Papa Bergoglio, migranti ed immigrazione: i discorsi “censurati”

bergoglio accoglienza immigrati Bergoglio portavoce dall’agenda globalista e favorevole all’immigrazione incontrollata. E’ questa una delle accuse rivolta a Francesco, per questo abbiamo raccolto tutti i suoi interventi originali sul tema migranti, dai quali traspaiono ben altri concetti rispetto a quelli diffusi dai media.


Un’accusa frequente rivolta a Papa Francesco è di essere sponsor dell’immigrazione incontrollata in nome di un vago buonismo o, addirittura, della sostituzione di civiltà. Molta della confusione è generata dai media che raramente riportano i discorsi integrali di Bergoglio ed i lettori difficilmente vanno oltre ai titoli sparati in prima pagina, tuttavia il pensiero di Francesco sul tema immigratorio è ben diverso da quello rappresentato e coincide perfettamente con quello dei suoi predecessori.

Oltre ad aver riaffermato il “diritto a non emigrare”, solo il Pontefice argentino si è spinto ad affermare che «un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga. Lì c’è il problema della prudenza». Nessuno prima di lui aveva consigliato di “non accogliere” se c’è impossibilità a integrare, al massimo (lo disse Benedetto XVI), si richiamò il «diritto di regolare i flussi migratori».


 

Giovanni Paolo II ricordò che «i Paesi ricchi non possono disinteressarsi del problema migratorio e ancor meno chiudere le frontiere o inasprire le leggi», spiegò che «la tutela delle famiglie e in particolare di quelle dei migranti e dei rifugiati aggravate da ulteriori difficoltà, costituisce un progetto prioritario inderogabile» e si prodigò spesso perché si «eserciti l’accoglienza cristiana verso i rifugiati e i migranti». Papa Wojtyla pronunciò parole che oggi sarebbero ritenute scandalose e non sarebbero affatto perdonate a Papa Francesco, ad esempio quando disse che «con la propria sollecitudine i cristiani testimoniano che la comunità, presso la quale i migranti arrivano, è una comunità che ama e accoglie anche lo straniero con l’atteggiamento gioioso di chi sa riconoscere in lui il volto di Cristo». Ancor più scioccante (sempre per i critici di Bergoglio) quando si rivolse direttamente ai migranti con queste parole: «La vostra presenza, carissimi migranti, ricorda che lo stesso Figlio di Dio, venendo ad abitare in mezzo a noi si è fatto migrante: si è fatto pellegrino nel mondo e nella storia». E ancora: «Il bene comune universale abbraccia l’intera famiglia dei popoli, al di sopra di ogni egoismo nazionalista. È in questo contesto che va considerato il diritto ad emigrare».


 

Benedetto XVI intravide «nel dramma della Famiglia di Nazaret, obbligata a rifugiarsi in Egitto, la dolorosa condizione di tutti i migranti [… ]. La Famiglia di Nazaret riflette l’immagine di Dio custodita nel cuore di ogni umana famiglia, anche se sfigurata e debilitata dall’emigrazione». Il Papa emerito spiegò che «la Chiesa è a favore non solo dell’individuo migrante, ma anche della sua famiglia», invocando il ricongiungimento familiare. Ai rifugiati va «assicurato un alloggio consono alle loro esigenze» ed occorre sensibilizzare la società «sulle potenzialità positive delle famiglie migranti». Più volte Papa Ratzinger fece affermazioni inaccettabile per i sedicenti ratzingeriani che colpiscono Francesco, in particolare il suo sforzo nell’«evidenziare gli aspetti positivi, le buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici». Sottolineò il diritto alla gestione regolata dei flussi migratori, «ma non si riduca alla chiusura ermetica delle frontiere». Benedetto XVI ricordò anche che «tutti fanno parte di una sola famiglia, migranti e popolazioni locali che li accolgono, e tutti hanno lo stesso diritto ad usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale, come insegna la dottrina sociale della Chiesa». Nello stesso discorso, citò Giovanni Paolo II ed avvalorò la critica all’«egoismo nazionalista», sottolineando come l’emigrazione «costituisce un segno eloquente dei nostri tempi, che porta in maggiore evidenza la vocazione dell’umanità a formare una sola famiglia». Un altro esempio è l’omelia in occasione del Natale del 2012, quando Papa Ratzinger fece un parallelismo tra la famiglia di Nazareth e i migranti: «Ci viene in mente che questa notizia, apparentemente casuale, della mancanza di posto nell’alloggio che spinge la Santa Famiglia nella stalla. Così la grande questione morale su come stiano le cose da noi riguardo ai profughi, ai rifugiati, ai migranti ottiene un senso ancora più fondamentale: abbiamo veramente posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi? Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi?».

 

Tutti i discorsi di Papa Francesco su migranti ed immigrazione.

Di seguito in ordine cronologico tutti gli interventi di Bergoglio (e dei suoi più stretti collaboratori), l’elenco è in costante aggiornamento:

Il 20 giugno 2020 lo storico Andrea Riccardi ha ripercorso il pensiero sui migranti di Papa Pio XII. Nell’enciclica Exsul familia (1952), ad esempio, Papa Pacelli spera che «gli esuli e i profughi possano finalmente tornare alle loro case, e i bisognosi, impossibilitati a trovare in patria il necessario per vivere possano emigrare in altre nazioni». Nel Radiomessaggio in occasione del cinquantesimo della “Rerum novarum” (01/06/1941), Pacelli ricorda che «la terra è stata creata e preparata per uso di tutti». Grazie all’emigrazione, «le terre di densi abitanti resteranno alleggerite e i loro popoli si creeranno nuovi amici in territori stranieri». L’emigrazione è ritenuta da Pio XII un fenomeno naturale nella storia dell’umanità, vantaggioso per i paesi di partenza e per quelli di approdo: «Se le due parti, quella che concede di lasciare il luogo natio e quella che ammette i nuovi venuti, rimarranno lealmente sollecite di eliminare quanto potrebbe essere d’impedimento al nascere e allo svolgersi di una verace fiducia tra il paese di emigrazione e il paese d’immigrazione, tutti i partecipanti a tale tramutamento di luoghi e di persone ne avranno vantaggio… Così le nazioni che danno e gli Stati che ricevono, in pari gara, contribuiranno all’incremento del benessere umano e al progresso dell’umana cultura». I discorsi di Papa Pio XII mostrano, osserva Andrea Riccardi, quanto «il mondo dei rifugiati e dei migranti sia un precipuo campo d’azione della Chiesa da sempre». Secondo Pacelli, spiega Riccardi, «l’emigrazione, vista dal Papa come un fenomeno costante nella storia umana, ha uno “scopo naturale”: una più positiva distribuzione della popolazione sulla terra».

Il 03 giugno 2020 in un messaggio a seguito della tragica morte di George Floyd, Papa Francesco ha messo all’angolo i militanti pro-life che si fissano costantemente su aborto ed eutanasia rimanendo indifferenti e privi di compassione verso la sorte dei neri, dei profughi e dei migranti. «Non possiamo tollerare né chiudere gli occhi su qualsiasi tipo di razzismo o di esclusione», ha affermato, «e dobbiamo pretendere di difendere la sacralità di ogni vita umana». Difendere la sacralità della vita, dunque, non significa solo contrastare la pratica dell’interruzione di gravidanza.

Il 29 aprile 2020 è emersa una notizia che contrasta con le tesi dei complottisti dell’invasione islamica. Dodici migranti morti in mare era quasi tutti cristiani.

Il 22 marzo 2019 Papa Francesco ricevendo in udienza una delegazione di parlamentari della Repubblica Ceca e della Repubblica Slovacca, ha invitato gli esponenti dei due governi a non guardare al Vangelo come amplificatore delle diversità culturale. Ha detto: «La vostra storia insegna che il Cristianesimo ha sempre rappresentato la fonte della speranza e la forza della ripresa, specialmente nei periodi più bui e difficili. Come rappresentanti del popolo nelle istituzioni, siete chiamati a riscoprire l’intrinseco legame esistente tra il Vangelo e la vostra identità culturale, rivalutando le vostre radici cristiane per costruire una società in cui possa attuarsi la mutua accoglienza e la solidarietà reciproca. San Cirillo ha saputo tessere rapporti di conoscenza e di cordialità tra i popoli, diventando anello di congiunzione tra diverse culture e tradizioni ecclesiali», auspicando -ha concluso il Papa- che «una così significativa eredità spirituale e culturale susciti in tutti i vostri concittadini il desiderio dell’incontro e dell’apertura all’altro».

Il 26 febbraio 2019 don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio nazionale per gli interventi caritativi della CEI a favore del Terzo mondo, ha spiegato che il progetto “Liberi di partire, liberi di restare” sono iniziative che spaziano dall’educazione alla formazione, anche professionale, all’informazione e alla sensibilizzazione in loco sui rischi della migrazione, al settore sanitario fino a quello socio-economico con la promozione di opportunità lavorative e di accompagnamento di chi sceglie di rientrare nella propria patria. Senza dimenticare i percorsi di riconciliazione e di gestione dei conflitti. Oltre ai progetti finalizzati all’integrazione, il più possibile ottimale, degli immigrati sul suolo italiano, sono 12 i progetti intrapresi nei Paesi di partenza, come Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Gambia, Guinea, a fronte di uno stanziamento di 8.166.000 euro. Altri 3.884.600 euro sono invece stati destinati per aiutare i cosiddetti “paesi di transito”, come Niger, Tunisia, Algeria, Albania, Turchia e Marocco.

Il 29 gennaio 2019 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno da Panama, Francesco ha detto: «Il governante deve usare la prudenza, perché la prudenza è la virtù di chi governa. È una equazione difficile. A me viene in mente l’esempio svedese, che negli anni ‘70, con le dittature in America Latina ha ricevuto tanti immigrati, ma tutti sono stati integrati. Anche vedo che cosa fa sant’Egidio, ad esempio: integra subito. Ma gli svedesi l’anno scorso hanno detto: fermatevi un po’ perché non riusciamo a finire il percorso di integrazione. E questa è la prudenza del governante. È un problema di carità, di amore, di solidarietà. Ribadisco che le nazioni più generose nel ricevere sono state l’Italia e la Grecia e anche un po’ la Turchia. La Grecia è stata generosissima e anche l’Italia, tanto. È vero che si deve pensare con realismo. Poi c’è un’altra cosa: il modo di risolvere il problema delle migrazioni è aiutare i Paesi da dove vengono i migranti. Vengono per fame o per guerra. Investire dove c’è la fame, l’Europa è capace di farlo, e questo è un modo per aiutare a crescere quei Paesi. Ma sempre c’è quell’immaginario collettivo che abbiamo nell’inconscio: l’Africa va sfruttata! Questo appartiene alla storia, e fa male! I migranti del Medio Oriente hanno trovato altre vie d’uscita. Il Libano è una meraviglia di generosità, ospita più di un milione di siriani. La Giordania, lo stesso. E fanno quello che possono, sperando di reintegrare. Anche la Turchia ha ricevuto qualcuno. E anche noi in Italia abbiamo accolto qualcuno. È un problema complesso sul quale si deve parlare senza pregiudizi».

Il 02 novembre 2018 nel messaggio al Forum Sociale Mondiale sulle Migrazioni, Papa Francesco ha invitato a «impegnarsi a promuovere una più equa ripartizione delle responsabilità nell’assistenza ai richiedenti asilo e ai rifugiati.».

Il 23 agosto 2018 il card. Anders Arborelius, vescovo di Stoccolma, ha riferito che in Svezia «la Chiesa cattolica è tornata a svilupparsi grazie alle migrazioni. L’80% dei cattolici sono immigrati di prima o seconda generazione. Sono venuti con una fede in un Paese secolarizzato. Grazie a loro anche gli svedesi hanno scoperto che la religione è oggi una realtà. Dopo 100 anni di secolarizzazione c’è uno spiraglio aperto al mistero, alla religione, a Dio grazie alla migrazione. Allo stesso tempo vediamo che in tanti Paesi c’è una politica contro la migrazione. Anche in Svezia la politica è cambiata e sta chiudendo le sue porte ai migranti. Molti vedono la migrazione come una minaccia, ma possiamo fare la constatazione che grazie alla migrazione la Chiesa cattolica si è potuta sviluppare, grazie soprattutto alle persone giunte dal Medio Oriente».

Il 23 agosto 2018 il card. Angelo Scola, motlo vicino a Benedetto XVI, ha spiegato: «Il Papa non pensa e non ha mai detto che bisogna accogliere tutti. Sottolinea che stiamo facendo troppo poco».

Il 21 giugno 2018, durante una conferenza stampa, Papa Francesco ha spiegato: «Ho parlato tanto sui rifugiati e i criteri sono in quello che ho detto: “accogliere, proteggere, promuovere, integrare”. Sono criteri per tutti i rifugiati. Poi ho detto che ogni Paese deve fare questo con la virtù del governo che è la prudenza, perché un Paese deve accogliere tanti rifugiati quanti può e quanti può integrare: integrare, cioè educare, dare lavoro… Questo, direi, è il piano tranquillo, sereno dei rifugiati. C’è il problema del traffico dei migranti […] in cui i trafficanti si sono avvicinati a una nave che aveva accolto dei profughi dai barconi e hanno detto: “Dateci le donne e i bambini e portate via i maschi”. Questo fanno i trafficanti. E le carceri dei trafficanti, per quelli che sono tornati, sono terribili, sono terribili. Nei lager della II guerra mondiale si vedevano queste cose».

L’ 08 febbraio 2018 il card. Camillo Ruini, stretto collaboratore di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, è intervenuto spiegando: «Mi rendo conto che il comportamento della Chiesa incontra critiche ed opposizioni. Purtroppo si interpretano come pericoloso buonismo le esigenze della carità cristiana. Così diventa perfino possibile il paradosso che la Chiesa alimenta la xenofobia, alla quale invece la Chiesa è forse il maggior freno. Questo non esclude che uomini di Chiesa sottovalutino i gravami che un’immigrazione troppo massiccia e poco regolata impone alle fasce più umili della popolazione».

Il 14 marzo 2018 alla domanda se Papa Francesco non sia il portabandiera del pensiero unico, il vescovo definito “tradizionalista” e “conservatore”, mons. Luigi Negri, ha risposto: «Il Papa ha la funzione importante e straordinariamente efficace di farci superare la paura del diverso e farci considerare l’ apertura come dimensione necessaria della vita cristiana. Ritengo che, come ci ha insegnato in maniera efficace il grande Cardinale Biffi, competa alle istituzioni mettere le condizioni per impedire l’ esilio della civiltà cristiana in casa propria».

Il 23 marzo 2017 sul quotidiano Libero è comparso un elogio al Papa per aver contribuito a trasferire un centinaio di extracomunitari dall’Italia all’Argentina. «Francesco fa il suo mestiere di Papa: si è recato a Lampedusa, ha gridato alla vergogna per i dispersi in mare nel tentativo di raggiungere le nostre coste e si oppone ad ogni ostacolo all’arrivo in Europa di chi è alla ricerca d’una vita migliore. Nei suoi molti discorsi sull’argomento, ha tuttavia ripetuto che l’accoglienza trova un limite nella concreta possibilità di assicurare ai migranti condizioni di vita decorose. Ne ha appena dato esempio: il numero è piccolo, cento persone, ma il valore simbolico e l’indirizzo è grande».

Il 26 agosto 2018 nella conferenza stampa durante il volo di ritorno dall’Irlanda, Papa Francesco ha affermato: «Accogliere il migrante, “lo straniero” è nello spirito della rivelazione divina e anche nello spirito del cristianesimo. E’ un principio morale. Su questo ho parlato, e poi ho visto che dovevo esplicitare un po’ di più, perché non si tratta di accogliere “alla belle étoile”, no, ma un accogliere ragionevole. E questo vale in tutta l’Europa […]. Ho parlato qui, in una conferenza stampa fra voi, della virtù della prudenza che è la virtù del governante, e ho parlato della prudenza dei popoli sul numero o sulle possibilità: un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga. Lì c’è il problema della prudenza. E credo che proprio questa sia la nota dolente del dialogo oggi nell’Unione Europea. Si deve continuare a parlare: le soluzioni si trovano».

Il 22 marzo 2017 il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha commentato: «La questione migratoria è un fenomeno molto complesso che non può essere ridotto semplicemente ad una problema di cifre e di quote. Mette alla prova l’Europa nella sua capacità di essere fedele allo spirito di solidarietà e di sussidiarietà che l’ha animata fin dall’inizio. Certamente, con i grandi flussi degli ultimi anni, si pone un problema di sicurezza di cui bisogna tenere conto. Se da un lato non si può ignorare chi è nel bisogno, dall’altro vi è anche la necessità che i migranti osservino e rispettino le leggi e le tradizioni dei popoli che li accolgono. Tuttavia è evidente che l’immigrazione pone anche una sfida culturale, che rimanda al patrimonio spirituale e culturale dell’Europa».

Il 21 febbraio 2017 Papa Francesco ha detto: «Di fronte a questa indole del rifiuto, radicata in ultima analisi nell’egoismo e amplificata da demagogie populistiche, urge un cambio di atteggiamento, per superare l’indifferenza e anteporre ai timori un generoso atteggiamento di accoglienza verso coloro che bussano alle nostre porte. […]. La promozione umana dei migranti e delle loro famiglie comincia dalle comunità di origine, là dove deve essere garantito, assieme al diritto di poter emigrare, anche il diritto di non dover emigrare, ossia il diritto di trovare in patria condizioni che permettano una dignitosa realizzazione dell’esistenza. A tal fine vanno incoraggiati gli sforzi che portano all’attuazione di programmi di cooperazione internazionale svincolati da interessi di parte e di sviluppo transnazionale in cui i migranti sono coinvolti come protagonisti. […]. L’integrazione, che non è né assimilazione né incorporazione, è un processo bidirezionale, che si fonda essenzialmente sul mutuo riconoscimento della ricchezza culturale dell’altro: non è appiattimento di una cultura sull’altra, e nemmeno isolamento reciproco, con il rischio di nefaste quanto pericolose “ghettizzazioni”. Per quanto concerne chi arriva ed è tenuto a non chiudersi alla cultura e alle tradizioni del Paese ospitante, rispettandone anzitutto le leggi».

Il 28 febbraio 2017 Papa Francesco, nell’intervista alla rivista Scarp de tennis, ha spiegato: «Hanno il diritto di emigrare e hanno diritto ad essere accolti e aiutati. Questo però si deve fare con quella virtù cristiana che è la virtù che dovrebbe essere propria dei governanti, ovvero la prudenza. Cosa significa? Significa accogliere tutti coloro che si “possono” accogliere. E questo per quanto riguarda i numeri. Ma è altrettanto importante una riflessione su “come” accogliere. Perché accogliere significa integrare. Questa è la cosa più difficile perché se i migranti non si integrano, vengono ghettizzati. Integrare allora vuol dire entrare nella vita del Paese, rispettare la legge del Paese, rispettare la cultura del Paese ma anche far rispettare la propria cultura e le proprie ricchezze culturali».

Il 21 febbraio 2017 il corrispondente vaticano Inés San Martín di CruxNow ha sottolineato che la posizione sui migranti di Francesco è in linea con i suoi predecessori, tanto che li cita apertamente.

Il 21 febbraio 2017 Papa Francesco ha detto: «Di fronte a questa indole del rifiuto, radicata in ultima analisi nell’egoismo e amplificata da demagogie populistiche, urge un cambio di atteggiamento, per superare l’indifferenza e anteporre ai timori un generoso atteggiamento di accoglienza verso coloro che bussano alle nostre porte. […]. La promozione umana dei migranti e delle loro famiglie comincia dalle comunità di origine, là dove deve essere garantito, assieme al diritto di poter emigrare, anche il diritto di non dover emigrare, ossia il diritto di trovare in patria condizioni che permettano una dignitosa realizzazione dell’esistenza. A tal fine vanno incoraggiati gli sforzi che portano all’attuazione di programmi di cooperazione internazionale svincolati da interessi di parte e di sviluppo transnazionale in cui i migranti sono coinvolti come protagonisti. […]. L’integrazione, che non è né assimilazione né incorporazione, è un processo bidirezionale, che si fonda essenzialmente sul mutuo riconoscimento della ricchezza culturale dell’altro: non è appiattimento di una cultura sull’altra, e nemmeno isolamento reciproco, con il rischio di nefaste quanto pericolose “ghettizzazioni”. Per quanto concerne chi arriva ed è tenuto a non chiudersi alla cultura e alle tradizioni del Paese ospitante, rispettandone anzitutto le leggi».

Il 17 febbraio 2017 sul quotidiano americano Cruxnow è apparso un articolo in cui si legge: «Quando Papa Francesco parla di immigrazione e di costruzione di ponti e non di muri, molti reagiscono ironici chiedendo: “Va bene, ma cosa sta facendo lui in proposito?” Ecco un campionario di alcune delle più recenti iniziative» intraprese dal Vaticano su ordine di Francesco. Segue un’inchiesta documentata su tutto ciò che il Papa ha fatto, attivandosi in prima persona nell’accoglienza cristiana che predica.

Il 29 gennaio 2017 il nostro sito web ha pubblicato una serie di dichiarazioni di san Giovanni Paolo II che ricalcano fedelmente le parole che utilizzate da Papa Francesco quando parla del fenomeno immigratorio.

Il 22 gennaio 2017 nell’intervista a El Pais, Francesco ha affermato: «Grazie a Dio la risposta in generale è buona. È molto buona. Ad esempio, quando ho chiesto alle parrocchie di Roma e agli istituti, c’è stato chi ha detto: “questo è stato un fallimento”. Bugia! Non c’è stato alcun fallimento! In un’alta percentuale delle parrocchie di Roma, quando non c’è una casa grande a disposizione o la canonica è piccola, i fedeli affittano un appartamento per una famiglia di migranti. Negli istituti di suore, quando avanza spazio, hanno preparato un luogo per famiglie di migranti… La risposta è maggiore di quanto si crede, e non viene data pubblicità. Il Vaticano ha due parrocchie e ogni parrocchia ha una famiglia di migranti. Un appartamento per ognuna. Si è risposto in continuazione. Il 100 per cento no. Quale percentuale non lo so, però direi il cinquanta per cento. Poi c’è il problema dell’integrazione. Ogni migrante rappresenta un problema molto serio. Loro fuggono dai loro Paesi, per la fame o la guerra. Allora la soluzione bisogna trovarla là. Sono sfruttati per fame o per la guerra».

Il 09 gennaio 2017 nel discorso al Corpo diplomatico, Francesco ha detto: «Occorre un impegno comune nei confronti di migranti, profughi e rifugiati, che consenta di dare loro un’accoglienza dignitosa. Ciò implica saper coniugare il diritto di “ogni essere umano […] di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse”, e nello stesso tempo garantire la possibilità di un’integrazione dei migranti nei tessuti sociali in cui si inseriscono, senza che questi sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali. D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti. Un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti, ma implica valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione».

Il 01 novembre 2016 durante una conferenza stampa, Francesco ha detto: «in teoria non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare. E se un Paese ha una capacità di venti, diciamo così, di integrazione, faccia fino a questo. Un altro di più, faccia di più. Ma sempre il cuore aperto: non è umano chiudere le porte, non è umano chiudere il cuore, e alla lunga questo si paga. Qui, si paga politicamente; come anche si può pagare politicamente una imprudenza nei calcoli, nel ricevere più di quelli che si possono integrare. Perché, qual è il pericolo quando un rifugiato o un migrante – questo vale per tutti e due – non viene integrato, non è integrato? Mi permetto la parola – forse è un neologismo – si ghettizza, ossia entra in un ghetto. E una cultura che non si sviluppa in rapporto con l’altra cultura, questo è pericoloso. Io credo che il più cattivo consigliere per i Paesi che tendono a chiudere le frontiere sia la paura, e il miglior consigliere sia la prudenza».

Il 17 maggio 2016 in una intervista a La Croix, Francesco ha detto: «Non siamo in grado di aprire le porte in modo irrazionale. La domanda fondamentale da porsi è perché ci sono così tanti migranti oggi e il problema sono le guerre in Medio Oriente e Africa e il sottosviluppo del continente africano. Se c’è la guerra è perché ci sono produttori di armi -produzione giustificata in caso di difesa-, in particolare i trafficanti di armi».

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Papa Bergoglio contro la teoria gender: tutti i suoi discorsi

Papa Francesco ed il gender. Davvero non ne parla mai? Bergoglio ha mai preso posizione rispetto all’ideologia gender e alle nuove istanze del mondo Lgbt? In questo dossier abbiamo raccolto tutti i suoi interventi su questo tema [pagina aggiornata a: marzo 2022].

 
 

Secondo la “teoria gender” -frequentemente negata come “teoria” vera e propria dai suoi stessi propositori-, esisterebbe una pluralità di generi sessuali, scissi dalla sessualità delle persone e di un numero indefinito.

Anche Benedetto XVI parlò del gender, in termini molto chiari ma Papa Francesco ne ha fatto un vero argomento sistematico, definendola una colonizzazione ideologica e paragonandola alle dittature naziste e fasciste (ad es. 19/01/15).

In altri dossier abbiamo raccolto tutti gli interventi di Papa Francesco su molte altre tematiche etiche, come: eutanasia, aborto ed omosessualità.

In questo dossier (costantemente aggiornato), invece, abbiamo raccolto in ordine cronologico tutti i pronunciamenti di Papa Bergoglio sul “gender” (inclusi alcuni interventi di suoi stretti collaboratori).

 
 

 

Il 17 marzo 2022 il giornalista Renato Farina, uno degli aderenti soft alla propaganda antibergogliana, ha sostenuto che soltanto da «circa un anno» Papa Francesco avrebbe «cambiato registro», predicando «contro il gender». Come dimostra questo dossier, è almeno dall’aprile 2014 che Bergoglio tratta e contrasta tematiche simili.

Il 12 gennaio 2022 in un editoriale de Il Foglio ci si lamenta della «narrazione melensa e rintronata che da otto anni ritrae Francesco come un liberatore della Chiesa dai lacci dell’insostenibile passato. Un gioco che risulta facile se si omette di ricordare ogni bordata papale -ed è solo un esempio- contro il gender considerato “uno sbaglio della mente umana che fa tanta confusione”, una “bomba atomica”, “l’espressione di una frustrazione che cancella le differenze”».

Il 12 settembre 2021 rispondendo ad una domanda di un suo confratello durante il viaggio apostolico a Budapest e in Slovacchia, Papa Francesco ha affermato: «L’ideologia del gender è pericolosa, perché è astratta rispetto alla vita concreta di una persona, come se una persona potesse decidere astrattamente a piacimento se e quando essere uomo o donna».

Il 29 gennaio 2019 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno da Panama, Francesco ha detto: «Credo che nelle scuole bisogna dare l’educazione sessuale. Il sesso è un dono di Dio non è un mostro. Bisogna offrire un’educazione sessuale oggettiva, senza colonizzazioni ideologiche. Perché se nelle scuole si dà un’educazione sessuale imbevuta di colonizzazioni ideologiche, distruggi la persona. Il sesso come dono di Dio deve essere educato, non con rigidezza. Educato, da “educere”, per far emergere il meglio della persona e accompagnarla nel cammino. Il problema è nei responsabili dell’educazione, sia a livello nazionale che locale come pure di ciascuna unità scolastica: che maestri si trovano per questo, che libri di testo… Io ne ho visti di ogni tipo, ci sono cose che fanno maturare e altre che fanno danno. Dico questo senza entrare nei problemi politici di Panama: bisogna avere l’educazione sessuale per i bambini. L’ideale è che comincino a casa, con i genitori. Non sempre è possibile per tante situazioni della famiglia o perché non sanno come farlo. La scuola supplisce a questo, e deve farlo, sennò resta un vuoto che viene riempito da qualsiasi ideologia».

Il 12 agosto 2018 è stata pubblicato uno scritto del card. Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, sul gender. Il cardinale ha sottolineato come più volte Papa Francesco «non ha esitato a denunciare con vigore il gender come una “colonizzazione ideologica contro la famiglia” che cerca di distruggerla introducendosi e diffondendosi nelle società e nelle culture dei paesi in via di sviluppo. In Amoris Laetitia critica fortemente l’ideologia mortifera del gender che nega la differenza e la reciprocità naturale tra uomo e donna».

Il 06 maggio 2018 Papa Francesco ha firmato la prefazione al libro che raccoglie gli scritti di Benedetto XVI su fede e politica: Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio (Editrice Cantagalli). Il Papa ha spiegato che l’ideologia marxista pretende «collocare il cielo sulla terra, la redenzione dell’uomo nell’aldiquà, per mezzo della liberazione da ogni dipendenza». «Oggi, più che mai, si ripropone la medesima tentazione del rifiuto di ogni dipendenza dall’amore che non sia l’amore dell’uomo per il proprio ego, per “l’io e le sue voglie”; e, di conseguenza, il pericolo della “colonizzazione” delle coscienze da parte di una ideologia che nega la certezza di fondo per cui l’uomo esiste come maschio e femmina ai quali è assegnato il compito della trasmissione della vita; quell’ideologia che arriva alla produzione pianificata e razionale di esseri umani e che – magari per qualche fine considerato “buono” – arriva a ritenere logico e lecito eliminare quello che non si considera più creato, donato, concepito e generato ma fatto da noi stessi. Questi apparenti “diritti” umani che sono tutti orientati all’autodistruzione dell’uomo hanno un unico comune denominatore che consiste in un’unica, grande negazione: la negazione della dipendenza dall’amore, la negazione che l’uomo è creatura di Dio, fatto amorevolmente da Lui a Sua immagine e a cui l’uomo anela come la cerva ai corsi d’acqua (Sal 41). Quando si nega questa dipendenza tra creatura e creatore, questa relazione d’amore, si rinuncia in fondo alla vera grandezza dell’uomo, al baluardo della sua libertà e dignità. Così la difesa dell’uomo e dell’umano contro le riduzioni ideologiche del potere passa oggi ancora una volta dal fissare l’obbedienza dell’uomo a Dio quale limite dell’obbedienza allo Stato. Raccogliere questa sfida, nel vero e proprio cambio d’epoca in cui oggi viviamo, significa difendere la famiglia. D’altronde già San Giovanni Paolo II aveva ben compreso la portata decisiva della questione: a ragione chiamato anche il “Papa della famiglia”, non a caso sottolineava che “l’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia” (Familiaris consortio, 86). E su questa linea anche io ho ribadito che “il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa” (Amoris laetitia, 31)».

Il 29 gennaio 2017 l’arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Zuppi (definito “bergogliano” sui media) è intervenuto contro lo spettacolo teatrale Lgbt Fà-afafine.

Il 25 febbraio 2018 il vaticanista Sandro Magister, tra i più accaniti fustigatori del Papa, ha riportato alcune opinioni di Francesco contro il Sessantotto e i “nuovi diritti”: «Oppure alle sue bordate contro “la cosiddetta teoria del ‘gender'” che “mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”, e quindi non è che il misero sottoprodotto “di una frustrazione e di una rassegnazione”, e nonostante ciò è anch’essa imposta dai Paesi ricchi ai Paesi poveri. È questo il Sessantotto secondo papa Bergoglio».

Il 02 ottobre 2016 nel volo di ritorno dal viaggio apostolico in Georgia e Azerbaijan, Francesco ha detto: «Quando si parla del matrimonio come unione dell’uomo e della donna, come li ha fatti Dio, come immagine di Dio, è uomo e donna. L’immagine di Dio non è l’uomo [maschio]: è l’uomo con la donna. Insieme. Che sono una sola carne quando si uniscono in matrimonio. Questa è la verità. […]. Dobbiamo essere attenti a non lasciare entrare in noi queste idee. Ma prima di tutto: il matrimonio è immagine di Dio, uomo e donna in una sola carne. Quando si distrugge questo, si “sporca” o si sfigura l’immagine di Dio. […]. Prima di tutto, io ho accompagnato nella mia vita di sacerdote, di vescovo – anche di Papa – ho accompagnato persone con tendenza e con pratiche omosessuali. Le ho accompagnate, le ho avvicinate al Signore, alcuni non possono, ma le ho accompagnate e mai ho abbandonato qualcuno. Questo è ciò che va fatto. Le persone si devono accompagnare come le accompagna Gesù. Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, Gesù non gli dirà sicuramente: “Vattene via perché sei omosessuale!”, no. Quello che io ho detto riguarda quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender. Mi raccontava un papà francese che a tavola parlavano con i figli – cattolico lui, cattolica la moglie, i figli cattolici, all’acqua di rose, ma cattolici – e ha domandato al ragazzo di dieci anni: “E tu che cosa voi fare quando diventi grande?” – “La ragazza”. E il papà si è accorto che nei libri di scuola si insegnava la teoria del gender. E questo è contro le cose naturali. Una cosa è che una persona abbia questa tendenza, questa opzione, e c’è anche chi cambia il sesso. E un’altra cosa è fare l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità. Queste io le chiamo “colonizzazioni ideologiche”. L’anno scorso ho ricevuto una lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia da bambino e da ragazzo. Era una bambina, una ragazza, e ha sofferto tanto, perché si sentiva ragazzo ma era fisicamente una ragazza. L’ha raccontato alla mamma, quando era già ventenne, 22 anni, e le ha detto che avrebbe voluto fare l’intervento chirurgico e tutte queste cose. E la mamma gli ha chiesto di non farlo finché lei era viva. Era anziana, ed è morta presto. Ha fatto l’intervento. E’ un impiegato di un ministero di una città della Spagna. È andato dal vescovo. Il vescovo lo ha accompagnato tanto, un bravo vescovo: “perdeva” tempo per accompagnare quest’uomo. Poi si è sposato. Ha cambiato la sua identità civile, si è sposato e mi ha scritto la lettera che per lui sarebbe stata una consolazione venire con la sua sposa: lui, che era lei, ma è lui. E li ho ricevuti. Erano contenti. E nel quartiere dove lui abitava c’era un vecchio sacerdote, ottantenne, il vecchio parroco, che aveva lasciato la parrocchia e aiutava le suore, lì, nella parrocchia… E c’era il nuovo [parroco]. Quando il nuovo lo vedeva, lo sgridava dal marciapiede: “Andrai all’inferno!”. Quando trovava il vecchio, questo gli diceva: “Da quanto non ti confessi? Vieni, vieni, andiamo che ti confesso e così potrai fare la Comunione”. Hai capito? La vita è la vita, e le cose si devono prendere come vengono. Il peccato è il peccato. Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a non dire: “E’ tutto lo stesso, facciamo festa”. No, questo no. Ma ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo. Questo è quello che farebbe Gesù oggi. Per favore, non dite: “Il Papa santificherà i trans!”. Per favore! Perché io vedo già i titoli dei giornali… No, no. C’è qualche dubbio su quello che ho detto? Voglio essere chiaro. È un problema di morale. E’ un problema. E’ un problema umano».

Il 01 ottobre 2016 durante il viaggio in Georgia e Azerbaijan, nell’incontro con sacerdoti, Papa Francesco ha affermato: «un grande nemico del matrimonio, oggi: la teoria del gender. Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Oggi ci sono colonizzazioni ideologiche che distruggono, ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee. Pertanto, bisogna difendersi dalle colonizzazioni ideologiche».

Il 19 marzo 2016 nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco ha scritto: «Un’altra sfida emerge da varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo. E’ inquietante che alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini. Non si deve ignorare che sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender), si possono distinguere, ma non separare. D’altra parte, la rivoluzione biotecnologica nel campo della procreazione umana ha introdotto la possibilità di manipolare l’atto generativo, rendendolo indipendente dalla relazione sessuale tra uomo e donna. In questo modo, la vita umana e la genitorialità sono divenute realtà componibili e scomponibili, soggette prevalentemente ai desideri di singoli o di coppie. Una cosa è comprendere la fragilità umana o la complessità della vita, altra cosa è accettare ideologie che pretendono di dividere in due gli aspetti inseparabili della realtà. Non cadiamo nel peccato di pretendere di sostituirci al Creatore. Siamo creature, non siamo onnipotenti. Il creato ci precede e dev’essere ricevuto come dono. Al tempo stesso, siamo chiamati a custodire la nostra umanità, e ciò significa anzitutto accettarla e rispettarla come è stata creata».

L’20 maggio 2015 durante l’Udienza generlae Francesco ha detto: «si sono moltiplicati i cosiddetti “esperti”, che hanno occupato il ruolo dei genitori anche negli aspetti più intimi dell’educazione. Sulla vita affettiva, sulla personalità e lo sviluppo, sui diritti e sui doveri, gli “esperti” sanno tutto: obiettivi, motivazioni, tecniche. E i genitori devono solo ascoltare, imparare e adeguarsi. Privati del loro ruolo, essi diventano spesso eccessivamente apprensivi e possessivi nei confronti dei loro figli, fino a non correggerli mai: “Tu non puoi correggere il figlio”. Tendono ad affidarli sempre più agli “esperti”, anche per gli aspetti più delicati e personali della loro vita, mettendosi nell’angolo da soli; e così i genitori oggi corrono il rischio di autoescludersi dalla vita dei loro figli. E questo è gravissimo! Oggi ci sono casi di questo tipo».

Il 28 agosto 2015, Francesca Pardi, proprietaria della casa editrice “Lo Stampatello”, che diffonde i libri gender nelle scuole, ha ricevuto una risposta da Papa Francesco, tramite mons. Peter Brian Wells, a una sua lettera precedente in cui lo invitava a leggere i libri che diffonde. Nella lettera di risposta dal Vaticano, mons Wells risponde che il Santo Padre ringrazia per il gesto delicato e per i sentimenti che lo hanno suggerito, augura che l’attività sia sempre più proficua al servizio dei giovani, sperando che questo avvenga nel rispetto dei valori umani e cristiani. La Pardi ha usato questa risposta come un avvallo del Papa alla sua attività. Tuttavia il portavoce di Francesco, padre Lombardi, ha voluto precisare che “in nessun modo la lettera della Segreteria di Stato intende avallare comportamenti e insegnamenti non consoni al Vangelo. È del tutto fuori luogo una strumentalizzazione del contenuto della lettera”. La sala stampa del Vaticano ha anche precisato che la benedizione del papa “è stata alla persona e non a eventuali insegnamenti non in linea della Chiesa sulla teoria gender”.

Il 15 aprile 2015 durante l’udienza generale, Francesco ha affermato: «La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio. La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione. Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia».

L’22 marzo 2015 durante la visita pastorale a Napoli, Francesco ha affermato: «La crisi della famiglia è una realtà sociale. Poi ci sono le colonizzazioni ideologiche sulle famiglie, modalità e proposte che ci sono in Europa e vengono anche da Oltreoceano Poi quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender, che crea tanta confusione. Così la famiglia è sotto attacco».

Il 6 marzo 2015 nell’intervista a Valentina Alazraki, vaticanista di Televisa, Francesco ha affermato: «Abbiamo un problema molto serio che è quello della colonizzazione ideologica sulla famiglia. Per questo ne ho parlato nelle Filippine perché è un problema molto serio. Gli africani si lamentano molto di questo. E anche in America latina. E a me è successo una volta. Sono stato testimone di un caso di questo tipo con una ministro dell’educazione riguardo l’insegnamento della teoria del “gender” che è una cosa che sta atomizzando la famiglia. Questa colonizzazione ideologica distrugge la famiglia. Per questo credo che dal sinodo usciranno cose molto chiare, molto rapide, che aiuteranno in questa crisi familiare che è totale».

L’11 febbraio 2015 la Manif Pour Tous ha spiegato che l’ispirazione della loro attività contro il gender arriva da Papa Francesco, seguendo le sue indicazioni pubbliche.

Il 19 gennaio 2015 durante la conferenza stampa con i giornalisti in ritorno dal suo viaggio in Sri Lanka e Filippine, Francesco ha affermato: «La colonizzazione ideologica: dirò soltanto un esempio, che ho visto io. Venti anni fa, nel 1995, una Ministro dell’Istruzione Pubblica aveva chiesto un prestito forte per fare la costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo livello. Era un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del gender […]. Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che niente ha da fare col popolo; sì, con gruppi del popolo, ma non col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura. Durante il Sinodo i vescovi africani si lamentavano di questo, che è lo stesso che per certi prestiti (si impongano) certe condizioni […]. Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana. Hanno colonizzato il popolo, volevano farlo. Ma quanta sofferenza. I popoli non devono perdere la libertà. Il popolo ha la sua cultura, la sua storia; ogni popolo ha la sua cultura. Ma quando vengono condizioni imposte dagli imperi colonizzatori, cercano di far perdere ai popoli la loro identità e fare una uguaglianza».

Il 14 ottobre 2014 Papa Francesco ha risposto, attraverso l’Assessore per gli affari generali della Segreteria di Stato monsignor Peter Brian Wells, alla lettera inviatagli da Arianna Lazzarini, vicecapogruppo regionale della Lega Nord nel Veneto. La consigliera lo informava della sua iniziativa a favore della famiglia tradizionale in fase di approvazione in aula, rivendicando il diritto dei genitori all’educazione dei figli secondo i propri valori e non basandosi sui documenti dell’OMS. Francesco ha risposto: «Sua Santità desidera manifestarLe viva gratitudine per il premuroso gesto e per i sentimenti di venerazione e affetto che lo hanno suggerito e chiede di perseverare nell’impegno a favore della persona umana, per l’adeguata tutela dei valori tradizionali e per il riconoscimento del proprio diritto all’educazione dei figli, secondo i valori cristiani».

L’11 aprile 2014, incontrando la delegazione dell’Ufficio Internazionale Cattolico dell’Infanzia (BICE), il Papa ha richiamato il bisogno di «sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. E a questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del “pensiero unico”. Mi diceva, poco più di una settimana fa, un grande educatore: “A volte, non si sa se con questi progetti – riferendosi a progetti concreti di educazione – si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione”». In seguito a questo pronunciamento il sito “Gayoggi” si è così espresso: «Grave, gravissima ingerenza quella di Papa Francesco. Coloro che avessero voluto vedere un’apertura verso i gay, dando una lettura superficiale delle sue parole, dovranno definitivamente ricredersi. Tirando in ballo la “dittatura del pensiero unico”, Bergoglio boccia indirettamente anche il DDL contro l’omofobia in discussione in Parlamento».

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Benedetto XVI sostiene Francesco: ecco tutti i discorsi

discorsi benedetto xvi su bergoglioBenedetto XVI contro Papa Francesco? Papa Ratzinger è mai intervenuto a favore di Bergoglio? Lo sostiene oppure cerca di ostacolarlo? Qui tutti gli interventi pubblici del Papa emerito in chiaro sostegno del suo successore (ultimo aggiornamento del dossier: marzo 2022).

 
 

Una delle accuse più frequenti a Papa Francesco è quella di essere in discontinuità con il pontificato di Benedetto XVI, lo dimostrerebbe il fatto di non ricevere alcun plauso o sostegno dal suo predecessore.

Papa Ratzinger, dicono altri opinionisti, starebbe ostacolando in tutti i modi il pontificato di Francesco.

In questo dossier (costantemente aggiornato) abbiamo raccolto tutte le dichiarazioni di Benedetto XVI (e dei suoi più stretti collaboratori) sul suo successore, mostrando la stima e l’affetto reciproco tra i due.

 

Tutti gli interventi di Benedetto XVI a favore di Papa Francesco.

 

Il 04 marzo 2022 il giornalista Antonio Socci, per anni acerrimo oppositore di Papa Francesco e sostenitore di un’avversità all’attuale pontificato anche da parte di Benedetto XVI, ha rinnegato le sue tesi riconoscendo che in Ratzinger «c’è un giudizio positivo sul pontificato in generale». Dopo aver citato numerose prese di posizioni del Papa emerito a favore di Papa Bergoglio, il giornalista ha criticato il tradizionalisti che continuano a sostenere l’opposto.

 

Il 10 febbraio 2022 mons. Georg Gaenswein, segretario personale di Benedetto XVI, ha riferito che Papa Francesco ha inviato una lettera di sostegno al papa emerito dopo la vicenda del dossier di Monaco di Baviera sugli abusi nella Chiesa. «E’ arrivata a Benedetto XVI una bellissima lettera di Francesco, una lettera in cui parla da pastore, parla da confratello e parla anche da persona che di nuovo ha espresso la sua piena fiducia, il suo pieno sostegno e anche la sua preghiera». Lo stesso Benedetto XVI nella sua lettera di smentita alle accuse ricevute, ha scritto: «Sono particolarmente grato per la fiducia, l’appoggio e la preghiera che papa Francesco mi ha espresso personalmente».

 

Il 09 febbraio 2022 mons. Georg Gaenswein, segretario personale di Benedetto XVI, in un’intervista è tornato sulla strumentalizzazione di alcune sue parole da parte di sedicenti ratzingeriani (Antonio Socci, in particolare), quando parlò di ministero petrino “allargato”. «La polemica si riferisce alla mia presentazione del libro di Roberto Regoli sul Pontificato di Benedetto XVI alla Gregoriana, nel 2016», ha ricordato mons. Georg. «Alcune mie osservazioni sono state interpretate in modo erroneo. Ho chiarito subito. Purtroppo ci sono persone che volevano, anzi vogliono strumentalizzare le mie parole per seminare zizzania fra papa Francesco e il suo predecessore. Basta prendere atto del mio chiarimento e si capisce o non si vuole capire… Per evitare qualsiasi fraintendimento, ho tolto quelle frasi dalle pubblicazioni successive».

 

Il 28 febbraio 2021 Benedetto XVI ha rilasciato una breve intervista al Corriere della Sera nella quale è tornato sull’argomento dimissioni, reprimendo «alcuni miei amici un po’ “fanatici” sono ancora arrabbiati, non hanno voluto accettare la mia scelta». Con essa ha voluto anche puntualizzare che «non ci sono due Papi. Il Papa è uno solo…». L’intervistatore descrive così il momento: «La sua precisazione sull’unicità del Papato è scontata per lui ma non per alcuni settori del cattolicesimo conservatore più irriducibile nell’ostilità a Francesco. Per questo, ribadisce che “il Papa è uno solo” battendo debolmente il palmo della mano sul bracciolo: come se volesse dare alle parole la forza di un’affermazione definitiva». Incredibilmente il giornalista Antonio Socci, che da anni fantastica sull’invalidità dell’elezione di Francesco e sul mantenimento di Benedetto XVI a capo della Chiesa, ha avuto il coraggio di commentare: «Quello del “Corriere” sarebbe stato uno scoop se Joseph Ratzinger, oltre a ripetere “il papa è uno”, avesse anche fatto il suo nome. Ciò che tanti sostenitori di Bergoglio, da otto anni, vorrebbero sentir dire a Benedetto XVI è questa semplice frasetta: c’è un solo papa ed è Francesco, mentre io non sono più papa e non ho più nulla a che veder col papato. Ma questa frase Benedetto XVI non l’ha detta al “Corriere” né ad altri in questi otto anni». Gli interventi di Ratzinger raccolti in questo dossier mostrano la falsità del commento di Socci e la sua ideologica strumentalizzazione del Papa emerito.

 

Il 01 settembre 2020 appare il libro “Papa Francesco. Benedetto XVI Papa emerito. Una sola Chiesa” (Rizzoli 2020) che mette a confronto Bergoglio e il Pontefice emerito e le rispettive peculiarità degli stili teologici e pastorali e la diversità dei linguaggi comunicativi, evidenziando la continuità del magistero, la comunanza d’affetto e la consonanza spirituale che li lega. Il libro è stato presentato dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin.

 

Il 05 maggio 2020 è stata pubblicata un’intervista di Peter Seewald a Benedetto XVI datata 12/11/18, nella quale il Papa emerito denuncia che sia in atto una “propaganda psicologica” per silenziare la sua voce, riferendosi probabilmente alle critiche ricevute per un suo saggio sul rapporto con l’ebraismo, quando scrisse che verso gli ebrei non vi deve essere un atteggiamento di “missione” ma di “dialogo”. Nell’intervista accenna anche al rapporto con Papa Francesco, precisando che l’amicizia con lui è «cresciuta». Non ci sono due Pontefici, «io sono come un vescovo in pensione», dice. L’attenzione «calorosa» di Francesco gli ha permesso di mettere in pratica il ruolo, complesso oltre che inedito, di Papa emerito e «al tempo stesso» aggiunge, c’è «un legame spirituale che non può essere cancellato».

 

Il 29 aprile 2020 sono stati confermati per altri 5 anni i membri del CdA del Comitato scientifico della Fondazione Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Presidente del CdA è rimasto padre Federico Lombardi, uno degli stretti collaboratori di Papa Francesco e più volte intervenuto per difendere il suo pensiero dagli attacchi dei tradizionalisti.

 

Il 01 aprile 2019 il Papa emerito Benedetto XVI ha pubblicato un contributo in occasione del raduno in Vaticano dei presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo per la crisi della pedofilia. «A seguito di contatti con il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e con lo stesso Santo Padre», ha premesso Ratzinger, «ritengo giusto pubblicare su “Klerusblatt” il testo così concepito». Alla fine della sua riflessione, ha invece concluso in questo modo: «Alla fine delle mie riflessioni vorrei ringraziare Papa Francesco per tutto quello che fa per mostrarci di continuo la luce di Dio che anche oggi non è tramontata. Grazie, Santo Padre!».

 

Il 13 marzo 2018 il filosofo cattolico Massimo Borghesi, docente all’Università di Perugia, ha commentato il giudizio di Benedetto XVI nei confronti di Papa Francesco, contenuto nella lettera inviata a mons. Dario Edoardo Viganò in occasione della presentazione della collana “La Teologia di Papa Francesco”, edita dalla Libreria Editrice Vaticana (Lev): «Mai Benedetto XVI si era spinto così avanti in un giudizio di merito sulla figura del suo successore Francesco. Si tratta di una valutazione di grande significato. In altre occasioni Benedetto aveva espresso pubblicamente la sua stima e la sua sintonia con Francesco. Già allora la continuità manifesta mirava a sconfessare quanti, dentro la Chiesa, tentavano di mettere in contrapposizione papa Wojtyla, e lui stesso, con il nuovo Pontefice. Una linea che ha visto il tradizionalismo cattolico superare di gran lunga il Rubicone con accuse fuori da ogni misura ed intelligenza. Ora, con la sua lettera indirizzata a Viganò, Benedetto torna, come più chiaramente non si potrebbe, a dare un sostegno pubblico al suo successore. A fronte delle accuse, diffuse nei circoli dei denigratori di Bergoglio, per cui il Papa “argentino” non avrebbe una preparazione intellettuale adeguata, il Papa emerito sconfessa radicalmente questa posizione dichiarando che “Papa Francesco è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica”. E’ una fortuna che Benedetto abbia potuto far sentire ancora la sua voce. La sua autorità, morale-ecclesiale-teologica, non può essere contestata da nessuna forma di “dubia”. Per questo il suo appoggio a Francesco, privo di calcoli, ha un valore simbolico enorme. Dopo la lettera Viganò sarà difficile, per i detrattori del Papa, utilizzare i precedenti pontificati contro quello presente. Le differenze riguardano lo stile, non la dottrina. Coloro che hanno costruito la loro fortuna editoriale e giornalistica sull’antitesi tra Benedetto e Francesco, causando un profondo disorientamento, hanno materia su cui riflettere. Una cosa è certa: le costruzioni ideologiche saltano e l’aria, dentro la Chiesa, può divenire più tersa».

 

Il 12 marzo 2018 la sala stampa del Vaticano ha reso nota una lettera di Benedetto XVI inviata al Prefetto della Segreteria per la comunicazione Dario Edoardo Viganò durante la presentazione della collana “La Teologia di Papa Francesco”, edita dalla Libreria Editrice Vaticana (Lev). «Plaudo a questa iniziativa – scrive Benedetto XVI – che vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi. I piccoli volumi – aggiunge Benedetto XVI – mostrano a ragione che Papa Francesco è un uomo di profonda formazione filosofica e teologica e aiutano perciò a vedere la continuità interiore tra i due pontificati, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento». La lettera di Ratzinger si conclude con un ultimo capoverso che è stato reso noto da Sandro Magister. «Tuttavia non mi sento di scrivere su di essi una breve e densa pagina teologica – risponde il Papa emerito, al quale era stata evidentemente richiesto un intervento in quel senso – perché in tutta la mia vita è sempre stato chiaro che avrei scritto e mi sarei espresso soltanto su libri che avevo anche veramente letto. Purtroppo, anche solo per ragioni fisiche, non sono in grado di leggere gli undici volumetti nel prossimo futuro, tanto più che mi attendono altri impegni che ho già assunti». Questa frase è stata interamente letta da monsignor Viganò, ma non era presente nel comunicato della Sala Stampa vaticana. Nell’immagine diffusa dalla Segreteria per la comunicazion sono leggibili i primi paragrafi, ma sono state volutamente sfuocate le ultime due righe della prima facciata, che introducono l’ultimo passaggio scritto da Ratzinger. Gli antipapisti -in particolare Riccardo Cascioli- si sono scatenati accusando mons. Viganò di aver censurato Ratzinger, censurando però loro stessi le chiare parole di Benedetto XVI a favore della continuità con Francesco. Successivamente è emerso che Benedetto XVI si è negato dal recensire i volumetti in quanto due autori di essi sono teologi che si erano fortemente opposti al suo pontificato e tale risposta sarebbe dovuta essere rimasta riservata. «Le polemiche sui testi omessi della lettera del Papa emerito rischiano di trasformare in un boomerang l’effetto che si voleva ottenere con la divulgazione delle parti pubblicate», ha concluso Andrea Tornielli. «Al di là dei tecnicismi», ha riportato Paolo Rodari, «resta evidente la sostanza: le parole di Ratzinger sono durissime nei confronti di chi accusa il suo successore di pochezza teologica. E non a caso stanno scatenando reazioni altrettanto dure».

 

L’10 febbraio 2017 padre Federico Lombardi, ex direttore della Sala stampa vaticana sotto a Benedetto XVI e attuale presidente della Fondazione Ratzinger, ha testimoniato la fratellanza del rapporto tra Francesco e Benedetto XVI, avendo avuto modo di visitare quest’ultimo proprio nei mesi precedenti: «L’ho trovato perfetto dal punto di vista della lucidità, della presenza spirituale, mentale, e quindi è un vero piacere stare con lui», seppur le forze fisiche diminuiscano con la vecchiaia. «Credo che sia veramente molto bello avere il Papa emerito che prega per la Chiesa, per il suo successore. È una presenza che noi sentiamo, sappiamo che egli c’è e anche se non lo vediamo spesso, quando lo vediamo siamo tutti molti contenti perché gli vogliamo bene». Ha parlato di una «discreta e serena vicinanza spirituale al suo successore che sente certamente – come ci ha detto molto volte – anche il sostegno di questa presenza e di questa preghiera e che coltiva questo rapporto, a volte con delle visite, a volte con delle chiamate telefoniche, certamente con molti segni di familiarità, di rispetto e di attesa del sostegno spirituale. Quindi sì, stiamo vivendo questa realtà inedita, ma è bella, è consolante; direi che tutte le volte che vediamo delle immagini di Papa Francesco e il suo predecessore insieme, è una grande gioia per tutti ed è un bell’esempio di unione nella Chiesa, nella varietà delle condizioni».

 

Il 27 dicembre 2017 il Papa emerito Benedetto XVI ha scritto in occasione del compleanno del card. Gerhard Ludwig Müller: «ha difeso le chiare tradizioni della fede, ma nello spirito di papa Francesco», cercando «di capire come possano essere vissute oggi».

 

L’17 settembre 2016 il biografo tedesco di Benedetto XVI, Peter Seewald, ha spiegato il rapporto tra Benedetto XVI e Francesco: «Penso che fra loro due esista una prossimità personale. Nel libro, Ratzinger sulla domanda se lui ha problemi con lo stile di Francesco, mi risponde: “No, al contrario. Credo che ciò sia buono”. Ricordo che Francesco ha chiamato Benedetto grande dottore della Chiesa, il cui spirito “si manifesta sempre più grande e più potente di generazione in generazione”. Si vedono in diverse occasioni. Si scrivono lettere, scambiano idee. Benedetto parla serenamente sulle differenze di temperamento fra di loro. Potrebbe esserci qualche differenza su ciò che fa il suo successore, ma a lui piace la vitalità che Francesco dà (alla Chiesa) ogni giorno. Lo possono vedere tutti»

 

L’11 settembre 2016 il vaticanista Aldo Maria Valli, celebrato da diversi tradizionalisti in quanto autore di alcune perplessità su dichiarazioni pubbliche di Francesco, ha scritto: «quanto al giudizio di Benedetto sulla linea Bergoglio, sono certo che Ratzinger la pensa esattamente così. Quando afferma di apprezzare l’apertura e la disponibilità di Francesco verso le persone, è del tutto sincero». E ancora: «A un certo punto, con la solita schiettezza, Benedetto non rinuncia a mettere in guardia Francesco (quando dice che se un papa riceve troppi applausi c’è qualcosa che non funziona), ma ciò non toglie che veda davvero in Bergoglio il pontefice giusto per questa fase storica della Chiesa».

 

Nel settembre 2016 è stato pubblicato il libro Ultime conversazioni (Garzanti 2016) in cui Benedetto XVI ha espresso stima per Francesco: «Il modo in cui ha pregato per me, il momento di raccoglimento, poi la cordialità con cui ha salutato le persone tanto che la scintilla è, per così dire, scoccata immediatamente» (p. 39). E ancora: «È certo anche un papa che riflette, uno che medita sulle questioni attuali. Che non viva nel palazzo apostolico bensì a Santa Marta, dipende dal fatto che vuole sempre essere circondato dalla gente. Direi che questo si può ottenere anche su [nel palazzo apostolico, n.d.r.], ma è una scelta che mostra un nuovo stile. Forse io non sono stato abbastanza in mezzo agli altri, effettivamente. Ognuno deve avere il proprio temperamento. Ma trovo positivo che sia così diretto con gli altri. Mi chiedo naturalmente quanto potrà andare avanti. Per stringere ogni mercoledì duecento mani o più e via dicendo ci vuole molta forza. Ma questo lasciamolo al buon Dio» (p. 42). Sempre restando sul diverso temperamento, «ognuno ha il proprio carisma. Francesco è l’uomo della riforma pratica. È stato a lungo arcivescovo, conosce il mestiere, è stato superiore dei gesuiti e ha anche l’animo per mettere mano ad azioni di carattere organizzativo. Io sapevo che questo non è il mio punto di forza. La verità è che non potevo intraprendere nessun tipo di operazione di carattere organizzativo a lungo termine. Ma ero anche del parere che non fosse il momento di farlo […]. Quando un papa inizia il suo pontificato a settantotto anni, non dovrebbe aspirare a grandi cambiamenti in una prospettiva a lungo termine, che egli stesso non sarebbe in grado di sostenere.» (p. 172, 173, 195). Ha anche condiviso l’intento di Francesco di decentralizzare la Chiesa: «Anch’io ho sempre desiderato che le Chiese locali siano il più possibile autonome e vitali, senza bisogno di assistenza da parte di Roma» (p. 43). Sbaglia anche chi parla di “rottura” tra i due pontificati: «Naturalmente si possono fraintendere alcuni punti per poi dire che adesso le cose vanno in modo del tutto diverso. Se si prendono singoli episodi e li si isolano, si possono costruire contrapposizioni, ma ciò non accade quando si considera tutto l’insieme. Forse si pone l’accento su altri aspetti, ma non c’è alcuna contrapposizione» (p. 44). La soddisfazione per Francesco è piena, con lui «c’è una nuova freschezza in seno alla Chiesa, una nuova allegria, un nuovo carisma che si rivolge agli uomini, è già una bella cosa» (p. 44).

 

Il 24 agosto 2016 è stata pubblicata un’intervista di Elio Guerriero a Benedetto XVI, il quale ha dichiarato: «L’obbedienza al mio successore non è mai stata in discussione. Ma poi vi è il sentimento di comunione profonda e di amicizia. Al momento della sua elezione io provai, come tanti, uno spontaneo sentimento di gratitudine verso la Provvidenza. Dopo due pontefici provenienti dall’Europa Centrale, il Signore volgeva per così dire lo sguardo alla Chiesa universale e ci invitava a una comunione più estesa, più cattolica. Personalmente io rimasi profondamente toccato fin dal primo momento dalla straordinaria disponibilità umana di papa Francesco nei miei confronti. Subito dopo la sua elezione cercò di raggiungermi al telefono. Non essendo riuscito questo tentativo, mi telefonò ancora una volta subito dopo l’incontro con la Chiesa universale dal balcone di san Pietro e mi parlò con grande cordialità. Da allora mi ha fatto dono di un rapporto meravigliosamente paterno-fraterno. Spesso mi giungono quassù piccoli doni, lettere scritte personalmente. Prima di intraprendere grandi viaggi, il Papa non manca mai dal farmi visita. La benevolenza umana con la quale mi tratta, è per me una grazia particolare di quest’ultima fase della mia vita della quale posso solamente essere grato. Quello che dice della disponibilità verso gli altri uomini, non sono solamente parole. La mette in pratica con me. Che il Signore gli faccia a sua volta sentire ogni giorno la sua benevolenza. Per questo prego il Signore per lui».

 

Il 28 giugno 2016 Benedetto XVI, nel suo primo discorso pubblico dopo la rinuncia del soglio pontificio, si è rivolto con queste parole al suo successore Francesco: «Grazie soprattutto a lei, Santo Padre! La sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente. Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, di tutto. E speriamo che lei potrà andare avanti con noi tutti su questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, verso Gesù, verso Dio».

 

Il 01 giugno 2016, padre Federico Lombardi, portavoce di Papa Francesco, suo difensore in molte circostanze e per questo preso spesso di mira dagli “anti-bergogliani”, è stato nominato presidente della Fondazione Ratzinger. E’ stato un fedele collaboratore anche di Benedetto XVI per lunghi anni.

 

Il 23 marzo 2016 il segretario personale di Benedetto XVI, monsignor Georg Gänswein, ha parlato nuovamente di Benedetto XVI e di Papa Francesco: «Sono diversi nei loro caratteri, nelle personalità e anche nel modo di comunicare e di relazionarsi. Per me, vivere con papa Francesco è uno stimolo: lui cerca il contatto diretto, persino fisico, accarezza e si lascia accarezzare, superando così le distanze personali. Papa Benedetto, invece, è più riservato: accarezza con le parole, piuttosto che con gli abbracci. Sono due personalità differenti, ma la cosa più importante è che sono entrambi autentici, non cercano di “copiare” nessuno».

 

Il 14 dicembre 2015 il card. Camillo Ruini ha detto in un’intervista a proposito di presunte contrapposizioni tra vescovi conservatori e il Papa: «Le contrapposizioni non fanno bene, specialmente all’interno della Chiesa. Quella tra Papa e vescovi è però una leggenda metropolitana». Ha quindi respinto l’opinione secondo cui se si rifacesse il Conclave Francesco non verrebbe rieletto: «E’ un’opinione che lascio volentieri» a chi la promuove. «Il valore di Papa Benedetto XVI e del suo pontificato emergerà sempre di più, nel tempo. I rapporti tra lui e papa Francesco dimostrano quanto sia sbagliato contrapporli».

Il 16 marzo 2016 sui quotidiani è comparsa un’intervista a Benedetto XVI realizzata dal gesuita belga Jacques Servais. Dopo ever apprezzato il fatto che il tema della misericordia è sempre più centrale nella Chiesa, a partire da Suor Faustina e da Giovanni Paolo II, il Papa emerito ha aggiunto che «la misericordia è l’unica vera e ultima reazione efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza. Papa Francesco si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio. È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto». Una profonda convergenza di vedute sul tema centrale del pontificato di Francesco, la misericordia, come abbiamo sottolineato.

 

Il 14 aprile 2015 mons. Georg Gänswein, segretario personale di Ratzinger, è intervenuto in un’intervista al programma televisivo “La strada dei miracoli”, affermando: «L’ultima volta Francesco ha fatto visita al Papa Emerito durante la Settimana Santa, il martedì. Loro quando s’incontrano stanno sempre a quattr’occhi. Posso immaginare che anche su questo argomento, se Francesco parla di Benedetto come di un nonno saggio, a un nonno saggio avrà chiesto qualche consiglio!».

 

Il 17 marzo 2015 mons. Georg Gänswein, segretario personale di Ratzinger, è intervenuto ancora affermando: «Con l’annuncio dell’Anno santo straordinario, Papa Francesco ha dato un’altra prova della sua capacità di sorprendere. Papa Francesco è una persona autentica: è come appare a chi lo guarda da lontano o in tv. C’è chi magari non ha la sua stessa visione, ma non si può dire che Papa Francesco sia ostacolato o contrastato. L’atteggiamento accogliente di Papa Francesco verso Benedetto XVI è stato, ed è, esemplare. Tra i due c’è davvero un rapporto molto cordiale e rispettoso».

 

Il 15 febbraio 2015 mons. Georg Gänswein, segretario personale di Ratzinger, è intervenuto in un’intervista rispondendo al complottismo dilangante sulle dimissioni di Benedetto XVI, rilanciato in Italia da Antonio Socci: «Benedetto stesso ha detto di aver preso la sua decisione in modo libero, senza alcuna pressione. E ha assicurato “reverenza e obbedienza” al nuovo Papa. Benedetto XVI è convinto che la decisione presa e comunicata sia quella giusta. Non ne dubita. È serenissimo e certo di questo: la sua decisione era necessaria, presa “dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio”. La consapevolezza che le forze del corpo e dell’animo venivano meno, di dover guardare non alla propria persona ma al bene della Chiesa. Le ragioni sono nella sua declaratio. La Chiesa ha bisogno di un timoniere forte. Tutte le altre considerazioni e ipotesi sono sbagliate». Perché si dubita della validità dell’elezione di Papa Francesco, è forse mancanza di senso della Chiesa?, ha chiesto l’intervistatore. «Sì, i dubbi sulla rinuncia e l’elezione nascono da questo», ha risposto mons. Georg. «Non si possono fondare ipotesi su cose che non sono vere, totalmente assurde. Benedetto e Francesco sono diversi, talvolta molto diversi, i modi di espressione. Ma li accomuna la sostanza, il contenuto, il depositum fidei da annunciare, da promuovere e da difendere».

 

Il 23 gennaio 2015 mons. Georg Gänswein, segretario personale di Ratzinger, ha criticato i tentativi di opporre Francesco a Benedetto XVI: «Come contrasto si costruisce una opposizione che non esiste. Non conosco dichiarazioni dottrinali di Francesco che siano contrarie a quelle del suo predecessore. Questo sarebbe assurdo […]. Non ci stati circoli tradizionalisti che hanno fatto questo tentativo, eccetto i rappresentanti dell’Alleanza teologica e alcuni giornalisti. Parlare di un antipapa è semplicemente sciocco, e allo stesso tempo irresponsabile. Va nella direzione di provocare un incendio nel dibattito teologico».

 

Il 24 gennaio 2014 il teologo Hans Küng ha citato una lettera inviatagli da Benedetto XVI (datata 24 gennaio 2014) in cui il Papa emerito ha scritto: «Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiere». Il 18 febbraio 2014 Benedetto XVI ha confermato la lettera rispondendo al giornalista Andrea Tornielli: «Il prof. Küng ha citato letteralmente e correttamente le parole della mia lettera indirizzata a lui».

 

Il 16 marzo 2014 è emerso il racconto di mons. Georg Ganswein, prefetto della Casa Pontifica e segretario di Benedetto XVI, sul fatto che Papa Francesco, prima di mandare alle stampe la sua intervista per “La Civiltà Cattolica” l’aveva sottoposta per una verifica a Benedetto XVI: «Quando padre Spadaro ha consegnato la prima copia di questa intervista papa Francesco me l’ha data e mi ha detto: “Adesso la porti a Benedetto. Vede, la prima pagina dopo l’indice è vuota. Qui papa Benedetto dovrebbe scrivere le sue critiche che gli vengono in mente durante la lettura e poi riportamelo o rimandamelo». Benedetto ha risposto con quattro pagine di suggerimenti. Mons. Georg ha anche spiegato che lo scambio tra i due è di vario tipo e avviene anche per telefono.

 

Il 25 febbraio 2014 il segretario personale di Benedetto XVI, mons. Georg Ganswein, in un’intervista per il Washington Post ha detto: «La stima di Benedetto [per Papa Francesco] è molto alta ed è aumentata per il coraggio del nuovo papa, settimana dopo settimana. All’inizio, non si conoscevano molto bene. Ma poi Papa Francesco gli ha telefonato, gli ha scritto, si reca a trovarlo e lo ha invitato [a riunioni private], in modo che il loro contatto è diventato molto personale e riservato». Ha anche aggiunto: «Il Papa emerito Benedetto è ben consapevole della fama del suo successore, ma lui non è geloso perché vede che la celebrità come un aiuto ai fedeli».

 

Il 17 marzo 2013 il quotidiano Telegraph ha ripreso una vecchia notizia affermando che «papa Francesco è andato vicino a perdere la sua posizione all’interno della Chiesa cattolica, dopo aver criticato il suo predecessore sette anni fa». Ci si riferisce ad una presunta opposizione tra l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, e Papa Benedetto, sul famoso discorso a Ratisbona. Bergoglio, scrive il quotidiano, «parlando attraverso un suo portavoce» avrebbe detto: «La dichiarazione di Papa Benedetto non riflette le mie opinioni, Queste dichiarazioni serviranno per distruggere in 20 secondi l’attenta costruzione di un rapporto con l’Islam, che Papa Giovanni Paolo II ha costruito nel corso degli ultimi venti anni». La notizia è stata poi ripresa da altri siti web e quotidiani, come ha fatto in Italia Libero il 22/08/14. Proprio nella stessa data però il vaticanista Andrea Tornielli ha smontato la notizia falsa, scrivendo: «I fatti sono questi: padre Guillermo Marcó, giornalista, incaricato dei rapporti con la stampa dell’arcidiocesi di Buenos Aires, nel 2006, dopo il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, si fece intervistare da “Newsweek” (nella sua versione in lingua spagnola), criticando Ratzinger: disse di non sentirsi rappresentato da quelle parole sull’islam, affermò di ritenere quello di Ratisbona un passo indietro rispetto all’atteggiamento di Giovanni Paolo II. L’intervista fece ovviamente scalpore, anche in Vaticano. Marcó spiegò di aver rilasciato l’intervista non in quanto incaricato dei media della diocesi, ma come presidente dell’Istituto per il dialogo interreligioso. Leggendola appare del tutto evidente che il sacerdote parlava a titolo personale (“quelle parole non MI rappresentano”), senza alcun mandato della diocesi né tantomeno dell’allora arcivescovo di Buenos Aires. Ciononostante, visto il comprensibile imbarazzo che quell’intervista – e anche altre dichiarazioni – avevano provocato, padre Marcó, venne rimosso dal suo incarico di responsabile dei rapporti con la stampa, per volere del cardinale Bergoglio, e destinato altrove. Una circostanza che quanti hanno scovato e rilanciato la presunta notizia si guardano dal raccontare, perché rovinerebbe questa nuova pretestuosa accusa. Attribuire al futuro Papa le parole di Marcó, per contrapporlo a Benedetto XVI è dunque un’operazione propagandistica».

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Papa Bergoglio, cristiani perseguitati e Islam: tutti i discorsi

bergoglio silenzio cristiani perseguitatiBergoglio e i cristiani perseguitati: davvero non ne parla mai? Cosa dice Papa Francesco dell’Islam? Perché non è intervenuto a favore di Asia Bibi? In questo dossier tutti gli interventi del Papa su queste tematiche, discorsi spesso oscurati dai media.


Nonostante i suoi continui e ripetuti interventi, Papa Francesco viene accusato di tacere sulla discriminazione dei cristiani e di essere così complice del terrorismo islamico. “Perché al posto di parlare di ecologia/migranti/globalismo non si occupa mai dei cristiani perseguitati?”, si legge spesso sui social. In questo dossier abbiamo raccolto tutti i suoi coraggiosi interventi sui cristiani perseguitati, mostrando l’errore di queste accuse.

 


Viene spesso rinfacciato a Francesco di non condannare l’ideologia islamista dei persecutori dei cristiani e degli attentatori suicidi che provocano attentati in Europa. Papa Bergoglio in realtà opera una intelligente e prudente distinzione tra islam e fondamentalismo religioso, perché se tutti i terroristi sono islamici non tutti gli islamici sono terroristi e una denuncia generalizzata provocherebbe danni irreparabile e aumenterebbe il fondamentalismo. E’ un principio condiviso anche, ad esempio, dal card. Camillo Ruini -non certo tacciabile di “nuovo corso bergogliano”- il quale ha criticato come «semplicistica e per un certo verso eccessiva la reazione che prende di mira l’Islam in genere e non solo il fondamentalismo islamico, concentrandosi in particolare sul pericolo rappresentato dall’immigrazione islamica. Ad ogni modo la Chiesa non può non rifarsi alla sostanza del messaggio cristiano. Deve quindi richiamare innanzitutto l’universale fraternità umana per la quale, ne siamo o meno consapevoli, siamo tutti figli di un unico Padre. Deve però al tempo stesso dire chiaramente che Gesù Cristo è, per tutti, l’unico salvatore».

Inoltre, più volte Papa Francesco ha fatto appello ai leader islamici invitandoli a condannare il terrorismo. Nella Evangelii Gaudium, ha scritto: «Prego, imploro umilmente i Paesi di tradizione islamica affinché assicurino libertà ai cristiani, affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali! Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza». Curioso il fatto che uno dei principali accusatori di Francesco, il giornalista Maurizio Blondet, nel 2004 insultò Marcello Pera scrivendo: «Da Pera generalizzazioni assurde. Accusare l’islam in blocco non serve, non ci fa onore. Lo scivolamento verso stereotipi razzisti o verso il ‘non licet esse musulmanus’ è, prima che criminoide, politicamente idiota».

Occorre anche ricordare che nemmeno Benedetto XVI volle mai generalizzare equiparando l’islam al terrorismo, preferendo restare sul generale: in occasione di attentati generati da fondamentalisti islamici, Ratzinger parlò solo di “orribile attentato” (18/07/05); di “atto terroristico” (19/04/06); di “perversione della religione” (9/05/09); di “terrorismo” (15/05/09); di “discriminazione e violenza” (11/11/10); di “strategia di violenza!” (2/01/11); di “grave atto di violenza” (25/01/11); “terribile attentato” (20/10/12); di “pernicioso fanatismo di matrice religiosa” e di “falsificazione della religione stessa” (7/01/13) ecc. Tanto che nel 2009 la Chiesa di Benedetto XVI fu accusata dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, di avere “reazioni ammiccanti all’islam”. E lo stesso accadde alla Chiesa di Giovanni Paolo II, a “strigliarla” fu il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna.


 


Un’altra accusa che è stata rivolta al papa è stata quella di non essere mai intervenuto a favore di Asia Bibi, la cristiana imprigionata per blasfemia dai fondamentalisti islamici per cinque anni, assolta e liberata nel 2018.

Lo scrittore Antonio Socci ha accusato Francesco di tacere e lo stesso ha fatto il vaticanista Sandro Magister. Il primo ha sostenuto che «la povera donna scrisse al Papa, ma invano», eppure Asia Bibi chiese semplicemente a Francesco di pregare per lei e mai di esprimersi pubblicamente, aggiungendo: «Ti esprimo tutto il mio ringraziamento per la tua vicinanza». Una vicinanza che, evidentemente, le arrivava per vie nascoste ai media tramite la diplomazia vaticana, la quale ritiene inopportuno esprimersi pubblicamente come ha spiegato il vaticanista statunitense J. Allen: «Papi e funzionari del Vaticano hanno sempre pesato le parole con attenzione, per paura che dire qualcosa di provocatorio possa peggiorare le cose. In questo contesto si apprezza il fatto che il Vaticano possa preferire operare dietro le quinte». Nell’aprile 2015 Asia Bibi ha approvato il viaggio che suo marito Ashiq Masih e una delle sue figlie hanno intrapreso in Europa per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sua carcerazione con queste parole: «Quando bacerete la mano del Papa, fatelo anche per me. Quello sarà il mio bacio. E chiedetegli una benedizione».

La stessa Asia Bibi, una volta liberata, ha dichiarato: «Papa Francesco si è anch’egli commosso per la mia situazione. Sono solo una figlia di campagna, e nel mondo, ci sono così tante persone che soffrono. Per la prima volta, quella sera, mi sono addormentata col cuore al caldo». Fra i segni di questo legame, un rosario offerto da Francesco, che la donna porta con sé. La giornalista francese Anne-Isabelle Tollet si è battuta per anni sulla liberazione di Asia Bibi e nel 2020 la donna pakistana ha scritto assieme a lei la sua biografia. Tollet ha affermato rispetto al ruolo di Papa Francesco: «Dopo la seconda condanna di Asia Bibi, ho letto qua e là sulla stampa molti appelli a Papa Francesco a parlare a suo nome. Quando l’ho letto mi sono detto: “Mio Dio, se papa Francesco dice qualcosa su Asia Bibi, è finita“. Mi sono permessa di scrivergli per spiegargli che sarebbe stato controproducente perché, in Pakistan, sarebbe stato percepito come un’ingerenza della Chiesa cattolica in una repubblica islamica e che quindi era meglio, per il bene di Asia Bibi e per tutti i cristiani in Pakistan, che il Papa non parlasse pubblicamente di questo. Ha apprezzato questo messaggio e mi ha risposto che era un argomento complesso in cui era necessario saper fare diplomazia anche come leader religioso e che in questo caso era perfettamente giustificato». A conferma di quanto detto da Tollet, ricordiamo che Benedetto XVI aveva espresso vicinanza alla donna una volta sola, il 17/11/10, ma da allora le cose non migliorarono affatto, anzi la Corte d’appello confermò la sua condanna a morte.

Padre Bernardo Cervellera, missionario e direttore di Asianews, ha dichiarato a sua volta: «Tutte le volte che abbiamo fatto una campagna per chiedere la sua liberazione, ci sono stati gruppi di fondamentalisti che hanno protestato, chiedendo la sua immediata esecuzione. Per questo motivo, la chiesa locale invita ad essere cauti nel tenere manifestazioni a sostegno di Asia Bibi, così come raccolte firme o campagne per la sua liberazione, perché si rischia di creare reazioni negative dei fondamentalisti». Lo stesso ha detto Jacques Behnan Hindo, capo dell’arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi: «Il momento è delicato e ogni iniziativa o parola non calibrata e presa senza ponderazione può aumentare i rischi per tutti». Lo scrittore Vittorio Messori ha paragonato invece la prudenza di Francesco a quella di Pio XII verso gli ebrei: «Proprio coloro che lodano (e giustamente) la prudenza di Pio XII verso coloro che seguivano il Mein Kampf, si lagnano della prudenza del suo attuale successore soprattutto verso coloro che seguono, fino alle estreme conseguenze, un altro libro, il Corano».

 


Il 28 febbraio 2022 incontrando i rappresentati delle chiese cristiane in Iraq, Papa Francesco ha detto: «Ma anche molti cristiani della vostra regione sono stati costretti all’esilio: le persecuzioni e le guerre, che si sono succedute fino ai nostri giorni, hanno costretto molti di loro a emigrare, portando in Occidente la luce dell’Oriente cristiano. Le vostre comunità appartengono alla storia più antica dell’Iraq e hanno conosciuto momenti veramente tragici, ma hanno offerto coraggiose testimonianze di fedeltà al Vangelo. Di questo ringrazio Dio ed esprimo a voi la mia riconoscenza. Mi inchino davanti alla sofferenza e al martirio di coloro che hanno custodito la fede, anche a prezzo della vita. Come il sangue di Cristo, versato per amore, ha portato riconciliazione e ha fatto fiorire la Chiesa, così il sangue di questi numerosi martiri del nostro tempo, appartenenti a diverse tradizioni ma uniti nel medesimo sacrificio, sia seme di unità tra i cristiani e segni una nuova primavera della fede».

Il 10 luglio 2020 il card. Camillo Ruini -non certo tacciabile di “nuovo corso bergogliano”- ha criticato come «semplicistica e per un certo verso eccessiva la reazione che prende di mira l’Islam in genere e non solo il fondamentalismo islamico, concentrandosi in particolare sul pericolo rappresentato dall’immigrazione islamica. Ad ogni modo la Chiesa non può non rifarsi alla sostanza del messaggio cristiano. Deve quindi richiamare innanzitutto l’universale fraternità umana per la quale, ne siamo o meno consapevoli, siamo tutti figli di un unico Padre. Deve però al tempo stesso dire chiaramente che Gesù Cristo è, per tutti, l’unico salvatore».

Il 22 agosto 2019 mons. George Abou Khazen, Vicario Apostolico di Aleppo, ha dichiarato: «Oggi abbiamo un altro Francesco, il papa Francesco che ha teso la mano anche al mondo musulmano nelle sue visite pastorali. Qualcuno ha detto: “Ma a che serve? Perché deve andare a visitare Paesi dove non ci sono cristiani?”. Però queste visite hanno prodotto per noi una cosa molto importante, un fatto storico. Per esempio, nella sua visita a Dubai e a Abu Dhabi hanno firmato, insieme con il grande imam di Al-Azhar il documento della fratellanza umana, che per noi è molto importante perché dice: “Rifiutiamo il nome di minoranza per tutti i cittadini, tutti gli uomini che sono uguali davanti a Dio e uguali in diritti e anche in doveri”. Non considerarsi più una minoranza è una grande conquista per noi cristiani e per tutte le minoranze non cristiane; ci possiamo trovare a nostro agio in questo mare che
è differente dal nostro»
.

Nel febbraio 2019 Papa Francesco si è recato negli Emirati Arabi incontrando il grande imam d’Egitto, Ahmad Muhammad Al-Tayyib. Quest’ultimo, per la prima volta, ha parlato a nome di tutti i musulmani, impegnandosi in loro nome ed invitando il mondo musulmano a proteggere i cristiani dove vi sono abusi e violenze, considerandoli ‘cittadini’ di pari livello. Inoltre, nel documento firmato da entrambi, viene stabilita un’alleanza su alcuni valori comuni e a rischio nelle società Occidentali o Orientali, quali la lotta alla povertà, la difesa dei luoghi di culto («attaccarli o minacciarli attraverso attentati o esplosioni è una deviazione dagli insegnamenti della religione»), la tutela della famiglia, il contrasto di politiche che favoriscono l’aborto e l’eutanasia, una ferma condanna al terrorismo e alla vendita di armi ai movimenti terroristici che strumentalizzano la religione, un impegno comune nei confronti dei diritti delle donne, una stigmatizzazione al materialismo e all’individualismo.

Il 01 febbraio 2019 Papa Francesco ha ricordato che «le vite dei molti santi delle nostre Chiese sono semi di pace gettati in quelle terre e sbocciati in cielo. Il seme di questa comunione, anche grazie al vostro prezioso lavoro, è germogliato, e continua ad essere irrigato dal sangue dei testimoni dell’unità, dal tanto sangue versato dai martiri del nostro tempo: membri di Chiese diverse che, uniti dalla comune sofferenza per il nome di Gesù, ora condividono la stessa gloria».

Dal 24 al 28 dicembre 2018, il segretario di Stato Vaticano, card. Pietro Parolin, si è recato in Iraq per le festività natalizie, incontrando la comunità cristiana locale. Un’occasione per ribadire la vicinanza del Papa e della Santa Sede ad una porzione di fedeli ancora scossi dalla spirale infernale degli ultimi quattro anni che hanno visto le loro case spazzate via e le loro chiese usate come depositi di armi o poligoni di tiro, costretti a rifugiarsi altrove. Questi sacrifici, ha assicurato il card. Parolin, «non rimarranno senza frutto, così come non è rimasta sterile la testimonianza di tanti martiri che, fin dai primi secoli del Cristianesimo, hanno bagnato con il loro sangue questa terra, vivendo la fede eroicamente e fino in fondo. Sappiate che la Chiesa vi ha costantemente sostenuti con la preghiera e con la carità».

Il 21 novembre 2018 diversi simboli della città di Venezia si sono tinti di rosso a simboleggiare il sangue dei martiri perseguitati, il messaggio inviato da Papa Francesco contiene queste parole: «una doverosa attenzione da parte di tutti al grave problema delle discriminazioni che i cristiani subiscono in tante parti del mondo. Vi sono nazioni dove è imposta un’unica religione, altri dove si assiste a persecuzione violenta o sistematico dileggio culturale nei confronti dei discepoli di Gesù, a discapito della libertà religiosa, un diritto fondamentale dell’uomo che va riconosciuto poiché riflette la sua più alta dignità».

Il 16 novembre 2018 Papa Francesco ha ricordato «la drammatica situazione dei cristiani che vengono perseguitati e uccisi in numero sempre crescente. Oltre al loro martirio nel sangue, esiste anche il loro “martirio bianco”, come ad esempio quello che si verifica nei paesi democratici quando la libertà di religione viene limitata. E questo è il martirio bianco quotidiano della Chiesa in quei posti. All’opera di soccorso materiale verso le popolazioni così duramente provate, vi esorto ad associare sempre la preghiera, a invocare costantemente la Madonna, che voi venerate col titolo di “Nostra Signora di Palestina”».

Il 04 novembre 2018 Papa Francesco ha espresso «il mio dolore per l’attentato terroristico che due giorni fa ha colpito la Chiesa Copta-ortodossa in Egitto. Prego per le vittime, pellegrini uccisi per il solo fatto di essere cristiani, e chiedo a Maria Santissima di consolare le famiglie e l’intera comunità. Preghiamo insieme la Madonna».

Il 12 settembre 2018 i parenti di un sacerdote caldeo massacrato dai fondamentalisti nel 2007 hanno incontrato Francesco al raduno mondiale delle famiglie. Il pontefice ha elogiato la scelta coraggiosa dei familiari di padre Ragheed di scegliere «il perdono e la riconciliazione, piuttosto che l’odio e il rancore”. Essi hanno visto, ha aggiunto il papa, “che il male si può contrastare solo col bene e l’odio superare solo col perdono. In modo quasi incredibile, sono stati capaci di trovare pace nell’amore di Cristo, un amore che fa nuove tutte le cosea».

Il 07 luglio 2018 durante la visita alla città di Bari, Papa Francesco ha detto: «Il Medio Oriente è divenuto terra di gente che lascia la propria terra. E c’è il rischio che la presenza di nostri fratelli e sorelle nella fede sia cancellata, deturpando il volto stesso della regione, perché un Medio Oriente senza cristiani non sarebbe Medio Oriente».

Il 28 giugno 2018 il card. Luis Raphael I Sako, neo-nominato da Papa Francesco, ha sottolineato la «“speciale attenzione del Papa per le Chiese Orientali, e per il piccolo gregge che costituiscono i cristiani in Medio Oriente, in Pakistan e in altri Paesi che attraversano un periodo difficile a causa delle guerre e del settarismo e dove ci sono ancora martiri. La chiamata paterna di Francesco per noi è un incoraggiamento nelle nostre sofferenze e ci dona la speranza che la tempesta attuale passerà e sarà possibile vivere insieme armoniosamente».

Il 21 giugno 2018 Papa Francesco ha chiesto di guardare «anche a tanti nostri fratelli e sorelle che in varie parti del mondo, specialmente in Medio Oriente, soffrono perché sono cristiani. Stiamo loro vicini. E ricordiamo che il nostro cammino ecumenico è preceduto e accompagnato da un ecumenismo già realizzato, l’ecumenismo del sangue, che ci esorta ad andare avanti».

Il 01 giugno 2018 nell’omelia a Santa Marta, Papa Francesco ha detto: «La persecuzione è un po’ “l’aria” della quale vive il cristiano anche oggi perché anche oggi ci sono tanti, tanti martiri, tanti perseguitati per amore a Cristo. In tanti Paesi i cristiani non hanno diritti: se tu porti una croce, vai in galera e c’è gente in galera; c’è gente condannata a morire per essere cristiani, oggi. C’è stata gente uccisa e il numero è più alto dei martiri dei primi tempi. Di più! Eppure questo non fa notizia e per questo i telegiornali, i giornali non pubblicano queste cose. Ma i cristiani sono perseguitati e anche questo ci deve far riflettere sulla nostra condizione di cristiano. La questione è che, alla fine, io sono un cristiano tranquillo, porto la mia vita avanti senza accorgermi di questi fratelli e sorelle che sono perseguitati».

Il 25 maggio 2018 padre Samir Khalil Samir, grande esperto di islam e già collaboratore di Benedetto XVI, ha concluso il suo intervento citando la Nostra Aetate: «Concludo con la dichiarazione al mondo del concilio Vaticano II, il 28 ottobre 1965: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini» (Nostra aetate, 3). Questa è la visione cristiana, che, nella mia conoscenza limitata, mi sembra essere la più aperta di tutte le altre».

Il 20 maggio 2018 Papa Francesco ha creato cardinali il patriarca caldeo Louis Raphael Sako e Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi (Pakistan), come segno di vicinanza ai cristiani perseguitati. Il patriarca Sako ha commentato: «Una responsabilità doppia, perché conferma il sostegno di papa Francesco alla Chiesa caldea, ai cristiani e, al tempo stesso, a tutto l’Iraq, al suo popolo. Ecco perché farò tutto ciò che posso per servire questa gente, in un tempo critico». Il primate caldeo ritiene che la nomina sarà “fonte di incoraggiamento” e «mi aiuterà a essere più efficace nella difesa dei più deboli e nel chiedere giustizia. Sarà una fonte di forza nel mio servizio per tutti, seguendo il modello di papa Francesco e ringraziandolo per la sua amicizia, per la sua vicinanza». L’arcivescovo Coutts ha commentato: «E’ stata una totale sorpresa, non me l’aspettavo assolutamente. E’ un grande onore per me e una grande gioia per tutti i cristiani del Pakistan».

Il 04 marzo 2018 un sondaggio ha rilevato che quasi la metà dei cattolici americani afferma che Papa Francesco è “molto impegnato” nel condannare la persecuzione dei cristiani, mentre solo il 27% dice lo stesso del proprio vescovo.

Il 03 marzo 2018 mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei scelto personalmente da Papa Francesco, ha scritto: «il colore rosso del Colosseo, che poteva sembrare una trovata per stupire chi in quel momento poteva trovarsi a passare da quei paraggi, aveva invece un significato forte. Sotto quella pioggia battente c’erano persone che non smettono di ricordare e soffrire per la violenza consumata e che ancora si consuma a danno di uomini e donne cristiani. Con noi, al Colosseo tinto di rosso, c’erano anche Ashiq Masih ed Eisham. Marito e figlia di Asia Bibi, in carcere, come ho ricordato in apertura, da circa nove anni per aver bevuto allo stesso bicchiere di alcune donne musulmane mentre insieme lavoravano nei campi, in un giorno pieno di sole. Lei cristiana, con quel gesto avrebbe reso “impure” le altre donne. Per questo l’accusarono e per questo Asia Bibi è stata condannata. Per questo dovrà morire. Senza un processo vero. Perché cristiana. In un mondo a corto di testimoni coerenti e appassionati, soprattutto appassionati di Cristo e del Vangelo; in un mondo che fa di tutto per ridurre la portata e la forza rivoluzionaria dell’amore e che anzi fa esercizio continuo e convinto di indifferenza, ci si è ritrovati davanti al Colosseo illuminato di rosso per dire “grazie” a tanti uomini, donne e bambini. Martiri dei nostri giorni. Il loro martirio e la loro sofferenza sta a dirci che ha senso essere e rimanere fedeli a Gesù e al suo Vangelo».

Il 02 marzo 2018 padre Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa, superiore del convento dedicato alla conversione di san Paolo, la parrocchia principale di rito latino della capitale siriana, ha dichiarato: «I fedeli si sentono abbandonati perché nessuno, nemmeno i media cristiani, racconta quanto avviene in questa zona di Damasco. Come comunità cristiana – ribadisce il religioso – non possiamo fare altro che pregare e portare il nostro aiuto concreto a quante più persone possibile, senza fare differenza di etnia o fede, seguendo gli inviti costanti di Papa Francesco, l’unico leader al mondo a chiedere pace per la Siria. Sono giorni duri ma la speranza qui, nella capitale, è che si possa arrivare presto alla fine dei combattimenti e, come per Aleppo, ritornare a vivere nella sicurezza».

Il 26 febbraio 2018, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin ha partecipato all’iniziativa dell’illuminazione di rosso del Colosseo in memoria del sangue dei martiri, per ricordare i cristiani discriminati e perseguitati nel mondo per la loro fede. «La testimonianza offerta con lo spargimento del sangue continua tuttora, anche nel nostro tempo, come non manca di ricordare spesso il Santo Padre, affermando che «oggi la Chiesa è Chiesa di martiri». Questa sera ricordiamo i cristiani perseguitati, senza dimenticare i seguaci di altre religioni, che in differenti parti dell’Oecumene subiscono violenza frutto di odio cieco, e soffrono le conseguenze di gravi violazioni delle loro libertà fondamentali, tra cui primeggia la libertà di religione. Questi nostri fratelli e sorelle sono le prime vittime della propagazione di una mentalità che non riconosce spazio per l’altro, per il diverso, e che preferisce sopprimere anziché integrare tutto ciò che, in qualche modo, sembra mettere in discussione le proprie certezze. Oggi più che mai, tanti cristiani in tutto il mondo lo testimoniano, vivendo la dolorosa realtà della sofferenza a causa della loro fede, il prezzo da pagare per testimoniare Cristo, il suo messaggio di amore e di perdono. A loro va la nostra preghiera, il nostro sostegno, la nostra solidarietà e il nostro incoraggiamento. Nei loro confronti si rinnova il nostro impegno spirituale e materiale l’assicurazione di voler intraprendere ogni strada percorribile per favorire la pace, la sicurezza e un futuro migliore, mentre a quanti si impegnano a sovvenire ai bisogni umanitari va il nostro sentito ringraziamento».

Il 28 febbraio 2018 Papa Francesco alla fine dell’Angelus ha proclamato: «Rivolgo un cordiale saluto alle persone di lingua araba, in particolare a quelle provenienti dalla Siria, dalla Terra Santa e dal Medio Oriente. Preghiamo per questa terra martoriata ove i cristiani sono perseguitati e costretti a lasciare la loro terra. Preghiamo per questi nostri fratelli e sorelle. Nell’Eucaristia noi offriamo al Signore le cose che Egli stesso ci ha dato, chiedendoGli di donarci in cambio se stesso. Noi impariamo da questo scambio tra la nostra povertà e la Sua ricchezza che solo nel dare ci arricchiamo, solo nell’aprire i nostri cuori al Signore e ai fratelli noi permettiamo a Dio di riempirci con l’abbondanza della Sua grazia. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga dal maligno!».

Il 24 febbraio 2018, Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata la figlia e il marito di Asia Bibi. «Penso molto spesso a tua madre e prego per lei», ha detto. Presente anche una ragazza nigeriana vittima di Boko Haram, Rebecca Bitrus. Eisham, figlia della donna pachistana dal 2009 in carcere e condannata a morte per blasfemia, dice a Francesco: «Quando prima di partire ho incontrato mia madre mi ha chiesto di darle un bacio». Francesco ha affermato che «la testimonianza di Rebecca e quella di Asia Bibi «rappresentano un modello per una società che oggi ha sempre più paura del dolore. Sono due martiri». Il direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre ha informato: ««È stato un incontro straordinario. È durato 40 minuti, ha avuto al centro la fede. Non solo la spiritualità del Santo Padre, ma anche quella di queste ragazze giovani e sofferenti e del marito di Asia Bibi». È iniziato «dal bacio che Eisham ha dato al Santo Padre e che il Santo Padre non solo si è preso tutto, ma ha ricambiato con un affetto e con una testimonianza di vicinanza, di fede, di solidarietà che in quell’abbraccio diceva tutto. L’incontro avrebbe potuto concludersi anche solo con un saluto introduttivo per l’intensità del legame che si è immediatamente instaurato tra il Santo Padre e le testimoni».

Il 13 febbraio 2018, Papa Francesco durante la Santa Messa concelebrata con il Patriarca della Chiesa di Antiochia dei Greco-Melkiti, ha detto: «Una Chiesa ricca, con la propria teologia dentro la teologia cattolica, con la propria liturgia meravigliosa e con un popolo, in questo momento gran parte di questo popolo è crocifisso, come Gesù. Offriamo questa Messa per il popolo, per il popolo che soffre, per i cristiani perseguitati in Medio Oriente, che danno la vita, danno i beni, le proprietà perché sono cacciati via».

Il 12 febbraio 2018, Papa Francesco ha detto: «I nostri fratelli perseguitati nel Medio oriente, cacciati via per essere cristiani — e loro ci tengono a essere cristiani — sono “entrati in pazienza” come il Signore» nella momento della sua passione. Con questo pensiero a quanti stanno vivendo sulla loro pelle il dramma della persecuzione il Papa ha celebrato la messa a Santa Marta. «Non è facile “entrare in pazienza”. E qui penso ai nostri fratelli perseguitati nel Medio oriente, cacciati via per essere cristiani e loro ci tengono a essere cristiani: sono “entrati in pazienza” come il Signore è “entrato in pazienza». Durante il discorso ai membri del Sinodo greco-melkita, Francesco ha aggiunto: «In questo difficile periodo storico tante comunità cristiane in Medio Oriente sono chiamate a vivere la fede nel Signore Gesù in mezzo a molte prove. Auspico vivamente che, con la loro testimonianza di vita, i Vescovi e i sacerdoti greco-melkiti possano incoraggiare i fedeli a rimanere nella terra dove la Provvidenza divina ha voluto che nascessero».

Il 24 gennaio 2018, Papa Francesco ha dichiarato: «Sul cammino ci sono pure dei pericoli gravi, che mettono a repentaglio la vita: quanti fratelli oggi subiscono persecuzioni per il nome di Gesù! Quando il loro sangue viene versato, anche se appartengono a Confessioni diverse, diventano insieme testimoni della fede, martiri, uniti nel vincolo della grazia battesimale».

Il 10 aprile 2017 padre Samir Khalil, gesuita, fondatore del Cedrac (Centro di documentazione e ricerca arabo-cristiana a Beirut), ha confermato la validità dell’accusa di Francesco ai trafficanti di armi: «La stragrande maggioranza dei musulmani, in tutto il mondo, non approva l’ Isis e la sua radicale ideologia. Dietro l’ Isis chi c’ è? Ci sono Qatar e Arabia Saudita che finanziano con denari e armi. Il grosso delle armi, del traffico di armi a queste realtà radicali arriva da fabbricanti negli Usa, e poi Germania, Francia, Italia e Inghilterra».

Il 24 gennaio 2018, Papa Francesco ha affermato: «In tante parti del mondo ci sono ancora minoranze religiose ed etniche, tra cui i cristiani, perseguitate a causa della fede. La Santa Sede non si stanca di intervenire per denunciare queste situazioni, chiedendo riconoscimento, protezione e rispetto».

Il 06 aprile 2017 sul nostro sito web è apparso un approfondimento sulle parole di Benedetto XVI riguardo all’Islam, quando disse: «certamente l’Islam contiene degli elementi in favore della pace». Inoltre vengono riportate diverse affermazioni positive nei riguardi della religione islamica pronunciate da Giovanni Paolo II e dal Papa emerito. Eppure nessuno si scandalizzò.

Il 10 aprile 2017 l’ arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato vaticana, ha spiegato: «Fin dall’ inizio dell’ apparizione dell’Isis il Papa ha voluto distinguere gli atti di terrorismo compiuti da fanatici esaltati dalla religione in sé. Si è sempre rifiutato di associare l’Islam come tale al terrorismo. Terroristi potranno essere alcuni islamici deviati, ma non la religione. E questo gli ha guadagnato la riconoscenza dei musulmani, per l’onestà delle sue posizioni. Molte autorità islamiche hanno incontrato il Pontefice per ringraziarlo e molte altre gli hanno scritto ammirati per la sua autorevolezza morale. Un atteggiamento che ha propiziato anche il riavvicinamento con Al Azhar, dopo che nel recente passato vi erano stati momenti un po’ difficili, nei rapporti con la Santa Sede».

Il 01 aprile 2017 padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e docente di islamistica presso il “Pontificio Istituto Orientale di Roma”, ha commentato così il viaggio del Papa in Egitto: «Certamente, un viaggio di successo. Ed è stato molto importante perché l’Egitto si trova in una situazione di isolamento. Questo apre, dà un po’ di aria … I musulmani si sentono in difficoltà a causa del terrorismo. Il fatto di poter trovare un uomo che ti appoggia, che simpatizza, come nel caso del Papa, questo dà coraggio e forza al presidente, come all’istituzione di Al Azhar, ma anche, certamente, a tutti i cristiani dell’Egitto, perché soffriamo di questo terrorismo. Questo viaggio ha avuto anche un’altra importanza: i musulmani si sentono uniti ai cristiani in questa prova degli attentati. I musulmani ci hanno sostenuti e c’è chi dice: “Voi siete i nostri fratelli”. E’ anche la testimonianza del risultato di questo viaggio in Egitto. Per la comunità copta cattolica, che è piccolissima, vuol dire: il Papa si interessa anche a noi che siamo meno di 300 mila. E questo è molto importante. Ma significa anche che il Papa è il “papà” di tutti quanti i cristiani non solo i cattolici, ma tutti i cristiani. Ha testimoniato una fratellanza con tutti quanti. Non c’è una persona esclusa. Questo l’ha mostrato concretamente: il suo abbracciare l’Imam Al Tayeb, come anche il presidente, in modo sinceramente affettuoso, già dice più dei discorsi. Poi, il dialogo con gli ortodossi, fino ad arrivare a un accordo riguardo al Battesimo, questo è un passo avanti che non si poteva immaginare! Infine, come dicevo, riguardo alla piccola comunità cattolica, cioè a tutti i livelli, questo viaggio mostra che noi siamo una famiglia, un popolo, il popolo egiziano: diversi, ma la diversità è un arricchimento, non è un impoverimento. Questo mi sembra il triplice messaggio che questo viaggio rapidissimo ha portato all’Egitto. Sta a noi adesso concretizzarlo nella vita quotidiana».

Il 29 marzo 2017 il sacerdote caldeo padre Thabet Habeeb Mekko, originario di Mosul, ha commentato: «Grazie Santo Padre! Tutto il popolo e i cristiani iracheni hanno bisogno delle parole e del sostegno del Papa. Ogni suo intervento è utile per far conoscere alla comunità internazionale la miseria e la disperazione in cui vivono le popolazioni sfollate, perseguitate, bombardate».

Il 10 marzo 2017, al termine degli Esercizi spirituali, papa Francesco ha celebrato ad Ariccia la Messa per la Siria e donato 100.000 euro ai poveri di Aleppo, grazie anche al contributo della Curia Romana. Il francescano della Custodia di Terra Santa e Vicario apostolico di Aleppo dei latini, monsignor Georges Abou Khazen, ha dichiarato: «Il Santo Padre è sempre stato vicino alla Siria e segue da vicino quanto avviene qui. I suoi appelli al dialogo, alla pace e alla concordia sono continui. Come anche la sua preghiera. Credo che se la situazione in Siria stia pian piano migliorando è anche per le sue preghiere. Oggi arriva questo ulteriore segno di vicinanza concreta e gliene siamo grati. Non ci sentiamo soli, non ci sentiamo abbandonati ma sappiamo di essere parte di una grande famiglia che è la Chiesa di Cristo. Questo ci dona coraggio e speranza e la forza di sopportare tante cose».

Il 25 marzo 2017 il cardinale nigeriano John Onaiyekan ha spiegato: «alcune delle dichiarazioni del Papa lo hanno in qualche modo reso caro ad alcuni dei miei amici musulmani, specialmente quando il papa ha molto chiaramente respinto l’idea che l’Islam sia una religione terrorista. E’ come se papa Francesco fosse un profeta. Fa una dichiarazione, ma quella dichiarazione deve essere decompressa. Devo dire che questa affermazione mi aiuta nel mio sforzo cosciente e determinato di continuare a raggiungere buoni rapporti con i miei amici musulmani».

Il 10 febbraio 2017 Papa Francesco ha scritto di suo pugno una lettera ad una coppia spagnola che aveva inviato in Vaticano una donazione per «aiutare i cristiani perseguitati, in particolare dei paesi del Medio Oriente». Il Papa ha ringraziato “di cuore” per “questo gesto di carità” e ha invocato “il Signore che ripaghi abbondantemente”.

Il 16 febbraio 2017 nel messaggio in occasione dell’Incontro di Movimenti Popolari a Modesto, Francesco ha scritto: «nessun popolo è criminale e nessuna religione è terrorista. Non esiste il terrorismo cristiano, non esiste il terrorismo ebreo e non esiste il terrorismo islamico. Non esiste. Nessun popolo è criminale o narcotrafficante o violento».

Il 30 gennaio 2017 durante la messa a Santa Marta, Francesco ha detto: «I martiri sono quelli che portano avanti la Chiesa, sono quelli che sostengono la Chiesa, che l’hanno sostenuta e la sostengono oggi. E oggi ce ne sono più dei primi secoli. I media non lo dicono perché non fa notizia, ma tanti cristiani nel mondo oggi sono beati perché perseguitati, insultati, carcerati. Ce ne sono tanti in carcere, soltanto per portare una croce o per confessare Gesù Cristo! Questa è la gloria della Chiesa e il nostro sostegno e anche la nostra umiliazione: noi che abbiamo tutto, tutto sembra facile per noi e se ci manca qualcosa ci lamentiamo… Ma pensiamo a questi fratelli e sorelle che oggi, in numero più grande dei primi secoli, soffrono il martirio! Ma la più grande forza della Chiesa oggi è nelle piccole Chiese, piccoline, con poca gente, perseguitati, con i loro vescovi in carcere. Questa è la nostra gloria oggi, questa è la nostra gloria e la nostra forza oggi. Una Chiesa senza martiri – oserei dire – è una chiesa senza Gesù. Preghiamo per i nostri martiri che soffrono tanto”, “per quelle Chiese che non sono libere di esprimersi: loro sono la nostra speranza. Loro con il loro martirio, la loro testimonianza, con la loro sofferenza, anche dando la vita, offrendo la vita, seminano cristiani per il futuro e nelle altre Chiese. Offriamo questa Messa per i nostri martiri, per quelli che adesso soffrono, per le Chiese che soffrono, che non hanno libertà. E ringraziamo il Signore di essere presenti con la fortezza del Suo Spirito in questi fratelli e sorelle nostri che oggi danno testimonianza di Lui».

Il 27 gennaio 2017 durante l’udienza ai membri della Commissione mista Internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali, Francesco ha ricordato coloro che «appartengono a Chiese che assistono quotidianamente all’imperversare della violenza e ad atti terribili, perpetrati dall’estremismo fondamentalista. Ogni giorno le vostre Chiese sono vicine alla sofferenza, chiamate a seminare concordia e a ricostruire pazientemente la speranza, confortando con la pace che viene dal Signore, una pace che insieme siamo tenuti a offrire a un mondo ferito e lacerato. In modo particolare ho a cuore i vescovi, i sacerdoti, i consacrati e i fedeli, vittime di rapimenti crudeli, e tutti coloro che sono stati presi in ostaggio o ridotti in schiavitù».

L’11 gennaio 2017 lo scrittore Davide Rondoni ha risposto a chi critica Francesco di non utilizzare il termine “guerra religiosa” quando parla del terrorismo. «La nozione di «guerra di religione» è non solo vaga, ma inutile. Perché tutte le guerre in un certo senso sono religiose, come lo sono anche tutte le paci, e tutti gli amori, e tutte le lotte. Insomma, religioso è l’uomo in tutte le sue azioni. Strano che una cultura che ha fatto di tutto per eliminare la dimensione religiosa autentica da ogni aspetto privato e pubblico della vita, ora pretenda di leggere come «religioso» solo un aspetto della vita umana, e il peggiore. Il fatto è che l’uomo è religioso sempre, così come è politico, economico, affettivo. Etichettare una guerra come «religiosa» non funziona. Se dovessimo etichettare così un conflitto perché appaiono venate di sentimenti religiosi le sue enfasi retoriche e le motivazioni esibite (non quelle reali e occulte) allora lo fu anche la Prima guerra mondiale, basterebbe leggere i discorsi di molti leader del tempo. Con questo non si sta dicendo – lo capisce anche un bambino – che la religione “non c’entra” con il tragico sommovimento che va dalle bombe in Siria ai camion lanciati contro la folla a Nizza o a Berlino, e contro persone in divisa a Gerusalemme o nel Sinari egiziano. C’entra eccome, ma, appunto, si deve comprendere in che senso, e distinguere. Usare il termine religioso come aggettivo generico e totale è “fuorviante”. Si vedrebbe, ad esempio, che accanto ai deliranti proclami di martiri «in nome di Dio» (ma che spesso le indagini mostrano mossi da ben altro) ci sono le azioni vaste e fertili di uomini di pace fatte realmente «in nome di Dio», e tra questi e prima di ogni altro papa Francesco, ben attento ai tentativi di strumentalizzazione, da chiunque vengano. Si vedrebbe che gli aerei che bombardano la Siria non lo fanno certo in nome della libertà religiosa di gruppi diversi che sino a poco fa vivevano in pace».

Il 27 dicembre 2016 il giornalista Renato Farina ha scritto: «Certo, il Papa non dice che gran parte degli eccidi sono di matrice islamica. Ce n’è bisogno? Lo sappiamo tutti. Il suo silenzio equivale a quello di Pio XII sul genocidio degli ebrei. Però opera. Così egli è perfettamente a conoscenza della realtà irachena e siriana».

L’11 novembre 2016 in un’intervista Francesco ha dichiarato: «Non ho mai pensato a guerra ed armi. Il sangue sì, può essere sparso, ma saranno eventualmente i cristiani ad essere martirizzati come sta avvenendo in quasi tutto il mondo ad opera dei fondamentalisti e terroristi dell’Isis i carnefici. Quelli sono orribili e i cristiani ne sono le vittime».

Il 26 dicembre 2016 durante l’Angelus, Papa Francesco ha detto: «Anche oggi la Chiesa, per rendere testimonianza alla luce e alla verità, sperimenta in diversi luoghi dure persecuzioni, fino alla suprema prova del martirio. Quanti nostri fratelli e sorelle nella fede subiscono soprusi, violenze e sono odiati a causa di Gesù! Io vi dico una cosa, i martiri di oggi sono in numero maggiore rispetto a quelli dei primi secoli. Quando noi leggiamo la storia dei primi secoli, qui, a Roma, leggiamo tanta crudeltà con i cristiani; io vi dico: la stessa crudeltà c’è oggi, e in numero maggiore, con i cristiani. Oggi vogliamo pensare a loro che soffrono persecuzione, ed essere vicini a loro con il nostro affetto, la nostra preghiera e anche il nostro pianto. Ieri, giorno di Natale, i cristiani perseguitati nell’Iraq hanno celebrato il Natale nella loro cattedrale distrutta: è un esempio di fedeltà al Vangelo. Nonostante le prove e i pericoli, essi testimoniano con coraggio la loro appartenenza a Cristo e vivono il Vangelo impegnandosi a favore degli ultimi, dei più trascurati, facendo del bene a tutti senza distinzione; testimoniano così la carità nella verità».

Il 09 ottobre 2016 Francesco ha nominato cardinale mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, lasciandolo però nella sua sede per non abbandonare la comunità cristiana. Il neo cardinale ha così riferito: «Questa è una porpora per tutta la Siria, per ricordare le migliaia e migliaia di vittime e la sofferenza enorme della popolazione civile».

Il 15 giugno 2016 padre Samir Khalil Samir, islamologo gesuita e già consigliere di Benedetto XVI, ha affermato che, rispetto alla violenza e agli attentati, «non serve a niente dire che questo non è islam. Io l’ho segnalato al segretario del Santo Padre. Sono stato da lui e gli ho detto: “Guardi, provi a trasmettere al Papa questo messaggio”. L’obiettivo primario della Santa Sede è riprendere un dialogo con la controparte, io capisco l’intento del Papa. Ciò è evidente se si pensa al lavorìo diplomatico che ha portato Ahmed al Tayyeb, grande imam di Azhar, a essere ricevuto in Vaticano dal Pontefice».

Il 02 maggio 2016 nella sua omelia a Santa Marta, Francesco ha parlato delle grandi persecuzioni, di cui «la storia della Chiesa è piena, che porta i cristiani nel carcere o li porta perfino a dare la vita. E’ – dice Gesù – il prezzo della testimonianza cristiana. ‘Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere culto a Dio’. Il cristiano, con la forza dello Spirito, dà testimonianza che il Signore vive, che il Signore è risorto, che il Signore è fra noi, che il Signore celebra con noi la sua morte, la sua risurrezione, ogni volta che ci accostiamo all’altare. Anche il cristiano dà testimonianza, aiutato dallo Spirito, nella sua vita quotidiana, col suo modo di agire. E’ la testimonianza continua del cristiano. Ma tante volte questa testimonianza provoca attacchi, provoca persecuzioni».

Il 24 aprile 2016 durante l’Udienza generale, Papa Francesco ha affermato: «È sempre viva in me la preoccupazione per i fratelli vescovi, sacerdoti e religiosi, cattolici e ortodossi, sequestrati da molto tempo in Siria. Dio Misericordioso tocchi il cuore dei rapitori e conceda quanto prima a quei nostri fratelli di essere liberati e poter tornare alle loro comunità. Per questo vi invito tutti a pregare, senza dimenticare le altre persone rapite nel mondo».

Il 02 aprile 2014 padre Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) e direttore di Asianews, ha replicato indirettamente a coloro che accusano Francesco di non citare mai il caso di Asia Bibi: «Sappiamo della grande sofferenza che sta vivendo, ma sappiamo anche che tutte le volte che abbiamo fatto una campagna per chiedere la sua liberazione, ci sono stati gruppi di fondamentalisti che hanno protestato, chiedendo la sua immediata esecuzione. Per questo motivo, la chiesa locale invita ad essere cauti nel tenere manifestazioni a sostegno di Asia Bibi, così come raccolte firme o campagne per la sua liberazione, perché si rischia di creare reazioni negative dei fondamentalisti, impossibili poi da controllare. Asia Bibi sa che tutti i cristiani del mondo, il Papa in prima persona, la sostengono».

Il 19 marzo 2016 nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco ha scritto: «Le persecuzioni dei cristiani, come anche quelle di minoranze etniche e religiose, in diverse parti del mondo, specialmente in Medio Oriente, rappresentano una grande prova: non solo per la Chiesa, ma anche per l’intera comunità internazionale. Ogni sforzo va sostenuto per favorire la permanenza di famiglie e comunità cristiane nelle loro terre di origine».

Il 28 marzo 2016 durante l’angelus domenicale, Papa Francesco ha condannato gli attentati in Pakistan: «ieri, nel Pakistan centrale, la Santa Pasqua è stata insanguinata da un esecrabile attentato, che ha fatto strage di tante persone innocenti, per la maggior parte famiglie della minoranza cristiana – specialmente donne e bambini – raccolte in un parco pubblico per trascorrere nella gioia la festività pasquale. Desidero manifestare la mia vicinanza a quanti sono stati colpiti da questo crimine vile e insensato, e invito a pregare il Signore per le numerose vittime e per i loro cari. Faccio appello alle Autorità civili e a tutte le componenti sociali di quella Nazione, perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza e serenità alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili. Ripeto ancora una volta che la violenza e l’odio omicida conducono solamente al dolore e alla distruzione; il rispetto e la fraternità sono l’unica via per giungere alla pace. La Pasqua del Signore susciti in noi, in modo ancora più forte, la preghiera a Dio affinché si fermino le mani dei violenti, che seminano terrore e morte, e nel mondo possano regnare l’amore, la giustizia e la riconciliazione. Preghiamo tutti per i morti di questo attentato, per i familiari, per le minoranze cristiane e etniche di quella Nazione: Ave o Maria…».

Il 02 dicembre 2015 durante l’udienza generale, Francesco ha detto: «In questo contesto così drammaticamente attuale ho avuto la gioia di portare la parola di speranza di Gesù: “Siate saldi nella fede, non abbiate paura”. Questo era il motto della visita in Africa. Una parola che viene vissuta ogni giorno da tante persone umili e semplici, con nobile dignità; una parola testimoniata in modo tragico ed eroico dai giovani dell’Università di Garissa, uccisi il 2 aprile scorso perché cristiani. Il loro sangue è seme di pace e di fraternità per il Kenia, per l’Africa e per il mondo intero».

Il 30 novembre 2015 durante l’incontro con la comunità musulmana nel suo viaggio in Africa, Papa Francesco ha fatto riferimento agli attentati in Francia di qualche settimana prima, affermando: «Tra cristiani e musulmani siamo fratelli. Dobbiamo dunque considerarci come tali, comportarci come tali. Sappiamo bene che gli ultimi avvenimenti e le violenze che hanno scosso il vostro Paese non erano fondati su motivi propriamente religiosi. Chi dice di credere in Dio dev’essere anche un uomo o una donna di pace. Cristiani, musulmani e membri delle religioni tradizionali hanno vissuto pacificamente insieme per molti anni. Dobbiamo dunque rimanere uniti perché cessi ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il Volto di Dio e ha in fondo lo scopo di difendere con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune. Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio. Dio è pace, Dio salam».

Il 05 novembre 2015 il card. Mar Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti del Libano, ha spiegato: «Per prima cosa che la guerra cessi perché a causa del conflitto sia i cristiani che i musulmani moderati emigrano e se ne vanno. Il Medio Oriente si sta svuotando e si lascia campo libero a fondamentalisti e organizzazioni terroristiche. Il secondo è che ci sia un appello forte perché cessi la guerra. Gli Stati non ne parlano, gli unici appelli li fa il papa Francesco».

Il 05 novembre 2015 nel messaggio in occasione del Global Christian Forum, Francesco ha affermato: «desidero salutare i nostri fratelli e sorelle delle diverse tradizioni Cristiane, che rappresentano comunità che soffrono per la loro fede in Gesù Cristo, Nostro Signore e Salvatore. Penso con grande tristezza alla crescente discriminazione e persecuzione dei cristiani del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia e di altri luoghi nel mondo. La vostra riunione dimostra che, come Cristiani, non siamo indifferenti alle sofferenze dei fratelli e delle sorelle. In diverse parti del mondo, la testimonianza di Cristo, talvolta fino all’effusione del sangue, è divenuta un’esperienza comune di Cattolici, Ortodossi, Anglicani, Protestanti, Evangelici e Pentecostali, che è molto più profonda e forte delle differenze che ancora separano le nostre Chiese e comunità ecclesiali. La communio martyrum è il segno più evidente del nostro cammino comune. Allo stesso tempo, la vostra riunione darà voce alle vittime di tale ingiustizia e violenza, e cercherà di mostrare la via che guiderà la famiglia umana fuori da questa tragica situazione».

Il 16 ottobre 2015 durante l’intervista concessa a “Paris Match”, Francesco ha affermato: «I cristiani sono cittadini a pieno titolo di quei paesi, sono presenti come seguaci di Gesù da due millenni, pienamente inseriti in quei contesti culturali, nella storia dei loro popoli. Abbiamo il dovere umano e cristiano di agire di fronte all’emergenza».

Il 28 ottobre 2015 durante l’Udienza generale interreligiosa, Francesco ha affermato: «Penso in particolare ai musulmani, che – come ricorda il Concilio – «adorano il Dio unico, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini» (Nostra ætate, 5). Essi si riferiscono alla paternità di Abramo, venerano Gesù come profeta, onorano la sua Madre vergine, Maria, attendono il giorno del giudizio, e praticano la preghiera, le elemosine e il digiuno (cfr ibid.). Il dialogo di cui abbiamo bisogno non può che essere aperto e rispettoso, e allora si rivela fruttuoso. Il rispetto reciproco è condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso: rispettare il diritto altrui alla vita, all’integrità fisica, alle libertà fondamentali, cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione».

L’14 ottobre 2015 il patriarca Louis Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, ha invitato l’alleanza tra cristiani e musulmani: «È innanzitutto necessario formare una coalizione internazionale con i Paesi arabi e musulmani nell’ambito di un mandato delle Nazioni Unite per intraprendere un’azione militare seria volta a liberare le aree occupate dai gruppi terroristici e ripristinare la stabilità politica, securitaria, economica e un buon vicinato. I musulmani nel mondo devono assumersi le proprie responsabilità di fronte al terrorismo che si ammanta della religione per ottenere potere e denaro. I capi religiosi devono affrettarsi a decostruire questo pensiero takfirista che costituisce una minaccia diretta per i musulmani, per i cristiani e non solo. Infine, sarà importante promulgare una legge che garantisca il rispetto di tutte le religioni e punisca chi compie atti che offendono la religione e le cose sacre, le forme di discriminazione, e l’istigazione all’odio e alla divisione, sull’esempio di quanto recentemente fatto dagli Emirati Arabi». Ricordiamo che Sako è molto stimato da coloro, come Antonio Socci, che accusano l’intero mondo musulmano di complicità con l’Isis.

L’20 maggio 2015 durante l’Udienza generlae Francesco ha detto: «La Conferenza Episcopale Italiana ha proposto che nelle Diocesi, in occasione della Veglia di Pentecoste, si ricordino tanti fratelli e sorelle esiliati o uccisi per il solo fatto di essere cristiani. Sono martiri. Auspico che tale momento di preghiera accresca la consapevolezza che la libertà religiosa è un diritto umano inalienabile, aumenti la sensibilizzazione sul dramma dei cristiani perseguitati nel nostro tempo e che si ponga fine a questo inaccettabile crimine».

L’30 maggio 2015 Joseph Nadeem, che provvede dell’assistenza legale di Asia Bibi, ha affermato tornando dal tour europeo per sensibilizzare i governi e l’opinione pubblica: «Siamo andati a trovare Asia in carcere a Multan giovedì scorso. Sta abbastanza bene ma è molto debole. In questi giorni ha avuto leggeri malanni. Le abbiamo raccontato del nostro viaggio e le abbiamo portato la benedizione del Papa. Asia era commossa e felice. Continua ad aspettare e sperare, con fede, per la sua liberazione».

L’19 maggio 2015 durante la Messa a Santa Marta, Francesco ha detto: «Pensiamo oggi a quei poveri Rohingya del Myanmar. Al momento di lasciare la loro terra per fuggire dalle persecuzioni non sapevano cosa sarebbe accaduto loro. E da mesi sono in barca, lì… Arrivano in una città, dove danno loro acqua, cibo, e dicono: ‘andatevene via’. E’ un congedo. Tra l’altro, oggi accade questo congedo esistenziale grande. Pensate al congedo dei cristiani e degli yazidi, che pensano di non tornare più nella loro terra, perché cacciati via dalle loro case. Oggi».

L’11 maggio 2015 durante la Messa a Santa Marta, Francesco ha detto: «Oggi siamo testimoni di questi che uccidono i cristiani in nome di Dio, perché sono miscredenti, secondo loro. Questa è la Croce di Cristo: ‘Faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me’. ‘Questo che è accaduto a me – dice Gesù – accadrà anche a voi – le persecuzioni, le tribolazioni – ma per favore non scandalizzatevi; sarà lo Spirito a guidarci e a farci capire’». Ha quindi ricordato il colloquio telefonico avuto il giorno prima col Patriarca copto Tawadros, «io ricordavo i suoi fedeli, che sono stati sgozzati sulla spiaggia perché cristiani. Questi fedeli, per la forza che ha dato loro lo Spirito Santo, non si sono scandalizzati. Morivano col nome di Gesù sulle labbra. E’ la forza dello Spirito. La testimonianza. E’ vero, questo è proprio il martirio, la testimonianza suprema”».

Il 22 aprile 2015 il vaticanista Sandro Magister ha elogiato Francesco per la schiettezza con cui difende i cristiani perseguitati, contrapponendogli mons. Galantino accusato di essere “politicamente corretto”. Lo stesso è stato fatto su Il Foglio.

Il 21 aprile 2015 nella lettera al patriarca della chiesa ortodosso-etiopica, Francesco ha scritto: «Con grande costernazione e dolore, ho appreso la notizia dell’ennesima violenza perpetrata contro innocenti cristiani in Libia. So che Vostra Santità soffre profondamente per le atrocità di cui sono vittima i suoi amati fedeli, uccisi per il solo fatto di essere seguaci di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Mi rivolgo a Lei nella più sentita solidarietà, per assicurarLa della mia vicinanza nella preghiera davanti al continuo martirio che viene inflitto in modo così crudele a cristiani in Africa, in Medio Oriente ed in alcune regioni dell’Asia. Non fa alcuna differenza che le vittime siano cattolici, copti, ortodossi o protestanti. Il loro sangue è uno medesimo nella loro confessione di Cristo! Il sangue dei nostri fratelli e delle nostre sorelle cristiani è una testimonianza che grida per farsi sentire da tutti coloro che sanno ancora distinguere tra bene e male. E questo grido deve essere ascoltato soprattutto da coloro che hanno nelle mani il destino dei popoli».

Il 21 aprile 2015 durante la messa a Santa Marta, Francesco ha affermato: «In questi giorni, quanti Stefani ci sono nel mondo! Pensiamo ai nostri fratelli sgozzati sulla spiaggia della Libia; pensiamo a quel ragazzino bruciato vivo dai compagni perché cristiano; pensiamo a quei migranti che in alto mare sono buttati in mare dagli altri, perché cristiani; pensiamo – l’altro ieri – a quegli etiopi, assassinati perché cristiani … e tanti altri. E tanti altri che noi non sappiamo, che soffrono nelle carceri, perché cristiani … Oggi la Chiesa è Chiesa di martiri: loro soffrono, loro danno la vita e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza. Uniamoci a Gesù nell’Eucaristia, e uniamoci a tanti fratelli e sorelle che soffrono il martirio della persecuzione, della calunnia e dell’uccisione per essere fedeli all’unico pane che sazia, cioè a Gesù».

Il 12 aprile 2015 nel saluto ai fratelli armeni, Francesco ha detto: «In diverse occasioni ho definito questo tempo un tempo di guerra, una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione. Purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra».

Il 6 aprile 2015 Francesco ha detto: «ono lieto di accogliere la delegazione del Movimento Shalom, che è arrivata all’ultima tappa della staffetta solidale per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle persecuzioni dei cristiani nel mondo. Il vostro itinerario sulle strade è finito, ma deve continuare da parte di tutti il cammino spirituale di preghiera intensa, di partecipazione concreta e di aiuto tangibile in difesa e protezione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perseguitati, esiliati, uccisi, decapitati per il solo fatto di essere cristiani. Loro sono i nostri martiri di oggi, e sono tanti, possiamo dire che sono più numerosi che nei primi secoli. Auspico che la Comunità Internazionale non assista muta e inerte di fronte a tale inaccettabile crimine, che costituisce una preoccupante deriva dei diritti umani più elementari. Auspico veramente che la Comunità Internazionale non volga lo sguardo dall’altra parte».

Il 6 aprile 2015 Asia Bibi ha approvato il viaggio che suo marito Ashiq Masih e una delle sue figlie hanno intrapreso in Europa per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sua carcerazione con queste parole: «Quando bacerete la mano del Papa, fatelo anche per me. Quello sarà il mio bacio. E chiedetegli una benedizione».

Il 5 aprile 2015 nella domenica di Pasqua, Francesco ha affermato: «A Gesù vittorioso domandiamo di alleviare le sofferenze dei tanti nostri fratelli perseguitati a causa del Suo nome, come pure di tutti coloro che patiscono ingiustamente le conseguenze dei conflitti e delle violenze in corso. Ce ne sono tante!».

Il 16 marzo 2015 Shahid Mobeen, docente di Pensiero e religione islamica alla Pontificia università lateranense e all’Urbaniana e fondatore dell’associazione dei pachistani cristiani in Italia ha risposto alle critiche che riceve Papa Francesco secondo le quali dovrebbe fare di più per i cristiani perseguitati: «Non condivido questa critica. Personalmente, come pachistano cattolico, mi sento rappresentato dal pontificato e ringrazio Francesco per quanto sta facendo […]. Francesco, dopo Benedetto, ha per la prima volta chiamato il problema col suo nome, ha detto ciò che tutti dovrebbero dire: in Pakistan i cristiani sono perseguitati per la loro fede».

Il 29 marzo 2015 durante la celebrazione della Domenica delle Palme, Francesco ha detto: «Pensiamo anche all’umiliazione di quanti per il loro comportamento fedele al Vangelo sono discriminati e pagano di persona. E pensiamo ai nostri fratelli e sorelle perseguitati perché cristiani, i martiri di oggi – ce ne sono tanti – non rinnegano Gesù e sopportano con dignità insulti e oltraggi».

Il 03 aprile 2015 il giornalista ratzingeriano Vittorio Messori è intervenuto affermando: «in certi settori ecclesiali c’è malcontento verso papa Francesco, sospettato di reagire in modo tiepido, timido, a questa mattanza di figli della Chiesa di cui pure è pastore. Verità imporrebbe di riconoscere che il rimprovero non sembra giustificato: in effetti, qualcuno ha potuto compilare una sorta di antologia delle denunce al proposito del pontefice. E’ comunque curioso: proprio coloro che lodano (e giustamente) la prudenza di Pio XII verso coloro che seguivano il Mein Kampf, si lagnano della prudenza del suo attuale successore soprattutto verso coloro che seguono, fino alle estreme conseguenze, un altro libro, il Corano. Il realismo cattolico ha portato i papi a firmare concordati con Napoleone, con Mussolini, con Hitler, e con molti altri tiranni. E’ lo stesso realismo che li ha indotti poi a una Ost Politik che scandalizzava i puri e duri dell’anticomunismo, che ha portato Giovanni XXIII a negoziare con i sovietici il silenzio del Concilio sul comunismo in cambio di una mitigazione della persecuzione e che porta ora Bergoglio a non ignorare il problema, ma a muoversi con prudenza obbligata. Obbligata, certo, come fu sempre quella ecclesiale coi tanti persecutori della storia: non dimenticare ma, al contempo, tutelare le pecorelle minacciate dai lupi, cercando di porre limite alla loro ferocia o con trattati o, almeno, non eccedendo con la protesta pubblica. Facili, edificanti, virtuose le altisonanti denunce al riparo delle mura vaticane. Non altrettanto benvenute per chi debba poi, in lontani Paesi, subirne la conseguenze».

Il 15 marzo 2015 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: «Con dolore, con molto dolore, ho appreso degli attentati terroristici di oggi contro due chiese nella città Lahore in Pakistan, che hanno provocato numerosi morti e feriti. Sono chiese cristiane. I cristiani sono perseguitati. I nostri fratelli versano il sangue soltanto perché sono cristiani. Mentre assicuro la mia preghiera per le vittime e per le loro famiglie, chiedo al Signore, imploro dal Signore, fonte di ogni bene, il dono della pace e della concordia per quel Paese. Che questa persecuzione contro i cristiani, che il mondo cerca di nascondere, finisca e ci sia la pace».

Il 02 marzo 2015 l’arcivescovo Jacques Behnan Hindo, capo dell’arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi ha spiegato che i capi delle Chiese e delle comunità locali cercano di tenere aperti i contatti e i negoziati con i miliziani dell’Is attraverso la mediazione di alcuni leader tribali musulmani locali. Se lo scrittore Antonio Socci accusa il Vaticano di non “tuonare” contro l’Islam, mons. Behnan Hindo, fisicamente a fianco dei cristiani perseguitati, ha affermato: «Il momento è delicato e ogni iniziativa o parola non calibrata e presa senza ponderazione può aumentare i rischi per tutti».

Il 02 marzo 2015 nella lettera ai vescovi nigeriani, Francesco ha scritto: «Credenti, sia cristiani che musulmani, sono stati accomunati da una tragica fine, per mano di persone che si proclamano religiose, ma che abusano della religione per farne una ideologia da piegare ai propri interessi di sopraffazione e di morte».

Il 02 marzo 2015 incontrando i vescovi del Nord Africa, ha affermato: (qui una traduzione) «mi unisco ai fedeli delle vostre diocesi del Nord dell’Africa. Portate loro l’affetto del Papa e la certezza che egli resta vicino a loro e li incoraggia nella generosa testimonianza che rendono al Vangelo di pace e di amore di Gesù. Vorrei in particolare rendere omaggio al coraggio, alla fedeltà e alla perseveranza dei Vescovi in Libia, come pure dei sacerdoti, delle persone consacrate e dei laici che rimangono nel Paese nonostante i molteplici pericoli. Sono autentici testimoni del Vangelo. Li ringrazio vivamente, e vi incoraggio tutti a proseguire i vostri sforzi per contribuire alla pace e alla riconciliazione in tutta la vostra regione».

Il 01 marzo 2015 durante l’Angelus Papa Francesco ha detto: «non cessano, purtroppo, di giungere notizie drammatiche dalla Siria e dall’Iraq, relative a violenze, sequestri di persona e soprusi a danno di cristiani e di altri gruppi. Vogliamo assicurare a quanti sono coinvolti in queste situazioni che non li dimentichiamo, ma siamo loro vicini e preghiamo insistentemente perché al più presto si ponga fine all’intollerabile brutalità di cui sono vittime. Insieme ai membri della Curia Romana ho offerto secondo questa intenzione l’ultima Santa Messa degli Esercizi Spirituali, venerdì scorso. Nello stesso tempo chiedo a tutti, secondo le loro possibilità, di adoperarsi per alleviare le sofferenze di quanti sono nella prova, spesso solo a causa della fede che professano. Preghiamo per questi fratelli e queste sorelle che soffrono per la fede in Siria e in Iraq…. Preghiamo in silenzio…».

Il 17 febbraio 2015 prima della messa a Santa Marta, Papa Francesco ha chiesto: «Offriamo questa Messa per i nostri 21 fratelli copti, sgozzati per il solo motivo di essere cristiani. Preghiamo per loro che il Signore come martiri li accolga, per le loro famiglie, per il mio fratello Tawadros, che soffre tanto».

Il 16 febbraio 2015 nel discorso al moderatore della Chiesa di Scozia, Francesco ha affermato: «oggi ho potuto leggere dell’esecuzione di quei ventuno o ventidue cristiani copti. Dicevano solamente: “Gesù aiutami!”. Sono stati assassinati per il solo fatto di essere cristiani. Lei, fratello, nel suo discorso ha fatto riferimento a quello che succede nella terra di Gesù. Il sangue dei nostri fratelli cristiani è una testimonianza che grida. Siano cattolici, ortodossi, copti, luterani non importa: sono cristiani! E il sangue è lo stesso. Il sangue confessa Cristo. Ricordando questi fratelli che sono morti per il solo fatto di confessare Cristo, chiedo di incoraggiarci l’un l’altro ad andare avanti con questo ecumenismo, che ci sta dando forza, l’ecumenismo del sangue. I martiri sono di tutti i cristiani».

Il 06 febbraio 2015 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha affermato: «penso ai nostri martiri, ai martiri dei nostri giorni, quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati. E questa non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo. Ci farà bene pensare ai nostri martiri. Oggi pensiamo a Paolo Miki, ma quello è successo nel 1600. Pensiamo a quelli di oggi! Del 2015».

Nel febbraio 2015 una delle massime autorità religiose musulmane, Ahmed Al Tayeb ha attaccato l’Isis parlando di  “organizzazione terrorista satanica”.

Il 30 gennaio 2015 durante il discorso alla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico, Francesco ha affermato: «In questo momento, in maniera particolare, noi condividiamo la costernazione e il dolore per quanto accade in Medio Oriente, specialmente in Iraq e in Siria. Ricordo tutti gli abitanti della regione, compresi i nostri fratelli cristiani e molte minoranze, che vivono le conseguenze di un estenuante conflitto. Insieme a voi prego ogni giorno affinché si trovi presto una soluzione negoziata, supplicando la bontà e la pietà di Dio per quanti che sono colpiti da questa immensa tragedia. Tutti i cristiani sono chiamati a lavorare insieme in mutua accettazione e fiducia per servire la causa della pace e della giustizia. Possano l’intercessione e l’esempio di molti martiri e santi, che hanno dato coraggiosa testimonianza di Cristo in tutte le nostre Chiese, sostenere e rafforzare voi e le vostre comunità cristiane».

Il 27 gennaio 2015 l’arcivescovo Metropolita di Aleppo, mons. Jean-Clément Jeanbart ha spiegato che «la religione c’entra solo perché alcuni hanno tentato di coprire gli interessi economici con quelli presunti religiosi. Questo non corrisponde alla realtà. Io ho rapporti con tantissimi esponenti religiosi, anche autorevoli, dell’islam. Nessuno è convinto che in nome di Dio si possa uccidere. E’ la violenza di pochi che prevale sulla volontà alla pace di molti».

Il 24 gennaio 2015 mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha spiegato cosa si intenda per “dialogare con i terroristi”: «Qui il realismo del Papa ci aiuta molto. (…) Il dialogo sì, sempre, ma  non significa mettersi di fronte all’altro e necessariamente aspettare che lui impari la mia lingua quando la sua è soltanto orientata, sintonizzata sulla violenza e sul sopruso. Bisogna che io trovi tutti i mezzi possibili e necessari perché l’altro capisca che il suo linguaggio è sbagliato, che sta portando morte».

Il 21 gennaio 2015 durante l’udienza generale, Francesco ha invitato a «pregare insieme per le vittime delle manifestazioni di questi ultimi giorni nell’amato Niger. Sono state fatte brutalità verso i cristiani, i bambini e le chiese. Invochiamo dal Signore il dono della riconciliazione e della pace, perché mai il sentimento religioso diventi occasione di violenza, di sopraffazione e di distruzione. Non si può fare la guerra in nome di Dio! Auspico che quanto prima si possa ristabilire un clima di rispetto reciproco e di pacifica convivenza per il bene di tutti».

Il 15 gennaio 2015 il francescano custode di Terrasanta, padre Pierbattista Pizzaballa, ha spiegatore: «Il Papa ha uno sguardo d’assieme sulla realtà mondiale che pochi altri possono avere. Ha colto il cambiamento epocale e, in esso, la violenza che lo abita come nocciolo. Il fanatismo, il dire io sono nel giusto; o diventi come noi, o devi sparire. Poi, a seconda delle situazioni, si avrà in Medio Oriente l’Isis e in Africa Boko Haram. È un ritorno al punto più buio di secoli passati».

Il 13 gennaio 2015 durante il suo viaggio in Sri Lanka e Filippine, Francesco ha affermato: «Per il bene della pace, non si deve permettere che le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza o della guerra. Dobbiamo essere chiari e non equivoci nell’invitare le nostre comunità a vivere pienamente i precetti di pace e convivenza presenti in ciascuna religione e denunciare gli atti di violenza quando vengono commessi».

Il 12 gennaio 2015 nel discorso al corpo diplomatico presso la Santa Sede, Francesco ha affermato: «Il pensiero corre subito al Pakistan, dove un mese fa oltre cento bambini sono stati trucidati con inaudita ferocia. Alle loro famiglie desidero rinnovare il mio personale cordoglio e l’assicurazione della mia preghiera per i tanti innocenti che hanno perso la vita». Ha ricordato anche «la tragica strage avvenuta a Parigi alcuni giorni fa». Accade questo perché «l’essere umano da libero diventa schiavo, ora delle mode, ora del potere, ora del denaro, talvolta perfino di forme fuorviate di religione […]. Il Medio Oriente è purtroppo attraversato anche da altri conflitti, che si protraggono ormai da troppo tempo e i cui risvolti sono agghiaccianti anche per il dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista in Siria ed in Iraq. Tale fenomeno è conseguenza della cultura dello scarto applicata a Dio. Il fondamentalismo religioso, infatti, prima ancora di scartare gli esseri umani perpetrando orrendi massacri, rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico. Di fronte a tale ingiusta aggressione, che colpisce anche i cristiani e altri gruppi etnici e religiosi della Regione – gli yazidi, per esempio – occorre una risposta unanime che, nel quadro del diritto internazionale, fermi il dilagare delle violenze, ristabilisca la concordia e risani le profonde ferite che il succedersi dei conflitti ha provocato. Nel sollecitare la comunità internazionale a non essere indifferente davanti a tale situazione, auspico che i leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani, condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza».

L’8 gennaio 2015 è intervenuto il prof. Massimo Introvigne, vice-responsabile nazionale di Alleanza Cattolica e coordinatore dell’Osservatorio della libertà religiosa, spiegando: «sbagliano i politicanti estremisti e sciacalli di tutte le risme, i quali sperano di lucrare su queste tragedie per fare i martiri con il sangue degli altri alla ricerca di un miserabile tornaconto elettorale, o per arruolare anche i poveri morti di Parigi in rese dei conti ecclesiastiche che hanno di mira Papa Francesco, accusato di inventare un dialogo con l’islam che invece già Benedetto XVI in un discorso del 28 novembre 2006 definiva “non opzionale”, cioè obbligatorio. Sbagliano i buonisti per cui i terroristi “non sono islamici” ma sbagliano anche i “cattivisti” per cui tutti gli islamici sono terroristi». Invece «la “strategia Francesco” che Papa Bergoglio ha più volte proposto di fronte alle stragi dell’ISIS è l’unico modo ragionevole di rispondere alla criminale follia dei terroristi. Non è spegnendo la luce del dialogo e strillando in piazza slogan contro l’Islam che si disinnesca l’ultra-fondamentalismo assassino. Al contrario, lo si alimenta. E’ solo trovando interlocutori islamici disposti non a rinnegare la propria storia e la propria identità ma a cercare al loro interno le ragioni per condannare e isolare i terroristi che gli assassini potranno essere davvero sconfitti. È la strategia di Papa Francesco, era la vera strategia di Papa Benedetto. È la strategia più difficile. Ma non ce ne sono altre».

Il 7 gennaio 2015 un gruppo di prominenti imam francesi ha assistito all’udienza generale di Papa Francesco. Raggiunti dalla notizia dell’attentato al settimanale satirico Charlie Hebdo da parte di terroristi musulmani, hanno subito condannato i fatti: «E’ necessario che la comunità musulmana si ribelli» per esprimere il suo «disgusto» di fronte al fatto che «la maggioranza silenziosa si vede presa in ostaggio da dei folli». Allo stesso modo ha fatto l’Unione delle moschee francesi parlando di «attentato vile, criminale e imperdonabile», poiché «nulla, assolutamente nulla, può giustificare o scusare questo crimine». E’ evidente che il mondo musulmano non c’entra nulla con il fondamentalismo dell’Is e Francesco, correttamente, scinde l’islam dai fomentatori di odio.

Il 3 gennaio 2015 è stato recensito il saggio di Angela Lano, giornalista e saggista esperta di islam, nel quale la studiosa spiega che per l’Is il mondo non si riduce più a “musulmani” e “non credenti” (cristiani, ebrei, buddisti, atei, ecc.), ma a “credenti veri” (loro) e “miscredenti” (tutti gli altri, musulmani compresi). Il che dà l’idea della profondità della faglia apertasi con l’affermazione militare ed economica dello Stato islamico. Per questo l’Is rappresenta una minaccia anche per l’islam più autentico e pacifico e per questo non ha senso accusare l’islam del terrorismo verso i cristiani ed è più sensato parlare di fondamentalismo religioso, come ha optato -anche in segno ecumenico- Papa Francesco.

Il 3 gennaio 2015 lo storico Franco Cardini ha spiegato che gli jihadisti non «rappresentano il nuovo volto dell’Islam. Ci sono un miliardo e mezzo di musulmani nel mondo e gli integralisti sono una minima parte. Certo potrebbe aumentare, ma, pur essendo l’Islam come l’ebraismo una religione di “Legge”, cioè finalizzata alla realizzazione della giustizia divina e non della pace in senso stretto tra gli uomini, non vedo i presupposti per una sua trasformazione globale in senso estremista». L’osservazione è giusta e questo aiuta a spiegare perché Francesco abbia tentato di evitare il più possibile di accusare l’islam del massacro dei cristiani, preferendo parlare di fondamentalismi religiosi in generale.

Il 21 dicembre 2014 Francesco ha inviato una lunga lettera ai cristiani del Medio Oriente, scrivendo: «Lo faccio nell’imminenza del Santo Natale, sapendo che per molti di voi alle note dei canti natalizi si mescoleranno le lacrime e i sospiri […]. L’afflizione e la tribolazione non sono mancate purtroppo nel passato anche prossimo del Medio Oriente. Esse si sono aggravate negli ultimi mesi a causa dei conflitti che tormentano la Regione, ma soprattutto per l’operato di una più recente e preoccupante organizzazione terrorista, di dimensioni prima inimmaginabili, che commette ogni sorta di abusi e pratiche indegne dell’uomo, colpendo in modo particolare alcuni di voi che sono stati cacciati via in maniera brutale dalle proprie terre, dove i cristiani sono presenti fin dall’epoca apostolica. Nel rivolgermi a voi, non posso dimenticare anche altri gruppi religiosi ed etnici che pure subiscono la persecuzione e le conseguenze di tali conflitti. Seguo quotidianamente le notizie dell’enorme sofferenza di molte persone nel Medio Oriente. Penso specialmente ai bambini, alle mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, a quanti patiscono la fame, a chi deve affrontare la durezza dell’inverno senza un tetto sotto il quale proteggersi. Questa sofferenza grida verso Dio e fa appello all’impegno di tutti noi, nella preghiera e in ogni tipo di iniziativa. A tutti voglio esprimere la vicinanza e la solidarietà mia e della Chiesa, e offrire una parola di consolazione e di speranza […].  Ricordo con affetto e venerazione i Pastori e i fedeli ai quali negli ultimi tempi è stato chiesto il sacrificio della vita, spesso per il solo fatto di essere cristiani. Penso anche alle persone sequestrate, tra cui alcuni Vescovi ortodossi e sacerdoti dei diversi Riti. Possano presto tornare sane e salve nelle loro case e comunità! Chiedo a Dio che tanta sofferenza unita alla croce del Signore dia frutti di bene per la Chiesa e per i popoli del Medio Oriente […].  Le sofferenze patite dai cristiani portano un contributo inestimabile alla causa dell’unità. E’ l’ecumenismo del sangue, che richiede fiducioso abbandono all’azione dello Spirito Santo. […]. Il vostro sforzo di collaborare con persone di altre religioni, con gli ebrei e con i musulmani, è un altro segno del Regno di Dio. Il dialogo interreligioso è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada. Il dialogo basato su un atteggiamento di apertura, nella verità e nell’amore, è anche il migliore antidoto alla tentazione del fondamentalismo religioso, che è una minaccia per i credenti di tutte le religioni. Il dialogo è al tempo stesso un servizio alla giustizia e una condizione necessaria per la pace tanto desiderata. La maggior parte di voi vive in un ambiente a maggioranza musulmana. Potete aiutare i vostri concittadini musulmani a presentare con discernimento una più autentica immagine dell’Islam, come vogliono tanti di loro, i quali ripetono che l’Islam è una religione di pace e può accordarsi con il rispetto dei diritti umani e favorire la convivenza di tutti. Sarà un bene per loro e per l’intera società. La situazione drammatica che vivono i nostri fratelli cristiani in Iraq, ma anche gli yazidi e gli appartenenti ad altre comunità religiose ed etniche, esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte di tutti i responsabili religiosi, per condannare in modo unanime e senza alcuna ambiguità tali crimini e denunciare la pratica di invocare la religione per giustificarli […]. Continueremo ad aiutarvi con la preghiera e con gli altri mezzi a disposizione. Nello stesso tempo continuo a esortare la Comunità internazionale a venire incontro ai vostri bisogni e a quelli delle altre minoranze che soffrono; in primo luogo, promuovendo la pace mediante il negoziato e il lavoro diplomatico, cercando di arginare e fermare quanto prima la violenza che ha causato già troppi danni. […]. Ogni giorno prego per voi e per le vostre intenzioni. Vi ringrazio perché so che voi, nelle vostre sofferenze, pregate per me e per il mio servizio alla Chiesa. Spero tanto di avere la grazia di venire di persona a visitarvi e confortarvi».

Il 6 dicembre 2014 il vaticanista John L. Allen è entrato nel merito delle accuse a Francesco sui suoi “silenzi” verso Asia Bibi, la cristiana incarcerata in Pakistan per un’assurda accusa di blasfemia. «Tuttavia, papi e funzionari del Vaticano hanno sempre pesato le parole con attenzione, per paura che dire qualcosa di provocatorio possa peggiorare le cose. In questo contesto si apprezza il fatto che il Vaticano possa preferire di operare dietro le quinte».

Il 30 novembre 2014 nella conferenza stampa durante il ritorno dal viaggio in Turchia, Papa Francesco ha affermato: «Sull’islamofobia: è vero che davanti a questi atti terroristici, non solo in questa zona ma anche in Africa, c’è una reazione e si dice: “Se questo è l’islam, mi arrabbio!”. E tanti islamici sono offesi, tanti, tanti islamici. Dicono: “No, noi non siamo questo. Il Corano è un libro di pace, è un libro profetico di pace. Questo non è islam”. Io capisco questo e credo che – almeno io credo, sinceramente – che non si possa dire che tutti gli islamici sono terroristi: non si può dire. Come non si può dire che tutti i cristiani sono fondamentalisti, perché anche noi ne abbiamo, in tutte le religioni ci sono questi gruppetti. Io ho detto al Presidente [Erdogan]: “Sarebbe bello che tutti i leader islamici – siano leader politici, leader religiosi o leader accademici – parlino chiaramente e condannino quegli atti, perché questo aiuterà la maggioranza del popolo islamico a dire “no”; ma davvero, dalla bocca dei suoi leader: il leader religioso, il leader accademico, tanti intellettuali, e i leader politici”. Questa è stata la mia risposta. Perché noi tutti abbiamo bisogno di una condanna mondiale, anche da parte degli islamici, che hanno quella identità e che dicano: “Noi non siamo quelli. Il Corano non è questo”. Questa è la prima cosa. Cristianofobia: è vero! Non voglio usare parole un po’ addolcite, no. Noi cristiani, ci cacciano via dal Medio Oriente. Alcune volte, come abbiamo visto in Iraq, nella zona di Mosul, devono andarsene e lasciare tutto, o pagare la tassa, che poi non serve… E altre volte ci cacciano via con i guanti bianchi. Per esempio, in uno Stato, una coppia, il marito vive qua, la donna vive là… No, che il marito venga a vivere con la donna. No, no: che la donna lasci e lasci libera la casa. Questo succede in alcuni Paesi. E’ come se volessero che non ci siano più cristiani, che non rimanga niente di cristiano. In quella zona c’è questo. E’ vero, è un effetto del terrorismo, nel primo caso, ma quando si fa diplomaticamente, con i guanti bianchi, è perché c’è un’altra cosa dietro, e questo non è buono […]. Tornando ai due primi aspetti, soprattutto a quello dell’islamofobia, dobbiamo sempre distinguere qual è la proposta di una religione dall’uso concreto che di quella proposta fa un determinato governo. Forse dice: “Io sono islamico – io sono ebreo – io sono cristiano”. Ma tu governi il tuo Paese non come islamico, non come ebreo, non come cristiano. C’è un abisso. Bisogna fare questa distinzione, perché tante volte si usa il nome, ma la realtà non è quella della religione».

Il 25 novembre 2014 nel discorso al Parlamento Europeo, Francesco ha ricordato «le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti».

Il 12 novembre 2014, al termine dell’Udienza generale, Francesco ha affermato: «Con grande trepidazione seguo le drammatiche vicende dei cristiani che in varie parti del mondo sono perseguitati e uccisi a motivo del loro credo religioso. Sento il bisogno di esprimere la mia profonda vicinanza spirituale alle comunità cristiane duramente colpite da un’assurda violenza che non accenna a fermarsi, mentre incoraggio i Pastori e i fedeli tutti ad essere forti e saldi nella speranza. Ancora una volta, rivolgo un accorato appello a quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale, come pure a tutte le persone di buona volontà, affinché si intraprenda una vasta mobilitazione di coscienze in favore dei cristiani perseguitati. Essi hanno il diritto di ritrovare nei propri Paesi sicurezza e serenità, professando liberamente la nostra fede. E adesso per tutti i cristiani, perseguitati perché cristiani, vi invito a pregare il Padre Nostro».

Il 10 novembre 2014 lo scrittore Antonio Socci ha accusato Francesco di non essere intervenuto sulla morte di due cristiani gettati in una fornace e bruciati. E’ vero, ma sono due anni che ogni mese ricorda i cristiani perseguitati e infatti interverrà su questo caso specifico due giorni dopo. Lo stesso silenzio, ha affermato Socci, ci sarebbe stato anche sul caso di Meriam: una falsità, non solo appena la donna è stata liberata ha voluto incontrare Papa Francesco, ma ha anche «ringraziato per il sostegno che nella sua vicenda ha sempre avuto dalla Chiesa cattolica». E da questo si evince chiaramente che c’è stato un lavoro dietro le quinte per la sua liberazione, gestito da Francesco.

Il 20 ottobre 2014, in occasione della fine del Sinodo sulla Famiglia, Francesco ha ricordato «un’altra questione che mi sta molto a cuore, ovvero il Medio Oriente e, in particolare, la situazione dei cristiani nella regione. Come ho avuto occasione di ribadire a più riprese, non possiamo rassegnarci a pensare al Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù. Gli ultimi avvenimenti, soprattutto in Iraq e in Siria, sono molto preoccupanti. Assistiamo ad un fenomeno di terrorismo di dimensioni prima inimmaginabili. Tanti nostri fratelli sono perseguitati e hanno dovuto lasciare le loro case anche in maniera brutale. Sembra che si sia persa la consapevolezza del valore della vita umana, sembra che la persona non conti e si possa sacrificare ad altri interessi. E tutto ciò, purtroppo, nell’indifferenza di tanti».

L’8 ottobre 2014 il vescovo francescano, mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo ha rivelato in seguito al suo incontro con Francesco: «Mi ha detto che ha la Siria nel suo cuore e nella sua preghiera, e che prega per tutti i cristiani del Medio Oriente. E’ ben consapevole di quello che sta succedendo ai cristiani e per questo noi lo ringraziamo veramente. E io, quando sono andato a Roma, molti – non solo cristiani, ma soprattutto musulmani – mi hanno detto: “Per favore, ringrazi il Santo Padre a nostro nome per tutto quello che sta facendo per noi”».

Il 21 settembre 2014 durante il suo viaggio in Albania, Francesco ha affermato: «Non possiamo non riconoscere come l’intolleranza verso chi ha convinzioni religiose diverse dalle proprie sia un nemico molto insidioso, che oggi purtroppo si va manifestando in diverse regioni del mondo. […]. Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano».

Il 22 agosto 2014 il vaticanista Andrea Tornielli ha risposto a coloro che criticano i presunti silenzi di Papa Francesco nei confronti dei cristiani perseguitati: «Hanno pesantemente criticato il Papa (meglio Bergoglio, come lo definiscono, senza mai ricordare una volta il nome pontificale di Francesco, dato che per qualcuno di costoro il vero Papa è l’emerito) per i suoi presunti “silenzi” circa l’Iraq, con le stesse identiche motivazioni per le quali esattamente mezzo secolo fa, pochi anni dopo la sua morte, venne messo alla berlina Pio XII. Dimenticano di rileggersi le dichiarazioni analoghe fatte dai predecessori negli ultimi decenni in casi di persecuzioni, guerre, emergenze umanitarie (scoprirebbero che il Papa quando interviene in questi casi, evita sempre di additare con nome e cognome i “cattivi” e la loro eventuale appartenenza religiosa, si vedano gli interventi di Papa Wojtyla sul Kosovo)».

Il 3 settembre 2014 durante l’udienza generale, Francesco ha affermato: «Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dall’Iraq. La chiesa è Madre e, come tutte le madri, sa accompagnare il figlio bisognoso, sollevare il figlio caduto, curare il malato, cercare il perduto e scuotere quello addormentato e anche difendere i figli indifesi e perseguitati. Oggi vorrei assicurare, specialmente a questi ultimi, cioè gli indifesi e perseguitati, la vicinanza: siete nel cuore della Chiesa; la Chiesa soffre con voi ed è fiera di voi, fiera di avere figli come voi; siete la sua forza e la testimonianza concreta e autentica del suo messaggio di salvezza, di perdono e di amore. Vi abbraccio tutti, tutti! Il Signore vi benedica e vi protegga sempre!».

Il 18 agosto 2014 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Corea del Sud, Francesco ha risposto alla domanda se approva che gli Stati Uniti abbiano iniziato a bombardare dei terroristi in Iraq per prevenire un genocidio, per proteggere il futuro delle minoranze: «In questi casi, dove c’è un’aggressione ingiusta, posso soltanto dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo anche avere memoria! Quante volte, con questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stata l’idea delle Nazioni Unite: là si deve discutere, dire: “E’ un aggressore ingiusto? Sembra di sì. Come lo fermiamo?”. Soltanto questo, niente di più. Secondo, le minoranze. Grazie della parola. Perché a me dicono: “I cristiani, poveri cristiani…” Ed è vero, soffrono. I martiri, sì, ci sono tanti martiri. Ma qui ci sono uomini e donne, minoranze religiose, non tutte cristiane, e tutti sono uguali davanti di Dio. Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto dell’umanità, ma è anche un diritto dell’aggressore, di essere fermato per non fare del male». Rispetto ai profughi del Kurdistan, ha rivelato: «ci siamo detti: che cosa si può fare? Abbiamo pensato tante cose. Abbiamo scritto prima di tutto un comunicato che ha fatto padre Lombardi a nome mio. Dopo, questo comunicato è stato inviato a tutte le Nunziature perché fosse comunicato ai governi. Poi, abbiamo scritto una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite… Tante cose… E alla fine abbiamo deciso di inviare un Inviato Personale, il Cardinale Filoni. E infine abbiamo detto: se fosse necessario, quando torniamo dalla Corea, possiamo andare lì. Era una delle possibilità. Questa è la risposta: sono disponibile. In questo momento non è la cosa migliore da fare, ma sono disposto a questo».

Il 12 agosto 2014 il prof. Massimo Introvigne, vice-responsabile nazionale di Alleanza Cattolica e coordinatore dell’Osservatorio della libertà religiosa, ha commentato: «Altri invece contrappongono Benedetto XVI al suo successore Francesco, sostenendo che Papa Ratzinger, a differenza dell’attuale Pontefice, avrebbe chiaramente denunciato il potenziale di violenza e di odio dell’islam. Nell’uno e nell’altro caso, si rischia di presentare un’immagine riduttiva di Benedetto XVI». Ha anche «insegnato che il dialogo interreligioso con l’islam è una scelta irrinunciabile della Chiesa. Poco prima di morire, proprio Oriana Fallaci confidava che il Papa tedesco, a lei che definiva questo dialogo “impossibile”, avrebbe ribadito che si tratta di un dialogo “impossibile, ma obbligatorio”».

Il 10 agosto 2014 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: «ci lasciano increduli e sgomenti le notizie giunte dall’Iraq: migliaia di persone, tra cui tanti cristiani, cacciati dalle loro case in maniera brutale; bambini morti di sete e di fame durante la fuga; donne sequestrate; persone massacrate; violenze di ogni tipo; distruzione dappertutto; distruzione di case, di patrimoni religiosi, storici e culturali. Tutto questo offende gravemente Dio e offende gravemente l’umanità. Non si porta l’odio in nome di Dio! Non si fa la guerra in nome di Dio! Noi tutti, pensando a questa situazione, a questa gente, facciamo silenzio adesso e preghiamo. Ringrazio coloro che, con coraggio, stanno portando soccorso a questi fratelli e sorelle, e confido che una efficace soluzione politica a livello internazionale e locale possa fermare questi crimini e ristabilire il diritto. Per meglio assicurare la mia vicinanza a quelle care popolazioni ho nominato mio Inviato Personale in Iraq il Cardinale Fernando Filoni, che domani partirà da Roma».

L’8 agosto 2014 Francesco attraverso Twitter ha inviato tre messaggi: «Chiedo a tutti gli uomini di buona volontà di unirsi alle mie preghiere per i cristiani iracheni e per tutte le comunità perseguitate; Vi prego di dedicare un momento oggi alla preghiera per tutti coloro che sono costretti a lasciare la loro casa in Iraq. #prayforpeace; Signore, ti preghiamo di sostenere coloro che in Iraq sono privati di tutto. #prayforpeace”».

Il 1 agosto 2014 il sociologo Massimo Introvigne ha scritto: «Papa Francesco ha ricordato oltre venti volte, in meno di un anno e mezzo di pontificato, i cristiani perseguitati oggi nel mondo. Chissà perché, non è la parte del suo magistero su cui i grandi media insistono di più, anche se Francesco ha cercato di attirare l’attenzione su questo tema più di ogni altro Pontefice precedente e certamente più di qualunque leader politico mondiale».

Il 20 luglio 2014 dopo l’Angelus, Francesco ha affermato: «Ho appreso con preoccupazione le notizie che giungono dalle Comunità cristiane a Mossul (Iraq) e in altre parti del Medio Oriente, dove esse, sin dall’inizio del cristianesimo, hanno vissuto con i loro concittadini offrendo un significativo contributo al bene della società. Oggi sono perseguitate; i nostri fratelli sono perseguitati, sono cacciati via, devono lasciare le loro case senza avere la possibilità di portare niente con loro. A queste famiglie e a queste persone voglio esprimere la mia vicinanza e la mia costante preghiera. Carissimi fratelli e sorelle tanto perseguitati, io so quanto soffrite, io so che siete spogliati di tutto. Sono con voi nella fede in Colui che ha vinto il male! E a voi, qui in piazza e a quanti ci seguono per mezzo della televisione, rivolgo l’invito a ricordare nella preghiera queste comunità cristiane. Vi esorto, inoltre, a perseverare nella preghiera per le situazioni di tensione e di conflitto che persistono in diverse zone del mondo, specialmente in Medio Oriente e in Ucraina. Il Dio della pace susciti in tutti un autentico desiderio di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace! Preghiamo in silenzio, chiedendo la pace; tutti, in silenzio…. Maria Regina della pace, prega per noi!».

Il 20 giugno 2014, ai partecipanti di un convegno sulla libertà religiosa, Francesco ha detto: «Alla luce delle acquisizioni della ragione, confermate e perfezionate dalla rivelazione, e del progresso civile dei popoli, risulta incomprensibile e preoccupante che, a tutt’oggi, nel mondo permangano discriminazioni e restrizioni di diritti per il solo fatto di appartenere e professare pubblicamente una determinata fede. È inaccettabile che addirittura sussistano vere e proprie persecuzioni per motivi di appartenenza religiosa! Anche guerre! Questo ferisce la ragione, attenta alla pace e umilia la dignità dell’uomo. E’ per me motivo di grande dolore constatare che i cristiani nel mondo subiscono il maggior numero di tali discriminazioni. La persecuzione contro i cristiani oggi è addirittura più forte che nei primi secoli della Chiesa, e ci sono più cristiani martiri che in quell’epoca. Questo accade a più di 1700 anni dall’editto di Costantino, che concedeva la libertà ai cristiani di professare pubblicamente la loro fede. Auspico vivamente che il vostro convegno illustri con profondità e rigore scientifico le ragioni che obbligano ogni ordinamento giuridico a rispettare e difendere la libertà religiosa».

Il 13 giugno 2014 durante l’intervista a “La Vanguardia”, Papa Francesco ha affermato: «I cristiani perseguitati sono una preoccupazione che mi tocca da vicino come pastore. So molte cose sulla persecuzione che non mi sembra prudente raccontare qui per non offendere nessuno. Ma ci sono dei luoghi dove è proibito avere una Bibbia o insegnare catechismo o portare una croce… C’è una cosa che voglio però mettere in chiaro: sono convinto che la persecuzione contro i cristiani oggi sia più forte che nei primi secoli della Chiesa. Oggi ci sono più cristiani martiri che a quell’epoca. E non è una fantasia, lo dicono i numeri».

Il 10 maggio 2014, in seguito al rapimento delle studentesse cristiane in Nigeria da parte degli islamisti di Boko Haram, Papa Francesco si è unito all’appello per la loro liberazione: «Uniamoci tutti nella preghiera per l’immediato rilascio delle liceali rapite in Nigeria. BringBackOurGirls». Nel novembre 2014 Socci lo accuserà di aver «taciuto su questa tragedia».

Il 26 dicembre 2013 Francesco attraverso Twitter ha inviato questo messaggio: «Davanti al Presepe, preghiamo in modo speciale per quanti soffrono persecuzione a motivo della fede».

Il 26 dicembre 2013 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: « oggi preghiamo in modo particolare per i cristiani che subiscono discriminazioni a causa della testimonianza resa a Cristo e al Vangelo. Siamo vicini a questi fratelli e sorelle che, come santo Stefano, vengono accusati ingiustamente e fatti oggetto di violenze di vario tipo. Sono sicuro che, purtroppo, sono più numerosi oggi che nei primi tempi della Chiesa. Ce ne sono tanti!  Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o non è pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che sulla carta tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove di fatto i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni. Io vorrei chiedervi di pregare per questi fratelli e sorelle un attimo in silenzio […] E li affidiamo alla Madonna».

Il 22 settembre 2013, in seguito al doppio attacco a Peshawar (Pakistan) dopo messa, dove hanno perso la vita 78 persone, Francesco, concludendo la visita a Cagliari e incontrando un gruppo di giovani, è intervenuto dicendo: «Oggi in Pakistan, per una scelta sbagliata, di odio, di guerra, è stato fatto un attentato e sono morte 70 persone. Questa strada non va, non serve. Soltanto la strada della pace, che costruisce un mondo migliore. Ma se non lo fate voi, se non lo fate voi, non lo farà un altro, eh? Questo è il problema, e questa è la domanda che io vi lascio: ‘Sono disposto, sono disposta a prendere una strada per costruire un mondo migliore?’. Soltanto quello. E preghiamo un Padre nostro per tutte queste persone che sono morte in questo attentato in Pakistan. La Madonna ci aiuti sempre a lavorare per un mondo migliore, a prendere la strada della costruzione, la strada della pace e mai la strada della distruzione e la strada della guerra».

Il 25 novembre 2013 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha affermato: «Quando noi sentiamo la vita dei martiri, quando noi leggiamo sui giornali le persecuzioni contro i cristiani, oggi, pensiamo a questi fratelli e sorelle in situazioni limite, che fanno questa scelta. Loro vivono in questo tempo. Loro sono un esempio per noi e ci incoraggiano a gettare sul tesoro della Chiesa tutto quello che abbiamo per vivere ».

Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge: «In quest’epoca acquista una notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam, oggi particolarmente presenti in molti Paesi di tradizione cristiana dove essi possono celebrare liberamente il loro culto e vivere integrati nella società. Non bisogna mai dimenticare che essi, “professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale”. Gli scritti sacri dell’Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani; Gesù Cristo e Maria sono oggetto di profonda venerazione ed è ammirevole vedere come giovani e anziani, donne e uomini dell’Islam sono capaci di dedicare quotidianamente tempo alla preghiera e di partecipare fedelmente ai loro riti religiosi. Al tempo stesso, molti di loro sono profondamente convinti che la loro vita, nella sua totalità, è di Dio e per Lui. Riconoscono anche la necessità di rispondere a Dio con un impegno etico e con la misericordia verso i più poveri. Per sostenere il dialogo con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni. Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’Islam che arrivano nei nostri Paesi, così come speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei Paesi di tradizione islamica. Prego, imploro umilmente tali Paesi affinché assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali! Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza».

Il 17 novembre 2013 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: «pensiamo a tanti fratelli e sorelle cristiani, che soffrono persecuzioni a causa della loro fede. Ce ne sono tanti. Forse molti di più dei primi secoli. Gesù è con loro. Anche noi siamo uniti a loro con la nostra preghiera e il nostro affetto; abbiamo ammirazione per il loro coraggio e la loro testimonianza. Sono i nostri fratelli e sorelle, che in tante parti del mondo soffrono a causa dell’essere fedeli a Gesù Cristo. Li salutiamo di cuore e con affetto».

Il 20 ottobre 2013 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: « In questa Giornata siamo vicini a tutti i missionari e le missionarie, che lavorano tanto senza far rumore, e danno la vita. Come l’italiana Afra Martinelli, che ha operato per tanti anni in Nigeria: qualche giorno fa è stata uccisa, per rapina; tutti hanno pianto, cristiani e musulmani. Le volevano bene. Lei ha annunciato il Vangelo con la vita, con l’opera che ha realizzato, un centro di istruzione; così ha diffuso la fiamma della fede, ha combattuto la buona battaglia! Pensiamo a questa sorella nostra, e la salutiamo con un applauso, tutti!».

Il 25 settembre 2013 durante l’udienza generale, Francesco ha affermato: «Quando sento che tanti cristiani nel mondo soffrono, sono indifferente o è come se soffrisse uno di famiglia? Quando penso o sento dire che tanti cristiani sono perseguitati e danno anche la vita per la propria fede, questo tocca il mio cuore o non mi arriva? Sono aperto a quel fratello o a quella sorella della famiglia che sta dando la vita per Gesù Cristo? Preghiamo gli uni per gli altri? Vi faccio una domanda, ma non rispondete a voce alta, soltanto nel cuore: quanti di voi pregano per i cristiani che sono perseguitati? Quanti? Ognuno risponda nel cuore. Io prego per quel fratello, per quella sorella che è in difficoltà, per confessare e difendere la sua fede?».

Il 12 giugno 2013 dopo l’Angelus, Francesco ha detto: «In particolare, pregherò per le vittime della violenza, specialmente per i cristiani che hanno perso la vita a causa delle persecuzioni».

Il 19 maggio 2013 nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale, Francesco ha scritto: «Un pensiero infine ai cristiani che, in varie parti del mondo, si trovano in difficoltà nel professare apertamente la propria fede e nel vedere riconosciuto il diritto a viverla dignitosamente. Sono nostri fratelli e sorelle, testimoni coraggiosi – ancora più numerosi dei martiri nei primi secoli – che sopportano con perseveranza apostolica le varie forme attuali di persecuzione, Non pochi rischiano anche la vita per rimanere fedeli al Vangelo di Cristo. Desidero assicurare che sono vicino con la preghiera alle persone, alle famiglie e alle comunità che soffrono violenza e intolleranza e ripeto loro le parole consolanti di Gesù: «Coraggio, io ho vinto il mondo» (Gv 16,33)».

Il 14 aprile 2013 durante il Regina Caeli, Francesco ha affermato: «Preghiamo in modo particolare per i cristiani che soffrono persecuzione; in questo tempo ci sono tanti cristiani che soffrono persecuzione, tanti, tanti, in tanti Paesi: preghiamo per loro, con amore, dal nostro cuore. Sentano la presenza viva e confortante del Signore Risorto».

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Bergoglio poco amato dai cattolici? Falso, nessuna fuga

pochi fedeli bergoglioFuga dei cattolici a causa di Papa Francesco. E’ uno degli allarmi diffusi dai giornalisti più polemici nei confronti di Bergoglio, ma è facilmente dimostrabile il contrario. In questo dossier abbiamo dimostrato l’errore di questa accusa..


Papa Bergoglio sarebbe amato fuori ma non dentro la Chiesa, al contrario di Benedetto XVI. Pochi fedeli, declino dei cattolici, fuga dei pellegrini. La colpa? Il suo progressismo che colpisce i cattolici più fedeli e distruggere la dottrina, ricevendo elogi dai “nemici” mentre verrebbe snobbato dai cattolici veri. Questa le tesi di alcuni giornalisti, a partire da Antonio Socci.

Eppure, è tutto falso. Andrebbe premesso che i numeri lasciano sempre il tempo che trovano in quanto la verità non è democratica. Perciò, la “correttezza” di un pontificato non si basa certo sul numero di consensi cattolici, o meno, che raccoglie. Essendo però un tema toccato spesso dai nemici di Papa Francesco, con tanto di fotografie scattate appositamente prima dell’inizio dell’evento papale, accompagnate da commenti esultanti per il basso numero di fedeli presenti, ci è sembrato giusto verificare la correttezza o meno delle loro asserzioni.

 

La presenza media di fedeli alle udienze papali si è mantenuta sempre più alta dei suoi predecessori. Nel 2015 si è verificato effettivamente un calo (705mila pellegrini), ma che risulta essere comunque più alto della media dei pellegrini presenti durante il pontificato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. E anche se si volesse “incolpare” Papa Bergoglio di questo calo, per coerenza si dovrebbe incolpare anche Benedetto XVI quando in un anno perse mezzo milione di fedeli partecipanti alle sue udienze.

In un articolo del 2017 abbiamo comunque dimostrato che tra il 2013 e il 2016 i pellegrini presenti all’Angelus, alle Udienze generali e speciali e alle varie celebrazioni liturgiche presenziate da Papa Francesco, sono sempre stati più numerosi rispetto a quelli presenti con i suoi predecessori. Si faccia riferimento ad esso per controllare le fonti ufficiali da cui abbiamo ricavato i numeri che seguono:

La Chiesa con Francesco ha mantenuto e accresciuto la sua autorità morale nel mondo, anzi la sua voce è ancora più ascoltata di tanti altri Pontefici verso cui il mondo secolarizzato aveva costruito muri e pregiudizi. Vocazioni e conversioni non sembrano aver avuto picchi in ribasso e chi sostiene che siano diminuite per “colpa sua” dovrebbe allo stesso modo affermare che nei luoghi in cui sono aumentate, è stato “per merito suo” (come accaduto, ad esempio, nei luoghi toccati dai suoi viaggi apostolici, tra cui le Filippine).

 

Papa Francesco amato anche dentro la Chiesa.

Di seguito alcune notizie, in ordine cronologico, che dimostrano come il mondo cattolico non sia affatto disaffezionato da Papa Francesco.


Il 21 maggio 2020 Catholic News Agency ha informato che dopo che il Vaticano ha smesso di celebrare in livestreaming le messe quotidiane di Papa Francesco in occasione del lockdown dovuto al Covid-19, i cattolici di tutto il mondo hanno esortato il Papa a riprendere la trasmissione. Ad esempio i Missionari Francescani di Maria a Nairobi (Kenya) hanno scritto una lettera chiedendo se fosse possibile ripristinare la trasmissione perché «abbiamo davvero apprezzato le omelie del Santo Padre e i momenti di adorazione eucaristica al termine della Messa mattutina a Santa Marta. Sappiamo che la Messa di Papa Francesco è stata apprezzata da altri e probabilmente da molti in tutto il mondo. Continueremo a sperare che i media vaticani saranno in grado di trasmettere di nuovo». Sotto l’articolo dell’ACI Prensa che annunciava la conclusione dello streaming quotidiano, si legge ancora, quasi 2000 persone hanno espresso gratitudine, chiedendo però di mantenere attivo il servizio. L’articolo prosegue con dichiarazioni di esponenti cattolici di tutto il mondo, uniti dal desiderio di poter assistere nuovamente alle celebrazioni di Francesco in streaming.

Il 13 marzo 2019 un sondaggio realizzato da Gallup ha rilevato che il 68% dei cattolici praticanti statunitensi ripone fiducia in Papa Bergoglio, soltanto il 50% crede nei vescovi. La ricerca ha inteso esaminare l’impegno dei cattolici nei confronti della fede alla luce dello scandalo degli abusi sessuali da parte di numerosi preti.

Il 27 aprile 2018 il Corriere della Sera informa che l’esortazione apostolica Gaudete et Exsultate, pubblicata in forma di libro, è divenuta subito bestseller: nelle classifiche dei libri più venduti della settimana (elaborazione Nielsen BookScan). Il Papa occupa il primo posto assoluto, nell’edizione Paoline Editoriale, e il terzo in quella edita da San Paolo; il medesimo testo, articolato in cinque capitoli, è presente poi nella classifica dei saggi in altre tre differenti edizioni uscite da Libreria Editrice Vaticana, Àncora e, di nuovo, San Paolo. Al successo editoriale di Gaudete et Exsultate si affianca quello di Dio è giovane (Piemme), volume pure presente in classifica pensato per le nuove generazioni: è un dialogo a tutto tondo tra Bergoglio e il giornalista Thomas Leoncini in vista del Sinodo sui giovani e la fede che si terrà in Vaticano a ottobre.

Il 06 marzo 2018 un sondaggio ha rilevato che cinque anni dopo l’inizio del pontificato di Francesco, l’84% dei cattolici americani afferma di avere una opinione “positiva” di papa Francesco, che è praticamente identica alla quota che ha espresso una visione positiva del papa dopo il suo primo anno di pontificato. Inoltre, negli USA, circa nove cattolici su dieci descrivono Papa Francesco come “compassionevole” e “umile”.

Il 20 febbraio 2018 il sito web Truenumbers ha conteggiato le presenze dei fedeli alle udienze dal 2001 al 2016. Come si evince dal grafico, la media generale dei fedeli presenti alle udienze di Papa Francesco è superiore a quella dei suoi predecessori.

Il 25 marzo 2017 alla visita pastorale del Pontefice alla città di Milano, un milione di fedeli lo hanno atteso nel Parco di Monza, 80mila i cresimandi che hanno riempito lo stadio San Siro, 100mila milanesi invece hanno recitato l’Angelus con lui sul piazzale del Duomo.

Il 25 gennaio 2018 sono stati pubblicati i dati dei fedeli presenti alla messa di Francesco in Perù. 1 milione e 500 mila persone, l’evento più grande della storia del Paese.

Il 19 marzo 2017 è stato osservato che è tornato a crescere il numero dei seminaristi in Argentina. Dal 2005 il calo è stato purtroppo quasi verticale, passando dai 1274 agli 827 del 2014, ma la discesa sembra essersi arrestata e, addirittura, si è invertito il processo. I responsabili dei seminari argentini ritengono si tratta anche dell’influenza dell’argentino Papa Francesco, «uno dei fattori che hanno influenzato questo trend positivo».

Il 20 settembre 2015 secondo un sondaggio del New York Times / CBS News, «i cattolici americani approvano in modo schiacciante (8 su 10) la direzione della Chiesa cattolica romana ed esprimono un’opinione favorevole sulla persona di Papa Francesco. La maggior parte ora dice che la chiesa è in contatto con i bisogni dei cattolici di oggi, molto più di quanto si è detto alla fine del pontificato del suo predecessore, Papa Benedetto XVI. L’approvazione è ancora più alta, alle nove su dieci, tra i cattolici che frequentano la messa almeno una volta alla settimana. E va dal 74% dei conservatori politici all’87% dei moderati».

Il 24 gennaio 2017 abbiamo pubblicato i dati del Pew Research Center secondo cui l’87% dei cattolici americani vede con favore Papa Francesco (e il 52% ha votato a favore di Trump).

Il 07 gennaio 2017 sul nostro sito web è apparsa una piccola inchiesta che ha mostrato che Francesco non ha subito alcun crollo di fedeli ma, anzi, la media dei partecipanti ai suoi eventi pubblici è stata ben superiore a quella dei suoi predecessori. Senza che ovviamente questo voglia dire nulla sulla verità o falsità di un pontificato, come invece sostengono i suoi critici.

Il 20 luglio 2015 il portale AsiaNews ha informato che dopo il viaggio apostolico di Papa Francesco nelle Filippine, un numero sempre crescente di giovani, uomini e donne, si rivolgono ai centri vocazionali dicendo di aver trovato ispirazione nelle parole e nei gesti del Pontefice.

Il 02 novembre 2015 don Giuseppe Costa, direttore della Libreria editrice vaticana ha spiegato che «le richieste del nostro catalogo sono aumentate del 12-15%, grazie proprio alle opere di Papa Francesco, che fanno da traino anche per altri nostri libri. L’ultima enciclica del Santo Padre, Laudato si, attualmente è pubblicata nel mondo da 60 editori, molti dei quali nostri nuovi clienti provenienti in modo particolare dall’America Latina, ma anche dall’Europa. Se entriamo in una qualsiasi libreria – afferma don Costa – vediamo che il libro religioso viene ben esposto o addirittura viene collocato ben in vista in uno spazio dedicato. Come pure sfogliando sulla stampa le classifiche dei libri più venduti, notiamo che le encicliche del Santo Padre o altri libri di tematiche religiose molte volte occupano anche i primi posti. Un fatto questo che fino ad alcuni anni fa era impensabile».

Il 22 settembre 2015 durante un’intervista nella sua visita negli Stati Uniti, Papa Francesco ha risposto ad una domanda sul fatto che si è discusso se fosse un Papa cattolico: «Un Cardinale amico mi ha raccontato che è andata da lui una signora, molto preoccupata: molto cattolica, un po’ rigida, la signora, ma buona, buona, cattolica, e gli ha chiesto se era vero che nella Bibbia si parlava di un anticristo. E lui le ha spiegato. E’ anche nell’Apocalisse, no? E poi, se era vero che si parlava di un antipapa … “Ma perché mi fa questa domanda?”, ha chiesto il Cardinale. “Perché io sono sicura che Papa Francesco è l’antipapa”. “E perché? – chiede quello – Perché ha questa idea?”. “Eh, perché non usa le scarpe rosse!”. E’ così, storico… e è necessario che io reciti il “Credo”, sono disposto a farlo!».

Il 26 maggio 2015 l’Ordine dei Frati Minori ha annunciato che il numero di vocazioni è iniziato ad aumentare dopo l’elezione di Papa Francesco.

Il 22 aprile 2015 abbiamo mostrato, attraverso diverse statistiche, che la presenza di Papa Francesco ha portato una maggior fiducia non soltanto verso la sua persona ma anche nei confronti della Chiesa cattolica.

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Amoris Laetitia e divorziati risposati: chiarimento alla confusione

comunione divorziati bergoglioBergoglio ha ammesso alla comunione i divorziati risposto contrapponendosi alla dottrina cattolica. E’ questo quanto si dice dopo la pubblicazione di Amoris Laetitia, l’esortazione apostolica pubblicata nel 2016. Ma le cose non stanno propriamente così, con questo dossier cerchiamo di chiarire la questione.


Il tema della comunione ai divorziati risposati è esploso dopo l’esortazione apostolica Amoris Laetitia (2016), in particolare a causa del capitolo 8. Su di esso sono stati formulati dei dubia (quesiti) a Papa Francesco da parte di alcuni cardinali ai quali il Papa non ha mai direttamente risposto, lasciando intervenire suoi stretti collaboratori. La polemica nel mondo conservatore si è parzialmente attenuata quando il card. Gerhard Ludwig Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e noto ratzingeriano, è intervenuto difendendo l’ortodossia cattolica di Amoris Laetitia.

In questo dossier abbiamo ricostruito la vicenda e chiarito il più possibile i dubbi dei contestatori, dando spazio agli interventi dei più autorevoli cardinali e teologi, oltre a quelli Papa Francesco stesso.

 

Amoris Laetitia, capitolo 8, nota 351: c’è ambiguità?


Sono due le questioni su cui permane una certa confusione.
La prima: Papa Francesco, attraverso Amoris Laetitia ha realmente “aperto” all’accesso all’Eucarestia di persone unite in seconda unione che rientrano in casi eccezionali ed in circostanze attenuanti del peccato (cioè la violazione dell’indissolubilità del matrimonio)?
La seconda: il principio delle circostanze attenuanti fa parte della dottrina cattolica ed è un pensiero ortodosso all’interno del Catechismo.?

Fin dal principio chiariamo che, almeno a nostro avviso, sulla prima questione permane una certa ambiguità, mentre sulla seconda non più: autorevolissimi interventi (tra essi quello dei cardinali Müller, Coccopalmerio e Sistach, del filosofo Buttiglione, dei vescovi Luigi Negri e Marcello Semeraro ecc.), -avvallati dalla Santa Sede- hanno stabilito che il discernimento tramite circostanze attenuanti è assolutamente fedele al Catechismo cattolico. Perciò, anche se Amoris Laetitia avvallasse questo principio (ma, come detto, rimane su questo un punto interrogativo), concedendo l’Eucarestia in particolari situazioni irregolari, non è comunque in errore ed in eresia, e si porrebbe in continuità con il pensiero di Giovanni Paolo II, espresso nella Familis consortio.

Conveniamo con i critici che certamente la nota 351 di Amoris Laeitia non ha aiutato a chiarire, anzi ha generato confusione ed interpretazioni contrapposte. Nemmeno è servito il polverone alzato appositamente dagli avversari di Francesco, che hanno introdotto nel dibattito dichiarazioni false e “sentito dire” di anonime fonti vaticane. In nessun caso, tuttavia, Papa Francesco mai pubblicamente approvato la concessione indistinta dei sacramenti alle persone in seconda unione (i semplici divorziati, invece, possono da sempre ricevere l’Eucarestia), mentre ha introdotto un netto cambio nell’approccio pastorale verso queste persone -sempre più numerose- invitando i pastori a farle sentire ancor di più parte integrante della comunità cattolica. All’interno di questo paradigma pastorale, per alcuni vi sarebbe in Amoris Laetitia l’approvazione di un’eccezione alla regola rispetto alla negazione assoluta del Sacramento dell’Eucarestia, già teorizzata nel 2015 dal card. Gerhard Ludwig Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede («in certi casi può esserci una licenza nella coscienza»). Anche Benedetto XVI studiò eccezioni alla totale negazione della Comunione ai divorziati risposati.

 

Divorziati risposati: il principio delle circostanze attenuanti.


La questione aperta da amoris Laetitia ruota attorno alla situazione sempre più frequente di fedeli cattolici a cui è stato imposto il divorzio da parte del partner, una separazione che non hanno voluto ma che hanno dovuto accettare per motivi legali. Altri, invece, sono stati abbandonati dal coniuge. Nel tempo queste persone si sono risposate e hanno avuto dei figli e, pur volendo “regolarizzarsi” dal punto di vista della dottrina cattolica, non possono separarsi nuovamente per non generare un torto più grande. Tuttavia, essi soffrono nell’essere privati dell’aiuto spirituale dell’Eucarestia. Vi sono anche altri casi, come spiegato dal card. Gerhard Ludwig Müller, di fedeli «convinti in coscienza, e con buone ragioni, della invalidità del primo matrimonio pur non potendone offrire la prova canonica. In questo caso il matrimonio valido davanti a Dio sarebbe il secondo e il pastore potrebbe concedere il sacramento, certo con le precauzioni opportune per non scandalizzare la comunità dei fedeli e non indebolire la convinzione nella indissolubilità del matrimonio».

Per risolvere queste situazioni complicate e sempre più frequenti, nelle quali la colpevolezza dei singoli è attenuata dalle circostanze, molti teologi e partecipanti al Sinodo sulla Famiglia che ha preceduto Amoris Laetitia hanno aperto alla possibilità -convinti della legittimità cattolica- di concedere a questi casi eccezionali, in determinati condizioni (per esempio, dopo un percorso penitenziale), la possibilità di accostarsi ai Sacramenti, ritenendo ingiusta la loro esclusione per colpe che non hanno avuto. L”ex vescovo di Ferrara, mons. Luigi Negri, ad esempio ha sostenuto: «La pastorale ha una serie di strumenti, non escluso quello dell’Eucarestia, che possono rappresentare un aiuto fondamentale nel cammino della fede, ma non perché io ho il diritto all’Eucarestia! L’Eucarestia può essere un aiuto straordinario che in certe situazioni, lo dico io non il Papa, potrebbe essere anche dato con certe circostanze di discrezione, di riservatezza ecc. Ma sulla base di aiutare il ritorno alla fede, l’esperienza dell’incontro con Cristo».

Se anche l’esortazione apostolica Amoris Laetitia abbia realmente aperto all’eccezione delle circostanze attenuanti (ma su questo permane l’equivoco) attraverso la nota 351 del capitolo 8, l’accesso alla Comunione per questi singoli casi non sarebbe comunque in contraddizione con il Catechismo e, in particolare, con il pensiero di Giovanni Paolo II, espresso nella Familis consortio. A spiegarlo in modo approfondito è stato il filosofo wojtyliano Rocco Buttiglione, apertamente supportato dal card. Gerhard Ludwig Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina, che ha firmato la prefazione del suo libro: “Risposte amichevoli ai critici di Amoris Laetitia” (Ares 2017). Buttiglione ha indicato che il principio delle circostanze attenuanti soggettive, che diminuiscono la responsabilità della persona, «è proprio dell’equilibrio dell’etica cattolica e distingue l’etica realista di S.Giovanni Paolo II dell’etica oggettivista di alcuni avversari di Papa Francesco». Lo stesso è stato sostenuto dal card. Lluís Martínez Sistach, arcivescovo emerito di Barcellona (“ratzingeriano”), in un testo pubblicato su L’Osservatore Romano: «Possiamo dire che Amoris laetitia non ammette i divorziati risposati ai sacramenti», ha scritto, specificando che l’esortazione apostolica «rimanda alla consolidata dottrina della Chiesa quando fa riferimento alle circostanze attenuanti ed esimenti che influiscono sulla capacità di decisione e sulla diminuzione o addirittura sull’annullamento dell’imputabilità e della responsabilità, così come stabilisce il Catechismo della Chiesa cattolica». Ad esempio, ha precisato l’arcivescovo emerito di Barcellona, «se in una situazione, dopo aver compiuto questo processo di discernimento, l’interessato, con l’aiuto di un sacerdote, in coscienza e dinanzi a Dio, constata che c’è qualche circostanza che fa sì che alla situazione obiettiva di peccato della nuova unione non corrisponde un’imputabilità soggettiva grave, in quel caso si può accedere ai sacramenti».

Tra gli interventi più chiarificatori segnaliamo anche quello del card. Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, nel suo opuscolo intitolato: “Il capitolo ottavo della Esortazione Apostolica Post Sinodale Amoris Laetitia”. Il prelato ha spiegato che Amoris laetitia parla di coppie che pur nella «consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione» hanno «grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe», e situazioni in cui «l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione». Secondo il card. Coccopalmerio l’esortazione apostolica, pur non affermandolo esplicitamente, presuppone in modo implicito che queste persone siano intenzionate a «cambiare la loro condizione illegittima», si pongano «il problema di cambiare» e quindi abbiano «l’intenzione o, almeno, il desiderio» di farlo. Il cardinale fa l’esempio concreto di una donna convivente con un uomo che ha tre figli, abbandonato dalla moglie. «Questa donna ha salvato l’uomo da uno stato di profonda prostrazione, probabilmente dalla tentazione di suicidio; ha allevato i tre bambini non senza notevoli sacrifici; la loro unione dura ormai da dieci anni; è nato un nuovo figlio. La donna della quale parliamo ha piena coscienza di essere in una situazione irregolare. Vorrebbe sinceramente cambiare vita. Ma, evidentemente, non può. Se, infatti, lasciasse la unione, l’uomo tornerebbe nella condizione di prima, i figli resterebbero senza mamma. Lasciare l’unione significherebbe, dunque, non adempiere gravi doveri verso persone di per sé innocenti. È perciò evidente che non potrebbe avvenire “senza una nuova colpa”». Il cardinale ricorda quanto stabilito da Giovanni Paolo II in Familiaris consortio e cioè la possibilità di confessarsi e fare la comunione purché ci si impegni a vivere come «fratello e sorella», cioè astenendosi dai rapporti sessuali. E sottolinea anche che l’eccezione in proposito sollevata da Amoris laetitia si fonda su un testo della costituzione conciliare Gaudium et spes: «In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere ‘come fratello e sorella’ che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, “non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli”». Dunque, suggerisce l’autore del libro, «qualora l’impegno di vivere “come fratello e sorella” si riveli possibile senza difficoltà per il rapporto di coppia, i due conviventi lo accettino volentieri». Se invece tale impegno «determini difficoltà, i due conviventi sembrano di per sé non obbligati, perché verificano il caso del soggetto del quale parla il n. 301 con questa chiara espressione: “si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa”».

Il card. Coccopalmerio ha quindi concluso: «La Chiesa potrebbe ammettere alla penitenza e alla eucaristia i fedeli che si trovano in unione non legittima, i quali però verifichino due condizioni essenziali: desiderano cambiare tale situazione, però non possono attuare il loro desiderio». Tali condizioni essenziali «dovranno essere sottoposte ad attento e autorevole discernimento da parte dell’autorità ecclesiale». Nessun soggettivismo, ma spazio al rapporto con il sacerdote. «Credo che possiamo ritenere, con sicura e tranquilla coscienza – spiega Coccopalmerio – che la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio è rispettata, perché i fedeli nella situazione ipotizzata si trovano in unioni non legittime, anzi, più precisamente, possiamo senz’altro affermare che tale condizione è oggettivamente di peccato grave. La dottrina del sincero pentimento che contiene il proposito di cambiare la propria condizione di vita come necessario requisito per essere ammessi al sacramento della penitenza è nel caso rispettata, perché i fedeli nelle situazioni ipotizzate, da una parte, hanno coscienza, hanno convinzione, della situazione di peccato oggettivo nella quale attualmente si trovano e, dall’altra, hanno il proposito di cambiare la loro condizione di vita, anche se, in questo momento, non sono in grado di attuare il loro proposito». A chi invece la Chiesa «non può assolutamente – sarebbe una patente contraddizione – concedere» i sacramenti? Al fedele che, «sapendo di essere in peccato grave e potendo cambiare, non avesse però nessuna sincera intenzione di attuare tale proposito». È quanto afferma Amoris laetitia, riferendosi a chi «ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa». In un’intervista, il card. Coccopalmerio ha aggiunto: «Il caso deve essere ben preciso: la persona vive in questa situazione non legittima, si rende conto di questo, vorrebbe cambiare ma non può. E il motivo dell’impossibilità è proprio di non andare contro o ledere persone innocenti, soprattutto se si tratta di bambini. In questo caso la Chiesa può dire: ‘Aiutiamo queste persone, con il sacramento della penitenza e dell’eucarestia, a progredire verso una maturità e pienezza di attuazione del proposito’. Deve essere ben chiaro che chi si trova in tali condizioni non può ‘auctoritate sua’ dire ‘accedo alla penitenza e all’eucarestia’. Deve comunque consultare l’autorità competente come il proprio parroco che potrà o dovrà consultarsi con un suo superiore che è l’ordinario diocesano».

 
 

Tutti i più autorevoli chiarimenti su Amoris Laetitia e comunione ai risposati

Di seguito, in ordine cronologico, abbiamo raccolto tutti i principali interventi (di Francesco e non solo) in merito a questa tematica:

Il 28 luglio 2013 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, Papa Francesco ha risposto ad una domanda sulla comunione ai divorziati risposati come dimostrazione di misericordia: «Questo è un tema che si chiede sempre. La misericordia è più grande di quel caso che lei pone. Io credo che questo sia il tempo della misericordia. Questo cambio di epoca, anche tanti problemi della Chiesa hanno lasciato tanti feriti, tanti feriti. E la Chiesa è Madre: deve andare a curare i feriti, con misericordia. Ma se il Signore non si stanca di perdonare, noi non abbiamo altra scelta che questa: prima di tutto, curare i feriti […]. Con riferimento al problema della Comunione alle persone in seconda unione, perché i divorziati possono fare la Comunione, non c’è problema, ma quando sono in seconda unione, non possono. Io credo che questo sia necessario guardarlo nella totalità della pastorale matrimoniale. E per questo è un problema. Ma anche – una parentesi – gli Ortodossi hanno una prassi differente. Loro seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una seconda possibilità, lo permettono. Ma credo che questo problema – chiudo la parentesi – si debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale. E per questo, due cose; primo: uno dei temi da consultare con questi otto del Consiglio dei cardinali è come andare avanti nella pastorale matrimoniale, e questo problema uscirà lì […]. Siamo in cammino per una pastorale matrimoniale un po’ profonda. Il cardinale Quarracino, il mio predecessore, diceva che per lui la metà dei matrimoni sono nulli perché si sposano senza maturità, si sposano senza accorgersi che è per tutta la vita, o si sposano perché socialmente si devono sposare. E in questo entra anche la pastorale matrimoniale. E anche il problema giudiziale della nullità dei matrimoni, quello si deve rivedere, perché i Tribunali ecclesiastici non bastano per questo. E’ complesso, il problema della pastorale matrimoniale».

Il 16 dicembre 2013 nell’intervista per La Stampa, Francesco ha affermato: «L’esclusione della comunione per i divorziati che vivono una seconda unione non è una sanzione».

Il 23 aprile 2014 una donna argentina di nome Jaqueline Lisbona, ha rivelato ai media di aver ricevuto una telefonata da Papa Francesco. La donna è sposata civilmente con un uomo divorziato e ha rilasciato alcune dichiarazioni ambigue e confuse, in avversità verso il Vaticano, che non lasciano intendere cosa effettivamente le abbia detto il Pontefice. A suo dire, il Papa la avrebbe incoraggiarla a “tornare (alla Chiesa)”, assicurandole che in Vaticano “si stanno trattando” casi come il suo e di suo marito. La donna ha inoltre riferito che il Papa le avrebbe suggerito di non andare nella Chiesa del suo quartiere, anche perché se il prete conosceva la sua situazione personale era dovuto al fatto che lei gliela aveva rivleata in confessione. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Parecchie telefonate hanno avuto luogo, nell’ambito dei rapporti personali pastorali del Papa Francesco. Non trattandosi assolutamente di attività pubblica del Papa non sono da attendersi informazioni o commenti da parte della Sala Stampa. Ciò che è stato diffuso a questo proposito, uscendo dall’ambito proprio dei rapporti personali, e la sua amplificazione mediatica conseguente, non ha quindi conferma di attendibilità ed è fonte di fraintendimenti e confusione. E’ perciò da evitare di trarre da questa vicenda conseguenze per quanto riguarda l’insegnamento della Chiesa».

Il 7 dicembre 2014 in un’intervista per “La Nacion”, Papa Francesco ha affermato: «Non è una soluzione dargli la comunione. Questo soltanto non è la soluzione, la soluzione è l’integrazione. Non sono scomunicati. Ma non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione, non possono insegnare il catechismo, non possono fare sette cose, ho l’elenco lì. Se racconto questo, sembrerebbero scomunicati di fatto! Allora, aprire un po’ di più le porte. Perché non possono essere padrini? “No, guarda, che testimonianza vanno a dare al figlioccio?”. La testimonianza di un uomo e una donna che dicano: “Guarda, caro, io mi sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato non mi ha vinto, vado avanti”. Ma che testimonianza cristiana è questa? O se arriva uno di questi truffatori politici che abbiamo, corrotti, a fare da padrino ed è regolarmente sposato per la Chiesa, lei lo accetta? E che testimonianza va a dare al figlioccio? Testimonianza di corruzione?».

Il 6 marzo 2015 in un’intervista, Francesco ha affermato: «Come integrare nella vita della Chiesa le famiglie replay? Cioè quelle di seconda unione che a volte risultano fenomenali…. mentre le prime un insuccesso. Come reintegrarle? Che vadano in chiesa. Allora semplificano e dicono: “Ah, daranno la comunione ai divorziati“. Con questo non si risolve nulla. Quello che la Chiesa vuole è che tu ti integri nella vita della Chiesa. Però ci sono alcuni che dicono: “No, io voglio fare la comunione e basta”. Una coccarda, una onorificenza. No. Ti devi reintegrare»

Il 27 settembre 2015 durante un’intervista nella sua visita negli Stati Uniti, Papa Francesco ha risposto: «A me sembra un po’ semplicistico dire che il Sinodo… che la soluzione per questa gente è che possano fare la comunione. Questa non è l’unica soluzione. No.»

Il 17 ottobre 2015 padre Giovanni Cavalcoli, docente emerito di metafisica nello Studio Filosofico Domenicano di Bologna e di Teologia Dogmatica nella Facoltà Teologica di Bologna, ha affermato: «L’attuale disciplina che regola la pastorale e la condotta dei divorziati risposati è una legge ecclesiastica, che intende conciliare il rispetto per il sacramento del matrimonio, la cui indissolubilità è un elemento essenziale, con la possibilità di salvezza della nuova coppia. La Chiesa non può mutare la legge divina che istituisce e regola la sostanza dei sacramenti, ma può mutare le leggi da lei emanate, che riguardano la disciplina e la pastorale dei sacramenti. Dobbiamo quindi pensare che un eventuale mutamento dell’attuale regolamento sui divorziati risposati, non intaccherà affatto la dignità del sacramento del matrimonio, ma anzi sarà un provvedimento più adatto, per affrontare e risolvere le situazioni di oggi». Concedere, in determinati casi e a determinate condizioni (per esempio dopo un percorso penitenziale, o nel caso del coniuge abbandonato, etc.) la comunione ai divorziati che vivono una seconda unione «tocca chiaramente la disciplina e non la sostanza».

Il 19 ottobre 2015 il prefetto della Congregazione per la Dottrina, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, ha aperto alla possibilità di concedere la comunione ai divorziati risposati «esaminando i singoli casi e in particolari situazioni».

Il 22 dicembre 2015 il vaticanista Andrea Tornielli ha riportato le parole del del vescovo di Albano Marcello Semeraro, tra i relatori del documento finale del Sinodo della famiglia, il quale ha osservato che la soluzione proposta dal Sinodo «è di fatto coincidente con quanto, durante il pontificato di Paolo VI, fu affermato dalla Sacra congregazione per la dottrina della Fede». Anche Papa Wojtyla nel n. 84 dell’enciclica “Familiaris consortio” riproponeva l’importanza del discernimento delle diverse situazioni.

Il 16 febbraio 2016 Papa Francesco, durante il suo viaggio in Messico ha ricevuto una coppia sposata civilmente dopo un divorzio, dimostrando come è possibile anche per loro vivere il cristianesimo senza ricevere l’Eucarestia. A riconoscerlo è stato anche il vaticanista Sandro Magister, uno dei portavoce dell’anti-bergoglionismo italiano. Questa coppia, ha scritto Magister, «esempio vivente di quelle coppie “irregolari” alle quali non pochi cardinali e vescovi vorrebbero dare la comunione sacramentale. Ma i due sposi non hanno affatto chiesto di fare la comunione. “Non possiamo accostarci all’eucaristia – ha detto Humberto, il marito – ma possiamo fare la comunione attraverso il fratello bisognoso, il fratello malato, il fratello privato della libertà”. E che cosa ha detto il papa alla folla, dopo averli ascoltati? Prima ha sottolineato che “Humberto e Claudia stanno cercando di trasmetterci l’amore di Dio nel servizio e nell’assistenza agli altri”. E poi si è rivolto a loro direttamente così: “E voi vi siete fatti coraggio, e voi pregate, voi state con Gesù, voi siete inseriti nella vita della Chiesa. Avete usato una bella espressione: ‘Noi facciamo comunione con il fratello debole, il malato, il bisognoso, il carcerato’. Grazie, grazie!”. Se occorreva una prova lampante di “integrazione” e di “più piena partecipazione” nella Chiesa, “come membra vive”, dei divorziati risposati – secondo quanto proposto nella “Relatio” finale del sinodo sulla famiglia e “secondo l’insegnamento della Chiesa” –, senza accedere alla comunione eucaristica, questa coppia l’ha data. E papa Francesco, ascoltandoli, annuiva convinto».

Il 08 aprile 2016 il vaticanista anti-bergogliano Marco Tosatti ha commentato così l’esortazione apostolica Amoris Laetitia: «Sui temi scottanti che hanno appassionato giornali e monsignori negli ultimi due Sinodi, l’esortazione post-sinodale ha in buona sostanza lasciato le cose come stavano prima del clamore della battaglia. E’ stata abbandonata quella volontà di creare norme generali a favore dell’inclusione che hanno caratterizzato la prima parte del dibattito, in particolare da parte di alcune conferenze episcopali europee, e di alcuni teologi, come il card. Kasper».

Il 08 aprile 2016 don Juan José Pérez-Soba, docente di pastorale familiare nel Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, ha commentato così l’Amoris Laetitia: «chi aspettava un cambiamento nella dottrina della Chiesa non sarà accontentato e rimarrà deluso, chi aspettava che l’esortazione apostolica del Santo Padre andasse più avanti dei sinodi, rimarrà deluso anche lui. La prima conseguenza che si ricava dall’esortazione è che la proposta del cardinale Kasper, già respinta nel sinodo, non è stata accettata».

Il 09 aprile 2016 il cardinale statunitense Raymond Leo Burke ha spiegato che «Amoris laetitia non ha lo scopo di cambiare la pastorale della Chiesa per quanto riguarda quelli che vivono in una unione irregolare, ma di applicare fedelmente la pastorale costante della Chiesa, quale espressione fedele della pastorale di Cristo stesso, nel contesto della cultura odierna. L’unica chiave giusta per interpretare Amoris laetitia è la costante dottrina e disciplina della Chiesa per quanto riguarda il matrimonio».

Il 10 aprile 2016 l’arcivescovo di New York, Timothy Dolan, ha commentato così Amoris Laetitia: «L’unica vera rivoluzione che si può scorgere tra le pagine dell’esortazione è la rivoluzione della tenerezza che rappresenta non solo una delle categorie di questo pontificato, ma anche uno dei simboli con cui guardare la famiglia attraverso questo documento».

Il 11 aprile 2016 mons. Livio Melina, preside dell’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia e definito “espressione di spicco della Curia wojtylo-ratzingeriana”, ha scritto: «L’Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia accoglie con rispetto, gratitudine e filiale disponibilità l’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, con la quale Papa Francesco ha completato il cammino sinodale iniziato ormai due anni or sono. Nel dibattito ecclesiale e nell’opinione pubblica c’è stato grande interesse riguardo ad una questione concreta, che non è certamente quella più importante da un punto di vista pastorale: l’eventuale ammissione all’Eucaristia dei divorziati in nuova unione civile. Infatti, come lo stesso Papa Francesco ha fatto notare, non era questo il problema centrale del Sinodo. Eppure si è voluto concentrare l’attenzione su quel punto specifico, considerandolo il test di verifica dell’auspicato eventuale cambiamento della posizione della Chiesa (una “rivoluzione” si è detto), magari, come si sosteneva, solo a livello pastorale e non dottrinale. E’ dunque legittima la domanda: il testo appena pubblicato rappresenta davvero un cambiamento nella disciplina tradizionale della Chiesa, permettendo finalmente ai divorziati “risposati” di ricevere la comunione, almeno in certi casi? Dopo aver letto il capitolo ottavo, in cui si esamina la questione, c’è una sola possibile conclusione: l’esortazione apostolica Amoris Laetitia non cambia la disciplina della Chiesa, che poggia su ragioni dottrinali, come indicato da Familiaris Consortio 84 e confermato da Sacramentum Caritatis 29. Infatti, il corpo del testo del capitolo ottavo neppure menziona l’Eucaristia. In nessuna parte della nuova esortazione post-sinodale Papa Francesco dice che i divorziati “risposati” possono accedere all’Eucaristia senza il requisito di “vivere come fratello e sorella” e pertanto questa esigenza di Familiaris Consortio 84 e di Sacramentum Caritatis 29 resta di piena validità come punto di riferimento per il discernimento. Ciò che il documento di Papa Francesco propone, invece, è un cammino d’integrazione, che permetta a questi battezzati di avvicinarsi gradualmente al modo di vita del Vangelo. Infatti le norme oggettive non riguardano la colpevolezza soggettiva, della quale può essere giudice solo Dio che scruta i cuori, ma mostrano le esigenze e la meta a cui tende ogni evangelizzazione: una vita piena conforme al Vangelo, che la Chiesa è chiamata ad offrire a tutti, senza eccezioni né casistiche. Essa infatti è possibile, perché è ciò che chiede il Vangelo. Quale è, dunque, la novità di questo capitolo ottavo? Non è la novità di un cambiamento di dottrina, ma dell’approccio pastorale misericordioso di Francesco, del suo desiderio di portare il Vangelo a coloro che sono lontani, seguendo così una logica d’integrazione progressiva. È per questo che il documento segnala che ci possono essere circostanze in cui le persone, che vivono obiettivamente in una situazione di peccato, magari non sono soggettivamente colpevoli a motivo dell’ignoranza, della paura, di affetti disordinati e di altre ragioni, che sempre la tradizione morale ha riconosciuto e che il Catechismo della Chiesa Cattolica menziona al n. 1735. Quest’affermazione è importante: significa che non dobbiamo giudicare o condannare queste persone, ma essere misericordiosi e pazienti con loro, così come lo è il Padre verso ciascuno di noi, e cercare per ognuno la strada di conversione dal peccato e di crescita nella carità. Certo l’affermazione di Amoris Laetitia dell’impossibilità di definire la mortalità del peccato personale a prescindere dalla verifica della responsabilità del soggetto, che può essere attenuata o mancare (n. 301), non toglie la necessità di dire che nondimeno è uno stato oggettivo di peccato (come si fa al n. 305). Ma, una volta escluse le interpretazioni casuistiche e tendenziose, cosa dunque il Santo Padre vuole dirci davvero con questo testo? Ecco la risposta semplice e decisiva: vuole annunciare in modo nuovo il Vangelo della Famiglia e vuole invitare tutti, in qualsiasi situazione si trovino, ad un cammino: “Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare!” (n. 325). Lui stesso aveva suggerito questa chiave di interpretazione fondamentale, quando, intervistato al ritorno dalla Terra Santa, nel maggio 2014, aveva detto che la domanda fondamentale che lo aveva ispirato nel promuovere il cammino sinodale non era una questione casuistica, ma l’urgenza di annunciare “ciò che Cristo porta alla famiglia”. Uscendo da una logica casuistica, va quindi colto il grande orizzonte positivo che il documento apre per la missione della Chiesa verso le famiglie, mettendo al centro la questione educativa come questione pastorale decisiva».

Il 26 aprile 2016 Stephan Kampowski, ordinario di Antropologia filosofica Presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia a Roma, ha scritto: «Si vede chiaramente che la domanda del divorzio e delle seconde unioni non è per nulla l’argomento principale dell’esortazione post-sinodale. Che cosa vuol dire tutto questo per i divorziati “risposati”? Si dovrebbe pensare che un Papa coraggioso come Francesco – un Papa che ha il cuore di un pastore e che si preoccupa del bene del gregge – si esprimerebbe con chiarezza se volesse cambiare in modo fondamentale la prassi attuale. Chi cerca sostegno per un cambiamento della prassi ecclesiale in genere fa riferimento al numero 305 con la nota a piè di pagina 351. A questo punto dobbiamo porci una sola domanda: è davvero probabile che Papa Francesco – che si augura una «pastorale del legame» e che è consapevole del fatto che «la misericordia non esclude la giustizia e la verità» (AL 311) – voglia cambiare la prassi costante della Chiesa, che risale a Gesù e all’apostolo Paolo e che è radicata nella dottrina, con una nota a piè di pagina. Perciò nonostante la pressione dell’opinione pubblica e nonostante le mosse anche di chi all’interno della Chiesa vuole andare avanti e mettere davanti al fatto compiuto, una lettura oggettiva e studiata di Amoris laetitia non giustifica i cambiamenti rispetto alla domanda della comunione ai divorziati “risposati”».

Il 29 aprile 2016 il teologo domenica Angelo Bellon ha scritto: «Leggendo l’Esortazione dall’inizio alla fine, senza preconcetti e senza le caricature dei giornalisti o delle persone intervistate, non ho trovato nessuna rottura con il Magistero precedente, ma una continuità e uno sviluppo, soprattutto nell’atteggiamento di ricerca, di accoglienza, di accompagnamento e di integrazione di coloro che si trovano in difficoltà nell’essere conformi alla logica evangelica. La questione più controversa è quella relativa alla Santa Comunione ai divorziati risposati, che tuttavia non viene mai espressamente menzionata nell’Esortazione. Va notato che soprattutto nel capitolo 8° il linguaggio talvolta è molto sfumato e si può prestare a valutazioni non solo differenti, ma addirittura fra di loro opposte […]. Interpretati così, i punti più scottanti dell’Esortazione non fanno difficoltà. Mentre molte difficoltà nascono da una lettura diversa. Va considerato infine che questa Esortazione è tutta permeata da un clima di accoglienza e di misericordia. Questo è lo stile che le si è voluto dare. E ne va tenuto conto».

Il 24 marzo 2017 il teologo Angelo Bellon ha commentato: «Chi si trova in una condizione di adulterio pubblico e permanente vive in palese contrasto con il disegno divino sul matrimonio. Certo, c’è poi un discorso soggettivo e individuale da fare. Così come c’è un percorso pastorale da attuare. È quanto ha inteso fare Amoris laetitia quando scrive: “I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui “l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione” (FC 84). C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di “coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido (FC 84)” (AL 298). Non c’è bisogno di un pronunciamento del Romano Pontefice per dare l’assoluzione e la Santa Comunione (escludendo evidentemente lo scandalo) a coloro che pur vivendo in uno stato oggettivo di disordine non ne possono uscire, si comportano castamente e vivono in grazia di Dio. È sufficiente il buon senso di qualunque pastore. Come del resto si è sempre fatto».

Il 04 maggio 2016 l’arcivescovo di Ferrara Luigi Negri, stimato dal mondo tradizionalista, ha commentato il capitolo VIII dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, affermando che «è stato ampiamente sezionato e vivisezionato nel tentativo di spingerlo nel senso che fosse una rottura con la tradizione precedente. Questa è una falsificazione inaccettabile, non c’è una parola che dica che è possibile mettere fra parentesi alcuni aspetti fondamentali dell’insegnamento tradizionale della Chiesa». Rispetto alla nota 351, ha aggiunto: «la pastorale ha una serie di strumenti, non escluso quello dell’Eucarestia, che possono rappresentare un aiuto fondamentale nel cammino della fede, ma nel cammino della fede non perché io ho il diritto all’Eucarestia! L’Eucarestia può essere un aiuto straordinario che in certe situazioni, lo dico io non il Papa, potrebbe essere anche dato con certe circostanze di discrezione, di riservatezza ecc. Ma sulla base di aiutare il ritorno alla fede, l’esperienza dell’incontro con Cristo. Non so dove potrebbe essere l’equivoco, se prendono questa nota per dire che il Papa è d’accordo con la Comunione ai divorziati risposati, prendono una frase che non può essere certamente utilizzata in questo senso. Questa nota non è se non la conferma di questo atteggiamento di graduale e prudente apertura che favorisca il desiderio di ritornare alla fede, bisogna stare alle cose che sono scritte non all’enorme fenomeno di manipolazione nel quale siamo incorsi. La chiarezza c’è, non c’è obiezione alla tradizione magisteriale precedente».

Il 06 maggio 2016 il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha commentato così Amoris Laetitia: «se “Amoris laetitia” avesse voluto cancellare una disciplina tanto radicata e di tanta rilevanza l’avrebbe detto con chiarezza, presentando ragioni a sostegno. Invece non vi è alcuna affermazione in questo senso; né il papa mette in dubbio, in nessun momento, gli argomenti presentati dai suoi predecessori, che non si basano sulla colpevolezza soggettiva di questi nostri fratelli, bensì sul loro modo visibile, oggettivo, di vita, contrario alla parole di Cristo». Rispetto alla nota 351, «basta dire che questa nota fa riferimento a situazioni oggettive di peccato in generale, senza citare il caso specifico dei divorziati in nuova unione civile. La situazione di questi ultimi, effettivamente, ha caratteristiche particolari che la distinguono da altre situazioni. Un argomento che non è presente nella nota né nel suo contesto».

Il 26 luglio 2016 il teologo Angelo Bellon è intervenuto a proposito dell’Amoris Laetitia: «sebbene qua e là vi siano espressioni che necessitano di un’interpretazione, tuttavia la sostanza del documento è chiara. La dottrina, è stato ribadito più volte, non cambia e non può cambiare. Il Papa stesso a suo tempo ha detto: “Io sono figlio della Chiesa”. Mi scrivi: “ho sentito che il Papa vuole dare la comunione ai divorziati risposati”. Posta così l’affermazione, bisognerebbe dire che non è vera. Non è mai uscita dalla bocca del Papa né si trova scritta nel documento. Piuttosto il Papa dice che bisogna andare incontro a queste persone, che non bisogna abbandonarle, che non si sentano escluse, che è necessario accompagnarle. E, anche se non è scritto esplicitamente, indirizzarle a santità di vita. Il Papa nell’esortazione Amoris laetitia dice, come del resto diceva anche il magistero precedente di Giovanni Paolo II, che è necessario discernere i vari casi».

Il 12 settembre 2016 Papa Francesco ha inviato una lettera ai vescovi di Buenos Aires di apprezzamento al documento Criterios básicos para la aplicación del capítulo viii de Amoris laetitia (“Criteri fondamentali per l’applicazione del capitolo viii di Amoris laetitia”). Il documento dei vescovi spiega che l’esortazione è stata il «frutto del lavoro e della preghiera di tutta la Chiesa, con la mediazione di due Sinodi e del Papa». Ricorda anche che non «conviene parlare di “permesso” per accedere ai sacramenti, ma di un processo di discernimento accompagnato da un pastore». Questo processo deve essere «personale e pastorale». Si tratta di un itinerario, scrivono i vescovi, che richiede la carità pastorale del sacerdote, il quale «accoglie il penitente, lo ascolta attentamente e gli mostra il volto materno della Chiesa, mentre accetta la sua retta intenzione e il suo buon proposito di collocare la vita intera alla luce del Vangelo e di praticare la carità». Questo cammino, avvertono i presuli, non termina necessariamente nei sacramenti, ma può orientarsi in altre forme di maggiore integrazione nella vita della Chiesa. «Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendano fattibile, specialmente quando entrambi siano cristiani con un cammino di fede — si legge nel documento — si può proporre l’impegno di vivere in continenza». L’Amoris laetitia «non ignora le difficoltà di questa opzione e lascia aperta la possibilità di accedere al sacramento della riconciliazione quando si manchi a questo proposito». In altre circostanze più complesse, e quando non si è potuto «ottenere una dichiarazione di nullità — sottolinea il testo — l’opzione menzionata può non essere di fatto praticabile». È possibile, tuttavia, compiere ugualmente «un cammino di discernimento». E «se si giunge a riconoscere che, in un caso concreto, ci sono limitazioni che attenuano la responsabilità e la colpevolezza, particolarmente quando una persona consideri che cadrebbe in una ulteriore mancanza provocando danno ai figli della nuova unione, Amoris laetitia apre alla possibilità dell’accesso ai sacramenti della riconciliazione e dell’Eucaristia». Il documento sottolinea come occorra evitare di intendere questa possibilità come un «accesso illimitato ai sacramenti, o come se qualsiasi situazione lo giustificasse». Ciò che si propone è piuttosto un discernimento che «distingua adeguatamente ogni caso».

Il 19 settembre 2016 quattro cardinali (Brandmüller, Caffarra, Burke e Meisner) hanno consegnato nelle mani del Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, card. Muller, una lettera chiedendo chiarimenti e manifestando i cosiddetti Dubia riguardanti l’interpretazione dell’esortazione Amoris laetiti sul matrimonio e la famiglia. I porporati hanno deciso di rendere pubblico il documento giustificandosi dicendo che non avevano ricevuto risposta dalla Santa Sede.

Il 22 novembre 2016 Roby Ronza, uno dei principali collaboratori de La Nuova Bussola Quotidiana, organo web il cui direttore, Riccardo Cascioli è pesantemente contrario ad Amoris Laetitia e a Papa Francesco, ha scritto sul suo blog personale un articolo a favore dell’esortazione apostolica di Francesco. «Vorrei contribuire al dibattito spiegando perché, per quanto mi riguarda, non mi sento al riguardo né smarrito, né confuso». In seguito Ronza deciderà di abbandonare LaNuovaBQ per impossibilità ad esprimere la sua opinione a favore del Pontefice.

Il 18 dicembre 2016 mons. Angelo Becciu, nominato nel 2011 da Benedetto XVI sostituto della Segreteria di Stato, ha risposto alle polemiche sull’esortazione apostolica: «Io non entro nel merito delle polemiche, ma voglio solo ribadire i principi che mi sono sempre stati insegnati dalla sana tradizione della Chiesa: come umile collaboratore del Papa, sento il dovere di dirgli lealmente il mio pensiero quando è in fase di elaborazione una decisione. Una volta che è stata presa, io obbedisco totalmente al Santo Padre. L’unità della Chiesa, per la quale Gesù ha sudato sangue e ha dato la vita, viene prima delle mie idee, pur belle che siano. Quelle vissute in disubbidienza hanno rovinato la Chiesa».

Il 20 dicembre 2016 il cardinale Raymond Leo Burke, uno dei firmatari dei cinque Dubia sull’Amoris Laetitia, ha dato una sorta di ultimatum a Francesco: se il Pontefice non risponderà procederà con una «correzione formale».

Il 22 dicembre 2016 Anne-Marie Pellettier, professoressa associata di lettere moderne e vincitrice del Premio Ratzinger 2014, ha risposto alle critiche sollevate: «È sbagliato affermare che, invitando in questo modo al discernimento e all’integrazione, il Papa svenda la verità, edulcori la fede, renda sfocato l’appello alla santità, ritagli su misura una pastorale compiacente. La verità è che parla facendo lui stesso ciò che invita i lettori a fare: prendere la Parola di Dio come ‘compagna di viaggio. Il grande soffio di vita del Vangelo rovescia i banchi di quanti sono occupati a stabilire pesi e misure, a opporre ai peccatori che si presentano un regolamento, come a un posto di dogana. Così la chiarezza, che i censori di Amoris laetitia esigono, non può essere la linea di confine che delimita ciò che è conforme e ciò che è sbagliato».

Il 26 dicembre 2016 uno dei firmatari dei cinque Dubia sull’Amoris Laetitia, il cardinale tedesco Walter Brandmüller, ha precisato: «Innanzitutto noi Cardinali attendiamo la risposta ai Dubia, in quanto una mancata risposta potrebbe essere vista da ampi settori della Chiesa come un rifiuto dell`adesione chiara e articolata alla dottrina definita. I Dubia intendono promuovere nella Chiesa il dibattito, come sta avvenendo. Il Cardinale Burke nell’intervista originale in inglese (non come hanno riportato i media italiani) non ha indicato una scadenza, ma solo risposto che ora dobbiamo pensare a Natale e poi si affronterà la questione. Inoltre il Cardinale non ha detto che una eventuale correzione fraterna (conf. Gal. 2,11-14) debba avvenire pubblicamente. Devo, invece, ritenere che sia convinto, che in prima istanza una correzione fraterna debba avvenire in camera caritatis. Del resto devo dire che il Cardinale ha espresso-in piena autonomia-la sua opinione, che, senz`altro potrebbe essere condivisa pure da altri cardinali». Tale comunicato è stato inviato dal cardinale al vaticanista Andrea Tornielli, in seguito ad una loro conversazione telefonica. Il 10/01/17 Riccardo Cascioli, direttore della “Nuova Bussola Quotidiana” ha accusato Tornielli di aver “estorto” tale dichiarazioni a Brandmüller, ma il vaticanista ha pubblicato l’intero messaggio che ha ricevuto, che effettivamente corrisponde a quanto lui ha pubblicato. Il giornalista Francesco Agnoli ha contro-replicato dicendo di non voler rivelare «quanto ambienti vicini al cardinale tedesco, intimo amico di Benedetto, mi hanno raccontato nei giorni passati», dubitando dell’onestà professionale di Tornielli. Quest’ultimo ha a sua volta risposto difendendosi: «Non c’è stata estorsione semplicemente perché il cardinale poteva dirmi che non se ne faceva nulla e il nostro dialogo telefonico (non un intervista) sarebbe rimasto riservato. Proprio perché non intendevo forzare né strumentalizzare ho inviato un testo via email al cardinale, perché ne prendesse visione, lo correggesse, lo cambiasse o semplicemente dicesse che preferiva lasciar perdere. Ha invece deciso di inviarmi quella dichiarazione scritta e meditata, che io ho utilizzato».

Il 09 gennaio 2017 il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (e ritenuto da Antonio Socci «il difensore della retta dottrina cattolica e del popolo di Dio») è intervenuto durante il programma “Stanze Vaticane” di Tgcom24 in difesa dell’Amoris Laetitia, prendendo le distanze dai quattro cardinali dei dubia e dalla paventata “correzione formale” che il card. Raymond Leo Burke intenderebbe promuovere verso il Papa: «una possibile correzione fraterna del Papa mi sembra molto lontana, non è possibile in questo momento perché non si tratta di un pericolo per la fede, come San Tommaso ha detto. “Amoris Laetitia” è molto chiara nella sua dottrina e possiamo interpretare tutta la dottrina di Gesù sul matrimonio, tutta la dottrina della Chiesa in 2000 anni di storia. I cardinali hanno il diritto di scrivere una lettera al Papa. Mi sono stupito perché questa però è diventata pubblica, costringendo quasi il Papa a dire sì o no. Questo non mi piace. E’ un danno per la Chiesa discutere di queste cose pubblicamente».

L’11 gennaio 2017 il card. Lorenzo Baldisseri ha risposto ai cardinali autori dei Dubia: «Sono state già fornite diverse risposte. Si sono espresse anche persone competenti per il loro ruolo e la loro autorità. Si tratta innanzitutto di procedere al fine di rinforzare la famiglia e di assicurare la stabilità del matrimonio e la serenità della vita familiare. Inoltre è importante presentare la bellezza del matrimonio cristiano anche a chi non vive un’unione sacramentale. Lì dove ci si trova in presenza di persone che vengono da una precedente unione fallita, occorre saper distinguere le situazioni, le responsabilità e gli atteggiamenti che esse assumono al fine di procedere gradualmente a una maggiore integrazione nella comunità ecclesiale. A questo proposito è indispensabile un discernimento attento e appropriato per la singola persona, essendo capaci di integrare adeguatamente il rapporto tra la norma e la coscienza. Non penso che ci sia bisogno di aggiungere altro, se non ribadire che tutte le risposte che si richiedono sono già contenute nel testo della stessa esortazione apostolica».

Il 16 gennaio 2017 mons. Livio Melina, preside emerito del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, ha commentato il lavoro di tre studiosi dell’istituto che presiede, i teologi José Granados e Juan-José Pérez-Soba e il filosof Stephan Kampowski, sull’esortazione apostolica. Melina ha scritto: «Con l’esortazione apostolica post-sinodale, papa Francesco non ha voluto chiudere “tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali” (AL 3), mediante un intervento magisteriale di carattere definitorio, ma piuttosto “avviare un processo”, ammettendo anche francamente che potranno esistere “diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che ne derivano”. E in effetti siamo di fronte ad una molteplicità di interpretazioni, a volte diametralmente opposte, spesso incompatibili tra loro, che hanno prodotto una grande confusione tra fedeli e pastori, anche perché talvolta ci si è accontentati con una prima lettura semplificatrice e addirittura manipolatrice dei grandi mezzi di comunicazione. Tempo e pazienza saranno necessari per “fare chiarezza”. Il testo dell’esortazione infatti non è sempre chiaro: la presenza di tante ermeneutiche diverse e opposte e l’iniziativa dei “Dubia” lo documentano al di là di ogni possibile negazione. Papa Francesco non consiglia letture affrettate del lungo e complesso documento (AL 7)». Per quanto riguarda le discusse note 336 e 351, mons. Melina spiega che nello studio vengono «proposte delle spiegazioni delle note 336 e 351, rispettivamente dei nn. 300 e 305 di AL, che ne mostrano la continuità col magistero precedente della Chiesa, in particolare di Familiaris consortio 84 e di Sacramentum Caritatis 29. È questa la novità che il documento di papa Francesco porta alla pastorale ecclesiale: la misericordia non è semplice compassione emotiva, né può confondersi con una tolleranza complice del male, ma è offerta sempre gratuitamente e generosamente proposta alla libertà di una possibilità di ritorno a Dio, che ha la natura di un itinerario sacramentale ed ecclesiale […]. L’obiettivo del discernimento non è perciò quello di aggirare le leggi con eccezioni, ma di trovare i modi di un cammino di conversione realistico, con l’aiuto della grazia di Dio. Adattare la legge morale a quelle che percepiamo essere le capacità nostre o dei fedeli non sarebbe un’azione pastorale, ma piuttosto un’azione legale che finisce col rendere superflua l’azione pastorale. Il cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in una dichiarazione del 1 dicembre 2016 ad un’agenzia cattolica austriaca, ha affermato che pur rispettando la decisione del papa Francesco di non rispondere ai Dubia, in ogni caso “questo documento [Amoris laetitia, ndr] non deve essere interpretato in modo tale da indicare che le precedenti dichiarazioni dei papi e della Congregazione della Dottrina della fede non sono più valide”. Del resto sarebbe molto strano che proprio dopo aver proclamato solennemente san Giovanni Paolo II “il Papa della famiglia”, Francesco volesse poi allontanarsi dal suo chiaro insegnamento su un punto tanto rilevante, nel quale è in gioco l’unità di fede e vita, di sacramento e testimonianza. Impensabile poi che cercasse di farlo surrettiziamente, accreditando una prassi per poter poi mutare anche la dottrina».

Il 01 febbraio 2017 la rivista Il Timone ha pubblicato un’intervista la card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale ha affermato: «non è Amoris Laetitia che ha provocato una confusa interpretazione, ma alcuni confusi interpreti di essa». Sul nostro sito web abbiamo fatto notare che l’intervista è riservata agli abbonati del mensile, mentre nelle presentazioni pubbliche dell’intervista da parte dei due intervistatori, Riccardo Cascioli e Lorenzo Bertocchi -notoriamente anti-bergoliani- queste esplosive parole non sono state riportate. Cascioli le ha censurate nella sua presentazione su La Nuova Bussola Quotidiana, mentre Bertocchi ha censurato il prefetto nel suo articolo di presentazione dell’intervista su La Verità. Al contrario di quanto è avvenuto sul resto della stampa, anche a livello internazionale.

Il 03 febbraio 2017 il filosofo cattolico Rocco Buttiglione, profondo conoscitore del pensiero di Giovanni Paolo II, ha spiegato che la rivoluzione di Papa Wojtyla «non è stata compresa ed è stata rigettata da molti teologi moralisti che parlavano a nome della “svolta antropologica nella teologia morale”. Essi si sono opposti all’insegnamento del Papa. La proposta di S.Giovanni Paolo II è stata sostanzialmente rigettata o almeno è rimasta incompresa da parte di molti “tradizionalisti” che hanno visto in essa solo la conferma delle proprie posizioni sulla oggettività dell’etica ma hanno passato sotto silenzio il suo aspetto innovativo. Proprio per questo il Magistero di S.Giovanni Paolo II contiene ancora molte potenzialità inespresse. A me sembra che Papa Francesco con la Esortazione Apostolica postsinodale Amoris Laetitia si situi esattamente sulla linea di queste potenzialità inespresse». Ha proseguito: «Molti critici di Amoris Laetitia la oppongono a Veritatis Splendor. La stessa cosa fanno alcuni presunti sostenitori che la considerano una specie di rivincita della teologia della situazione contro S. Giovanni Paolo II. Sbagliano gli uni e sbagliano gli altri. L’errore nasce dal fatto di non considerare il fatto che Papa Francesco si pone sul terreno non della giustificazione dell’atto ma delle circostanze attenuanti soggettive che diminuiscono la responsabilità dell’agente. Questo è proprio dell’equilibrio dell’etica cattolica e distingue l’etica realista di S.Giovanni Paolo II dell’etica oggettivista di alcuni avversari di Papa Francesco. Certamente non è cambiato nulla dal punto di vista della teologia del matrimonio. Il Papa non dice, contrariamente a quello che pretendono i più scriteriati dei suoi critici (ed anche qualche suo falso sostenitore): adesso i divorziati risposati sono ammessi alla comunione. Dice se mai che adesso sono ammessi alla confessione. Vadano dal confessore, dicano le loro ragioni, se ne hanno, ed il confessore, insieme con il penitente, valuterà».

Il 03 febbraio 2017 è emerso che il card. Gerhard Ludwig Müller ha sostenuto fin dall’inizio la proposta, poi contenuta in Amoris laetitia, rispetto ai divorziati risposati. «Ogni testo del gruppo di lingua tedesca» durante il Sinodo del 2015, «ogni relatio, fu votata unanimente, nessun voto contrario», ha affermato il card. Reinhard Marx. Il che significa che anche il cardinale Müller ha votato a favore dell’eccezione proposta.

Il 07 febbraio 2017 il cardinale Carlos Osoro Sierra, arcivescovo di Madrid e vice presidente della Conferenza Episcopale Spagnola, è intervenuto spiegando che «l’Amoris Laetitia è la continuità, non la rottura».

Il 09 febbraio 2017 Michael Sean Winters, editorialista del National Catholic Reporter, ha scritto che «il Santo Padre ha saggiamente scelto di non rispondere ai cinque dubia» in quanto «non sono realmente espressione di dubbi o domande, ma piuttosto affermazioni che “Amoris Laetitia” sembra aver abbandonato o alterato gli insegnamenti fondamentali della tradizione cattolica. Rispondendo pubblicamente avrebbe incoraggiato solo quei pochi che resistono alla pastorale del papa». Winters ha fatto sua la riflessione del teologo Louis J. Cameli, apparsa qualche giorno prima.

Il 10 febbraio 2017 il cardinale Lluís Martínez Sistach, arcivescovo emerito di Barcellona e creato cardinale nel 2007 da papa Benedetto XVI, che gli ha dato incarichi molto importanti in Curia, ha affermato: «Possiamo dire che Amoris laetitia non ammette i divorziati risposati ai sacramenti. Il Papa non parla di “categorie” ma di “persone”, ed è sotto questo aspetto che occorre compiere in ciascun caso il processo di discernimento che configura una logica diversa da quella del “sì si può” o del “no non si può”». Ha chiesto di evitare «di ridurre tutto il suo ricchissimo contenuto all’ottavo capitolo. Perché c’è chi sminuisce il suo valore dottrinale, riducendolo a semplici orientamenti pastorali. Amoris laetitia – sottolinea Sistach – rimanda alla consolidata dottrina della Chiesa quando fa riferimento alle circostanze attenuanti ed esimenti che influiscono sulla capacità di decisione e sulla diminuzione o addirittura sull’annullamento dell’imputabilità e della responsabilità, così come stabilisce il Catechismo della Chiesa cattolica». Spiega l’emerito di Barcellona: «Se in una situazione, dopo aver compiuto questo processo di discernimento, l’interessato, con l’aiuto di un sacerdote, in coscienza e dinanzi a Dio, constata che c’è qualche circostanza che fa sì che alla situazione obiettiva di peccato della nuova unione non corrisponde un’imputabilità soggettiva grave, in quel caso si può accedere ai sacramenti». E’ «il testo di morale che aspettavamo dal Concilio Vaticano II e che sviluppa il contenuto esposto nel Catechismo della Chiesa cattolica e in Veritatis splendor». Il testo è stato pubblicato sull’Osservatore Romano

L’11 febbraio 2017 il quotidiano Avvenire ha osservato la mobilitazione straordinaria di diocesi (centoventi), associazioni, movimenti, istituti di scienze religiose e facoltà teologiche per divulgare l’Esortazione postsinodale di papa Francesco.

L’14 febbraio 2017 il card. Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, ha presentato il suo opuscolo “Il capitolo ottavo della Esortazione Apostolica Post Sinodale Amoris Laetitia”. Il direttore della Libreria Editrice Vaticana (LEV) ha precisato che non si tratta di una risposta ai Dubia dei 4 cardinali. Il cardinale ricorda, citandoli, i testi dell’esortazione che contengono «con assoluta chiarezza tutti gli elementi della dottrina sul matrimonio in piena coerenza e fedeltà all’insegnamento tradizionale della Chiesa». L’esortazione afferma ripetutamente la «volontà ferma di restare fedeli alla dottrina della Chiesa su matrimonio e famiglia». E ricorda che «in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza… La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi». Il cardinale spiega che Amoris laetitia, citando anche Giovanni Paolo II, parla di coppie che pur nella «consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione» hanno «grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe», e situazioni in cui «l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione». Coccopalmerio osserva che il testo, pur non affermandolo esplicitamente, presuppone in modo implicito che queste persone siano intenzionate a «cambiare la loro condizione illegittima». Cioè si pongano «il problema di cambiare» e quindi abbiano «l’intenzione o, almeno, il desiderio» di farlo. Il cardinale fa l’esempio concreto «di una donna che è andata a convivere con un uomo sposato canonicamente e abbandonato dalla moglie con tre bambini ancora piccoli. Orbene, questa donna ha salvato l’uomo da uno stato di profonda prostrazione, probabilmente dalla tentazione di suicidio; ha allevato i tre bambini non senza notevoli sacrifici; la loro unione dura ormai da dieci anni; è nato un nuovo figlio. La donna della quale parliamo ha piena coscienza di essere in una situazione irregolare. Vorrebbe sinceramente cambiare vita. Ma, evidentemente, non lo può. Se, infatti, lasciasse la unione, l’uomo tornerebbe nella condizione di prima, i figli resterebbero senza mamma. Lasciare l’unione significherebbe, dunque, non adempiere gravi doveri verso persone di per sé innocenti. È perciò evidente che non potrebbe avvenire “senza una nuova colpa”». Il cardinale ricorda quanto stabilito da Giovanni Paolo II in Familiaris consortio e cioè la possibilità di confessarsi e fare la comunione purché ci si impegni a vivere come «fratello e sorella», cioè astenendosi dai rapporti sessuali. E sottolinea anche che l’eccezione in proposito sollevata da Amoris laetitia si fonda su un testo della costituzione conciliare Gaudium et spes: «In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere ‘come fratello e sorella’ che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, “non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli”». Dunque, suggerisce l’autore del libro, «qualora l’impegno di vivere “come fratello e sorella” si riveli possibile senza difficoltà per il rapporto di coppia, i due conviventi lo accettino volentieri». Se invece tale impegno «determini difficoltà, i due conviventi sembrano di per sé non obbligati, perché verificano il caso del soggetto del quale parla il n. 301 con questa chiara espressione: “si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa”». «La Chiesa, dunque, potrebbe ammettere alla penitenza e alla eucaristia – conclude Coccopalmerio – i fedeli che si trovano in unione non legittima, i quali però verifichino due condizioni essenziali: desiderano cambiare tale situazione, però non possono attuare il loro desiderio. È evidente che le condizioni essenziali di cui sopra dovranno essere sottoposte ad attento e autorevole discernimento da parte dell’autorità ecclesiale». Nessun soggettivismo, ma spazio al rapporto con il sacerdote. Il cardinale afferma che potrebbe essere «necessario» o almeno «assai utile un servizio presso la Curia», in cui il vescovo «offra una apposita consulenza o anche una specifica autorizzazione a questi casi di ammissione ai sacramenti». «Credo che possiamo ritenere, con sicura e tranquilla coscienza – spiega Coccopalmerio – che la dottrina, nel caso, è rispettata. La dottrina dell’indissolubilità del matrimonio è nel caso rispettata, perché i fedeli nella situazione ipotizzata si trovano in unioni non legittime, anzi, più precisamente, possiamo senz’altro affermare che tale condizione è oggettivamente di peccato grave. La dottrina del sincero pentimento che contiene il proposito di cambiare la propria condizione di vita come necessario requisito per essere ammessi al sacramento della penitenza è nel caso rispettata, perché i fedeli nelle situazioni ipotizzate, da una parte, hanno coscienza, hanno convinzione, della situazione di peccato oggettivo nella quale attualmente si trovano e, dall’altra, hanno il proposito di cambiare la loro condizione di vita, anche se, in questo momento, non sono in grado di attuare il loro proposito». A chi invece la Chiesa «non può assolutamente – sarebbe una patente contraddizione – concedere» i sacramenti? Al fedele che, «sapendo di essere in peccato grave e potendo cambiare, non avesse però nessuna sincera intenzione di attuare tale proposito». È quanto afferma Amoris laetitia: «Ovviamente, se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità. Ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione…». In un’intervista, il card. Coccopalmerio ha aggiunto: «Il caso deve essere ben preciso: la persona vive in questa situazione non legittima, si rende conto di questo, vorrebbe cambiare ma non può. E il motivo dell’impossibilità è proprio di non andare contro o ledere persone innocenti, soprattutto se si tratta di bambini. In questo caso la Chiesa può dire: ‘Aiutiamo queste persone, con il sacramento della penitenza e dell’eucarestia, a progredire verso una maturità e pienezza di attuazione del proposito’. Deve essere ben chiaro che chi si trova in tali condizioni non può ‘auctoritate sua’ dire ‘accedo alla penitenza e all’eucarestia’. Deve comunque consultare l’autorità competente come il proprio parroco che potrà o dovrà consultarsi con un suo superiore che è l’ordinario diocesano».

Il 22 febbraio 2017 il cardinale Mauro Piacenza, penitenziere maggiore presso il Tribunale della Penitenzieria Apostolica, nominato da Benedetto XVI arcivescovo, prefetto della congregazione per il Clero, presidente del Consiglio internazionale per la catechesi e cardinale (definito sui media “uomo di Ratzinger”) ha spiegato che «per coloro che non hanno familiarità con la teologia del matrimonio, possono sollevare alcune domande», ma, ha insistito, «nulla è cambiato nella gestione del sacramento della penitenza, perché non è possibile modificare un sacramento». In questo modo, ha detto, «il Papa non voleva fare la rivoluzione dei sacramenti ma aiutare ad educare i fedeli a analizzare bene la propria situazione e anche guardare bene se le caratteristiche sono soddisfatte per accedere all’assoluzione sacramentale».

Il 26 febbraio 2017 il cardinale ratzingeriano Angelo Scola, arcivescovo di Milano, è intervenuto sulle polemiche riguardo a Amoris Laetitia: «La grande novità delle due assemblee sinodali, ripresa anche nell’Esortazione, è quella di aver indicato la famiglia come un oggetto diretto dell’annuncio di Cristo». Rispetto alle famiglie ferite o “non in regola”, ha aggiunto il cardinale, «non sono fuori dalla comunione con la Chiesa. Per quanto riguarda Amoris Laetitia a me sembra che Francesco non abbia voluto dare altre regole rispetto a quelle dei suoi predecessori».

Il 26 febbraio 2017 il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Müller, è intervenuto nuovamente affermando: «Abbiamo il messaggio di Gesù e la Bibbia che dicono parole chiare sul fondamento del matrimonio nella volontà salvifica di Dio. Le condizioni sociologiche cambiano ma occorre anche tenere presente che vi sono diverse antropologie che non accettano la nostra, fondata nella Parola di Dio. Occorre annunciare il Vangelo senza tradirlo. Francesco vuole far sentire la vicinanza del Buon Pastore al popolo di Dio con la predicazione e la testimonianza della vita cristiana».

Il 01 marzo 2017 monsignor Pio Vito Pinto, decano della Rota Romana, ha risposto a chi sostiene che Papa Francesco, con le nuove norme sul processo, voglia “fare sconti” sul sacramento del matrimonio: «Papa Francesco, con l’Esortazione post-sinodale Amoris laetitia e con i due Motu proprio sul processo matrimoniale, non ha mai messo in dubbio l’indissolubilità del sacramento del matrimonio. Proprio per ribadirla ha voluto dare maggiore fiducia a parroci e vescovi, che sentono la responsabilità del loro compito nel difendere la sacralità del vincolo matrimoniale. Il Santo Padre ha fiducia nella consacrazione episcopale: certo, i vescovi sono uomini e come tali possono anche sbagliare, ma nelle loro Chiese particolari sono ‘i dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita’, come si legge nella Lumen Gentium».

Il 20 marzo 2017 il cardinale Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, ha affermato: «Non credo proprio che l’indissolubilità del matrimonio sia in pericolo a causa di Amoris Laetitia, tutt’altro: ne parla ben 11 volte. Più che polemiche accademiche su questioni specifiche – e certamente importanti nella misura in cui riguardano la dottrina – o letture ermeneutiche che ne approfondiscono e ne arricchiscono la comprensione, conta ricordare quanto diceva già san Giovanni XXIII riguardo al Concilio che aveva indetto: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che lo capiamo sempre meglio”; così, parafrasando, dovremmo dire che non è cambiato il significato del matrimonio cristiano (e l’annuncio della sua bellezza da parte della Chiesa), ma devono cambiare – nel senso di accrescimento e approfondimento – la pastorale, la cura, l’attenzione della Chiesa nei confronti delle famiglie, soprattutto verso quelle più bisognose di aiuto, sostegno e accompagnamento».

Il 23 marzo 2017 il teologo Angelo Bellon ha osservato: «non è vero che il Papa in Amoris Laetitia non proibisca la contraccezione», ed ha elencato tutti i passi dell’esortazione in cui il Papa si pronuncia in questo senso».

Il 24 marzo 2017 il teologo Angelo Bellon ha commentato: «Chi si trova in una condizione di adulterio pubblico e permanente vive in palese contrasto con il disegno divino sul matrimonio. Certo, c’è poi un discorso soggettivo e individuale da fare. Così come c’è un percorso pastorale da attuare. È quanto ha inteso fare Amoris laetitia quando scrive: “I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui “l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione” (FC 84). C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di “coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido (FC 84)” (AL 298). Non c’è bisogno di un pronunciamento del Romano Pontefice per dare l’assoluzione e la Santa Comunione (escludendo evidentemente lo scandalo) a coloro che pur vivendo in uno stato oggettivo di disordine non ne possono uscire, si comportano castamente e vivono in grazia di Dio. È sufficiente il buon senso di qualunque pastore. Come del resto si è sempre fatto».

Il 25 marzo 2017 il cardinale nigeriano John Onaiyekan ha spiegato: «Non c’è niente che il Papa abbia detto dove non stavamo già lavorando più o meno lungo quella linea. Può darsi che un uomo e una donna siano in condizioni irregolari, ma ciò non significa che siano scomunicati. Abbiamo sempre trovato il modo di accoglierli. Forse con Amoris Laetitia , troveremo un modo migliore di accoglierli».

Il 20 novembre 2017 il filosofo Rocco Buttiglione ha commentato l’uscita del suo nuovo libro (“Risposte amichevoli ai critici di Amoris Laetitia”) -con prefazione del card. Mueller- affermando: «Credo che, grazie al mio libro e alla prefazione del cardinale Müller, per la prima volta i critici sono stati costretti a rispondere e non possono negare un punto: esistono circostanze attenuanti in forza delle quali un peccato mortale (un peccato che sarebbe altrimenti mortale) diventa un peccato più lieve, solo veniale. Esistono quindi alcuni casi nei quali dei divorziati risposati possono (dal confessore e dopo un adeguato discernimento spirituale) essere considerati in grazia di Dio e quindi meritevoli di ricevere i sacramenti. Sembra una novità sconvolgente ma è una dottrina interamente, oserei dire graniticamente tradizionale. Il Papa non dice che siano molti e probabilmente saranno pochissimi in certi contesti e più numerosi in certi altri. Le circostanze attenuanti sono infatti la mancanza di piena avvertenza e deliberato consenso. Anche se i casi fossero pochissimi i passi incriminati di Amoris Laetitia sarebbero perfettamente ortodossi e gravissima sarebbe la colpa di coloro che hanno accusato di eresia il Papa: calunnia, scisma ed eresia».

Il 07 novembre 2017 il giornalista Andrea Tornielli ha rilevato la confusione dei critici di Amoris Laetitia, in particolare di Sandro Magister e Roberto De Mattei. I due, infatti, soltanto dopo la chiara approvazione del card. Mueller all’esortazione papale, hanno riconosciuto la possibilità -seppur in casi molto rari- di concedere la comunione a dei divorziati risposati, contraddicendo così la loro lunga campagna mediatica contro il “Pontefice eretico”.

Il 12 dicembre 2017 il card. Lluís Martínez Sistach, ratzingeriano e nominato dal Papa emerito membro della Segnatura Apostolica e membro del Pontificio Consiglio per i Laici, ha affermato: «Penso che l’esortazione Amoris Laetitia sia chiara e lo è, soprattutto, il capitolo otto (dedicato ai divorziati). È un principio morale tradizionale di circostanze attenuanti che si applicano in questo caso ai divorziati risposati civilmente, ma che in precedenza si applicava a tutti gli atti umani nella loro valutazione etica. Riguardo alla nuova unione, dobbiamo vedere se è stabile, se ci sono bambini, se sono battezzati e catechizzati, se si celebra la fede. Questi sono elementi da tenere in considerazione per vedere quale sia l’atteggiamento della parte interessata. Quindi dobbiamo vedere se ci sono circostanze attenuanti, situazioni in cui la persona è incapace di prendere decisioni. Il documento del Papa dice che né il sinodo né l’esortazione stabiliscono norme perché le norme si applicano sempre su un caso concreto. Possiamo affermare che Amoris laetitia non è in contraddizione con l’insegnamento di altri Papi sul matrimonio, e non ammette i sacramenti ai divorziati e risposati civilmente. Il Papa non parla di “categorie”, ma di persone ed è sotto questo aspetto che è necessario il processo di discernimento che forma una logica diversa da quella del si “può” o “non si può»“.

Il 31 dicembre 2017 il card. Gerhard Ludwig Müller ha commentato la sua iniziativa di firmare la prefazione al libro Risposte amichevoli ai critici di Amoris Laetitia di Rocco Buttiglione, il quale sostiene la continuità tra la Familiari consortio e Amoris Laetitia, sostenendo l’esistenza di circostanze attenuanti. «Sono convinto che egli [Buttiglione] abbia dissipato i dubbi dei cardinali e di molti cattolici che temevano che in “Amoris Laetitia” si fosse realizzata una alterazione sostanziale della dottrina della fede sia sul modo valido e fecondo di ricevere la santa comunione come anche sulla indissolubilità di un matrimonio validamente contratto fra battezzati […]. È possibile che il penitente sia convinto in coscienza, e con buone ragioni, della invalidità del primo matrimonio pur non potendone offrire la prova canonica. In questo caso il matrimonio valido davanti a Dio sarebbe il secondo e il pastore potrebbe concedere il sacramento, certo con le precauzioni opportune per non scandalizzare la comunità dei fedeli e non indebolire la convinzione nella indissolubilità del matrimonio».

Il 27 gennaio 2018 mons. Luigi Negri, vescovo emerito di Ferrara, ha preso le distanze dall’ossessione di alcuni verso l’esortazione: «ciò che è importante per noi pastori è di leggere l’Amoris Laetitia nella sua totalità, collegandola al resto dell’insegnamento magisteriale. Altrimenti ci limitiamo a isolare delle righe di un documento e ci esauriamo in una specie di esegesi della quale al nostro popolo credo che interessi poco. L’unica strada per leggere Amoris Laetitia è di farlo alla luce del Magistero e non il contrario come invece si sta cercando di imporre: cioè rileggere il magistero alla luce di Amoris Laetitia. Perché non c’è nessun documento della Chiesa leggendo il quale si possa prescindere dalla Tradizione».

 

Il 03 marzo 2018 il vescovo di Albano, Marcello Semeraro, segretario del C9 e molto vicino a Papa Francesco, ha pubblicato un’istruzione pastorale su Amoris Laetitia, spiegando: «L’accoglienza e l’integrazione di chi si avvicina con il desiderio di essere riammesso alla partecipazione della vita ecclesiale comporta un congruo tempo di accompagnamento e di discernimento, che varia da situazione a situazione. Attendere, pertanto, una nuova normativa generale di tipo canonico, uguale per tutti, è assolutamente fuori luogo. Da parte del vescovo, di un parroco o di un confessore, non si tratta affatto di concedere una sorta di permesso per accedere alla comunità dei fedeli, o più semplicemente per poter fare la comunione. Questo chiarimento è di capitale importanza, anche al fine di non alimentare equivoci nell’opinione pubblica che attraverso taluni media semplifica l’argomento con un categorico: “tutti i divorziati risposati civilmente possono accedere ai sacramenti”. Posta in questi termini la questione è radicalmente fuorviante rispetto all’obbiettivo della nostra azione pastorale». Esistono condizioni indispensabili: «non si tratti di una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari. Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il vangelo propone per il matrimonio e la famiglia». Inoltre, siano «garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio. Sono da escludere coloro che ostentano la propria situazione irregolare e di oggettivo peccato, quasi facendo intendere che la loro situazione non è contraria all’ideale cristiano, oppure mettono i propri desideri individuali al di sopra del bene comune della Chiesa, o peggio ancora, pretendono di perseguire un percorso cristiano diverso da quello insegnato dalla Chiesa». Vi deve essere «una abituale partecipazione alla vita della comunità parrocchiale, a cominciare da quel segno esterno di presenza che è la partecipazione alla messa domenicale. meglio ancora se accompagnata da altre forme di presenza e di servizio (ad esempio nell’attività della Caritas parrocchiale, nell’assistenza ai malati, nell’attività dell’oratorio, in gruppi familiari, o altri ambiti di vita comunitaria)». Rispetto alla precedente unione, bisogna capire -secondo le casistiche citate dall’esortazione papale- «quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subìto un abbandono ingiusto, o quello di coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei gli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido». Riguardo invece alla nuova unione, l’istruzione richiede che essa sia «consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe». «Dovendo valutare se un determinato atto è, o meno “di scandalo” non si può trascurare la domanda se chi agisce ha la volontà di spingere altri a peccare. Come si vede, si tratta sempre di comporre armonicamente elementi di ordine oggettivo e altri di ordine soggettivo». Appare peraltro «alquanto azzardato ritenere a priori “scandalosi” – ossia spinti dalla volontà d’indurre gli altri a peccare – quanti hanno affrontato, in mezzo a tante sofferenze e mai con leggerezza, profonde lacerazioni nella loro vita di coppia! Chi è, o è stato vicino a questi drammi familiari e personali è testimone dei dolori e delle angosce che affliggono chi ne è coinvolto». Il vescovo ribadisce che Amoris laetitia «non parla mai di un “permesso” generalizzato per accedere ai sacramenti da parte di tutti i divorziati risposati civilmente; nemmeno dice che il cammino di conversione iniziato con coloro che lo desiderano debba portare necessariamente all’accesso ai sacramenti». Bisogna «essere consapevoli che non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivono in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante», come afferma Amoris laetitia. Al tempo stesso bisogna agire «facendo attenzione a non far passare l’idea sbagliata che una possibile ammissione ai sacramenti sia un semplice pro forma e che qualsiasi situazione possa giusti care tale decisione. Dobbiamo imparare ad avere la pazienza di valutare la realtà di volta in volta e caso per caso, dedicando tempo e compiendo scelte per gradi».

 

Il 12 marzo 2018 padre Roberto Fastiggi, professore di Teologia Sistematica al Seminario Maggiore di Detroit (Michigan) ha risposto ampiamente ai cinque dubia su AL analizzando semplicemente il testo dell’esortazione apostolica: «Rispondo ai dubia in base a ciò che dice l’esortazione e a ciò che non dice. Sono consapevole che la gente ha letto in Amoris laetitia cose che non ci sono, e sono anche consapevole che altri sostengono che papa Francesco stia apportando modifiche alla dottrina morale cattolica in modo indiretto mediante calcolata ambiguità. I dubia, tuttavia, fanno appello a sezioni specifiche dell’esortazione. Pertanto, l’unico modo corretto di rispondere è guardare ciò che queste sezioni dicono e ciò che non dicono e guardare altri passaggi dell’Esortazione che mettono ulteriormente in luce le intenzioni del Santo Padre». Padre Fastiggi ha quindi risposto punto per punto ai quesiti, iniziando dal primo, il più delicato: «Da nessuna parte in AL, Papa Francesco dà esplicito permesso ai cattolici divorziati e “risposati” civilmente di ricevere la Santa Comunione che non osservano la continenza. I “certi casi” di cui alla nota 351 sembrerebbero applicarsi a situazioni particolari in cui vi sia la certezza morale che il vincolo precedente fosse invalido, ma non esistono prove disponibili per dimostrare tale invalidità. In tali casi è necessario il discernimento di un sacerdote confessore che deve farsi carico davanti a Dio di ogni consiglio dato al cattolico divorziato risposato. Qualsiasi accesso alla Santa Comunione deve avvenire in modo riservato per evitare scandalo». Nell’articolo il teologo si è occupato anche del riferimento alle Linee guida papali dei Vescovi della regione di Buenos Aires, concludendo così: «So che è stata data molta attenzione ai cinque dubia dei quattro cardinali, e alcune persone sono sconvolte e arrabbiate che Papa Francesco non abbia risposto a loro. Non posso parlare per il Santo Padre, ma può darsi che non abbia risposto perché crede che non ce ne sia bisogno. Le risposte ai dubia si possono trovare all’interno della stessa Amoris laetitia, in ciò che dice e in ciò che non dice».

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Papa Francesco contro l’aborto: ecco tutti i suoi discorsi

discorsi papa contro abortoPapa Francesco sull’aborto: abbiamo raccolto in un unico dossier tutti i suoi interventi con relativa fonte. Al contrario di quanto si dice, infatti, Bergoglio parla spesso dell’aborto usando parole dure e drastiche, ben più marcate di quelle dei suoi predecessori.
[aggiornamento dossier: marzo 2022]

 
 

“Perché al posto di parlare continuamente di migranti/ecologia/globalismo, Bergoglio non condanna mai l’aborto?”. E’ una delle tante frasi che compaiono sui social. Ma gli interventi di Papa Francesco sull’aborto sono davvero numerosi, com’è possibile ignorarli?

In altri dossier ci siamo occupati di raccogliere i pronunciamenti di Bergoglio su diverse tematiche etiche, come: eutanasia, ideologia gender e unioni omosessuali.

Allo stesso modo, il Papa è intervenuto spesso anche riguardo l’interruzione di gravidanza: ha ripresentato in modo chiaro e coraggioso la posizione della Chiesa cattolica, in aperta sfida al pensiero dominante, ad esempio denunciando l’ipocrisia di chi difende l’aiuto ai poveri, ai deboli, ai migranti ma non si oppone o è favorevole «alla piaga dell’aborto» (ad es. 30/05/15 e 06/11/15). Ha negato che l’interruzione di gravidanza sia un “diritto” (ad es. 27/01/17).

Abbiamo apprezzato il suo sforzo di ricordare che la difesa della vita non parte da una posizione confessionale ma è materia di scienza e di ragione. «Perché la Chiesa si oppone all’aborto? E’ un problema religioso? Filosofico? No, è un problema scientifico, perché lì c’è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema» (15/11/14). Così, allo stesso modo, ha esplicitamente invitato i medici a praticare l’obiezione di coscienza, spingendosi anche al di là dei suoi predecessori.

Qui di seguito tutti i suoi interventi in ordine cronologico: il dossier resterà in continuo aggiornamento.

 
 

 
 

Il 17 marzo 2022 il giornalista Renato Farina, uno degli aderenti soft alla propaganda cattolica antibergogliana, ha sostenuto che soltanto da «circa un anno» Papa Francesco avrebbe «cambiato registro», predicando «contro l’aborto». Come dimostra questo dossier, è almeno dal maggio 2013, tre mesi dopo la sua elezione, che Bergoglio tratta e contrasta tematiche simili.

Il 08 marzo 2022 intervenendo in un video con le intenzioni di preghiera per il mese di marzo, Papa Francesco ha chiesto la promozione della «difesa della vita. Le applicazioni biotecnologiche devono essere sempre utilizzate a partire dal rispetto della dignità umana, gli embrioni umani non possono essere trattati come materiale usa e getta, di scarto – in questa cultura dello scarto entrano anche loro: no, non è possibile! – diffondendo così questa cultura che fa tanti danni. O non possiamo permettere che sia il profitto economico a condizionare la ricerca biomedica».

Il 10 gennaio 2022 parlando al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Papa Francesco ha affermato: «Non bisogna mai dimenticare che ci sono alcuni valori permanenti. Non sempre è facile riconoscerli, ma accettarli conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là di ogni consenso. Desidero richiamare specialmente il diritto alla vita, dal concepimento sino alla fine naturale, e il diritto alla libertà religiosa».

Il 13 dicembre 2021 il giornalista Antonio Socci, leader della schiera di antibergogliani, ha scritto un articolo di scuse per i suoi attacchi e di “conversione”, riconoscendosi nel pontificato di Francesco e ammettendo: «Sull’aborto Francesco usa espressioni perfino più dure di Giovanni Paolo II».

Il 27 settembre 2021 incontrando i membri della Pontificia Accademia per la Vita, Papa Francesco ha sostenuto che «senza “annacquare” i contenuti, si cerchi di comunicarli con un linguaggio idoneo e argomentazioni comprensibili nell’attuale contesto sociale; così che la proposta antropologica cristiana, ispirata dalla Rivelazione, possa aiutare anche gli uomini e le donne di oggi a riscoprire come primario il diritto alla vita dal concepimento al suo termine naturale. Anche qui vorrei accennare che noi siamo vittime di una cultura dello scarto. C’è lo scarto dei bambini che non vogliamo accogliere, con quella legge dell’aborto che li manda al mittente e li uccide direttamente. E oggi questo è diventato un modo “normale”, un’abitudine che è bruttissima, è proprio un omicidio, e per capirlo bene forse ci aiuta fare una doppia domanda: è giusto eliminare, fare fuori una vita umana per risolvere un problema? È giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Questo è l’aborto».

Il 25 maggio 2019 incontrando i participanti del convegno “Yes to life”, Papa Francesco ha affermato: «Nessun essere umano può essere mai incompatibile con la vita, né per la sua età, né per le sue condizioni di salute, né per la qualità della sua esistenza […]. E’ indispensabile che i medici abbiano ben chiaro non solo l’obiettivo della guarigione, ma il valore sacro della vita umana, la cui tutela resta il fine ultimo della pratica medica. Purtroppo la cultura oggi dominante non promuove questo approccio: a livello sociale il timore e l’ostilità nei confronti della disabilità inducono spesso alla scelta dell’aborto, configurandolo come pratica di “prevenzione”. Ma l’insegnamento della Chiesa su questo punto è chiaro: la vita umana è sacra e inviolabile e l’utilizzo della diagnosi prenatale per finalità selettive va scoraggiato con forza, perché espressione di una disumana mentalità eugenetica, che sottrae alle famiglie la possibilità di accogliere, abbracciare e amare i loro bambini più deboli. Delle volte noi sentiamo: “Voi cattolici non accettate l’aborto, è il problema della vostra fede”. No: è un problema pre-religioso. La fede non c’entra. Viene dopo, ma non c’entra: è un problema umano. È un problema pre-religioso. Non carichiamo sulla fede una cosa che non le compete dall’inizio. È un problema umano. Soltanto due frasi ci aiuteranno a capire bene questo: due domande. Prima domanda: è lecito eliminare una vita umana per risolvere un problema? Seconda domanda: è lecito affittare un sicario per risolvere un problema? A voi la risposta. Questo è il punto. Non andare sul religioso su una cosa che riguarda l’umano. Non è lecito. Mai, mai eliminare una vita umana né affittare un sicario per risolvere un problema. L’aborto non è mai la risposta che le donne e le famiglie cercano. Piuttosto sono la paura della malattia e la solitudine a far esitare i genitori».

Il 02 febbraio 2019, incontrando il Movimento per la Vita italiano, Papa Francesco ha dichiarato: «la difesa della vita ha il suo fulcro nell’accoglienza di chi è stato generato ed è ancora custodito nel grembo materno, avvolto nel seno della madre come in un amoroso abbraccio che li unisce. Spegnere volontariamente la vita nel suo sbocciare è, in ogni caso, un tradimento della nostra vocazione, oltre che del patto che lega tra loro le generazioni, patto che consente di guardare avanti con speranza. Dove c’è vita, c’è speranza! Ma se la vita stessa viene violata nel suo sorgere, ciò che rimane non è più l’accoglienza grata e stupita del dono, bensì un freddo calcolo di quanto abbiamo e di ciò di cui possiamo disporre. Allora anche la vita si riduce a bene di consumo, da usare e gettare, per noi stessi e per gli altri. Come è drammatica questa visione, purtroppo diffusa e radicata, presentata anche come un diritto umano, e quante sofferenze causa ai più deboli dei nostri fratelli! Colgo questa occasione per rivolgere un appello a tutti i politici, perché, a prescindere dalle convinzioni di fede di ognuno, pongano come prima pietra del bene comune la difesa della vita di coloro che stanno per nascere e fare il loro ingresso nella società, alla quale vengono a portare novità, futuro, speranza».

Il 10 gennaio 2019 Papa Francesco ha inviato un messaggio agli organizzatori della Marcia per la Vita di Parigi, incoraggiandoli a difendere la vita umano.

Il 10 dicembre 2018 nel messaggio ai partecipanti alla conferenza “I diritti umani nel mondo contemporaneo”, Papa Francesco ha riflettuto: «Persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo. Penso, tra l’altro, ai nascituri a cui è negato il diritto di venire al mondo».

Il 21 giugno 2018 monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, a proposito del referendum argentino, ha detto: «un dato positivo il fatto che un numero consistente non solo di credenti ma in questo caso di cittadini si sia opposto alla legalizzazione dell’aborto. Tuttavia di fronte a un tema come questo dell’aborto, si deve moltiplicare la vicinanza alle donne, soprattutto alle donne più povere, alle ragazze che prendono decisioni drammatiche».

Il 21 giugno 2018 Papa Francesco ha dichiarato: «Siamo chiamati a reagire come fratelli, come buoni custodi della nostra famiglia, e a darci da fare perché non vi sia indifferenza nei riguardi del fratello, di ogni fratello: del bambino che ancora non è nato come dell’anziano che non parla più, del conoscente che non riusciamo a perdonare come del povero scartato».

Il 07 giugno 2018 in occasione della Giornata per la vita in Inghilterra, Papa Francesco ha inviato un messaggio di sostegno. I vescovi hanno ricordato le sue parole contenute nell’esortazione apostolica “Gaudete et Exsultate”: «La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra».

Il 26 maggio 2018 monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, è intervenuto a commento del referendum irlandese a favore della legalizzazione dell’aborto: «Credo che non ci sia nessuna vittoria da cantare e tanto meno da gioire, anche perché tutto ciò che in qualche modo facilita il lavoro sporco della morte non ci rende particolarmente lieti. Ecco perché anche questo passaggio nell’Irlanda ci deve spingere ancora di più non solo a difendere la vita, ma a promuoverla, ad accompagnarla, creando le condizioni perché non si avverino, non avvengano decisioni drammatiche, perché è sempre un dramma quando si decide di interrompere una vita, come dovrebbe essere sempre un dramma ogni volta che una vita – anche nata – viene distrutta, umiliata, viene stroncata. In un mondo dove tanto facilmente si aiuta il lavoro sporco della morte io gioierei invece per tutte le volte che la vita viene difesa, accompagnata e promossa. Di questo in effetti il mondo intero ha bisogno. C’è nell’aria un atteggiamento di individualismo che oscura e spinge a dimenticare i diritti di tutti, compreso quello di chi deve nascere». La Santa sede è intervenuta anche con monsignor Jurkovič, osservatore vaticano presso l’Onu: «La Santa Sede si oppone fermamente a qualsiasi sforzo delle Nazioni Unite o delle sue agenzie specializzate teso a promuovere legislazioni nazionali che permettano di uccidere la vita del nascituro. La Santa Sede non considera l’aborto una misura per la salute riproduttiva e anzi ritiene contraddittorio l’aborto sicuro: è un mezzo per “proteggere” i diritti umani di donne e bambini quando di fatto esso nega al nascituro il diritto più fondamentale, quello alla vita».

Il 06 maggio 2018 Papa Francesco ha firmato la prefazione al libro che raccoglie gli scritti di Benedetto XVI su fede e politica: Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio (Editrice Cantagalli). Il Papa ha spiegato che l’ideologia marxista pretende «collocare il cielo sulla terra, la redenzione dell’uomo nell’aldiquà, per mezzo della liberazione da ogni dipendenza». «Oggi, più che mai, si ripropone la medesima tentazione del rifiuto di ogni dipendenza dall’amore che non sia l’amore dell’uomo per il proprio ego, per “l’io e le sue voglie”; e, di conseguenza, il pericolo della “colonizzazione” delle coscienze da parte di una ideologia che nega la certezza di fondo per cui l’uomo esiste come maschio e femmina ai quali è assegnato il compito della trasmissione della vita; quell’ideologia che arriva alla produzione pianificata e razionale di esseri umani e che – magari per qualche fine considerato “buono” – arriva a ritenere logico e lecito eliminare quello che non si considera più creato, donato, concepito e generato ma fatto da noi stessi. Questi apparenti “diritti” umani che sono tutti orientati all’autodistruzione dell’uomo hanno un unico comune denominatore che consiste in un’unica, grande negazione: la negazione della dipendenza dall’amore, la negazione che l’uomo è creatura di Dio, fatto amorevolmente da Lui a Sua immagine e a cui l’uomo anela come la cerva ai corsi d’acqua (Sal 41). Quando si nega questa dipendenza tra creatura e creatore, questa relazione d’amore, si rinuncia in fondo alla vera grandezza dell’uomo, al baluardo della sua libertà e dignità. Così la difesa dell’uomo e dell’umano contro le riduzioni ideologiche del potere passa oggi ancora una volta dal fissare l’obbedienza dell’uomo a Dio quale limite dell’obbedienza allo Stato. Raccogliere questa sfida, nel vero e proprio cambio d’epoca in cui oggi viviamo, significa difendere la famiglia. D’altronde già San Giovanni Paolo II aveva ben compreso la portata decisiva della questione: a ragione chiamato anche il “Papa della famiglia”, non a caso sottolineava che “l’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia” (Familiaris consortio, 86). E su questa linea anche io ho ribadito che “il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa” (Amoris laetitia, 31)».

Il 19 marzo 2018 viene pubblicata l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, in cui Papa Francesco scrive: «La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo».

Il 17 marzo 2018 durante la visita a San Giovanni Rotondo, Papa Francesco ha affermato: «Da bambino, alla scuola, ci insegnavano la storia degli spartani. A me sempre ha colpito quello che ci diceva la maestra, che quando nasceva un bambino o una bambina con malformazioni, lo portavano sulla cima del monte e lo buttavano giù, perché non ci fossero questi piccoli. Noi bambini dicevamo: “Ma quanta crudeltà!”. Fratelli e sorelle, noi facciamo lo stesso, con più crudeltà, con più scienza. Quello che non serve, quello che non produce va scartato. Questa è la cultura dello scarto, i piccoli non sono voluti oggi. E per questo Gesù è lasciato da parte».

Il 26 gennaio 2018 nel suo discorso per la Quaresima, Papa Francesco ha detto: «Ciò che spegne la carità è anzitutto l’avidità per il denaro […] Tutto ciò si tramuta in violenza che si volge contro coloro che sono ritenuti una minaccia alle nostre “certezze”: il bambino non ancora nato, l’anziano malato, l’ospite di passaggio, lo straniero, ma anche il prossimo che non corrisponde alle nostre attese».

Il 25 febbraio 2018 il vaticanista Sandro Magister, tra i più accaniti fustigatori del Papa, ha riportato alcune opinioni di Francesco contro il Sessantotto e i “nuovi diritti”: «Dal Sessantotto in poi, ha detto, i “diritti dell’uomo” proclamati vent’anni prima dalle Nazioni Unite, “primo fra tutti quello alla vita”, sono sempre più impunemente violati: “e penso anzitutto ai bambini innocenti, scartati ancor prima di nascere”. Ha denunciato che da allora hanno preso piede “nuovi diritti” in contrasto con le tradizioni socio-culturali di vari Paesi, e nonostante questo imposti con la forza, in una sorta di “colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli”. Contro il “diritto” all’aborto Francesco è stato chiarissimo».

Il 26 gennaio 2018 nel suo discorso, Papa Francesco ha sostenuto: «il processo di secolarizzazione, assolutizzando i concetti di autodeterminazione e di autonomia, ha comportato in molti Paesi una crescita della richiesta di eutanasia come affermazione ideologica della volontà di potenza dell’uomo sulla vita. Ciò ha portato anche a considerare la volontaria interruzione dell’esistenza umana come una scelta di “civiltà”. È chiaro che laddove la vita vale non per la sua dignità, ma per la sua efficienza e per la sua produttività, tutto ciò diventa possibile. In questo scenario occorre ribadire che la vita umana, dal concepimento fino alla sua fine naturale, possiede una dignità che la rende intangibile».

L’11 dicembre 2017 mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, ha affermato: «La nostra società prevede vite di scarto anche ogni qual volta considera l’aborto una conquista di civiltà e un diritto civile. I 6 milioni di aborti legali – più quelli nascosti – praticati negli ultimi 40 anni si traducono in altrettante persone che non sono tra noi».

L’11 febbraio 2017 l’arcivescovo di Buenos Aires e Primate of Argentina, Mario Poli, scelto da papa Francesco come successore sulla cattedra di Buenos Aires, si è espresso duramente contro l’apertura dell’Associazione Scout dell’Argentina al matrimonio gay e all’aborto.

Il 07 febbraio 2017 su indicazione di Papa Francesco è stata presentata la Nuova carta degli operatori sanitari in cui «è confermata la posizione di sempre riguardo all’aborto inserendo dei nuovi articoli riguardo alla riduzione embrionale, intercezione, contragestazione, feti anencefalici, gravidanze ectopiche, tutela del diritto alla vita (artt. 51-59)».

Il 05 febbraio 2017 durante l’Angelus il Papa ha celebrato la Giornata per la Vita: «Portiamo avanti la cultura della vita come risposta alla logica dello scarto e al calo demografico; stiamo vicini e insieme preghiamo per i bambini che sono in pericolo d’interruzione della gravidanza, come pure per le persone che stanno alla fine della vita – ogni vita è sacra! – perché nessuno sia lasciato solo e l’amore difenda il senso della vita. Ricordiamo le parole di Madre Teresa: “La vita è bellezza, ammirala; la vita è vita, difendila!”, sia col bambino che sta per nascere, sia con la persona che è vicina a morire: ogni vita è sacra! Saluto tutti quelli che lavorano per la vita, i docenti delle Università romane e quanti collaborano per la formazione delle nuove generazioni, affinché siano capaci di costruire una società accogliente e degna per ogni persona».

Il 27 gennaio 2017 Francesco ha sostenuto la Marcia per la Vita americana, scrivendo: «È così grande il valore di una vita umana ed è così inalienabile il diritto alla vita del bambino innocente che cresce nel seno di sua madre, che in nessun modo è possibile presentare come un diritto sul proprio corpo la possibilità di prendere decisioni nei confronti di tale vita, che è un fine in se stessa e che non può mai essere oggetto di dominio da parte di un altro essere umano».

Il 20 novembre 2016 nell’intervista a Tv200, Papa Francesco ha risposto: «ho pensato all’abitudine di mandare via i bambini prima della nascita, questo crimine orrendo: li mandano via perché è meglio così, perché sei più comodo, è una responsabilità grande – è un peccato gravissimo».

Il 19 marzo 2016 nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco ha scritto: «In questo contesto, non posso non affermare che, se la famiglia è il santuario della vita, il luogo dove la vita è generata e curata, costituisce una lacerante contraddizione il fatto che diventi il luogo dove la vita viene negata e distrutta. È così grande il valore di una vita umana, ed è così inalienabile il diritto alla vita del bambino innocente che cresce nel seno di sua madre, che in nessun modo è possibile presentare come un diritto sul proprio corpo la possibilità di prendere decisioni nei confronti di tale vita, che è un fine in sé stessa e che non può mai essere oggetto di dominio da parte di un altro essere umano. La famiglia protegge la vita in ogni sua fase e anche al suo tramonto. Perciò a coloro che operano nelle strutture sanitarie si rammenta l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza. Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia», ma «rigetta fermamente la pena di morte».

Il 17 febbraio 2016 durante la conferenza stampa nel ritorno dal suo viaggio in Messico, Papa Francesco ha affermato: «L’aborto non è un “male minore”. E’ un crimine. E’ fare fuori uno per salvare un altro. E’ quello che fa la mafia. E’ un crimine, è un male assoluto […]. L’aborto non è un problema teologico: è un problema umano, è un problema medico. Si uccide una persona per salvarne un’altra – nel migliore dei casi – o per passarsela bene. E’ contro il Giuramento di Ippocrate che i medici devono fare. E’ un male in sé stesso, ma non è un male religioso, all’inizio, no, è un male umano. Ed evidentemente, siccome è un male umano – come ogni uccisione – è condannato».

Il 15 dicembre 2015 per la XLIX Giornata Mondiale per la Pace, Francesco ha invocato «l’adozione di politiche di cooperazione che, anziché piegarsi alla dittatura di alcune ideologie, siano rispettose dei valori delle popolazioni locali e che, in ogni caso, non siano lesive del diritto fondamentale ed inalienabile dei nascituri alla vita».

Il 11 gennaio 2016 durante il discorso ai diplomatici della Santa Sede, Francesco ha affermato: «Come non vedere in tutto ciò il frutto di quella “cultura dello scarto” che mette in pericolo la persona umana, sacrificando uomini e donne agli idoli del profitto e del consumo? È grave assuefarci a queste situazioni di povertà e di bisogno, ai drammi di tante persone e farle diventare “normalità”. Le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani. Siamo diventati insensibili ad ogni forma di spreco, a partire da quello alimentare, che è tra i più deprecabili, quando ci sono molte persone e famiglie che soffrono fame e malnutrizione».

Il 28 gennaio 2016 durante il discorso al Comitato Nazionale di Bioetica, Francesco ha affermato: «Codesto Comitato ha più volte trattato il rispetto per l’integrità dell’essere umano e la tutela della salute dal concepimento fino alla morte naturale, considerando la persona nella sua singolarità, sempre come fine e mai semplicemente come mezzo. E’ la sfida di contrastare la cultura dello scarto, che ha tante espressioni oggi, tra cui vi è il trattare gli embrioni umani come materiale scartabile, e così anche le persone malate e anziane che si avvicinano alla morte».

Il 26 novembre 2015 nell’omelia nel Campus dell’Università di Nairobi durante il suo viaggio in Africa, Francesco ha affermato: «In obbedienza alla Parola di Dio, siamo anche chiamati ad opporre resistenza alle pratiche che favoriscono l’arroganza negli uomini, feriscono o disprezzano le donne, non curano gli anziani e minacciano la vita degli innocenti non ancora nati».

Il 06 novembre 2015 durante l’incontro con il Movimento per la Vita, Francesco ha affermato: «Vi incoraggio a proseguire la vostra importante opera in favore della vita dal concepimento al suo naturale tramonto, tenendo conto anche delle sofferte condizioni che tanti fratelli e sorelle devono affrontare e a volte subire. […]. Mediante l’opera capillare dei “Centri di Aiuto alla Vita”, diffusi in tutta Italia, siete stati occasione di speranza e di rinascita per tante persone. Vi ringrazio per il bene che avete fatto e che fate con tanto amore, e vi incoraggio a proseguire con fiducia su questa strada, continuando ad essere buoni samaritani! In particolare, c’è bisogno di lavorare, a diversi livelli e con perseveranza, nella promozione e nella difesa della famiglia, prima risorsa della società, soprattutto in riferimento al dono dei figli e all’affermazione della dignità della donna. […] Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà: “Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”».

Il 30 maggio 2015 durante l’udienza con l’associazione Scienza e Vita, Francesco ha detto: «noi ribadiamo che una società giusta riconosce come primario il diritto alla vita dal concepimento fino al suo termine naturale. Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente».

Il 29 maggio 2015 durante l’incontro con alcuni bambini malati e le loro famiglie, Francesco ha detto: «Io davvero non so cosa dirvi perché ho tanta ammirazione per la vostra fortezza, per il vostro coraggio. Tu hai detto che ti hanno consigliato l’aborto. Hai detto: “No, che venga, ha diritto a vivere”. Mai, mai si risolve un problema facendo fuori una persona. Mai. Questo è il regolamento dei mafiosi: “C’è un problema, facciamo fuori questo…”. Mai».

Il 24 maggio 2015 nell’Enciclica Laudato Sii, Francesco ha scritto: «Dal momento che tutto è in relazione, non è neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto. Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà: «Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono»».

Il 23 maggio 2015 durante l’incontro con le ACLI, Francesco ha detto: «E questo dio-denaro distrugge, e provoca la cultura dello scarto: si scartano i bambini, perché non si fanno: si sfruttano o si uccidono prima di nascere; si scartano gli anziani, perché non hanno la cura dignitosa, non hanno le medicine, hanno pensioni miserabili… ».

Il 22 maggio 2015 durante una conferenza sul ruolo della donna, Francesco ha detto: «Le questioni legate alla vita sono intrinsecamente connesse a quelle sociali; quando difendiamo il diritto alla vita, lo facciamo anche affinché quella vita possa, dal suo concepimento al suo termine naturale, essere una vita dignitosa, che non conosca le piaghe della fame e della povertà, della violenza e della persecuzione. Il Papa Benedetto XVI, nella sua Enciclica Caritas in veritate, sottolineava come la Chiesa proponga “con forza questo collegamento tra etica della vita e etica sociale nella consapevolezza che non può avere basi una società che – mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace – si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole e emarginata”».

Il 30 aprile 2015 Papa Francesco ha affermato: «ciò che ci offre oggi il mondo globalizzato è la cultura dello scarto: quello che non serve, si scarta. Si scartano i bambini, perché non si fanno bambini o perché si uccidono i bambini prima di nascere».

Il 21 marzo 2015 Papa Francesco ha inviato il suo sostegno alla Marcia per la Vita in Perù attraverso l’incoraggiamento «Viva la vita. Mi unisco con la preghiera nell’impegno di difendere e promuovere il bene fondamentale della vita umana, dal suo concepimento al suo termine naturale», invitando a «dare testimonianza con coraggio e annunciare sempre il carattere sacro di ogni essere umano, creato da Dio a sua immagine e redento da Cristo sulla croce».

Il 20 marzo 2015 nella lettera alla Commissione internazionale contro la pena di morte, Francesco ha scritto: «Il Magistero della Chiesa, a partire dalla Sacra Scrittura e dall’esperienza millenaria del Popolo di Dio, difende la vita dal concepimento alla morte naturale, e sostiene la piena dignità umana in quanto immagine di Dio (cfr. Gn 1, 26). La vita umana è sacra perché fin dal suo inizio, dal primo istante del concepimento, è frutto dell’azione creatrice di Dio (cfr.Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2258), e da quel momento, l’uomo, la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, è oggetto di un amore personale da parte di Dio (cfr. Gaudium et spes, n. 24)».

Il 18 marzo 2015 durante l’Udienza generale dedicata ai bambini ha affermato: «oggi mi soffermerò sul grande dono che sono i bambini per l’umanità – è vero sono un grande dono per l’umanità, ma sono anche i grandi esclusi perché neppure li lasciano nascere».

Il 1 febbraio 2015 durante l’Angelus Papa Francesco ha ricordato: «Oggi si celebra in Italia la Giornata per la Vita, che ha come tema “Solidali per la vita”. Rivolgo il mio apprezzamento alle associazioni, ai movimenti e a tutti coloro che difendono la vita umana. Mi unisco ai Vescovi italiani nel sollecitare “un rinnovato riconoscimento della persona umana e una cura più adeguata della vita, dal concepimento al suo naturale termine” (Messaggio per la 37ª Giornata nazionale per la Vita). Quando ci si apre alla vita e si serve la vita, si sperimenta la forza rivoluzionaria dell’amore e della tenerezza (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 288), inaugurando un nuovo umanesimo: l’umanesimo della solidarietà, l’umanesimo della vita. Saluto il Cardinale Vicario, i docenti universitari di Roma e quanti sono impegnati a promuovere la cultura della vita».

Il 22 gennaio 2015 attraverso Twitter Papa Francesco ha sostenuto la Marcia per la Vita di Washington: «Mi unisco alla Marcia per la Vita a Washington con le mie preghiere. Possa Dio aiutarci a rispettare ogni forma di vita, in particolare i più vulnerabili».

Il 31 gennaio 2015 Elizabeth Bunster, direttore del Proyecto Esperanza in Cile dopo una breve chiacchierata con Papa Francesco durante l’udienza generale, ha riferito che il Santo Padre è preoccupato per il progetto di ridefinizione dell’aborto in Cile: «E’ molto grave, sono preoccupato. Continuate così, continuate a lavorare», ha detto.

Il 21 gennaio 2015 Papa Francesco ha appoggiato la Marcia per la vita di Parigi tramite un messaggio affidato al nunzio apostolico nel Paese, mons. Luigi Ventura: «il Pontefice ricorda che “la vita umana è sempre sacra, valida ed inviolabile, e come tale va amata, difesa e curata”». Quindi, prosegue mons. Ventura, «al di là di una legittima manifestazione in favore della vita umana, il Santo Padre incoraggia i partecipanti alla Marcia per la vita a operare senza sosta per l’edificazione di una civiltà dell’amore e di una cultura della vita».

Il 16 gennaio 2015 Francesco durante l’omelia nella Cattedrale di Manila, ha affermato: «Sappiamo quanto sia difficile oggi per le nostre democrazie preservare e difendere tali valori umani fondamentali, come il rispetto per l’inviolabile dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti di libertà di coscienza e di religione, il rispetto per l’inalienabile diritto alla vita, a partire da quella dei bimbi non ancora nati fino quella degli anziani e dei malati».

Il 25 dicembre 2014, in occasione del messaggio Urbi et Orbi, Francesco ha detto: «il mio pensiero va a tutti i bambini oggi uccisi e maltrattati, sia a quelli che lo sono prima di vedere la luce, privati dell’amore generoso dei loro genitori e seppelliti nell’egoismo di una cultura che non ama la vita […]. Ancora oggi il loro silenzio impotente grida sotto la spada di tanti Erode. Sopra il loro sangue campeggia oggi l’ombra degli attuali Erode. Davvero tante lacrime ci sono in questo Natale insieme alle lacrime di Gesù Bambino!».

Il 25 novembre 2014 nel discorso al Parlamento Europeo, Francesco ha ricordato che «l’essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che – lo notiamo purtroppo spesso – quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere». Persiste così un «grande equivoco che avviene quando prevale l’assolutizzazione della tecnica, che finisce per realizzare una confusione fra fini e mezzi. Risultato inevitabile della “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”. Al contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio».

Il 15 novembre 2014 nel discorso all’Associazione Medici Cattolici, Francesco ha ricordato che «il pensiero dominante propone a volte una “falsa compassione”», ha affermato il Pontefice. «Quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre […]. La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza […]. Noi stiamo vivendo un tempo di sperimentazioni con la vita. Ma uno sperimentare male. Fare figli invece di accoglierli come dono, come ho detto. Giocare con la vita. Siate attenti, perché questo è un peccato contro il Creatore: contro Dio Creatore, che ha creato le cose così. Quando tante volte nella mia vita di sacerdote ho sentito obiezioni. “Ma, dimmi, perché la Chiesa si oppone all’aborto, per esempio? E’ un problema religioso?” – “No, no. Non è un problema religioso” – “E’ un problema filosofico?” – “No, non è un problema filosofico”. E’ un problema scientifico, perché lì c’è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema. “Ma no, il pensiero moderno…” – “Ma, senti, nel pensiero antico e nel pensiero moderno, la parola uccidere significa lo stesso!”».

Il 1 novembre 2014 durante la Messa al cimitero Verano, Francesco ha detto: «È l’industria della distruzione. È un sistema, anche di vita, che quando le cose non si possono sistemare, si scartano: si scartano i bambini, si scartano gli anziani, si scartano i giovani senza lavoro. Questa devastazione ha fatto questa cultura dello scarto».

Il 28 ottobre 2014 Papa Francesco ha incontrato i movimenti popolari dicendo: «Oggi si scartano i bambini perché il tasso di natalità in molti paesi della terra è diminuito o si scartano i bambini per mancanza di cibo o perché vengono uccisi prima di nascere; scarto di bambini. Si scartano gli anziani perché non servono, non producono; né bambini né anziani producono, allora con sistemi più o meno sofisticati li si abbandona lentamente».

Nell’ottobre 2014 Francesco ha rilasciato un’intervista in occasione della stesura del libro “Papa Francesco. Questa economia uccide” (Piemme 2015), ha affermato: «Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro, quando il denaro diventa un idolo, gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri. E così si “scarta” quello che non serve a questa logica […]. Vorrei anche ricordare quella cultura dello scarto che porta a rifiutare i bambini anche con l’aborto. Mi colpiscono i tassi di natalità così bassi qui in Italia: così si perde il legame con il futuro».

Il 17 agosto 2014 durante il viaggio apostolico in Corea del Sud, Papa Francesco ha voluto fermarsi in preghiera presso un cimitero di feti abortiti. Dopo essersi congedato dai disabili e dai loro assistenti incontrati nella vicina “House oh Hope” a Kkottongnae, ha visitato questo campo di croci bianche, salutando una rappresentanza degli attivisti “Pro-life” coreani.

Il 12 maggio 2014 mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, si è espresso in questo modo sui temi eticamente sensibili: «Pensiamo alla sacralità della vita. In passato ci siamo concentrati esclusivamente sul no all’aborto e all’eutanasia. Non può essere così, in mezzo c’è l’esistenza che si sviluppa. Io non mi identifico con i visi inespressivi di chi recita il rosario fuori dalle cliniche, che praticano l’interruzione della gravidanza, ma con quei giovani che sono contrari a questa pratica e lottano per la qualità delle persone, per il loro diritto alla salute, al lavoro». Innumerevoli sono state le accuse ricevute, in realtà mons. Galantino stava semplicemente invitando a cambiare la modalità di difendere la vita, attraverso iniziative più efficaci. Galantino ha anche voluto chiarire il suo intervento in un’altra intervista, parlando di don Oreste Benzi, che delle recite del Rosario davanti alle cliniche abortistiche è stato pioniere: «È stato nella mia parrocchia per tenere alcuni incontri organizzati per la festa di San Luigi», ricorda. Definisce quei momenti «un dono per la nostra parrocchia». Alcuni hanno accusato Galantino di piegarsi al pensiero dominante, ma mons. Galantino è lo stesso che nel novembre 2014 ha criticato i sindaci che trascrivono le nozze gay contratte all’estero, aggiungendo: «L’Italia è fortemente segnata dall’azione lobbistica di minoranze aggressive, in grado di imporre un pensiero unico. Spesso a dettare l’agenda sono loro, non la maggioranza».

Il 9 maggio 2014 nel discorso ai capi esecutivi delle agenzie Onu, Francesco ha ricordato che occorre «sfidare tutte le forme di ingiustizia, opponendosi alla “economia dell’esclusione”, alla “cultura dello scarto” e alla “cultura della morte”, che, purtroppo, potrebbero arrivare a diventare una mentalità accettata passivamente […]. Oggi, in particolare, la coscienza della dignità di ogni fratello, la cui vita è sacra e inviolabile dal suo concepimento alla fine naturale, deve portarci a condividere, con totale gratuità, i beni che la provvidenza ha posto nelle nostre mani, siano essi ricchezze materiali che opere di intelligenza e di spirito, e a restituire con generosità e abbondanza ciò che ingiustamente possiamo aver negato agli altri».

L’11 aprile 2014 Francesco ha incontrato il Movimento per la Vita italiano ringraziando il presidente Carlo Casini, «ma soprattutto gli esprimo riconoscenza per tutto il lavoro che ha fatto in tanti anni nel Movimento per la Vita. Gli auguro che quando il Signore lo chiamerà siano i bambini ad aprigli la porta lassù». Ha quindi proseguito: «Noi lo sappiamo, la vita umana è sacra e inviolabile. Ogni diritto civile poggia sul riconoscimento del primo e fondamentale diritto, quello alla vita, che non è subordinato ad alcuna condizione, né qualitativa né economica né tantomeno ideologica», citando le parole della Evangelii gaudium sulla “cultura dello scarto”. «Occorre pertanto ribadire la più ferma opposizione ad ogni diretto attentato alla vita, specialmente innocente e indifesa, e il nascituro nel seno materno è l’innocente per antonomasia […]. Io ricordo una volta, tanto tempo fa, che avevo una conferenza con i medici. Dopo la conferenza ho salutato i medici – questo è accaduto tanto tempo fa. Salutavo i medici, parlavo con loro, e uno mi ha chiamato in disparte. Aveva un pacchetto e mi ha detto: “Padre, io voglio lasciare questo a lei. Questi sono gli strumenti che io ho usato per fare abortire. Ho incontrato il Signore, mi sono pentito, e adesso lotto per la vita”. Mi ha consegnato tutti questi strumenti. Pregate per quest’uomo bravo! A chi è cristiano compete sempre questa testimonianza evangelica: proteggere la vita con coraggio e amore in tutte le sue fasi. Vi incoraggio a farlo sempre con lo stile della vicinanza, della prossimità: che ogni donna si senta considerata come persona, ascoltata, accolta, accompagnata. Il Signore sostenga l’azione che svolgete come Centri di Aiuto alla Vita e come Movimento per la Vita, in particolare il progetto “Uno di noi”».

Il 24 marzo 2014, nel discorso ai partecipanti all’Assemblea plenaria del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, Francesco ha invitato «nella custodia e nella promozione della vita, in qualunque stadio e condizione si trovi, possiamo riconoscere la dignità e il valore di ogni singolo essere umano, dal concepimento fino alla morte».

Il 22 gennaio 2014, in occasione Marcia per la Vita a Washington, a memoria della sentenza con cui la Corte Suprema legalizzò l’aborto negli Stati Uniti nel 1973, Papa Francesco ha lanciato un tweet: «Mi unisco alla Marcia per la Vita a Washington con le mie preghiere. Possa Dio aiutarci a rispettare ogni forma di vita, in particolare i più vulnerabili».

Il 18 gennaio 2014, in occasione della nona edizione della Marcia per la vita in Francia, il nunzio apostolico francese Luigi Ventura, ha scritto all’organizzatrice Virginie Raoult-Mercier, dicendole che Papa Francesco è informato dell’iniziativa, saluta i partecipanti invitandoli a mantenere viva l’attenzione su un tema così importante, ricordando l’esortazione da lui rivolta il 16 giugno 2013 nell’omelia pronunciata in piazza San Pietro per la Giornata Evangelium Vitae: «Cari fratelli e sorelle, guardiamo a Dio come al Dio della vita, guardiamo alla sua legge, al messaggio del Vangelo come a una via di libertà e di vita. Il Dio Vivente ci fa liberi! Diciamo sì all’amore e no all’egoismo, diciamo sì alla vita e no alla morte; (…) in una parola diciamo sì a Dio, che è amore, vita e libertà».

Il 13 gennaio 2014 incontrando il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Francesco ha detto: «Non possono lasciarci indifferenti i volti di quanti soffrono la fame, soprattutto dei bambini, se pensiamo a quanto cibo viene sprecato ogni giorno in molte parti del mondo, immerse in quella che ho più volte definito la “cultura dello scarto”. Purtroppo, oggetto di scarto non sono solo il cibo o i beni superflui, ma spesso gli stessi esseri umani, che vengono “scartati” come fossero “cose non necessarie”. Ad esempio, desta orrore il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai vedere la luce, vittime dell’aborto, o quelli che vengono utilizzati come soldati, violentati o uccisi nei conflitti armati, o fatti oggetti di mercato in quella tremenda forma di schiavitù moderna che è la tratta degli esseri umani, la quale è un delitto contro l’umanità».

Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge: «Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno. La sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana, ma se la guardiamo anche a partire dalla fede, “ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo”. […]. Proprio perché è una questione che ha a che fare con la coerenza interna del nostro messaggio sul valore della persona umana, non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana».

Il 18 novembre 2013 durante l’omelia a Santa Marta, il Pontefice ha criticato «lo spirito della mondanità che anche oggi ci porta a questa voglia di essere progressisti, al pensiero unico». Commentando il libro dei Maccabei ha ricordato le «condanne a morte, ai sacrifici umani. Voi pensate che oggi non si fanno sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti. E ci sono delle leggi che li proteggono».

Il 20 settembre 2013 nel suo discorso alla Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, Francesco ha affermato: «Una diffusa mentalità dell’utile, la “cultura dello scarto”, che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli. La nostra risposta a questa mentalità è un “sì” deciso e senza tentennamenti alla vita […]. Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo […]. Non si possono scartare, come ci propone la “cultura dello scarto”! Non si possono scartare!. Per questo l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del Magistero della Chiesa, particolarmente a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro, al bambino, all’anziano, che è la vita più indifesa […]. Mentre si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte anche presunti diritti, non sempre si tutela la vita come valore primario e diritto primordiale di ogni uomo. Il fine ultimo dell’agire medico rimane sempre la difesa e la promozione della vita». Occorre dunque «l’impegno di coerenza con la vocazione cristiana verso la cultura contemporanea, per contribuire a riconoscere nella vita umana la dimensione trascendente, l’impronta dell’opera creatrice di Dio, fin dal primo istante del suo concepimento. È questo un impegno di nuova evangelizzazione che richiede spesso di andare controcorrente, pagando di persona. Il Signore conta anche su di voi per diffondere il “vangelo della vita”». Occorre così difendere la vita «nella sua fase iniziale e ricordate a tutti, con i fatti e con le parole, che questa è sempre, in tutte le sue fasi e ad ogni età, sacra ed è sempre di qualità. E non per un discorso di fede – no, no – ma di ragione, per un discorso di scienza! Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non esiste una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra. La credibilità di un sistema sanitario non si misura solo per l’efficienza, ma soprattutto per l’attenzione e l’amore verso le persone, la cui vita sempre è sacra e inviolabile».

L’11 agosto 2013 nel messaggio per la Settimana Nazionale della Famiglia in Brasile, Francesco ha ricordato ha invitato i genitori «a trasmettere ai loro figli la consapevolezza che la vita deve essere sempre difesa, sin dal grembo materno, riconoscendovi un dono di Dio e garanzia del futuro dell’umanità, ma anche nella cura degli anziani, specialmente dei nonni, che sono la memoria viva di un popolo e trasmettono la saggezza della vita».

Il 12 maggio 2013 durante il Regina Caeli in piazza San Pietro, Francesco ha “benedetto” i partecipanti alla “Marcia per la Vita”: «Saluto i partecipanti alla “Marcia per la vita” che ha avuto luogo questa mattina a Roma e invito a mantenere viva l’attenzione di tutti sul tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento. A questo proposito, mi piace ricordare anche la raccolta di firme che oggi si tiene in molte parrocchie italiane, al fine di sostenere l’iniziativa europea “Uno di noi”, per garantire protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza». Alla fine della celebrazione e smessi i paramenti sacri, si è avvicinato ai promotori dell’iniziativa, salutandoli e scambiando qualche parola con loro.

Il 10 settembre 2012, quando era arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio fece diffondere il comunicato “Sobre la resolución para abortos no punibles en la ciudad de Buenos Aires” in seguito all’introduzione nel parlamento della città (forte di un pronunciamento della Corte suprema nazionale) di una più ampia depenalizzazione dell’aborto. Nel comunicato scrisse: «Prendiamo atto una volta di più della deliberata intenzione di perseverare sulla strada della limitazione ed eliminazione del valore supremo della vita, e della volontà di ignorare il diritto dei bimbi a nascere. Nei confronti di una donna in stato di gravidanza dobbiamo sempre parlare di due vite, le quali debbono entrambe essere preservate e rispettate, poiché la vita è un valore assoluto […]. La scienza biologica indica in modo evidente attraverso il DNA, la sequenza del genoma umano, che dal momento del concepimento esiste una nuova vita umana che deve essere tutelata giuridicamente. Il diritto alla vita è un diritto umano fondamentale […]. L’aborto non è mai una soluzione. Occorre ascolto, vicinanza e comprensione da parte nostra per salvare tutte e due le vite: rispettare l’essere umano più piccolo e indifeso, adottare ogni mezzo che possa preservare la sua vita, permettere la sua nascita ed essere, inoltre, creativi nell’individuare percorsi che rendano possibile il suo pieno sviluppo […]. Questa decisione amministrativa che amplia le ipotesi di depenalizzazione dell’aborto, cedendo alle indebite pressioni della corte suprema nazionale – la quale, peraltro, ha prevaricato le proprie competenze in palese violazione del principio di divisione dei poteri e delle prerogative federali – comporta conseguenze di natura giuridica, culturale ed etica, poiché le leggi improntano la cultura di un popolo, e una legislazione che non protegge la vita favorisce una cultura di morte […]. Di fronte a questa deprecabile decisione lanciamo un appello a tutte le parti coinvolte, ai fedeli e ai cittadini, affinché, in un clima di massimo rispetto, vengano adottati mezzi positivi di promozione e protezione della madre e del suo bambino in tutti i casi, a favore sempre del diritto alla vita umana».

 

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Papa Francesco, tutti i discorsi contro eutanasia e suicidio assistito

bergoglio suicidio eutanasiaBergoglio contro l’eutanasia: in un unico dossier abbiamo raccolto tutti i suoi coraggiosi e numerosi interventi contro eutanasia e suicidio assistito. Al contrario di quanto si dice, infatti, Francesco usa parole dure e drastiche, ben più marcate di quelle dei suoi predecessori.
[dossier aggiornato a: marzo 2022]
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Gli interventi di Papa Francesco su eutanasia e suicidio assistito sono davvero numerosi. Li abbiamo raccolti qui sotto, elencandoli in senso cronologico (il dossier è continuamente aggiornato).

Il Papa include questi interventi al tema della “cultura dello scarto” che, come ha spiegato più volte, è il grande peccato della modernità di mettere l’uomo non più al centro della società. In particolare, ha sfidato apertamente e coraggiosamente il pensiero progressista sul suo terreno e sulle sue argomentazioni, chiarendo che non c’è alcuna dignità nel suicidio e nello scartare anziani e disabili, criticando «il pensiero dominante» che «propone a volte una “falsa compassione”. Quella che ritiene un atto di dignità procurare l’eutanasia».

Tuttavia anche su questo tema Francesco è stato criticato o strumentalizzato. C’è chi lo accusa di tacere e chi sostiene che sia addirittura favorevole ad una legge a favore dell’eutanasia.

Segnaliamo infine la nostra raccolta di interventi del Papa anche sugli altri “miti del progresso”: l’aborto e le unioni omosessuali.

 

Tutti gli interventi di Papa Francesco su eutanasia e suicidio assistito.

 

Il 4 marzo 2022 incontrando la Lega italiana per la lotta contro i tumori, Papa Francesco ha incoraggiato «a mantenere, anzi, a far progredire il sistema italiano di sanità pubblica. Non perdere questo, farlo crescere, consolidarlo di più, perché è un dono per la società. Pensate a quei Paesi che non ce l’hanno, e la gente che non può pagare non ha sanità. Voi avete un tesoro da custodire a far progredire. La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti: tutti, non solo i cristiani o i credenti, tutti».

 

Il 9 febbraio 2022, a pochi giorni dal pronunciamento della Corte Costituzionale italiana per l’ammissibilità dei referendum su eutanasia, Papa Francesco è intervenuto durante l’Udienza del mercoledì: «Dobbiamo essere grati per tutto l’aiuto che la medicina si sta sforzando di dare, affinché attraverso le cosiddette “cure palliative”, ogni persona che si appresta a vivere l’ultimo tratto di strada della propria vita, possa farlo nella maniera più umana possibile. Dobbiamo però stare attenti a non confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano a uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio. Ricordo che va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati. La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata».

 

Il 13 dicembre 2021 il giornalista Antonio Socci, leader della schiera di antibergogliani, ha scritto un articolo di scuse per i suoi attacchi e di “conversione”, riconoscendosi nel pontificato di Francesco e ammettendo: «Anche ieri un giornale lo ha accusato di non dire nulla sul prossimo dibattito parlamentare italiano relativo all’eutanasia, quando proprio l’altro ieri, parlando ai giuristi cattolici, il papa aveva implorato i giuristi di difendere i diritti dei dimenticati e – insieme a lavoratori e migranti – aveva citato malati, bambini non nati, persone in fin di vita e poveri».

 

Il 22 settembre 2020 la Congregazione per la dottrina della Fede ha pubblicato la lettera Samaritano bonus, approvata da Papa Francesco, nella quale si ribadisce la condanna verso ogni forma eutanasica e di suicidio assistito tenendo presenti i casi degli ultimi anni. La lettera si pone contro l’accanimento terapeutico, ma ribadisce come «insegnamento definitivo» che «l’eutanasia è un crimine contro la vita umana». E che «qualsiasi cooperazione formale o materiale immediata ad un tale atto è un peccato grave» che nessuna autorità «può legittimamente» imporre o permettere.

 

Il 20 novembre 2018 mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita (Pav), ha spiegato che l’eutanasia, «presentata come una scelta di civiltà, perché risponderebbe alla domanda di una morte degna in realtà incoraggia un’insidiosa perversione dei significati, e la sua richiesta di legittimazione toglie giustificazione alla cura di un malato inguaribile, per aprire la strada alla liquidazione di una vita disprezzabile». Nel definire la legalizzazione dell’eutanasia «l’effetto di una soggezione tecnica ed economica all’idea della selezione eugenetica della vita degna di cura», Paglia sottolinea la contraddizione di una società che «da una parte allunga tecnicamente la vita e dall’altra ne favorisce politicamente la soppressione. La domanda di eutanasia o suicidio assistito è nella quasi totalità dei casi figlia dell’abbandono terapeutico (e sociale) del malato».

 

Il 28 aprile 2018 in un nuovo Tweet, Papa Francesco ha condiviso il suo cordoglio per la morte di Alfie Evans, il bimbo affetto da un morbo neurodegenerativo sconosciuto, il cui distacco delle macchine è stato stabilito dalla Corte suprema inglese: «Sono profondamente toccato dalla morte del piccolo Alfie. Oggi prego specialmente per i suoi genitori, mentre Dio Padre lo accoglie nel suo tenero abbraccio».

 

Il 23 aprile 2018 in un nuovo Tweet, Papa Francesco ha lanciato un nuovo appello in favore del piccolo Alfie Evans, il bimbo affetto da un morbo neurodegenerativo sconosciuto, il cui distacco delle macchine è stato stabilito dalla Corte suprema inglese. Il Papa ha twittato: «Commosso per le preghiere e la vasta solidarietà in favore del piccolo Alfie Evans, rinnovo il mio appello perché venga ascoltata la sofferenza dei suoi genitori e venga esaudito il loro desiderio di tentare nuove possibilità di trattamento».

 

Il 21 aprile 2018 Mariella Enoc, presidente dell’ospedale “Bambin Gesù” di Roma, ha rivelato che Papa Francesco le ha chiesto di invervenire sul caso di Alfie Evans, il bimbo affetto da un morbo neurodegenerativo sconosciuto, il cui distacco delle macchine è stato stabilito dalla Corte suprema inglese contro il volere dei genitori. «Il Santo Padre mi ha invitato a fare il possibile e l’impossibile perché Alfie Evans venga al Bambin Gesù. Questo è quello che il Papa mi ha fatto sapere subito dopo il colloquio con il padre Thomas. Quello che potevo fare era offrire la nostra disponibilità».

 

Il 18 aprile 2018 Papa Francesco al termine dell’Udienza generale ha lanciato un appello in favore di Vincent Lambert, un uomo in stato di coscienza minima i cui medici vorrebbero eliminare alimentazione ed idratazione contro la volontà dei parenti, e di Alfie Evans, il bimbo affetto da un morbo neurodegenerativo sconosciuto, il cui distacco delle macchine è stato stabilito dalla Corte suprema inglese contro il volere dei genitori. «Attiro l’attenzione di nuovo su Vincent Lambert e sul piccolo Alfie Evans, e vorrei ribadire e fortemente confermare che l’unico padrone della vita, dall’inizio alla fine naturale, è Dio! E il nostro dovere, il nostro dovere è fare di tutto per custodire la vita. Pensiamo in silenzio e preghiamo perché sia rispettata la vita di tutte le persone, specialmente di questi due fratelli nostri». Nello stesso giorno, il Papa ha ricevuto in udienza Thomas Evans, papà del piccolo Alfie, il quale ha commentato: «Sono fortunato ad essere qui, ad essermi trovato davanti a Sua Santità. Gli ho parlato dal cuore, gli ho detto la verità, ho spiegato quello che abbiamo passato e stiamo passando, qual è la situazione generale nel Regno Unito. Lui mi ha detto: “Portate Alfie qui!”, mi ha mostrato tanto affetto, mi ha incoraggiato e mi ha lodato per il coraggio e la forza. Questo per me è veramente toccante perché dal 2016 fino ad ora la situazione è difficile, e dopo che i media, i medici e tutti ci chiamano “pazzi”, “stupidi”, “incoscienti”, sentire dal Papa questo incoraggiamento, questa positività, mi ha fatto capire che siamo sulla strada giusta e che in tutta questa vicenda c’è Dio».

 

Il 02 marzo 2018 mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontifica Accademia della Vita, ha spiegato come «eutanasia e suicidio assistito sono contrarie alla dignità umana», al contrario della sedazione profonda e delle cure palliative.

 

L’08 febbraio 2018, rispondendo al fatto che i sostenitori dell’eutanasia citerebbero le parole del Papa contro l’accanimento terapeutico, il card. Camillo Ruini ha replicato: «Il Papa ha ripetutamente escluso l’eutanasia».

 

L’11 dicembre 2017 monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, ha affermato: «tante concezioni bioetiche odierne, ignorando il carattere costitutivo e fontale della relazionalità, oltre a quello della fragilità, sviliscono il valore dell’esistenza personale, osservata con le due lenti, che formano uno stesso occhiale, dell’individualismo e del rifiuto del limite, che rende assurda la sofferenza. Nasce da qui, a mio parere, la via dell’eutanasia o del suicidio assistito. Faccio fatica a ritenerli segno di civiltà evoluta, come con eccessiva sicurezza si sente dire. Questa via rappresenta una risposta sociale, a mio parere, troppo superficiale e sbrigativa ai reali bisogni di chi soffre a causa di gravi malattie o infermità. La sua pratica suggerisce un messaggio falso e deleterio: esistono vite che, per le loro condizioni contingenti, non sono (o non sono più) degne di essere vissute. E la società preferisce liberarsene (anche in termini economici), anziché farsene carico. Una simile logica avrebbe come effetto finale quello di creare nella comunità umana una “sacca di scarto” virtuale, l’insieme di coloro la cui vita sarebbe ritenuta “non degna” e, di conseguenza, non meritevole di essere sostenuta dalla comunità».

 

Il 17 marzo 2017 mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, ha commentato così la morte per suicidio assistito di Dj Fabo: «Io distinguerei tra ciò che della Chiesa può apparire, per taluni atteggiamenti, e l’approccio più ragionato, più articolato che non alza certo bandiera bianca. Continuo a pensare che l’eutanasia o il suicidio assistito non siano segno di civiltà evoluta, come sento dire con tanta sicurezza… Ritengo rappresentino una risposta troppo sbrigativa ai bisogni autentici di chi soffre per malattie o infermità; nascondono un messaggio non solo falso, ma anche deleterio: cioè che esistano alcune vite che, per alcune condizioni, non sono degne di essere vissute. E così la società trova comodo liberarsene. L’effetto conclusivo sarebbe la creazione di una “sacca di scarto” in cui collocare i titolari di una vita “non degna” e che la comunità può omettere di sostenere. Non credo sia il volto di una società davvero “civile”».

 

Il 07 febbraio 2017 su indicazione di Papa Francesco è stata presentata la Nuova carta degli operatori sanitari in cui si conferma che «nutrizione e idratazione, anche artificialmente somministrate (art. 152)» vanno «considerate tra le cure di base dovute al morente, quando non risultino troppo gravose o di alcun beneficio. La loro sospensione non giustificata può avere il significato di un vero e proprio atto eutanasico, ma è obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente. Confermata la eticità della sedazione palliativa profonda nelle fasi prossime al momento della morte, attuata secondo corretti protocolli etici e sottoposta ad un continuo monitoraggio». Rispetto all’espressione in anticipo da parte del paziente delle sue volontà, «deve essere sempre rispettata la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente, ma il medico non è comunque un mero esecutore, conservando egli il diritto e il dovere di sottrarsi a volontà discordi dalla propria coscienza». Così, si legge, anche se l’eutanasia è richiesta «in piena coscienza» dal soggetto interessato, «nessun operatore sanitario» può farsi «tutore esecutivo di un diritto inesistente». Ed eventuali legalizzazioni dell’eutanasia «cessano di essere una vera legge civile, moralmente obbligante per la coscienza», suscitando invece «un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante l’obiezione di coscienza». Si invita alla «tutela della dignità del morire (art. 149) nel senso di rispettare il malato nella fase finale della vita, escludendo sia di anticipare la morte (eutanasia), sia di dilazionarla con il cosiddetto “accanimento terapeutico”».

 

Il 30 maggio 2015 durante l’udienza con l’associazione Scienza e Vita, Francesco ha detto: «noi ribadiamo che una società giusta riconosce come primario il diritto alla vita dal concepimento fino al suo termine naturale. Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente».

 

Il 19 marzo 2016 nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco ha scritto: «L’eutanasia e il suicidio assistito sono gravi minacce per le famiglie in tutto il mondo. La loro pratica è legale in molti Stati. La Chiesa, mentre contrasta fermamente queste prassi, sente il dovere di aiutare le famiglie che si prendono cura dei loro membri anziani e ammalati».

 

Il 22 marzo 2015 durante la visita pastorale a Napoli, Francesco ha, in modo politicamente scorretto, affermato «si scartano i bambini, si scartano gli anziani, perché si lasciano da soli. Noi anziani abbiamo acciacchi, problemi e portiamo problemi agli altri, e la gente forse ci scarta per i nostri acciacchi, perché non serviamo più. E c’è anche questa abitudine di – scusatemi la parola – di lasciarli morire e siccome a noi piace tanto usare eufemismi, diciamo una parola tecnica: eutanasia. Ma non solo l’eutanasia fatta con una puntura, ma l’eutanasia nascosta, quella di non darti le medicine, non darti le cure, renderti la vita triste e così si muore, si finisce».

 

Il 5 marzo 2015 incontrando la Pontificia Accademia per la Vita, ha affermato: «“Onorare” oggi potrebbe essere tradotto pure come il dovere di avere estremo rispetto e prendersi cura di chi, per la sua condizione fisica o sociale, potrebbe essere lasciato morire o “fatto morire”. Tutta la medicina ha un ruolo speciale all’interno della società come testimone dell’onore che si deve alla persona anziana e ad ogni essere umano».

 

Il 1 febbraio 2015 durante l’Angelus Papa Francesco ha ricordato: «Oggi si celebra in Italia la Giornata per la Vita, che ha come tema “Solidali per la vita”. Rivolgo il mio apprezzamento alle associazioni, ai movimenti e a tutti coloro che difendono la vita umana. Mi unisco ai Vescovi italiani nel sollecitare «un rinnovato riconoscimento della persona umana e una cura più adeguata della vita, dal concepimento al suo naturale termine» (Messaggio per la 37ª Giornata nazionale per la Vita). Quando ci si apre alla vita e si serve la vita, si sperimenta la forza rivoluzionaria dell’amore e della tenerezza (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 288), inaugurando un nuovo umanesimo: l’umanesimo della solidarietà, l’umanesimo della vita. Saluto il Cardinale Vicario, i docenti universitari di Roma e quanti sono impegnati a promuovere la cultura della vita».

 

Il 16 gennaio 2015 Francesco durante l’omelia nella Cattedrale di Manila, ha affermato: «Sappiamo quanto sia difficile oggi per le nostre democrazie preservare e difendere tali valori umani fondamentali, come il rispetto per l’inviolabile dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti di libertà di coscienza e di religione, il rispetto per l’inalienabile diritto alla vita, a partire da quella dei bimbi non ancora nati fino quella degli anziani e dei malati».

 

Il 25 novembre 2014 nel discorso al Parlamento Europeo, Francesco ha ricordato che «l’essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che – lo notiamo purtroppo spesso – quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere». Persiste così un «grande equivoco che avviene quando prevale l’assolutizzazione della tecnica, che finisce per realizzare una confusione fra fini e mezzi. Risultato inevitabile della “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”. Al contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio».

 

Il 15 novembre 2014 nel discorso all’Associazione Medici Cattolici, Francesco ha ricordato che «il pensiero dominante propone a volte una “falsa compassione”. Quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre […]. La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza […]. Lo stesso vale per l’eutanasia: tutti sappiamo che con tanti anziani, in questa cultura dello scarto, si fa questa eutanasia nascosta. Ma, anche c’è l’altra. E questo è dire a Dio: “No, la fine della vita la faccio io, come io voglio”. Peccato contro Dio Creatore. Pensate bene a questo».

 

Il 1 novembre 2014 durante la Messa al cimitero Verano, Francesco ha detto: «È l’industria della distruzione. È un sistema, anche di vita, che quando le cose non si possono sistemare, si scartano: si scartano i bambini, si scartano gli anziani, si scartano i giovani senza lavoro. Questa devastazione ha fatto questa cultura dello scarto».

 

Nell’ottobre 2014 Francesco ha rilasciato un’intervista in occasione della stesura del libro “Papa Francesco. Questa economia uccide” (Piemme 2015), in essa ha affermato: «Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro, quando il denaro diventa un idolo, gli uomini e le donne sono ridotti a semplici strumenti di un sistema sociale ed economico caratterizzato, anzi dominato da profondi squilibri. E così si “scarta” quello che non serve a questa logica […]. Mi colpiscono i tassi di natalità così bassi qui in Italia: così si perde il legame con il futuro. Come pure la cultura dello scarto porta all’eutanasia nascosta degli anziani, che vengono abbandonati. Invece di essere considerati come la nostra memoria, il legame con il nostro passato è una risorsa di saggezza per il presente».

 

Il 9 maggio 2014 nel discorso ai capi esecutivi delle agenzie Onu, Francesco ha ricordato che occorre «sfidare tutte le forme di ingiustizia, opponendosi alla “economia dell’esclusione”, alla “cultura dello scarto” e alla “cultura della morte”, che, purtroppo, potrebbero arrivare a diventare una mentalità accettata passivamente […]. Oggi, in particolare, la coscienza della dignità di ogni fratello, la cui vita è sacra e inviolabile dal suo concepimento alla fine naturale, deve portarci a condividere, con totale gratuità, i beni che la provvidenza ha posto nelle nostre mani, siano essi ricchezze materiali che opere di intelligenza e di spirito, e a restituire con generosità e abbondanza ciò che ingiustamente possiamo aver negato agli altri».

 

Il 5 marzo 2014 Papa Francesco ha concesso un’intervista al “Corriere della Sera” e, alla domanda sul testamento biologico e sul prolungamento artificiale della vita in stato vegetativo, il Papa ha risposto: «Io non sono uno specialista negli argomenti bioetici. E temo che ogni mia frase possa essere equivocata. La dottrina tradizionale della Chiesa dice che nessuno è obbligato a usare mezzi straordinari quando si sa che è in una fase terminale. Nella mia pastorale, in questi casi, ho sempre consigliato le cure palliative. In casi più specifici è bene ricorrere, se necessario, al consiglio degli specialisti».

 

Il 18 novembre 2013 durante la meditazione mattutina nella cappella di Santa Marta, il Pontefice ha criticato «lo spirito della mondanità che anche oggi ci porta a questa voglia di essere progressisti, al pensiero unico» che, nel libro dei Maccabei oggetto del suo commento, ha portato alle «condanne a morte, ai sacrifici umani. Voi pensate che oggi non si fanno sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti. E ci sono delle leggi che li proteggono». Il Papa fa riferimento al romanzo “Il padrone del mondo” di Benson che si sofferma proprio su «quello spirito di mondanità che ci porta all’apostasia». Oggi, avverte il Papa, si pensa che «dobbiamo essere come tutti, dobbiamo essere più normali, come fanno tutti, con questo progressismo adolescente».

 

Il 20 settembre 2013 nel suo discorso alla Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, Francesco ha affermato: «Una diffusa mentalità dell’utile, la “cultura dello scarto”, che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli. La nostra risposta a questa mentalità è un “sì” deciso e senza tentennamenti alla vita […]. Non si possono scartare, come ci propone la “cultura dello scarto”! Non si possono scartare! Per questo l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del Magistero della Chiesa, particolarmente a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro, al bambino, all’anziano, che è la vita più indifesa […]. Questa è sempre, in tutte le sue fasi e ad ogni età, sacra ed è sempre di qualità. E non per un discorso di fede – no, no – ma di ragione, per un discorso di scienza! Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non esiste una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra. La credibilità di un sistema sanitario non si misura solo per l’efficienza, ma soprattutto per l’attenzione e l’amore verso le persone, la cui vita sempre è sacra e inviolabile».

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Papa Bergoglio, unioni Lgbt+ e omosessualità: tutti i discorsi

bergoglio unioni civili gayCosa ne pensa Papa Francesco delle unioni gay? E dell’omosessualità in generale? Contraddice la tradizione della Chiesa? E’ mai intervenuto in difesa della famiglia? A tutte queste domande rispondiamo in questo dossier citando tutti i suoi interventi sul tema.

 
 

Cosa ne pensa Papa Bergoglio del matrimonio omosessuale? Delle unioni civili? Dell’omosessualità?

Abbiamo qui raccolto tutti i suoi discorsi ufficiali, evitando i resoconti parziali dei media.

Sottolineiamo brevemente che Papa Bergoglio tende a non parlare direttamente del matrimonio omosessuale ma preferisce valorizzare il matrimonio tra uomo e donna, specificando che solo questo va garantito, così come il diritto dei bambini ad avere un padre e una madre.

Questo approccio è stato definito “linguaggio positivo” dal suo stretto collaboratore, mons. Víctor Manuel Fernández:

««Se si riesce a far ardere i cuori, o per lo meno a mostrare ciò che vi è di attraente nel Vangelo, allora le persone saranno più predisposte a conversare e a riflettere anche in merito a una risposta inerente la morale. Non giova molto parlare contro il matrimonio omosessuale, perché la gente tende a vederci come se fossimo dei risentiti, dei crudeli, persone poco comprensive o addirittura esagerate. Altra cosa quando parliamo della bellezza del matrimonio e dell’armonia che si crea nella differenza risultante dall’alleanza tra un uomo e una donna, in questo contesto positivo emerge, senza quasi doverlo far notare, quanto sia inadeguato usare lo stesso termine e chiamare “matrimonio” l’unione di due persone omosessuali».

In altri dossier abbiamo raccolto i pronunciamenti di Papa Francesco su eutanasia, ideologia gener ed aborto.

Qui di seguito tutti gli interventi di Papa Francesco (e dei suoi più stretti collaboratori) sul tema della famiglia (elenco in costante aggiornamento).


 
 

 

Il 27 giugnoo 2023 il Vaticano, tramite il Dipartimento per la Cultura e l’Educazione, è intervenuto per porre il veto alla nomina di Preside della Facoltà di Filosofia e Teologia (PTH) di Bressanone il teologo morale Martin Lintner. La motivazione sono le varie dichiarazioni di Linter a favore delle benedizione delle unioni omosessuali.

Il 12 settembre 2021 il segretario di Stato, Pietro Parolin conferma una linea comune sui temi etici con il partito della Lega, riferendosi in particolare al colloquio avuto tra Matteo Salvini e il “ministro degli esteri” vaticano Paul Gallagher. Sullo sfondo l’intesa comune contraria al ddl omofobia Zan.

Il 12 settembre 2021 i media riportano la prefazione di Papa Francesco al libro La vera Europa. Identità e Missione (Cantagalli) di Benedetto XVI, nel quale il Papa emerito critica aspramente lo sconvolgimento antropologico in atto sui temi etici, a partire dalla legalizzazione del matrimonio omosessuale. Papa Francesco elogia il pensiero del predecessore in merito, definendolo «intriso di grande realismo, assolutamente chiaro e convincente».

Il 28 giugno 2021 i media riportano la lettera che Papa Francesco ha inviato a padre James Martin, gesuita americano noto per accompagnare le persone cattoliche omosessuali. Nello scritto il Papa ricorda che «Dio si avvicina con amore a ognuno dei suoi figli, a tutti e a ognuno di loro. Il suo cuore è aperto a tutti e a ciascuno. Lui è Padre». «Lo “stile” di Dio», scrive ancora Francesco, «ha tre tratti: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo è il modo in cui si avvicina a ciascuno di noi. Pensando al tuo lavoro pastorale, vedo che cerchi continuamente di imitare questo stile di Dio. Tu sei un sacerdote per tutti e tutte, come Dio è Padre di tutti e tutte. Prego per te affinché tu possa continuare in questo modo, essendo vicino, compassionevole e con molta tenerezza». Come è stato fatto notare, la lettera è stata inviata quattro giorni dopo la “nota vaticana” inviata all’ambasciatore e al governo italiano con la quale mons. Gallagher, in accordo con Francesco, ha criticato ufficialmente il ddl Zan sull’omofobia avvisando la possibilità che possa contraddire il Concordato. Giustamente Luciano Moia su Avvenire ha sottolineato per questo «la volontà di Francesco di non confondere registri che hanno peculiarità e ambiti ben distinti. Quello ecclesiale è stato tracciato con chiarezza in ‘Amoris laetitia’ dove il Papa ribadisce che “ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispetta nella sua dignità e accolta con rispetto”, con l’impegno da parte della Chiesa di offrire a queste persone tutto l’aiuto necessario. Nella stessa Esortazione postsinodale si spiega, subito dopo, che il matrimonio tra uomo e donna non va confuso con altri tipi di unioni». Un piano pastorale e uno politico, quindi. Anche il vaticanista Luigi Accatoli riporta correttamente: «Dal Vaticano vengono dunque interventi severi, dottrinali e diplomatici, sulla frontiera omosessuale, posti — con l’approvazione del Papa — da organismi curiali di primaria importanza. Ma vengono anche parole e gesti “comprensivi” da parte di Francesco. La combinazione di questi due segnali sta a indicare la ricerca di una linea di compromesso: incoraggiare chi promuove un nuovo atteggiamento senza però tradurlo in nuove direttive formali».

Il 22 giugno 2021 la Santa Sede, tramite mons. Paul Richard Gallagher, è intervenuta nel dibattito italiano sul cosiddetto “ddl Zan” (una futura legge contro l’omofobia che per molti critici avrebbe introdotto il reato d’opinione e il gender nelle scuole) tramite una comunicazione formale consegnata all’ambasciata italiana presso la Santa Sede, nella quale in punta di diritto si sottolinenano le incongruenze del disegno di legge con il Concordato. L’intervento è stato decisivo per affossare il ddl Zan che in quel momento era stato già approvato dalla Camera dei Deputati ed era all’esame del Senato della Repubblica.

Il 06 luglio 2020 il giornalista Antonio Socci, leader della cordata di conservatori nemici di Francesco, ha ammesso che «Papa Bergoglio, di certo, ha sempre manifestato comprensione e rispetto verso le persone omosessuali, condannando discriminazioni e violenze ai loro danni. Tuttavia sulle questioni relative all’omosessualità e al gender, si è espresso con parole che potrebbero urtare la suscettibilità del mondo Lgbt». Ha quindi elencato diversi interventi del Pontefice in difesa della famiglia e contro l’omosessualità e le tematiche gender, citando perfino l’esortazione apostolica Amoris Laetitia.

Il 24 ottobre 2018 il giornalista Sandro Magister, tra i più critici di Francesco, ha riconosciuto che il papa è intervenuto personalmente per «tirare il freno» sui “giovani LGBT” durante l’elaborazione del documento finale del Sinodo sui giovani. Sul tema il Papa ha voluto che venisse ribadito l’insegnamento tradizionale del Catechismo.

Il 25 maggio 2018 Papa Francesco ha affrontato la tematica dell’ammissione di ragazzi omosessuali nei seminari, invitando ad un attento discernimento sulle persone omosessuali: «Se avete anche il minimo dubbio, è meglio non farli entrare».

Il 21 maggio 2018 sono scaturite alcune polemiche per le dichiarazioni del cileno Juan Carlos Cruz, omosessuale dichiarato, sopravvissuto da bambino alle violenze di un prete pedofilo, secondo il quale il Papa gli avrebbe detto: «Il Papa mi ha detto: “Juan Carlos, il fatto che tu sia gay non importa. Dio ti ha fatto in questo modo e ti ama in questo modo e a me non interessa. Il Papa ti ama come sei. Devi essere felice di chi tu sia». Le affermazioni non sono state confermate dalla Santa Sede, come sempre avviene in caso di conversazioni private. Il cardinale di New York, Timothy Dolan, definito dai media uno dei massimi leader conservatori della Chiesa cattolica in America, è intervenuto affermando: «Tenete a mente che abbiamo una fonte di terza mano. In ogni caso Gesù avrebbe detto la stessa cosa: è un insegnamento cattolico conservatore, tradizionale, ortodosso, e il Catechismo insiste su questo. Questo è nel Catechismo, così il Santo Padre lo ha ripetuto».

Il 25 marzo 2017 Papa Francesco, poche ore dopo le accuse del Comitato dei diritti umani dell’Onu all’Italia per i troppi medici obiettori e per il divieto di adozione alle coppie dello stesso sesso, ha scritto: «La famiglia continua ad essere buona notizia per il mondo di oggi? Io sono certo di sì! E questo “sì” è saldamente fondato sul disegno di Dio. L’amore di Dio è il suo “sì” a tutta la creazione e al cuore di essa, che è l’uomo. È il “sì” di Dio all’unione tra l’uomo e la donna, in apertura e servizio alla vita in tutte le sue fasi; è il “sì” e l’impegno di Dio per un’umanità tanto spesso ferita, maltrattata e dominata dalla mancanza d’amore. La famiglia, pertanto, è il “sì” del Dio Amore. Solo a partire dall’amore la famiglia può manifestare, diffondere e ri-generare l’amore di Dio nel mondo».

Il 23 marzo 2017 monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha affermato: «Chi ha sentito parlare la Chiesa, sa che non ha mai smesso di insistere sul fattore famiglia. Non molleremo mai finché non si riscopra la centralità della famiglia per la società e per la società contemporanea, finché non si capisca che la famiglia – quella formata da madre, padre e figli – non è un fatto di Chiesa, ma di società, perché quando si disgrega, si comincia ad adottare un ti po di soluzione che va in una direzione che tante volte con chiarezza abbiamo stigmatizzato e che non ci trova assolutamente d’accordo».

Il 27 febbraio 2017 nel suo messaggio ai giovani per la Giornata Mondiale della Gioventù, Francesco ha affermato: «Una società che valorizza solo il presente tende anche a svalutare tutto ciò che si eredita dal passato, come per esempio le istituzioni del matrimonio, della vita consacrata, della missione sacerdotale. Queste finiscono per essere viste come prive di significato, come forme superate. Si pensa di vivere meglio in situazioni cosiddette “aperte”, comportandosi nella vita come in un reality show, senza scopo e senza fine. Non vi lasciate ingannare! Dio è venuto ad allargare gli orizzonti della nostra vita, in tutte le direzioni. Egli ci aiuta a dare il dovuto valore al passato, per progettare meglio un futuro di felicità: ma questo è possibile soltanto se si vivono autentiche esperienze d’amore, che si concretizzano nello scoprire la chiamata del Signore e nell’aderire ad essa».

Il 24 gennaio 2017 il vescovo di La Spezia, Luigi Ernesto Palletti, è intervenuto per correggere un prete Lgbt dicendo: «nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, Francesco ha espressamente riportato e sottolineato quanto i vescovi, provenienti da ogni parte del mondo e riuniti per il Sinodo sulla famiglia, hanno autorevolmente espresso, ovvero: “Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia” (Amoris Laetitia n. 251)”. Il prete, don Luigi Mignani, parroco di Bonassola, ha risposto dicendo che quanto ha scritto Francesco nell’esortazione apostolica è «astratto, avulso dalle culture, incapace di rispondere alle concrete domande umane dei nostri contemporanei; dunque non accoglibile da parte di chi cerca di vivere la propria fede senza dover mettere tra parentesi la ragione».

Il 29 gennaio 2017 l’arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Zuppi (definito “bergogliano” sui media), si è opposto allo spettacolo pro-gender Fà-afafine. Mirko De Carli de Il Popolo della Famiglia ha definito «preziosa e irrinunciabile» la voce ferma e decisa della Curia bolognese e dell’arcivescovo bergogliano.

L’11 febbraio 2017 l’arcivescovo di Buenos Aires e Primate of Argentina, Mario Poli, scelto da papa Francesco come successore sulla cattedra di Buenos Aires, si è espresso duramente contro l’apertura dell’Associazione Scout dell’Argentina al matrimonio gay e all’aborto.

L’11 gennaio 2017 l’opinionista Carlo Troilo, membro della Associazione Luca Coscioni, ha affermato che «nei rapporti con lo Stato italiano, Bergoglio si impegna a non intervenire di persona ma poi lascia che i Cardinali parlino e contrastino con forza le leggi non gradite, in particolare quella sulle unioni civili. L’intervento più clamoroso di Francesco è stato a mio avviso quello contro Ignazio Marino. Il Papa non può perdonare a Marino di avere istituito a Roma i registri dei testamenti biologici e delle unioni civili, spingendosi fino a celebrare le “nozze” di due omosessuali: nella Capitale del cattolicesimo mondiale! Così, quando Marino commette l’imprudenza di farsi trovare in prima fila fra quanti accolgono il Papa a Filadelfia, il Papa decide di “affrontarlo”. Sull’aereo che lo riporta a Roma “si fa chiedere” da un giornalista (uso le virgolette per descrivere un espediente ben noto per chi, come me, si è occupato a lungo di uffici stampa) se aveva invitato il sindaco di Roma. E risponde quasi con rabbia: “Io non l’ho invitato. E’ chiaro?”. Un colpo mortale per un sindaco già molto traballante per altre e complicate ragioni».

L’08 dicembre 2016 , Papa Francesco ha approvato il testo Il dono della vocazione presbiteriale, in cui si legge che: «In relazione alle persone con tendenze omosessuali che si accostano ai Seminari, o che scoprono nel corso della formazione tale situazione, in coerenza con il proprio Magistero, “la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne. Non sono affatto da trascurare le conseguenze negative che possono derivare dall’Ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate”». E ancora: «In tale contesto, “se un candidato pratica l’omosessualità o presenta tendenze omosessuali profondamente radicate, il suo direttore spirituale, così come il suo confessore, hanno il dovere di dissuaderlo, in coscienza, dal procedere verso l’Ordinazione”».

Il 27 ottobre 2016 rivolgendosi al Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II”, Francesco ha detto: «Nella congiuntura attuale, i legami coniugali e famigliari sono in molti modi messi alla prova. L’affermarsi di una cultura che esalta l’individualismo narcisista, una concezione della libertà sganciata dalla responsabilità per l’altro, la crescita dell’indifferenza verso il bene comune, l’imporsi di ideologie che aggrediscono direttamente il progetto famigliare, come pure la crescita della povertà che minaccia il futuro di tante famiglie, sono altrettante ragioni di crisi per la famiglia contemporanea […]. E’ impossibile negare l’apporto della cultura moderna alla riscoperta della dignità della differenza sessuale. Per questo, è anche molto sconcertante constatare che ora questa cultura appaia come bloccata da una tendenza a cancellare la differenza invece che a risolvere i problemi che la mortificano».

Il 02 ottobre 2016 nel volo di ritorno dal viaggio apostolico in Georgia e Azerbaijan, Francesco ha detto: «Quando si parla del matrimonio come unione dell’uomo e della donna, come li ha fatti Dio, come immagine di Dio, è uomo e donna. L’immagine di Dio non è l’uomo [maschio]: è l’uomo con la donna. Insieme. Che sono una sola carne quando si uniscono in matrimonio. Questa è la verità. […]. Dobbiamo essere attenti a non lasciare entrare in noi queste idee. Ma prima di tutto: il matrimonio è immagine di Dio, uomo e donna in una sola carne. Quando si distrugge questo, si “sporca” o si sfigura l’immagine di Dio. […]. Prima di tutto, io ho accompagnato nella mia vita di sacerdote, di vescovo – anche di Papa – ho accompagnato persone con tendenza e con pratiche omosessuali. Le ho accompagnate, le ho avvicinate al Signore, alcuni non possono, ma le ho accompagnate e mai ho abbandonato qualcuno. Questo è ciò che va fatto. Le persone si devono accompagnare come le accompagna Gesù. Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, Gesù non gli dirà sicuramente: “Vattene via perché sei omosessuale!”, no. Quello che io ho detto riguarda quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender. Mi raccontava un papà francese che a tavola parlavano con i figli – cattolico lui, cattolica la moglie, i figli cattolici, all’acqua di rose, ma cattolici – e ha domandato al ragazzo di dieci anni: “E tu che cosa voi fare quando diventi grande?” – “La ragazza”. E il papà si è accorto che nei libri di scuola si insegnava la teoria del gender. E questo è contro le cose naturali. Una cosa è che una persona abbia questa tendenza, questa opzione, e c’è anche chi cambia il sesso. E un’altra cosa è fare l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità. Queste io le chiamo “colonizzazioni ideologiche”. L’anno scorso ho ricevuto una lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia da bambino e da ragazzo. Era una bambina, una ragazza, e ha sofferto tanto, perché si sentiva ragazzo ma era fisicamente una ragazza. L’ha raccontato alla mamma, quando era già ventenne, 22 anni, e le ha detto che avrebbe voluto fare l’intervento chirurgico e tutte queste cose. E la mamma gli ha chiesto di non farlo finché lei era viva. Era anziana, ed è morta presto. Ha fatto l’intervento. E’ un impiegato di un ministero di una città della Spagna. È andato dal vescovo. Il vescovo lo ha accompagnato tanto, un bravo vescovo: “perdeva” tempo per accompagnare quest’uomo. Poi si è sposato. Ha cambiato la sua identità civile, si è sposato e mi ha scritto la lettera che per lui sarebbe stata una consolazione venire con la sua sposa: lui, che era lei, ma è lui. E li ho ricevuti. Erano contenti. E nel quartiere dove lui abitava c’era un vecchio sacerdote, ottantenne, il vecchio parroco, che aveva lasciato la parrocchia e aiutava le suore, lì, nella parrocchia… E c’era il nuovo [parroco]. Quando il nuovo lo vedeva, lo sgridava dal marciapiede: “Andrai all’inferno!”. Quando trovava il vecchio, questo gli diceva: “Da quanto non ti confessi? Vieni, vieni, andiamo che ti confesso e così potrai fare la Comunione”. Hai capito? La vita è la vita, e le cose si devono prendere come vengono. Il peccato è il peccato. Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a non dire: “E’ tutto lo stesso, facciamo festa”. No, questo no. Ma ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo. Questo è quello che farebbe Gesù oggi. Per favore, non dite: “Il Papa santificherà i trans!”. Per favore! Perché io vedo già i titoli dei giornali… No, no. C’è qualche dubbio su quello che ho detto? Voglio essere chiaro. È un problema di morale. E’ un problema. E’ un problema umano».

Il 26 giugno 2016 nella Dichiarazione comune di Papa Francesco e Karekin II, patriarca del Patriarcato armeno di Costantinopoli, si legge: «La Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica condividono la medesima visione della famiglia, basata sul matrimonio, atto di gratuità e di amore fedele tra un uomo e una donna»

Il 25 settembre 2016 durante l’Angelus, Papa Francesco, il giorno successivo a quello in cui decine di migliaia di messicani si sono riversati in strada per manifestare contro il tentativo di legalizzare il matrimonio omosessuale, ha dichiarato: «Mi associo ben volentieri ai Vescovi del Messico nel sostenere l’impegno della Chiesa e della società civile in favore della famiglia e della vita, che in questo tempo richiedono speciale attenzione pastorale e culturale in tutto il mondo».

Il 29 aprile 2016 il portavoce del Family Day, Massimo Gandolfini, è stato ricevuto in udienza privata da Papa Francesco (qui una foto dell’incontro), il quale ha esortato i difensori della famiglia a proseguire nell’impegno: «vi ringrazio per quello che state facendo. Andate avanti così; siate un laicato forte, ben formato, con una retta coscienza cristiana». Gandolfini ha anche riportato altre parole del Papa: «Spetta a me, in quanto Papa, ribadire i principi che sono patrimonio secolare della Chiesa. Spetta a voi, che siete laici con una coscienza ben formata, protrarre l’impegno per difendere questi principi nella società».

L’08 aprile 2016 sui quotidiani è apparsa la conferma che la Francia ha rinunciato alla proposta dell’ambasciatore vaticano Laurent Stefanini, omosessuale dichiarato e militante. «Alla fine ha vinto il Papa», si legge su Italia Oggi.

Il 31 marzo 2016 è apparsa sui quotidiani l’anteprima del libro di Ignazio Marino, ex sindaco di Roma, intitolato “Un marziano a Roma”. In esso Marino ha raccontato che nel febbraio 2015, durante un incontro privato, Papa Francesco gli disse che la cerimonia di registrazione in Campidoglio di sedici unioni omosessuali celebrate all’estero era stata «uno sbaglio». «Le sue parole furono molto severe, mi disse che era stato uno sbaglio», ha scritto Marino.

Il 19 marzo 2016 nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco ha scritto: «Ogni bambino ha il diritto di ricevere l’amore di una madre e di un padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra e armoniosa. Come hanno affermato i Vescovi dell’Australia, entrambi «contribuiscono, ciascuno in una maniera diversa, alla crescita di un bambino. Rispettare la dignità di un bambino significa affermare la sua necessità e il suo diritto naturale ad avere una madre e un padre. Non si tratta solo dell’amore del padre e della madre presi separatamente, ma anche dell’amore tra di loro, percepito come fonte della propria esistenza, come nido che accoglie e come fondamento della famiglia. Diversamente, il figlio sembra ridursi ad un possesso capriccioso. Entrambi, uomo e donna, padre e madre, sono «cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti. Mostrano ai loro figli il volto materno e il volto paterno del Signore. Inoltre essi insieme insegnano il valore della reciprocità, dell’incontro tra differenti, dove ciascuno apporta la sua propria identità e sa anche ricevere dall’altro. Se per qualche ragione inevitabile manca uno dei due, è importante cercare qualche maniera per compensarlo, per favorire l’adeguata maturazione del figlio. Un padre con una chiara e felice identità maschile, che a sua volta unisca nel suo tratto verso la moglie l’affetto e l’accoglienza, è tanto necessario quanto le cure materne. Vi sono ruoli e compiti flessibili, che si adattano alle circostanze concrete di ogni famiglia, ma la presenza chiara e ben definita delle due figure, femminile e maschile, crea l’ambiente più adatto alla maturazione del bambino».

Il 19 marzo 2016 nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco ha scritto: «Nessuno può pensare che indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla società. Accade il contrario: pregiudica la maturazione delle persone, la cura dei valori comunitari e lo sviluppo etico delle città e dei villaggi. Non si avverte più con chiarezza che solo l’unione esclusiva e indissolubile tra un uomo e una donna svolge una funzione sociale piena, essendo un impegno stabile e rendendo possibile la fecondità. Dobbiamo riconoscere la grande varietà di situazioni familiari che possono offrire una certa regola di vita, ma le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso, per esempio, non si possono equiparare semplicisticamente al matrimonio. Nessuna unione precaria o chiusa alla trasmissione della vita ci assicura il futuro della società. Ma chi si occupa oggi di sostenere i coniugi, di aiutarli a superare i rischi che li minacciano, di accompagnarli nel loro ruolo educativo, di stimolare la stabilità dell’unione coniugale? […]. La storia ricalca le orme degli eccessi delle culture patriarcali, dove la donna era considerata di seconda classe, ma ricordiamo anche la pratica dell’“utero in affitto” o la strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica». Inoltre, «i Padri sinodali hanno osservato che “circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia», ed è inaccettabile «che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio fra persone dello stesso sesso».

Il 15 febbraio 2016 Papa Francesco nel suo viaggio in Messico, ha affermato: «Oggi vediamo e viviamo su diversi fronti come la famiglia venga indebolita, come viene messa in discussione. Come si crede che essa sia un modello ormai superato e incapace di trovare posto all’interno delle nostre società che, sotto il pretesto della modernità, sempre più favoriscono un sistema basato sul modello dell’isolamento. E si insinuano nelle nostre società – che si dicono società libere, democratiche, sovrane – si insinuano colonizzazioni ideologiche che le distruggono, e finiamo per essere colonie di ideologie distruttrici della famiglia, del nucleo della famiglia, che è la base di ogni sana società».

Il 22 gennaio 2016 Papa Francesco, incontrando i giudici del Tribunale della Rota Romana, pochi giorni prima del Family Day e della discussione del ddl Cirinnà sulle unioni civili al Senato, ha affermato: «Il recente Sinodo sulla Famiglia ha «indicato al mondo che non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione. La famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al “sogno” di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità». Ha proseguito: «Come affermò il beato Paolo VI, la Chiesa ha sempre rivolto “uno sguardo particolare, pieno di sollecitudine e di amore, alla famiglia ed ai suoi problemi. Per mezzo del matrimonio e della famiglia Iddio ha sapientemente unite due tra le maggiori realtà umane: la missione di trasmettere la vita e l’amore vicendevole e legittimo dell’uomo e della donna, per il quale essi sono chiamati a completarsi vicendevolmente in una donazione reciproca non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale”». Ed in conclusione, «la Chiesa con rinnovato senso di responsabilità continua a proporre il matrimonio, nei suoi elementi essenziali – prole, bene dei coniugi, unità, indissolubilità, sacramentalità –, non come un ideale per pochi, nonostante i moderni modelli centrati sull’effimero e sul transitorio, ma come una realtà che, nella grazia di Cristo, può essere vissuta da tutti i fedeli battezzati».

Il 20 gennaio 2016 l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi (definito “bergogliano” sui media), ha sostenuto il card. Bagnasco nella sua opposizione alle unioni civili.

Il 19 gennaio 2016 l’arcivescovo di Perugia, il card. Gualtiero Bassetti (futuro presidente della Conferenza Episcopale Italiana), è intervenuto a favore del Family Day: chiudendo la messa ha letto l’appello del Comitato ‘Difendiamo i nostri figli’ che ha organizzato la manifestazione del 30 gennaio a Roma. «Fate tesoro di questo comunicato perché il bene della famiglia ci sta veramente a tutti tanto a cuore».

Il 24 ottobre 2015 Papa Francesco, nel discorso a conclusione del Sinodo, ha parlato dell’«importanza dell’istituzione della famiglia e del Matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana».

Il 18 ottobre 2015 mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, a proposito del ddl Cirinnà sulle unioni civili, ha affermato: «Chiedo che la politica non sia strabica. Non si può pensare a un governo che sta investendo tantissime energie per queste forme di unioni particolari e di fatto sta mettendo all’angolo la famiglia tradizionale che deve essere un pilastro della società. Voglio fare un appello ai cattolici, ma non solo, perché togliamoci dalla testa che la famiglia fatta da padre, madre e figli sia un problema della Chiesa. La famiglia che assicura il futuro alla società non è problema della Chiesa, è una realtà, presente nella Costituzione, che riguarda tutta la società. Il mio appello è non solo ai cattolici, ma a tutti. E non è un appello per non fare – ha precisato -, ma per fare. Avendo chiaro che se qualcuno viene dall’estero e legge solo i giornali italiani ha l’impressione che in Italia ci solo il problema delle coppie fatto e non i problemi delle famiglie normali. A noi non va bene. Spero che il Parlamento non ne abbia bisogno, non serve un Parlamento al giogo del prete di turno. Spero in un Parlamento che non ha bisogno del vescovo o del Papa che glielo dicano». Continua Galantino rispondendo alla domanda se la Cei farà appello ai parlamentari cattolici di fare obiezione di coscienza sul ddl Cirinnà.»

Il 04 ottobre 2015, parlando del Sinodo ordinario sulla famiglia, Francesco ha ricordato: «La liturgia di questa domenica ripropone proprio il testo fondamentale del Libro della Genesi sulla complementarietà e reciprocità tra uomo e donna (cfr Gen 2,18-24). Per questo – dice la Bibbia – l’uomo lascia suo padre e sua madre e si unisce a sua moglie e i due diventano una sola carne, cioè una sola vita, una sola esistenza (cfr v. 24). In tale unità i coniugi trasmettono la vita ai nuovi esseri umani: diventano genitori».

Il 04 ottobre 2015, durante l’omelia per l’apertura del Sinodo ordinario sulla famiglia, Francesco ha ricordato: «Ecco il sogno di Dio per la sua creatura diletta: vederla realizzata nell’unione di amore tra uomo e donna; felice nel cammino comune, feconda nella donazione reciproca. È lo stesso disegno che Gesù nel Vangelo di oggi riassume con queste parole: «Dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne» (Mc 10,6-8; cfr Gen 1,27; 2,24)».

Il 27 settembre 2015 durante un’intervista nella sua visita negli Stati Uniti, Papa Francesco ha risposto ad una domanda sui funzionari che non voglio rilasciare licenze matrimoniali per le coppie dello stesso sesso: «l’obiezione di coscienza è un diritto ed entra in ogni diritto umano. E’ un diritto, e se una persona non permette di esercitare l’obiezione di coscienza, nega un diritto. In ogni struttura giudiziaria deve entrare l’obiezione di coscienza, perché è un diritto, un diritto umano. E’ un diritto umano. Se il funzionario di governo è una persona umana, ha quel diritto. E’ un diritto umano.».

Il 24 settembre 2015 durante il discorso all’assemblea plenaria degli Stati Uniti, Papa Francesco ha affermato: «non posso nascondere la mia preoccupazione per la famiglia, che è minacciata, forse come mai in precedenza, dall’interno e dall’esterno. Relazioni fondamentali sono state messe in discussione, come anche la base stessa del matrimonio e della famiglia. Io posso solo riproporre l’importanza e, soprattutto, la ricchezza e la bellezza della vita familiare».

Il 28 maggio 2015 ai vescovi domenicani, Francesco ha detto: «Il matrimonio e la famiglia attraversano una seria crisi culturale. La famiglia è il luogo in cui s’impara a convivere nella differenza, a perdonare e a sperimentare il perdono, e dove i genitori trasmettono ai figli i valori e in particolare la fede. “È perciò urgente un’ampia opera di catechesi circa l’ideale cristiano della comunione coniugale e della vita familiare, che includa una spiritualità della paternità e della maternità. Maggior attenzione pastorale va dedicata al ruolo degli uomini come mariti e padri, così come alla responsabilità che condividono con le mogli riguardo al matrimonio, alla famiglia ed all’educazione dei figli” (Ecclesia in America, n. 46). Continuiamo a presentare la bellezza del matrimonio cristiano: “sposarsi nel Signore” è un atto di fede e di amore, nel quale gli sposi, mediante il loro libero consenso, diventano trasmettitori della benedizione e della grazia di Dio per la Chiesa e la società».

Il 27 maggio 2015 il segretario di Stato Vaticano, mons. Piero Parolin, ha commentato l’esito del referendum irlandese a favore delle nozze gay dicendo: «Questi risultati mi hanno reso molto triste. Certo, come ha detto l’arcivescovo di Dublino, la Chiesa deve tenere conto di questa realtà, ma deve tenerne conto nel senso che, a mio parere, deve rafforzare proprio tutto il suo impegno e fare uno sforzo per evangelizzare anche la nostra cultura. Ed io credo che non sia soltanto una sconfitta dei principi cristiani, ma un po’ una sconfitta dell’umanità». Il vaticanista Luca Kocci ha scritto che Parolin è «uno dei prelati di Curia più vicini a Francesco, autorevole interprete del pensiero del papa» ed infatti Sandro Magister ha rilevato che il giorno prima, come di regola ogni lunedì, Parolin era stato a colloquio con papa Francesco per la sua udienza settimanale. «Si può quindi presumere con buona sicurezza che il suo commento al referendum irlandese riflettesse anche il pensiero del papa».

Il 24 maggio 2015 è stata pubblicata l’enciclica “Laudato sii”, nella quale Francesco ha scritto: «Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa».

Il 29 aprile 2015 durante l’udienza generale, Francesco ha affermato: «Gesù ci insegna che il capolavoro della società è la famiglia: l’uomo e la donna che si amano! Questo è il capolavoro! Il matrimonio consacrato da Dio custodisce quel legame tra l’uomo e la donna che Dio ha benedetto fin dalla creazione del mondo; ed è fonte di pace e di bene per l’intera vita coniugale e familiare. Nello stesso tempo, riconoscere come ricchezza sempre valida la maternità delle donne e la paternità degli uomini, a beneficio soprattutto dei bambini».

Il 23 aprile 2015 si è capito che il rifiuto di Papa Francesco di accettare come ambasciatore francese in Vaticano il diplomatico omosessuale Stefanini non è per via del suo orientamento sessuale ma dal fatto che il presidente Hollande ha voluto farne una bandiera e una sfida ideologica. Il pontefice ha incontrato Stefanini spiegandoglielo personalmente.

Il 22 aprile 2015 durante l’udienza generale, Francesco ha affermato: «pensiamo anche alla recente epidemia di sfiducia, di scetticismo, e persino di ostilità che si diffonde nella nostra cultura – in particolare a partire da una comprensibile diffidenza delle donne – riguardo ad un’alleanza fra uomo e donna che sia capace, al tempo stesso, di affinare l’intimità della comunione e di custodire la dignità della differenza. La svalutazione sociale per l’alleanza stabile e generativa dell’uomo e della donna è certamente una perdita per tutti. Dobbiamo riportare in onore il matrimonio e la famiglia!».

Il 28 marzo 2015 il segretario generale della CEI, mons. Nunzio Galantino, è duramente intervenuto contro il ddl Crinnà sulle unioni civili parlando di «forzatura ideologica».

Il 15 aprile 2015 durante l’udienza generale, Francesco ha affermato: «La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio. L’esperienza ce lo insegna: per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna. Quando ciò non avviene, se ne vedono le conseguenze».

Il 11 maggio 2015 Francesco ha incontrato i vescovi del Togo affermando: «È importante che gli aspetti positivi della famiglia che sono vissuti in Africa si esprimano e siano compresi. In particolare, la famiglia africana è accogliente verso la vita, rispetta e tiene conto delle persone anziane. Questa eredità deve essere dunque conservata e servire da esempio e da incoraggiamento per gli altri. Il Togo non è risparmiato dagli attacchi ideologici e mediatici, oggi diffusi ovunque, che propongono modelli di unione e famiglie incompatibili con la fede cristiana. Conosco la vigilanza di cui date prova in questo ambito, come pure gli sforzi che realizzate, in particolare nel campo dei mass media».

L’11 febbraio 2015 la Manif Pour Tous ha spiegato che l’ispirazione della loro attività contro il gender arriva da Papa Francesco, seguendo le sue indicazioni pubbliche.

L’22 marzo 2015 durante la visita pastorale a Napoli, Francesco ha affermato: «La crisi della famiglia è una realtà sociale. Poi ci sono le colonizzazioni ideologiche sulle famiglie, modalità e proposte che ci sono in Europa e vengono anche da Oltreoceano. Poi quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender, che crea tanta confusione. Così la famiglia è sotto attacco».

Il 02 febbraio 2015 nel suo discorso alla Conferenza Episcopale Lituana, Francesco ha affermato: «Anche il vostro Paese, che ormai è entrato a pieno titolo nell’Unione Europea, è esposto all’influsso di ideologie che vorrebbero introdurre elementi di destabilizzazione delle famiglie, frutto di un mal compreso senso della libertà personale. Le secolari tradizioni lituane al riguardo vi aiuteranno a rispondere, secondo la ragione e secondo la fede, a tali sfide».

Il 30 gennaio 2015 mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI, è intervenuto contro l’ideologia di gender accusata di «capovolgere l’alfabeto dell’umano», aggiungendo che «le unioni civili mi sembrano un diversivo per chi non è sintonizzato sul fuso orario della gente». Ricordiamo che quando Papa Francesco scelse mons. Galantino i media parlarono di “svolta” e “segnale di cambiamento”.

Il 29 gennaio 2015 l’Osservatore Romano, organo di stampa della Santa Sede, si è espresso sull’istituzione del registro delle unioni civili in Campidoglio: «Si tratta di una forzatura della volontà degli italiani che non hanno mai avuto modo di esprimersi sull’argomento o quantomeno del tentativo d’imporre al Paese un fatto compiuto su una materia che non ha mai avuto alcuna elaborazione giuridica».

Il 29 gennaio 2015 durante l’udienza generale, Francesco ha parlato della figura del padre nella famiglia, affermando: «L’assenza della figura paterna nella vita dei piccoli e dei giovani produce lacune e ferite che possono essere anche molto gravi. E in effetti le devianze dei bambini e degli adolescenti si possono in buona parte ricondurre a questa mancanza, alla carenza di esempi e di guide autorevoli nella loro vita di ogni giorno, alla carenza di vicinanza, alla carenza di amore da parte dei padri. E’ più profondo di quel che pensiamo il senso di orfanezza che vivono tanti giovani. Sono orfani in famiglia, perché i papà sono spesso assenti, anche fisicamente, da casa, ma soprattutto perché, quando ci sono, non si comportano da padri, non dialogano con i loro figli, non adempiono il loro compito educativo, non danno ai figli, con il loro esempio accompagnato dalle parole, quei principi, quei valori, quelle regole di vita di cui hanno bisogno come del pane».

Il 23 gennaio 2015, nel messaggio per la XLIX Giornata delle Comunicazioni Sociali, Francesco ha ricordato: «La famiglia più bella, protagonista e non problema, è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli. Non lottiamo per difendere il passato, ma lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente abitiamo, per costruire il futuro».

Il 19 gennaio 2015 durante la conferenza stampa nel viaggio in Sri Lanka e Filippine si è aperto il caso delle famiglie numerose come conigli. Papa Francesco ha infatti usato come esempio una donna che «era incinta dell’ottavo dopo sette cesarei. “Ma lei vuole lasciare orfani sette?”. Questo è tentare Dio». Ha proseguito: «Questa è una irresponsabilità. “No, io confido in Dio”. “Ma guarda, Dio ti da i mezzi, sii responsabile”. Alcuni credono che – scusatemi la parola, eh? – per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli, no? No. Paternità responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono i pastori, e si cerca. E io conosco tante e tante vie d’uscita lecite che hanno aiutato a questo». Le critiche hanno travisato le parole in quanto il Papa difendeva la paternità responsabile e non criticava le famiglie numerose che, anzi, ha sempre difeso. Solo pochi giorni prima -come abbiamo scritto-, Francesco aveva incontrato l’Associazione nazionale delle Famiglie numerose, affermando: «Giustamente voi ricordate che la Costituzione Italiana, all’articolo 31, chiede un particolare riguardo per le famiglie numerose; ma questo non trova adeguato riscontro nei fatti. Resta nelle parole. Auspico quindi, anche pensando alla bassa natalità che da tempo si registra in Italia, una maggiore attenzione della politica e degli amministratori pubblici, ad ogni livello, al fine di dare il sostegno previsto a queste famiglie. Ogni famiglia è cellula della società, ma la famiglia numerosa è una cellula più ricca, più vitale, e lo Stato ha tutto l’interesse a investire su di essa!». Nel gennaio 2015, invece, dirà che «dà consolazione e speranza vedere tante famiglie numerose che accolgono i figli come un vero dono di Dio. Ho sentito dire da alcuni che le famiglie con molti figli e la nascita di tanti bambini sono tra le cause della povertà. Mi pare un’opinione semplicistica. Posso dire, possiamo dire tutti, che la causa principale della povertà è un sistema economico che ha tolto la persona dal centro e vi ha posto il dio denaro. Questo è il motivo principale della povertà, non le famiglie numerose». Un mese dopo ne ha nuovamente parlato: «Se una famiglia generosa di figli viene guardata come se fosse un peso, c’è qualcosa che non va! La generazione dei figli dev’essere responsabile, come insegna anche l’Enciclica Humanae vitae del beato Papa Paolo VI, ma avere più figli non può diventare automaticamente una scelta irresponsabile. Non avere figli è una scelta egoistica. La vita ringiovanisce e acquista energie moltiplicandosi: si arricchisce, non si impoverisce!». Alla luce di questi interventi si capisce che non c’è nessun giudizio negativo del Papa, dunque, sulle famiglie con molti figli. La difesa della genitorialità responsabile, simboleggiata dal Papa con l’espressione “non fare figli come “conigli”, è contenuta nell’“Humanae Vitae” di Paolo VI quando. Certo, Francesco ha usato un’espressione colorita ma anche Giovanni Paolo II non fu da meno quando nel 1994 disse: «Il pensiero cattolico è sovente equivocato, come se la Chiesa sostenesse un’ideologia della fecondità ad oltranza, spingendo i coniugi a procreare senza alcun discernimento e alcuna progettualità. Ma basta un’attenta lettura dei pronunciamenti del Magistero per constatare che non è così». Il vaticanista John Allen ha spiegato: «Papa Francesco dice e fa un sacco di cose che vengono definite come rivoluzionarie, ma in realtà non lo sono. Dire che i cattolici non devono figliare “come conigli,” per esempio, è un vecchio insegnamento ufficiale». Il presidente delle Famiglie numerose italiane, Giuseppe Butturini, ha elogiato l’intervento di Papa Francesco, concordando con lui, così come hanno fatto tante altre famiglie numerose. Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari ha invitato ad andare al cuore delle parole del Santo Padre senza fermarsi «alle loro parti più ad effetto». Infine, per quanto riguarda l’indicazione del Papa al fatto che “Dio ti da i mezzi, sii responsabile”, sta invitando alle “vie lecite”, ovvero i metodi naturali per la regolamentazione della fecondità. Tanto che il presidente delle Famiglie numerose, Giuseppe Butturini, ha spiegato: «Il Papa, correttamente inteso, ha ragione. Sta dicendo a una mamma che vuole un figlio a tutti i costi dopo sette parti cesarei: stai attenta, perché in questo modo corri il rischio di fare la tua volontà e non quella di Dio».

Il 18 gennaio 2015, prima dell’inizio della Messa di Santa Marta, papa Francesco ha voluto esprimere vicinanza e sostegno a «quella Chiesa slovacca coraggiosa che in questo momento, in questo tempo, lotta per difendere la famiglia». Rivolgendosi poi a un gruppetto di pellegrini provenienti dalla Slovacchia, il Pontefice li ha esortati così: «Avanti e coraggio!». Il successivo 7 febbraio, infatti, il popolo slovacco è stato chiamato ad un referendum sulla protezione della famiglia e del matrimonio tradizionale.

Il 18 gennaio 2015, durante la Messa conclusiva del viaggio nelle Filippine, Francesco ha ricordato che Gesù «ha avuto una famiglia qui sulla terra: la Santa Famiglia di Nazaret. In tal modo Egli ci ricorda l’importanza di proteggere le nostre famiglie e quella più grande famiglia che è la Chiesa, la famiglia di Dio, e il mondo, la nostra famiglia umana. Oggi purtroppo la famiglia ha bisogno di essere protetta da attacchi insidiosi e da programmi contrari a tutto quanto noi riteniamo vero e sacro, a tutto ciò che nella nostra cultura è più nobile e bello».

Il 16 gennaio 2015 durante l’incontro con le famiglie a Manila, Francesco ha affermato: « nel nostro tempo, Dio ci chiama a riconoscere i pericoli che minacciano le nostre famiglie e a proteggerle dal male. Stiamo attenti alle nuove colonizzazioni ideologiche. Esistono colonizzazioni ideologiche che cercano di distruggere la famiglia […]. Come famiglie dobbiamo essere molto molto sagaci, molto abili, molto forti, per dire “no” a qualsiasi tentativo di colonizzazione ideologica della famiglia […] La famiglia è anche minacciata dai crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita».

Il 12 gennaio 2015 nel discorso al corpo diplomatico presso la Santa Sede, Francesco ha affermato: «La famiglia stessa è poi non di rado fatta oggetto di scarto, a causa di una sempre più diffusa cultura individualista ed egoista che rescinde i legami e tende a favorire il drammatico fenomeno della denatalità, nonché di legislazioni che privilegiano diverse forme di convivenza piuttosto che sostenere adeguatamente la famiglia per il bene di tutta la società».

Nel gennaio 2015 il quotidiano spagnolo Hoy ha rivelato che Francesco ha incontrato privatamente il transessuale spagnolo, accompagnato dalla fidanzata, Diego Neria Lejarraga. Il transessuale gli aveva scritto più volte dicendo di sentirsi emarginato dalla sua parrocchia e il vescovo di Plasencia, Amedeo Rodriguez Magro, lo ha invitato a rivolgersi al Pontefice. Secondo molti tale incontro avrebbe legittimato la transessualità nella Chiesa, o, per lo meno, Francesco avrebbe operato un lassismo morale. Abbiamo fatto notare che queste stesse scandalizzate critiche non si levarono quando, nel settembre 2007, Benedetto XVI ricevette in udienza privata il dittatore sudanese Omar al-Bashir, accusato di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra nel Darfur, avendo appoggiato politicamente e finanziariamente la pulizia etnica operata per anni dalle milizie islamiche. Benedetto XVI, incontrandolo, avrebbe quindi legittimato il genocidio del Darfur? No, Benedetto XVI ritenne opportuno quell’incontro come occasione per riportare la pace in Sudan, mentre Francesco ha voluto riportare la pace nel cuore di quel transessuale, magari inducendolo a prendere decisioni diverse sulla sua vita e mostrandogli che la Chiesa non rifiuta nessuno. L’incontro privato tra Francesco e Diego Neria Lejarraga non legittima nulla, così come Gesù non legittimò pubblicani e peccatori quando si recò a mangiare a casa loro. Anche perché pubblicamente il Papa ha affermato più volte di pensarla come la Chiesa su tematiche gender, addirittura paragonandole alle dittature fasciste e comuniste. Un mese dopo questo incontro, il Papa sembra aver replicato allo scandalismo della notizia attraverso la metafora evangelica del lebbroso: «Gesù non […] pensa alle persone chiuse che si scandalizzano addirittura per una guarigione, che si scandalizzano di fronte a qualsiasi apertura, a qualsiasi passo che non entri nei loro schemi mentali e spirituali, a qualsiasi carezza o tenerezza che non corrisponda alle loro abitudini di pensiero e alla loro purità ritualistica. Anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella dei dottori della legge, ossia emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio. Queste due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare […]. Questo non vuol dire sottovalutare i pericoli o fare entrare i lupi nel gregge, ma accogliere il figlio prodigo pentito; sanare con determinazione e coraggio le ferite del peccato; rimboccarsi le maniche e non rimanere a guardare passivamente la sofferenza del mondo. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie” essenziali dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio; di seguire il Maestro che disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Lc 5,31-32)».

Il 17 dicembre 2014 nella lettera ai partecipanti al colloquio internazionale sulla complementarietà tra uomo e donna, Francesco ha scritto: «Questa complementarietà sta alla base del matrimonio e della famiglia, che è la prima scuola dove impariamo ad apprezzare i nostri doni e quelli degli altri e dove cominciamo ad apprendere l’arte del vivere insieme […]. Quando parliamo di complementarietà tra uomo e donna in questo contesto, non dobbiamo confondere tale termine con l’idea semplicistica che tutti i ruoli e le relazioni di entrambi i sessi sono rinchiusi in un modello unico e statico. La complementarietà assume molte forme, poiché ogni uomo e ogni donna apporta il proprio contributo personale al matrimonio e all’educazione dei figli. La propria ricchezza personale, il proprio carisma personale, e la complementarietà diviene così di una grande ricchezza. E non solo è un bene, ma è anche bellezza. […] Occorre insistere sui pilastri fondamentali che reggono una nazione: i suoi beni immateriali. La famiglia rimane al fondamento della convivenza e la garanzia contro lo sfaldamento sociale. I bambini hanno il diritto di crescere in una famiglia, con un papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva […]. La famiglia è un fatto antropologico, e conseguentemente un fatto sociale, di cultura, ecc. Noi non possiamo qualificarla con concetti di natura ideologica, che hanno forza soltanto in un momento della storia, e poi decadono. Non si può parlare oggi di famiglia conservatrice o famiglia progressista: la famiglia è famiglia! Non lasciatevi qualificare da questo o da altri concetti di natura ideologica. La famiglia ha una forza in sé. Possa questo colloquio essere fonte d’ispirazione per tutti coloro che cercano di sostenere e rafforzare l’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio come un bene unico, naturale, fondamentale e bello per le persone, le famiglie, le comunità e le società».

Il 14 novembre 2014 Papa Francesco ha incontrato una delegazione di responsabili della Manif Pour Tous italiana, l’associazione in difesa della famiglia naturale. Il dialogo riportato è stato questo: «Sua Santità, questa è la bandiera de La Manif Pour Tous!». – «E’ per me? E’ molto bella, Grazie!». – «Per noi è molto importante». – «Lo è per tutti».

Il 25 ottobre 2014 ricevendo il movimento apostolico Schoenstatt, Francesco ha affermato: «Che la famiglia sia colpita, che la famiglia venga colpita e che la famiglia venga imbastardita, come un modo di associazione… Si può chiamare famiglia tutto, no? Quante famiglie sono divise, quanti matrimoni rotti, quanto relativismo nella concezione del Sacramento del Matrimonio. In questo momento, da un punto di vista sociologico e dal punto di vista dei valori umani, come appunto del Sacramento cattolico, del Sacramento cristiano, c’è una crisi della famiglia, crisi perché la bastonano da tutte le parti e la lasciano molto ferita! Quello che stanno proponendo non è un matrimonio, è una associazione. Ma non è matrimonio! E’ necessario dire cose molto chiare e questo dobbiamo dirlo!». E poi le nuove convivenze: «Sono nuove forme, totalmente distruttive e limitative della grandezza dell’amore del matrimonio. Ci sono tante convivenze e separazioni e divorzi: per questo, la chiave di come aiutare è ‘corpo a corpo’, accompagnando e non facendo proselitismo, perché questo non porta ad alcuno risultato: accompagnare, con pazienza».

Il 18 ottobre 2014 nel discorso di conclusione del Sinodo sulla Famiglia, Francesco ha spiegato che durante il Sinodo ci sono stati anche confronti molto accesi, «e ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la “suprema lex”, la “salus animarum” (cf. Can. 1752). E questo sempre – lo abbiamo detto qui, in Aula – senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita».

Il 14 ottobre 2014 Papa Francesco ha risposto, attraverso l’Assessore per gli affari generali della Segreteria di Stato monsignor Peter Brian Wells, alla lettera inviatagli da Arianna Lazzarini, vicecapogruppo regionale della Lega Nord nel Veneto. La consigliera lo informava della sua iniziativa a favore della famiglia tradizionale in fase di approvazione in aula, rivendicando il diritto dei genitori all’educazione dei figli secondo i propri valori e non basandosi sui documenti dell’OMS. Francesco ha risposto: «Sua Santità desidera manifestarLe viva gratitudine per il premuroso gesto e per i sentimenti di venerazione e affetto che lo hanno suggerito e chiede di perseverare nell’impegno a favore della persona umana, per l’adeguata tutela dei valori tradizionali e per il riconoscimento del proprio diritto all’educazione dei figli, secondo i valori cristiani».

L’11 aprile 2014, incontrando la delegazione dell’Ufficio Internazionale Cattolico dell’Infanzia (BICE), il Papa ha detto: «In positivo, occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva». In seguito a questo pronunciamento il sito “Gayoggi” si è così espresso: «Grave, gravissima ingerenza quella di Papa Francesco. Coloro che avessero voluto vedere un’apertura verso i gay, dando una lettura superficiale delle sue parole, dovranno definitivamente ricredersi. Tirando in ballo la “dittatura del pensiero unico”, Bergoglio boccia indirettamente anche il DDL contro l’omofobia in discussione in Parlamento».

Il 2 aprile 2014 nell’udienza generale Francesco ha affermato: «L’immagine di Dio è la coppia matrimoniale: l’uomo e la donna; non soltanto l’uomo, non soltanto la donna, ma tutti e due. Questa è l’immagine di Dio: l’amore, l’alleanza di Dio con noi è rappresentata in quell’alleanza fra l’uomo e la donna. E questo è molto bello! Siamo creati per amare, come riflesso di Dio e del suo amore. E nell’unione coniugale l’uomo e la donna realizzano questa vocazione nel segno della reciprocità e della comunione di vita piena e definitiva. Quando un uomo e una donna celebrano il sacramento del Matrimonio, Dio, per così dire, si “rispecchia” in essi, imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del suo amore».

Il 19 gennaio 2014 il vaticanista di Repubblica, Paolo Rodari ha riportato le dure parole dell’editoriale di “Roma Sette”, il settimanale della diocesi di Roma, guidata dal cardinale vicario della città, Agostino Vallini, contro il registro delle unioni civili approvato nelle commissioni capitoline. Il vaticanista ha poi commentato: «è impensabile che il Vicariato si esponga senza che il Papa, che porta il titolo di vescovo di Roma – Vallini esercita le funzioni di vescovo in sua vece, ma non è il titolare della diocesi – ne condivida la linea. Vallini e Bergoglio, fra l’altro, hanno contatti frequenti. In secondo luogo, non sembra essere Francesco un Pontefice intenzionato a tradire la dottrina o gli insegnamenti fino a oggi proposti dai suoi successori. Piuttosto egli lascia che siano le Chiese locali e i loro pastori a intervenire laddove sia ritenuto necessario, facendo egli in questo senso egli un passo indietro». Il vaticanista ha quindi ricordato che gli incontri o i saluti rivolti al sindaco Ignazio Marino e al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, «non significano che egli condivida ogni loro azione politica».

Il 5 marzo 2014 Papa Francesco ha concesso un’intervista al “Corriere della Sera”: «Il matrimonio è fra un uomo e una donna. Gli Stati laici vogliono giustificare le unioni civili per regolare diverse situazioni di convivenza, spinti dall’esigenza di regolare aspetti economici fra le persone, come ad esempio assicurare l’assistenza sanitaria. Si tratta di patti di convivenza di varia natura, di cui non saprei elencare le diverse forme. Bisogna vedere i diversi casi e valutarli nella loro varietà». Dalla risposta sembra che il Papa indichi la strada di una modifica al codice civile piuttosto che una legge generale sulle unioni civili, così come disse chiaramente nel 2010 quand’era arcivescovo di Buenos Aires: «Le situazioni giuridiche di reciproco interesse tra le persone dello stesso sesso possono essere sufficientemente tutelate attraverso il diritto comune. Di conseguenza, sarebbe una discriminazione ingiusta nei confronti del matrimonio e della famiglia attribuire al fatto privato dell’unione tra persone dello stesso sesso uno status di diritto pubblico».

Il 29 dicembre 2013 il vescovo ausiliare di Malta Francesco Scicluna ha riferito che nell’incontro con Papa Francesco del 12 dicembre hanno parlato del disegno di legge sulle unioni civili che permetterà le adozioni a persone dello stesso sesso e il Pontefice si è dichiarato “scioccato”. «Abbiamo discusso molti aspetti e quando ho sollevato il problema che mi preoccupa come vescovo mi ha incoraggiato ad intervenire».

Il 29 novembre 2013 nel colloquio con i Superiori Generali dei Gesuiti, Francesco ha ricordato un episodio di quando era cardinale: «Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla maestra il motivo del suo stato d’animo: “la fidanzata di mia madre non mi vuol bene”. La percentuale di ragazzi che studiano nelle scuole e che hanno i genitori separati è elevatissima. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Come annunciare Cristo a una generazione che cambia? Bisogna stare attenti a non somministrare ad essi un vaccino contro la fede».

Il 24 novembre 2013 viene pubblicata l’“Evangelii Gaudium” in cui si legge: «La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli. Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno. Ma il contributo indispensabile del matrimonio alla società supera il livello dell’emotività e delle necessità contingenti della coppia. Come insegnano i Vescovi francesi, non nasce “dal sentimento amoroso, effimero per definizione, ma dalla profondità dell’impegno assunto dagli sposi che accettano di entrare in una comunione di vita totale”.

L’11 settembre 2013 nel Messaggio ai partecipanti alla Settimana sociale dei cattolici italiani, Francesco ha scritto: «La Chiesa offre una concezione della famiglia, che è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità. In questa realtà riconosciamo un bene per tutti, la prima società naturale, come recepito anche nella Costituzione della Repubblica Italiana. Infine, vogliamo riaffermare che la famiglia così intesa rimane il primo e principale soggetto costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo, e come tale merita di essere fattivamente sostenuta. Le conseguenze, positive o negative, delle scelte di carattere culturale, anzitutto, e politico riguardanti la famiglia toccano i diversi ambiti della vita di una società e di un Paese: dal problema demografico – che è grave per tutto il continente europeo e in modo particolare per l’Italia – alle altre questioni relative al lavoro e all’economia in generale, alla crescita dei figli, fino a quelle che riguardano la stessa visione antropologica che è alla base della nostra civiltà […]. Possa questa Settimana Sociale contribuire in modo efficace a mettere in evidenza il legame che unisce il bene comune alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, al di là di pregiudizi e ideologie».

Il 19 settembre 2013 viene pubblicata su “La Civiltà Cattolica” l’intervista a Papa Francesco, in essa si legge: «Non ho riconosciuto me stesso quando sul volo di ritorno da Rio de Janeiro ho risposto ai giornalisti che mi facevano le domande». In quell’occasione Francesco disse la famosa frase, ampiamente strumentalizzata dai media: “Chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca Dio?”. In seguito si legge: «Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta».

Il 28 luglio 2013 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, Papa Francesco ha risposto ad una domanda sulla presunta lobby gay in Vaticano: «Si scrive tanto della lobby gay. Io ancora non ho trovato chi mi dia la carta d’identità in Vaticano con “gay”. Dicono che ce ne sono. Credo che quando uno si trova con una persona così, deve distinguere il fatto di essere una persona gay, dal fatto di fare una lobby, perché le lobby, tutte non sono buone. Quello è cattivo. Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa Cattolica spiega in modo tanto bello questo, ma dice: “non si devono emarginare queste persone per questo, devono essere integrate in società”. Il problema non è avere questa tendenza, no, dobbiamo essere fratelli, perché questo è uno, ma se c’è un altro, un altro. Il problema è fare lobby di questa tendenza: lobby di avari, lobby di politici, lobby dei massoni, tante lobby. Questo è il problema più grave per me».

Il 7 agosto 2010, da arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio inviò una lettera alla comunità cattolica argentina invitando a pregare con fervore per prevenire la legge sul matrimonio e sull’adozione omosessuale: «Nelle prossime settimane, il popolo argentino si troverà ad affrontare una situazione il cui esito potrebbe nuocere gravemente alla famiglia. La posta in gioco è l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. La posta in gioco sono le vite di tanti bambini che saranno discriminati in anticipo e privati del loro sviluppo umano con un padre e una madre, voluti da Dio. La posta in gioco è il rifiuto totale della legge di Dio incisa nei nostri cuori». Ha proseguito: «Cerchiamo di non essere ingenui: questo non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo di distruggere il piano divino. Non è solo un disegno di legge ma una “mossa” del Padre della menzogna che cerca di confondere e ingannare i figli di Dio».

Il 21 aprile 2010, da arcivescovo di Buenos Aires e presidente della Conferenza Episcopale Argentina, Bergoglio tentò di fare appello contro la legge sul matrimonio omosessuale ed emanò un comunicato con scritto: «Spetta all’autorità pubblica tutelare il matrimonio tra un uomo e una donna attraverso il riconoscimento normativo, per assicurare e favorire la sua insostituibile funzione e il suo contributo al bene comune della società. Qualora si attribuisse un riconoscimento legale all’unione tra persone dello stesso sesso, o le si garantisse uno status giuridico analogo al matrimonio e alla famiglia, lo Stato agirebbe illegittimamente e si porrebbe in contraddizione con i propri obblighi istituzionali, alterando i principi della legge naturale e dell’ordinamento pubblico della società argentina. Le situazioni giuridiche di reciproco interesse tra le persone dello stesso sesso possono essere sufficientemente tutelate attraverso il diritto comune. Di conseguenza, sarebbe una discriminazione ingiusta nei confronti del matrimonio e della famiglia attribuire al fatto privato dell’unione tra persone dello stesso sesso uno status di diritto pubblico.

 Facciamo appello alla coscienza dei nostri legislatori affinché, nell’affrontare una questione tanto grave, tengano conto di queste verità fondamentali, per il bene della Patria e delle sue future generazioni». Nel 2015 la vicenda è stata ricostruita e riconosciuta anche da Italia Oggi, quotidiano italiano non certo tenero nei confronti di Papa Francesco.

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Papa Bergoglio pauperista o vera povertà cristiana? Cosa dice davvero

Bergoglio vuole una “chiesa povera”: allora è un comunista! Francesco parla spesso di povertà ma i suoi critici la confondono con il pauperismo marxista, eppure se si leggono i suoi interventi originali, senza interpretazioni mediatiche, non è possibile questa confusione. Ecco qui raccolti i suoi pronunciamenti.


Bergoglio pauperista? Non è vero, basta leggere i suoi discorsi integrali che elenchiamo qui in ordine cronologico. Il tema della povertà è centrale nel pontificato di Francesco, chi lo accusa di pauperismo è in equivoco. Se si leggono i suoi pronunciamenti e non i resoconti dei media, si vedrà che il Papa mai condanna la ricchezza in sé ma l’ideologia del profitto, l’arricchirsi come scopo di vita.

Ecco qualche esempio di quanto detto da Francesco, per nulla nemico del denaro se utilizzato con spirito cristiano: «Il denaro è uno strumento buono, allarga le nostre possibilità. Ma può ritorcersi contro l’uomo» (14/02/14); «Il Vangelo non condanna affatto i ricchi, semmai le ricchezze quando diventano oggetti idolatrati» (29/06/14); «il Vangelo non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza» (ottobre 2014), «lo spirito di povertà non è lo spirito di miseria» (22/03/15); «chiedere la grazia della povertà – non della miseria, della povertà: cosa significa? Che se io ho quello che ho e devo gestirlo bene per il bene comune e con generosità» (14/04/15) ecc.

L’equivoco sul Papa pauperista è iniziato il 16 marzo 2013, quando ha esclamato: «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!». La cultura post-comunista, che ha fatto del poverismo (degli altri) la sua ideologia demagogica di base, lo ha subito erroneamente indicato come “uno di loro”, teorizzando la chiusura dello IOR e l’annullamento dell’8×1000.

Il Papa ha fatto anche alcuni gesti simbolici di sobrietà: la croce pettorale di ferro, il rifiuto della mozzetta rossa foderata di ermellino, l’abbandono dell’ammiraglia papale Mercedes SCV1 ecc. Ma non ha mai parlato di impoverire materialmente la Chiesa, anche perché -come già accennato- una Chiesa povera non potrebbe mantenere tutte le opere di beneficenza che gestisce nel mondo, abbandonando i milioni di esseri umani che ogni giorno aiuta. Come abbiamo scritto, il significato del termine “povertà” in senso cristiano è un atteggiamento della persona, il non porre la speranza in quel che si ha, essere libero da quel che si possiede (dal denaro, dai vestiti, dagli affetti), sapendo che non sta in essi ciò che ci salva (1 Cor 7, 29.31). La povertà cristiana non è non avere soldi, ma è l’essere liberi da essi, utilizzarli in modo intelligente per sé e per gli altri. San Francesco d’Assisi si spogliò di ogni bene, ma la povertà materiale dei francescani è la vocazione per chi segue questo specifico carisma cristiano.

 
 

Tutti i discorsi di Papa Francesco sulla povertà cristiana.


Il 31 gennaio 2022 nel suo discorso alla delegazione dell’Agenzia delle Entrate, Papa Francesco ha affermato: «La Bibbia non demonizza il denaro, ma invita a farne l’uso giusto, a non restarne schiavi, a non idolatrarlo. E non è facile usare bene il denaro, non è facile. In questo quadro, i principi di legalità, imparzialità e trasparenza diventano una bussola preziosa».

Il 06 giugno 2021 il card. Gianfranco Ravasi ha ricostruito il pensiero dei Padri della Chiesa e di Sant’Ambrogio sulla proprietà privata e sulla povertà mostrando un’allineamento perfetto con il pensiero di Papa Francesco, smentendo qualunque ammiccamento al comunismo.

Il 05 ottobre 2020 ricevendo il personale dell’Istituto cassa deposito e prestiti, Papa Francesco ha affermato: «La dottrina sociale della Chiesa concorda con una visione nella quale più investitori si attendono una giusta remunerazione dalle risorse raccolte, per poi convogliarle al finanziamento di iniziative che puntano alla promozione sociale e collettiva. Il pensiero cristiano non è contrario per principio alla prospettiva del profitto, piuttosto è contrario al profitto a qualunque costo, al profitto che dimentica l’uomo, lo rende schiavo, lo riduce a cosa tra le cose, a variabile di un processo che non può in alcun modo controllare o al quale non può in alcun modo opporsi».

Il 18 ottobre 2018 nell’omelia mattutina, Papa Francesco ha spiegato: «se nel lavoro apostolico ci vogliono strutture o organizzazioni che sembrano essere un segno di ricchezza, usatele bene. Ma sempre distaccati. Ci vuole, insomma, il cuore povero. Infatti la condizione per incominciare la strada del discepolato è la povertà. Se si hanno ricchezze, è perché il Signore te le ha date per servire gli altri. Ma il tuo cuore deve esserne distaccato».

Il 24 maggio 2018 durante l’omelia a Santa Marta, Papa Francesco ha detto: «Gesù non aveva detto di meno: “Guai a voi ricchi!”, nella prima invettiva dopo le Beatitudini nella versione di Luca. Se uno oggi facesse una predica così sui giornali, il giorno dopo si leggerebbe che quel prete è comunista! Invece la povertà è al centro del Vangelo e la predica sulla povertà è al centro della predica di Gesù. Sempre nella storia abbiamo avuto questa debolezza di cercare di togliere questa predica sulla povertà credendo che è una cosa sociale, politica. No! È Vangelo puro, è Vangelo puro. Le ricchezze sono pure un dono di Dio, ma i ricchi, quelli che sono attaccati ai soldi, il Signore castiga come dice oggi Giacomo nel passo della lettera proposto dalla liturgia. Così tu non sei libero davanti alle ricchezze; tu per essere libero davanti alle ricchezze devi prendere distanza e pregare il Signore. Consapevole che se il Signore ti ha dato ricchezza è per darla agli altri, per fare a nome suo tante cose di bene per gli altri. Ma le ricchezze hanno questa capacità di sedurre noi e in questa seduzione noi cadiamo, siamo schiavi delle ricchezze. Oggi credo che a tutti noi, a cui il Signore ha dato la grazia di celebrare l’Eucaristia insieme, farà bene fare un po’ più di preghiera e un po’ più di penitenza ma non per i poveri, per i ricchi che non sono liberi, per i ricchi schiavi, perché il ricco libero è generoso, sa che le ricchezze le ha date Dio per dare agli altri e questo è un grande».

Il 04 febbraio 2017 durante l’incontro “Economia di comunione”, Francesco ha dichiarato: «Il denaro è importante, soprattutto quando non c’è e da esso dipende il cibo, la scuola, il futuro dei figli. Ma diventa idolo quando diventa il fine. L’avarizia, che non a caso è un vizio capitale, è peccato di idolatria perché l’accumulo di denaro per sé diventa il fine del proprio agire. Quando il capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo scopo, rischia di diventare una struttura idolatrica, una forma di culto».

Il 24 febbraio 2016 durante l’Angelus, Francesco ha affermato: «Riguardo ai beni, ai beni materiali, questa povertà in spirito è sobrietà: non necessariamente rinuncia, ma capacità di gustare l’essenziale, di condivisione; capacità di rinnovare ogni giorno lo stupore per la bontà delle cose, senza appesantirsi nell’opacità della consumazione vorace. Più ho, più voglio; più ho, più voglio: questa è la consumazione vorace. E questo uccide l’anima. E l’uomo o la donna che fanno questo, che hanno questo atteggiamento “più ho, più voglio”, non sono felici e non arriveranno alla felicità. Il povero in spirito è il cristiano che non fa affidamento su se stesso, sulle ricchezze materiali, non si ostina sulle proprie opinioni, ma ascolta con rispetto e si rimette volentieri alle decisioni altrui. Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche! L’umiltà, come la carità, è una virtù essenziale per la convivenza nelle comunità cristiane. I poveri, in questo senso evangelico, appaiono come coloro che tengono desta la meta del Regno dei cieli, facendo intravedere che esso viene anticipato in germe nella comunità fraterna, che privilegia la condivisione al possesso».

Il 24 febbraio 2016 durante l’udienza generale, Francesco ha affermato: «In diversi passi si parla dei potenti, dei re, degli uomini che stanno “in alto”, e anche della loro arroganza e dei loro soprusi. La ricchezza e il potere sono realtà che possono essere buone e utili al bene comune, se messe al servizio dei poveri e di tutti, con giustizia e carità. Ma quando, come troppo spesso avviene, vengono vissute come privilegio, con egoismo e prepotenza, si trasformano in strumenti di corruzione e morte».

Il 15 dicembre 2015 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha affermato: «Se tu hai una banca tua, sei il padrone di una banca ma il tuo cuore è povero, non è attaccato ai soldi, questo è al servizio, sempre. La povertà è questo distacco, per servire ai bisognosi, per servire agli altri. Dov’è la mia fiducia? Nel potere, negli amici, nei soldi? Nel Signore! Questa è l’eredità che ci promette il Signore: ‘Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero, confiderà nel nome del Signore’. Umile perché si sente peccatore; povero perché il suo cuore è attaccato alle ricchezze di Dio e se ne ha è per amministrarle; fiducioso nel Signore perché sa che soltanto il Signore può garantire una cosa che gli faccia bene. E davvero che questi capi sacerdoti ai quali si rivolgeva Gesù non capivano queste cose e Gesù ha dovuto dire loro che una prostituta entrerà prima di loro nel Regno dei Cieli».

Il 06 novembre 2015 in un’intervista al quotidiano olandese Straatnieuws, Francesco ha affermato: «Non sono i tesori della Chiesa, ma sono i tesori dell’umanità. Per esempio, se io domani dico che la Pietà di Michelangelo venga messa all’asta, non si può fare, perché non è proprietà della Chiesa. Sta in una chiesa, ma è dell’umanità. Questo vale per tutti i tesori della Chiesa. Ma abbiamo cominciato a vendere dei regali e altre cose che mi vengono date. E i proventi della vendita vanno a monsignore Krajewski, che è il mio elemosiniere. E poi c’è la lotteria. C’erano delle macchine che sono tutte vendute o date via con una lotteria e il ricavato è usato per i poveri. Ma ci sono cose che si possono vendere e queste si vendono. Si, se facciamo un catalogo dei beni della Chiesa, si pensa: la Chiesa è molto ricca. Ma quando è stato fatto il Concordato con l’Italia 1929 sulla Questione Romana, il governo italiano di quel tempo ha offerto alla Chiesa un grande parco a Roma. Il papa di allora, Pio XI, ha detto: no, vorrei soltanto un mezzo chilometro quadrato per garantire la indipendenza della Chiesa. Questo principio vale ancora. Sì, i beni immobili della Chiesa sono molti, ma li usiamo per mantenere le strutture della Chiesa e per mantenere tante opere che si fanno nei paesi bisognosi: ospedali, scuole. Ieri, per esempio, ho chiesto di inviare in Congo 50.000 euro per costruire tre scuole in paesi poveri, l’educazione è una cosa importante per bambini. Sono andato all’amministrazione competente, ho fatto questa richiesta e i soldi sono stati inviati».

Il 19 ottobre 2015 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha ricordato che Gesù “non è contro le ricchezze in se stesse”, ma mette in guardia dal porre la propria sicurezza nel denaro che può fare della “religione un’agenzia di assicurazioni”. “La prima è la povertà di spirito”, cioè non essere attaccati alle ricchezze che – se si possiedono – sono “per il servizio degli altri, per condividere, per fare andare avanti tanta gente”.

L’16 ottobre 2015 durante l’intervista a “Paris Match”, Francesco ha spiegato: «Il capitalismo e il profitto non sono diabolici se non si trasformano in idoli. Non lo sono se rimangono strumenti. Se invece domina l’ambizione sfrenata di denaro, e il bene comune e la dignità degli uomini passano in secondo o in terzo piano, se il denaro e il profitto a ogni costo diventano un feticcio da adorare, se l’avidità è alla base del nostro sistema sociale ed economico, le nostre società sono destinate alla rovina. Gli esseri umani e l’intero creato non devono essere al servizio del denaro: le conseguenze di quando sta accadendo sono sotto gli occhi di tutti!».

Il 25 maggio 2015 durante l’omelia a Santa Marta, Francesco ha spiegato: «L’attaccamento alle ricchezze è l’inizio di ogni genere di corruzione, dappertutto: corruzione personale, corruzione negli affari, anche la piccola corruzione commerciale, di quelli che tolgono 50 grammi al peso giusto, corruzione politica, corruzione nell’educazione… Perché? Perché quelli che vivono attaccati al proprio potere, alle proprie ricchezze, si credono nel paradiso. Sono chiusi, non hanno orizzonte, non hanno speranza. Alla fine dovranno lasciare tutto. E vivere senza orizzonte è una vita sterile, vivere senza speranza è una vita triste. L’attaccamento alle ricchezze ci dà tristezza e ci fa sterili. Dico ‘attaccamento’, non dico ‘amministrare bene le ricchezze’, perché le ricchezze sono per il bene comune, per tutti. E se il Signore a una persona gliene dà è perché li faccia per il bene di tutti, non per se stesso, non perché le chiuda nel suo cuore, che poi con questo diventa corrotto e triste».

Il 14 aprile 2015 durante la messa in Santa Marta, Francesco ha ricordato: «In questa seconda settimana di Pasqua, durante la quale celebriamo i misteri pasquali, ci farà bene pensare alle nostre comunità, siano esse diocesane, parrocchiali, famigliari o tante altre, e chiedere la grazia dell’armonia che è più dell’unità – l’unità armonica, l’armonia, che è il dono dello Spirito – di chiedere la grazia della povertà – non della miseria, della povertà: cosa significa? Che se io ho quello che ho e devo gestirlo bene per il bene comune e con generosità – e chiedere la grazia della pazienza, della pazienza».

Il 22 marzo 2015 durante la visita pastorale a Napoli, Francesco ha affermato: «Un’altra testimonianza è lo spirito di povertà; anche per i sacerdoti che non fanno voto di povertà, ma devono avere lo spirito di povertà. Lo spirito di povertà non è però spirito di miseria. Un sacerdote, che non ha fatto il voto di povertà, può avere i suoi risparmi, ma in una maniera onesta e anche ragionevole. Ma quando ha quell’avidità e si mette negli affari…  Come ho detto, un sacerdote può avere i suoi risparmi, ma non il cuore lì, e che siano risparmi ragionevoli».

Il 6 marzo 2015 nell’intervista a Valentina Alazraki, vaticanista di Televisa, Francesco ha affermato: «Ho conosciuto persone ricche e qui sto portando avanti la causa di beatificazione di un ricco imprenditore argentino, Enrique Shaw, che era ricco ma era santo. Cioè una persona può avere denaro, Dio glielo dà perché lo amministri bene. E quest’uomo lo amministrava bene, non con paternalismo ma facendo crescere quanti avevano bisogno del suo aiuto. Quello che io attacco sempre è la sicurezza nella ricchezza: non mettere la tua sicurezza lì. Nel Vangelo Gesù su questo è radicale: la parabola di chi aveva dei granai, pensa di costruirne altri e all’indomani muore. È chiarissimo. Non riporre la tua speranza lì. L’ingiustizia delle ricchezze […]. E io mi includo tra i “ricchi” perché non mi manca nulla. E devo stare attento a non approfittare di questo per non peccare. Una ricchezza che non abbiamo».

Il 28 febbraio 2015 incontrando il mondo delle cooperative ha ricordato: «ripreso poi da san Francesco d’Assisi, che “il denaro è lo sterco del diavolo”. Lo ripete ora anche il Papa: “il denaro è lo sterco del diavolo”! Quando il denaro diventa un idolo, comanda le scelte dell’uomo. E allora rovina l’uomo e lo condanna. Lo rende un servo. Il denaro a servizio della vita può essere gestito nel modo giusto dalla cooperativa, se però è una cooperativa autentica, vera, dove non comanda il capitale sugli uomini ma gli uomini sul capitale».

Il 05 febbraio 2015 ha spiegato che la Chiesa non è una ong che deve portare aiuto ai poveri, ma innanzitutto che deve portare il Vangelo agli altri: «E’ vero, noi dobbiamo prendere aiuto e fare organizzazioni che aiutino in questo: quello sì, perché il Signore ci dà i doni per questo. Ma quando dimentichiamo questa missione, dimentichiamo la povertà, dimentichiamo lo zelo apostolico e mettiamo la speranza in questi mezzi, la Chiesa lentamente scivola in una ong e diviene una bella organizzazione: potente, ma non evangelica, perché manca quello spirito, quella povertà, quella forza di guarire».

L’11 dicembre 2014 il card. Christoph Schönborn, ordinato da Francesco membro della Commissione Cardinalizia di Vigilanza sullo I.O.R., ha rivelato alcune parole dette a loro dal Pontefice: «“Il Papa ci ha detto una cosa – penso di non tradire un segreto: “Io non amo i soldi, ma ne ho bisogno, per i poveri e per la missione”. E con questa semplicità ci ha detto tutto: non i soldi per i soldi sono il fine, ma i soldi per i poveri, per la missione. E qui ci vuole un po’ di giustizia nei confronti del Vaticano: pensiamo che la Congregazione per la propaganda della fede, per l’evangelizzazione dei popoli, la ‘Propaganda fidei’, come un tempo si chiamava, sostiene con i soldi che ha da fondi immobiliari, da donazioni ricevute nel corso dei secoli – un patrimonio importante –, ecco, con questo patrimonio, essa sostiene più di mille diocesi nelle terre più povere del mondo, dove mai la chiesa locale potrebbe mantenere le proprie strutture e attività senza l’aiuto del Vaticano, del patrimonio della Santa Sede».

Nell’ottobre 2014 Francesco rilascia un’intervista in occasione della stesura del libro “Papa Francesco. Questa economia uccide” (Piemme 2015), in essa ha affermato: «Il pauperismo è una caricatura del Vangelo e della stessa povertà. Gesù afferma che non si possono servire due padroni, Dio e la ricchezza. È pauperismo? […] Quello del Vangelo è un messaggio rivolto a tutti, il Vangelo non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza, quell’idolatria che rende insensibili al grido del povero».

Il 29 giugno 2014 in occasione dell’intervista concessa a “Il Messaggero”, Papa Francesco ha affermato: «Il Vangelo si rivolge indistintamente ai poveri e ai ricchi. E parla sia di povertà che di ricchezza. Non condanna affatto i ricchi, semmai le ricchezze quando diventano oggetti idolatrati. Il dio denaro, il vitello d’oro».

L’11 maggio 2014 il card. Piero Parolin, segretario di Stato Vaticano, scelto da Papa Francesco, ha spiegato: «a che servirebbe una Chiesa magari più austera, ma che non impegnasse i suoi membri a lavorare giorno per giorno, nella concretezza delle situazioni, per restituire ai poveri, e ancor di più ai miseri e ai dannati della terra, la loro dignità -anche economica- di cittadini del mondo che vivono del loro lavoro?».

Il 5 marzo 2014 Papa Francesco ha concesso un’intervista al “Corriere della Sera” rispondendo alle accuse ricevute di essere pauperista: «Il Vangelo condanna il culto del benessere. Il pauperismo è una delle interpretazioni critiche. Nel Medioevo c’erano molte correnti pauperistiche. San Francesco ha avuto la genialità di collocare il tema della povertà nel cammino evangelico. Gesù dice che non si possono servire due signori, Dio e la Ricchezza. E quando veniamo giudicati nel giudizio finale conta la nostra vicinanza con la povertà. La povertà allontana dall’idolatria, apre le porte alla Provvidenza. Zaccheo devolve metà della sua ricchezza ai poveri. E a chi tiene i granai pieni del proprio egoismo il Signore, alla fine, presenta il conto. Quello che penso della povertà l’ho espresso bene nella Evangelii Gaudium».

Il 14 febbraio 2014 è apparsa la sua prefazione al libro del cardinale Müller, in cui si legge: «Il denaro è uno strumento che in qualche modo – come la proprietà – prolunga e accresce le capacità della libertà umana, consentendole di operare nel mondo, di agire, di portare frutto. Di per sé è uno strumento buono, come quasi tutte le cose di cui l’uomo dispone: è un mezzo che allarga le nostre possibilità. Tuttavia, questo mezzo può ritorcersi contro l’uomo. Il denaro e il potere economico, infatti, possono essere un mezzo che allontana l’uomo dall’uomo, confinandolo in un orizzonte egocentrico ed egoistico […]. Quando i beni di cui si dispone sono utilizzati non solo per i propri bisogni, essi diffondendosi si moltiplicano e portano spesso un frutto inatteso […]. Compito dei cristiani è riscoprire, vivere e annunciare a tutti questa preziosa e originaria unità fra profitto e solidarietà».

Il 24 novembre 2013 ha promulgato l’“Evangelii Gaudium” dove non ha mai invitato ad essere materialmente poveri, ad abbandonare i beni posseduti ma ad usarli in modo cristiano e non accettare «pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società […]. Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano […]. Il denaro deve servire e non governare! Il Papa ama tutti, ricchi e poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i ricchi devono aiutare i poveri, rispettarli e promuoverli. Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano».

Il 19 settembre 2013 viene pubblicata su “La Civiltà Cattolica” l’intervista a Papa Francesco dove egli torna a parlare della scelta di non andare a vivere nell’appartamento pontificio, che non è dettata dalla povertà: «Ho bisogno di comunità. E lo si capisce dal fatto che sono qui a Santa Marta […]. Ho scelto di abitare qui, nella camera 201, perché quando ho preso possesso dell’appartamento pontificio, dentro di me ho sentito distintamente un “no”. L’appartamento pontificio nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico, fatto con buon gusto e grande, non lussuoso. Ma alla fine è come un imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l’ingresso è davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri».

Il 28 luglio 2013 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, Papa Francesco ha affermato: «Io non potrei vivere da solo nel Palazzo, e non è lussuoso. L’appartamento pontificio non è tanto lussuoso! E’ largo, è grande, ma non è lussuoso. Ma io non posso vivere da solo o con un piccolo gruppetto! Ho bisogno di gente, di trovare gente, di parlare con la gente… E per questo quando i ragazzi delle scuole gesuite mi hanno fatto la domanda: “Perché Lei? Per austerità, per povertà?”. No, no: per motivi psichiatrici, semplicemente, perché psicologicamente non posso. Ognuno deve portare avanti la sua vita, con il suo modo di vivere, di essere. I cardinali che lavorano in Curia non vivono da ricchi e da fastosi: vivono in un appartamentino, sono austeri, loro, sono austeri […] Ognuno deve vivere come il Signore gli chiede di vivere. Ma l’austerità – un’austerità generale – credo che sia necessaria per tutti noi che lavoriamo al servizio della Chiesa. Ci sono tante sfumature sulle austerità… ognuno deve cercare il suo cammino».

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