Pakistan, il 90% dei cattolici va a messa. Lì la fede non è scontata!

O la fede è umanamente conveniente o non serve a nulla e a volte mette a rischio la vita. Questa la situazione dei cattolici in Pakistan, chiamati ogni giorno a ridarsi le ragioni dell’essere cristiani. Un esempio per l’Occidente, dove la fede inaridisce perché è data per scontata.

 
 
 

Il Pakistan è lo stato islamico per antonomasia, religione ufficiale di Stato.

Il presidente dei vescovi pakistani, mons. Joseph Arshad, ha parlato della presenza dei cristiani, i quali raggiungono appena il 2% della popolazione.

Tuttavia, la Chiesa svolge un grande lavoro sociale e pastorale nel campo dell’istruzione, della salute e delle risorse sociali.

Qualcosa in meglio è cambiato dal 2018 grazie all’assoluzione di Asia Bibi, la donna cristiana accusata di blasfemia e condannata al braccio della morte: un punto di positiva svolta nel rapporto con il mondo musulmano e con le autorità del Paese.

In particolare, come avevamo anche noi sottolineato, risultano fondamentali ed incredibili le parole contenute nella sentenza.

 

Una fede consapevole: comunità vive e seminari pieni.

«Il 95% della popolazione è musulmana», ha spiegato il presule, «il resto sono altre minoranze come cristiani, indù, sikh e farsis. Siamo 1,5 milioni di cattolici e aggiungendo cristiani di molte diverse confessioni protestanti, arriviamo a 6 milioni».

In generale i cristiani sono «particolarmente poveri, molti hanno lavori precari, in condizioni di semi schiavitù. La chiave per noi è l’educazione, per migliorare la vita delle persone e poter partecipare alla vita della società, la maggior parte degli studenti che frequentano le nostre scuole sono musulmani, siamo aperti a tutti».

Eppure, nonostante i numeri esigui, non manca la discriminazione sociale.

Anzi, spesso capitano attentati terroristici soprattutto durante il periodo pasquale ma «non ci sono veri problemi di convivenza se le autorità locali gestiscono i casi rapidamente».

Tuttavia, continua mons. Arshad, «la nostra gente mantiene una fede molto semplice e molto forte. Nonostante i problemi di accesso all’istruzione, la mancanza di opportunità lavorative, le persone sono fedeli al Vangelo, le nostre chiese sono piene di persone».

L’arcivescovo pakistano indica che «il 90% dei cattolici va a messa ogni domenica, anche durante la settimana. E molti non possono assistervi a causa della mancanza di chiese e sacerdoti».

Non mancano nemmeno vocazioni, «specialmente nelle piccole città a maggioranza cristiana. Qui nella mia diocesi ci sono attualmente 35 seminaristi maggiori mentre nella casa di formazione delle suore domenicane, accanto alla Cattedrale, vi sono 20 novizie».

 

L’Occidente ha perso le ragioni della fede.

Per alcuni può sembrare paradossale il fatto che più le comunità cristiane sono piccole e discriminate e più hanno il coraggio per vivere attivamente la loro fede.

Ma la storia insegna che il sangue dei martiri è il seme del cristianesimo.

Quando la vita stringe, quando le circostanze sociali sono avverse si è obbligati a prendere posizione, a ridarsi ogni giorno le ragioni del credere: o la fede cristiana è umanamente conveniente oppure meglio abbandonarla al più presto per salvarsi la pelle e garantirsi una vita più agiata.

Al contrario, in Occidente la fede è ormai data per scontata e ci occupiamo più dei suoi risvolti sociali, culturali e assistenziali, pubblici.

Lo disse bene Benedetto XVI: «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?».

Siamo all’opposto del Pakistan. Da noi la fede è sempre meno vissuta come adesione quotidiana, consapevole e razionale all’avvenimento di Dio nella storia, usiamo invece la religione come “cappello” per iniziative politiche, culturali o di assistenza caritatevole. Tutte iniziative ottime, ci mancherebbe.

Questo garantirà forse una importante presenza pubblica del cristianesimo ma nel tempo si esaurirà anch’essa perché una fede scontata non arriva in profondità e non forma un soggetto cristiano adulto.

Non a caso gran parte dei cattolici europei, al contrario di quelli pakistani, vive la fede con disinteresse o indifferenza.

La redazione

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Dacia Maraini e la pedofilia di Pasolini: se non è un prete, niente abuso?

La scrittrice Dacia Maraini sorvola sulla pedofilia di Pier Paolo Pasolini, nota a tutti. Eppure è la prima a scandalizzarsi (giustamente) se viene commessa da un membro della Chiesa cattolica. Quello di Pasolini diventa solo “fare l’amore con i ragazzi”, un “gioco sessuale”. Un atteggiamento ipocrita.

 
 

Strano comportamento quando si parla del crimine pedofilia.

Se ad essere macchiata è la Chiesa cattolica, quei preti diventano (giustamente) criminali, mostri ed assassini da sbattere in prima pagina.

Se al contrario, come ancora più spesso accade, questi abusi vengono commessi da personalità laiche, magari stimate dai media e dal mondo, allora si tergiversa, si resta sul vago, si attenuano o spariscono le condanne.

 

Pasolini fu anche pedofilo, lo sapevano tutti.

E’ il caso, ad esempio, di Pier Paolo Pasolini, celebre scrittore e regista, autore di capolavori che rimarranno nella storia italiana.

Si è parlato spesso di lui in questi giorni, in occasione del centenario della nascita. Un grande uomo di cultura ma anche un pedofilo che oggi scriverebbe dal carcere. Lo sapevano tutti.

Lui stesso ammise i suoi abusi e venne perfino condannato nel 1950, nonostante avesse lautamente pagato le famiglie dei minori violentati per evitare la denuncia. In appello uscì assolto incredibilmente solo perché il prato in cui avvenne l’abuso era proprietà privata e non si poteva configurare come atto osceno in luogo pubblico.

Non era certo la prima volta che Pasolini abusava sessualmente di giovani ragazzi, ma quella volta la notizia arrivò sui quotidiani ed il Partito Comunista Italiano lo dovette espellere.

In molti, a partire dallo scrittore Marco Belpoliti, sostengono che la pedofilia fu anche la causa del suo assassinio da parte del minorenne Giuseppe Pelosi. Lo stesso ragazzino dichiarò in sede istruttoria di essersi ribellato alle prepotenze sessuali di Pasolini.

 

La pedofilia di Pasolini un tabù: «Amore con minorenni».

A questo proposito, Marco Belpoliti ha dichiarato che «Pasolini è diventato un martire, una sorta di profeta dei tempi che cambiano. Ma viene rimosso il fatto che il più grande intellettuale italiano, poeta, cineasta, romanziere, giornalista, editorialista, è stato anche, in qualche modo, un pedofilo: un tema tabù. A maggior ragione se questo fatto è la radice stessa del suo poetare».

Sui media si fatica a riconoscere le pedofilia di Pasolini.

Se per le vittime di un prete pedofilo degli anni ’50 si parla giustamente di “bambini violentati” o “bambini abusati”, le vittime di Pasolini vengono definite da Stefano Feltri su Il Fatto dei semplici “ragazzi di vita”.

Per l’attuale direttore di Domani, Pasolini non commise abusi sessuali, solamente «gli piacevano i ragazzini» ed ebbe «rapporti con ragazzi, anche minorenni». Da notare la scelta del linguaggio soft.

Eppure Gian Carlo Zanon ricorda che Pasolini pagava e «pretendeva lo sfruttamento fino alla prepotenza», soprattutto di minori che venivano dai quartieri più poveri (come fece con i ragazzini africani), riflettendo giustamente che «questa “normalità” viene legittimata da una cultura connivente, che non sa vedere la distruzione psichica dell’identità umana di ragazzi e ragazze minorenni, colpevoli solo di appartenere al Sud del mondo».

 

Dacia Maraini su Pasolini: “gioco di sesso” con bambini.

Il comportamento più controverso sul tema è però quello di Dacia Maraini, amica di Pasolini, oggi nota scrittrice e celebre anticlericale.

In una recente intervista, alla domanda se Pasolini fosse pedofilo, ha risposto: «Pier Paolo Pasolini non era un predatore sessuale. Non era un dominatore. Il suo approccio non aveva nulla di violento. Era ludico. Con i ragazzi giocava a pallone, scherzava, rideva. Cercava se stesso bambino. Poi, certo, faceva l’amore. Aveva scoperto la sua omosessualità a sei anni, l’avevano perseguitato e irriso per questo».

Se per Feltri aveva «rapporti con minorenni», per Maraini «faceva l’amore con i ragazzi». Guai a parlare di abusi, violenza, prevaricazione di un adulto su un minore come si sarebbe detto se Pasolini fosse stato un prete. Ma in che modo un abuso sessuale sarebbe meno grave se compiuto sotto forma di gioco?

Non è la prima volta che Dacia Maraini risponde così. Anche nel 2017 ripeté che «Pasolini non imponeva mai la sua sessualità, al contrario voleva essere punito e maltrattato, aveva un rapporto di gioco col sesso e non di “presa”, da predatore. Leggendo “Petrolio”, si capisce esattamente qual era il suo atteggiamento con questi ragazzi con cui cercava di giocare; un gioco che sconfinava nel sesso ma che ripeto non era affatto di tipo impositivo».

Dacia Maraini la butta sul “gioco sessuale”.

Un “gioco” malato e perverso, come ha testimoniato il suo fidanzato di allora, Alberto Moravia, anch’egli molto amico di Pasolini: «Negli alberghi africani aveva la fila davanti alla sua porta ed erano tutti giovani aitanti, che a volte sbagliavano indirizzo e bussavano» ad un’altra porta. «Non si spiegava perché doveva sfinirsi fino allo svenimento, accettando l’amore a pagamento anche di cinquanta ragazzi a notte».

La Maraini, invece, non risulta averne mai accennato nei suoi racconti sui viaggi africani con Moravia e Pasolini.

Nel 2015, ancora una volta, ha respinto la pedofilia di Pasolini sostenendo che, pur ammettendo essendo stato espulso da PCI come «corruttore di bambini», nei suoi libri e «conoscendolo bene si capisce quanto la sua omosessualità fosse curatela, maternità, gioco».

 

Solo i preti commettono abusi e scandali?

Curioso osservare il repentino cambio di atteggiamento di Dacia Maraini quando gli stessi abusi commessi da Pasolini vengono perpetrati da qualche prete cattolico.

Ecco che la scrittrice modifica immediatamente le parole e chiede di «portare alla luce lo scandalo» della pedofilia, che sarebbe «un tabù sessuale della Chiesa».

«A nessuno fa piacere veder esplodere scandali in casa propria», riflette un po’ ipocritamente, «ma se succede» la Chiesa deve «prendere le distanze contribuendo all’accertamento della verità, anche la più dolorosa. Altrimenti si diventa complici».

E’ un ottimo suggerimento e che lei per prima dovrebbe seguire nell’ammettere l’altrettanto doloroso scandalo degli abusi sessuali di Pasolini nei confronti di ragazzini e minori.

La pedofilia non diventa un crimine o una violenza fisica e psicologica solo se a commetterla sono degli uomini in tonaca.

Papa Francesco è stato chiaro su questo: «La Chiesa su questa strada ha fatto tanto. Forse più di tutti», ha dichiarato. «Le statistiche sul fenomeno della violenza dei bambini sono impressionanti, ma mostrano anche con chiarezza che la grande maggioranza degli abusi avviene in ambiente familiare e di vicinato. La Chiesa cattolica è forse l’unica istituzione pubblica ad essersi mossa con trasparenza e responsabilità. Nessun altro ha fatto di più. Eppure la Chiesa è la sola ad essere attaccata».

 

I preti accusati vissero in quel periodo di “sesso libero”.

La verità è che fino a pochi decenni fa i danni della pedofilia erano totalmente sottovalutati.

Un altro amico di Pasolini, Roberto Arbasino, disse: «Pier Paolo amava i minorenni, un’inclinazione che oggi sarebbe di una riprovazione assoluta». Ed ancora: «Era pedofilia, ma era anche un termine che allora non esisteva. Non c’era. Si tratta di un termine usato dopo».

La condanna che ricevette Pasolini era per “corruzione di minori”, nessuno parlò di “abuso”, “crimine” o “pedofilia”.

Pochi anni più tardi, in Francia, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, entrambi pedofili (o «divoratori di minori», come si preferisce chiamarli) ed anch’essi oggi sarebbero certamente finiti in carcere, promossero il famoso appello contro i limiti del consenso del minore in materia sessuale e a favore dei “diritti sessuali” dei minori. Una richiesta sottoscritta anche da altri grandi intellettuali francesi, come Michel Foucault, Louis Aragon, Jack Lang e Roland Barthes.

Ovviamente è sbagliato pensare che la violenza sui minori (che sia pedofilia o efebofilia), trentacinque anni fa, non fosse violenza solo perché allora non c’era una legge che parlasse di pedofilia.

Per molti si tratta di violenza solo se a commetterla fu qualche prete cattolico i cui comportamenti sono oggi oggetto di inchieste da parte di commissioni indipendenti ed avvocati, come quella recentemente avvenuta in Germania e che ha cercato di macchiare Benedetto XVI per un (presunto) mancato provvedimento nel 1980. Accusa falsa, come è stato dimostrato.

Come già abbiamo dimostrato, il famoso report realizzato nel 2018 dal Grand Jury della Pennsylvania sulla pedofilia di preti cattolici americani, attestò che gran parte di questi sacerdoti erano nati in media nel 1933 ed ordinati sacerdoti nel 1961.

La stessa conclusione venne raggiunta dalla più grande ed attendibile ricerca sugli abusi in casa cattolica, effettuata dal John Jay College of Criminal Justice. Già allora vi si notava che il decennio di nascita più comune per i presunti molestatori (sono accuse, non condanne) era quello degli anni ’30, mentre il periodo dell’ordinazione sacerdotale era attorno agli anni ’60.

Proprio nel periodo pre e postsessantottino in cui Pasolini commetteva più o meno liberamente i suoi “giochi” con i minori, come vengono ancora definiti.

La redazione

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Cervello e computer? Gli errori del materialista Daniel Dennett

Nel suo ultimo libro, “Dai batteri a Bach. Come evolve la mente” (2018), il filosofo Daniel Dennett ricicla vecchie analogie tra cervello e computer (modello computazionale). Le stesse contraddizioni sull’illusione della coscienza. Ecco perché sbaglia.

 
 
 

Un “cerchio quadrato”. E’ questo che dovremmo pensare ascoltando le affermazioni materialiste di chi dice di aver spiegato la mente umana.

Lo scrisse il filosofo Peter Geach, sottolineando che l’unica domanda meritevole sarebbe: “Quanto è stato nascosto l’errore?”.

Ecco, nel caso di Daniel Dennett, non  molto bene.

 

Dennett è un famoso filosofo e scienziato cognitivo, docente alla Tufts University ed uno degli ultimi residui dei cosiddetti nuovi-atei, il gruppo di accademici che fino ad alcuni anni fa abusò di alcune interpretazioni filosofiche sulla scienza per screditare la fede religiosa come patologia mentale.

Nel suo ultimo libro, From Bacteria to Bach and Back (in italiano Dai batteri a Bach. Come evolve la mente, 2018), il filosofo ripropone le stesse identiche tesi di cinquant’anni fa, dimostrando una tenacia e una coerenza incredibile.

E’ il solito abbraccio letale al più bieco ed anacronistico materialismo, per il quale non può esserci alcun aspetto della natura non riducibile a cieche forze fisiche.

«Per lui», ha osservato il filosofo e teologo progressista David Bentley Hart, «il quadro meccanicistico è assoluto, convertibile con la verità in quanto tale, e qualsiasi cosa sembri sfuggire alla sua logica non può mai essere più che una mostruosità dell’immaginazione».

 

I libri di Dennett e la falsa analogia cervello-computer.

Nel suo ultimo libro, il filosofo e cognitivista americano rimane ancorato al modello computazionale che vuole un’analogia tra cervello e computer, dove la mente è semplicemente una sorta di “interfaccia” tra il computer e il suo “utente”.

Una ingenuità sostenerlo ancora oggi, quando è chiaro ormai che il cervello non vive solo di funzioni, di ragionamenti e di processi logici, come avviene per un computer convenzionale, ma le sue operazioni contemplano anche innumerevoli approssimazioni, un’infinità di valutazioni arrischiate, e si alimenta di un gran numero di convinzioni scarsamente controllabili.

Anche per questo, commenta Bentley Hart, «Dennett fallisce in modo spettacolare».

«I computer sono prodotti di progettisti umani», ha commentato invece il filosofo Edward Feser, docente al Pasadena City College, «quindi non ha senso cercare di spiegare la mente in termini di computer poiché l’esistenza di un computer stesso presuppone l’esistenza di una mente che progetta».

Eppure, per il cognitivista materialista l’immagine scientifica è l’unica che corrisponda alla realtà, mentre l‘immagine manifesta (cioè come la realtà appare direttamente ai nostri sensi), al contrario, sarebbe una raccolta di illusioni utili, modellate dall’evoluzione per farci interagire con i nostri ambienti.

Basterebbe prendere sul serio Dennett e chiedergli: perché presumere che l’immagine scientifica sia vera mentre l’immagine manifesta (cioè il mondo come esiste nella mente cosciente) un’illusione quando, dopo tutto, l’immagine scientifica è una supposizione della ragione, dipendente dalle decisioni sui metodi di indagine, mentre l’immagine manifesta si presenta direttamente a noi come una realtà indubitabile, ineluttabile ed eminentemente coerente in ogni singolo momento della nostra vita?

 

La coscienza? Un’illusione. Ma Dennett si contraddice.

Secondo il cognitivista americano anche la coscienza, ovviamente, sarebbe solo solo un’altra “illusione dell’utente”: solito ritornello, quel che non si può materialisticamente spiegare, non esiste, è pura illusione.

Ma Dennett non riesce a tenere a bada le contraddizioni che crea.

La scienza naturale, in nome della quale il cognitivista espone le sue varie teorie, si basa in definitiva sull’evidenza empirica fornita dall’esperienza cosciente. Però, se l’esperienza cosciente è una “illusione dell’utente”, ne consegue che anche le basi della scienza empirica sono illusorie. Ciò priverebbe il cognitivista del suo dispositivo retorico preferito.

Il tentativo di ridurre i fenomeni dell’esistenza mentale ad una storia puramente fisica è stato provato molte volte e finora ha sempre fallito. Non si spiega perciò la fatica di Dennett nel perseverare per questa strada, se non per il fatto che l’accantonamento del neodarwinismo meccanicista potrebbe lontanamente portare ad una disattenta vigilanza contro ogni intrusione da parte di “cause superiori”.

Ogni volta che Dennett trova alcuni aspetti della mente che il materialismo non può spiegare, infatti, come l’idea di uno scopo, il sé, il libero arbitrio, il significato, l’esperienza soggettiva cosciente, è costretto a concludere che si tratta di una irreale illusione.

Non gli è mai venuto il dubbio che sia il materialismo ad essere falso?

«Per lui ciò che è reale è solo ciò che il materialismo può spiegare», ha osservato il filosofo Feser. «Il materialismo è vero perché può spiegare tutto ciò che c’è da spiegare sulla mente; e ciò che non può spiegare non deve essere reale, perché il materialismo è vero. Bene, il suo ultimo libro è la dimostrazione che Dennett può rimanere su questa giostra per centinaia di pagine senza avvertire le vertigini».

 

Consapevole della non accettazione delle sue tesi, nel suo libro Dennett replica ai suoi critici accusandoli di essere dominati da “paura”, “illusioni” ed “amore al mistero”. Afferma che essi trovano semplicemente le sue opinioni come “inquietanti“.

«Effettivamente ha ragione», ha concluso il filosofo statunitense. «Una raffica costante di falsi artifici, di non sequitur, di straw man argument, di attacchi ad hominem e di altre fallacie manifeste può davvero essere inquietante, specialmente se provengono da un filosofo professionista».

La redazione

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8 marzo, le donne ucraine sfruttate per la maternità surrogata

Nella giornata della festa della donna ricordiamo coloro che i media non vogliono ricordare. Le donne ucraine affittate per produrre bambini ordinati ed acquistati da coppie e single occidentali. Un mercato disumano su cui si chiude gli occhi.

 
 
 

In questo momento di grande sofferenza a causa della guerra, in molti stanno dedicando l’8 marzo alle donne ucraine.

Lo facciamo anche noi ma per tutt’altri motivi rispetto ai grandi media.

Giungono notizie che la donne rimaste in Ucraina sono vittime di stupri e violenze sessuali da parte dei soldati russi.

Quelle stesse povere donne sfruttate per foraggiare l’industria della maternità surrogata e che ogni anno subiscono anche la costante umiliazione di essere usate come macchine incubatrici per produrre bambini, ordinati ed acquistati dall’Occidente.

Tra coloro che oggi festeggiano ipocritamente e scioperano per la Giornata internazionale della donna, come le femministe-fasciste di Non Una di Meno, vi è chi supporta la compravendita dei figli delle donne ucraine.

 

L’Ucraina, tra le mete preferite per la maternità surrogata.

Dopo che India, Thailandia e Nepal hanno bandito la maternità surrogata per gli stranieri nel 2015, l’Ucraina è diventata la meta più gettonata per chi cerca uteri da affittare. In particolare coppie sterili, donne single ed omosessuali.

L’Ucraina possiede almeno 33 cliniche di maternità surrogata private e 5 cliniche governative. La più famosa è la BioTexCom di Kiev.

Si stima che ogni anno vengano ordinati per telefono e “prodotti” in loco da queste donne circa 2.000 – 2.500 bambini.

Gli acquirenti più frequenti arrivano da Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda ed Australia. I bambini devono nascere in territorio ucraino per aggirare il divieto delle leggi nazionali.

 

Una fiorente industria in crisi per la guerra.

La rivista Quartz ha annunciato tuttavia che «l’invasione della Russia sta danneggiando la fiorente industria della maternità surrogata dell’Ucraina». Le cliniche per la fertilità, si legge, stanno ricevendo una raffica di chiamate dagli acquirenti dei bambini al di fuori dell’Ucraina, «alla disperata ricerca di aggiornamenti sulle loro madri surrogate».

Il costo per l’acquisto di un bambino e per l’affitto di un utero ucraino varia dai $ 30.000 a $ 50.000, prezzo di favore rispetto ai $ 100.000 di una donna negli Stati Uniti.

I pericoli della guerra hanno messo ancora più a nudo la disumanità dell’industria della Gpa. Le donne ucraine incinte, con i figli già prenotati dagli occidentali, rischiano ora di essere abbandonate.

Su Tempi si racconta la storia di una coppia americana che è riuscita a strappare il bambino da sua madre poco prima che gli eventi degenerassero in Ucraina.

 

La filosofa francese: «Donne ridotte in schiavitù»

Su Le Figaro, Céline Revel-Dumas, filosofa ed autrice di Gpa. Le Grand Bluff (Cerf 2021), ha scritto qualche giorno fa:

«La copertura mediatica delle coppie che ricorrono alla maternità surrogata in Ucraina, mentre la guerra scoppia con una violenza senza precedenti, è rivelatrice. La meccanica di fondo della maternità surrogata, di un cinismo implacabile, appare ora in piena luce: rivela un mercato senza fede né legge, donne ridotte in schiavitù e poi gettate via, coppie benestanti ossessionate dai propri interessi e media che riescono, nella tragica attualità, a vendere un programma politico, rinunciando a ogni etica. Tale è la morale della guerra: distruggi l’illusione, rivela l’orrore, scegli una pace razionale. C’è anche altro da sperare, una pace del ventre».

La redazione

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Nuova vita per Antonio Socci: «Basta, ora sto con Papa Francesco»

Il noto giornalista cattolico, leader dell’opposizione interna al pontificato di Bergoglio, fa dietrofront. Pochi giorni fa ha ammesso anche che Benedetto XVI ha un “giudizio positivo” sul pontificato di Francesco.

 
 
 

In questi anni su Papa Francesco è stato detto di tutto e di più all’interno del mondo cattolico.

Non vogliamo tornare a parlarne, anche perché quella stagione di contrapposizioni sembra fortunatamente agli sgoccioli. Non possiamo però non manifestare soddisfazione per la conversione di cuore di uno dei leader dell’opposizione interna al Papa, spesso da noi criticato per le sue tesi estreme.

Ci riferiamo al giornalista e scrittore Antonio Socci, autore di una violentissima campagna fustigatrice a partire dal libro Non è Francesco, in cui negò la validità dell’elezione papale.

Nel 2014 si dimise da direttore della Scuola di giornalismo di Perugia proprio in seguito ai suoi insulti al Papa (in quell’occasione si scusò subito, in qualche modo).

 

Antonio Socci: “Le mie critiche? Con poca carità”

Poco prima di Natale 2021, tuttavia, Socci ha manifestato sincero pentimento (lo aveva già fatto nel 2017 ma era durato poco) per le «critiche, anche troppo dure, talora con poca carità».

Ha dato prova di aver capito il pontificato di Francesco e di aver cominciato ad ascoltarlo svuotando gli occhi dall’accecante pregiudizio con cui lo aveva sempre interpretato.

E’ probabile che sia germogliato il seme della carità posato dal Papa stesso, quando anni fa rispose con un messaggio privato al libro del giornalista contenente le solite accuse nei suoi confronti.

«Un gesto di paternità (anche verso mia figlia) che mi commosse, un gesto di umiltà per nulla scontato, che mi ha fatto riflettere e mi ha riempito di stupore», scrive oggi Socci, «un papa che ringrazia personalmente per le critiche (dure) e si umilia davanti a un cane sciolto come me (che di certo non sono un santo) non può lasciare indifferenti».

 

«Benedetto XVI ha un giudizio positivo su Francesco»

Pochi giorni fa Antonio Socci ha avuto anche l’onestà intellettuale di rinnegare il suo “cavallo di battaglia” degli ultimi anni, cioè la presunta opposizione di Benedetto XVI al pontificato di Francesco.

Ha infatti ammesso che «c’è anzitutto un giudizio positivo sul pontificato in generale» da parte del Papa emerito rispetto al successore, «sottolineandone il valore: una Chiesa che sta fra la gente e sta attenta alle persone».

Inoltre ha avuto il coraggio di smentire se stesso citando le famose frasi di Benedetto XVI nel 2016. «La sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto», disse Ratzinger a Francesco, in un discorso spontaneo e a braccio.

Allora Socci reagì sostenendo che il Papa emerito fosse vittima di un «pesantissimo pressing per ottenere da lui un atto di acritica sottomissione», scagliandosi contro la «dittatura sudamericana» di Bergoglio ed annunciando rivelazioni e retroscena.

Nel recente articolo, al contrario, ha giustamente indicato proprio quelle parole di Ratzinger come prova del suo sguardo positivo sull’attuale pontificato.

Infine, un altro gesto significativo è che Antonio Socci ha citato le parole pronunciate nel 1977 dal card. Ratzinger in difesa di Paolo VI dagli attacchi «non solo progressisti, ma anche tradizionalisti», usandole come monito verso i suoi ex colleghi cattolici ancora imbrigliati nelle maglie dell’antipapismo bergogliano.

 

«Siamo lieti che Socci abbia compiuto il giusto passo», ha sottolineato Umberto Folena su Avvenire. «Ma i suoi fan? Quelli che rilanciavano esultanti le sue esternazioni sui social, ricoprendo di improperi Francesco e invocandone persino la morte? E i suoi libri? I suoi post? Ripida è la via del ritorno a casa. Il Papa lo aveva perdonato già anni fa; il Padreterno ha sempre le braccia spalancate; ma quella “banda” lo perdonerà mai?».

Tempo al tempo, caro Folena, per ora rallegriamoci del ritorno di un bravo scrittore cattolico. Non dev’essere stato facile, per Antonio, questo dietrofront pubblico. Tanta stima.

La redazione

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La Bibbia non è stata modificata nel tempo, la prova di Qumran

Possediamo i testi biblici originali? Oppure il testo è stato modificato e corrotto nel corso dei secoli? Non c’è più alcun dubbio dopo la scoperta dei Rotoli del Mar Morto e non esiste nessun altro libro antico il cui contenuto è stato meglio conservato nel tempo.

 
 
 

Come essere certi che le parole che leggiamo oggi nella Bibbia risalgano a quelle effettivamente scritte dai profeti, su inspirazione divina?

E, più in generale, l’Antico Testamento è stato alterato e modificato rispetto agli scritti originali?

Queste e altre domande hanno attraversato almeno una volta la mente di ogni credente e sono una delle accuse più utilizzate da chi si spende per convincere dell’infondatezza storica dei libri sacri della religione ebraica e cristiana.

La risposta è molto più semplice di quanto si pensi o perlomeno si è maturato un altissimo grado di certezza dopo la fondamentale scoperta nel 1947 dei rotoli del Mar Morto a Qumran.

Un ritrovamento importantissimo di centinaia di manoscritti contenenti i testi biblici, nascosti in anfore per preservarli dalla furia distruttrice dei Romani e risalenti ad una data sicuramente precedente il 70 d.C. (la scoperta ha anche aperto un dibattito accademico sulla possibile retrodatazione del vangelo di Marco).

 

La versione attuale dell’Antico Testamento

Innanzitutto occorre sottolineare che vi sono prove evidenti che il canone dell’Antico Testamento fu completato nel 450 a.C., mentre la traduzione greca dell’Antico Testamento (detta Versione dei Settanta) è datata circa al 250 a.C., avvenuta durante il regno di Tolomeo Filadelfo (285-246 a.C.).

Ma l’Antico Testamento che usiamo oggi è tradotto da quello che viene chiamato il testo masoretico, nome derivante dai Masoreti, cioè gli studiosi ebrei che tra il 500 e il 950 d.C. diedero all’Antico Testamento la forma che anche oggi conosciamo.

Fino a quando non vennero scoperte le grotte di Qumran, il più antico testo ebraico dell’Antico Testamento era il Codice di Aleppo risalente al 935 d.C.

 

La Bibbia non è stata cambiata nel corso dei secoli.

Grazie all’archeologia, Qumran ci ha donato dei manoscritti che precedono il testo masoretico di quasi mille anni.

Gli studiosi confrontarono fin da subito i manoscritti del Mar Morto con il testo masoretico, a caccia di differenze significative che si pensava avessero corrotto il testo originale (così come affermavano alcuni gruppi religiosi, come i musulmani ed i mormoni).

Ma dopo anni di attento studio si è concluso che i Rotoli del Mar Morto confermano in modo sostanziale che il nostro Antico Testamento è stato accuratamente conservato. Le pergamene sono risultate infatti quasi identiche al testo masoretico, con l’eccezioni di inevitabili errori di traduzione e differenze ortografiche minori.

Lo studioso Millar Burrows, una delle principali autorità sui manoscritti di Qumran e professore emerito alla Yale Divinity School, esclamò: «È una meraviglia sapere che nonostante il passaggio di mille anni il testo biblico abbia subito così poche modifiche. Come ho detto nel mio primo articolo sulle pergamene, “qui sta la loro principale importanza: a sostegno della fedeltà della tradizione masoretica!”»1Millar Burrows, The Dead Sea Scrolls, Viking Press 1955, p. 304.

Un componente dell’equipe editoriale dei Rotoli del Mar Morto affermò a sua volta che essi «confermarono la grande affidabilità con la quale il testo ebraico era stato conservato nel corso dei mille anni compresi tra l’epoca di Qumran e quella in cui furono copiati i manoscritti medievali più antichi»2F. García Martínez e J. Trebolle Barrera, Gli uomini di Qumran, Paideia 1996, p. 168.

L’esempio più clamoroso fu quello del Libro di Isaia, i due testi (mesoterico e le pergamene di Qumran) erano praticamente identici.

Ad esaminarlo fu, tra gli altri, l’eminente biblista americano Gleason Archer Jr., che giunse a questa conclusione: «Anche se le due copie di Isaia scoperte nella Grotta 1 di Qumran vicino al Mar Morto nel 1947 risalivano a mille anni prima rispetto al più antico manoscritto in nostro possesso (980 d.C.), dimostrarono di essere identiche alla nostra Bibbia ebraica in oltre il 95%. Il 5% delle variazioni presenti consisteva principalmente in variazioni ortografiche»3G. Arciere, A Survey of Old Testament. Introduction, Moody Press 1985, p. 25.

 

Nessun altro libro è stato meglio conservato dall’originale.

Non esiste alcun libro antico che può vantare un passato così trasparente.

Per questo il paleografo e papirologo britannico, Sir Frederic Kenyon, presidente della British Academy, scrisse: «Nessun altro libro antico ha documentazioni del suo testo altrettanto primitive e copiose, e nessuno studioso imparziale negherebbe che il testo che ci è pervenuto è sostanzialmente accurato»4citato in F. García Martínez e J. Trebolle Barrera, Gli uomini di Qumran, Paideia 1996, p. 184.

Gli fece eco lo studioso William Henry Green: «Si può affermare con sicurezza che nessun’altra opera antica ci è pervenuta in forma così accurata»5citato in F. García Martínez e J. Trebolle Barrera, Gli uomini di Qumran, Paideia 1996, p. 184.

La redazione

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La terra non è piatta! Furono i gesuiti a convincere i cinesi

Il gesuita Matteo Ricci fu il primo a parlare della sfericità della terra in Cina, nel XVI secolo. Gli stessi gesuiti divennero responsabili dell’Ufficio astronomico dell’imperatore cinese. Lo racconta la storia cinese Qiong Zhang.

 
 
 

I cristiani non hanno mai creduto alla Terra piatta e, anzi, sono stati i missionari europei a convincere gli abitanti della Cina della sfericità della terra.

Lo ha ricostruito egregiamente la studiosa cinese Qiong Zhang, docente di Storia alla Wake Forest University e autrice di una ricerca1Z. Qiong, Making the New World Their Own. Chinese Encounters with Jesuit Science in the Age of Discovery, Brill 2015 classificatasi tra i “migliori studi dell’anno” da parte dell’Academic Excellence Award 2015.

Una breve presentazione del lavoro di Zhang è stata esposta dallo storico statunitense James Hannam, autore di un best-seller sull’origine cristiana e medievale della scienza moderna.

 

In Europa si sapeva dal IV secolo a.C. che la terra è tonda.

La forma sferica della Terra era nota in Europa dal IV secolo a.C.

Già nel Fedone di Platone vi è un riferimento mentre Aristotele in De caelo presenta il primo studio delle prove. L’idea non fu subito accettata, gli epicurei ad esempio la rifiutarono al contrario degli stoici.

Con il passare dei secoli e l’avvento del cristianesimo, divenne noto a tutti che la Terra era rotonda. Gli scritti filosofici del monaco Beda il Venerabile (672-735 d.C.) eliminano ogni dubbio quando espongono con cura l’evidenza empirica della forma della terra.

Nel Medioevo tutti ne erano a conoscenza.

 

Per i cinesi la terra era piatta e il cielo un ombrello.

Al contrario, in Cina consideravano il cielo tondo ma la terra piatta. Lo si evince da un trattato governativo durante la distastia Han (202 a.c. – 220 d.C.): «La Via del Cielo è chiamata la Rotonda, la Via della Terra è chiamata la Piazza»2A. Liu, The Huainanzi: A Guide to the Theory and Practice of Government in Early Han China, Columbia University Press 2020, p. 115.

Per molti secoli, ha spiegato Hannam, i cinesi rimasero convinti che il microcosmo del corpo umano somigliasse al macrocosmo dell’universo, dove la rotondità della testa fosse la forma del cielo e la squadratura dei piedi quella della terra. Un poeta del IV secolo a.C., Song Yu, usò un’altra analogia: «La terra quadrata è il mio carro ed il cielo rotondo il mio baldacchino».

Questa immagine restò la base dell’antica astronomia cinese, il cielo come un ombrello rotante al di sopra della terra quadrata. Anche per questo, ha spiegato Hannam, «non dovremmo stupirci se questa immagine del mondo abbia impedito ai cinesi di sviluppare un’astronomia sofisticata e accurata». Consigliamo a questo proposito il nostro dossier sull’origine della scienza nel Medioevo cristiano.

 

L’arrivo dei gesuiti, di Matteo Ricci e della terra tonda.

Nel XVI secolo, i commercianti portoghesi entrarono in Cina e, con essi anche alcuni missionari gesuiti con l’ambizione di proporre ai cinesi l’annuncio evangelico. Utilizzarono la scienza e la tecnologia occidentale per rendersi utili alle autorità imperiali, ottenendo in cambio il permesso di evangelizzare. Fu un accordo ideato dal sacerdote italiano Matteo Ricci (1562-1610), che arrivò in Cina nel 1582.

Rispettando il credo cinese e mostrandosi realmente utili al popolo, i gesuiti riuscirono a mantenere una presenza costante per gran parte dei successivi 150 anni. Oltre al vangelo, i gesuiti insegnarono l’astronomia e la geografia europee e, allo stesso tempo, appresero moltissimo della cultura cinese (fu grazie a Matteo Ricci che conosciamo il pensiero antico cinese).

Come spiega lo storico americano Hannam, una delle prime iniziative di Ricci fu proprio produrre una mappa del mondo da rendere pubblica in Cina, combinandola con quelle locali. Rispettando la diplomazia, posizionò le Americhe a destra e l’Europa a sinistra lasciando alla Cina il posto centrale. Riempì quindi le parti ancora inesplorate con elementi di fantasia cinese, mentre la metà inferiore dell’emisfero australe era occupato da un continente enorme e inesistente, la terra australis, che gli europei ritenevano fosse ancora in attesa di scoperta.

Nel 1602 padre Ricci chiamò questa mappa la Carta geografica completa di tutti i regni del mondo, che divenne il più antico mappamondo cinese nello stile delle mappe europee.

Nell’introduzione generale della mappa, il gesuita affrontò anche la forma del globo:

«La terra ed il mare sono entrambi sferici. Insieme formano un unico globo situato al centro delle sfere celesti, come il tuorlo di un uovo è circondato dall’albume. Coloro che dicevano che la terra è quadrata si riferivano alla natura fissa ed immobile della terra, non alla sua forma fisica»3citato in Z. Qiong, Making the New World Their Own. Chinese Encounters with Jesuit Science in the Age of Discovery, Brill 2015, p. 4.

Questo è un esempio dell’intelligenza e della delicatezza dei gesuiti nel valorizzare la cultura locale. La stessa analogia dell’uovo e del tuorlo, ha spiegato James Hannam, derivava dallo studioso cinese Zhang Heng (78-139 d.C.), secondo il quale l’universo era sferico e riempito per metà d’acqua, su cui galleggiava una terra piatta come una zattera.

 

La reazione cinese alla terra tonda dei gesuiti.

I gesuiti non fecero molti progressi per convertire i mandarini al cristianesimo, solamente due alti funzionari (Xu Guangqi e Li Zhizao) li presero sul serio grazie all’influenza di padre Ricci. Ma, in seguito alla sua morte nel 1610, i gesuiti persero influenza e vennero espulsi nel 1616. Chi rimase fu costretto a nascondersi per diversi anni. I due imperatori cattolici, Xu Guangqi e Li Zhizao, riuscirono tuttavia a riabilitarli, affidando loro la riforma del calendario.

Nel 1645 il gesuita Adam Schall von Bell presentò il nuovo calendario e venne nominato dall’imperatore Qing a capo dell’Ufficio Astronomico, posizione che verrà ricoperta quasi esclusivamente da un gesuita fino al 1775.

Non tutti i mandarini furono favorevoli alle idee astronomiche dei gesuiti, Yang Guangxian (1597-1669) sfidò infatti la forma sferica della terra sostenendone l’assurdità, in quanto i mari si sarebbero altrimenti svuotati. Inoltre, «se davvero ci sono paesi sul bordo curvo e sul fondo del globo, allora questi luoghi sono sicuramente immersi nell’acqua. Gli occidentali devono sicuramente convivere con tartarughe e pesci»4Z. Qiong, Making the New World Their Own. Chinese Encounters with Jesuit Science in the Age of Discovery, Brill 2015, p. 156.

Seguirono periodi in cui predominò prima un’idea e poi l’altra, i gesuiti furono prima licenziati e poi riassunti e «la forma della terra continuò ad essere oggetto di dibattito tra gli studiosi cinesi per tutto il XVII ed il XVIII secolo». Infine venne accolta.

L’accettazione dell’astronomia occidentale, tuttavia, non soddisfò affatto i gesuiti, la cui priorità fu sempre quella di portare l’annuncio cristiano nell’Impero cinese. In questo fallirono, venendo spesso martirizzati. La dottrina cattolica risultò sempre ostica al confucianesimo e fu derisa da molti mandarini.

«Alla fine», ha concluso lo storico americano, «la terra sferica riuscì a scombussolare l’élite cinese facendo ben poco per convincerla della verità del cristianesimo. L’abilità scientifica non può sostituire l’evangelizzazione».

La redazione

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Crisi dei preti, una soluzione: la fraternità sacerdotale!

La crisi dei preti può trovare soluzione nella fraternità sacerdotale. La vita in comune, in fratellanza, condividendo gli impegni della parrocchia ed il dono del celibato, testimoniando la gioia del sacerdozio.

 
 
 

Sono anni che lo suggeriamo e siamo felici che Papa Francesco ne abbia parlato.

Non possiamo nascondere che ci sia una crisi nel sacerdozio in Occidente.

Non parliamo solo dello scandalo degli abusi sessuali, un fenomeno statisticamente minoritario tra il clero cattolico (al di là di quello che fanno sembrare i media) e prettamente riguardante il passato. Quasi tutte le accuse risalgono, infatti, a 30-40 anni fa.

 

Sacerdoti in crisi di identità.

Ci riferiamo piuttosto alla profonda solitudine in cui si trovano i nostri sacerdoti. Sommersi da oneri burocratici, moltiplicati con l’unificazione delle parrocchie a causa della scarsità delle vocazioni, in molti rischiano di allontanarsi sempre più dalla vita parrocchiale, delegando le responsabilità a laici e pur preziosissimi volontari.

Ma parliamo anche di quella che il card. Robert Sarah ha definito «una crisi di identità dei sacerdoti», oggetto di uno studio specifico1R. Repole, Crisi del prete, appello per la Chiesa. Uno sguardo alla situazione attuale, www.chiesadimilano.it, 15/11/10 da parte di don Roberto Repole, docente di Ecclesiologia presso la Facoltà teologica di Torino. Le cause non sono facili da rintracciare, sicuramente se ne vedono i frutti.

Non sono più molto frequenti i sacerdoti che riescono ad offrire una testimonianza personale di gioia, speranza cristiana e calore umano, quelli che riescono ad essere un riferimento spirituale prezioso nella vita dei fedeli. Comincia ad essere difficile trovare un sacerdote che riesca a comunicare Cristo con la sua vita (oltre che con le parole), così da scaldare il cuore degli uomini, vicini e lontani, senza perdersi in fumose formule teologiche.

Certamente molto dipende dall’impostazione dei seminari, per lo meno quella ancora in voga fino a 20 anni fa.

 

La fraternità sacerdotale, soluzione alla crisi dei preti.

Allora, quale può essere una soluzione?

A nostro avviso è la fraternità sacerdotale. I preti di una parrocchia (o di una ristretta area geografica) devono vivere assieme, condividere il celibato in una vita in comune con altri sacerdoti, fianco a fianco, da fratelli. Ognuno con il suo spazio e le sue stanze private, ma la vita ordinaria è in fratellanza.

Gesù stesso inviò i suoi apostoli a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi (cfr Lc 10,1).

«Senza amici e senza preghiera il celibato può diventare un peso insopportabile e una contro-testimonianza alla bellezza stessa del sacerdozio», ha detto qualche tempo fa Papa Francesco, aprendo il Simposio internazionale sul sacerdozio.

«Mi spingo a dire», ha sottolineato il Papa, «che lì dove funziona la fraternità sacerdotale ci sono legami di vera amicizia, lì è anche possibile vivere con più serenità anche la scelta celibataria».

Vivendo la vita ordinaria in comune ed in carità, «l’amore fraterno, per i presbiteri, non resta chiuso in un piccolo gruppo, ma si declina come carità pastorale, che spinge a viverlo concretamente nella missione», ha precisato ancora il Papa. Il celibato, se vissuto così, diventa «un dono che la Chiesa latina custodisce, ma è un dono che per essere vissuto come santificazione necessita di relazioni sane, di rapporti di vera stima e vero bene che trovano la loro radice in Cristo».

Una soluzione rivoluzionaria, a costo zero. Semplice, certamente non facile. Ma siamo testimoni delle parole del Papa: dove i preti vivono la fraternità sacerdotale, fioriscono anche le vocazioni nei giovani perché intravedono un modello positivo ed affascinante di vivere il sacerdozio.

Non è la prima volta che Papa Bergoglio parla della fraternità sacerdotale. Lo aveva già fatto nel 2017 ricevendo i membri del Pontificio Collegio Pio Brasiliano. Ad essi spiegò:

«il primo oggetto della carità pastorale dev’essere il nostro fratello nel sacerdozio. Pregare insieme, condividere le gioie e le sfide della vita accademica; aiutare coloro che soffrono di più la nostalgia; uscire insieme per una passeggiata; vivere come una famiglia, da fratelli, senza lasciare nessuno da parte, compresi quelli che sono in crisi o forse hanno avuto degli atteggiamenti censurabili, perché la fraternità presbiterale non esclude nessuno».

 

L’esempio positivo della Fraternità San Carlo di Roma.

C’è già una realtà in Italia che vive la fraternità sacerdotale, sono i preti della Fraternità San Carlo (FSCB) di Roma.

Certo, si tratta innanzitutto di missionari, ma nei luoghi dove si recano abitano assieme, nella stessa casa, mangiano assieme, pregano assieme. Ed assieme guidano le parrocchie del mondo. La loro fratellanza, la loro unità misteriosa è la prima ed immediata testimonianza agli occhi di chi li guarda.

«I sacerdoti vivono insieme in case di tre o più persone», si legge sul loro sito web. «La comunione che vivono fra loro non è solo sostegno nel lavoro quotidiano della missione, ma anche cammino di conversione e strada verso la santità. La Fraternità è una compagnia formata da persone che sono messe assieme da un Altro, dal gesto di un Altro che è misericordia sulla loro vita. Essa è il segno efficace della misericordia di Dio. Ciascuno è stato raccolto e viene continuamente accompagnato da Cristo attraverso i fratelli. Perciò la Fraternità è il luogo che, attraverso la nostra conversione, rende più semplice e continua la memoria di Cristo».

Perché questa esperienza non può essere seguita da tutti coloro che vivono la vita sacerdotale ordinaria?

La redazione

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Questa donna è perseguitata da 10 anni dalla lobby LGBT

Perseguitata per non aver voluto scendere a compromessi con la sua coscienza. L’artista floreale Barronelle Stutzman può andare in pensione tranquilla, finalmente. Un caso che ha fatto scuola e la sua battaglia in nome della libertà di pensiero sarà utile a tanti altri.

 
 
 

L’artista floreale di Washington, Barronelle Stutzman, ha deciso di andare in pensione e lasciare la sua attività ai suoi amati dipendenti.

Per dieci anni è stata perseguitata dalla lobby Lgbt, da quando declinò la richiesta di mettere a disposizione la sua arte in onore di un matrimonio omosessuale.

«Affido ad altri la battaglia legale per la libertà. A 77 anni è ora di andare in pensione», ha scritto in una lettera aperta (da lei letta nel video qui sotto).

 

Rifiutò di donare la sua arte ad un matrimonio gay.

Tutto ebbe inizio nel 2012 quando Barronelle gestiva un piccolo negozio di fiori a Richland (Washington), chiamato Arlene’s Flowers. Una sua cliente affezionata le chiese di creare una composizione floreale personalizzata per il suo matrimonio omosessuale.

Fu la prima volta che Barronelle dovette declinare, non se la sentì di donare se stessa e la sua creatività ad un progetto che confliggeva con i suoi valori e la sua coscienza. Invitò così la cliente a rivolgersi ad altri artisti che la avrebbero aiutata.

La vicenda si diffuse sui social e la comunità Lgbt riuscì a convincere il procuratore generale di Washington ad intentare una causa contro Barronelle. Golia contro Davide.

La donna, oggi bisnonna, fu citata in giudizio e le fu chiesto tutto ciò che possedeva, compresi i risparmi della pensione. Una chiara violazione dei diritti costituzionali.

Con l’aiuto degli avvocati della Alliance Defending Freedom, Barronelle e suo marito Darold hanno combattuto a testa alta per decenni, chiedendo per due volte alla Corte Suprema di esaminare il caso.

La prima volta, la Corte ha rinviato il caso alla Corte Suprema di Washington, che confermò la sua prima sentenza ignorando i diritti di Barronelle. La seconda volta, la Corte Suprema rifiutò a priori di prendere in considerazione il suo caso.

Alla fine i suoi legali sono recentemente riusciti a porre fine alla causa decennale senza che la donna debba agire contro le sue convinzioni etiche né pagare alcun onere legale.

Nel frattempo la donna è diventata un simbolo in tutti gli Stati Uniti e ne ha giovato anche la sua attività lavorativa. Lo stesso è accaduto al pasticcere di Denver, Jack Phillips.

Barronelle dice di essere contenta di poter andare in pensione con la coscienza intatta, sapendo che il suo sforzo legale per proteggere la libertà artistica e di pensiero ha fatto scuola e ha tracciato un punto di non ritorno che molte altre persone minacciate dalla lobby Lgbt potranno seguire.

                                                                                                                   

 
 

Altre vittorie recenti della libertà di coscienza.

In Oregon, i proprietari di una pasticceria Aaron e Melissa Klein sono anche loro stati denunciati per essersi rifiutati di creare una torta artistica in onore di un matrimonio tra persone dello stesso sesso. A gennaio 2022 la corte d’appello ha annullato la multa di $ 135.000, pur confermando l’interpretazione del loro comportamento come una violazione della legge che vieta la discriminazione basata sull’orientamento sessuale.

In Illinois, un tribunales ha stabilito che la contea di Winnebago deve pagare oltre $ 370.000 ad un’infermiera cristiana per aver violato le sue libertà legalmente protette ordinandole di indirizzare le donne verso l’aborto e fornire loro contraccettivi abortivi, agendo contro la sua coscienza.

Vittoria anche in Michigan, dove sempre nel gennaio scorso la Corte Suprema ha ordinato al Dipartimento della Salute e dei Servizi umani di risarcire $ 550.000 ad un’agenzia di adozioni di orientamento cattolico per averla costretta a collocare bambini in adozione a coppie dello stesso sesso.

La redazione

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Dopo la Svezia, il Texas vieta le terapie trans: «Abuso di minori»

Il procuratore generale del Texas ha definito “illegali” le terapie trans per il blocco della pubertà ai minori affetti da disforia di genere, tanto che il più grande ospedale dello stato ha subito interrotto simili trattamenti.

 
 
 

Dopo l’ubriacatura gender degli ultimi anni si comincia a fare marcia indietro.

Il più grande ospedale pediatrico del Texas ha infatti annunciato l’interruzione di ogni bloccante della pubertà ai minori dopo che il procuratore generale dello stato, Ken Paxton, ha affermato che tale pratica «può legalmente costituire un abuso sui minori».

Alla pubblicazione del comunicato da parte dell’ospedale di Houston, il procuratore ha commentato: «Sono felice di sapere che oggi il Texas Children’s Hospital ha interrotto le procedure di abuso di minori».

 

Stop alle terapie trans che bloccano la pubertà

Secondo l’eminente giurista americano, «queste procedure e trattamenti possono causare lesioni mentali o emotive ai bambini, che si traducono in una compromissione osservabile e materiale nella crescita, nello sviluppo o nello sviluppo psicologico del bambino, inclusi danni sostanziali».

Un anno fa anche il commissario del Texas Department of Family and Protective Services dichiarò che «le mutilazioni genitali di un bambino attraverso un intervento chirurgico di riassegnazione» vanno considerate abuso di minori.

Il presidente Joe Biden ha criticato la decisione del Texas, venendo però smentito dall’American College of Pediatricians che ha da tempo espresso la sua opposizione all’uso di farmaci che bloccano la pubertà, definendoli trattamenti “sperimentali”.

La polemica è nata in Texas dopo che le più grandi “cliniche transgender” del paese, il Dallas Children’s Medical Center e l’UT Southwestern Medical Center hanno interrotto il programma “GENder Education and Care” nel novembre scorso, annunciando che avrebbero continuato ad accettare nuovi pazienti affetti da disforia di genere, ma senza più trattarli con farmaci ormonali.

 

Anche la Svezia vieta terapie trans ai bambini

Prima degli statunitensi è stata l’Australia e soprattutto la Svezia ad interrompere questi trattamenti.

Tutti i Paesi pionieri della transizione minorile tramite bloccanti della pubertà, che hanno fatto marcia indietro davanti al fenomeno di giovanissime donne (e anche qualche uomo) trattate precocemente con i blocker e danneggiate in modo irreversibile.

Il Karolinska Institute, università medica tra le più importanti al mondo, ha fermato la somministrazione di bloccanti della pubertà nel 2021.

Nelle settimane scorse è stato deciso dal National Board of Health and Welfare che in tutta la Svezia i trattamenti saranno bloccati (a parte casi eccezionali) fino a quando non emergeranno conclusioni definitive sull’effetto e sulla sicurezza dei trattamenti sulla base di prove scientifiche.

I casi di detransizione sono documentati e sempre più elevati ma purtroppo difficilmente è possibile tornare indietro e le conseguenze sono spesso irreversibili. Anche l’Accademia nazionale di medicina francese lo ha riconosciuto.

Uno dei casi più noti a livello mediatico è quello emerso nel dicembre 2020, l’inglese Keira Bell a soli 13 anni intraprese il percorso irreversibile del cambio di genere da femmina a maschio. Salvo poi pentirsi da adulta e denunciare il Servizio sanitario inglese, ottenendo giustizia presso l’Alta Corte.

 

Sul Washington Post un trans disperato: «Ma cosa ho fatto?».

Proprio la scorsa settimana il Washington Post ha pubblicato un articolo di un transgender profondamente rammaricato del suo accanimento in gioventù e della sua «ossessione» nel voler trasformare il suo corpo per assomigliare ad una donna.

«Cosa cercavo per il mio sacrificio?», si domanda Corinna Cohn in un post disperato. «Dov’erano i miei genitori in tutto questo? Erano consapevoli ma li avevo cacciati dalla mia vita. Mi vengono i brividi al pensiero di quanto siano distorsivi i social media di oggi per gli adolescenti confusi».

La testimonianza dell’uomo cade anche sulla responsabilità dei medici, oggi ricattati moralmente a mediaticamente: «Sono anche allarmato da come le figure autoritarie facilitino la transizione. Dovetti convincere due terapeuti, un endocrinologo e un chirurgo a darmi quello che volevo. Nessuno di loro era sottoposto a una schiacciante pressione professionale, come lo sarebbero adesso, per “affermare” la mia scelta».

«Non ero abbastanza grande per prendere quella decisione», scrive ancora. «Ho scelto un cambiamento irreversibile prima ancora di aver cominciato a capire la mia sessualità. La distruzione delle mie gonadi ha introdotto un diverso tipo di schiavitù: dal giorno del mio intervento sono diventato un paziente dei medici e lo resterò per il resto della mia vita».

Una testimonianza come tante che stanno apparendo in questi anni che dimostrano la lungimiranza della scelta del procuratore del Texas.

 

Florida e Georgia bloccano propaganda gender ai minori.

Ma non si è mosso solo il Texas, in Georgia si sta già lavorando ad un testo simile.

La propensione del mondo LGBT ad occuparsi dei bambini è talmente forte che in Florida, come ricordavamo, è stato impedito alle scuole l’insegnamento ai bambini di questioni controverse legate alla sessualità, come il transgenderismo.

Anche in Italia i promotori del ddl Zan avrebbero usato le fantomatiche ed obbligatorie “Giornate contro l’omotransfobia” per introdurre nelle aule la controversa e confusa visione arcobaleno.

La redazione.

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