Le carmelitane massacrate dagli illuministi a breve saranno sante

Le martiri di Compiègne. Sedici monache carmelitane ghigliottinate dagli illuministi il 17 giugno 1794 per aver non aver rinunciato alla fede. Morirono cantando il “Laudate Dominum”, una testimonianza impressionante. Il 22 febbraio il Papa ha avviato l’iter di canonizzazione.

 
 
 

Denis Diderot, collaboratore di Voltaire ed esponente di punta dell’illuminismo, scrisse che le mani dell’uomo «intreccerebbero le viscere dei preti per la mancanza di una corda per strangolare i re»1D. Diderot, Les Éleuthéromanes.

Non era soltanto una citazione del filosofo Jean Meslier, precursore dell’Illuminismo, ma una fedele descrizione di ciò che avvenne veramente.

 

Vittime dell’illuminismo: un genocidio?

Ancora pochi libri scolastici raccontano che la “splendente” epoca illuminista culminò nel Terrore della ghigliottina. Dove il fantomatico motto (scippato al cristianesimo) libertè, egalitè e fraternitè si tradusse nella repressione più bieca di qualunque dissidente.

Siobhan Nash-Marshall, docente di Filosofia al Manhattanville College di New York, non ha dubbi nel ritenere che la Rivoluzione francese vada paragonata al genocidio turco degli armeni, perché «non c’è nessuna distinzione logica o formale tra rovesciare un Ancien Régime tramite spargimenti di sangue e distruggere un popolo e una cultura: un genos».

Ad essere massacrati dagli atei (in parte deisti) rivoluzionari illuministi furono innanzitutto i religiosi, cristiani ed ebrei. Proprio in Francia ed in quel secolo, infatti, si verificò «un’evoluzione dell’antisemitismo che si basò sull’idea del complotto contro la società e l’affermazione della incancellabile differenza di sangue della razza ebraica»2A. Prosperi, Il seme dell’intolleranza. Ebrei, eretici, selvaggi: Granada 1492, Fondazione Carispe 2011, p. 94, scrive lo storico italiano Adriano Prosperi.

Per quanto riguarda i cattolici, si contano oltre 100mila vittime tra cui preti, religiose, scienziati e semplici dissidenti.

«In poco tempo», ha scritto Michael Hesemann, «furono ammazzate più persone di quante morirono nella crociata contro i catari, nei “secoli bui” del Medioevo e delle vittime dell’Inquisizione nei suoi cinquecento anni di storia in Europa. In gran parte uomini e donne di Chiesa, vescovi e preti, monaci e suore ammazzati a causa della loro fede»3M. Hesemann, Contro la Chiesa, San Paolo 2009, p. 276-279.

Nel solo 1794, ad esempio, vennero giustiziate almeno 17.000 persone.

 

Le sedici carmelitane canonizzate da Papa Francesco.

Per alcuni di questi martiri Papa Francesco, il 22 febbraio scorso, ha avviato l’iter di canonizzazione per equipollenza (cioè senza il verificarsi di miracoli).

Si tratta delle 16 carmelitane del monastero di Compiègne (undici monache, due converse, due suore esterne e una novizia), ghigliottinate il 17 luglio per essersi rifiutate di rinunciare al loro voto monastico.

Alla notizia della canonizzazione (già beatificate nel 1906), il carmelitano padre John Hogan ha twittato: «Queste suore rimasero fedeli alla Fede anche se lo Stato chiese loro di abbracciare quella che in definitiva era una nuova religione: il culto laicista. Ci sono molti parallelismi con ciò che sta accadendo nei giorni nostri».

 

Le suore di fronte alla ghigliottina francese.

Durante il lungo viaggio in carro che le condusse al patibolo, rallentato dalle molestie della folla e dal fastidio dei cavalli per il sangue dopo settimane di esecuzioni, le suore recitarono i vespri serali e la novizia, Suor Costanza, prese i voti definitivi.

Arrivate sul luogo dell’esecuzione, l’anziana ed inferma suor Charlotte, 78 anni, non riuscì ad alzarsi in piedi per scendere dal carro, avendo anche le mani legate. Così una guardia la sollevò, gettandola a terra sulle pietre. La donna sollevò il viso insanguinato ringraziando calorosamente l’uomo per non averla uccisa, «privandola così della sua partecipazione alla gloriosa comunione con la passione di Cristo»4W. Bush, To Quell the Terror: The True Story of the Carmelite Martyrs of Compiègne, Ics Pubns 1999, p. 77.

Le religiose quindi passarono davanti alla priora Madre Teresa, baciando il volto della Beata Vergine che teneva tra le mani ed intonando il Laudate Dominum salirono i gradini verso la ghigliottina, venendo decapitate una ad una. La madre superiora fu l’ultima a morire. Una scena che impressionò fortemente la folla.

Il sangue dei martiri è sempre il seme di nuovi cristiani, la testimonianza delle carmelitano ispirò l’opera del celebre scrittore Georges Bernanos, Il dialogo dei Carmelitani, un’opera che favorì molte conversioni in Francia.

La ricostruzione storica degli eventi è consultabile in To Quell the Terror: The True Story of the Carmelite Martyrs of Compiègne (Ics Pubns 1999) e ben descritta anche da Wikipedia.

La redazione

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Il fisico Brian Keating: «Segni di un Progettista, negarlo è banale»

Il fisico americano Brian Keating riflette sulla bellezza e l’ordine dell’Universo individuando i segni di una benevolenza e di un progettista. In un suo recente podcast lo scienziato ha risposto alle tesi antireligiose del collega Steven Weinberg, deceduto un anno fa.

 
 
 

Brian Keating è uno dei fisici più importanti degli Stati Uniti.

Attualmente è docente presso l’Università della California, nonché membro delle più importanti società scientifiche americane. E’ specializzato nello studio della radiazione cosmica di fondo e della sua relazione con l’origine e l’evoluzione dell’universo.

Molto interessante è anche la sua opera di divulgazione scientifica, in particolare attraverso il podcast chiamato Into the impossibile, al quale invita di volta in volta premi Nobel, scienziati, scrittori ed altri esponenti della cultura per lunghi dialoghi, non solo scientifici.

Recentemente, ad esempio, hanno partecipato Noam Chomsky, Roger Penrose, Reinhard Genzel, Paul Davies e anche l’italiano Carlo Rovelli. Non di rado le discussioni affrontano tematiche teologiche e religiose, Keating si è infatti spesso occupato dell’interazione tra scienza e fede.

 

Keating: “Troppo banale negare i segni di un progettista”.

Qualche settimana fa l’eminente fisico ha dedicato un podcast al premio Nobel Steven Weinberg, deceduto nell’estate scorsa, celebre fisico che Keating ha definito «il miglior ospite che non ho mai avuto».

Tuttavia, ha affermato Keating, «oltre ad essere uno scienziato brillante, Weinberg aveva anche idee eccessivamente semplicistiche sulla religione e sui credenti. Spesso sosteneva che la scienza, nella sua forma migliore, dovrebbe rendere la religione meno plausibile».

Verso la fine della sua critica alle opinioni di Weinberg (si può ascoltare qui), pur respingendo (giustamente) l’idea di una prova scientifica di Dio, le tesi dell’Intelligent Design e affermando una sorta di agnosticismo, Brian Keating ha voluto mostrare che pur partendo dalle stesse considerazioni dell’ateo Weinberg si può giungere a conclusioni totalmente diverse.

Riflettendo sul quadro meravigliosamente eloquente e dolce espresso dalla bellezza e dall’ordine universale, infatti, ha commentato: «Dire che non ci sono segni di benevolenza e di un progettista [“designer”], anche dal punto di vista di un laico penso sia un’idea molto banale, semplicistica e sofistica che non mi sarei aspettato da Weinberg».

 

Steven Weinberg nostalgico della “gloria di Dio”

Come già detto, l’eminente fisico americano ha replicato a molte delle citazioni antireligiose di Weinberg, famoso in particolare per la frase: «Più conosciamo l’Universo e più appare senza scopo».

Pochi sanno (e nemmeno Keating sembra saperlo), tuttavia, che diversi anni dopo -come abbiamo scritto in una nostra Ultimissima del 2017-, lo stesso Weinberg ritrattò parzialmente quelle parole e si mostrò molto meno positivista, quasi nostalgico verso Dio.

In un suo testo del 1993, Weinberg scrisse infatti:

«Nel mio libro del 1977, “I primi tre minuti”, fui tanto imprudente da osservare che “più l’universo appare comprensibile, più appare senza scopo”. Non volevo dire che la scienza c’insegna che l’universo è senza scopo, ma che l’universo stesso non ci suggerisce nessuno scopo, e subito dopo aggiungevo che noi stessi possiamo inventare uno scopo della vita, magari quello di cercare di capire l’universo. Ma ormai il guaio era fatto, e da allora quella frase mi ha sempre perseguitato. […]. La risposta che mi è piaciuta di più è stata quella dell’astronomo Gerard de Vaucouleurs, mio collega all’Università del Texas, il quale disse di trovare “nostalgica” la mia osservazione. Lo era davvero; era piena di nostalgia per un mondo nel quale i cieli narrano la gloria di Dio»1S. Weinberg, Il sogno dell’unità dell’universo, Mondadori 1993, pp. 263-264.

La redazione

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Marco Cappato perde su tutto: niente omicidio legale, né droga libera

Depositata la sentenza della Corte Costituzionale contro i referendum su cannabis ed eutanasia. Nel primo caso avrebbero reso legali tutte le droghe, nel secondo si sarebbe potuto uccidere chiunque lo avesse chiesto. Entusiasmo di giuristi e costituzionalisti (anche laici).

 

Depositate le motivazioni della bocciatura da parte della Corte Costituzionale dei referendum su cannabis ed eutanasia promossi dall’Associazione Luca Coscioni.

Vengono confermate le obiezioni dei tanti giuristi che indicavano come i questi non erano né sull’eutanasia, né sulle droghe leggere ma avrebbero legalizzato l’omicidio tout court e qualunque droga, anche pesante.

Alberto Gambino, ordinario di diritto privato e prorettore dell’Università Europea di Roma ha chiesto un mea culpa da parte dei media in quanto hanno «assecondato acriticamente la campagna mediatica dei promotori del referendum», evitando di dare spazio alle tesi contrarie che sottolineavano gli aspetti inquietanti.

 

Il referendum avrebbe legalizzato l’omicidio in generale.

Una decisione storica, «prevedibile a rigore di logica, ma non scontata», ha invece dichiarato Mario Esposito, ordinario di Diritto Costituzionale all’Università del Salento.

La Consulta ha dato ragione ai tanti giuristi intervenuti negli ultimi mesi, i quali hanno segnalato la pericolosità dell’abrogazione della norma che punisce l’omicidio del consenziente in quanto verrebbe meno la tutela minima della vita umana, in particolare delle persone vulnerabili.

I giudici hanno quindi smentito categoricamente i leader dell’Associazione Luca Coscioni, ospitati quotidianamente su tutti i grandi media senza contraddittorio, i quali giuravano che la depenalizzazione non avrebbe riguardato omicidi verso persone che non avessero piena coscienza della richiesta (come gli stati depressivi).

«Peccato che il referendum non era sull’eutanasia ma sull’omicidio del consenziente», ha spiegato Giuliano Amato, presidente della Corte costituzionale ed ex presidente del Partito Democratico.

«Se fosse passato il referendum», ha dichiarato il costituzionalista Esposito, «anche una persona perfettamente sana che avesse però deciso di morire, ma non avesse il coraggio di suicidarsi, avrebbe potuto lecitamente chiedere a un terzo di ucciderlo. E ogni persona terza avrebbe avuto la possibilità di sostenere di aver ucciso dietro richiesta». Confermato anche dal relatore della Consulta, il giudice costituzionale Franco Modugno.

La precedente sentenza della Consulta, la n° 242 del 2019, aveva dichiarato parzialmente legittimo l’articolo 580 del Codice penale sull’aiuto al suicidio, soltanto se ancorato a particolari cautele.

Ma in questo recente pronunciamento, i giudici hanno addirittura parlato della «tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana», confermando che la vita umana più che oggetto di diritto è il presupposto stesso del diritto.

Ora tocca al Parlamento, «tenendo ben fermi i capisaldi che la Corte Costituzionale ha delineato con grande chiarezza», ha concluso il giurista.

Concedere la possibilità a terzi di togliere la vita ad un’altra persona genera enormi problemi etici. Chi valuta quale vita è degna o meno di essere vissuta? Perché non estendere la possibilità di suicidio dai casi estremi ai non estremi, per qualunque persona sana che ritenga in base a criteri personali che la sua vita sia invivibile?

Come valutare, infine, lo stato di coscienza, la lucidità e la consapevolezza di chi avanza tale richiesta (si pensi agli anziani, ai malati di Alzheimer ecc.)?

 

L’inganno dei radicali e l’accanimento contro Amato.

Marco Cappato ha reagito twittando contro il presidente Giuliano Amato, parlando di “sentenza politica”. Lo stesso ha dichiarato Emma Bonino.

Ancora in queste ore si registrano insulti sui social da parte di attivisti pro-suicidio contro il presidente della Consulta, come se la decisione fosse stata presa da solo da lui, in solitaria.

Si intravede in questo anche una sorta di messaggio minatorio per il futuro: chi oserà opporsi al “progresso” verrà linciato sui social.

Alle parole di Cappato è arrivata però la smentita di Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, che le ritiene «polemiche ingiustificate».

«Bene ha fatto il presidente Giuliano Amato a rispondere», ha commentato Flick, sottolineando di fatto l’inganno o l’incompetenza giuridica dei tecnici che hanno formulato il referendum, in quanto «il quesito finiva per includere tutte le possibilità, non solo le situazioni di sofferenza. La Corte ha esercitato il suo potere: non deve tener conto della sacralità della vita, che è un concetto religioso. Ma nemmeno deve ignorare il principio della solidarietà e la tutela dei soggetti deboli»».

Anche Eugenia Rocella, già sottosegretario al Ministero della Salute, ha sottolineato: «Il referendum che i radicali si ostinavano a definire “per l’eutanasia” è stato quindi felicemente eutanasizzato. Il quesito era davvero assurdo e pericoloso, perché riguardava una fattispecie che non è stata abolita in nessun paese del mondo, nemmeno in quelli dove sono consentiti il suicidio assistito o l’eutanasia».

 

Il giurista laico: “A fianco dei cattolici in difesa della vita”.

Per questi motivi Siro Centofanti, socialista e docente di Diritto del lavoro all’Università di Perugia, ha parlato di «quesito ingannevole».

Oltre a smentire che l’articolo che vieta l’omicidio del consenziente sia di stampo fascista, il giurista ha spiegato che nel 2019 la Consulta riconobbe la non punibilità del suicidio «in un limitatissimo numero di casi. Dichiarare ammissibile il referendum avrebbe significato smantellare l’impianto di quella pronuncia».

E’ vero che la Conferenza Episcopale Italiana ha subito manifestato soddisfazione per la decisione (citando le parole del Papa). Ma Centofanti, da laico e socialista, ha precisato che «è folle pensare che il rispetto della vita debba essere propugnato solo dai cattolici. La pregiudiziale religiosa non c’entra proprio nulla».

 

Bocciata anche cannabis: rendeva legali tutte le droghe.

L’Alta Corte non si è solo espressa sul referendum sull’eutanasia, ma ha anche bocciato un altro chiodo fisso di Marco Cappato: la legalizzazione della cannabis.

Anche in questo caso è arrivato il plauso di tanti giuristi e delle associazioni che lavorano quotidianamente per aiutare il recupero dei tossicodipendenti (che sanno bene che non si  tratta affatto di “droghe leggere”, come fossero le stesse in circolazione nel ’68!).

La Comunità Papa Giovanni XXIII, ad esempio, ha twittato parlando di «una vittoria per i giovani che cercano la vita! L’Alta Corte svela l’inganno del referendum che avrebbe potuto permettere la coltivazione di qualsiasi droga, non solo cannabis, ma anche oppio e coca».

Ancora una volta Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, ha sottolineato che anche in questo caso i promotori del referendum avrebbero voluto coinvolgere «tutte le droghe e non solo la coltivazione per uso personale. Perciò incideva su una situazione regolata anche da trattati internazionali: cioè su una situazione in cui non può richiedersi un referendum abrogativo».

Lo ha confermato il relatore della Consulta, il giudice Giovanni Amoroso.

Gli attivisti hanno reagito, in questo caso, con lo slogan “la mafia ringrazia”.

Eppure, basterebbe leggere le parole di Paolo Borsellino (o Nicola Gratteri e di tanti altri giudici anti mafia), quando spiegò che «la legalizzazione del consumo di droga non elimina affatto il mercato clandestino, anzi avviene che le categorie più deboli e meno protette saranno le prime ad essere investite dal mercato clandestino».

 

Non bisogna illudersi. Tematiche del genere verranno riproposte quanto prima.

Il progressismo martellerà fino allo sfinimento sul diritto a suicidarsi o ad uccidersi di droga (la morte e lo sballo sono il tema fisso di chi non vede un senso nell’esistenza).

I “nuovi diritti civili”, quelli che la presidente del Movimento per la Vita chiama «la vera minaccia ai veri diritti dell’uomo».

Eppure, chi si oppone alla cultura dello scarto trova sempre alleati determinanti: femministe, socialisti, giuristi non credenti, persone di buona volontà. E’ accaduto anche questa volta.

Il giovane conservatore Francesco Giubilei ha giustamente osservato, infatti, che dopo la bocciatura del ddl Zan, il ritiro del documento dell’Unione Europea sul “linguaggio inclusivo” che vietava l’utilizzo del termine “Natale” e l’inammissibilità dei referendum su eutanasia e cannabis, è ormai chiara la possibilità di «contrastare una deriva valoriale che in apparenza sembra ineluttabile ma a cui si può opporre una diversa visione identitaria», anche con efficacia.

La redazione

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Difendono Dostoevskij, baluardo di una legge morale divina

L’Università Bicocca sospende un corso su Dostoevskij. I social insorgono ma quanti hanno davvero letto i libri di Dostoevskij? Il grande filosofo russo avrebbe qualcosa da ridire sulla liquidità della società odierna, il suo pensiero va davvero recuperato e difeso.

 
 

Era prevedibile che la cancel culture, il vizio progressista di abbattere tutto quello che risulta superato dall’élite dominante, arrivasse a colpire anche la cultura russa.

Il tutto è partito anche in Italia da un’università, quei luoghi di formazione che Jordan Peterson accusa essere sempre più patria del giogo repressivo dell’uniformità di pensiero.

Confondendo la guerra militare per una guerra culturale tra popoli, l’Università Bicocca di Milano ha sospeso un corso su Dostoevskij (salvo poi fare marcia indietro a causa delle critiche).

I social hanno infatti rilanciato la notizia, giustamente scandalizzandosi per la decisione e difendendo il grande filosofo russo e sottolineando la necessità del suo pensiero in questo momento così cupo.

Se da un lato fa piacere e hanno perfettamente ragione, dall’altro è curioso osservare che Dostoevskij avrebbe più di qualcosa da ridere sulla liquidità dell’attuale modernità, orgogliosamente rivendicata da tanti suoi difensori di queste ore.

 

La conversione di Dostoevskij, critica all’occidente illuminista.

Fedor Dostoevskij andrebbe davvero riletto. Massimo rappresentante del realismo russo, frequentatore di ambienti anarchici ed atei, fautore di una rivoluzione per abbattere lo zar e creare una nuova società. Nel 1849 verrà arrestato e condannato a morte, salvo poi essere graziato e deportato in Siberia.

In questo periodo di detenzione l’unica sua lettura fu un vangelo regalatogli da una contadina, un testo che lo sconvolse e lo portò a rinnegare le sue stesse idee, avversando gli illuministi europei ed avvicinandosi alla fede ortodossa (rimase sempre contrariato da quella cattolica). Mantenne comunque uno stile di vita libertino, viaggiò in Europa e scrisse incessantemente articoli e romanzi per far fronte ai creditori. Morirà nel 1881, anche a causa di questa vita disordinata.

Il tema ricorrente dei suoi romanzi è che Dio è l’ultimo baluardo di una illimitata libertà dell’uomo, il Creatore come difensore dello stesso uomo dal credersi un dio.

Il tema cristiano del perdono e della coscienza morale è altrettanto ricorrente, in Delitto e castigo (1866), dove l’orgoglioso Raskol’nikov -aspirante uomo-dio- viene cambiato dall’incontro con Sonja, un’umile ragazza cristiana che si prostituisce per salvare i genitori dalla povertà. E’ l’unica che lo ascolta e lo sprona a chiedere perdono per i suoi omicidi, confessarli al giudice ed accettare la croce ed il rimorso, così «Dio ti manderà nuova vita».

 

Il pensiero di Dostoevskij: “Senza Dio, tutto è permesso”.

Per Dostoevskij, il bene ed il male, il giusto e l’ingiusto esistono solo perché Dio esiste. Altrimenti, tutto sarebbe possibile, relativo.

Gli stessi protagonisti de I demoni sono anarchici atei che vivono nella dimensione del «tutto è permesso» pur di assecondare il loro progetto politico. «In questo romanzo, l’autore di dà un messaggio esistenziale chiaro», scrive il saggista Francesco Agnoli. «Escluso Dio, l’uomo non può che mettersi al suo posto. Chiamato a decidere, a scegliere, non ha altro metro che se stesso, la propria soggettività, il proprio egoismo. L’io che non riconosce un’origine, una dipendenza, un limite, si fa inevitabilmente Dio, mentre si proclama ateo»F. Agnoli, Perché non possiamo essere atei, Piemme 2009, p. 26.

Quanti hanno davvero letto i Fratelli Karamazov? Una guerra esistenziale tra la figura “cristiana” di Alioscia Karamazov ed il nichilista ed occidentalista Ivan, suo fratello. Quest’ultimo giustifica l’uccisione del padre dicendo: «La coscienza! Che cos’è la coscienza? Sono io stesso che me la invento. Perché mai mi tortura? Per un’abitudine. Per un’universale abitudine del genere umano, vecchia di settemila anni. Liberiamocene, e saremo degli dèi!».

Ancora una volta, ritorna il leitmovie: «Se non esiste Dio, tutto è permesso». Una legge morale divina, antecedente all’uomo stesso, è, in sintesi, l’antropologia di Fedor Dostoevskij. Forse la più chiara espressione del suo pensiero, contenuta ne L’Adolescente (1875), è anche una feroce critica alla nostra modernità:

«E poi, pensate soltanto a questo: predicano, dacché mondo è mondo, e che cosa hanno insegnato di buono per rendere il mondo più bello e più gaio e pieno di gioia? Per me, non hanno virtù, e neanche la cercano: tutti vanno alla perdizione, e se ne vantano, invece di rivolgersi all’unica Verità; ma vivere senza Dio non è che una tortura. E si finisce col maledire la stessa luce che c’illumina senza rendersene conto. L’uomo non può vivere senza inchinarsi dinanzi a qualcosa; un uomo simile non sopporterebbe se stesso e nessuno lo sopporterebbe. E chi nega Iddio, finirà coll’inchinarsi dinanzi a un idolo di legno o d’oro, o magari a un idolo astratto. Sono idolatri, non atei: ecco come bisogna definirli»

 

Poco dopo la sua morte la Russia imploderà nell’assolutismo ateo dei gulag di Lenin e Stalin. Entrambi dei, emancipati totalmente da Dio ed abolitori di ogni traccia di cristianesimo.

La redazione

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Voleva una vita avventurosa, l’ha trovata in monastero

La vita in monastero. La giovane suor Maria-Raphaelle racconta la sua giornata nell’abbazia benedettina di St. Walburga in Colorado, dalle lodi mattutine al lavoro nei campi sul trattore. Chi l’ha detto che la dedizione totale a Cristo significhi una vita spenta e noiosa?




Uno dei tanti volti giovani della Chiesa è quello di suor Maria-Raphaelle che dopo aver preso i voti vive all’interno dell’abbazia benedettina di St. Walburga (Colorado).

Anche lei ha lasciato tutto e ha recentemente accolto la chiamata vocazionale di una dedizione totale e radicale a Cristo. Assieme a venti monache (molte giovanissime) vive il motto benedettino ora et labora, lo stesso che ha letteralmente rianimato l’Italia dopo l’invasione dei barbari.

La vita in monastero è nota, sveglia presto, preghiera, l’Eucarestia. Ma ogni abbazia ha anche una fervente vita al suo interno, si lavora, si studia e si gioca assieme. A St. Walbura l’attività principale è agricoltura ed allevamento.

Dopo le lodi mattutine, infatti, le suore salgono sui loro trattori ed iniziano ad arare i campi, mentre c’è chi si dedica all’apicoltura e all’allevamento del bestiame. Una vita contemplativa ma piena di azione!

                                                                   


«Volevo una vita selvaggia e avventurosa, l’ho trovata!»

Suor Maria-Raphaelle è entrata in monastero nel 2013 e l’anno scorso ha preso i voti perpetui, è cresciuta in una famiglia di sei fratelli, di cui uno è a sua volta monaco in Alabama.

Ha sempre amato l’avventura, tanto che prima di essere suora era volontaria nei Vigili del Fuoco e nella Croce Rossa. Oggi il suo ruolo all’interno dell’abbazia è occuparsi della sala da pranzo degli ospiti, dei lavori di falciatura nei campi, nell’orto, della pittura, dei ceri pasquali, dell’aiuto in infermeria e molte altre cose. Di certo non ci si annoia.

In un’intervista al Denver Catholic, la giovane religiosa ha ricordato di aver promesso a se stessa di «vivere per Dio quando avevo 14 anni». Crescendo, ha aggiunto, «ho sviluppato alcuni piani su come mi sarebbe piaciuto vivere questa promessa nel modo più selvaggio e avventuroso possibile».

Così, ha proseguito, «sono entrata in un dipartimento dei Vigili del fuoco locale e sono diventata medico di emergenza. Amavo tutto questo, ma sempre di più sentivo che stavo solo aiutando le ferite superficiali delle persone, le quali hanno in realtà bisogno di un’enorme guarigione spirituale».


La vocazione alla verginità, un’abbondanza di vita.

Lentamente è maturata in lei, lentamente, l’idea della dedizione totale a Cristo. Nel dialogo con il suo parroco ha verificato la possibilità della verginità e del monastero. «All’epoca non sapevo molto della spiritualità benedettina», ha raccontato, «ma sono stata attratta dallo spirito di obbedienza, intercessione e dalla sua risoluta attenzione di ricercare di Dio in ogni cosa».

A 21 anni ha preso quindi la decisione di entrare in monastero, certamente aiutata dall’educazione cattolica ricevuta e dall’atmosfera di devozione semplice vissuta in famiglia. «Se ti doni a Dio con tutto il cuore, non te ne pentirai mai» ha detto, rivolgendosi alle sue coetanee che stanno discernendo la vocazione o temono di fare il grande passo.

La redazione

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Il digiuno serve per la pace? Tre risposte, anche per chi non crede

Il digiuno per la pace proposto dal Papa in concomitanza del Mercoledì delle Ceneri è rivolto anche a chi non crede. Se i cristiani ne conoscono il significato, il senso del digiuno può essere compreso anche da chi la fede non ce l’ha, considerando anche motivazioni laiche.




Oggi è il cosiddetto Mercoledì delle Ceneri, l’inizio della Quaresima per i cristiani.

Le ceneri indicano simbolicamente un atto di penitenza ed un richiamano alla caducità della vita terrena, nonché la necessità di una costante conversione del cuore. In questa giornata la Chiesa propone al suo popolo un piccolo sacrificio dal cibo.

In concomitanza con la guerra in corso in Ucraina, Papa Francesco nell’ultima Udienza Generale ha voluto estendere la stessa proposta a tutto il mondo, dedicandola alla pace.

Ma che c’entra il digiuno con la guerra? Astenersi dal cibo ferma le bombe russe? Ovviamente no.

Tanti blog e siti di informazione stanno spiegando il senso del digiuno con ragioni accettabili prettamente in un ambito di fede. Se però la proposta è rivolta a tutti abbiamo ritenuto utile indicare qualche motivazione accettabili (o, per lo meno, comprensibili) anche per chi la fede non ce l’ha.

Ecco 3 motivi per comprendere la proposta del Papa del digiuno in favore della pace.


Il digiuno serve alla pace nel mondo: 3 ragioni.

1) Il digiuno ci apre agli altri.
La pace nel mondo inizia da me, da quel che mi sta intorno. Questo significa innanzitutto rappacificarci in famiglia, nel vicinato, con un amico, con un fratello, con una persona che ci ha fatto del male. Se questo perdono via via si dilata, arriva a coinvolgere tutto il mondo.

Il digiuno favorisce proprio staccarsi da sé stessi, dal proprio bisogno materiale, farci percepire fisicamente la sofferenza di chi è costretto a digiunare tutto l’anno per la povertà, ci rende sensibili alla vita degli altri e ci mette in azione in tal senso. In senso cristiano si dice che converte i cuori.

Come ha spiegato padre Angelo Bellon, «il digiuno viene fatto per aiutarci a distaccarci da noi stessi e per vivere facendo di noi stessi un dono continuo. Si comprende subito allora che il digiuno cristiano è permeato di gioia perché, pur essendo in se stesso una privazione, è un atto di amore, un dono. Ora c’è più gioia nel dare che nel ricevere (At 20,35)».


2) Il digiuno reprime l’odio.
Nella Somma teologica Tommaso d’Aquino sostiene che il sacrificio ci indebolisce e smorza l’orgoglio, le concupiscenze e le passioni disordinate.

Ancora una volta, quindi, l’effetto è quella della conversione interiore, un piccolo shock psicofisico che ci aiuta a sperimentare un modo diverso del vivere, meno bramoso di possedere e soddisfare il proprio io. Questa forma di umiltà ha l’effetto di renderci inclini al possesso ed alla lussuria. Dominando le nostre passioni cessiamo di essere schiavi degli istinti, compreso l’odio.

Scrive S. Agostino: «Il digiuno purifica l’anima, eleva la mente, sottomette la carne allo spirito, rende il cuore contrito e umiliato, dissipa le nebbie della concupiscenza; smorza gli ardori della libidine e accende la luce della castità» (De orat. et jeiun., serm. 73). Per castità si intende anche la bramosia di possesso (e la guerra è, ultimamente, un impossessarsi di ciò che è di un altro).


3) Il digiuno alimenta/ravviva la fede.

Questo è il senso del digiuno più frequentemente citato dai vangeli, in quanto nel sacrificio e nell’umiltà si dispone l’animo umano ad aprirsi alle verità ultime e comprendere che le necessità materiali possono essere messe talvolta in secondo piano (un piccolo inizio per tanti scettici che vorrebbero cambiare). Per questo la Chiesa ricorda che il digiuno “eleva lo spirito”.

Inoltre, il digiuno rinforza la preghiera e secondo la Liturgia, purifica interiormente, coopera all’espiazione dei peccati propri e del mondo, portandoci alla conversione del cuore. Anche un laico comprende che questo può favorire un’ottica di pace verso l’umanità.


I motivi per cui i cristiani digiunano sono molteplici (tra cui la preparazione morale alla Pasqua), ovviamente, e la maggior parte sono ben indicati nelle vite dei Santi.


In cosa consiste il digiuno?

La Chiesa propone a tutti i maggiorenni fino al 60esimo anno d’età una moderazione del cibo il mercoledì delle Ceneri ed il venerdì santo, evitando così di mangiare più di quanto se ne abbia realmente bisogno (comprese bevande).

Non è un digiuno di 24 ore, bensì un solo pasto al giorno (oltre ad una colazione leggera) e che sia senza carne. Alla sera viene suggerito un piccolo spuntino, un quarto di un pasto normale.

Sempre padre Angelo Bellon, indica che «mangiare solo pane e acqua non è mai precettato dalla Chiesa. Per alcuni può essere eccessivo e contro ogni forma di buon senso e di prudenza. Lo lascia alla discrezione dei singoli, ma raccomandando di farsi illuminare e guidare dalle indicazioni del confessore o della propria guida spirituale».

Se per “digiuno” si intende una privazione esclusivamente alimentare, la Chiesa la propone solo il mercoledì delle ceneri (oggi) ed il venerdì santo.

Tuttavia, nel resto dei giorni è richiesta una forma di vita umile, in generale, con l’obbiettivo che possa essere seguita tutto l’anno. Ovvero, distaccandoci dagli idoli superflui che ognuno si crea e nei quali si accorge di aver riposto speranza (tra cui il cibo, per molti) ed aprendoci, invece, alla carità (che consiste nell’amare Dio e il prossimo con il cuore stesso di Dio) e alla donazione ai poveri.


Cosa c’entra chi non crede?

Nella sua richiesta al mondo, Papa Francesco ha invitato tutti a questa forma di digiuno in nome della pace. «In modo speciale i credenti», ma anche i non credenti.

Poco importa degli sghignazzi sui social per essersi permesso così tanto, il laicissimo editorialista di Repubblica, Francesco Merlo, ha mostrato di aver compreso in qualche modo «il valore del digiuno cattolico», rivendicandone però un’utilità anche per i non credenti.

«C’è un valore civile, una strategia non violenta, un rischio radicale che il mondo laico rivendica e pratica» nel digiuno, scrive Merlo. «Io muoio di inedia e la responsabilità è tua: ti metto in mano la miccia di una bomba che io ho acceso e che solo tu puoi spegnere. E’ la civiltà non violenta che tende i limiti, mette in gioco il corpo dei suoi militanti, la loro stessa vita. E però mai un digiuno, espiativo e purificatorio, come quello del Papa».

Merlo, tuttavia, conclude che tutto questo è valoroso ma non servirebbe per la pace. Probabilmente non comprende almeno i primi due punti che abbiamo indicato, i quali, al contrario, possono realmente giovare alla pace internazionale se seguiti da tutti (non a caso hanno aderito numerose istituzioni laiche, come ad esempio l’Unicef).

La redazione

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Un giovane sociologo sfata gli stereotipi anticattolici

La nostra recensione di “Grazie a Dio” (Lindau 2022), di Giuliano Guzzo, sociologo e curatore di un blog molto frequentato. Un prezioso e ben documentato manuale per difendere la verità da leggende e miti, contribuendo a trasformare la fede da “liquida” a “forte”. Da leggere e consultare costantemente.

 
 
 

Prima di iniziare a leggere un saggio siamo abituati a recarci alla fine per verificarne la bibliografia. E’ il primo criterio di credibilità.

Ebbene, Grazie a Dio (Lindau 2022) vanta ben 83 pagine di citazioni (di alto livello). Test superato.

L’autore è Giuliano Guzzo, 38 anni, sociologo formatosi tra i banchi della laicissima facoltà dell’Università di Trento e per molto tempo collaboratore anche del nostro sito web.

E’ il suo primo lavoro “importante” in ambito sociologico e lo stile ricalca indubbiamente quello del grande maestro (non cattolico) Rodney Stark, eminente sociologo delle religioni della Baylor University (non a caso pubblicato dalla stessa casa editrice che ha tradotto i best-seller di Stark in italiano).

 

Giuliano Guzzo sul pregiudizio laicista delle scienze sociali.

L’esigenza di un libro del genere è dichiarata dallo stesso Guzzo quando osserva che esiste «una notevole, quasi unilaterale politicizzazione delle scienze sociali» e «fra gli stessi sociologi della religione, il pregiudizio antireligioso abbonda».

E’ pur vero che «da tempo, più sociologi hanno iniziato ad assumere un atteggiamento meno ostile verso la fede», seppur i loro lavori «sono poco conosciuti fuori della cerchia accademica».

L’obbiettivo è chiaro, cioè portare anche in Italia «un’indagine che andasse, pur sospinta da solide evidenze, a contraddire molti stereotipi sulla religione sposati da mostri sacri della sociologia, un testo che spesso e volentieri mette sotto esame il cristianesimo e gli effetti che comporta la fede in esso».

Nel dipanarsi dei capitoli vengono così sfatate menzogne e leggende nere che gravano proprio sulla Chiesa cattolica, oltre che sulla religione in generale.

 

La secolarizzazione, una tesi da abbandonare?

Si inizia con il tema della secolarizzazione, evidente in Europa (oltre a Canada e Australia) anche se decisamente modesta rispetto agli annunci della morte del cristianesimo promossi dai grandi media negli anni ’60 (anzi, il credo religioso continua ancora ad essere protagonista in molti casi).

Diventa però una tesi falsa se si allarga lo sguardo al mondo in generale che appare all’«opposto di com’era stato immaginato decenni fa: più religioso che mai», ed anche «i cattolici danno prova di una buona tenuta». Dati, statistiche e numeri aggiornati non mancano nel libro.

D’altra parte, scrive il sociologo citando l’Università di Yale, «il dibattito sulla secolarizzazione è stato condizionato da quanti “desiderano che la religione scompaia definitivamente”». Senza contare che gran parte dei “non religiosi” (nones) di cui si occupano gli studi non sono affatto atei, ma vanno considerati «a metà tra il sacro e il secolare. Per lo più, sono giovani che ne hanno sentite troppe sulle grandi religioni per dichiararsene legati. Di certo non si tratta di non credenti; anche perché, esaminando modelli generazionali si è visto che molti sono poi tornati a frequentare la chiesa».

Una sottocategoria del tema della secolarizzazione è il presunto legame tra essa e l’avanzare del progresso. Anche in questo caso Guzzo dimostra egregiamente che, al contrario, «non sussiste alcun legame tra il progresso di una nazione o di una comunità, economico o scientifico che sia, e il suo laicizzarsi. Oltre al fatto che i dati testimoniano importanti conversioni alla fede da parte di scettici ed atei, risulta falso che il cristianesimo sarà superato dall’islam. Anche nel 2015, infatti, resterà la religione più diffusa al mondo.

 

Cristianesimo, civiltà e scienza.

Mentre nel terzo capitolo il sociologo esplora tutte le ragioni per cui «il cristianesimo è stato così determinante nella nascita e nello sviluppo della civiltà occidentale, la più evoluta sotto il profilo tecnologico e non solo», il quarto è dedicato a spiegare perché «il conflitto tra la scienza e la religione, in particolare cristiana, sia senz’altro buono per certa pubblicistica ma non rispondente alla realtà storica».

Trovano quindi spazio tutte le conquiste scientifiche nate in ambito cristiano, i cui principali protagonisti confessarono tutti grande devozione, così come viene trattato storicamente il conflitto tra la Chiesa e Galileo e l’accoglienza della teoria di Darwin, fino al riavvicinamento di scienza e fede nell’età moderna e contemporanea dopo un lungo periodo di scientismo ideologico. Non manca l’abbattimento del mito weberiano secondo il quale l’economia moderna sarebbe nata in seguito alla Riforma.

Molto interessante il capitolo dedicato alle guerre di religione, nel quale sempre appoggiandosi a celebri studiosi, si conclude che «meno del 7% delle guerre» nella storia dell’umanità «sono classificabili come “di religione”; percentuale che, se si escludono i conflitti intrapresi dal mondo islamico, scende ad appena il 3%».

 

La frequenza religiosa e la salute della famiglia.

Dopo essersi occupato dei principali motivi per cui molti giovani abbandonano e rimangono distanti dalla Chiesa, consultando le principali ricerche sociologiche (in Italia ottime le indagini di Franco Garelli, per il quale «la “narrazione” della secolarizzazione risulterebbe più cupa del fenomeno stesso») si evince tuttavia che solo il 3,5% dei ragazzi sarebbe pienamente “non credente”.

Giuliano Guzzo passa quindi ad analizzare la salute della famiglia e del matrimonio, valutandone gli aspetti maggiormente benefici per tutta la società. Lo stesso benessere psico-fisico ed alti tassi di felicità emergono anche in coloro che frequentano maggiormente i servizi liturgici.

In conclusione, Grazie a Dio è un prezioso manuale, ricco di informazioni e corrette interpretazioni su moltissime tematiche trattate costantemente anche dal nostro sito web. Può senz’altro contribuire a trasformare la “fede liquida” in una “fede forte”, esortando ad «abbandonare ogni sudditanza culturale» verso «l’agenda politica secolare progressista».

Così, conclude Guzzo, si può incoraggiare «in primo luogo il clero, e i credenti, rispetto al fatto che non hanno nulla da temere in un Occidente di cui sono la componente altruista, empatica, progredita, fiduciosa e vitale».

La redazione

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Gli astronomi vaticani fanno due scoperte nel sistema solare

Due gesuiti della Specola Vaticana autori di importanti scoperte nello spazio. Mentre padre Boyle ha scoperto un nuovo oggetto oltre Nettuno, padre D’Souza firma uno studio sulle fusioni della nostra galassia. Gli ultimi sacerdoti di una lunga catena di scienziati in tonaca che hanno fatto progredire la scienza.

Due astronomi gesuiti dell’Osservatorio Astronomico Vaticano sono autori di due importanti scoperte astronomiche.

Ne hanno parlato recentemente i principali quotidiani britannici, mentre in Italia non c’è traccia della notizia.

Si tratta del gesuita padre Richard Boyle, il quale ha scoperto l’esistenza di un oggetto chiamato “2021 XD7”, nel sistema solare esterno dopo Nettuno, mentre padre Richard D’Souza, è coautore di uno studio che identifica una galassia nana precedentemente sconosciuta, chiamata Pontus.

La Specola Vaticana, l’osservatorio astronomico e centro di ricerca scientifica della Chiesa cattolica, diretto da padre Guy Joseph Consolmagno, ha pubblicato l’annuncio il 2 febbraio scorso.

Scoperto “oggetto transettuniano” e fusioni di galassie.

La scoperta di padre Boyle è avvenuta utilizzando il Vatican Advanced Technology Telescope posizionato sul monte Graham in Arizona.

L’oggetto si chiama “2021 XD7” ed è definito un “transnettuniano”, nome con cui si identifica qualsiasi pianeta minore (o nano) del sistema solare la cui orbita è al di fuori di quella di Nettuno, il pianeta più esterno del sistema.

L’oggetto è sicuramente più piccolo di Plutone, che la International Astronomical Union ha declassato da pianeta a “pianeta nano” nel 2006. La scoperta è importante per dare corposità al modello di come potrebbe essersi formato il sistema solare, diversi scienziati ritengono infatti che questi oggetti possano indicare la posizione del “nono pianeta”, ipoteticamente delle dimensioni di Nettuno.

Per quanto riguarda la scoperta dell’altro gesuita, padre D’Souza, è uno dei 10 astronomi ad aver firmato uno studio condotto da Khyati Malhan del Max Planck Institute for Astronomy.

Il team ha utilizzato i nuovi dati della navicella spaziale Gaia per studiare i resti di galassie più piccole fusesi con la Via Lattea 12 miliardi di anni fa. Mappare queste fusioni è come creare “l’albero genealogico” della nostra galassia e ricostruire come si è formata.

Padre D’Souza e colleghi hanno confermato cinque fusioni già precedentemente note con ex galassie nane, trovando prove di una sesta. La ricerca è stata pubblicata sul The Astrophysical Journal. Questi rilevamenti, si legge nello studio, «ci pongono in una posizione molto eccitante per districare gli eventi di fusione dell’alone della Via Lattea ed esplorare la storia cronologica della galassia».

Sono tanti gli scienziati-sacerdoti nella storia.

Non deve stupire, don Giuseppe Tanzella-Nitti, teologo ed astronomo della Pontificia Università della Santa Croce, ha ricordato infatti che «tutti gli osservatori astronomici italiani sono stati fondati fra ‘700 e ‘800 da sacerdoti o religiosi, o sono sorti sullo sviluppo di specole attive in seminari cattolici già nel ‘600»1intervistato da F. Agnoli, Scienziati in tonaca, La Fontana di Siloe 2013, p. 125.

I due gesuiti, infatti, sono solo gli ultimi di una lunga e ininterrotta catena di “scienziati in tonaca” che ha contribuito in maniera determinante al progresso scientifico.

Forse i più famosi sono il monaco agostiniano Gregor Mendel che, nel silenzio del suo monastero di Brno (Repubblica Ceca), pose le basi della moderna genetica e l’astronomo padre Georges Lemaître, il primo a teorizzare l’espansione dell’universo e fondatore della tesi del Big Bang (inizialmente rifiutata dalla comunità scientifica in quanto troppo simile alla «creazione divina», come scrissero i suoi avversari, Fred Hoyle ed Hermann Bondi.

Ma come non dimenticare il presbitero polacco Nicolò Copernico, “anticipato” in qualche modo dal vescovo medievale Nicola d’Oresme, che per primo teorizzò l’ipotesi del movimento rotatorio della Terra intorno al suo asse2E. Grant, Le origini medievali della scienza moderna, Einaudi 2017, p. 173.

Ed ancora, il vescovo Niccolò Stenone, fondatore della geologia; il terziario francescano Luigi Galvani, ricordato per la scoperta dell’elettricità biologica e fondatore delle neuroscienze; il gesuita Leonardo Garzoni, scopritore dei fenomeni magnetici; padre Benedetto Castelli, amico e sostenitore di Galileo e fondatore dell’idraulica; Lazzaro Spallanzani, “principe dei biologi” e primo naturalista d’Europa; Bonaventura Corti, parroco rettore della chiesa dei SS. Nazario e Celso e padre della citologia assieme a don Jean-Baptiste Carnoy.

Si potrebbe scrivere un libro intero elencando tutti i sacerdoti cattolici che diedero un contributo fondamentale alla scienza, ma c’è chi lo ha già fatto. Ci riferiamo al consigliatissimo Scienziati in tonaca (La Fontana di Siloe 2013), una miniera preziosa per apprendere tutte le scoperte degli scienziati in abito talare.

Molti di loro sono citato nel nostro corposo elenco dei principali scienziati credenti della storia, mentre un secondo dossier è dedicato alle loro citazioni nell’ambito tra scienza e fede.

La redazione

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Tiziano Ferro papà? Due bimbi a cui si nega l’amore materno

Il cantante italiano Tiziano Ferro è “diventato” papà. I social esplodono davanti alla foto, ma c’è un assente ingombrante. Dov’è la mamma? Perché questi bambini non potranno godere dell’amore che solo una donna, una mamma può dare loro? Lo dicono gli psicologi, lo dice l’esperienza di ognuno.

 
 
 

Tiziano Ferro è diventato papà tramite due telefonate.

Lo racconta lui stesso in un post su Instagram dopo aver scelto la foto più social possibile per far commuovere migliaia di fans e lanciare la notizia in tendenza.

La posa dei due uomini è ben studiata per risultare la più armonica possibile, nostalgicamente in bianco e nero.

Comprendiamo la felicità di Tiziano e Victor, ma in quella foto manca la cosa più importante per quei bambini, una mamma.

 

I figli di Tiziano Ferro: ma dov’è la mamma?

Nessun trucco fotografico potrebbe mascherare questa enorme assenza. Quanto potranno essere felici Margherita e di Andres quando si renderanno conto di non avere nessuna immagine di una mamma nei loro ricordi? Di non aver mai potuto addormentarsi accanto al suo seno, di non avere alcuna esperienza dell’affetto e dell’amore che solo una madre può dare, diversi da quelli di un padre?

«Ignorando un secolo di ricerche, i sostenitori dell’adozione si basano su un discorso basato sull'”amore”», ha scritto Claude Halmos, una dei massimi esperti riconosciuti in età infantile, «un bambino è in fase di costruzione e, come per qualsiasi architettura, ci sono delle regole da seguire se si tratta di “stare in piedi”. Quindi, la differenza tra i sessi è un elemento essenziale della sua costruzione».

Si, perché il ruolo materno e femminile è insostituibile. Dovrebbero ricordarlo le femministe, ma forse anche loro sono troppo prese a commuoversi davanti alla foto social.

 

Il diritto insindacabile dei bambini.

Tiziano Ferro scrive che è «un diritto insindacabile» per i due bambini «condividere il racconto della loro vita», quando vorranno. Ma dov’è il loro diritto insindacabile ad avere una mamma? Dov’è il loro diritto a non essere nati orfani di madre per una scelta che appare semplicemente egoistica?

Alberto Villani, vicepresidente della Società Italiana di Pediatria, ha spiegato che «da anni ormai, grazie all’epigenetica si è ben compreso che un individuo è quello che è sua madre prima ancora di concepire l’individuo. Quindi è chiaro che nella formazione, nella crescita di un bambino, il ruolo materno e il ruolo paterno sono fondamentali. Noi dobbiamo prevedere per il bambino quella che è la sua situazione ottimale».

Sarebbe poi interessante sapere come sono nati. Acquistati da una donna povera tramite maternità surrogata? Strappati da qualche infermiere dal grembo materno appena messi al mondo? Oppure nati in provetta con una fecondazione artificiale?

E’ “diritto insindacabile” che Margherita e Andres sappiano esattamente perché gli è stato rifiutato il dono di avere una mamma ed un papà.

Guido Crocetti, docente benemerito di Psicologia Clinica e Dinamica e di Psicoterapia Psicoanalitica presso l’Università “La Sapienza” di Roma, è piuttosto chiaro quando afferma:

«Da trent’anni lavoro sui disagi psichici dei bambini e do voce ai loro bisogni. Quei bambini chiedono, vogliono, esigono un papà e una mamma, ognuno dei due con un suo ruolo e le sue proprie funzioni. I bambini vogliono la coppia, la esigono imprescindibilmente, e la vogliono insieme, unita. Imperativo categorico è che sia formata da un padre e una madre: è questa la garanzia di cui hanno bisogno per esistere. Poi i bambini sopravvivono sempre, anche alle guerre, alle carestie, agli abusi e alle violenze, ma questo – appunto – è sopravvivere, non vivere nel pieno dei loro diritti. Posso citare almeno un secolo di studi internazionali che lo dimostrano. O recuperiamo regole e limiti strettamente correlati ai valori, o la psicopatologia infantile avrà sempre più piccoli pazienti da curare».

 

Non servirebbe nemmeno citare gli studi ed elencare psicologi e psichiatri per ribadire ciò che è ovvio a tutti.

«Grazie per la comprensione», scrive Tiziano Ferro a fine post. Chissà cosa risponderanno Margherita e Andres appena si accorgeranno di non aver mai potuto dire: “Mamma, ti voglio bene”.

La redazione

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Pio XII chiese di nascondere gli ebrei nei conventi, nuove prove

Lo storico Antonello Carvigiani ha scoperto un nuovo documento che prova la richiesta di Pio XII di salvare e nascondere gli ebrei nei conventi. E’ il memoriale delle suore di Santa Maria dei Sette Dolori di Roma, che tra l’altro nascosero loro stesse 103 ebrei nel monastero.




Lentamente, anno dopo anno, la leggenda sui silenzi “colpevoli” di Pio XII verso gli ebrei viene smantellata.

Negli ambienti accademici la questione è piuttosto chiara, la drammatica scelta di Papa Pacelli di non intervenire pubblicamente a favore degli ebrei vittime del nazismo fu dovuta al preservare gli stessi ebrei da rivendicazioni naziste, ma anche per tutelare le comunità cattoliche in Germania.

Che il rischio fosse più che concreto lo si capì il giorno dopo la lettura pubblica nelle chiese tedesche dell’enciclica Mit brennender Sorge, un attacco al cuore del nazionalsocialismo scritta dal card. Pacelli in tedesco nel 1937. I nazisti, furiosi, reagirono chiudendo molti istituti religiosi, arrestarono diversi preti (in molti finirono nei lager) de altri furono impediti nell’esercizio delle loro funzioni.

Pio XII, pur evitando tutto questo, si attivò tramite altri canali e fece nascondere centinaia di ebrei nei monasteri e nei conventi. Un altro documento, emerso proprio in questi giorni, lo dimostra.

 

Lo storico Carvigiani scopre un nuovo documento.

Si tratta del memoriale redatto dalle suore del monastero di Santa Maria dei Sette Dolori, a Trastevere, in via Garibaldi 27 a Roma.

Sarà pubblicato a breve dallo storico Antonello Carvigiani sul prossimo numero della rivista Nuova Storia Contemporanea.

Ecco cosa si legge nel diario delle religiose, scritto in contemporanea agli eventi:

«Le truppe tedesche perseguitano ovunque uomini, e li deportano nei campi di concentramento. In particolare perseguitano gli ebrei e li fanno morire nelle camere a gas. In tale frangente, ebrei – fascisti – soldati – carabinieri e borghesi cercavano rifugio negli istituti religiosi, che con grave pericolo aprono le porte per salvare vite umane. È questo il desiderio espresso, ma senza obbligo, dal Santo Padre Pio XII, che per primo riempie di rifugiati il Vaticano – la Villa di Castelgandolfo e San Giovanni in Laterano».

 

Anche le stesse autrici del memoriale nascosero molti ebrei, correndo un grosso rischio in quanto il monastero si trovava di fronte ad una caserma dei carabinieri requisita dai nazisti.

Nel diario esprimono preoccupazione per i rifugiati e faticano a tenere sotto controllo i bambini ebrei che si avvicinano pericolosamente alle finestre: «…i soldati che hanno occupato la caserma qui davanti al nostro cancello stanno sempre guardando con i binocoli, e siccome hanno già sentore di qualche cosa, possono irrompere da un momento all’altro dentro il monastero e portarli via».

Secondo Carvigiani, il memoriale di queste suore e di altri diari redatti da altri monasteri (come quello di Santa Susanna e di Santi Quattro Coronati) conferma una disposizione giunta dal Vaticano, scritta o orale. La stessa dichiarazione delle suore di aver accolto il desiderio di Pio XII ne offre prova.

 

Renzo De Felice calcolò 103 ebrei salvati dalle suore.

L’opera delle suore dei Sette Dolori era in parte già nota, ne parlò Renzo De Felice nella Storia degli ebrei sotto il fascismo (Einaudi 1961), scrivendo che il monastero nascose e salvò 103 ebrei.

Nel memoriale, invece, si riferisce di 150 persone: «Sono intere famiglie con molti bambini… per dar posto a tanta gente, abbiamo ceduto parecchie stanze nostre, e ci siamo ristrette in poche stanze. Il locale sopra la chiesa, detto il Noviziato, è pieno di gente e le famiglie hanno formato con i cartoni dei piccoli recinti…».

Probabilmente, De Felice si riferì solo agli ebrei, mentre le suore accolsero anche antifascisti, giovani e oppositori del regime.


La gratitudine degli ebrei verso Pio XII nel dopoguerra.

Nel dopoguerra, anche il ringraziamento pubblico a Papa Pacelli da parte di diversi ebrei è significativo.

Di fronte a ciò, nel 2016 l’emittente inglese BBC dovette scusarsi per aver trasmesso un falso servizio televisivo contro Pio XII.

Tra i tanti ebrei ricevuti in Vaticano da Pio XII alla fine della guerra vi fu anche Liliana Segre, superstite dell’Olocausto ed oggi senatrice a vita. Il Vaticano cercò attivamente di liberare lei e la sua famiglia dal campo di Auschwitz-Birkenau.

Lo storico Andrea Riccardi ha ricordato che l’allora giovanissima Liliana Segre, inginocchiatasi come da protocollo, venne fatta alzare da Pacelli, dicendole: «Alzati! Sono io che dovrei stare inginocchiato davanti a te».

La redazione

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