Il 27 giugno prossimo la discussione sulla cannabis legale sarà avviata nell’Aula di Montecitorio, promossa dal senatore e sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, ex presidente dei Radicali italiani. In discussione il ddl che porta il nome del candidato sindaco per Roma, Roberto Giachetti.
L’iniziativa parlamentare è sorta dopo il rapporto annuale della Direzione Nazionale Antimafia, in cui si è parlato di «totale fallimento dell’azione repressiva» e della «letterale impossibilità di aumentare gli sforzi per reprimere meglio e di più la diffusione dei cannabinoidi», chiedendo di valutare la possibilità della depenalizzazione come male minore. Una posizione certamente autorevole e da tenere in considerazione, per quanto ci riguarda non ci interessa sostenere a prescindere il proibizionismo, poiché non è la sola repressione che permette di risolvere realmente il problema. Certamente non riteniamo possa farlo l’antiproibizionismo. L’obiettivo comune è ridurre realmente e far scomparire il consumo di droga, ciò a cui dovrebbe tendere una società civile, sana e matura.
Al rapporto della D.N.A. hanno tuttavia replicato numerose voci, ugualmente attendibili. Ad esempio il Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri: «Uno stato democratico non può permettersi il lusso di depenalizzare qualcosa che fa male», ha affermato. Liberalizzare significherebbe trovare in farmacia un prodotto ad un costo doppio rispetto al mercato nero poiché, considerando nuove aziende agricole, acqua, concime, personale assunto e assicurato, un grammo di marijuana in farmacia costerebbe 12 euro, mentre già oggi si può spacciare a 3 o 4 euro. La criminalità organizzata, quindi, sfrutterebbe la vendita di contrabbando, mentre se il costo in farmacia dovesse essere più basso, aumenterebbe inevitabilmente, e anche di molto, l’area del consumo.
Ancora più drastico il magistrato Raffaele Cantone, presiedente dell’Autorità nazionale anticorruzione, che ha affermato: «La legalizzazione non è utile ad essiccare le vene del narcotraffico, la mia è una convinzione basata sulla razionalità. Si sposterebbe solo il problema degli appetiti dal mercato illegale a quello legale. Faccio un esempio a me caro: non mi pare proprio che legalizzare le scommesse abbia tagliato le gambe alle mafie sulle scommesse clandestine, semmai ha allargato i loro interessi anche a quelle legali. Con il risultato che le mafie si sono arricchite e cittadini sono diventati dipendenti. Se le droghe fanno male, e fanno male, lo Stato non può proprio porsi la domanda, perché allora per paradosso domani potremmo anche proporre di legalizzare le associazioni mafiose così utilizziamo i loro metodi e ci arricchiamo. Va bene la provocazione, ma che provocazione resti, tra l’altro nessun Paese ha mai legalizzato ogni tipo di stupefacenti. Un motivo ci sarà?».
Fausto Cardella, procuratore capo della direzione distrettuale antimafia dell’Aquila, ha a sua volta contraddetto Della Vedova, ex presidente dei Radicali italiani: «Dobbiamo chiarirci le idee: il consumo è già tollerato dalla legge, quando parliamo di legalizzazione, parliamo di legalizzazione del commercio e della produzione: ma davvero è questo che vogliamo? Non solo, si tratta di intendersi sullo scopo che si vuole ottenere, se lo scopo è il contrasto alla diffusione e al consumo è evidente che la legalizzazione non li disincentiva, anzi. Quanto all’affamare la criminalità organizzata, per ottenere lo scopo bisognerebbe che tutto il mondo legalizzasse in contemporanea tutte le sostanze, un’ipotesi talmente irrealistica e pericolosa da non rientrare in nessuna agenda: ogni legalizzazione parziale otterrebbe soltanto l’esito di dirottare gli affari della mafia dove il traffico resta proibito e di dirottare i consumatori verso i Paesi più tolleranti».
Potremmo continuare a lungo, ma il ragionamento è molto semplice da capire: la criminalità non sparisce affatto con la liberalizzazione, semplicemente sposta il suo operato laddove la legge pone delle limitazioni, ad esempio avendo più droga da vendere ai minorenni, oppure giocando di concorrenza sul prezzo, come accade con i tabacchi. Oppure, ancora, vendendo cannabis più potente dato che, come ha giustamente ricordato Giovanni Serpelloni, direttore del Servizio per le tossicodipendenze (Sert) di Verona, «lo Stato non può certo vendere cannabis con un Thc alto. La criminalità, che già oggi spaccia resine con un principio attivo al 60%, non si farebbe scrupoli a mettere in commercio sostanze con un potenziale più alto».
L’onorevole Della Vedova ha contro-replicato dicendo: «non vogliamo discutere se fa bene o male, ma controllare il fenomeno», citando l’esempio positivo del Colorado, dove la «legalizzazione sta funzionando». Purtroppo non è affatto così, come ha spiegato Marcello Esposito, docente di International Financial Markets presso l’Università Cattaneo di Castellanza: «in Colorado si pensava di avere grandi introiti, ma i risultati sono stati deludenti. Ed il motivo è economico, legato al prezzo più elevato della cannabis legale causato dalla tassazione». Oltre al fallimento sugli introiti, il Colorado ha registrato, secondo un’indagine nazionale, che i consumatori di droga sono aumentati di oltre il 20% come media mensile in seguito alla liberalizzazione. E, guarda caso, sono anche aumentati gli incidenti automobilistici mortali causati da persone sotto effetto di marijuana e il raddoppio di ricoveri ospedalieri per intossicazione o abuso da cannabis, cosa che non è avvenuta nei 34 stati americani dove non è liberalizzata. Una dimostrazione che i timori sulla liberalizzazione sono più che fondati. Esposito ha confermato l’utopia del disegno di legge di Della Vedova: «Massimizzare gli introiti fiscali e proteggere i consumatori significa sconfiggere la competizione del mercato illegale: questo non si può ottenere se non intensificando le azioni repressive delle forze di Polizia. Infatti, nella relazione introduttiva alla proposta di legge “Della Vedova” si fa riferimento ad un livello di tassazione per la cannabis pari a quello del tabacco, che incide per il 75% sul prezzo di vendita al pubblico. È evidente che il prezzo “legale” non sarebbe assolutamente competitivo rispetto a quello del mercato nero. Si fa un grosso errore se si decide di liberalizzare la cannabis ingolosendo l’elettorato con la promessa di chissà quali introiti fiscali».
Diversi medici, esperti della materia, sono intervenuti a loro volta per segnalare che non si sta affatto parlando di caramelle alla liquirizia, ma di una droga altamente dannosa (solo tre mesi fa l’ultimo studio in merito, che ha rilevato perdita della memoria nei consumatori di cannabis, qualche mese prima rilevato anche l’aumento della probabilità di ictus). Antonio D’Angiò, psichiatra e docente presso la Seconda Università degli Studi di Napoli, ha dichiarato : «Oggi la marijuana non è più riconoscibile e ha ormai poco di “leggero”. Il punto debole della legalizzazione delle droghe cosiddette leggere è che ormai non sono più tali, i derivati del tetraidrocannabinolo sono sostanze alterate chimicamente, che rapidamente creano gravi danni, spesso permanenti, al cervello, al cuore e al fegato». In Danimarca, ad esempio, un recente studio ha dimostrato che la concentrazione di Thc nella cannabis è triplicata nel giro di 20 anni. Dividere tra droghe leggere e pesanti, ha aggiunto lo psicologo Alberto Vito, già giudice onorario presso il Tribunale dei minori di Napoli: «E’ una semplificazione che non tiene conto di una differenza sostanziale, bisognerebbe piuttosto parlare di droghe tout-court, in quanto sostanze che possono provare dipendenza e causare gravi danni alla salute».
Conferma di tutto ciò arriva anche da Giorgio Di Lauro, direttore del dipartimento dipendenze patologie della Asl Napoli 2: «La scarsa conoscenza delle conseguenze sulla salute derivanti dall’uso di sostanze, soprattutto quelle impropriamente definite leggere e di tutte le sostanze o abitudini che generano dipendenza, è molto comune tra i giovani». Il neurologo Rosario Sorrentino, direttore dell’IRCAP di Roma, ha scritto: «siamo passati dallo slogan della fine degli anni Sessanta di Woodstock: “un po’ di erba non ha mai fatto male a nessuno”, al superspinello del terzo millennio che di danni ne fa eccome, soprattutto per quanto riguarda, per esempio, alcuni disturbi neurologici e psichiatrici: attacchi di panico e psicosi. Ma la lista sarebbe lunghissima. Ora se si vuole così frettolosamente sdoganare la cannabis a furor di popolo. Usciamo poi, una volta per tutte, dall’ambiguità e dall’ipocrisia che si fa tra l’utilizzo di cannabis per fini terapeutici e l’assunzione di questa droga per uso ricreativo e socializzante; le due cose sono evidentemente diverse». Interessante l’approfondimento scientifico della psichiatra Cristina Selvi.
Possiamo concludere sostenendo che la cannabis non è (più) una droga leggera, ma ha effetti gravissimi sulla salute. Anche per questo è sbagliata paragonarla all’alcool poiché, ha spiegato l’esperto Serpelloni, «l’uso equilibrato di alcol, soprattutto se a bassa gradazione e in assenza di controindicazioni correlate alle condizioni di salute di chi lo assume, non fa male». Anzi, addirittura viene consigliato un bicchiere di vino rosso durante i pasti. «Per il consumo di droga la distinzione non regge: il semplice uso di stupefacenti produce alterazioni dell’equilibrio fisico e psichico». Legalizzare e liberalizzare ciò che provoca danno è moralmente sbagliato in quanto lo Stato induce i cittadini a farsi del male con il suo consenso. Inoltre, abbiamo visto che non serve nemmeno per ottenere introiti economici, il caso del Colorado è davanti a tutti. Infine, è anche un’utopia pensare che serva per togliere il mercato alla criminalità. «Scordiamoci che legalizzando la marijuana si possa fermare il narcotraffico», ha commentato Ernesto Savona, direttore di Transcrime, il Centro interuniversitario di ricerca sulla criminalità transnazionale dell’Università Cattolica e dell’Università di Trento. «I narcotrafficanti immetterebbero sul mercato altro genere di sostanze vietate. Gli unici a “rimetterci” sarebbero i piccoli spacciatori, l’ultimo anello della catena».
La realtà è positiva, questo è anche il messaggio cristiano. Una società drogata, invece, è segno di una palese conflittualità verso un reale con cui non si vuole fare i conti, dove l’effimero (e dannoso) sballo diventa momentaneo rifugio e, spesso dipendenza, piuttosto che assunzione di una posizione adulta e matura di fronte alla vita. Il no alla droga libera è un grande si ad una società civile, sana e non infantile.
La redazione