Gli abitanti di Kiev accolti nella cattedrale e nelle chiese

Gli abitanti di Kiev trovano riparo nelle parrocchie e nel rifugio costruito sotto la cattedrale della Risurrezione. L’altro volto della guerra è quello della carità.

 

Fin da giovedì scorso, primo giorno dell’attacco della Russia nei confronti dell’Ucraina, abbiamo raccontato l’altro volto della guerra: la carità.

Già nelle prime ore la Caritas europea è scesa in campo coordinando una vasta rete di soccorso al popolo ucraino.

Al di fuori dei confini, nel frattempo, parrocchie e fedeli in Romania, Polonia e Moldavia hanno attrezzato strutture per accogliere i profughi provenienti dal territorio ucraino.

Nella capitale, Kiev, sono però ancora rimaste moltissime persone, soprattutto chi non ha potuto scappare. Molte di loro sono state accolte nel rifugio anti-aereo sotto la cattedrale della Resurrezione di Kiev.

 

Le immagini sono state diffuse dal Segretariato dell’Arcivescovo Maggiore situato a Roma.

 

 

Nei sotterranei anche l’arcivescovo ucraino.


Nei sotterranei della cattedrale c’è anche mons. Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo della Chiesa greco-cattolica ucraina, il comunicato riferisce che «non è al momento raggiungibile e non può rilasciare dichiarazioni».

«A fianco della sua popolazione», prosegue la nota, «chiede di unirsi a lui e al suo popolo nelle preghiere perché l’Ucraina sia preservata dell’aggressione ingiusta. La priorità, per la Chiesa greco-cattolica ucraina, è, e sempre sarà, la vicinanza alla popolazione ferita».

Papa Francesco, si legge ancora, è in contatto costante con mons. Shevchuk, lodando «la scelta di rimanere tra la gente e a servizio dei più bisognosi, mettendo anche a disposizione i sotterranei della cattedrale greco-cattolica della Resurrezione di Kiev per dare rifugio alle persone».

Il rappresentate dell’arcivescovado maggiore di Kiev a Roma è don Andriy Soletskyy, il quale racconta che tutte le parrocchie e le strutture pastorali in Ucraina sono diventate rifugi dai bombardamenti. «Era accaduta una cosa simile nel 2014 durante la “rivoluzione della dignità” quando ad esempio la Cattedrale era diventata un ospedale di campo».

La redazione

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Un matematico di fronte alla vita e all’interruzione di gravidanza

Il prof. Malaspina, da qualche anno nuovamente papà, riflette in termini di curve matematiche e continuità lo sviluppo della vita nel grembo materno, disinnescando la logica a supporto dell’aborto.




di Francesco Malaspina*
*docente di Geometria algebrica presso il Politecnico di Torino

 

In questo lungo periodo di pandemia abbiamo in molti, giustamente, considerato opportuno fare e chiedere di fare enormi sacrifici e limitazioni alla libertà per difendere i più fragili.

Eppure consideriamo assolutamente inaccettabile chiedere ad una donna di portare avanti una gravidanza che non vuole.

La scienza moderna ora ci fa vedere in modo lampante come un feto di poche settimane sia una creatura meravigliosa e straordinariamente complessa non certo classificabile come un grumo di cellule.

Anche i più convinti sostenitori delle attuali leggi non possono negare che un’interruzione di gravidanza è sempre e comunque una tragedia immane.


Lo sviluppo della vita uterina in termini matematici.

Lasciatemi usare qualche termine matematico.

LSe volessimo rappresentare con una curva il progredire di una vita nel grembo materno, non potremmo che constatare che essa non ha nessun tipo di discontinuità. Tutto procede con una meravigliosa continuità e gradualità.

Ci sono momenti in cui la pendenza (la derivata prima) cresce ma il termine delle 12 settimane (previsto dalla nostra legge) è assolutamente artificiale.

Nessuno si sogna di affermare che esista un interruttore collocato al termine della 12° settimana che, scattando, faccia diventare essere umano ciò che prima non lo era; tanto è vero che tale termine può variare da nazione in nazione (Francia 21 settimane, Austria 16, Danimarca e Olanda 24, Croazia e Slovenia 10).

Se c’è il sospetto di qualche forma di disabilità, il termine può spostarsi e l’aborto è spesso fortemente consigliato. Questo fa pensare che possa esistere un coefficiente di “abilità” sotto il quale una vita non valga la pena di essere vissuta o costituisca un costo eccessivo quando in realtà chi si occupa di persone con disabilità (anche gravi) testimonia la straordinaria umanità che incontra.


Più donne pentite dell’aborto che quelle di essere madri.

In ogni caso, siamo ormai assuefatti, questa pratica ci sembra ovvia e spesso il male minore. Ci siamo convinti che, seppur dolorosamente, si debba poter scegliere tra il bene della donna in dolce attesa ed il bene del feto.

Non si può non riscontrare una certa sproporzione, poiché il feto perde la vita mentre non è così evidente che per la donna sia preferibile abortire che dare alla luce un figlio.

E’ certamente più comune trovare testimonianze di donne segnate negativamente dall’esperienza di un aborto piuttosto che mamme pentite di esser diventate tali rinunciando ad esso.

Va detto che c’è il problema degli aborti clandestini. E’ un problema serio che non può in nessun modo essere minimizzato o sottovalutato. Non è evidente che, per contrastare questa terribile pratica, l’unica soluzione sia la legalizzazione ma non ci sono gli estremi per cambiare le leggi attuali.

Vorremmo però, credo in larga maggioranza, che una donna in difficoltà si sentisse talmente supportata e aiutata da tutti i punti di vista da non arrivare alla scelta estrema dell’aborto. Ci piacerebbero delle politiche incisive di sostegno per tendere asintoticamente a quota zero.

Ogni anno nel mondo ci sono oltre 40 milioni di aborti. In un secolo si arriva a oltre 4 miliardi. Ora, almeno in Italia, si ha la sensazione che il maggiore problema in materia sia l’elevato numero di medici che si avvalgono dell’obiezione di coscienza ma i nostri discendenti, in futuro, troveranno questi numeri decisamente eccessivi, indicheranno il nostro secolo come il secolo dei 4 miliardi di aborti e penseranno che non abbiamo fatto abbastanza.

 

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«Gli atleti trans sempre avvantaggiati», parla il medico sportivo

I trans negli sport femminili. Il caso Lia Thomas, nuotatore che sta battendo ogni record da quando ha iniziato a sfidare le donne. Il medico sportivo trans, Joanna Harper, ammette a sorpresa che il vantaggio permane indipendentemente dalle terapie ormonali a cui si sottopongono per somigliare alle donne.

 
 

La partecipazione dei transgender agli sport femminili è al centro dell’attenzione dei media internazionali.

Tutto nasce dal primo trans alle Olimpiadi Laurel Hubbard ma, soprattutto, dai record infranti di Will Thomas (in arte Lia Thomas), nuotatore transgender dell’Università di Pennsylvania.

«Will Thomas ha trovato il modo di battere ogni record», si legge su RadFem Italia, portale delle femministe radicali italiane. «Chiamarsi Lia e sbaragliare le avversarie, passando dal 462° posto nello stile libero maschile al primo in quello femminile. Un’ingiustizia grottesca al centro di un furioso dibattito».

Dopo aver gareggiato per tre anni nella squadra maschile con scarsi risultati, infatti, Lia Thomas ha iniziato a gareggiare contro le donne stabilendo ben tre record: 200, 500 e 1.650 yard.

A seguito di questi casi, la lega mondiale di Rugby si è subito espressa contro la partecipazione delle donne trans al rugby femminile ed un certo numero di Stati americani ha introdotto leggi per vietare ai trans di danneggiare lo sport.

Gli ultimi ad essersi mossi sono stati l’Indiana, tramite un ddl che sta per essere approvato anche al Senato ed il South Dakota, la cui governatrice Kristi L. Noem ha firmato il divieto all’inizio di febbraio.

 

Atleti trans: rabbia dal mondo scientifico e sportivo.

Il Macdonald-Laurier Institute ha pubblicato un report, firmato dalla biologa evoluzionista Emma Hilton, della Manchester University, concludendo:

«Anche con trattamenti, terapie e interventi chirurgici moderni, gli esseri umani non possono cambiare tutte le immutabili caratteristiche fisiche riconducibili al sesso biologico. La categorizzazione dello sport in competizioni maschili e femminili è giustificata dall’ampia e profonda evidenza fisiologica sui vantaggi che i maschi detengono, e che non vengono eliminati dal trattamento ormonale o da tecnologie mediche. Non c’è nessun intervento medico né alcun argomento filosofico che possa rendere giusto per le donne trans competere negli sport femminili».

Oltre al mondo femminista ed a quello scientifico, la partecipazione dei maschi trans negli sport femminili (i casi contrari sono rarissimi) è stata attaccata da media specialisti e generalisti, da Swimming World Magazine (che ha parlato di “effetto doping” e della necessità di proteggere lo sport femminile), al New York Post, con titoli del genere: Le atlete trans stanno ingiustamente distruggendo gli sport femminili, è ora di svegliarsi da questa follia! (26 gennaio 2022), ma anche: La disuguaglianza creata dalla nuotatrice transgender Lia Thomas è l’antitesi del fair play (24 dicembre 2021).

Il nuotatore Lia Thomas ha tuttavia ricevuto l’approvazione dell’Università della Pennsylvania e del NCAA, il circuito universitario USA, secondo i quali gli uomini che hanno iniziato da un anno la riduzione del livello di testosterone e si auto-dichiarano donne possono gareggiare negli sport femminili.

La decisione ha portato alle dimissioni un’importante membro della Federazione Nuoto USA, Cynthia Millen, la quale ha dichiarato che «nello sport i corpi sono in gara contro i corpi, non le identità contro le identità. Lia Thomas sta distruggendo il nuoto femminile».

Anche la condivisione dello spogliatoio con Lia Thomas è diventata un punto controverso per alcune sue compagne di squadra, a disagio nel cambiarsi davanti ad un uomo.

Ma le proteste non hanno vinto il politicamente corretto: «Più nuotatrici hanno sollevato il problema, più volte», ha raccontata un’atleta al DailyMail. «E’ decisamente imbarazzante perché Lia ha ancora parti del corpo maschili ed è ancora attratta dalle donne. Ma in pratica ci è stato detto che dobbiamo girarci e accettarlo, oppure non possiamo usare il nostro spogliatoio». Solo due o tre atlete supportano Thomas, la maggior parte ha paura di parlare e la scuola vieta agli studenti di parlare con i media.

 

Il medico: «Trans avvantaggiati anche dopo operazione».

Su casi del genere, sempre più frequenti, è intervenuto anche il medico sportivo, Joanna Harper, lui stesso transessuale, consulente del Comitato Olimpico Internazionale (CIO).

Harper ha riconosciuto con onestà che «non c’è assolutamente alcun dubbio nella mia mente sul fatto che le donne trans manterranno vantaggi di forza rispetto alle donne cis, anche dopo la terapia ormonale», dove per “donne cis” intende cisgender (secondo la teoria gender questo termine identifica le persone nate biologicamente donne).

«Non è solo forza, ci sono anche gli sport di elevazione», ha proseguito il medico sportivo. «Le donne trans perderanno forza con la transizione farmacologica ma non perderanno affatto in elevazione. Negli sport come il basket e la pallavolo quel vantaggio non sarà mitigato: mentre il vantaggio di forza verrà mitigato quello in elevazione non verrà cancellato».

Per quanto riguarda le donne trans, invece, Harper ha affermato: «Sono incline a pensare che abbiano meno probabilità di avere successo negli sport maschili rispetto ai trans negli sport femminili».

I vantaggi sono stati evidenziati anche per quanto riguarda la velocità. Uno studio recente sul British Journal of Sports Medicine, dopo aver esaminato il personale militare statunitense, ha concluso che le donne trans che avevano intrapreso la terapia di transizione da oltre 2 anni correvano ancora il 12% più velocemente delle donne. Quelle vere.

La redazione

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Alberto Maggi nega i miracoli di Gesù, gli storici lo correggono

I miracoli di Gesù non furono storici ma teologici? E’ la nuova omelia di padre Alberto Maggi, biblista Lgbt e nemico di Medjugorje. Un vecchio argomento in voga nel XIX secolo con Butlmann e Strauss, superato dalla ricerca contemporanea sul Gesù storico. Un Gesù senza miracoli non è più considerato storico dagli studiosi moderni.

 
 
 

Presentarne un Gesù dal profilo “light”, più digeribile dalla dieta intellettuale razionalista e secolarizzata.

Questa è stata a lungo l’ossessione di un gruppo di teologi liberali del secolo scorso.

Fortunatamente, l’approccio antiscientifico di Rudolf Bultmann e seguaci è morto da decenni, ma ancora oggi troviamo qualche prelato progressista che nei rimpiange i metodi.

Parliamo di padre Alberto Maggi, 76 anni, biblista e religioso dell’Ordine dei Servi di Maria.

 

Alberto Maggi è noto per frequentare i salotti di Repubblica assieme al collega Vito Mancuso e per aver definito Radio Maria il «marciume di una teologia seppellita». Tifoso delle nozze Lgbt e del ddl Zan sull’omofobia, è solito celebrare messa e professare omelie coprendo l’altare con vivaci bandiere arcobaleno.

Non che sostenga sempre tesi assurde, ci mancherebbe, e non ci risulta che le sostenga quando è ospite a Tv2000, la rete televisiva della CEI.

Ieri, in una intervista, dopo aver sostenuto una tesi controversa sul significato evangelico dell’inferno, ha giustamente sostenuto che la Bibbia può essere “pericolosa” se non correttamente interpretata, dando ragione alla Chiesa quando ne impedì la diffusione in lingua volgare, al contrario di quanto fece Martin Lutero.

Le eresie medievali, socialmente pericolose e criminali (vedi dolciniani e hussiti/taboriti), si nutrirono proprio di interpretazioni letterali dei testi biblici (ma ne parleremo dettagliatamente in un dossier che sarà pubblicato a breve).

 

Per Alberto Maggi quelli di Gesù furono «segni teologici».

Tutto (quasi) bene, insomma, fino a quando non ha parlato dei miracoli di Gesù.

Il quale, sostiene Maggi, non avrebbe fatto alcun miracolo ma solo «segni per favorire la fede, non ha stravolto le leggi della fisica». E che dire della resurrezione di Lazzaro? «Ha un suo significato teologico, non storico».

Fa sorridere pensare che sono le stesse, identiche obiezioni dei seguaci ottocenteschi di Bultmann e David Friedrich Strauss, con la differenza che per loro anche la resurrezione di Cristo non fu un evento storico, ma semplicemente simbolico-teologico. Chissà cosa ne pensa Maggi di questo.

Eppure la cosiddetta third quest, cioè la ricerca contemporanea sul Gesù storico avviatasi dagli anni ’90, ha spazzato via le interpretazioni liberali.

 

Gli studiosi: «Senza miracoli non è il Gesù della storia».

«Le attuali ricerche sulle fonti bibliche ed extrabibliche confermano che un Gesù senza miracoli non solo non è storico, ma non è neppure concepibile», ha scritto Gianmario Pagano, biblista ed autore dell’ottimo studio I miracoli di Gesù (Paoline 2008).

Padre Alberto Maggi dirigerà pure il Centro studi biblici Giovanni Vannucci, ma la comunità accademica che studia il Gesù storico non sa nemmeno chi sia. Non è mai citato da alcuno studioso serio delle fonti cristiane, né nei testi specialisti né nelle opere divulgative. Non stupisce che la tesi contro i miracoli sia respinta da tutti gli studiosi biblici, compresi ricercatori notoriamente scettici.

John P. Meier, uno dei principali biblisti viventi e docente all’Università di Notre Dame, nella sua monumentale opera ha studiato a lungo i miracoli di Gesù di Nazareth, ed è stato piuttosto chiaro nelle sue conclusioni:

«Un Gesù esente da miracoli è stato il santo Graal cercato da molti studiosi dall’Illuminismo in avanti. Ma una tale presentazione va completamente contro i dati empirici. Essi sono un monito salutare a prendere atto che il Gesù storico non combacia con la visione di molti accademici postilluministi. I criteri della storicità, sempre che non li vogliamo gettare a mare, ci impongono un’immagine di un ebreo palestinese del I secolo capace di compiere azioni sorprendenti, che tanto lui quanto i suoi uditori hanno considerato gesta potenti e miracolose. Estrapolare queste gesta dal ministero pubblico del Gesù storico vuol dire eliminare gran parte di quello che era per lui fondamentale»1J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 1032, 1033.

 

Lo stesso Meier sottolinea inoltre che «c’è la prova che la Chiesa primitiva non ha inventato i miracoli di risuscitamento da parte di Gesù, i discepoli ritenevano che Gesù compisse miracoli e lui stesso ammise di farlo»2J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 1025.

Nessuno ovviamente sta sostenendo che dal punto di vista storico Gesù realmente operò dei miracoli, l’indagine storica ha dei limiti oggettivi e non può accertare eventi metafisici. Tuttavia, gli storici sono oggi assolutamente convinti che per i suoi contemporanei, amici e nemici, Gesù di Nazareth operò certamente miracoli e lui stesso li interpretò in questo modo.

Dicevamo che ciò è confermato da tanti studiosi scettici tra essi Marcus Borg, già presidente della Society of Biblical Literature, il quale ammise: «Nonostante la difficoltà che i miracoli comportano per la mente moderna, per motivi storici è virtualmente indiscutibile che Gesù fu un guaritore ed esorcista»3M.J. Borg, Jesus: A New Vision, HarperCollins 1987, p. 61.

Uno dei più importanti biblisti italiani conosciuti all’estero (a differenza di Maggi), Giuseppe Barbaglio, ha riferito a sua volta che «quella di un Gesù guaritore di malati fisici e psichici o, più in generale, taumaturgo è una dimensione storicamente attendibile e universalmente accettata dagli studiosi».

Ma, ha saggiamente precisato Barbaglio: «Storicamente sicuro non è che egli ha operato senz’altro dei miracoli, opere trascendenti i limiti della natura per noi moderni: tale giudizio non spetta, per statuto epistemologico, allo storico. I documenti ci attestano, ed è indiscutibile, che Gesù fu ritenuto taumaturgo e guaritore, e che tale è stato secondo i criteri di valutazione del tempo»4G. Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica, EDB 2002, p. 102, 103

Potremmo citare altri innumerevoli studiosi di primo piano del Gesù storico, ma il risultato non cambierebbe. La tesi di Alberto Maggi dei miracoli come semplici simboli teologici è respinta dalla comunità scientifica che si occupa delle fonti cristiane nelle principali università occidentali.

Come ha concluso il biblista Gianmario Pagano, «un Gesù senza miracoli non è né il Gesù della fede né quello della storia, è un Gesù di comodo»5G. Pagano, I miracoli di Gesù, Paoline 2008, p. 6-12.

La redazione

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I media contro Benedetto XVI, intanto normalizzano la pedofilia

Il settimanale tedesco di sinistra Die Zeit attacca Benedetto XVI, ma fino agli anni ’80 promuoveva la pedofilia. La normalizzazione del sesso con i minori è costante ancora oggi, i grandi media o ignorano o ne sono i promotori.




I grandi media occidentali si sfidano a chi colpisce di più Benedetto XVI, accusato di negligenza durante il suo breve episcopato bavarese 40 anni fa.

Poco importa che il suo team di legali ha smontato ogni accusa, dimostrando tramite gli atti che in quella famosa riunione del 15 gennaio 1980 non si parlò degli abusi di Peter H. ma esclusivamente della sua sistemazione a Monaco di Baviera per sottoporsi ad una terapia, senza menzionarne il motivo.

Il maggiore accusatore del Papa emerito è Die Zeit, settimanale tedesco di sinistra.


Quando “Die Zeit” promuoveva la pedofilia.

Nessuno ha ricordato l’ipocrisia della rivista che negli stessi anni in cui il prete tedesco abusava i bambini, sulle loro pagine apparivano articoli pro-pedofilia (ancora disponibili sul sito web del giornale) dell’allora direttore artistico, Rudolf Walter Leonhardt.

Nel 1979 sempre Die Zeit concedeva spazio all’educatore di Amburgo, Karlheinz Lutzmann, un altro normalizzatore del sesso con i bambini.

Soltanto nel 2013 sono arrivate delle timide scuse da parte del settimanale di sinistra per aver promosso «controverse tesi».

A smuovere la (sporca) coscienza del settimanale tedesco è stato Franz Walter, fondatore del Göttingen Institute for Democracy Research ed autore di una monumentale ricostruzione della propaganda pro-pedofilia da parte della sinistra tedesca, a partire dal partito dei Verdi fino ai principali quotidiani.

Walter ha ricordato l’apologia della pedofilia da parte di Die Zeit tra gli anni ’60 ed ’80, quando pubblicò innumerevoli articoli con l’obbiettivo di normalizzare culturalmente lo stupro dei minori, intervistando pedofili e psicologi di parte.

Il settimanale tedesco sostenne che gran parte dei bambini non sarebbero “vittime indifese” ma i veri provocatori sessuali degli adulti. L’autore scientifico dello Zeit, Erwin Lausch, respinse infatti l’idea che la pedofilia sia un abuso particolarmente famigerato che richiede una punizione, definendo tale avversione «un tocco di Medioevo».

Lo stesso Die Zeit che oggi accusa Ratzinger di “negligenza” allora si divertiva a scandalizzare la “paura borghese” celebrando la pedofilia, eppure «Die Zeit non voleva assolutamente considerare il fatto che i bambini potessero subire danni psicologici dai rapporti sessuali con gli adulti», scrive Franz Walter.

Così, si scagliava contro «“la famiglia autoritaria” in cui “la repressione della sessualità del bambino piccolo” pone le basi di tutte le deformazioni personali e sociali».

Un pediatra e blogger tedesco ha ricordato a sua volta che «all’epoca era in corso una rivoluzione sessuale, tutti erano altamente illuminati e ogni vincolo doveva essere eliminato, anche quando si trattava di “altra” sessualità. Ogni divieto agli omosessuali fu eliminato, lo stesso per i feticisti, il sesso di gruppo e le comunità di nudo. Tra essi trovarono spazio anche i molestatori di bambini. Sesso gratis per tutti, adulti e bambini. Sfortunatamente, tali rivoluzioni intellettuali richiedono l’appoggio della stampa e Die Zeit fece la sua parte in quel momento. Die Zeit, allo stesso modo di Bild e dello Spiegel, influenzò l’atteggiamento di molti accademici, inclusi insegnanti e professori. Non vi fu quasi nessuna critica».


Oggi sui media la normalizzazione della pedofilia.

La stampa tedesca e quella occidentale, in generale, sono troppo occupati a colpire Benedetto XVI per accorgersi anche della costante ed attuale spinta di normalizzazione della pedofilia.

Nei giorni scorsi Stephen Kershnar, illustre professore di Filosofia della State University di New York ha chiesto la liberalizzazione della pedofilia in un video diffuso su TikTok, sostenendo che «non c’è nulla di eticamente sbagliato in un maschio adulto che fa sesso con una ragazza di 12 anni, non c’è alcun “errore”».

L’intervento di Kershnar è ospitato nel podcast di Thaddeus Russell, noto per aver sostenuto nel 2017 l’abbassamento dell’età del consenso del sesso con i minori sul Daily Beast, difendendo Roman Polanski.

Quando la State University of New York ha annunciato sanzioni è apparsa una lettera aperta di 150 firmatari (tutti accademici) in difesa dell’apologeta della pedofilia, chiedendo di rispettare «la libertà accademica» ed impedire che «le idee sulla moralità vengano soppresse e censurate solo perché impopolari o offendono la sensibilità del pubblico generale». Uno dei firmatari è Peter Singer, noto sostenitore dell’infanticidio in quanto neonati e disabili sono “non persone”.

Le posizioni pro-pedofilia di Stephen Kershnar sono note dal 2015 quando scrisse le stesse tesi nel suo Pedophilia and Adult–Child Sex: A Philosophical Analysis (Lexington Books).

Pochi mesi fa è stato il transessuale Allyn Walker, professore alla Old Dominion University a chiedere la “de-stigmatizzazione” della pedofilia , proponendo di cambiare il termine offensivo “pedofili” con “persone attratte dai minori”.

Nel suo A Long, Dark Shadow (University of California Press 2021) si è occupato delle «persone attratte dai minori e la loro ricerca della dignità» (sottotitolo del libro), mettendo in discussione «i presupposti diffusi secondo cui le persone che sono preferenzialmente attratte dai minori, spesso indicate come “pedofile”, siano necessariamente anche predatori e autori di reati sessuali, questo libro porta i lettori nella vita delle persone attratte da minori che non hanno commesso reati».

Nel giugno 2021 Joseph J. Fischel, professore associato alla Yale University (su Twitter si definisce “gay a pagamento”), ha inneggiato alla «celebrazione della sessualità pubblica» durante i Gay Pride, sostenendo che non c’è nulla di male in un adulto che mostra i propri genitali ai bambini e che compie atti sessuali in pubblico davanti a loro anzi, precisa, «ai bambini potrebbe piacere». L’attivista Lgbt è autore del libro Sex and Harm in the Age of Consent, dove sostiene la «depenalizzazione del sesso tra minori e adulti».

Mentre l’editorialista di GQ e giornalista di diversi quotidiani inglesi, Flora Gill, propone la pornografia di adulti adatta e diretta ai bambini (tweet rimosso dopo le polemiche), nel 2020 Netflix è stato condannato dal gran giurì del Texas per aver «promosso consapevolmente» pornografia infantile tramite il film Cuties.

C’è chi fa notare la graduale normalizzazione culturale della pedofilia da parte della rivista Vice: raccogliendo titoli e copertine degli ultimi anni emerge il tentativo di generare simpatia verso i pedofili ed offuscarne la stigmatizzazione pubblica. Nel 2017 si è saputo che i dirigenti ed il presidente della rivista, Andrew Creighton, hanno molestato sessualmente quattro donne (maggiorenni).

L’editorialista del Daily Wire, Matt Walsh, ha denunciato il tentativo dei media (di sinistra) di «normalizzare la pedofilia proprio davanti ai nostri occhi». In particolare, ha sottolineato l’ossessione di mostrare «bambini che si vestono con abiti femminili e ballano per il divertimento perverso degli adulti», fenomeno definito “drag-kids“. «Dieci anni fa non esistevano i “drag kids” o le drag queen che raccontano fiabe ai bambini nelle biblioteche comunali. La sinistra ti avrebbe definito un pazzo paranoico se avessi previsto che cose del genere sarebbero accadute. Ora entrambe sono assolutamente all’ordine del giorno».

Diversi media non si sono fatti problema a diffondere la foto di uno di questi bambini, immortalato a fianco di un drag queen completamente nudo. Fortunatamente il Washington Examine ha scritto: «Lasciare che un bambino di 8 anni sia una drag queen non è progressista, è abuso sui minori».

E che dire dello sfruttamento mediatico del piccolo Desmond Napoles, a 10 anni il drag queen più giovane al mondo? Celebrato in tutte le riviste glamour del mondo (anche in Italia), senza troppe remore. Giusto qualche scalpore ha suscitato il video in cui il bimbo balla nudo in un bar gay truccato da donna, mentre gli adulti gli lanciano soldi e fanno apprezzamenti sessuali.

Il pedofilo Tom O’Carroll, fondatore di Pedophile Information Exchange, ha elogiato lo spettacolo scrivendo: «Desmond è davvero fantastico ed eccitante! Ammettiamolo, quando un bel bambino dice al mondo che è gay e balla sensualmente davanti ad uomini adulti, indossando abiti da vampiro e trucco; quando “lei” si toglie i vestiti o va in scena poco vestita; quando le banconote da un dollaro vengono accettate come “consigli” da un pubblico in preda all’eccitazione; quando tutto questo sta succedendo, stiamo ottenendo molto più di una semplice celebrazione della diversità di genere o un’innocente esibizione di un talento precoce. Ed è fantastico».


I grandi media ignorano tutto questo ed a volte ne sono i primi promotori. Fra 30 anni si scuseranno, forse, come è stato costretto a fare (timidamente) Die Zeit.

La redazione

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Guerra Russia-Ucraina, la Chiesa già sul campo in aiuto dei civili

A fianco di vittime e profughi, sul fronte di guerra, c’è già la Chiesa. La rete delle Caritas europee è già attiva per convogliare aiuti umanitari alla popolazione ucraina, è possibile contribuire anche dall’Italia. I vescovi russi ed ucraini stanno pregando per le reciproche comunità, in nome dell’unità e della pace.




La guerra in Europa è iniziata questa notte alle 4.

Il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato un’importante operazione militare in Ucraina e di ora in ora aumenta il numero delle prime vittime. Resta da vedere se l’invasione sarà limitata alle province filo-russe o si diffonderà in tutto il paese.

I governi del mondo si riuniscono, in Italia il presidente Mattarella avvierà a breve il Consiglio supremo di difesa, sui social e sui quotidiani non si parla d’altro. Gli analisti politici si confrontano su ogni canale televisivo.

Ma sul campo di guerra, oltre ai soldati e civili, c’è già la Chiesa.


Cosa sta facendo la Chiesa in queste ore.

La Caritas-Spes Ucraina è già al lavoro e sta portando aiuti umanitari ai profughi e alla popolazione.

Don Vyacheslav Grynevych, direttore della Caritas in Ucraina, ha lanciato l’allarme per i numerosi profughi ucraini che stanno cercando di lasciare le proprie case per trovare riparo nei Paesi confinanti e sta moltiplicando gli sforzi per poter raggiungere quante più persone possibili. «Vi chiediamo di starci vicino con la solidarietà e la preghiera», ha detto invece Tetiana Stawnychy, presidente di Caritas Ucraina.

Il braccio di carità della Chiesa in Ucraina è composto da 19 centri su tutto il territorio che dal 2014 ha aiutato 826.500 persone. Da questa notte stanno recuperando quanti più rifornimenti ed attrezzature possibili per far fronte all’emergenza.

Vengono richiesti, in particolare: generi alimentari, prodotti per l’igiene, medicinali, acqua potabile e qualunque materiale per garantire il riparo ed il riscaldamento delle famiglie (l’inverno è rigido).

Accanto a Caritas Ucraina si sta attivando tutta la rete delle Caritas europee, in particolare quelle confinanti: Caritas di Polonia e Moldavia, per accogliere tutti coloro, probabilmente migliaia di persone, in fuga dalla guerra.

In particolare è la Chiesa cattolica in Romania ad essersi organizzata per prima individuando, come spiegato da don Iosif Iacob, direttore della Caritas della diocesi di Iasi, «volontari romeni che parlano l’ucraino, e attraverso la Confederazione Caritas Romania, le associazioni Caritas delle diocesi ed eparchie del nord della Romania offriranno aiuto concreto ai rifugiati» diretti nel loro paese.


Come aiutare concretamente la Caritas Ucraina.

Caritas italiana è in contatto con il centro ucraino e ha già avviato una raccolta fondi per sostenere gli interventi di assistenza umanitaria ed emergenziale.

Per chiunque volesse contribuire si può utilizzare il conto corrente postale n. 347013, donazione on-line tramite il sito www.caritas.it, o bonifico bancario (causale “Europa/Ucraina”).
Maggiori info su www.caritas.it, contatti: (+39) 06 661771 / e-mail: segreteria@caritas.it


I vescovi russi ed ucraini testimoni di unità e pace.

Oltre ad aiutare concretamente, la Chiesa è in campo con i suoi vescovi russi ed ucraini, uniti nella fede e testimoni dell’unità.

Mons. Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca e presidente della Conferenza Episcopale Russa, ha chiesto che il conflitto sia risolto tramite «un serio dialogo internazionale, e non attraverso le armi. Papa Francesco ha sottolineato che l’Ucraina ha più che mai bisogno di tale preghiera. A questo proposito, chiediamo a tutti voi di prendere sul serio questo invito ed aumentare le vostre preghiere per la pace e l’armonia ovunque, specialmente in Ucraina».

Da giorni l’arcivescovo Pezzi sta ripetendo che bisogna credere «nella forza del perdono, occorre ripartire dal perdono».

Anche la Conferenza Episcopale Ucraina ha rilasciato un comunicato in queste ore, chiedendo ai fedeli di pregare «per i governanti, per il nostro esercito e tutti coloro che difendono la nostra patria, per i feriti e i morti, nonché per coloro che hanno iniziato la guerra e sono stati accecati dalla prevaricazione. Proteggiamo i nostri cuori dall’odio e dalla rabbia verso chi ci attacca. Cristo ci chiede di pregare per loro e di benedirli».

La redazione

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Fabiola Gianotti: «Studio le leggi fisiche, credo in Dio»

Una nuova intervista a Fabiola Gianotti, direttrice del Cern di Ginevra. Durante il programma radio di Giovanni Minoli, l’eminente scienziata ha ribadito la sua fede in Dio, indicando che essa trova corrispondenza nell’ordine e nell’eleganza delle leggi fisiche.

   

Per gli appassionati di scienza, vale la pena ascoltarla integralmente l’intervista di Giovanni Minoli a Fabiola Gianotti.

Parliamo della direttrice del Cern di Ginevra, il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle e si tratta probabilmente della scienziata più importante e nota al mondo.

Fu lei ad annunciare nel 2012 la prima osservazione di una particella compatibile con il bosone di Higgs, detto anche comunemente la “particella di Dio”. Nel 2013 le è stato assegnato il prestigioso Premio Enrico Fermi dalla Società italiana di fisica.

La particella di Dio è un nome “commerciale”, inventato da una casa editrice nel 1993. Certamente è singolare che Fabiola Gianotti sia legata alla particella che porta questo nome, proprio lei che può essere indicata al momento come l’esempio più rilevante della conciliabilità tra scienza e fede.

 

Fabiola Gianotti, scienziata credente.

L’8 marzo 2021, intervistata al programma radio Il mix delle cinque, condotto da Giovanni Minoli, Fabiola Gianotti ha parlato del rapporto tra scienza e fede.

Alla domanda se la ricerca scientifica l’abbia avvicinata o allontanata dall’idea dell’esistenza di Dio, la scienziata ha giustamente risposto: «Penso che la scienza e la religione siano due domini separati, non si contraddicono. La scienza non potrà mai dimostrare l’esistenza o no di Dio. E’ una situazione di parallelismo, di approcci diversi».

Ma dal suo punto di vista personale? Ecco la risposta di Fabiola Gianotti:

«Quello che io vedo nella natura, il suo ordine, la sua semplicità, la sua eleganza mi avvicina all’idea di una Mente intelligente e ordinatrice. Perché la natura è bellissima e anche le leggi fondamentali della fisica sono estremamente ed esteticamente belle, semplici, essenziali e si motivano quasi da sé. Si, io credo in Dio».

Qui sotto il video con le sue parole (pubblicato anche sul nostro canale YouTube).

 

Dal 2020 nell’Accademia delle Scienze in Vaticano.

La “signora della scienza” non ha mai fatto mistero della sua fede. Ne aveva già parlato il 6 gennaio 2015 durante la trasmissione televisiva 8 e mezzo, il video è disponibile sul nostro canale Youtube.

Il 29 settembre 2020 Fabiola Gianotti è entrata a far parte come membro ordinario della Pontificia accademia delle Scienze.

Abbiamo aggiunto il suo nome e le sue parole al nostro elenco di citazioni su Dio dei più importanti scienziati credenti della storia.

La redazione

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Il Libro di Geremia datato vicino agli eventi, studio conferma tradizione

Storicità biblica e datazione del Libro di Geremia. Lo studio della prof.ssa Mitka R. Golub dell’Università Ebraica di Gerusalemme conferma la datazione da sempre sostenuta dalla tradizione: il testo fu composto vicino agli eventi descritti, tra il VI ed il VII secolo a.C.

   

Geremia è considerato da ebrei e cristiani uno dei Profeti maggiori ed il suo libro è parte dell’Antico Testamento.

Si tratta di 52 capitoli molto intesi e drammatici, nei quali si narra la vocazione di Geremia e le sue “lamentazioni” in forma di salmi con i quali il profeta denuncia l’idolatria di Israele, la distruzione di Gerusalemme ed il dubbio che Dio abbia abbandonato il suo popolo.

La tradizione ebraico-cristiana ha sempre ritenuto che il Libro di Geremia fosse stato composto tra il 586 e il 538 a.C. , quando effettivamente i babilonesi distrussero Gerusalemme ed il Tempio e molti ebrei rientrarono in Giudea dopo essere stati deportati a seguito all’editto di Ciro il Grande, imperatore persiano. E’ arrivata la conferma da uno studio recente.

 

Lo studio sul Libro di Geremia.

Nel numero estivo di Biblical Archaeology Review (accesso riservato agli abbonati), la prof.ssa Mitka R. Golub dell’Università Ebraica di Gerusalemme ha voluto verificare se la datazione della tradizione fosse attendibile storicamente.

Ha così confrontato i nomi di persona presenti nel Libro con quelli incisi su materiale archeologico risalente al VII e al VI secolo a.C., il periodo che viene descritto da Geremia. Perché concentrarsi proprio sui nomi? Lo ha spiegato la stessa ricercatrice, sottolineando che gli autori biblici avevano meno probabilità di modificare i nomi personali rispetto agli eventi di importanza teologica, il che rende i nomi personali un buon barometro per la storicità.

I 92 nomi contenuti nel Libro di Geremia sono così stati messi a confronto con i 367 presenti su materiale archeologico dello stesso periodo storico, scoprendo che la distribuzione dei diversi gruppi di nomi biblici era perfettamente allineata.

Allo stesso tempo, si è scoperta una coincidenza anche nella distribuzione del prefisso yhw e del suffisso con il nome personale, mentre è risultata discordante la distribuzione degli elementi giudaici yahwisti (come yhw, yh e yw) all’interno dei nomi personali (sollevando l’ipotesi di un piccolo intervento di un redattore in un secondo momento).

 

Confermata la tradizione, ma perché è importante?

La studiosa ha quindi potuto concludere che tali somiglianze danno ragione alla tradizione e suggeriscono che il Libro di Geremia fu scritto realmente vicino agli eventi che descrive, quindi tra il VII e VI secolo a.C. E’ probabile che l’autore fosse anche testimone oculare degli eventi.

Ma qual è l’importanza di tali conferme? Lo ha spiegato Werner Keller, celebre autore del best seller La Bibbia aveva ragione:

«Queste scoperte, così sorprendenti, segnano una svolta nello studio della Bibbia. Avvenimenti già considerati in gran parte “pie leggende” assurgono a dignità storica. Molto spesso i risultati concordano fin nei particolari con le relazioni bibliche. Non solo “confermano”, ma anche illuminano le situazioni storiche che sono alla base dell’Antico Testamento e dei Vangeli. La Bibbia non è solo la storia della salvezza, è anche un libro di fatti realmente avvenuti, annotati con precisione addirittura sbalorditiva. Esistono invero correnti teologiche per le quali conta soltanto la parola. Ma come si deve intendere la parola se non la s’inquadra nella sua precisa cornice cronologica, storica e geografica?»1W. Keller, La Bibbia aveva ragione, Garzanti 1981, p. 11

La redazione

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Anastasio, il senso religioso del giovane rapper di X-Factor

Vincitore di X-Factor nel 2018, il rapper Anastasio ha qualcosa di interessante da dire. Una profondità inedita nel panorama musicale giovanile. Scettico fino ai 20 anni oggi porta nelle radio temi evangelici, la salvezza e la necessità della fede, per non piegarsi agli idoli.

    

C’è una diversità in questo giovane rapper, vincitore della 12° edizione di X-Factor (2018).

Al contrario del classico “artista unico” prodotto da questo tipo di talent, Anastasio ha qualcosa di interessante da dire.

Campano, 24 anni, laureato al liceo classico a pieni voti ed amante di De André, della filosofia e della poesia. Basterebbe già questo.

Nel 2019 lo ricordiamo in una piccola polemica con il trapper Sfera Ebbasta, quando disse: «Me la prendo con i genitori che non si accorgono che i loro figli non hanno più modelli positivi con cui confrontarsi», disse. «Dovrebbero fare i genitori, non gli amici, discutendo con loro della totale mancanza di spessore di Sfera Ebbasta: dimostrarsi complici, condividendo questa passione giovanile, non produce nulla di buono. Gli eroi di un tempo non esistono più, oggi sono diventati di carta, e con i figli bisognerebbe parlare anche di questo».

Come dargli torto? Pochi mesi prima, dopo la tragedia di Corinaldo, anche su questo sito web avevamo osservato che le strofe urlate alla radio dagli “artisti” contemporanei nutrono ed innaffiano solo il vuoto esistenziale in cui già vive gran parte dei giovani.

 

Il cantante Anastasio e i temi biblici: “Affascinato”

Esistono però modelli positivi, Anastasio per l’appunto. Dopo quasi due anni di silenzio musicale (complice anche il Covid), il 14 gennaio scorso ha presentato il singolo Assurdo, anticipando il suo secondo album, intitolato Mielemedicina.

«Questo disco è più cantaurato che rap», dice in un’intervista ad Avvenire. Tutto l’album è ricco di riferimenti biblici, dalla torre di Babele, in cui descrive il paradosso di un’era tecnologica babilonica in cui siamo sempre più soli («Babele non è stata mai così alta / siamo stati più vicini al cielo / Ed insieme così soli / lontani da tutti», ad Adamo ed Eva fino alla passione di Cristo.

«A me interessa il linguaggio religioso, vi sono simboli antichi molto evocativi», spiega l’artista 24enne, «molto radicati in noi, di cui percepisco il fascino e la solennità».

 

Il brano-preghiera inspirato ascoltando il card. Ravasi.

Nel 2020 si inspirò all’Apocalisse di Giovanni per il suo brano-preghiera Quando tutto questo finirà, in cui canta: «Oh mio Signore / quale grande azione d’amore compimmo noi uomini / perché un Dio si scomodi a darci il mare / Oh mio Signore, / quale enorme dolore cadrà sui tuoi figli / perché tu ci consoli spargendo nel cielo manciate di soli».

Una canzone meno nota, scritta dopo aver partecipato ad un dibattito assieme al card. Gianfranco Ravasi, che ritiene «una persona che quando parla non puoi che pendere dalle sue labbra, un pozzo di cultura».

Lo stesso rapper spiegò il significato del brano: «Il mio è un invito all’umiltà: lascia stare la truffa della tua identità, le tue velleità, perché prima o poi verrà l’Apocalisse e verremo tutti giudicati come uguali. Che tu creda o no. Ma è anche peggio se tu non credi all’Aldilà perché dietro ti lasci il nulla».

Tematiche inedite nel panorama musicale giovanile ed è lui stesso a credere che «il rap si debba rinnovare. Quando sono arrivati i trapper, con le solite tematiche banali, pensavo fossero ironici. Invece si prendono sul serio. Io dico però che non è artistico, non ti arricchisce».

 

Dallo scetticismo alla necessità della fede, in cammino.

Ateo borioso fino ai vent’anni, «ad un certo punto mi sono fatto un bagno di umiltà, ascoltando chi ne sa più di me e che mi mostrava che c’è una prospettiva cristiana interessante», ha confessato il rapper.

«Spiritualmente non ho trovato Dio, non mi definisco cristiano, non dico le preghiere, non vado a messa», precisa Anastasio. «Ma ci sono molte cose della cristianità che mi piacciono, a partire dalla promessa della salvezza, il fatto che verrà l’Apocalisse e dopo si rinascerà. Credo che l’uomo abbia bisogno di fede. “Se l’uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo” scriveva Dostoevskij. Le idolatrie di oggi sono il denaro e venerare se stessi: tutti gli idoli sono falsi e le tue energie le butti su qualcosa di inutile. La fede, invece, è la cosa più alta davanti alla quale ti puoi inginocchiare».

Gli auguriamo di proseguire in questo cammino, ma soprattutto di continuare ad essere in controtendenza, testimone di una diversità nel rap. Il vero artista non è mai banale, sfida il conformismo, non ne diviene complice. Anastasio è tutto questo.

La redazione

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“Mai all’eutanasia”, ora lo dice il Collegio degli psichiatri in Irlanda

Medici contro eutanasia. Anche il College of Psychiatrists of Ireland si schiera contro il suicidio assistito e la cosiddetta morte dignitosa, giustificando l’opposizione a causa dei rischi per i pazienti, l’inevitabile piano inclinato, la contrarietà etica rispetto allo scopo della medicina e la possibile risoluzione delle cause alla base delle richieste di morte.




Dal 20 dicembre scorso e per tutto il mese di gennaio l’account Twitter ufficiale del College of Psychiatrists dell’Irlanda ha fissato come primo tweet il loro comunicato ufficiale contro l’eutanasia e il suicidio assistito.

Evidentemente sono consapevoli dell’importanza e del peso istituzionale della loro presa di posizione.

Stiamo parlando della principale organizzazione di psichiatria dell’Irlanda, che rappresenta oltre 1000 psichiatri irlandesi che lavorano nel paese o all’estero.

Le possibilità che l’Irlanda apra alla legalizzazione della morte assistita non sono chiare in quanto la campagna di promozione ha subito una forte battuta d’arresto durante l’estate scorsa quando la Oireachtas Justice Committee ha deciso che il disegno di legge chiamato Dying with Dignity 2020 non era idoneo allo scopo e non poteva procedere.

I promotori hanno in programma di presentare un nuovo disegno di legge chiamato End of Life Choice Bill 2022, ma le cose si sono maggiormente complicate ora dopo la presa di posizione degli psichiatri.


Le ragioni contro l’eutanasia degli psichiatri in Irlanda:

Il loro comunicato inizia con una frase sintetica che esprime il nucleo della loro posizione: «Il suicidio assistito e l’eutanasia non sono compatibili con una buona assistenza medica, la loro introduzione in Irlanda potrebbe mettere a rischio i pazienti vulnerabili».

In aggiunta a questo, sono stati formulati quattro punti critici che sintetizzano il dissenso generalizzato all’interno del collegio rispetto ad un’eventuale liberalizzazione della morte di Stato:

1) La morte assistita è contraria agli sforzi degli psichiatri e dei medici di salute mentale in generale che lavorano per prevenire le morti per suicidio (solo pochi giorni fa uno studio ha dimostrato che legalizzare l’eutanasia non previene i suicidi, li aumenta);
2) La legalizzazione dell’eutanasia espone a rischi le persone vulnerabili: molte richieste di morte assistita derivano da problemi come la paura di essere un peso o la paura della morte piuttosto che da un dolore insopportabile. Bisognerebbe piuttosto migliorare e implementare il servizio medico per gestire meglio questi problemi;
3) Sebbene venga detto e sebbene in altri Paesi sia stata introdotta solo per i pazienti con malattia terminale, è probabile che una volta approvata la morte assistita venga applicata in modo più ampio ad altri gruppi, aumentando notevolmente il numero di persone che intraprendono tale ben al di sopra delle aspettative;
4) L’introduzione della morte assistita rappresenta un cambiamento radicale nella legge irlandese e nella lunga tradizione della pratica medica, così come esemplificato dal divieto di uccisione deliberata nelle linee guida etiche dell’Irish Medical Council;


“L’eutanasia chiesta per paura non per dolore”.

Eric Kelleher, docente di Psichiatria all’University College Cork e membro del College of Psychiatrists, ha inoltre precisato che «non solo la morte assistita o l’eutanasia non sono necessarie per una morte dignitosa, ma le tecniche utilizzate per indurre la morte possono esse stesse provocare sofferenze considerevoli e prolungate».

Ed ancora: «Laddove è legale il suicidio assistito, molte richieste derivano non dalla presenza di un dolore intrattabile ma da cause come paura, depressione, solitudine e desiderio di non gravare sugli operatori sanitari. Con risorse adeguate, comprese cure psichiatriche, cure psicologiche, medicine palliative, servizi per il dolore e supporti sociali, è possibile una buona assistenza di fine vita».

Anche Siobhan MacHale, psichiatra del Beaumont Hospital e collaboratore dell’Irish Times, è intervenuto nel merito preoccupato del concreto rischio di piano inclinato (slippery slope) che si è sempre verificato nei paesi che hanno aperto all’eutanasia: «Una volta consentito da una giurisdizione, l’esperienza ha dimostrato che sempre più persone muoiono a causa del suicidio assistito. Questo solitamente è il risultato di un progressivo ampliamento dei criteri attraverso ricorsi legali perché, se viene concesso un diritto alla morte assistita, non vi è alcuna ragione logica per limitarlo solo a chi ha una malattia terminale».


Altre associazioni mediche contro il suicidio assistito.

Mentre gran parte delle associazioni mediche nel mondo non sono (ancora) intervenute prendendo posizione sul fine vita, alcune hanno assunto una neutralità (soprattutto negli Stati Uniti) ma altre si sono fermamente opposte.

Chi si oppone alla strategicamente detta “morte dignitosa”, oltre al College of Psychiatrists of Ireland, anche la World Medical Association (aggiornamento 2022), American Medical Association (aggiornamento 2022), German Medical Association (aggiornamento 2011), la New Zealand Medical Association (aggiornamento 2022 e nonostante sia avvenuta di recente la legalizzazione tramite referendum), la Organización Médica Colegial (aggiornamento 2021).

La redazione

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