Pubblicati da poco i nuovi dati da parte dell’Oscad, l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori della Polizia di Stato, relativi al 2021.
Ancora una volta si certifica quanto già abbiamo dimostrato nel nostro dossier.
Al di là di sporadici casi di aggressione a persone omosessuali, non esiste alcun fenomeno di “omotransfobia” in Italia, tanto meno un’emergenza tale da giustificare disegni di legge specifici.
Solo 77 segnalazioni riguardanti l’omotransfobia.
Su 361 segnalazioni di reati di matrice discriminatoria comunicati dalla Polizia di Stato, infatti, 77 riguardano l’orientamento sessuale o l’identità di genere.
Premesso che anche un solo caso sarebbe grave e da condannare, è evidente che fortunatamente si tratta di un fenomeno marginale, molto distante da ciò che viene dichiarato dall’associazionismo Lgbt (senza citare alcuna fonte, se non quelle interne a loro).
Oltretutto bisogna considerare che si tratta soltanto di segnalazioni alla polizia, senza alcun accertamento del reato. E nonostante ciò, solo il 21,3% del totale riguarda la cosiddetta omofobia.
In calo rispetto agli anni precedenti.
Un dato in calo, inoltre, rispetto al passato.
I dati pubblicati nel 2020 e riferiti dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, infatti, rilevavano 82 casi legati all’orientamento sessuale e identità di genere.
Nei dati relativi al 2019, invece, i casi segnalati di discriminazioni relative all’orientamento sessuale e l’identità di genere erano 105.
Più discriminazioni religiose che omofobia.
Altro dato significativo è che secondo i dati Oscad è che le discriminazioni più frequenti in Italia hanno sfondo etnico e religioso, seguite da quelle riguardanti la disabilità. L’omofobia è il fanalino di coda.
Questo è un altro «segno che di leggi come il Ddl Zan non c’è mai stato e non c’è alcun bisogno», ha commentato Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia.
«Gli sperticati allarmi di una fantomatica “emergenza omofobia” in Italia lanciati dai promotori del Ddl Zan erano dunque totalmente inventati», ha proseguito Coghe, «mentre il reale intento della legge, come abbiamo sempre sostenuto, era di limitare la libertà di opinione e di espressione delle famiglie e introdurre l’ideologia Gender nelle scuole
Anche per questo il ddl Zan è stato tranquillamente affossato dal parlamento, senza alcun incrementato pericolo verso le persone omosessuali. Chiuso (e sepolto) nello stesso cassetto del predecessore ddl Scalfarotto.
Il ddl Zan e la visione antropologica gender.
Accertata l’inutilità di una legge sull’omofobia, il ddl Zan conteneva diversi punti critici, i veri obbiettivi del mondo Lgbt.
Innanzitutto il self-id (la libera autocertificazione del proprio genere sessuale), le restrizioni della libertà di manifestazione del pensiero, l’imposizione dell’Arcigay nelle scuole a parlare di gender e omofobia (e non solo), l’introduzione dei controversi contenuti dei gender studies (come l’indipendenza tra sesso e genere, mai approvata dalla comunità scientifica) che minano la specificità della donna.
Si trattava di un cavallo di Troia per introdurre surrettiziamente nel codice penale la controversa e pericolosa visione antropologica arcobaleno. Ad accorgersene moltissimi autorevoli esponenti che si sono affiancati alle decine di instancabili sigle del movimento pro-life e pro-famiglia italiane.
Ecco chi ringraziare per l’affossamento del ddl Zan.
Pur con diversi mesi di ritardo, vorremmo brevemente ricordare alcuni dei principali fautori (principalmente non cattolici) dell’affossamento del ddl Zan.
Una citazione nel mondo cattolico va, oltre ai parlamentari che hanno votato contro, all’intervento determinante della segreteria di Stato della Santa Sede, al quotidiano Avvenire (che ha saputo dare spazio magistralmente a decine di commenti autorevoli, anche provenienti da aree culturali distanti da quelle cattoliche) ed al Centro Studi Livatino.
Il merito va condiviso però con numerosi ed eminenti giuristi (costituzionalisti, magistrati, accademici, avvocati), storiche femministe, importanti filosofi ed opinionisti e alcune sigle ed esponenti del mondo Lgbt.
– Marina Terragni, storica femminista che ha denunciato «la sparizione delle donne» nell’ideologico testo del ddl Zan;
– Michele Ainis, costituzionalista ed editorialista di Repubblica, il quale ha sottolineato nel ddl la volontà di «cancellazione del femminile, dopo decenni di lotte per difenderne la specificità»;
– Massimo Fini, laicissimo editorialista de Il Fatto, per il quale si trattava di «una legge dittatoriale e nemica della libertà»;
– Paolo Flores d’Arcais, militante ateo e direttore di MicroMega, secondo cui l’intreccio tra sesso, genere sessuale e identità di genere (cioè la nota teoria gender) contenuto nel testo «offende la lingua italiana e la biologia. Esistono solo due sessi, il resto è pura follia»;
– Vincenzo De Luca, governatore dem della Campania, che alla Festa dell’Unità ha mandato «al diavolo» il disegno di legge in quanto voleva imporre di celebrare la Giornata di riflessione sull’omotransfobia nelle scuole;
– Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, per il quale «il ddl zan restringe l’ambito della libertà di manifestazione del pensiero»;
– l’associazione Lgbt Arcilesbica (in particolare Rita Paltrinieri), firmataria di diversi appelli contro il ddl Zan a causa dell’introduzione dell’identità di genere e «con l’idea di un genere liberamente scelto»;
– Domenico Pulitano, professore emerito di Diritto presso l’Università Bicocca, intervenuto parlando di «legge controproducente ed illiberale, populismo legislativo, inutile in quanto la legge Mancino è già ben attrezzata»;
– Erika Stefani, avvocati e ministro per le disabilità nel governo Draghi che ha denunciato la strumentalizzazione «dei disabili, inseriti nella legge solo con un riferimento forzato»;
– Francesca Izzo, femminista democratica e docente di Storia delle dottrine politiche, la quale si è lamentata che «il ddl Zan mette in discussione l’esistenza delle donne e nega la possibilità che possa esserci una differenza tra una donna biologicamente tale e una donna trans»;
– Filippo Vari, ordinario di Diritto costituzionale dell’Università Europea di Roma, il quale ha denunciato la volontà di introdurre «eccessive restrizioni alla libertà di manifestazione del pensiero»;
– Aurelio Mancuso, ex presidente nazionale dell’Arcigay, contrario al ddl Zan in quanto «infarcito di visioni discutibili che producono un corto circuito logico anche dal punto di vista giuridico»;
– Giuseppe Valditara, ordinario di Diritto privato romano dell’Università degli Studi di Torino e i 300 professori universitari da lui coordinati, firmatari di una lettera pubblica contro l’introduzione tramite il progetto di legge di definizioni controverse in ambito scientifico e «la limitazione illegittima della libertà di manifestazione del pensiero»;
– Natalino Irti, professore emerito di Diritto all’Università La Sapienza e presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, che ha stigmatizzato la volontà surrettizia di «sopprimere la libertà di dissenso e di critica»;
– Eugenio Mazzarella, ordinario di Filosofia teoretica all’Università degli Studi di Napoli, il quale ha elencato le contraddizioni del ddl Zan, definendola «una legge di bandiera mal sventolata»;
– Stefano Fassina, deputato comunista e parlamentare di Liberi e Uguali, cha ha respinto «il riferimento all’identità di genere, che non può diventare un progetto educativo universale»;
– Guido Salvini, magistrato, anch’egli preoccupato in quanto «una legge non può essere in contrasto con la legittima libertà delle opinioni» e non può debordare «verso l’imposizione di una visione che non tutti, per ragioni religiose, biologiche, culturali, si sentono di condividere»;
– Carlo Nordio, magistrato, che si è scagliato contro «una legge formulata male e propagandata peggio, fino a contraddire se stessa»;
– le femministe di RadFem Italia e Se Non Ora Quando, coordinate dalla giornalista Monica Ricci Sargentini e firmatarie dell’appello Perché il femminismo italiano non sostiene la legge Zan contro l’omotransfobia;
Al di là delle dichiarazioni di bandiera di cantanti ed influencer, in Italia l’omotransfobia rimane, per fortuna, quel che è sempre stata: inesistente.
La redazione