale – che, con il matrimonio autentico, hanno ben poco a che fare, ma che possono diventare apparentemente simili al matrimonio quando il matrimonio eterosessuale viene progressivamente svuotato di senso, di valore o di dignità».

In un’altra occasione ha osservato:

«Un atteggiamento di estrema cautela verso l’omoparentalità sembrerebbe essere giustificabile in termini di semplice buon senso e preoccupa vedere con quanta foga il preteso diritto delle coppie gay di assumere ruoli genitoriali arrivi ad essere presentato all’opinione pubblica come una questione di “civiltà”». Inoltre, come Mazzarella spiega che ci si lascia «ingannare da formule, come quella della “non discriminazione”, che hanno un immenso rilievo sociale, ma poco significano quando sono in gioco questioni antropologiche (come quelle familiari) e non politiche» e viviamo in una «atmosfera che consente allo Stato di manipolare, riqualificandoli, i vincoli familiari, chiamando ad esempio “matrimonio” la convivenza di due persone dello stesso sesso o dando identità genitoriale a coppie formate due uomini o da due donne. La verità della famiglia non è creata dalla legge. È, questo, un dato di fatto elementare, che oggi sembra completamente dimenticato o rimosso; ma poiché “i fatti sono resistenti” esso tornerà inevitabilmente a galla, quando avremo tutti verificato come simili rimozioni non portano da nessuna parte».

 

Lo psichiatra Italo Carta, docente di Clinica Psichiatrica presso l’Università degli Studi di Milano, ha osservato quali siano i rischi ad andare contro il diritto naturale:

«Se si tolgono le evidenze che accomunano qualsiasi uomo, a prescindere dal contesto e dalla tradizione da cui proviene, si cade nell’arbitrarietà», cioè «prevale il diritto del più forte, di chi urla di più. In questo caso quello dei promotori di questi diritti. Siamo in un momento storico in cui la volontà è così tracotante da voler prendere il sopravvento sulla conoscenza delle cose e così le violenta: io voglio fare una famiglia con una persona del mio stesso sesso, non solo chiedo di non essere discriminato ma pretendo di generare, con tecniche violente e artificiali, e poi pure di allevare, un innocente in un contesto che non gli farà sicuramente del bene. Se si salta il fondamento del diritto che è nella legge naturale, e nella ragione umana che la riconosce, la giustizia muore. Non possiamo neppure parlare più di diritti universali». Non basta l’amore per crescere dei bambini, spiega, «servono due personalità differenti dal punto di vista psichico». Nella carriera scientifica «ha seguito tanti omosessuali. Sono aumentati moltissimo negli ultimi anni. La scienza e l’esperienza dicono che non c’è alcun difetto di natura in loro. Non esiste l’omosessualità naturale, non è iscritta nel Dna. L’omosessualità è un’elaborazione della psiche di modelli affettivi diversi da quelli verso cui la natura normalmente orienta. Questa tendenza è del tutto reversibile. Io mi sono scervellato per anni, ho letto molto su come si può correggere questa tendenza, il problema è che spesso, pur vivendo un disagio, molti di loro non vogliono correggersi». E’ possibile riconoscere  loro dei diritti (possibilità di succedere nel contratto di locazione, ricevere prestazioni assistenziali dai consultori familiari, astenersi dal testimoniare in processi che vedono coinvolto il partner etc.), «ma non si può andare oltre a concessioni di questo tipo. Pena la salute mentale di terzi». I figli, ma «anche alla stabilità della società intera. Questa sentenza abolisce l’evidenza e quando si abolisce il principio di evidenza naturale la mente compensa con squilibri psicotici gravissimi. Per questo pensare di introdurre l’uguaglianza dei sessi come normale significa attentare alla psiche di tutti. Penso poi ai più deboli: i bambini. Se gli si insegna sin da piccoli che quel che vedono non è come appare, li si rovina. Ripeto, pur non essendo solito fare affermazioni dure, dato che gli omosessuali sono persone spesso duramente discriminate, non posso non dire che introdurre l’idea che la differenza sessuale non esiste, e che quindi non ha rilevanza, è da criminali».

In un’altra occasione, ha sostenuto:

«Ritengo che le coppie di omosessuali e quelle di lesbiche che non solo adottano un bambino ma si fanno ingravidare e inseminare preparino un grave rischio di patologie per la prole». Ovvero «depressioni, disturbi della personalità e dell’identità […], collasso della funzione simbolica paterna». Lo psichiatra si è anche lamentato del fatto che queste questioni «ormai sono in mano a gruppi di pressione e politici entusiasti di aumentare il proprio consenso. Dell’aspetto psicologico clinico importa poco a tutti». In una coppia omosessuale il bambino avverte inevitabilmente «la violenza fatta alla realtà, con cui il ruolo paterno e materno vengono assunti, e la mancanza del diventare madre o padre per donare il figlio all’altro e stabilire un rapporto di reciprocità».

 

Il professor Antonio Maria Baggio, politologo e docente di Filosofia politica presso l’Istituto universitario “Sophia” di Loppiano, ha invece affermato:

«Il matrimonio come tale, anche se non è cristiano, è il solo matrimonio tra persone di sesso differente. Il cristianesimo poi valorizza l’unione naturale tra un uomo e una donna conferendo tutto l’apporto del sacramento […]. Però non serve avere la fede cristiana, o un’altra fede, per dare così tanta importanza all’unione in sé, perché è un dato di natura. Dobbiamo fare appello alla realtà dei fatti, cioè alla struttura antropologica dell’uomo e della donna.[…] Ciò che la cultura cristiana ha sempre pensato è che non sia necessaria la fede per riconoscere la verità dell’uomo». La difesa del matrimonio «è anzitutto una battaglia civile per fare in modo che la società abbia questo legame fondativo, importante, che è basato sulla fiducia reciproca di un uomo e una donna che si scelgono per l’intera esistenza. Questo crea una solidità nella società e questo ha anche un riscontro nella struttura psicofisica delle persone altrimenti si pensa che veramente in base ad un desiderio, ad un impulso, ad una esigenza individuale si possa decidere che l’essere umano è fatto diversamente da come in realtà è fatto. […] Ed è per fedeltà alla realtà che è necessario difendere il matrimonio tradizionale».

 

Alessandra Graziottin, psichiatra e dirigente del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica dell’Ospedale San Raffaele di Milano, ha scritto:

«Con tutti i limiti che la coppia genitoriale uomo-donna può avere, resta ancora il modello consolidato di riferimento evolutivo dal punto di vista del bambino». La dottoressa spiega gli elementi fondanti di questa necessità psicoemotiva e sessuale, replicando così a chi afferma che “basta l’amore”: «Se l’amore è qualcosa di più di un’abusata parola, è indispensabile che venga sostanziata nei fatti, che non sono così rassicuranti come si sostiene con fermezza, coprendo vuoti pesanti sul fronte della ricerca clinica con dinamiche ideologiche. Negare che i problemi possano esistere non giova alla causa, tanto più che abbiamo decenni di studi sull’evoluzione psicosessuale dei bambini figli di coppie eterosessuali, mentre mancano studi a lungo termine che sostanzino l’affermazione che i figli di una coppia gay “sono normalissimi”». Si dice a favore delle unioni civili, «ma sull’adozione sto dalla parte dei bambini. Si parla tanto dei loro diritti, ma l’uso strumentale che ne viene fatto, e non solo sul fronte dell’adozione da parte di coppie omosessuali, è davvero molto inquietante».

 

Il prof. Giovanni Verde, ordinario di Diritto processuale civile presso la Facoltà di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli, ha scritto:

I “diritti” invocati dalla comunità Lgbt «non sono innati, ma si tratta di aspirazioni, bisogni e interessi che cercano di ottenere protezione giuridica e, quindi, si tratta di valutare se li meritino e, comunque, se sia opportuno concedergliela». La disciplina del matrimonio «è stata ritenuta necessaria, o comunque utile allo sviluppo di una società ordinata. Di conseguenza, quando si pone il problema di estendere tale disciplina a nuove forme di convivenza, che non sono quelle che si sono sviluppate nel passato sulla base della differenza dei sessi, è legittimo porsi il problema se tale estensione sia necessaria o, comunque, utile allo sviluppo della nostra società; oppure, è legittimo chiedersi quali e quante delle disposizioni di favore a tutela del tradizionale istituto familiare si possano estendere anche a conviventi dello stesso sesso i quali, per ragioni naturali, non possono dare vita ad un’unione identica a quella fondata sul matrimonio tradizionale». Inoltre, «per ciò che riguarda la filiazione, il problema viene esaminato sempre ed esclusivamente dal lato di chi aspira alla genitura. Non sappiamo e non potremo mai sapere cosa ne pensi colui al quale siano assegnati due padri o due madri. Comunque si instaura un rapporto che non è quello che ha luogo secondo l’ordine naturale delle cose. Non sarà mai possibile sapere quale sarebbe stato lo sviluppo del bambino con genitori di sesso diverso. E non abbiamo strumenti per fare attendibili valutazioni preventive, imponendo a chi non può decidere (il bambino) una scelta fatta da altri».

 

Il dott. Vittorio Cigoli, ordinario di Psicologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Alta Scuola di Psicologia “A. Gemelli”, ha spiegato:

I pochi studi a favore dell’omogenitorialità sono prodotti da studiosi che «sono al contempo persone militanti sul tema dei diritti lgbt. Un neonato affidato a coppie omosessuali ha solo l’1% di probabilità di crescere fino a 18 anni con lo stesso partner del genitore».

 

Il filosofo Vittorio Possenti, docente presso l’Università Cà Foscari di Venezia e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, ha dichiarato:

«Noi assistiamo da alcune decine di anni in Occidente ad una visione dei diritti umani che sta cambiando in maniera molto forte. Se noi stiamo accanto ad una visione dignitaria, i diritti umani sono centrati sulla persona e non possiamo decidere qualsiasi cosa. E invece, come accade con i diritti cosiddetti sessuali, andiamo verso una visione libertaria dei diritti umani e prendono grande rilievo esclusivamente i diritti di libertà. […] Noi non possiamo trattare cose diverse in maniera uguale. Quindi, c’è un richiamo al principio di non-discriminazione e di uguaglianza che va considerato molto attentamente». Il filosofo precisa meglio il suo pensiero: «Un matrimonio naturale, di cui parla l’articolo 29 della nostra Costituzione, non può essere assimilato ad un cosiddetto matrimonio omosessuale, perché manca in maniera intrinseca l’orientamento alla fecondazione e alla procreazione, che rimane un fine fondamentale della società naturale chiamata famiglia e fondata sul matrimonio». Ritorna quindi sui “presunti” diritti: «Un diritto umano è qualcosa che spetta alla persona come tale, ma non ogni pretesa della volontà o del desiderio può essere classificata sotto “diritto umano”. Si tratta comunque sempre di trovare qual è il bene che si intende tutelare. Se noi tuteliamo la famiglia, se tuteliamo il matrimonio fondato – appunto – sull’unione eterosessuale, sappiamo quali sono i beni che vogliamo tutelare. Nel caso di una unione omosessuale, non risulta immediatamente chiaro quale sia il bene che si vuole tutelare».

 

Il neuropsichiatra infantile, Giovanni Battista Camerini, docente di presso le Università di Padova e La Sapienza di Roma, ha confutato le ricerche su cui si basa l’American Psychological Association:

«La comunità scientifica non ha portato alcun dato certo a favore della beneficità di questa pratica; nessun dato certo nemmeno a favore della sua dannosità. Dico solo che non si può assolutamente affermare che la comunità scientifica sia concorde sul fatto che i figli, nati da adozioni omo-genitoriali, abbiano uno sviluppo assolutamente adeguato, e che gli indicatori di benessere siano assolutamente sovrapponibili ad altri tipi di adozione. C’è da chiedersi – e questo è il grande punto interrogativo – quali possono essere le conseguenze di una desessualizzazione della funzione paterna: una funzione paterna che viene esercitata indipendentemente dall’appartenenza ad un genere definito e riconoscibile; e quali sono gli effetti che questa desessualizzazione della funzione paterna può avere sui processi di identificazione e sul sentimento di identità».

 

Luce Irigaray, filosofa, psicanalista e linguista belga ha spiegato in un’intervista: «se andiamo per la strada dell’abolizione della differenza sessuale non ci sarà un futuro per l’umanità. L’annullamento delle differenze tra uomo e donna risponde al fenomeno della tecnicizzazione, cioè un fenomeno contrario alla vita. Solo il mondo della tecnica è neutrale. La differenza uomo-donna è basilare per arrivare a costruire un modello democratico, che regoli tutte le altre differenze». Rispetto alle proposte di abolire le parole “padre” e “madre”, sostituendole con “genitore 1” e “genitore 2” ha commentato: «Le dirò, è una cosa da piangere. Mi viene la voglia di rispondere in modo radicale, ma mi trattengo: stiamo diventando un numero, la nostra identità naturale e storica viene riassunta in un numero, in une definizione neutra». Per quanto riguarda il matrimonio gay «il dibattito a riguardo in Francia ha diviso, anche profondamente, la stessa comunità gay. Una parte di essa non voleva questo matrimonio, anche perché in Francia abbiamo i Pacs. E allora, al limite, meglio potenziare i Pacs, che creare questo conflitto, che ha finito per dividere tutta la cultura francese? Ne valeva la pena? Secondo me no».

 

Gaetano Silvestri, ex presidente e attuale giudice della Corte costituzionale, ha spiegato: «La Costituente, considerati gli anni in cui si tenne, discusse solo di matrimonio in senso classico ed eterosessuale, e non di unione. Una completa equiparazione non può esserci perché la Corte Costituzionale ha chiarito che unioni e matrimoni sono istituti giuridici diversi. In materia di diritti fondamentali delle persone i principi cui bisogna riferirsi in primo luogo sono quelli della Costituzione italiana».

 

Lo psichiatra Bruno Renzi, ex direttore all’ospedale Sacco di Milano e docente presso l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Bologna, La Sapienza di Roma e l’Università di Catania, ha affermato: «L’infanzia è un’età fondamentale per la formazione e l’indirizzo psicologico di una persona. È in quegli anni che diversi fattori concorrono alla strutturazione della personalità, e uno di questi è l’introiezione di modelli – emotivi, cognitivi e comportamentali – che provengono dalle figure genitoriali. In un contesto familiare normale, con una polarità maschile e una femminile, il bimbo ha la possibilità di acquisire i modelli congeniali alla sua struttura: se è un maschietto è opportuno che li acquisisca dal padre, altrimenti dalla mamma». Rispetto a libri e spettacoli per bambini sulle famiglie omosessuali, «il bimbo è indifeso, quantomeno gli si ingenera confusione, che diventa strutturata se il bombardamento è costante: una favoletta una volta sola pazienza, ma insistere con insegnamenti così fuorvianti può generare false introiezioni rispetto ai modelli che il bambino sta ricevendo da una famiglia normale. Le persone gay hanno tutti i diritti tranne uno, quello di impedire lo sviluppo delle vaste potenzialità che ogni bambino ha insite in sé. Se gli si negano le due polarità maschile e femminile, cioè il diritto di avere entrambi i modelli parentali, viene privato della possibilità di acquisire le dinamiche utili per la crescita. È a quell’età che i bambini creano dentro di sé le convinzioni su se stessi, la vita, il mondo, che determineranno tutto il loro futuro, e queste derivano da un genitore maschio e uno femmina». La famiglia non è quella omosessuale, «madre natura ne sa più di noi».

 

Il giurista Antonio Gambino, professore ordinario di Diritto privato nell’Università Europea di Roma, ha spiegato che la sentenza «si pone in aperto contrasto con il complesso delle norme in materia familiare. A meno di non voler intendere che “vita familiare” sia ormai diventato sinonimo di qualunque forma aggregativa (dai club sportivi, alle “famiglie” aziendali, per passare ai vincoli solidaristici delle associazioni di tendenza». Ricorda che la responsabile di questa “sentenza creativa” è la stessa che nel 2007 ha firmato la sentenza Englaro, aggiungendo poi che «il diritto italiano affronta attualmente il tema della distinzione di sesso rispetto all’istituto del matrimonio civile» e che «tutti i giudici di legittimità della suprema Corte sono tenuti ad applicare. Dall’insieme delle disposizioni che disciplinano il matrimonio emerge con chiarezza che la diversità di sesso dei coniugi ne costituisce presupposto indispensabile e che solo a tale forma di unione il legislatore riconosce tutela e rilevanza giuridica». Anche «la rara giurisprudenza che si era occupata della questione ha considerato la diversità di sesso dei coniugi tra i requisiti minimi indispensabili per ravvisare l’esistenza di una famiglia. Sono norme che compongono elementi essenziali del cosiddetto “ordine pubblico” dello Stato, che implica l’illegittimità di matrimoni contratti da soggetti non distinti sessualmente». Si fa quindi notare che l’articolo 29 della Costituzione, riconosce, nel primo comma, “i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” e «con tale espressione si intende che la famiglia contemplata dalla norma ha dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che dunque il legislatore ordinario può “solo” riconoscere». Questo significato del precetto costituzionale «non può essere superato per via ermeneutica, con una semplice rilettura “culturale” (o, piuttosto, “ideologica”) del sistema». La normativa italiana dunque non può in alcun modo ritenersi “superata”, la quale «pone la famiglia, unione tra uomo e donna, quale cellula fondante della nostra società umana e, perciò, meritevole di norme di protezione di rango superiore rispetto ad altre unioni affettive».

In un’altra occasione ha continuato dicendo che in Italia non sarebbe possibile approvare il matrimonio omosessuale perché «il nostro matrimonio è fondato sulla distinzione tra i sessi. Sarebbe altresì necessario un massiccio intervento di modifica del Codice Civile, oltre che dell’articolo 29 stesso; il quale, a sua volta, si richiama alla concezione del matrimonio presente nel Codice Civile all’epoca vigente, nel ’42, ove veniva messa in risalto proprio la differenza di sesso». In ogni caso non è certo la maggioranza (degli Stati esteri o dei politici italiani) che connota l’etica: «Abbiamo avuto in passato maggioranze legittime che hanno realizzato leggi del tutto contrarie all’uomo. un esempio storico eclatante di come morale e legge non sempre coincidano, e che in casi estremi prevalga comunque l’etica lo abbiamo con il processo di Norimberga dove gli esecutori degli ordini e delle azioni più efferate furono condannati non sulla base delle leggi che, formalmente, gli avrebbero permesso di compiere i crimini che avevano commesso, quanto dei principi del diritto naturale».

 

Il prof. Furio Pesci, professore di Storia della pedagogia all’Università La Sapienza di Roma, ha criticato uno spettacolo teatrale su un giovane con confusione circa l’identità sessuale: «si tratta di un’iniziativa pedagogicamente sbagliata per due motivi, il primo dei quali è la banalizzazione della tendenza omosessuale o bisessuale. Nel caso specifico dello spettacolo “Fa’Afafine”, il protagonista vorrebbe essere maschio o femmina a seconda dei giorni. In altre parole, vorrebbe essere tutto e tale comportamento è il segnale di un narcisismo che, ovviamente, non va incoraggiato. Prescindendo da qualsiasi valutazione morale, sul piano dello sviluppo affettivo e relazionale, si tratta del sintomo di una mancata maturazione. Il bambino e l’adolescente vanno formati anche attraverso un processo di autoeducazione ad accettare i loro limiti, il loro essere così come sono, cercando l’armonia anche da un punto di vista psicofisico. Bambini e bambine tendono a giocare e creare le loro amicizie preferibilmente con coetanei dello stesso sesso ma, ovviamente, questo fattore non è affatto segno di alcuna omosessualità. Quindi, in certe fasi dello sviluppo, insistere per presentare alcune tendenze come non soltanto normali ma persino preferibili, secondo me è innanzitutto un errore psicologico e pedagogico. Orientamento e disorientamento sessuale sono due facce della stessa medaglia. È la maturazione che porta poi a cercare quell’armonia con il proprio sé, che certamente è un esito di tutta l’età evolutiva fino all’età adulta. Il tema non è mai da trattare sul piano clinico. Il bambino o l’adolescente che hanno dubbi sulla propria identità non vanno incentivati a coltivare questi dubbi e ciò vale anche per i loro genitori. Si tratta di situazioni piuttosto frequenti. Poi l’incontro con l’altro sesso e il raggiungimento della pienezza affettiva decidono l’orientamento definitivo, senza ripensamenti. Tra l’altro si potrebbe riflettere parecchio sul fatto che molte unioni omosessuali si sviluppano in età adulta, specie dopo la rottura di un matrimonio: ci si può domandare se questa consapevolezza raggiunta sulla propria omosessualità, non sia magari proprio il frutto del fallimento della precedente esperienza affettiva. Nell’età evolutiva il problema non esiste: che un quattordicenne possa sentirsi a disagio nei panni del suo sesso non è assolutamente sintomo di omosessualità. Lasciando agli psicologi indicazioni più specifiche, nell’età evolutiva, è opportuno non inculcare alcun dubbio, perché è in atto un percorso evolutivo che ha solo bisogno di tempo».

 

Jean-Pierre Winter, psicoanalista francese, esperto di psicopatologia del bambino e fondatore e attuale presidente del Mouvement du coût freudien, ha scritto:

«Come specialista nell’infanzia ho affrontato per 40 anni il danno causato dalla progressiva scomparsa della figura paterna. Servono alcuni anni per rendersi conto della manifestazione di questi danni, specialmente nell’adolescenza, perché è l’età in cui ritorna tutto ciò che è stato metabolizzato male nella prima infanzia e produce sintomi. In un bambino può sembrare che tutto vada bene fino all’età di 5-6 anni, anche fino a 12-13 anni, ma improvvisamente c’è uno sconvolgimento. Perché? Perché lasciando l’infanzia alle spalle affiorano elementi della loro vita precedente che sono stati repressi, censurati o inibiti. Così, questo bambino “che stava bene” inizia a non andare più bene, anzi va peggio degli altri bambini di età simile. Non è uguale a zero essere nati da due persone diverse per natura, un uomo e una donna, anche se hanno molto in comune, nascere seguendo una legge della natura che non possiamo respingere, relazionarsi dall’inizio con un corpo e una voce di uomo ed un corpo e una voce di donna. I loro modi di toccarci, di prenderci, di nutrirci, di sorridere non sono la stessa cosa. Fin dall’inizio affronteremo questa differenza di ruoli e di sessi e saremo in grado di gestirla. Ad esempio, sapremo dalle sensazioni del corpo che esiste un altro tipo di relazione, diversa dalla relazione di controllo e dominio, che è la relazione originale con la madre. Relazionarsi con l’altro sesso in modo occasionale ed esterno non ha affatto gli stessi benefici dell’essere sempre in contatto con le loro differenze. Per gli psicoanalisti, le ripercussioni delle adozioni a persone dello stesso sesso sono misurate in più di una generazione. Vorrei che le conseguenze siano misurate prima di dare loro, per legge, un posto equivalente a quello delle famiglie naturali. Forse sarebbe il momento di ricordare il principio di precauzione».

 

Jordan Peterson, eminente psicologo canadese e professore di Psicologia presso l’Università di Toronto, ha affermato: «Le famiglie, unite, eterosessuali formate da due genitori costituiscono il fondamento necessario per una politica stabile. La famiglia tradizionale ha funzionato abbastanza bene per tutta la storia dell’umanità, se cambiamo ciò lo faremo a nostro rischio e pericolo. I giovani hanno bisogno di modelli di ruolo per ciascun sesso. So che è una cosa terribile da dire, ma è così. Quando si sostiene che l’unità familiare tradizionale è solo un altro costrutto e non qualcosa di fondamentale per la nostra comunità, non si ha alcuna prova per tale affermazione e, anzi, esistono molte contro-prove».

 

170 giuristi e storici del diritto, particolarmente preoccupati dal fatto che le adozioni gay vanno a finanziare la moderna schiavitù delle donne che prestano il loro utero e del conseguente traffico di bambini, hanno inviato una lettera al governo francese spiegando: «Che lo si voglia o no, il desiderio di un figlio delle persone dello stesso sesso passa attraverso la fabbricazione di bambini, che saranno in seguito adottabili, attraverso l’inseminazione artificiale per le donne, o una gravidanza surrogata per gli uomini. La nuova legge organizza dunque un mercato dei bambini, poiché lo suppone e lo garantisce. Allo stadio attuale, questo testo invita ad andare a fabbricare bambini all’estero, il che è già inaccettabile, in attesa di denunciare l’ingiustizia della selezione tramite il denaro, per organizzare il mercato dei bambini in Francia». Non a caso si sono già fatti sentire i primi Paesi, come la Russia, la Turchia e l’India, che richiedono indietro i loro bambini adottati se dovessero finire all’interno di una coppia omosessuale.

 

Lo psichiatra Eugenio Borgna, docente presso l’Università di Milano e primario emerito di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara, ha affermato: «Il matrimonio nasce dall’integrazione delle due psicologie diverse, quella femminile e quella maschile […], legami che prescindano da questa integrazione femminile/maschile si muovono su un campo diverso dal matrimonio e dall’istituto della famiglia, senza con questo discriminare nessuno: sono realtà profondamente differenti». L’affermazione secondo cui ormai è radicalmente superata la necessità che i coniugi siano di sesso diverso, è «apodittica, non motivata: non rivela il cammino con cui ci si è arrivati, non dà argomentazioni né ricostruzioni storiche e psicologiche. Insomma, è una fucilata che giunge senza un’origine, una opinione strana, tutt’altro che univoca e soprattutto non razionale, perché dà per scontato ciò che non lo è. Il senso comune è radicalmente – questa volta sì – allergico a una tesi simile». Il diritto dei gay a vivere liberamente una condizione di coppia, è «cosa ben diversa dal matrimonio, che nella nostra concezione della vita nasce dalla contestuale presenza dei due diversi mondi che lungo un progetto unitario uniscono le loro storie personali, anche sessuali, necessarie l’una all’altra per completarsi. Tanto più se ci sono figli, che senza ombra di dubbio hanno bisogno di una madre e di un padre, di due polarità ben precise, anche sessualmente definite. Secondo natura». Lo psichiatra ha fatto inoltre notare un errore clamoroso nella sentenza, quando si nega la valenza “naturalistica” alla differenza di sesso tra coniugi: «il termine “naturalistico” in psichiatria, che è una scienza biologica, significa una degenerazione del naturale, una deformazione. Insomma, chi ha redatto la sentenza ha usato un termine errato, incorrendo in un lapsus fragoroso e dicendo alla fine il contrario di ciò che intendeva sostenere. Cosa significa naturale? Ciò che si sviluppa spontaneamente, lungo orizzonti ontologici predicati nella condizione umana. Il “naturalistico” invece tradisce l’umano. Dunque sono d’accordo: la necessità che i due coniugi siano uomo e donna non è “naturalistica”, infatti è naturale».  Secondo la sua esperienza di medico, «la gente non si riconosce nelle parole di questa sentenza. Nemmeno chi a voce alta non ha coraggio di dirlo».

 

Gabriella Gambino, ricercatrice in Filosofia del diritto all’Università Tor Vergata di Roma ha spiegato che «il problema dei bambini è quello di garantire certamente una stabilità familiare, ma non solo. E’ anche quello di dar loro punti di riferimento chiari per lo sviluppo anche di una loro identità, attraverso una bipolarità sessuale che antropologicamente fa parte della persona umana». Quando questo viene meno in uno Stato «bisogna anche domandarsi se questo sia un autentico principio di uguaglianza nei confronti di questi bambini». L’equiparazione al matrimonio naturale «crea situazioni nuove che culturalmente influiscono fortemente sul nostro modo di pensare e di fare famiglia. Bisogna inoltre domandarsi, in realtà, se il diritto debba autenticamente prendere in considerazione queste nuove modalità che sono modalità private alle quali forse lo Stato, il diritto, non si giustifica si interessino in questi termini. Viene da chiedersi se davvero queste siano situazioni universalizzabili, perché il diritto fa proprio questo. Nella tradizione giuridica, perché il matrimonio eterosessuale viene istituzionalizzato dallo Stato come fondamento della famiglia? Proprio perché pone la procreazione a fondamento della famiglia, che fondandosi sulla bipolarità sessuale, è il fondamento per la procreazione umana. Qui prendiamo atto invece di altre situazioni con le quali, attraverso l’adozione, vogliamo imitare il modello familiare ma “bypassando” questo modello, superandolo completamente, creando altre situazioni e volendo che lo Stato le istituzionalizzi e le universalizzi: che le renda cioè un bene per tutti nel senso che a quel punto vanno bene per tutti, diventano anche un modello culturale alternativo e assolutamente uguale all’altro nell’idea culturale che si diffonde».

 

Il magistrato Geremia Casaburi, della Corte di appello di Napoli, dopo essersi definito laico e lontano dalla Chiesa cattolica, ha affermato: «Il principio di eguaglianza significa “a ciascuno il suo”, non a tutti lo stesso, ma mi sembra che questo principio giuridico fondamentale si stia perdendo. Il «matrimonio per tutti», tanto per usare una formula alla francese, svilisce il matrimonio di tutti, o meglio quello eterosessuale (ma a mio avviso è una tautologia: il matrimonio, per quanto il contenuto dell’istituto sia variato nei secoli, è pur sempre l’unione stabile tra uomo e donna). Temo per i figli: questi hanno diritto, in linea di principio, alla bigenitorialità nel senso di alterità di sesso tra i genitori (salvo situazioni particolari, che danno luogo, ad esempio, all’adozione). La nuova legge sembra precluderlo agli omosessuali, ma anche qui, a questo punto, è facile immaginare una serie di successivi interventi demolitori… Già la giurisprudenza, del resto, sta aprendo, talora in modo sconcertante, a forme di filiazione in favore di coppie omosessuali (non sempre con attenzione all’interesse concreto dei figli)».

 

La dott.ssa Anna Oliverio Ferraris, psicoterapeuta e docente di Psicologia delle sviluppo all’Università La Sapienza di Roma, ha dichiarato: «nelle famiglie omogenitoriali esiste un problema di identificazione del bimbo nel genitore. Alcuni studi condotti negli Usa segnalano una certa insofferenza. I bimbi adottati da genitori gay lamentano talvolta la quasi esclusiva presenza di amici omosessuali dei genitori in casa, e vivono con un po’ di disagio la partecipazione che i genitori impongono loro a manifestazioni ed eventi gender».

 

Marcello Tempesta, docente di Pedagogia presso l’Università del Salento ha così riflettuto: «l’identità-differenza sessuale è una realtà oggi “terremotata”, messa pesantemente in discussione da un mainstream sempre più diffuso, che sta facendo artatamente diventare sensibilità corrente e senso comune ufficiale la filosofia del Gender: l’identità sessuale non sarebbe una datità originaria ma una mera costruzione socio-culturale e soprattutto una scelta individuale». Per questo «ci permettiamo di dubitare che la strada che le classi politico-culturali oggi dominanti sembrano volere imboccare costituisca realmente un passo avanti in direzione dei diritti della persona e del rispetto della differenza. Ci sembra piuttosto emergere, soprattutto in Occidente, un inquietante cupio dissolvi: un nuovo dogmatismo s’avanza, senza farsi sfiorare dal dubbio che rischiamo di toccare uno dei fondamentali dell’umano. La plurimillenaria esperienza dell’umanità ci consegna un ramo sul quale siamo stati finora seduti: rischiamo di tagliarlo come se si trattasse di un’operazione indolore e innocua».

 

Il giurista Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte Costituzionale, ha spiegato che la Cassazione ha riaffermato che «non c’è un diritto fondamentale a contrarre matrimonio da parte di due persone dello stesso sesso», nemmeno c’è il diritto ad essere riconosciute se si sposano all’estero. Inoltre la sentenza «respinge la richiesta della coppia gay di portare la vicenda davanti alla Corte di giustizia europea», poiché essa non è competente. Non siamo quindi davanti a “diritti fondamentali”. Il problema è che la Cassazione «non si fa più interprete del diritto vigente», ma parla di “concezione superata” riferendosi alla diversità di sesso come principio indispensabile per il matrimonio. Lo fa senza basi, «o la giurisprudenza manifesta convinzioni personali oppure pretende di farsi interprete della sensibilità sociale, ma questo non è suo compito», va oltre «quella che è la sua funzione interpretativa dell’ordinamento, e si spinge a fare una valutazione di tipo culturale». Oltretutto si dimostra contraddittoria in più punti. Bisogna anche insistere sul fatto che «la libertà di vivere in una condizione di coppia», come chiede la Cassazione, «esiste già e non richiede una distorsione dell’istituto del matrimonio».

 

Pierre Lévy-Soussan, psichiatra specialista in adozione, ha affermato: «Anche se sa che i suoi genitori adottivi non sono il suo genitori biologici, il bambino deve essere in grado di immaginare che “potrebbero” essere, deve fantasticare una scena di nascita possibile […] e credibile. Tuttavia, una coppia dello stesso sesso, non offrirà mai una genitorialità credibile». Si è dunque opposto a questa «mutazione antropologica importante: ci è stato detto che i bambini cresciuti da coppie omosessuali non sono peggiori di altri. Ma sulla base di quali studi, quali numeri? L’uomo non è come la madre, le interazioni con la madre sono radicalmente diversi da quelli con il padre».

 

Il magistrato Guido Piffer, presidente di sezione del Tribunale di Milano, il magistrato Tomaso Emilio Epidendio e il magistrato Giuseppe Ondei, presidente della sezione famiglia e minori del Tribunale ordinario di Brescia, hanno scritto un articolo critico verso la sentenza della Cassazione, affermando: «lo spirito del tempo si incarna in quello che potremmo definire un “approccio sentimentale” alla giustizia», dove «si privilegiano le soluzioni alle questioni giuridiche che sentiamo emotivamente come giuste». Questo approccio presenta dei rischi, ovvero «rendere le decisioni sempre più imprevedibili e contraddittorie, in quanto legate alla soggettiva e mutevole emozionalità delle singole persone, fino ad arrivare ad uno scontro acceso tra posizioni irriducibili in quanto non fondate su ragioni, ma appunto su sentimenti, che si provano e non si argomentano, ciò che potrebbe portare (se non ha già portato) ad una crisi dell’attività di motivazione dei provvedimenti». Non avviene più l’analisi degli argomenti a favore e contro, ma «si sceglie la soluzione che si “sente” come giusta e si passa, poi, a cercare gli argomenti a sostegno, spesso senza neppure preoccuparsi della loro coerenza», creando «conflitti molto aspri su questioni delicatissime». Dopo questa considerazione generale i magistrati entrano nel tema della sentenza della Cassazione in un secondo articolo: il campo del matrimonio è «un terreno fertilissimo per un approccio “sentimentale” al diritto, perché sull’applicazione della norma ricade inevitabilmente l’influenza del bagaglio culturale ed emotivo di colui che quella norma deve applicare». A questo punto si analizzano le fallacie argomentative dei giudici della Cassazione, i quali interpretano il matrimonio come logica “instintuale”, cioè «soddisfacimento di un bisogno del corpo, in cui il partner è lo strumento di tale soddisfazione e in cui centrale diventa perciò la disposizione del “diritto sul corpo”». Per regolare ciò viene definito un “contratto”, utile a una «regolazione consensuale di prestazioni viste come corrispettive e nel quale la stessa differenza sessuale non ha alcun ruolo determinante». Ma, obiettano, «questa prospettiva non riconosce la dignità dell’altro, visto appunto come strumento di soddisfacimento di un bisogno, e non come persona». La seconda interpretazione del matrimonio da parte dei giudici della Cassazione è quello del legame sentimentale, e il mezzo giuridico è quello del «riconoscimento di diritti fondamentali, o comunque indisponibili». All’interno di questa logica, rilevano i magistrati, «nulla vieta che il sentimento possa legare persone dello stesso sesso e, spesso con suggestivi salti retorici». Ma il problema di questa interpretazione del matrimonio è che «la variabilità e mutevolezza nel tempo del medesimo comporta inevitabilmente la possibilità di scioglimento dal legame ogni qual volta il suo fondamento sentimentale venga meno», con conseguenze «sulla stabilità delle famiglie. In altre parole, alla solidarietà che associa i diritti ai doveri viene sostituita una visione che assolutizza il diritto alla felicità individuale, senza disponibilità ad integrarlo con il bene degli altri componenti del gruppo familiare: cessato il sentimento, non solo viene meno il fondamento sostanziale del matrimonio, ma il rapporto da strumento di realizzazione della propria felicità si muta nel suo opposto, diviene cioè causa della propria infelicità dalla quale ci si deve dunque liberare al più presto». Preoccupante, concludono i magistrati, è la tendenza a «trasformare qualsiasi nostro personalissimo desiderio in un diritto fondamentale», e questo «non è affatto innocuo e vantaggioso per tutti, perché comporta l’insorgenza di obblighi e la possibilità coattiva di farli rispettare: occorre cioè investigare i caratteri che una unione deve avere per aspirare ad ottenere rilevanza giuridica, ad assurgere addirittura a diritto fondamentale e bisogna chiedersi se davvero tutte le unioni possano avere queste caratteristiche». Nel loro terzo articolo, sottolineano che la “promessa” è il fondamento del matrimonio, cioè un impegno che entrambi i coniugi unilateralmente si scambiano liberamente di fronte alla società per istituire una comunità destinata fisiologicamente a durare. Ribadiscono che «i termini e i concetti giuridici non sono per nulla “neutri” ed intercambiabili a piacimento, perché ognuno di essi sottende una precisa concezione, una scelta di valore: il matrimonio in una prospettiva strettamente volontaristica non è il matrimonio in una prospettiva istituzionale».

 

La docente di diritto pubblico presso l’Università di Rennes, Anne-Marie Le Pourhietha ricordato che «il matrimonio è definito come l’unione di un uomo e di una donna, e lo scopo della istituzione legale è quello di garantire la stabilità della coppia e la tutela della loro proleQuesto è sancito dall’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La pretesa della lobby gay tende a distorcere la definizione del matrimonio per fargli perdere il suo significato e la sua funzione. E’ come se dicessimo che camminare è discriminatorio perché significa muoversi mettendo un piede davanti all’altro, e questo è offensivo verso chi è privo di gambe, o nei lattanti».  Rispondendo a coloro che giustificano le nozze gay tramite la presenza di un amore corrisposto, la giurista ha spiegato: «l’amore non ha nulla a che fare con il codice civile. Questo argomento è sciocco, ma anche pericoloso, perché può essere usato contro tutte le norme che regolano il matrimonio. Se un uomo ama tre donne, si sosterrà che il divieto di poligamia è discriminatorio, lo stesso se un fratello e una sorella si amano, si toglierà il divieto di matrimonio tra adolescenti ecc».

 

Samuele Cognigni , psicologo e psicoterapeuta ha spiegato: «È vero che siamo in un tempo di profondo cambiamento dell’istituto familiare, che la famiglia nella nostra società non è più quell’entità monolitica che era fino a 30-40 anni fa e non è più così scontato che un bambino cresca con la propria madre e il proprio padre. Ciononostante funzione materna e paterna sono qui intese come dimensioni strutturali e dunque come qualcosa che va al di là delle particolari contingenze storico sociali e delle inevitabili trasformazioni che caratterizzano la storia di ogni comunità umana». Prendendo spunto da Lacan, ha proseguito: «il neonato incontra il desiderio anzitutto nella capacità materna di dare “cure che portano il marchio di un interesse particolareggiato”. In altri termini il bambino incontra nella funzione materna la capacità di particolarizzare le cure, cioè di fornire cure che non siano anonime e impersonali, ma piuttosto il segno di un interesse particolare, specifico, di quella madre per quel bambino. Questa capacità tutta materna di particolarizzare le cure, è ciò che permette al bambino di percepire se stesso e la propria esistenza come qualcosa di prezioso, insostituibile, come qualcosa di cui la madre non può fare a meno. Per la psicoanalisi l’amore non è un sentimento universale, ma un sentimento particolare: l’amore materno non è un sentimento evanescente, non è l’amore per i bambini in generale, ma è, dice Lacan nel Seminario X, sempre “amore per il nome”, cioè amore del nome proprio del bambino, amore dell’essere particolare e irripetibile di quel bambino. Dall’altro lato possiamo dire che il bambino deve incontrare nella funzione paterna, più precisamente nel nome del padre, la possibilità di una “incarnazione della Legge nel desiderio”, la possibilità di consentire l’incontro tra la Legge e il desiderio, ovvero rappresentare la funzione del limite, dell’interdizione che salva la vita del figlio da una deriva nichilista e mortifera. In secondo luogo significa testimoniare che, affinché la Legge sia credibile, deve essere mostrata nel desiderio. In altri termini un padre è credibile se esso stesso per primo è sottomesso alla Legge e non identificato a essa, se non pensa cioè di essere lui la Legge (padre padrone). È in questo modo che può mostrare al figlio che solo nella sottomissione alla Legge c’è la possibilità di realizzare il desiderio nella sua alleanza con la Legge».

 

Marco Olivetti, professore di Diritto costituzionale all’Università di Foggia ha parlato della Costituzione e delle unioni gay spiegando che «nel 1947 anche il più “progressista” dei padri costituenti avrebbe considerato l’omosessualità come un fenomeno che non rientra nella garanzia dei diritti fondamentali […] Anche per questo io ho dei dubbi sul fatto che si possa desumere un obbligo per il Parlamento di legiferare sulle unioni gay», citando una recente sentenza della Corte costituzionale la quale «ha stabilito che l’unione omosessuale è una formazione sociale, nella quale si svolge la personalità di coloro che ne fanno parte. Allora però lo è anche l’unione poligamica, ma non per questo ne desumiamo che quest’ultima debba essere riconosciuta e regolata dal diritto. L’argomento portato avanti dalla Corte costituzionale potrebbe quindi essere contestato». Così spiega: «Ciò su cui non sono d’accordo con la Corte costituzionale è che dice che si devono riconoscere le unioni omosessuali, e non che è possibile riconoscerle […]. L’unione tra persone dello stesso sesso è un istituto diverso, ben distinto dal matrimonio, che però può essere regolato dal legislatore».

 

Maurice Berger, responsabile del Servizio di Psichiatria del Bambino presso il CHU di Saint Etienne, ha rivelato a proposito di adozione omosessuale: «il bambino finirà di fronte ad un enigma sessuale. Ecco perché quelli che ho ricevuto erano generalmente inquieti. Erano impossibilitati a connettersi alla concezione della sessualità e tenerezza dei genitori, non riuscivano a trovare una soluzione nel loro funzionamento mentale» .

 

Adriano Pessina, docente di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano, della quale dirige il Centro di Bioetica, ha spiegato che «nel dibattito sull’omosessualità si tende a negare che esista una differenza fra maschile e femminile, sostenendo che sia indifferente essere maschio o femmina e che sia dunque indifferente che una coppia sia formata da un uomo e una donna oppure da due donne o da due uomini. Tanto l’importante sarebbe amarsi…». Ma il maschile e il femminile sono necessari per la definizione stessa della condizione umana, «e non si può certo sostenere che la differenza fra uomo e donna sia una teoria cattolica: è invece fondamentale persino per l’evoluzionismo». La complementarietà tra i due sessi «è decisiva per tutti: una società matura deve valorizzare la differenza, non mortificarla». Dunque a livello politico «è giusto che lo Stato tuteli con maggior vigore la famiglia eterosessuale come luogo della nascita. Un conto è parlare del riconoscimento di alcuni diritti giuridici degli omosessuali (che ritengo giusti), un conto è sostenere il diritto ad avere figli (come se esistesse, poi, questo diritto: nessuno ha diritto a un figlio, perché i diritti si hanno sulle cose, non sulle persone)». Ha quindi aggiunto il filosofo: «la vera domanda è: qual è il “valore aggiunto” proprio dell’omosessualità che lo Stato può tutelare? Io non credo che nell’omosessualità ci sia un “di più”, ma sono disposto ad ascoltare dialogare. Vedo però qual è il “di più” dato dall’eterosessualità: il difficile equilibrio di una relazione che comprende le differenze fra maschile e femminile, che va anche al di là della questione dell’avere figli». Infine: «Di fatto ci sono bambini equilibrati che sono stati allevati da famiglie poligamiche, o che sono cresciuti in orfanotrofio. Il problema resta un altro: qual è il contesto ideale nel quale pensare lo sviluppo della persona? Le differenze fra maschile e femminile sono un aspetto decisivo dell’umano. Che non può essere negato». Concludendo ha anche smontato l’argomento ricattatorio basato sul fatto che l’Italia dovrebbe adeguarsi ad alcuni Paesi europei: «Questa è una valutazione di cui discutere. Le differenze non possono essere viste sempre e solo come un problema, ma anche come una possibilità. Perché invece di copiare dagli altri paesi non maturiamo insieme una scelta argomentata, non ideologica, in cui contino i valori umani e non solo la lotta per difendere i propri interessi più ancora dei diritti condivisi?».

 

Maria Rita Parsi, psicologa e fondatrice dell’associazione “Movimento Bambino”, ha spiegato: «Per i bambini quel che vale è l’amore. Però è importante che le bambine trovino un punto di riferimento maschile e i maschietti uno femminile per sviluppare e indirizzare la loro ricerca di un partner quando saranno adulti. Crescere con genitori omosessuali senza avere punti di riferimento dell’altro sesso costituisce un limite». Chi è a favore dell’adozione per le coppie omosessuali intende volontariamente mettere il bambino in una condizione di svantaggio. Ha poi proseguito la psicologa: «cure e amore non sono patrimonio esclusivo delle coppie etero. Vero è, però, che quando si arriva alla fase del complesso edipico è importante avere una doppia realtà di riferimento, maschio e femmina. È fondamentale per sviluppare il cervello e la personalità. Perché i bambini abbiano uno sviluppo pieno e completo, i modelli di riferimento devono essere maschili e femminili. E non devono essere necessariamente il papà o la mamma, possono venir individuate figure esterne alla coppia. Ci tengo però a precisare una cosa. Il rapporto fondamentale e primario resta quello con la madre. Un rapporto prioritario che comincia nella vita prenatale, che è determinante al momento del parto, fondamentale nei primi attimi e nelle prime settimane di vita. Talmente importante ed essenziale che non può essere sostituito da nessun altro».

 

Eugenio Mazzarella, ordinario di filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, ha spiegato che non c’è alcuna discriminazione nel vietare le nozze gay. Anzi, nella decisione francese di eliminare la differenza sessuale nel matrimonio «c’è un grave e distorto uso ideologico del diritto a non essere discriminati. Una distorsione ideologica che fa torto al buon uso della ragione e proprio per questo lede, nel matrimonio, fondamentali istituti etici della società. La presunta discriminazione da rimuovere consisterebbe nel fatto che le coppie eterosessuali e le coppie gay non siano discriminabili, in base all’orientamento sessuale, nei loro diritti per accedere all’istituto familiare del matrimonio, perché questo sarebbe diritto di ogni persona. Questo assunto si regge — in diritto e in fatto — su un uso ideologico e improprio dell’analogia tra coppia, famiglia e matrimonio […]. La spuria “rifondazione” della famiglia sul matrimonio risolto in puro legame affettivo toglie alla famiglia proprio la funzione che le è stata riconosciuta da sempre: il suo essere naturale presidio sociale del legame riproduttivo eterosessuale. Laddove l’associazione familiare, nella sua radice di coppia eterosessuale, “nasce” essa stessa dalle “nozze”, dalla possibilità di far nascere, dal naturale orientamento procreativo del legame. L’essere famiglia, o il “fare famiglia”, non può quindi fare aggio sugli orientamenti sessuali della coppia. Non si può dedurre dal loro “fare famiglia”, l’equivalenza degli orientamenti sessuali della coppia ai fini del matrimonio. Facciano famiglia o no, resta tutta in piedi la differenza tra le coppie gay e le coppie eterosessuali; e la pregnanza di questa differenza, anche per rispetto al dato esistenziale che comporta. Alla base della decisione dell’Assemblea Nazionale francese non c’è alcuna discriminazione da sanare, ma solo purtroppo una pressione ideologica sempre più forte, che mina da tempo sul piano culturale le basi etiche e giuridiche della società europea, e istituti etici, prima ancora che giuridici, fondativi e strutturanti un’ordinata convivenza sociale».

 

Il docente di Giurisprudenza presso l’Università di Princeton, Robert George, il docente di filosofia presso la stessa università, Sherif Girgis e il docente di Scienze politiche presso l’Università di Notre Dame, Robert George, hanno pubblicato uno studio sul matrimonio -su “Harvard Journal of Law and Public Policy”, una delle riviste giuridiche statunitensi più importanti-, in cui affermano che l’unione tra un uomo e donna è un bene per la società, mentre il riconoscimento di quello omosessuale è una minaccia. Lo hanno dimostrato senza appellarsi a nessun argomento teologico. Ciò che lo rende un bene in sé è il suo orientamento intrinseco alla procreazione e all’educazione dei figli. Le tradizioni religiose, affermano, hanno solo riconosciuto quella che è un’istituzione naturale. Il matrimonio, infatti, è una pratica sociale la cui base può essere compresa dalla ragione umana comune, qualsiasi sia la nostra tradizione religiosa. Fanno notare che non c’è nessuna discriminazione nel non riconoscere le coppie omosessuali, così come non c’è discriminazione nel non riconoscere con la legge le unioni aperte, temporanee, poligamiche, incestuose o animali. E’ vero, l’incesto può generare bambini malati, ma perché lo Stato non dovrebbe riconoscere l’incesto tra adulti sterili? Il matrimonio implica un’unione completa tra gli sposi, anche l’unione fisica degli organi ma gli omosessuali non hanno nessun organo da unire, dunque la loro unione non può essere matrimoniale se per matrimoniale si intende l’unione completa e quindi anche organica. Il matrimonio, spiegano, è l’unione completa di due persone sessualmente complementari che consumano la loro relazione in un atto che è di per sé generativo. Inoltre, data la tendenza della relazione matrimoniale alla procreazione non sorprende che, secondo le più accessibili e migliori evidenze sociologiche, i bambini raggiungono i punti più alti negli indicatori di crescita sana quando sono educati dai loro genitori biologici. Il matrimonio omosessuale influisce negativamente su quello eterosessuale in quanto abolendo il concetto coniugale di matrimonio si indebolisce l’istituzione sociale del matrimonio, oscurando il valore della genitorialità di sesso opposto e minacciando la libertà morale e religiosa. Inoltre, riconoscere un’unione in base a un sentimento emotivo tenderà a far crescere l’instabilità coniugale e indebolire l’aspettativa sociale che si ha sul matrimonio significa rendere più difficile ai coniugi il compito di attenersi alle norme del matrimonio naturale. La cosa fondamentale è poi l’oscuraramento del valore della differenza sessuale dei genitori, la quale è ampiamente dimostrato dalla medicina e dalla sociologia essere la migliore per la crescita della prole. L’affermazione omosessualista di riconoscere una relazione romantica non tiene: se l’unione tra due uomini deve essere riconosciuta sulla base dell’amore romantico, perché non dovrebbe essere riconosciuta anche quella tra tre uomini? Non si può nemmeno riconoscere le unioni omosessuali come matrimoniali sulla base di ciò che causa l’omosessualità, come una tendenza genetica secondo alcuni. La bontà del matrimonio naturale e il suo apporto al bene comune, concludono gli studiosi, possono essere compresi, analizzati, e discussi senza argomentazioni teologiche.

 

Gli psicoanalisti Monette Vacquin e Jean-Pierre Winter hanno pubblicato un articolo su “Le Monde” in cui scrivono: «Le parole padre e madre saranno soppresse dal codice civile. Queste due parole che condensano tutte le differenze, poiché portatrici sia della differenza dei sessi che di quella delle generazioni, scompariranno da ciò che codifica la nostra identità. Bisognerebbe essere sordi per non sentire il soffio giovanilistico che percorre tutto questo. Questa violenza, deflagratrice, non è certo solo il fatto di una minoranza di omosessuali che richiedono il matrimonio. Senza eco collettiva del problema della perdita o del rifiuto di qualsiasi punto di riferimento trasmesso, questa violenza avrebbe suscitato nel migliore dei casi la risata o il disagio, non la soddisfazione pura e semplice. Questo avvenimento è tuttavia portato avanti da una ultra-minoranza, con il ricorso indispensabile di un linguaggio che è la rovina del pensiero: il politicamente corretto. La “levigatura” della forma, oggetto di una sorveglianza ideologica puntigliosa, maschera il terrorismo che fa regnare e che porta ad un’ “etica” dell’odio e della confusione, in nome del bene liberato da ogni negatività… cosa che l’umanità non è. Da un lato, secoli e secoli di uso, che fanno sì che matrimonio e alleanza di un uomo e di una donna siano una cosa sola. Dall’altro, la rivendicazione di una minoranza di attivisti che sanno parlare il linguaggio che si desidera sentire oggi: quello dell’egualitarismo ideologico, sinonimo di indifferenziazione. E maneggia efficacemente il ricatto dell’omofobia, che impedisce di pensare. Non spetta agli Stati adeguarsi alle provocazioni di alcuni ideologi che parlano una lingua confusa, ma con violenza, sbalordendo o terrorizzando i loro obiettori con dei sofismi. Ancor meno dare a queste provocazioni una forma istituzionale. È probabile che il mondo assorbirà questo con indifferenza, che è l’altro nome dell’odio. È perfino a questo che cominciamo ad assomigliare: non più ad un’umanità conosciuta, ma ad un mondo indifferente. Neutro. Neutralizzato».

 

Il sociologo Pietro Boffi, ricercatore del Cisf (Centro internazionale Studi famiglia) ha riflettuto: «occorre interrogarsi se la definizione di famiglia finora valida sia ormai vuota. Io sono convinto di no: maschio e femmina, un padre e una madre, sono categorie che non si buttano in un attimo, non possiamo ignorare l’intera psicologia dell’età evolutiva. Stiamo assistendo a una disarticolazione delle categorie mentali dell’umano». Anche tenendo in considerazione le coppie gay, ha ricordato che «la famiglia non è solo il luogo degli affetti, ma si regge su un patto che garantisce davanti a tutta la società due cose: la stabilità e la procreazione. Da sempre la procreazione è un fatto sociale, esce da un aspetto meramente privato. Ecco perché il matrimonio è un istituto giuridico».

 

La psicologa Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, ha ricordato che «affermare che l’unione di un uomo e una donna è uguale a quella tra persone dello stesso sesso significa pensare che tra maschio e femmina non c’è differenza, cioè che ogni individuo è totipotente e indifferenziato, che non ha limiti, perché ognuno è tutto. Non a caso il terreno di questa battaglia è proprio il sesso, la differenza più radicale nella persona, l’aspetto davvero fondante del limite: chi è maschio non è anche femmina e viceversa. Pensiamoci bene: qualsiasi donna incinta chiede subito se il figlio “è maschio o femmina”, perché così ne conoscere l’identità». Secondo la neuropsichiatra, l’adozione di un figlio da parte delle coppie gay «provocherà danni molto gravi a questi minori. Potrà vivere quel bambino con due genitori maschi (o femmine)? Dipende: se vogliamo crescerlo nell’onnipotenza sì, ma sappiamo che questo non lo farà stare bene. Il fatto è che oggi si pensa che amare un figlio significhi solo riversargli addosso dell’affettività, ma così non è. A forza di desensibilizzare le persone e di svuotare le parole del loro vero significato – famiglia, matrimonio, diritti – si diluisce ogni confine»

 

Carlo Cardia, docente presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma Tre, ha sottolineato che la «primordiale relazione tra genitori e figli è tutelata dalla Convenzione sui diritti umani e dalla nostra Carta Costituzionale. Per l’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 il “fanciullo ha diritto a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”, mentre la Costituzione italiana oltre alla celebre formula dell’articolo 29 per la quale “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio è dovere e diritto dei genitori mantenere ed educare i figli”». In caso contrario «il bambino viene «privato artificiosamente della doppia genitorialità, vede venir meno la dimensione umana e affettiva necessaria per la crescita e il suo armonico sviluppo, ed è lasciato in balia di esperienze, rapporti, relazioni umane, sostitutive e del tutto slegate rispetto alla naturalità del rapporto con il padre e la madre. Siamo di fronte ad una concezione che attinge il suo humus culturale alle forme illuministiche più primitive, nega ogni preziosità dell’esperienza umana, e ritiene che anche per la dimensione della paternità e maternità il genere umano possa ricominciare daccapo, perché l’educazione e la formazione del bambino può avvenire contro i parametri naturali e le garanzie che la famiglia presenta in ogni epoca e in tutti i Paesi del mondo. Si intravede in questo modo un profilo disumanizzante della tendenza a spezzare il legame del bambino rispetto ai genitori naturali, che comporta il declassamento dei suoi diritti proprio in quella fase più delicata dell’esistenza che condiziona per sempre la crescita successiva»

 

Domenico Simeone, psicologo, psicoterapeuta e professore associato di Pedagogia generale presso l’Università degli Studi di Macerata, ha affermato«Crescere con una madre e con un padre, quando è possibile, significa conoscere il valore educativo della differenza, significa inscrivere la parentalità in una rapporto che chiama in causa la corporeità, significa sperimentare una rete relazionale costruita sul riconoscimento dell’alterità. Il fenomeno delle coppie omoparentali è relativamente recente. Molti studi mettono in guardia sulle difficoltà che i bambini che crescono con persone dello stesso sesso possono incontrare. Dal punto di vista scientifico credo sia necessario approfondire le conoscenze del fenomeno in modo rigoroso, guardando la questione dal punto di vista del bambino e dei sui bisogni. Troppo spesso nel dibattito prevalgono i presunti “diritti” degli adulti e ci si dimentica di tutelare la crescita dei bambini.  La differenza di genere tra padre e madre e tra genitore e figlio costituisce l’elemento fondamentale per imparare ad amare, costruendo relazioni e accettando il limite che è in esse inscritto. Nel crogiuolo di tali relazioni i bambini vivono processi di identificazione e riconoscono le differenze, stabilendo relazioni significative. È la differenza che permette la triangolazione della relazione e il riconoscimento dell’alterità. Non è qui in discussione la capacità di cura che possono avere le coppie omogenitoriali quanto piuttosto l’articolazione delle relazioni che i figli possono stabilire».

 

Pierpaolo Donati, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna, ha a sua volta spiegato l’oggetto dei suoi lunghi studi: «Il genoma familiare fondato sulla relazione tra un uomo e una donna è un fatto sociale imprescindibile, perché intorno a questa polarità tra maschile e femminile si fondano codici simbolici fondamentali per il pensiero umano. Annullare la differenza tra maschile e femminile comporta l’alterazione della capacità stessa delle persone di percepirsi come uomo o come donna e di avere relazioni sociali significative. Questa distorsione provoca anche una grave mutazione antropologica, contribuendo alla realizzazione di una società “anomica”, cioè priva di norme». Ha poi ricordato che «la famiglia non esiste senza la differenza sessuale» ed «essere maschi o femmine non è una modalità superficiale e arbitraria di vivere delle scelte individuali a piacimento, ma una modalità necessaria di esprimere se stessi come persone autentiche». La differenza tra uomo e donna non è solo biologica e solo ai fini riproduttivi ma «per realizzare l’umano attraverso una dualità originaria in tutti gli ambiti di vita».

 

Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea all’Universita degli Studi di Roma La Sapienza, ha parlato della «minaccia che grava su quanti si oppongono a questi “matrimoni”: essi sarebbero contrari all’uguaglianza dei gay, quindi omofobi. Come se non si potesse difendere il diritto delle persone omosessuali a non essere sottoposti ad alcuna discriminazione e, al tempo stesso, essere contrari a concedere loro il matrimonio. Come se l’uguaglianza fra i cittadini dovesse essere ratificata dalla cancellazione di ogni differenza, negando in questo caso quella sessuale. La storia e il diritto insegnano che l’uguaglianza fra i cittadini deve essere sempre commisurata alle differenze che la realtà stabilisce fra loro. I diritti dei bambini non sono quelli degli anziani, i diritti delle donne sono diversi per alcuni aspetti da quelli degli uomini. E questo non significa che non godano di una uguaglianza di fronte alla legge: un’uguaglianza che tiene conto delle possibilità differenti, ma non per questo meno preziosa e positiva. Il matrimonio non è solo un contratto come tanti altri che può funzionare o meno, ma è il legame istituzionale alla base di una famiglia, è l’istituzione nata per proteggere e garantire la filiazione, stabilita in modo da determinare i diritti e i doveri che passano fra le generazioni. Dal momento che una coppia omosessuale non prevede la filiazione, è una realtà diversa. L’utopia dell’uguaglianza, che ha già portato tanti danni nel Novecento, si presenta così sotto nuove vesti, chiedendo di dichiarare uguali legami che non lo sono, e ricominciando, in questo modo, a illudere l’umanità come ha fatto in passato il socialismo reale. Dire che il matrimonio fra una donna e un uomo è uguale a quello fra due omosessuali costituisce, infatti, una negazione della verità che intacca una delle strutture base della società umana, la famiglia. Non si può fondare una società su queste basi senza pagare poi prezzi altissimi, come è già avvenuto in passato quando si è cercato di realizzare una totale uguaglianza economica e sociale. Perché ripetere lo stesso errore per inseguire ancora una volta un’utopia ormai consunta?». Rispetto all’adozione per le coppie omosessuali, «sappiamo bene che il desiderio di avere un figlio del proprio sangue — o almeno del sangue di uno dei due membri della coppia — prevale nella realtà delle coppie omosessuali su quello di adozione, dando luogo a nuove forme di sfruttamento, come la compravendita dei gameti e l’utero in affitto. Se è senza dubbio vero che, oltre al problema dei matrimoni omosessuali, ci sono tanti altri “disordini antropologici” su cui intervenire, fra questi dobbiamo senza dubbio annoverare quelle forme di sfruttamento che le nuove biotecnologie suscitano e favoriscono, anche nella procreazione assistita. E sicuramente il riconoscimento dei matrimoni gay non farebbe che stimolarne altre. Linguisti e psicologi stanno mettendo in guardia la società dallo svuotare del significato proprio i termini: il concetto di famiglia non si può allargare a dismisura, senza distruggere l’identità di una delle istituzioni più importanti di una società, e altrettanto avviene per la definizione di madre e di padre. Perché non ascoltare la parola di chi segnala questi errori?»

 

Rosa Rosnati, docente di Psicologia dell’adozione e dell’affido presso l’Università Cattolica di Milano ha spiegato che «crescere godendo della presenza di un padre e di una madre consente al bambino di conoscere dal vivo cosa vuol dire essere uomo e donna e, quindi, definire nel tempo una solida identità maschile o femminile. Allo stesso tempo il bambino potrà fare esperienza della relazione tra uomo e donna, capace di accogliere e valorizzare le differenze. Due genitori dello stesso sesso non possono fornire questa esperienza di base, quindi il bambino sarà gravato da un compito psichico aggiuntivo. Ai bambini adottati la società deve fornire condizioni ideali di crescita, non esporli ad altri fattori di rischio».

 

Serenella Trezza, neuropsichiatra infantile presso l’Ospedale Niguarda Ca’Granda, nonché psicopatologa dell’età evolutiva, ha commentato:

«mi sono documentata sulla enorme mole che in letteratura esiste circa la necessità per un bambino della presenza e della relazione con le proprie figure genitoriali biologiche, la propria mamma e il proprio papà, e quanto sia più felice un bambino che ha entrambi i suoi genitori, assieme. La nostra formazione ci ha portato a conoscere il mondo interiore, psichico dell’infanzia e non possiamo allinearci al pensiero di chi non lo comprende. Abbiamo il dovere di dare voce al mondo dell’infanzia, che non può difendersi da sola! Tocca a noi, neuropsichiatri infantili e psicologi dell’età evolutiva, oltre a tutte le nostre figure professionali che lavorano nella NPI con competenza e dedizione. Non è il momento di tacere e di allinearsi con una minoranza di persone che pensa di stravolgere tutta la psichiatria infantile con un colpo di spugna, con la minaccia di denunciare come “omofobo” tutti quelli che difendono l’infanzia. Non si può cedere alle minacce, non si può lasciare decidere agli altri, non si può nascondere sotto le sembianze di “uguaglianza e accoglienza” una violazione gravissima verso i minori».

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L’aborto è una violenza legalizzata, non un diritto

La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento. Dal primo istante della sua esistenza, l’essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita. Questo è il motivo per cui esiste un’opposizione chiara e duratura sull’interruzione di gravidanza, la quale si basa principalmente su motivazioni laiche e non solo su principi religiosi, come la sacralità della vita.

In questo dossier esamineremo nei diversi capitoli tutti gli aspetti critici di questo argomento. Occorre sottolineare che la donna che sceglie di abortire ha grosse colpe (come si capisce nel capitolo 6 del dossier) ma occorre sempre comprensione verso lei perché, in questo contesto, le vittime sono sempre due: il bambino non ancora nato e la madre stessa, vittima della pressione sociale. Vediamo comunque quali sono i punti fondamentali da tenere in considerazione.

 
 

INDICE

1. Perché l’aborto non è un diritto

2. Aborto è business miliardario

3. Storia dell’aborto

4. La scienza dimostra che embrione e feto sono esseri umani

5. L’aborto e la menzogna della bomba demografica

6. I motivi per cui le donne abortiscono

7.1 L’aborto e il cancro al seno

7.2 La Sindrome post-aborto

7.3 Aborto, nascite premature e aborti spontanei

7.4 Aborto aumenta danni all’utero

7.5 Aborto e placenta previa

7.6 Aborto aumenta la mortalità materna

8. Violenza delle tecniche abortive

9. Aborto e dolore fetale

10. Tutte le risposte da dare a chi sostiene l’aborto

 
 

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Bioetica

In questa sezione del sito daremo spazio alle motivazioni, anche scientifiche, del perché di una certa visione della Chiesa rispetto a tematiche come quelle bioetiche. Inutile dire che questo è un campo delicatissimo, il quale alimenta spesso posizioni ideologicamente anticlericali. Da una parte c’è l’uomo contemporaneo che desidera tutto e pretende la trasformazione in diritto di ogni desiderio, animato da un forte relativismo etico. Dall’altra c’è la posizione della Chiesa che chiede prudenza e si spende perché permanga nella società una concezione della sacralità della vita, rispettando l’uomo nella sua integralità.

La mentalità scientista pretende che qualsiasi risultato raggiunto dalla ricerca scientifica sia immediatamente e legittimamente applicabile alla società. Eppure, come ricorda Carter Snead, professore di diritto all’University of Notre Dame e ricercatore presso l’Ethics and Public Policy Center: «C’è una incommensurabilità immensa tra gli assiomi umanistici e la scienza. La scienza moderna, proprio per sua natura, non ha niente da dire relativamente a concetti umani, tipo libertà, giustizia, uguaglianza, dignità che sono alla base della nostra essenza come uomini. Queste parole non sono nel lessico scientifico, non si riescono a capire dal punto di vista scientifico. La scienza non riconosce questi concetti e non è interessata nemmeno alla loro elaborazione ed esposizione. La scienza moderna, allora, non è lo strumento giusto di cui ci dobbiamo avvalere in campo bioetico, altrimenti otteniamo dei risultati insoddisfacenti o addirittura mostruosi nel peggiore dei casi».

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L’aborto e la menzogna della bomba demografica

L’idea della bomba demografica sostiene che l’aumento della densità di popolazione inibisca la prosperità umana, sia per la non sufficiente quantità di cibo che di risorse naturali. Per questo i sostenitori ritengono moralmente accettabile l’aborto come metodo di controllo demografico. Ma si tratta di una tesi ampiamente smentita.


Negli anni ’60 e ’70 la teoria malthusiana regnava fra gli accademici, così come ogni libro di sociologia ammoniva che, in qualunque momento, ci si poteva aspettare una tragedia. Nel suo best seller The Population Bomb (La bomba demografica), Paul Ehrlich, docente alla Stanford University, pontificava: «La battaglia per nutrire tutta l’umanità è finita. Negli anni ’70 il mondo sarà colpito da carestie, centinaia di milioni di persone moriranno di fame». Naturalmente non accadde nulla di tutto questo, tuttavia gli abortisti colsero l’occasione e iniziarono a parlare lo stesso linguaggio dei catastrofisti, unendosi agli ecologisti radicali, che vedono l’uomo come un cancro terribile, un microrganismo, un parassita nocivo che minaccia il pianeta.

Ecco dunque l’apologia della sterilizzazione, della contraccezione e dell’aborto come strumenti indispensabili per controllare l’inarrestabile aumento demografico. Uno dei consulenti scientifici dell’ex presidente americano Barack Obama, l’ambientalista John Holdren, è stato nel 1977 co-autore del libro “Ecoscience: Population, Resources, Environment (W.H. Freeman & Co. 1977) noto per aver suggerito la sterilizzazione di massa e l’aborto forzato per salvare il mondo. Uno dei giudici della Corte Suprema, Ruth Bader Ginsburg, che nel 1973 ha liberalizzato l’interruzione di gravidanza negli USA tramite la sentenza Roe vs. Wade, ha ammesso (lasciando intravedere un tocco di eugenetica) nel 2009: «Francamente pensai alla preoccupazione per la crescita della popolazione ed in particolare alle popolazioni che non volevamo crescessero troppo».

Non vi è alcuna prova del fatto che l’alta densità di popolazione inibisca la prosperità umana anzi, è dimostrato che il danno sociale deriva dalla mancanza di forza-lavoro. La popolazione mondiale è triplicata tra il 1900 ed il 2000, ma il boom demografico (dovuto al crollo del tasso di mortalità, tra l’altro) è coinciso con una crescita della produttività, della ricchezza, della sanità come mai nella storia dell’uomo. Oggi l’uomo vive più a lungo, mangia meglio, produce e consuma di più. La disparità economica è dovuta a politiche sbagliate, non alla crescita della popolazione.

Con questo dossier (in continuo aggiornamento) analizziamo criticamente e smontiamo uno dei tanti argomenti a favore dell’interruzione di gravidanza, quello appunto che prevede l’aborto come strumento di controllo demografico per il bene del pianeta e della stessa popolazione umana.

 

 

ELENCO DI STUDI E PARERI SCIENTIFICI

 

 

 

  • L’8 luglio 2020 Nora McKeon, ex funzionario Fao e docente al master in Human development dell’università Roma3, esperta internazionale di sicurezza alimentare, ha sostenuto: «Bisogna innanzitutto cambiare i paradigmi contro la narrativa dominante di un produttivismo necessario per sfamare un popolazione in continua crescita. Non è vero, di cibo ce n’è abbastanza: vi è un problema di accesso, di diseguaglianza. Già oggi sono 3 miliardi i piccoli agricoltori nel mondo, responsabili del 70% del cibo prodotto. Importante è poi svelare il prezzo reale del cibo: quello processato nei supermercati costa meno perché fa pagare tutti gli impatti negativi, sociali e ambientali, alla comunità. Se si calcolasse il vero prezzo, il cibo processato risulterebbe molto più caro di quello agroecologico. Le persone, non gli individui consumatori, devono riappropriarsi del valore sociale, culturale, spirituale del cibo».

 

  • Nell’ottobre 2016 è stato pubblicato il rapporto Cesvi sull’Indice globale della fame, intitolato “Obiettivo fame zero”. Un Indice della Fame con un valore compreso tra 35 e 49,9 indica un fenomeno “allarmante”, uno tra 20 e 34 una situazione “grave”, da 10 a 20 livello “moderato”. A livello globale questo Indice è arrivato a 21,3 nei paesi in via di sviluppo, mentre all’inizio del millennio era a quota 30. Dal 2000 ad oggi, dunque, nonostante l’aumento del numero di popolazione, la fame nel mondo è scesa del 29%.

 

  • Nell’agosto 2016 il giornalista David Harsanyi ha osservato che nonostante la popolazione dell’India sia esplosa dai 450 milioni del 1960 ai 1,25 miliardi di oggi, ogni misura tangibile del progresso umano del popolo indiano dimostra che vivono decisamente meglio oggi di ieri.

 

  • Nell’agosto 2016 lo storico Johan Norberg, esperto di globalizzazione e senior fellow del Cato Institute, ha scritto un articolo spiegando che «non c’è mai stato un momento migliore per vivere, dato che l’umanità non è mai stata più sicura, più sana, più ricca o meno diseguale. La povertà, la malnutrizione, l’analfabetismo, il lavoro minorile e la mortalità infantile stanno calando più velocemente che in qualsiasi altro momento nella storia umana».

 

  • Nel dicembre 2015 sulla rivista Nature è apparso un articolo contro i miti e le false credenze. Tra essi il fatto che la popolazione umana è in crescita esponenziale e, per questo, siamo condannati. Ma la popolazione umana non sta crescendo in modo esponenziale, si spiega, e il mondo ha risorse a sufficienza già oggi per far fronte a ben oltre 9 miliardi di abitanti che vi saranno nel 2050. La malnutrizione è dovuta ad errori nella distribuzione del cibo, non alla sua mancanza.

 

  • Nel novembre 2015 il Dipartimento degli Affari Economii e Sociali dell’ONU ha pubblicato il report 2015 chiamato “World Population Prospects” il quale ha rilevato che l’anno successivo, per la prima volta dal 1950, la forza lavoro complessiva delle economie avanzate diminuirà, e calerà del 5% entro il 2050. La frenata riguarderà anche i Paesi emergenti come la Cina, dove l’inversione di tendenza è già cominciata, e si capisce dalla decisione di mettere fine alla politica del figlio unico. La popolazione in età lavorativa diminuirà del 26% in Corea del Sud, del 28% in Giappone, del 23% in Italia e Germania.

 

  • Nel novembre 2015 l’economista Greg Ip, della Carleton University, sul Wall Street Journal, il maggior quotidiano al mondo di affari e finanza, ha scritto: «nel 1798 Thomas Malthus, un saggista britannico, sostenne che l’umanità si sarebbe riprodotta più rapidamente di quanto potesse aumentare la produzione alimentare, causando fame e povertà. Aveva torto. Nel corso dei secoli diciannovesimo e ventesimo, la popolazione del mondo occidentale è cresciuta rapidamente, con un crollo nel biennio 1918-19 a causa della prima guerra mondiale e della pandemia di influenza ‘spagnola’. Ma l’aumento della produttività agricola si è dimostrato più che in grado di alimentare le bocche dei più». Ha quindi confermato che i Paesi la cui popolazione cresce, sono destinati a svilupparsi anche dal punto di vista economico. Tuttavia, all’inverno demografico non risponde nemmeno l’immigrazione: «I Paesi che forniscono più immigrati negli Stati Uniti, Messico e Cina, stanno a loro volta invecchiando, e la forbice di persone che cerca una vita migliore all’estero si sta restringendo». La situazione è dunque preoccupante non certo per la bomba demografica, ma per l’inverno demografico, tanto che Paesi come Singapore, Australia, la provincia canadese del Quebec (e la stessa Europa), hanno incoraggiato e offerto finanziamenti alle famiglie per aumentare il numero di figli.

 

  • Nell’ottobre 2015 il report della Banca Mondiale ha rilevato che, grazie alla diffusione del commercio, dei progressi tecnologici e dell’energia, il numero di persone in tutto il mondo che vivono in condizioni di estrema povertà è sceso al di sotto del 10%.

 

  • Nell’ottobre 2015 è stato premiato con il Nobel per l’Economica Angus Deaton. Nel suo libro, “La grande fuga. Salute, ricchezza e origini della disuguaglianza” (Il Mulino 2015), Deaton ritiene che ci possono essere buone ragioni per provare a limitare la dimensione dei gruppi familiari ma esclude ve ne siano per una forma di «controllo delle nascite da parte di soggetti estranei, quali governi stranieri e istituzioni internazionali». I chierici del mondo ricco hanno tradito i dannati della terra, pensando che una dimensione tanto privata e tanto importante del loro essere uomini e donne fosse “pianificabile” da altri. Ma prima ancora che la prognosi, era la diagnosi ad essere sbagliata. «A dispetto dei profeti di sventura, l’esplosione della popolazione non ha precipitato il mondo nella carestia e nella miseria più nera. Anzi, l’ultimo mezzo secolo ha visto non solo la riduzione della mortalità che ha prodotto l’esplosione, ma anche una fuga di massa proprio da quella povertà e quelle privazioni che avrebbero dovuto essere causate dall’aumento della popolazione stessa».

 

  • Nel giugno 2015 un rapporto delle Nazioni Unite ha valutato che 795 milioni di persone nel 2014 hanno sofferto la fame, 200 milioni un meno rispetto al circa 1 miliardo di persone che soffrirono la fame nel 1990. Tutto questo nonostante la popolazione mondiale sia aumentata di circa 2 miliardi a partire dagli anni ’90.

 

  • Nel maggio 2014 nell’Enciclica Laudato sii Papa Francesco ha scritto: «Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”. Però, «se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale». Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo. Inoltre, sappiamo che si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono, e «il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero». Ad ogni modo, è certo che bisogna prestare attenzione allo squilibrio nella distribuzione della popolazione sul territorio, sia a livello nazionale sia a livello globale, perché l’aumento del consumo porterebbe a situazioni regionali complesse, per le combinazioni di problemi legati all’inquinamento ambientale, ai trasporti, allo smaltimento dei rifiuti, alla perdita di risorse, alla qualità della vita».

 

  • Nel novembre 2014 Papa Francesco è intervenuto alla conferenza internazionale sulla nutrizione nella plenaria della Fao delle Nazioni Unite, affermando: «C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Purtroppo questo paradosso continua a essere attuale».

 

  • Nel settembre/ottobre 2014 il noto oncologo italiano Umberto Veronesi, noto per le sue battaglie a favore di aborto ed eutanasia, ha affermato che «si è parlato e si parla di “bomba demografica”, si lanciano allarmi. Ma sono posizioni in malafede, perché proprio grazie alla scienza c’è uno sviluppo “sostenibile” che può consentire la vita a tutti quanti. Come? Dalla conversione a un modello largamente vegetariano (gli allevamenti consumano risorse preziose, a partire dall’acqua) alla caduta dei pregiudizi ideologici contro i vegetali geneticamente modificati, gli Ogm». In un articolo pochi giorni dopo ha aggiunto: «è necessario trovare un modo per favorire la maternità, è una battaglia difficile perché il progresso è un carro armato che schiaccia tutto». Gravidanza e allattamento, infatti, prevengono i tumori.

 

  • Nel settembre 2013 Erle C. Ellis, professore associato di sistemi di Geography and environmental systems presso l’Università del Maryland ha scritto un articolo sul “New York Times” intitolato “La sovrappopolazione non è un problema” spiegando che il fatto che «gli esseri umani stanno superando la capacità di carico naturale della terra» è «una sciocchezza. Queste affermazioni dimostrano una profonda incomprensione dell’ecologia dei sistemi umani. Le condizioni che sostengono l’umanità non sono naturali e non lo sono mai state. Fin dalla preistoria, le popolazioni umane hanno usato le tecnologie e gli ecosistemi ingegnerizzati per sostenere le popolazioni ben oltre le capacità degli inalterati ecosistemi “naturali” […]. L’idea che gli esseri umani devono vivere entro i limiti ambientali naturali del nostro pianeta nega la realtà di tutta la nostra storia. Gli esseri umani sono creatori di nicchia. Trasformiamo ecosistemi per sostenere noi stessi. Questo è quello che facciamo e hanno sempre fatto. Non c’è ragione ambientale perché le persone siano affamate, ora o in futuro. Gli unici limiti alla creazione di un pianeta per le generazioni future sarà la nostra immaginazione e i nostri sistemi sociali».

 

  • Il 17 agosto 2011 il docente di Demografia nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, Alessandro Rosina, membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Statistica, del Consiglio Direttivo della Scuola di Dottorato di Ricerca in Scienze Statistiche e del Consiglio scientifico della Società Italiana di Demografia Storica, ha risposto agli eco-allarmismi di (già stato citato) Giovani Sartori, il quale si è dichiarato “terrorizzato” da 10 miliardi di persone e ha sostenuto il controllo demografico “ad ogni costo”. Rosina ha risposto: «quello che spiazza è sopratutto l’eccessiva semplificazione nella lettura dei grandi cambiamenti in atto e la brutalità delle soluzioni proposte. Non stupisce invece che Sartori se la prenda anche con i giovani, colpevoli di essere nati e di essere generazionalmente troppo diversi da lui, quindi sbagliati per definizione. Quando si pensa all’eccesso di crescita demografica sono stranamente sempre gli altri, tanto più quanto sono diversi da noi, ad essere troppi». Ha ricordato poi che la crescita della popolazione ha permesso il miglioramento delle condizioni di vita di tutti. Inoltre il secolo appena iniziato, purtroppo, «sarà quello del rallentamento e della stabilizzazione» della popolazione. La fecondità decresce e la bomba demografica risulta oramai ampiamente disinnescata». Conclude Rosina: «come molti studi però evidenziano, più che misure coercitive sulla riduzione della quantità dei figli, la vera risposta è la promozione dell’investimento sulla qualità delle nuove generazioni per tutte le ricadute positive che produce. Ma questo il Sartori non lo sa o fa finta di non saperlo».

 

  • Il 10 agosto 2011 l’economista Dermot Grenham, docente presso la prestigiosa London School of Economics, membro dell’Institute of Actuaries ed esperto di demografia ed esperto di demografia e popolazione, ha risposto alle accuse che alcuni ecologisti hanno fatto al calciatore David Beckham e a sua moglie per la nascita del loro quarto figlio (evento giudicato un brutto esempio per motivi demografici), dicendo: «Congratulazioni a David e Victoria! L’arrivo di un quarto figlio Beckham è sicuramente una grande notizia per loro, ma è anche una buona notizia per l’economia e per il futuro del pianeta! Non appena una celebrità ha tre o quattro bambini, i doomsayers [cioè i “catastrofisti”] iniziano a lamentarsi dicendo che stanno dando un pessimo esempio. Eppure i tassi di natalità nei paesi più ricchi sono già sotto il livello di sostituzione, in alcuni Paesi ben più al di sotto, il che significa che prima o poi ci sarà una diminuzione del numero dei lavoratori a sostegno degli anziani. Che tipo di società vogliamo lasciare ai nostri figli?».

 

  • Nell’agosto 2010 l’economista Phillip Longman, senior research fellow presso la New America Foundation and Schwartz Senior Fellow al Washington Monthly, ha dichiarato: «La maggior parte dei previsti 2,2 miliardi di crescita della popolazione mondiale entro il 2050, non verrà dai bambini. Infatti, in quel periodo, la popolazione dei bambini (0 a 4) prevede un calo di 49 milioni. Una popolazione giovane, in crescita, crea più domanda di prodotti e una maggiore offerta di lavoro. Incoraggiando così le persone a cercare modi più efficienti per fornire cibo, energia e altri elementi essenziali, stimolando anche l’innovazione e lo spirito imprenditoriale».

 

  • Il 22 giugno 2009 è stato pubblicato uno studio da parte della FAO e della Banca Mondiale, intitolato “Awakening Africa’s Sleeping Giant – Prospects for Commercial Agriculture in the Guinea Savannah Zone and Beyond”“. In esso si spiega che circa 400 milioni di ettari della Savana africana sono molto adatti all’agricoltura, ma solo il 10 per cento di questi sono attualmente coltivati. Secondo lo studio comunque «l’Africa ha oggi una posizione migliore per raggiungere un rapido sviluppo agricolo rispetto al nord-est della Thailandia o del Cerrado. Ci sono una serie di ragioni per questo: la rapida crescita economica, la crescita demografica e urbana, la quale ha fornito mercati nazionali diversi e ampi e l’utilizzo di nuove tecnologie».

 

  • Sempre nel 2008 il già citato economista Julian L. Simon, docente di economia aziendale presso l’Università del Maryland e Senior Fellow presso il Cato Institute, ha pubblicato il libro “The State of Humanity” (Wiley-Blackwell 2008). Nel capitolo intitolato “The Standard of Living Through the Ages”, curato dai demografi Joyce Burnette e Joel Mokyr, si dimostra che assieme alla crescita dei numeri dell’umanità, è cresciuto anche il nostro tenore di vita medio, sottolineando anche che ogni statistica su questo rivela che la popolazione è cresciuta nel tempo e la persona media sta meglio. Attraverso grafici sull’aumento del reddito pro capite, sull’aspettativa di vita media, sull’altezza media, sul consumo calorico, sul consumo di zucchero ecc.., espongono che l’incremento costante è parallelo alla crescita della popolazione nel tempo (citato in http://overpopulationisamyth.com/content/episode-4-poverty-where-we-all-started#header-3)

 

  • Nel gennaio 2008, la Banca Mondiale ha pubblicato un articolo intitolato “Urban Poverty: A Global View”, nel quale si discute degli effetti dell’urbanizzazione (cioè il processo che vede sempre più persone affollare le aree urbane). Secondo il documento, la gente che si trasferisce in aree più affollate non ha solo più probabilità di sfuggire alla povertà, ma starà meglio nel corso del tempo, perché «l’urbanizzazione contribuisce alla crescita economica che è fondamentale per la riduzione della povertà». «Nel complesso», continuano gli esperti della Banca Mondiale, «il processo di urbanizzazione ha svolto un ruolo importante nella riduzione della povertà, fornendo nuove opportunità per i migranti. L’economia urbana fornisce opportunità per molti ed è la base per la crescita e la creazione dell’occupazione».

 

  • Nel 2007, all’interno della sua previsione a lungo termine, la Social Security Administration (SSA) ha riconosciuto che a causa della diminuzione di popolazione, il tasso di crescita dell’economia degli Stati Uniti, ricavata dal totale dei beni e servizi prodotti, sarà più lento. Anche il tasso di partecipazione declinerà costantemente (oltre il 59% entro il 2081). Come rimedio suggeriscono dunque la crescita percentuale di popolazione in età lavorativa che possa così contribuire all’aumento di forza-lavoro.

 

  • Nell’marzo del 2006, durante una relazione alla Texas Academy of Science, Eric R. Pianka, zoologo evoluzionista dell’università di Austin in Texas, ha dichiarato che ««I carburanti fossili stanno finendo: sicchè dobbiamo tagliare la popolazione fino a due miliardi, un terzo di quella che c’è attualmente». Ha esordito deplorando «l’antropocentrismo», la malaugurata idea che l’uomo occupi un posto privilegiato nel mondo («Non siamo meglio dei batteri!», ha detto). La crescita della popolazione umana sta «rovinando» il pianeta e bisogna salvarlo prima che sia troppo tardi. Per farlo, ha dichiarato di fronte alla platea, occorre che la popolazione umana sia ridotta al 10% di quella attuale («oltretutto, i carburanti fossili sono alla fine»). Ha quindi lodato la politica cinese del figlio unico, con sterilizzazione forzata delle donne che infrangono la norma: «dovremmo sterilizzare ognuno sul pianeta», ha esclamato: «se no, gli incoscienti erediteranno la terra». Ha augurato lo scoppio dell’influenza aviaria, anche se «ancora non basterebbe». L’Aids è decisamente troppo lento, e quindi il primato dell’efficienza lo ha attribuito al virus dell’Ebola: «si diffonde per via aerea e ammazza il 90 % degli infettati. Pensateci», ha detto rivolgendosi al pubblico. Ha quindi ipotizzato che questo virus venga adeguatamente «mutato» in laboratorio per renderlo ancora più contagioso.

 

  • Nell’aprile 2005 l’importante economista Julian L. Simon, docente di economia aziendale presso l’Università del Maryland e Senior Fellow presso il Cato Institute, ha dichiarato in un’intervista per Religion & Liberty: «La crescita della popolazione non ha un effetto statisticamente negativo sulla crescita economica. Sappiamo che da 30 anni gli studi scientifici dicono l’opposto di ciò che la gente crede: la conoscenza umana ci permette di produrre più prodotti utilizzando sempre meno materie prime, così le risorse naturali sono sempre più disponibili. L’aria e l’acqua nei paesi ricchi stanno diventando sempre più pulite. Se guardiamo i Paesi più densamente popolati, come Hong Kong, Singapore, Olanda e Giappone, notiamo che stanno crescendo più velocemente dei Paesi meno densamente popolati, come quelli africani». In alcuni suoi testi ha portato questo piccolo esempio: il Bangladesh e Gaza (zone a basso standard di vita) sono densamente popolate, ma lo sono anche Hong Kong e Monaco (zone ad alto standard di vita). La South Korea ha 2,5 volte la densità di popolazione della North Korea, eppure presenta un maggiore standard di vita. Il Porto Rico e il Giappone sono più densamente popolati del Ruanda e dello Sri Lanka, dove la qualità di vita è minore. Gli Stati Uniti hanno la stessa densità di popolazione dello Zimbabwe ecc.. Conclude dicendo che lo standard di vita non è significativamente associato alla densità di popolazione, piuttosto lo sviluppo umano dipende in modo critico dalle economie libere, dall’assenza di guerra, di corruzione e di lotta politica. In modo ancora maggiore dipende dalle politiche governative, infatti si nota che i Paesi con peggior standard qualitativo non sono quelli più densamente popolati, ma maggiormente sono di stampo socialista e marxista.

 

  • Il 2 novembre 2004 il Sole 24Ore ha ospitato un articolo dell’economista ecologista Jeffrey Sachs, direttore del Earth Institute e consigliere speciale del segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon, il quale ha ancora una volta sostenuto la “bomba demografica”, riconoscendo però che «sulla questione demografica il dibattito nel mondo è confuso». Tuttavia, ha continuato, «chi teme una popolazione eccessiva ha argomentazioni migliori» e comunque «i Governi dovrebbero evitare politiche di incentivi alle nascite, anche laddove il tasso di natalità è molto basso». Sachs riconosce il calo demografico in Occidente, ma se la prende con gli abitanti del Terzo Mondo, i quali «non conoscono le tematiche della contraccezione e della pianificazione familiare». Ecco dunque riproposti i soliti allarmismi ecologisti degli anni ’70: «Due miliardi e mezzo di persone in più creeranno una pressione gigantesca sul pianeta. L’utilizzo dell’energia sta già crescendo enormemente per l’effetto combinato dell’aumento del reddito pro capite e della popolazione complessiva. Le conseguenze includono una rapida deforestazione, il depauperamento delle risorse ittiche e delle terre fertili, il degrado dell’habitat e la perdita di biodiversità. La crescita demografica nei Paesi in via di sviluppo – soprattutto Africa, India e altre aree dell’Asia – deve rallentare». E ancora: «una parte dell’opinione pubblica europea, preoccupata dal calo demografico del Vecchio continente, vorrebbe andare in una direzione opposta, cercando di aumentare la dimensione delle famiglie. Sarebbe un grave errore». Sostiene quindi che meno giovani non sono un problema, basterà alzare «l’età del pensionamento oltre i 65 anni». Inoltre ci saranno «minori spese da affrontare per l’educazione dei figli e si renderanno disponibili più risorse per maggiori investimenti in servizi pubblici. E in generale migliorerà la qualità della vita, con città meno congestionate e minore inquinamento». Conclude Sachs: «non è certo rivoluzionario un appello a frenare il boom demografico […] che porta a una pressione tremenda sulla Terra, obbligandoci a moltiplicare gli sforzi per rallentare la crescita demografica e per migliorare qualità della vita e sostenibilità ambientale».
    A Sachs risponde l’antropofenomenologo Giorgio Bianco, il quale nota che i dati citati da Sachs non sono per nulla sufficienti a dimostrare un nesso causale fra densità di popolazione e trend demografici da un lato, e povertà dall’altro. Sachs, come tutti i neomalthusiani, non notano che sono proprio i Paesi attualmente più poveri e sottosviluppati ad essere quelli meno intensamente popolati. L’equazione “sovrappopolazione = povertà” è stata già più volte smentita, e Bianco cita ad esempio “Il mondo in cifre” (Internazionale 2004), traduzione italiana di Pocket World in Figures, pubblicazione legata al prestigioso quotidiano The Economist, dove si riportano i dati stilati dall’UNDP, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, per cui l’India presenta una densità di popolazione di 312 abitanti per km2, con un PIL pro capite di 470 dollari e un Indice di sviluppo umano pari a 57,7, mentre il Belgio fa registrare una densità di popolazione di 337 abitanti per km2, un PIL pro capite di 22.370 dollari, e un indice di sviluppo umano pari a 93,9. Tutto il contrario dell’opinione di Sachs. Anche l’assunto per cui i Paesi più poveri siano quelli in cui si registra la più bassa densità di popolazione è sbagliata: la superficie del Madagascar, ad esempio, è di 587.940 km2, mentre quella del Giappone è di 377.835 km2. Tuttavia gli 11 milioni di malgasci muoiono di fame, mentre i giapponesi sono, con il loro reddito pro capite, il secondo popolo più ricco del mondo. Anche sull’argomento “risorse naturali” Sachs dimostra un approccio non scientifico, poiché vengono considerate come un dato fisso, immutabile e conosciuto (per sostenere che l’equazione “aumento della popolazione = diminuzione delle risorse”). In realtà, continua Bianco, la quantità di risorse conosciuta è sempre minore di quella che esiste in realtà: è il bisogno, strettamente legato allo sviluppo, che spinge a cercare e a trovare nuovi giacimenti di risorse conosciute, e ad inventarne delle nuove. Il concetto di risorsa non è definito dalla natura: non esiste nulla che possa essere considerato risorsa in quanto tale (oltre ad acqua e aria), sono la creatività e la tecnologia umana a trasformare, di volta in volta, sostanze, elementi, componenti della natura, magari in precedenza considerati del tutto inutili (come petrolio e silicio, ad esempio). Il progresso scientifico e tecnologico potrebbe dunque metterci a disposizione risorse che, allo stato attuale, neppure ci immaginiamo. La prima, fondamentale, imprescindibile risorsa è proprio l’uomo, con la sua capacità di adattarsi al cambiamento delle circostanze e delle relative esigenze.

 

  • Il 4 ottobre 2004 il quotidiano Il Foglio ha pubblicato in prima pagina un articolo intitolato “Il problema del mondo è che i cinesi fanno pochi figli”, in cui si riportava la dichiarazione su Newsweek di Michael Meyer, oggi speechwriter del Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-Moon: «Nel mondo stanno nascendo sempre meno bambini. Il tasso di fertilità è calato dai 6 figli per donna del 1972 ai 2,9 di oggi, e i demografi dicono che continuerà a scendere più veloce che mai. La popolazione mondiale continuerà a crescere, dagli attuali 6,4 miliardi ai 9 del 2050. Ma dopo questa data, inizierà a diminuire in modo netto». Meyer ha anche dichiarato: «La crescita dell’alfabetizzazione femminile e l’iscrizione nelle scuole ha determinato una diminuzione della fertilità, così come i divorzi, l’aborto e la tendenza a spostare sempre più avanti la data del matrimonio. L’uso dei contraccettivi, inoltre, è cresciuto drammaticamente negli ultimi decenni. Secondo le Nazioni Unite, il 62% delle donne sposate, o comunque “unite”, in età riproduttiva sta usando adesso qualche forma di controllo non naturale delle nascite».

 

  • Il 23 settembre 2004 il responsabile della sezione economica del quotidiano Repubblica, Giuseppe Turani, ha pubblicato un articolo intitolato “Il mondo invecchia e diventa più povero” nel quale commenta l’ultima analisi del Fondo monetario internazionale (Fmi): nel 2050 l’età media della popolazione mondiale aumenterà di 10 anni e crescerà sempre meno. Inevitabile un rallentamento del Pil pro-capite. Subito riconosce che sta avvenendo «proprio il contrario della vecchia teoria malthusiana secondo cui il boom demografico è strettamente connesso allo sviluppo economico». Un mondo con più vecchi, infatti, significa che diminuisce il numero di persone che produce, e questo si traduce in un’economia destinata a crescere più lentamente. Secondo il Fmi, continua l’articolo, la popolazione globale nel 2050 è stimata in crescita dello 0,25% contro l’1,25% attuale: è il risultato di un invecchiamento senza precedenti. In gran parte del paesi avanzati l’invecchiamento della popolazione è già in atto e la percentuale di popolazione attiva calerà significativamente nei prossimi 50 anni (negli USA il processo è rallentato da una forte immigrazione). Nel sudest asiatico e nell’Europa centrale e orientale, invece, questo trend prenderà il via a partire dal 2020, mentre nei paesi in via di sviluppo e in particolare in Africa e nel Medio Oriente si farà sentire solo nell’arco di alcuni decenni. Il rapporto del Fmi, continua Turani, mette anche in luce la progressiva diminuzione della popolazione dei paesi avanzati rispetto a quella del resto del mondo. Tutto questo comporterà un forte innalzamento della spesa previdenziale e sanitaria e un calo del pil pro capite, cioè un impoverimento generale. Per quanto riguarda il tasso di risparmio, il Fmi nota che in Europa e in Giappone calerà fortemente, a causa dell’invecchiamento della popolazione e del declino dei lavoratori attivi, portando anche un calo delle entrate fiscali. Per quanto riguarda il numero di persone nel 2050, secondo l’Onu, saranno 8,9 miliardi, secondo il Census Bureau Usa 9 miliardi e secondo l’IIASA (International Institute for Applied Systems Analysis) e la Banca mondiale saranno 8,8 miliardi.

 

  • Nel 2003 è uscito in Italia il libro “La terra scoppia. Sovrappopolazione e sviluppo” (Rizzoli 2003), scritto dal politologo Giovanni Sartori e da Gianni Mazzoleni. I due autori dichiarano di voler confutare l’opinione, fra gli altri, di Gary Becker, premio Nobel per l’Economia nel 1992, secondo cui la teoria maltusiana è fallita perché la crescita della popolazione è stata fondamentale per lo sviluppo economico. Fra i principali testi di riferimento di Sartori e Mazzoleni c’è “The Limit to Growth” (1972), il già citato studio commissionato dal Club di Roma. I due autori ritengono erroneamente, come gran parte degli ecologisti, le risorse naturali come una quantità fissa, e invece il concetto di risorsa non è definito dalla natura, ma dalla tecnologia che può essere utilizzata (si pensi a petrolio e silicio). Sartori attacca invece proprio la tecnologia, la quale «ci consente di vivere e di sopravvivere in modo innaturale, oltrepassando i limiti imposti dalle risorse naturali». E’ invece proprio il progresso scientifico e tecnologico, spiega l’antropofenomenologo Giorgio Bianco su Il Domenicale (citato in J. Jacobelli, “Emergenza demografia”, Rubettino 2004, pp. 69,70), a consentire di perpetuare e moltiplicare la disponibilità di risorse agevolando la scoperta di riserve sconosciute in precedenza o consentendo lo sfruttamento di risorse precedentemente troppo costose da utilizzare. E perché esistano le tecnologie occorrono idee, e le idee, va da sé, le hanno gli uomini: più uomini, più idee, più risorse. Si comprende bene, spiega Bianco, perché l’economista libertario Julian L. Simon abbia intitolato il suo libro più importante “The Ultimate Resource”, la risorsa decisiva, il bene supremo, ovvero l’uomo. Sartori sostiene inoltre che «la fame (e ancor più la sete) sta vincendo, e vincerà sempre più, perché ci rifiutiamo di ammettere che la soluzione non è di aumentare il cibo ma di diminuire le nascite, e cioè le bocche da sfamare». E si cita il solito (e unico) esempio della situazione nell’Africa subsahriana, dove esistono spaventose condizioni umane e un aumento della popolazione. Oltre al fatto che in quest’area dell’Africa ci sono anche Stati con la più bassa densità di popolazione al mondo, come la Repubblica Centrafricana (6 abitanti per kmq) o il Gabon (5 abitanti per kmq), il sottosviluppo è dovuto essenzialmente a motivi politici ed economici oltre che culturali. E non certo demografici. Lo spiega bene Anna Bono, docente di Scienze Sociali presso l’Università di Torino ed esperta di Africa, nel suo libro “La nostra Africa. Una catastrofe annunciata” (Il segnalibro 1998), la quale spiega che «mentre altre culture hanno elaborato tecniche sempre più complesse ed efficaci per trarre dalla terra risorse sicure e abbondanti, l’Africa sembra essersi fermata all’età del ferro»: si lavora male il terreno, senza bonifiche o canalizzazioni, metodi di produzione arcaici, rapporti sociali basati sullo sfruttamento della forza lavoro di donne e bambini piuttosto che uomini ecc.. Inoltre, continuare a sostenere l’equazione “sovrappopolazione = fame e sottosviluppo“, significa non riflettere sul fatto che dal 1960 ad oggi, la popolazione mondiale è quasi raddoppiata (ed è cresciuta di sei volte negli ultimi 200 anni), ma questo non si è tradotto in un disastro, bensì in un generalizzato sviluppo e in un aumento della qualità e delle aspettative medie di vita. Il boom demografico ha coinciso con una crescita della produttività, della produzione, della ricchezza, della sanità come mai nella storia dell’uomo. Questa esplosione è comunque data, come ha dimostrato lo studio preparato nel 2001 dalla Population Division del Department of Economic and Social Affairs dell’ONU, intitolato “Population, Environment and Development”, non tanto perché si nasce di più ma perché si muore di meno.

 

  • Il 3 febbraio 2003 il Corriere della Sera informava dell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, nel quale si è dichiarato che la popolazione mondiale supererà appena la soglia degli 8 miliardi di persone nel 2050 (entro il 2075 potrebbe diminuire di mezzo miliardo). Si annuncia anche il crollo del tasso di fertilità, riconoscendo che le previsioni secondo cui le risorse del Pianeta a metà secolo dovranno sostenere una massa d’umanità pari a 10 o 11 miliardi di abitanti, erano errate. Le nascite in Occidente sono infatti al minimo storico (1,6 bambini per donna) e anche nei Paesi in via di sviluppo le donne oggi hanno meno figli. Larry Heligman dell’ONU, ha spiegato al Sunday Times: «I dati indicano che la fertilità sta diminuendo rapidamente anche nei Paesi in via di sviluppo e non c’ è nulla che lasci pensare che il calo si fermerà». Per le Nazioni Unite, continua l’articolo, la vera sorpresa è rappresentata da Paesi dove sino a poco tempo fa la popolazione cresceva a ritmi preoccupanti: in Iran, da 6,5 figli per donna nel 1980, si è scesi oggi ad una media di 2,75 figli. La stessa tendenza si è manifestata in Brasile, in Tunisia e in Indonesia. L’India in 30 anni è passata da 5,43 a 2,97 figli per donna, la Cina da 3,32 a 1,80, in Tailandia, negli anni ’70, le donne mettevano al mondo cinque bimbi a testa, oggi la media è 1,9. Il Corriere della Sera riporta anche il parere di Ron Bailey, autore del libro “Ecoscam: the false prophets of ecological apocalypse” (S. Martin Press 2004) e redattore scientifico del magazine Reason: «Questi sono dati che sorprenderanno gli ambientalisti che continuano a lanciare l’allarme sulla fame e sulla siccità. Le loro paure sono state alimentate principalmente dalla tesi che che gli esseri umani si comportano come gli animali: più mangiano e più si riproducono. Sembra chiaro, invece, che gli uomini si comportano esattamente nel modo opposto». La diminuzione del tasso di crescita, conclude l’articolo, comporta anche un invecchiamento graduale della popolazione: sempre meno lavoratori a mantenere sempre più anziani, con costi sempre maggiori per Welfare e pensioni.

 

  • Nel marzo 2002 il docente emerito di economia alla Humboldt State University di Arcata (California), Jacqueline Kasun, e direttore editoriale del Center for Economic Education, ha pubblicato un articolo su Population Research Institute Review, in cui accusa i creatori del mito della sovrappopolazione. Scrive infatti: «E’ facile credere che il mondo sia sovrappopolato, perché gli esseri umani hanno sempre vissuto in condizioni di sovraffollamento e lo sono in questo momento. Ma lo fanno non tanto per mancanza di spazio sul pianeta, ma a causa della necessità di lavorare insieme, per comprare e vendere, dare e ricevere beni e servizi da un altro […]. Gli esseri umani in realtà non utilizzano più del 1-3 % della superficie terrestre per le loro aree urbane (strade, ferrovie e aeroporti). Tutte le persone del mondo possono muoversi nello stato del Texas e formare una città gigante con una densità di popolazione simile ad alcune grandi città di oggi (6 miliardi di abitanti divisi per 262 mila miglia quadrate di terreno nel Texas sono pari a circa 23.000 per chilometro quadrato). Inner London ne contiene 21.000 per ogni miglio quadrato e Parigi ne ha 50.000, secondo la Encyclopedia Britannica online».

 

  • Nel 2001, un coinciso rapporto delle Nazioni Unite ha riconosciuto che «Il ventesimo secolo è stato un secolo senza precedenti per crescita demografica, sviluppo economico e cambiamenti ambientali. Dal 1900 al 2000 la popolazione è aumentata da 1,6 a 6,1 miliardi di persone. Comunque, mentre la popolazione mondiale è quasi quadruplicata, il prodotto interno lordo effettivo del mondo (PIL) è cresciuto da 20 a 40 volte, permettendo al mondo di sostenere una popolazione quattro volte maggiore, ma anche di farlo secondo standard di qualità della vita decisamente elevati. L’aumento della popolazione e lo sviluppo economico sono avvenute simultaneamente con un utilizzo delle risorse fisiche ambientali terrestri sempre meno sostenibile». Purtroppo stabilisce anche che «i tassi di crescita della popolazione stanno generalmente diminuendo […], tra il 1965-1970 e il 2000-2005, il tasso di fertilità a livello mondiale è diminuito da 4,9 a 2,7 nascite per ogni donna». Nonostante l’esplosione demografica, «la percentuale della popolazione mondiale che vive in assoluta povertà (che ha un reddito inferiore a un dollaro statunitense al giorno) si è abbassata da circa il 28 per cento nel 1987 al 24 per cento nel 1998». Per quanto riguarda la produzione agricola mondiale, essa ha «camminato più in fretta della crescita della popolazione e il prezzo reale degli alimenti è diminuito. Nel periodo tra il 1961 e il 1998 la quantità di cibo mondiale a disposizione dell’uomo, pro capite, è aumentata del 24%. Oggi si produce una quantità di cibo sufficiente a nutrire adeguatamente la popolazione mondiale».

 

  • Nell’aprile 2001 Nicholas Eberstadt, docente presso l’American Enterprise Institute e Senior Adviser al National Bureau of Asian Research, considerato uno dei maggiori esperti mondiali in campo demografico, ha scritto su Global che «la “bomba demografica” era un abbaglio» e che le economie rallenteranno proprio a causa del crollo dei tassi di fertilità. Ha continuato: «Nei decenni 70 e 70 si prospettava un futuro di carestia e impoverimento globale in seguito alla paventata “esplosione della popolazione”, mentre oggi viviamo nella fase più prospera della storia dell’umanità. Quando si fanno previsioni riguardo ai futuri sviluppi della popolazione e alle sue conseguenze, è opportuno usare una buona dose di umiltà». Eberstadt considera molto positiva la crescita della popolazione e ha affermato che: «il numero di abitanti della terra sarebbe del 50% superiore se non fossero intervenuti altri cambiamenti demografici. Al momento la popolazione mondiale assomma a circa 6 miliardi di individui, che sarebbero stati più di 9 miliardi se nel corso del XX secolo non si fossero modificati i modelli di fertilità». Ha lanciato anche un allarme sul declino demografico: «Malgrado l’ansietà creata dall’esplosione demografica non sapremmo dire se l’era “post esplosione” costituisca una prospettiva più rosea […]. Di tutti i mutamenti, il più importante è il declino secolare della fertilità, cioè la sostenuta e progressiva riduzione delle dimensione delle famiglie a causa del controllo delle nascite attuato da potenziali genitori». Ha concluso ribadendo la necessità di contrastare il declino demografico, «se vogliamo che tra 25 anni il mondo sia più umano di quello in cui viviamo oggi» (N. Eberstadt, “Liberiamo le cicogne”, Global FP numero 8 , aprile 2001, pp. 6-12).

 

  • Nel 2001 è stato pubblicato un libro, divenuto poi molto famoso, intitolato “The Death of the West” (Thomas Dunne Books 2001) e scritto da Patrick J. Buchanan, politico e noto opinionista americano, più volte candidato alle elezioni presidenziali. Basandosi su dati ufficiali, per la maggior parte elaborati dalle Nazioni Unite, Buchanan ha avvertitio che il collasso demografico dei popoli di origine europea, al contrario delle teorie ecologiste, ha raggiunto livelli così preoccupanti da far temere nel XXI secolo un evento che all’inizio del XX secolo sembrava inimmaginabile: “la morte dell’’Occidente“, cioè l’estinzione planetaria dei popoli bianchi. Agli inizi del Novecento, infatti, un abitante della terra su tre era di origine europea, e nel 1960, malgrado due catastrofiche guerre, erano ancora circa uno su quattro (750 milioni su 3 miliardi). Infatti, mentre la popolazione mondiale è raddoppiata, gli europei hanno progressivamente cessato di riprodursi diventando nel 2000 un sesto della popolazione mondiale (sarà solo un decimo nel 2050). Oggi 18 delle 20 nazioni del mondo con la più bassa natalità sono europee. Il tasso di natalità è di 2,1 figli a donna, il minimo necessario per la stabilizzazione della popolazione e molto vicino al tasso presente durante la peste nera del 1347-52. Il demografo Nicholas Eberstadt ha calcolato che nel 2050 solo il 2 % della popolazione avrà più di cinque anni, mentre il 40 % sarà ultrasessantacinquenne. E’ nota la frase di Buchanan contenuta nel libro: «L’Europa diventerà un continente abitato da vecchi, in vecchie case, e con vecchie idee» (citato in G. Piombini, Nel mondo meglio essere tanti, Il Domenicale 23/8/03 2001).

 

  • Nel 2001 le previsioni stilate dall’ONU per i futuri anni hanno indicato un forte rallentamento delle nascite, al contrario dei fautori della “bomba demografica”. Attualmente la crescita è di 76 milioni di persone annue, e la previsione parla di 43 mlilioni nel 2050. Antonio Gaspari, coordinatore scientifico del Master in Scienze Ambientali dell’Università Europea di Roma, in una recensione intitolata “Bomba demografica e relativismo morale” commenta questa previsione parlando di “inverno demografico“, poiché la percentuale di crescita demografica è inferiore allo zero, con meno di 2,1 bimbi per donna. Le Nazioni Unite prevedono che nel 2050 la Russia avrà 25 milioni di persone in meno, il Giappone meno 21 milioni, l’Italia meno 16 milioni, Germania e Spagna meno 9 milioni. L’Europa ed il Giappone nel 2100 perderanno metà della loro popolazione attuale. Nel 2050 dunque le persone sopra ai 65 anni saranno il doppio dei giovani sotto ai 15 anni, con conseguenze economiche disastrose: chiusura scuole, perdita di posti di lavoro, crisi del sistema pensionistico, crollo del commercio e rallentamento dell’innovazione tecnologica fino alla stasi (A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale).

 

  • Il 10 luglio 2000, il prof. Amartya Sen, premio Nobel per l’economia 1998, padre della rivoluzione agricola dell’India, intervenendo ad un seminario a Roma “Sulla disuguaglianza”, ha dichiarato: «Io penso che l’analisi di Malthus sulla crescita della popolazione sia completamente sbagliata. La storia e l’esperienza hanno dimostrato che l’istruzione delle donne è quella che permette di ridurre la fertilità. La produzione agricola inoltre è cresciuta sempre più rapidamente della popolazione. Non c’è quindi nessuna ragione di applicare queste idee antidemocratiche e antiumane di Malthus». Ha poi aggiunto che, nonostante l’incredibile crescita della popolazione dell’ultimo secolo, «il cibo, in termini reali, è molto più a buon mercato oggi di quando Malthus scrisse il suo Essay on population» (citato in A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale, pp. 4,5). Dello stesso parere anche un altro Nobel per l’economia, il professor Gary Becker, secondo cui «la teoria maltusiana non è sostenuta da nessuna prova, anzi si sono verificate alcune circostanze che dimostrerebbero il contrario e cioè che la crescita della popolazione è stata fondamentale per lo sviluppo economico. Bisogna stabilire un legame ottimista e non pessimista nei confronti della crescita demografica, visto che l’approccio maltusiano ha mostrato per intero la sua inesattezza e la sua inattendibilità» (citato in A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale, pp. 7).

 

  • Nel marzo 2000 l’economista John D. Mueller, Lehrman Institute Fellow in Economia, direttore del Economics and Ethics Program at the Ethics and Public Policy Center e presidente del LBMC LLC, ha scritto un articolo intitolato “The Socioeconomic Costs of Roe v. Wade. How America would be Stronger if Abortion Remained Illegal”, dove sostiene che «dopo quasi trent’anni, i dati suggeriscono che l’aborto è stato tutt’altro che buono per gli Stati Uniti. Riducendo le dimensioni della popolazione, l’aborto ha corrispondentemente ridotto le dimensioni dell’economia e dell’innovazione. L’aborto legalizzato è anche il solo responsabile degli squilibri nel sistema di sicurezza sociale pensionistico. Preso nella sua interezza, l’aborto legale è forse il più grande evento economico americano del secolo scorso, più significativo di quello della Grande Depressione o della Seconda Guerra Mondiale. Se l’aborto fosse rimasto illegale, la popolazione americana sarebbe notevolmente più grande, conterrebbe una quota maggiore di matrimoni e famiglie intatte e gli standard di vita media sarebbero più alti». Più in particolare, «gli economisti sono d’accordo che l’effetto dei cambiamenti demografici sull’economia è approssimativamente proporzionale. Cioè, se la popolazione si riduce del 10%, la dimensione dell’economia sarà corrispondentemente ridotta di circa il 10%. Nessuna prova suggerisce, almeno in un’economia moderna, che una popolazione più grande abbia un impatto negativo sul reddito pro capite. Al contrario, i paesi avanzati con più veloce crescita della popolazione sembrano avere un aumento più rapido degli standard di vita». L’economista calcola che quasi trent’anni di aborto legale hanno ridotto la popolazione degli Stati Uniti di circa dell’11%, con una perdita netta di almeno 1.170 miliardi dollari rispetto a quanto sarebbe stato se la popolazione degli Stati Uniti non si fosse ridotta. Inoltre, «una grande quantità di letteratura sostiene che il progresso tecnologico è più dinamico in un’economia con una popolazione in crescita rispetto a uno con una popolazione stagnante o in calo. L’aborto legale mina una fonte primaria di alto livello degli Stati Uniti di vita rispetto al resto del mondo: l’innovazione». Concludendo afferma: «l’aborto legale ha iniziato a ridurre drasticamente l’importanza economica relativa degli Stati Uniti, ha abbassato il tenore di vita medio delle famiglie americane, e ha scatenato un comportamento socialmente distruttivo».

 

  • Nel 1999 nel numero 889 di Tuttoscienze, supplemento scientifico de La Stampa, in un articolo titolato “L’umanità? Costituisce solo lo 0,01% delle forme di vita ”, si sostiene che: «Sei miliardi di Homo sapiens. Nessun altro mammifero si è mai avvicinato a una cifra così imponente, tanto che qualcuno ha paragonato la proliferazione umana a un cancro della biosfera […]. Ma dal punto di vista quantitativo non dobbiamo sopravvalutarci. La biomassa umana equivale a quella delle formiche e, distribuita sulla superficie dell’intero pianeta, formerebbe una pellicola spessa meno di un millimetro, quasi invisibile. L’uomo, benché abbia raggiunto i sei miliardi di individui, equivale ad appena lo 0,01 per cento della biomassa, ed è quindi quantitativamente trascurabile rispetto agli insetti e agli altri animali, per non parlare del regno vegetale».
    In un secondo articolo intitolato “Nel 2100 il mondo a crescita zero. E nel 2010 il sorpasso delle città sulla popolazione rurale”, si legge: «La popolazione mondiale dal 1900 ad oggi è aumentata di circa quattro volte, e l’aspettativa di vita è passata dai 35 anni del 1900 ai 66 di oggi. Ma grazie alla scienza e alla tecnologia nello stesso periodo di tempo il prodotto mondiale lordo è aumentato molto più rapidamente, incrementandosi di diciassette volte (da 2300 miliardi di dollari nel 1900 ai 39.000 miliardi del 1997). Anche da questo punto di vista, ammettendo che la popolazione mondiale sia destinata a stabilizzarsi intorno ai 12 miliardi, non c’è dunque un problema di risorse ma di una equilibrata distribuzione del benessere e di una educazione ecologica di massa al corretto uso dell’ambiente. Un solo dato: all’inizio del ‘900 ogni agricoltore americano produceva cibo sufficiente per nutrire altre sette persone; oggi lo stesso agricoltore può sfamarne 96». Dunque con metà delle terre coltivate oggi si producono molti più cereali di quelli prodotti negli anni 50, anche se l’incremento demografico ha ridotto del 50% pro-capite le terre coltivate a cereali. La capacità di produrre il doppio dei prodotti alimentari nello stesso spazio dove prima si riusciva a produrne solo uno, ha potuto permettere, secondo uno studio della Banca Mondiale pubblicato nel 1988 (E. Grilli e M.C. Yang, “Primary commodity Prices, Manufactured Goods Prices, and the Terms of Trade: What the Long Run Shows”, World Bank Economic Review 2, n.1 , 1988, pp. 1-47), che il prezzo reale delle derrate alimentari durante il XX secolo sia calato del 40% (e del 57% dal 1980), mentre la produzione procapite di grano sia cresciuta del 24% dal 1950. La chiave del successo risiede nello sviluppo scientifico e nell’applicazione di nuove tecniche come il miglioramento delle sementi, l’utilizzo dei fertilizzanti chimici, l’applicazione dei fitofarmaci per limitare gli attacchi dei parassiti, la diffusione di nuovi macchinari agricoli.
    In un terzo articolo, intitolato “Siamo sei miliardi e c’è ancora posto”, Piero Bianucci, tra i fondatori e direttore di Tuttoscienze, afferma: «Sei miliardi è la cifra che rappresenta l’attuale popolazione mondiale. Non è il caso di dare la stura alla retorica apocalittica sulla massa dilagante dei nostri simili e sul loro oscuro destino, cosa che i giornali hanno già fatto a sufficienza […]. Le risorse sono limitate, limitato deve essere il numero degli utilizzatori. Ma il problema più immediato non sta tanto nella scarsità delle risorse quanto nell’uso che ne facciamo». Bianucci infatti spiega, dati alla mano, che con una migliore gestione politica del pianeta potremmo “offrire una alimentazione e una sanità di base a tutti coloro che sono sotto la soglia minima di sopravvivenza».

 

  • Nel 1999 Jean Ziegler, incaricato dalle Nazioni Unite per i programmi di lotta alla fame, nel suo libro “La fame del mondo spiegata a mio figlio” (Pratiche editrice 1999), ha riconosciuto: «La teoria di Malthus è falsa e propugna una politica disumana, ma serve a placare la cattiva coscienza»<.

 

  • Sempre nel 1998 la nota attivista americana Frances Moore Lappé, autrice di diversi libri (da tre milioni di copie), co-fondatrice di tre organizzazioni nazionali che esplorano le radici della crisi di fame e della povertà, 17 lauree ad honorem da parte di molte illustri istituzioni e collaboratrice delle più importanti università americane, ha scritto (assieme a Joseph Collins, fondatore dell’Oakland-based Institute for Food and Development Policy) il libro World Hunger: Twelve Myths (Grove Press 1998). Il sito Amazon.com, la più importante compagnia di commercio elettronico, lo ha recensito con queste parole: «Il libro più autorevole sulla fame nel mondo, scritto da tre dei maggiori esperti sui prodotti alimentari e agricoltura, i quali espongono ed esplorano i miti che ci impediscono di affrontare efficacemente il problema». Il sito dell’UNESCO ha pubblicato una sintesi delle conclusioni a cui si giunge nel volume[41]. Rispetto al mito che vuole identificare l’esistenza della fame nella scarsità sia di cibo che di terreni, risponde dicendo: «La scarsità di cibo non può essere considerata la causa della fame quando anche negli anni peggiori della carestia c’è sempre stato molto cibo nel mondo, abbastanza grano da fornire a tutti 3000-4000 calorie al giorno, senza contare i fagioli, tuberi, frutta, verdura e cereali. E che dire della scarsità di terreno? Abbiamo esaminato i paesi più affollati del mondo per trovare una correlazione tra densità di popolazione e la fame. Non abbiamo trovato nulla. Il Bangladesh, ad esempio, ha appena la metà delle persone per ettaro coltivato di Taiwan. Taiwan non ha ancora “fame”, mentre la gente in Bangladesh soffre spesso la scarsità di cibo. La Cina ha più del doppio di persone per ogni ettaro coltivato rispetto a molti altri Paesi. Eppure, in Cina le persone non hanno “fame”. Al contrario, in America Centrale e nei Caraibi, dove sono denutriti fino al 70% dei bambini, almeno la metà dei terreni agricoli è usato per colture di esportazione e non per alimentare la popolazione locale». Rispetto al mito della sovrappopolazione e della conseguente scarsità di cibo, si risponde: «Se la fame è causata da “troppa gente”, ci aspetteremmo di trovare persone più affamate nei Paesi con maggior numero di persone per ettaro agricolo. Eppure non troviamo una tale correlazione. Paesi con quantità relativamente grandi di terreni agricoli per persona sono alcuni tra i più sofferenti di fame cronica nel mondo. La fame è un problema ricorrente per molte persone in Bolivia, per esempio, un Paese con oltre la metà di terreni coltivati a persona, molto più che in Francia. Il Brasile ha più terra coltivata a persona rispetto agli Stati Uniti. Il Messico, dove molti abitanti delle zone rurali soffrono la denutrizione, hanno più terra coltivata a persona di Cuba, dove oggi nessuno è praticamente denutrito». Una sintesi dei 12 miti è presentata anche sul sito dell’Institute for Food & Development Policy (http://agris.fao.org/agris-search/search/display.do?f=1991%2FXF%2FXF91023.xml%3BXF9095077 e citato in A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale, p. 12).

 

  • Nel 1998 il “Rapporto sullo sviluppo umano” stilato dall’Union Nations Develompent Programme (Undp) ha commentato l’incredibile aumento di popolazione avvenuto tra il 1932 ed il 1990 in Machakos (Kenya), cresciuta da 240.000 persone a 1,4 milioni. Non vi è stata alcuna catastrofe ma sono state introdotte nuove e moderne tecniche di miglioramento agricolo, raccolti integrati e allevamento del bestiame che hanno sviluppato la sostenibilità dell’intero sistema. Di fatti tra il 1930 ed il 1987 la produttività di cibo e i raccolti di grano sono cresciuti di più di sei volte. La produttività dell’orticoltura è cresciuta di quattro volte. Il rapporto dice: «L’esperienza di Machakos offre un’alternativa ai modelli maltusiani. Essa dimostra chiaramente che anche in una area vulnerabile al degrado della terra, un’ampia popolazione può essere sostenuta attraverso una combinazione di cambiamenti tecnologici sostenuti da un’ampia struttura politica e da molte iniziative locali» (citato in A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale, pp. 4,5).

 

  • Nel 1997 un rapporto dell’ONU dichiara: «La produzione alimentare mondiale è aumentata ad un tasso superiore rispetto a quello della popolazione ed oggi si può disporre della maggiore quantità di cibo pro-capite mai registrata nella storia del mondo. Ma la crescente scarsità ed il degrado delle risorse agricole e ambientali gettano seri dubbi su quanto a lungo la produzione alimentare potrà superare l’incremento demografico» (“Popolazione, ambiente e sviluppo, Rapporto ONU, 1997).

 

  • Nel 1997 Friedrich August von Hayek, premio Nobel dell’economia, nel suo libro “La presunzione fatale”, ha scritto: «L’odierna idea che la crescita della popolazione minacci di produrre un impoverimento a livello mondiale è semplicemente un errore. Essa è in larga misura la conseguenza della semplificazione eccessiva della tesi malthusiana della popolazione».

 

  • Tra il 13-17 novembre 1996 si è svolto il Vertice mondiale della FAO a Roma. Nel resoconto ufficiale, apparso sul sito web, si legge che: «A livello globale, le scorte di cibo sono più che raddoppiate negli ultimi 40 anni. Questo ha portato le scorte alimentari globali a crescere più velocemente rispetto alla popolazione, creando un sostanziale incremento medio pro capite di scorte di cibo. I dati disponibili mostrano che tra il 1962 e il 1991 la media giornaliera pro capite di scorte alimentari è aumentata di oltre il 15 per cento. Nei Paesi in via di sviluppo, l’aumento delle forniture alimentari pro capite è stato notevole, passando da quasi 1990 calorie nel 1962 a 2500 calorie nel 1991, mentre nello stesso periodo la popolazione totale è quasi raddoppiata, passando da 2,2 miliardi a oltre 4,2 miliardi di persone. Allo stesso tempo, le scorte di cibo nei paesi sviluppati sono passate da 3000 calorie nel 1962 ad un massimo di circa 3300 nel 1982, poi ridottosi a circa 3150 calorie nel 1991. L’incremento è stato particolarmente significativo in Asia, che ha pienamente sfruttato i vantaggi della rivoluzione verde, e in America Latina, che ha beneficiato notevolmente del progresso tecnologico». Più avanti si dice: «Un aumento della popolazione e un cambiamento della sua struttura, in particolare per età e sesso, porterà a cambiamenti nella richiesta di cibo […], ma questi requisiti possono essere soddisfatti da una grande varietà di combinazioni di prodotti alimentari». Dopo la presentazione di dati sulla denutrizione, si sostiene: «Una più equa distribuzione delle risorse alimentari probabilmente eliminerà la maggior parte della denutrizione. L’aumento di forniture alimentari può favorire una migliore distribuzione solo se accompagnato da politiche adeguate». E ancora: «I cambiamenti tecnologici hanno reso i prodotti alimentari meno costosi, ciò ha permesso un maggiore consumo da parte dell’uomo. A causa della riduzione dei costi, nei Paesi in via di sviluppo, si è iniziato a nutrire il bestiame con alimenti inizialmente destinati al consumo umano. L’aumento della domanda ha generato innovazioni tecnologiche, che a loro volta sono diventate meno costose da usare. L’aumento della concentrazione di popolazione ha probabilmente stimolato la produzione a causa del consumo di massa, anche se questa ipotesi non è stata ancora dimostrata». Uno dei maggiori ricercatori dell’Istituto Weizmann, Jonathan Gressel, è intervenuto durante il Summit prendendo posizione circa la disponibilità mondiale di cibo: «attraverso la biogenetica e la lotta chimica la produzione di cibo può essere quadruplicata» (citato in A. Di Robilant, “Di Burocrazia si muore”, La Stampa, 14 novembre 1996, p. 2).

 

  • Nel 1996 la dott.ssa Jacqueline Kasun docente di Economia all’Humboldt State University della California e direttore editoriale del Center for Economic Education, ha sottolineato che «uno dei motivi che ha reso così facile, per i gruppi interessati, convincere i miei studenti – e molte altre persone in tutto il mondo – dell’esistenza di una grave crisi causata dalla sovrappopolazione e dalla distruzione dell’ambiente risiede nel fatto che tutti noi sappiamo di vivere in un ambiente affollato. Eppure con una densità 1.544 persone per Km quadrato la città di San José (USA) ha un affollamento doppio di quello medio del Bangladesh». Inoltre la Kasun ha ricordato che «se tutta Ia popolazione mondiale si trasferisse nel Texas (dove la popolazione è cresciuta dell’80% dal 1960 ad oggi), per ogni persona sarebbe disponibile uno spazio paragonabile a quello della tipica abitazione americana, mentre il resto del mondo rimarrebbe totalmente disabitato» (J. Kasun, “Popolazione ed ambiente”, pubblicato da 21mo SECOLO Scienza e Tecnologia, n.1 1996.). E’ lo stesso ragionamento che ha fatto il biologo americano Francis P. Felice nel 1974, quando ipotizzò che una popolazione di 6 miliardi di persone potrebbe vivere in una gigantesca megalopoli grande come lo stato del Texas. Ogni nucleo familiare composto da tre persone di media, avrebbe a disposizione un’abitazione di 102 mq e 222 mq di giardino. Un terzo dello spazio di questa gigantesca città sarebbe destinato a parco ed un terzo alle attività produttive (F.P. Felice, “Population Growth”, The Compass 1974)

 

  • L’11 novembre 1995, durante un convegno sul tema “Popolazione e sviluppo“, organizzato dall’Associazione Medici Cattolici Svizzeri, il noto geografo, economista e demografo francese Gérard-François Dumont, docente presso l’Università di Parigi, ha tenuto un incontro dal titolo “La mythologie contemporaine en démographie”, durante il quale ha detto, tra l’altro: «Accettare l’affermazione seguente: “La popolazione mondiale aumenterà nel secolo XXI fino a 12 miliardi”, significa ammettere il seguente sillogismo: la popolazione mondiale raddoppierà. Ora, un raddoppio della popolazione suppone condizioni economiche e sanitarie soddisfacenti, quindi nel secolo XXI le condizioni economiche e sanitarie saranno soddisfacenti». Ha poi spiegato: «non è l’aumento dell’effettivo di una popolazione che si può mettere in relazione con i luoghi di carestia, ma piuttosto i torbidi politici. Gli esempi della Cambogia, della Somalia, del Sudan, del Mozambico e della Liberia illustrano disgraziatamente questa realtà. L’aumento contemporaneo della popolazione e della mortalità è dunque un mito, perché due processi contrari non possono svolgersi insieme. O la popolazione aumenta perché l’umanità riesce a nutrirsi, oppure l’umanità non riesce a nutrirsi e la popolazione non può aumentare». Ha continuato confutando altri miti: «Una delle grandi fiction demografiche attuali», considera la natalità «come responsabile della crescita demografica degli ultimi due secoli. Questa affermazione, che è una fiction, porta a una conseguenza prevedibile. Poiché la natalità è considerata il fattore determinante della crescita demografica mondiale, come il fattore responsabile della povertà, sarà necessario e sufficiente ridurre la natalità». Si prevede dunque come unica misura concreta la pianificazione famigliare. Ma, «se bastasse frenare la crescita della popolazione per giungere alla ricchezza lo si saprebbe e, a contrario, gli Stati Uniti d’America figurerebbero fra i paesi più sottosviluppati, avendo presente la loro eccezionale crescita demografica da due secoli a questa parte». La pianificazione familiare (aborto, sterilizzazione ecc..) «non può essere efficace perché poggia su una fiction. Infatti, l’attuale crescita della popolazione mondiale non è dovuta a una natalità sbrigliata, che sarebbe aumentata da due secoli a questa parte, ma a una mortalità che è crollata, aumentando considerevolmente lo scarto fra mortalità e natalità […]. È inutile voler controllare d’autorità la natalità quando non sono presenti le condizioni per un cambiamento di natura del livello di mortalità. Questo spiega, in passato, i numerosi fallimenti dei programmi di pianificazione familiare un poco ovunque nel mondo». Nel suo ironico discorso prende anche forti posizioni: «La paura della “sovrappopolazione” costituisce indubbiamente oggi, dopo che il marxismo è passato di moda, l’ideologia più penetrante nel mondo. Io la chiamo l’Ossessione del Sovraffollamento del Pianeta, che corrisponde alla sigla O.S.P.», un’ideologia, dice, che sembra andare e venire ciclicamente nella storia dell’uomo e che porta con sé tre misteri: il «misconoscimento dei meccanismi demografici da parte di una grande percentuale di delegati […], l’interesse sempre più ostentato di occuparsi delle “generazioni future”», preoccupandosi poco di quelle presenti, e «enunciare nuovi concetti» per mascherare gli errori del passato.

 

  • Sempre nel 1995, lo scrittore, conferenziere, ed editorialista di “The New Republic”, Gregg Easterbrook, ha scritto il libro “A moment on the earth, the coming age of environmental optimism” (Penguin 1996), dove ha confutato la convinzione popolare sull‘insufficienza della terra a contenere la crescente popolazione mondiale: «perché altrimenti la così densamente popolata Olanda sia prospera e ragionevolmente pulita, mentre il Sudan spopolato è povero e segnato da numerosi fenomeni di rovina dell’ambiente? E perché la Svizzera, densamente popolata è ricca e linda, mentre nel Mozambico povero e con le risorse idriche inquinate vivono così poche persone?» (G. Easterbrook, A moment on the earth, the coming age of environmental optimism, New York: Viking, 1995, p.479).

 

  • Nel 1995 è uscito il volume “The cost of abortion” (Four Winds 1995) scritto da Lawrence F Roberge, docente presso l’Elms College (Springfield) e il Lesley College (Cambridge), ricercatore di medicina riproduttiva, genetica, neuroscienze e biotecnologie e membro della New York Academy of Science, nel quale viene dimostrato come il danno economico si riscontri molto più probabilmente nelle società con pochi figli, dove spariscono le opportunità di lavoro per insegnanti, medici, produttori e rivenditori (di giocattoli, pannolini e prodotti per l’infanzia). Interi settori industriali, infatti, sono oggi orientati verso i bambini e le famiglie.

 

  • Nel 1995 su Technology in Society è uscito uno studio realizzato da Paul E. Waggoner, ex presidente del The Connecticut Agricultural Experiment Station, docente presso la Yale’s School of Forestry and Environmental Studies, vice presidente della Connecticut Academy of Science and Engineering e membro della National Academy of Sciences (NAS). Egli ha calcolato che (già allora) 10 miliardi di persone potrebbero essere nutrite adeguatamente se solo si fossero utilizzati metodi più moderni ed efficienti nelle fattorie già esistenti, usufruendo oltretutto dei terreni meno coltivabili[30].

 

  • Il 14 agosto 1994 il giornalista Maurizio Blondet ha scritto un articolo sul quotidiano Avvenire intitolato “Hitler, un si all’aborto che precorre Il Cairo”, nel quale cita una frase di Konrad Lorenz, Nobel per la medicina 1973 e uno degli scienziati simbolo del movimento animalista (e fondatore dell’etologia). Lorenz non ha mai negato il suo disappunto per la crescita demografica (e anche per l’approvazione al nazismo) e in un’intervista rilasciata a due noti ecologisti, ripresa poi da “Nuova Ecologia”, ha dichiarato: «Contro la sovrappopolazione l’umanità non ha mai intrapreso nulla di sensato. Si potrebbe perciò avere una certa simpatia per l’AIDS. E’ una minaccia che potrebbe decimare l’umanità ed impedirle altre imprese minacciose» (M. Blondet, “Hitler, un si all’aborto che precorre Il Cairo”, Avvenire, 14 Agosto 1994, pagina 4, e anche “Il movimento ecologista: la più grande frode del secolo, rapporto speciale”, EIR, Roma 1989).

 

  • Nel 1994 lo specialista ambientale del Cato Institute, Jerry Taylor, ha compilato una statistica circa la disponibilità conosciuta delle 13 più importanti risorse naturali nel periodo tra il 1950 ed il 1990. Contrariamente dalle previsioni degli ambientalisti radicali, le riserve si sono moltiplicate nel giro di 50 anni (J. Taylor, “Sustainable Develompent”, pubblicato su Regulation 1, 1994, p.37). I dati forniti da Taylor sono ampiamente confermati anche dalle statistiche compilate dalla Banca Mondiale nel 1992. Più nel dettaglio, le risorse di Bauxite (alluminio) sono cresciute del 1.436%, quelle di Cromo del 500%, quelle di Rame del 250%, quelle di minerale di ferro del 663%, quelle di piombo del 75%, quelle di manganese del 96%, quelle di Nickel del 247%. Le riserve di Petrolio e gas sono invece aumentate del 733%, quelle di carbone del 27% mentre quelle di zinco del 107%. Solo le riserve di stagno risultano diminuite del 30%, ma la causa è la scarsa richiesta sul mercato e non certo un’improvvisa scarsità (World Bank Development Report 1992, Banca Mondiale 1993, Washington).

 

  • Nel 1994 il ricercatore statunitense Robert L. Sassone, nel suo libro “Handbook on Population” (Springer 2006), ha scritto: «Benché sia vero che la terra ha una spazio circoscritto, molti cittadini che vivono in città credono che il mondo intero sia sovraffollato come le città, ma non sanno che meno dell’1% della superficie terrestre è coperta dalle città. A differenza che nel passato quando l’agricoltura era la maggiore attività produttiva, oggi la mappa della popolazione registra un’accresciuta densità nelle città ed uno spopolamento delle campagne. Oggi, come nel passato, gli esseri umani si riuniscono insieme, non perché manchi lo spazio sul pianeta, ma perché abbiamo bisogno di lavorare in gruppo, acquistare e vendere, fornire e ricevere servizi l’un l’altro. Le nostre città e metropoli sono sempre state congestionate dalla gente e dal traffico; cavalli, somari e cammelli in passato, veicoli a motore oggi» (R.L. Sassone, “Handbook on Population”, American Life League, Inc. Stafford 1994, p.41.). Sassone rileva anche che l’urbanizzazione è un processo che mentre fa crescere la densità di popolazione nella città riduce quello relativo alle campagne, per cui esistono più spazi rurali o in campagna di quanto ci fosse nel passato.

 

  • Nel 1993, l’americano David Foreman, redattore della rivista ecologista Earth First e dirigente del gruppo ecologista Deep Ecology, ha sostenuto: «L’umanità rappresenta il cancro del mondo vivente. L’AIDS non è una maledizione, esso deve essere salutato come un rimedio naturale per ridurre la popolazione del pianeta». Similmente, Ann Torphy, sempre su Earth First: «Come ambientalisti radicali, riteniamo che l’AIDS non sia un problema ma una necessaria soluzione. Parafrasando Voltaire: se questa epidemia non esistesse, gli ambientalisti dovrebbero inventarla».

 

  • Nel marzo del 1993 è stato pubblicato il libro “Market Liberalism: A Paradigm for the 21st Century” (Cato Inst 1993), presentato alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo. Nel 21° capitolo, titolato “La crescente abbondanza delle risorse naturali”, Jerry Taylor, senior fellow presso il Cato Institute e ricercatore di politica ambientale, ha dimostrato che «nel momento stesso in cui la lobby della conservazione [delle risorse naturali] convinceva milioni di americani e le legislature di tutto il mondo che la scarsità delle risorse era in agguato dietro l’angolo, l’economia globale assisteva alla più grande esplosione di abbondanza di risorse nella storia dell’umanità». Rispetto all’energia, dopo aver presentato i dati, afferma: «Contrariamente alla credenza popolare, le scorte di energia di ogni genere, sia fossile che non fossile, sono aumentate costantemente e il prezzo si è abbassato. Siamo di fronte ad un’abbondanza senza precedenti, non alla scarsità». Rispetto alle risorse minerarie, ha concluso: «L’esame delle risorse minerarie in ultima analisi indica che abbiamo solo iniziato a sfruttare le ricche e abbondanti vene della terra. I dati del US Geological Survey rivelano che, se continueranno le attuali tendenze di consumo, le risorse minerarie recuperabili dureranno per centinaia, migliaia e persino decine di migliaia di anni. Il 99,9 % di tutta la domanda di metalli minerali è praticamente inesauribile, per qualsiasi orizzonte temporale concepibile». Per le risorse agricole nota che «il prezzo degli alimenti è diminuito dell’83 per cento dal 1950. Chiaramente, se la produttività agricola della terra sarebbe stata superata dalla domanda di cibo a causa della esplosione demografica, i prezzi agricoli sarebbero in forte aumento piuttosto che in drammatica caduta come i dati indicano». E anche lui (citando diversi economisti) conferma che «è chiaro che la produzione agricola del pianeta è aumentata in modo esponenziale nel corso dei secoli passati. Sebbene la popolazione mondiale sia raddoppiata dalla seconda guerra mondiale, la produzione mondiale di cereali è triplicata e l’abbondanza agricola si è tradotta in una migliore salute, anche per i più poveri del Terzo Mondo. Inoltre, ci sono buone ragioni per credere che il pianeta potrà sfamare decine di miliardi di persone per molte generazioni a venire […]. L’erosione del suolo non è il risultato della moderna agricoltura ad alto rendimento, ma dei tentativi di utilizzare, a basso rendimento, le tecniche agricole tradizionali su terreni fragili». Affronta anche il timore del disboscamento, sostenendo che «ben poche prove, oltre ad aneddoti, sono mai state avanzate a sostegno di questa convinzione purtroppo diffusa. Secondo i dati più recenti delle Nazioni Unite, le foreste coprono 4 miliardi di ettari (più del 30 per cento della superficie totale). Questa cifra non è cambiata sensibilmente dal 1950, anche nel bel mezzo dell’esplosione demografica». Inoltre, «Dal 1920 le foreste Stati Uniti sono aumentate del 57 per cento, e nello stesso periodo la popolazione degli Stati Uniti raddoppiata». Conclude accennando ad uno dei più grossi errori dei catastrofisti: «il difetto fondamentale nel paradigma ambientalista è la premessa che le risorse mondiali siano create dalla natura e così fissate e finite. Ma nessuna singola risorsa materiale è mai stata creata dalla “natura”. E’ la conoscenza umana e la tecnologia che creano le risorse. Le dimensioni della nostra torta delle risorse è determinata non dalla natura, ma dalle istituzioni economiche e sociali che definiscono i limiti del progresso tecnologico».

 

  • Nel 1992, l’economista americano, David Osterfeld, specialista in crescita economica, sviluppo ed intervento dello Stato, docente di scienze politiche presso l’Università di Cincinnati, ha pubblicato il libro “Prosperity Versus Planning: How Government Stifles Economic Growth” (Oxford University Press 1992), nel quale, parlando della disponibilità di terra coltivabile, sottolinea che «gran parte del Midwest americano era foresta e palude. Oggi è tra le terre più fertili del mondo. L’eliminazione della mosca tse-tse permetterebbe la coltivazione di circa 200 milioni di ettari di terra africana, un’area più grande del totale dei terreni agricoli negli Stati Uniti». E ancora: «Tenuto conto delle risorse in funzione della conoscenza umana, e poiché il nostro bagaglio di conoscenze è aumentato nel tempo, non dovrebbe sorprenderci il fatto che le risorse fisiche si siano anch’esse espanse». In un articolo intitolato “Il perenne mito della sovrappopolazione”, ha invece attaccato l’informazione eco-terrorista circa l’imminente morte di fame per milioni di persone per mancanza di cibo. «I catastrofisti», afferma, «hanno predetto rovina e oscurantismo per secoli. La cosa forse più straordinaria di questo perenne esercizio è che i catastrofisti sembrano non essersi mai fermati abbastanza a lungo per far sapere che le loro predizioni non si sono mai materializzate». Affrontando i loro cavalli di battaglia spiega: «La popolazione è cresciuta di sei volte negli ultimi 200 anni e questa esplosione è stata accompagnata, ed in larga parte è stata resa possibile, da una esplosione nella produttività, nelle risorse, nell’informazione, nelle comunicazioni, nella scienza e nella medicina […]. La produzione di cibo ha ecceduto la crescita della popolazione (l’1% all’anno) dal 1940. Vi è attualmente abbastanza cibo da sfamare chiunque nel mondo e molti esperti ritengono che senza nessun avanzamento nella scienza o nella tecnologia noi attualmente abbiamo la capacità di sfamare adeguatamente, su basi sostenibili, 40 o 50 miliardi di persone (otto o dieci volte l’attuale popolazione)». Senza contare l’uso della biotecnologia. La gente soffre di fame «a causa della guerra o delle politiche dei governi», non per il sovraffollamento. Rispetto alle risorse naturali, «come il cibo, non sono mai state così abbondanti come oggi. Praticamente tutte le risorse sono meno costose oggi rispetto a qualsiasi altro periodo. Le risorse non sono cose che troviamo in natura, sono le idee che creano le risorse. Più gente significa più idee. Non c’è ragione dunque di credere che popolazione crescente significhi riduzione delle risorse disponibili. Storicamente, è stato vero l’opposto […]». Rispetto allo spazio vitale, è vero che più gente significa meno spazio: «Ma è anche irrilevante. Per esempio, se l’intera popolazione del mondo fosse messa nello stato dell’Alaska, ogni individuo riceverebbe 3,500 piedi quadrati di spazio (circa la metà del lotto a disposizione della famiglia americana media). Ci sono più case, più aree verdi e più stanze per persona che mai prima d’ora. In breve, così come il cibo e le risorse, lo spazio vitale è diventato, dal punto di vista di una misurazione significativa, più abbondante». Ricorda, concludendo, che comunque l’esplosione della popolazione ha iniziato purtroppo a rallentare.

 

  • Nel 1992 il ricercatore dell’Istituto Nazionale di Demografia di Parigi, Harvey Le Bras, , ha scritto che: «Non esistono prove per dimostrare che la densità demografica è in contrasto con una buona qualità della vita» (H.Le Bras, “The Myths of Overpopulation, in Proyections”, volume 7-8, 1992)

 

  • Nel maggio 1991 un terribile tifone ha colpito il Bangladesh uccidendo almeno 138.000 persone e lasciando ben 10 milioni di senzatetto. Jacques Cousteau, uno degli ambientalisti più famosi al mondo, ha commentato così l’accaduto: «Non date la colpa al mare. La vera tragedia del Bangladesh sono gli uomini, una popolazione incontenibile […]. Dovremo essere in 700 milioni in tutto, allora si che la vita sulla Terra diventerebbe paradisiaca. Per stabilizzare la popolazione mondiale, dobbiamo eliminare 350 mila persone al giorno. E’ una cosa terribile a dirsi, ma è anche peggio non dirla».

 

  • Nel 1989, il docente presso l’Università di Groningen, Angus Maddison, per molti anni direttore del centro Ricerca e Sviluppo dell’OECDA, ha smentito l’assunto maltusiano secondo cui la crescita demografica porterebbe al disastro economico impoverendo la società. Ha infatti rilevato che l’aumento della ricchezza procapite nel mondo è avvenuta proprio in quei Paesi dove maggiore è la densità demografica. Secondo l’esperto, i 43 paesi più densamente popolati rappresentano attualmente tre quarti degli individui che vivono sulla Terra e molto di più del 75% in termini di produzione economica. Tra il 1920 ed il 1989 la produzione procapite dei cittadini dell’Europa occidentale, del Nord America e dell’Australia è cresciuta di ben 13 volte e tra il 1820 ed il 1890 lo stesso gruppo di paesi ha visto raddoppiare la produzione che ha replicato nuovamente nei successivi sessanta anni e triplicato tra il 1950 ed il 1989. Lo stesso fenomeno è avvenuto in Corea del Sud, in Taiwan, in Tailandia e in Giappone (A. Maddison, The World Economy in the Twentieth Century, OECD, Parigi 1989).

 

  • Nel 1989 viene fondato il Population Research Institute, organizzazione non-profit di ricerca e organizzazione educativa dedicata all’approfondimento delle questioni legate alla demografia, interessata ad invertire le tendenze portate dal mito della sovrappopolazione. Il suo ricco sito web è www.pop.org

 

  • Nel 1980 il presidente del WWF italiano, Fulco Pratesi, ha pubblicato il libro “Ecologia domestica” (Nuova Ecologia 1989) in cui ripropone le solite isterie ecologiste sulla bomba demografica e si dichiara «un verde credente e praticante, nonché leggermente fanatico». Dedica un capitolo ai consigli per una corretta destinazione delle proprie spoglie: il cadavere (anzi, «la carcassa umana», come lui la definisce) non andrebbe messa in casse da morto («occorre legno per costruirle»), nemmeno nei cimiteri («terra iperfertilizzata in cui vegetano solo crisantemi e cipressi»), ma bisognerebbe fare così: «Una bella buca sotto una quercia in campagna, due palate di terra ed ecco che possiamo tornare al ciclo della natura». Oppure, «si potrebbero adoperare i carnai, gli appositi terreni recintati e sorvegliati, impiegati dalle associazioni naturalistiche come il Wwf e la Lipu per alimentare i rapaci (soprattutto gli avvoltoi in Sardegna e i capovaccai sulle colline a nord di Roma). In quei carnai i nostri resti mortali potrebbero servire da cibo agli ultimi grifoni. Il tempo medio di distruzione della salma è di poche ore. Restano le ossa, è vero. Ma a questo inconveniente si potrebbe ovviare se al festino partecipasse anche l’avvoltoio barbuto, che lancia le ossa sulle rocce per divorarne il midollo. In pochissimi giorni, delle nostre spoglie non resterebbero che escrementi mineralizzati». Pratesi consiglia quindi, come ha fatto un ecologo inglese, «di portarsi in un luogo ricco di carnivori e lì attendere la morte in un luogo di difficile accesso». Propone anche l’alternativa ideata dall’ecologa Laura Conti, cioè quella di «creare scatolette di cibo per cani e gatti in cui la carne umana sostituisca quella di altri animali». Per chi si fa cremare, le proprie ceneri dovrebbero «essere usate per concimare i propri vasi e le aiuole» (citato in http://www.loccidentale.it/autore/dario+giardi/).

 

  • Nel 1988 la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) ha dichiarato che «le più recenti proiezioni della Banca Mondiale prevedono in futuro una popolazione mondiale di 10-12 miliardi di persone, circa il doppio della dimensione attuale. A quel punto gli esseri umani occuperanno il due per cento delle terre emerse ed useranno un quinto della superficie terrestre per l’agricoltura. Attualmente gli agricoltori utilizzano meno della metà delle terre coltivabili disponibili» (citato in A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale, p. 12). La disponibilità di spazio terrestre dunque abbonda, così come hanno ammesso anche due simpatizzanti della teoria maltusiana, come Paul e Anne Ehrlich: gli esseri umani occupano sul pianeta un’area inferiore all’uno per cento della superficie terrestre emersa (P.M. Vitousek, P.R. Ehrlich, A. Ehrlich e P.A. Matson, “Human Appropriation of the Products od Photosynthesis”, BioScience, vol. 36, n. 6, giugno 1986, p. 369.). Oggi sul sito web della FAO c’è un’area dedicata alle FAQ (domande frequenti). In una delle risposte si legge: «Il mondo attualmente produce cibo a sufficienza per tutti, ma molte persone non hanno accesso ad esso». La FAO identifica la causa della mancanza di cibo alle errate politiche sociali e non alla sovrappopolazione.

 

  • Nell’agosto 1988 il principe Filippo di Edimburgo, massone, fondatore e presidente internazionale del WWF, ha dichiarato alla Dpa, l’agenzia di notizie tedesca: «Nel caso io rinasca, mi piacerebbe essere un virus letale, così da contribuire a risolvere il problema della sovrappopolazione» (Deutsche Press Agentur, agosto 1988). E nel suo libro “Down to Earth” (edizione paperback 1989), ha scritto: «Fertilità e procreazione, dopo aver compensato le perdite, producono dei surplus. Predazione, variazioni climatiche, malattie, fame, e guerre e terrorismo -nel caso di quello che viene impropriamente chiamato Homo Sapiens – sono i mezzi principali che mantengono sotto controllo il numero della specie» (HRH Prince Philip, “Down to Earth: Collected Writings and Speeches on Man and the Natural World”, (edizione paperback 1989, capitolo: “Il fattore demografico”)

 

  • Nel settembre 1987, l’economista Thomas De Gregori, docente presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Houston, ha scritto l’articolo “Resources Are Not; They Become: An Institutional Theory”, apparso sul Journal of Economic Issues. In esso sostiene che «se c’è la fame nel mondo è a causa della cattiva distribuzione del cibo, non dell’insufficiente produzione globale […]. L’uomo è l’agente attivo, ha idee che usa per formare l’ambiente per scopi umani. Le risorse non sono fisse e finite, perché non sono naturali. Si tratta di un prodotto dell’ingegno umano derivante dalla creazione della tecnologia e della scienza» (T. De Gregori, “Resources Are Not; They Become: An Institutional Theory”, Journal of Economic Issues 21; citato in http://www.cato.org/pubs/chapters/marlib21.html).

 

  • Nel 1986 la National Academy of Sciences ha pubblicato uno studio accurato in totale contrasto con le tesi maltusiane e contro l’idea popolare che più siamo e meno ci sarà da mangiare. Negli anni 1970-75, ad esempio, l’aumento della produzione è stata del 3% a fronte di una crescita della popolazione del 2,4%. Mentre nel periodo 1987-1992, l’aumento della produzione di cibo è stata del 4,4% e quella della crescita della popolazione è stata dell’1,9%. I ricercatori hanno così affermato: «L’India potrebbe sostenere due volte e mezza la popolazione prevista per l’anno duemila. Lo Zaire dispone di un enorme potenziale agricolo, sarebbe in grado di sostenere 62 volte in numero di popolazione prevista per l’anno duemila. Lo Zaire inoltre potrebbe produrre cibo a sufficienza per l’intera popolazione dell’Africa» (National Research Council, Population Growth and Economic Development: Policy Questions, Washington 1986).

 

  • Nel 1981 il fondatore del Club di Roma, Aurelio Peccei, associazione specializzata negli anni Settanta a diffondere ecobufale e notizie allarmanti sulla popolazione mondiale ed anche italiana, prevedendo catastrofi e distruzioni a causa di un presunto eccesso di popolazione. Nel libro Peccei ritiene che medicina ed igiene sono mezzi buoni che raggiungono fini cattivi, e cioè la “proliferazione cancerosa” di uomini che continuano a «vivere sul pianeta come vermi sulla carogna»(A. Peccei, Cento pagine per l’avvenire, Mondadori, 1981).

 

  • Il 24 aprile 1974 è stato pubblicato negli USA il «Memorandum 200» per la Sicurezza Nazionale, intitolato «Implicazioni della crescita mondiale della popolazione per la sicurezza degli Stati Uniti e i suoi interessi all’estero». Nel documento Henry Kissinger proponeva che «lo spopolamento dovrebbe divenire la prima priorità della politica USA verso il Terzo Mondo». Il memorandum sottolineava la necessità di offrire maggiori aiuti per i paesi del Terzo Mondo che intendono attuare programmi di sterilizzazione e di spopolamento, il cambiamento radicale di mentalità volto ad imporre il modello della famiglia ridotta e quello di società a basso tasso di natalità. Viene raccomandato il trasferimento nel Terzo Mondo della “tecnologia contraccettiva”, la sterilizzazione, l’aborto, il condizionamento della popolazione e dei leaders politici, l’uso di propaganda da trasmettere nel mondo, via satellite. Si prospetta anche che gli aiuti economici e il cibo dovranno essere condizionati all’impegno, dimostrato dal paese richiedente, sul fronte della riduzione del tasso di fertilità interno. Il rapporto venne indirizzato, tra l’altro, al presidente americano Gerald Ford, ai Ministeri della Difesa, dell’Agricoltura, al Direttore della CIA e agli amministratori della AID (Agency for International Development). Il 26 novembre 1975, le raccomandazioni politiche del “Memorandum 200”, insieme ai suggerimenti proposti da Kissinger, vennero accolti dall’Amministrazione americana, entrando a far parte della politica estera degli Stati Uniti[9].

 

 

  • Nel 1972 è stato pubblicato il famoso studio dal titolo “The limit to growth” commissionato dal Club di Roma, associazione specializzata negli anni Settanta a diffondere notizie allarmanti sulla popolazione mondiale ed anche italiana, prevedendo catastrofi e distruzioni anche nel nostro paese a causa di un presunto eccesso di popolazione. Si è sostenuto scientificamente che la crescita della popolazione collegata ai consumi sempre crescenti avrebbe esaurito le risorse del pianeta in pochi anni. Nel libro, considerato il testo sacro del movimento ambientalista, tradotto in venti lingue e diffuso in nove milioni di copie, si prevedeva che a livelli di consumo del 1972 l’oro si sarebbe esaurito nel 1981, il mercurio nel 1985, lo stagno nel 1987, lo zinco nel 1990, il petrolio nel 1992, e il rame, il piombo e il gas nel 1993. Dichiararono quindi: «All’attuale tasso di espansione argento, stagno e uranio potrebbero essere molto scarsi e raggiungere prezzi altissimi entro la fine del millennio»(D.H Meadows, D. Meadows, J. Randers, W.W. Beherens III, “The limits to growth, A report for the Club of Rome’s Project on the predicament of mankind” Universe Book, New York 1972. Edizione Italiana: “I limiti dello sviluppo”, Mondadori, Milano 1973). L’errore fu clamoroso: a distanza di circa 40 anni, se si guardano i dati forniti dal Dipartimento delle Miniere degli Stati Uniti del 1991 (U.S. Department of the Interior, Bureau of Mines, Mineral Commodity Summaries 1991), risulta che i prezzi reali di antimonio, mercurio, platino, argento, stagno e tungsteno sono crollati del 50%. Quelli di rame, piombo e magnesio sono crollati del 20%. Addirittura argento, stagno, uranio e piombo, hanno un prezzo minore di quello che avevano nel 1972.

 

  • Nel 1958 il figlio di Thomas Huxley (definito “Il mastino di Darwin”), Aldous, nel suo celebre “Ritorno al mondo nuovo”, afferma: «Il nostro sregolato capriccio non solo tende a sovrappopolare il pianeta, ma anche, sicuramente, a darci una maggioranza di uomini di qualità biologicamente inferiore». Huxley si è sempre dichiarato favorevole alla sterilizzazione obbligatoria per certe categorie di persone considerate inadatte, all’aborto e all’eutanasia.

 

  • Nell’ottobre 1914 lo scrittore ateo Giovanni Papini (6 anni prima della conversione cristiana) celebrava la guerra affermando: «Siamo troppi. La guerra è una operazione malthusiana. C’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita».

 

  • Nel 1798 l’economista e demografico Thomas Robert Malthus nel suo “Il saggio sulla popolazione” (Utet, Torino 1868), sostenne tra i primi che l’incremento demografico avrebbe spinto a coltivare terre sempre meno fertili con conseguente penuria di generi di sussistenza per giungere all’arresto dello sviluppo economico: «Bisogna ridurre le nascite, altrimenti il mondo va in rovina. Ogni bambino nato in sovrannumero rispetto all’occorrente per mantenere la popolazione al livello necessario deve inevitabilmente perire. Per agire in modo coerente, pertanto, dovremmo facilitare, invece che stupidamente e vanamente cercare di impedire, le operazioni della natura nel produrre questa mortalità. Invece di raccomandare l’igiene ai poveri, dovremmo incoraggiare abitudini contrarie. Nella nostra città, dovremmo fare strade più strette, e il ritorno della peste. In campagna, dovremmo costruire i nostri villaggi vicino a pozze stagnanti, e soprattutto incoraggiare l’insediamento in zone paludose e malsane». Ipotizzò dunque un “controllo preventivo” da parte dell’uomo sull’aumento della popolazione. Questa teoria, oltre a influenzare Charles Darwin per la formulazione della sua teoria evoluzionista, ispirò la dottrina economica del “malthusianesimo“, la quale attribuisce principalmente alla pressione demografica la diffusione della povertà e della fame nel mondo. Queste speculazioni vennero confutate già allora, sia da Ralph Waldo Emerson che da Karl Marx, i quali sostenevano che invece l’incremento della capacità inventiva e tecnologica dell’essere umano consentirebbe una crescita esponenziale indefinita della popolazione. Secondo i calcoli di Malthus, oggi la popolazione mondiale dovrebbe essere di 256 miliardi di individui. Tutti possono osservare che dal 1700 a oggi la popolazione europea è si enormemente aumentata (siamo a circa 7 miliardi), ma, invece di impoverire, si è al contrario, arricchita. Tuttavia nel tempo è nato un movimento di maltusiani o neomaltusiani, che intende portare avanti queste ecobufale.

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L’aborto causa la placenta previa: rassegna scientifica

La placenta previa è una delle conseguenze dell’aborto. Tra i tanti aumentati rischi per la salute della donna, l’interruzione di gravidanza comporta anche un alto rischio di soffrire di placenta previa nelle gravidanze successive, con alti rischi per la salute materna e quella fetale. Ecco una raccolta di studi scientifici.


Cos’è la placenta previa? E’ una patologia che si verifica quando la placenta della donna prende contatto con la parete uterina in una zona “anomala”, cioè sul cosiddetto collo dell’utero. Ciò comporta rischi materni di tipo emorragico: perdite ematiche ripetute, con conseguente anemizzazione, oppure vere e proprie emorragie. I rischi fetali, invece, sono legati essenzialmente alla prematurità, ad una minore ossigenazione ed alla perdita ematica.

La letteratura scientifica ha dimostrato da anni le pericolose conseguenze dell’aborto chirurgico sul corpo femminile, anche se ciò viene nascosto dai media. Per questo abbiamo realizzato appositi dossier scientifici sugli aumentati rischi per chi si sottopone all’interruzione di gravidanza a soffrire di depressioni post-aborto, un aumentato rischio di placenta previa, di mortalità materna, di cancro al seno, di nascite premature e aborti spontanei, di infezioni all’utero.

Qui di seguito abbiamo elencato le ricerche che collegano l’aborto ad un aumento rischio di placenta previa nella gravidanza successiva, la lista sarà continuamente aggiornata.

 

ELENCO DI STUDI SCIENTIFICI SU ABORTO E PLACENTA PREVIA

 

Nel 1981 sull’American Journal of Obstetrics & Gynecology è comparso uno studio che dimostra come l’aborto indotto nel primo trimestre di gravidanza sia un fattore significativo che predispone alla placenta previa[1].

 

Nel 1993 è apparso uno studio sull’International Journal of Obstetrics & Gynaecology finalizzato al valutare l’impatto dell’aborto indotto e quello spontaneo al verificarsi di placenta previa nelle gravidanze successive. Basandosi su un campione di 486 donne affette da placenta previa tra il 1984-1987, i ricercatori hanno scoperto che coloro che avevano subito un aborto indotto (in particolare con il metodo di “aspirazione con curettage”) avevano il 30% in più di probabilità di essere affette da placenta previa nella successiva gravidanza rispetto alle donne che avevano portato a termina la gravidanza[2].

 

Nel 1994 sulla rivista italiana di Ostetricia e Ginecologia, “Placenta“, sono apparsi i risultati di uno studio di ricercatori milanesi, i quali basandosi su un campione di 49.765 cartelle cliniche consegne dalla Clinica Mangiagalli dal 1979 al 1991, hanno stabilito che l’età avanzata e aborti precedenti sono associati ad un aumento della frequenza di placenta previa[3].

 

Nel 1997 su The Journal of Obstetrics & Gynaecology è comparsa una metanalisi sul rapporto tra il rischio di placenta previa in base alla presenza e al numero di parti cesarei, aborti indotti e spontanei. I ricercatori hanno esaminato gli studi sull’argomento tra il 1950 e il 1996 è hanno dimostrato la forte associazione tra l’avere un precedente parto cesareo, un aborto indotto o uno spontaneo, e il successivo sviluppo di placenta previa. Le donne che hanno subito uno di questi eventi, in particolare i primi due, devono essere considerate ad alto rischio, hanno sostenuto i ricercatori[4].

 

Nell’aprile del 1999 ricercatori del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia del National University Hospital di Singapore, hanno pubblicato uno studio sul Journal of Obstetrics and Gynaecology Research in cui hanno analizzato il rapporto tra il rischio di placenta previa e un precedente taglio cesario o un aborto indotto. Entrambi i fattori hanno determinato un aumento del rischio[5]

 

Nel 2001 su Acta et Obstetricia Gynecologica Scandinavica è comparso uno studio chiamato “Induced abortion and placenta complications in the subsequent pregnancy” basato su un campione di circa 60.000 donne in gravidanza. I ricercatori hanno rilevato un rischio di placenta previa leggermente più elevato nelle donne che avevano precedentemente eseguito un aborto[6]

 

Nell’ottobre del 2002 sull’East African Medical Journal è apparsa una ricerca basata su 136 donne nigeriane in gravidanza. I ricercatori hanno rilevato che tra i fattori di rischio per l’insorgere della placenta previa vi è, oltre un precedente taglio cesario e l’età materna avanzata, anche un precedente aborto indotto[7]

 

Nel gennaio 2003 ricercatori del Department of Epidemiology dell’University of North Carolin, hanno pubblicato uno studio sul Obstetrical and Gynecological Survey, intitolato “Long-Term Physical and Psychological Health Consequences of Induced Abortion: Review of the Evidence”. Con esso rilevano alcune conseguenze psicologiche dell’aborto indotto. Inoltre sottolineano un legame tra la placenta previa e un precedente aborto indotto. Sono convinti che una riduzione del 50% dell’aborto sarebbe necessaria per evitare l’1,5% dei casi di placenta previa, di per sé fenomeno abbastanza raro. Concludono dicendo: dato che «l’impatto di questo cambiamento è così piccolo, non ci sentiremmo obbligati a citare questo alle donne che contemplano il loro primo aborto. Il nostro consiglio potrebbe cambiare se una donna avesse avuto un precedente taglio cesareo o se stesse contemplando una seconda interruzione di gravidanza. In altre sedi può essere approprieto informare circa l’esistenza e la grandezza di questo rischio»[8].

 

Nel dicembre 2003 sul Croatian Medical Journal è apparso uno studio epidemiologico in cui si sono analizzate tutte le cause dell’aumento di rischio di placenta previa. I ricercatori hanno rilevato tra questi fattori anche un precendente l’aborto indotto. Ovviamente all’aumentare del numero di aborti cresceva anche il fattore di rischio[9]

 

Nel 2007 sull’International Journal of Obstetrics & Gynaecology è comparso uno studio asiatico il quale ha valutato quali siano i fattori rischio per l’insorgere di placenta previa. Oltre ad un precedente parto prematuro, il fumo e un’avanzata età materna, i ricercatori hanno trovato che anche precedenti aborti indotti erano tra le cause[10]

 

Nel maggio 2008 uno studio chiamato “The relationship of placenta previa and history of induced abortion” è stato pubblicato sull’International Journal of Obstetrics & Gynaecology. I ricercatori hanno stabilito che il rischio di placenta previa aumentava in seguito all’aborto praticato con il metodo del curettage[11]

 

 

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NOTE
[1]^ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7315904
[2]^ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8515932
[3]^ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8066055
[4]^ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9396896
[5]^ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10379130
[6]^ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11846708
[7]^ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12635759
[8]^ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12544786
[9]^ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/14652887
[10]^ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17316644
[11]^ http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12706277

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