Il rapper interrompe il concerto e annuncia la sua conversione

Il rapper Farruko cambia vita e si converte, annunciandolo a sorpresa durante un concerto a Miami. E’ accaduto l’11 febbraio scorso sul palco della FTX Arena. Si è scusato per i suoi testi sulla alla droga e ha invitato i suoi fan ad “accettare Dio” se “volete vivere una vita piena”.

 
 
 

Dal 2021 l’ascesa del rapper portoricano Farruko è stata inarrestabile.

Il brano Pepas lo ha infatti portato al primo posto in cinque classifiche della rivista Billboard, dodici dischi di platino in Spagna e negli Stati Uniti e quarto posto su Hits of the Moment di Spotify.

Prima di allora era già famoso per le sue collaborazioni con artisti di fama internazionale, come Daddy Yankee.

 

«Se vuoi vivere una vita piena, devi accettare Dio»

Tuttavia, l’11 febbraio scorso durante un suo concerto a Miami alla FTX Arena, dopo le prime note di Pepas, Farruko ha interrotto l’esibizione tra lo stupore generale, si è scusato per i testi di alcune sue canzoni e ha invitato i suoi fan ad “accogliere Dio” nel loro cuore.

«Quando esci di qui, non andare in discoteca. Vai a casa, abbraccia i tuoi figli, abbraccia il tuo partner, abbraccia i tuoi genitori», ha detto rivolgendosi al pubblico. «Sai perché? Perché niente a questo mondo è eterno! E se vuoi salvarti, se vuoi guadagnare te stesso, fratello, se vuoi vivere una vita piena, devi accettare Dio»

 

Le reazioni dal mondo della musica.

Non capita certo tutti i giorni una testimonianza del genere, soprattutto il rinnegamento del testo della sua hit il cui ritornello recita: «Bebiendo, fumando y jodiendo. To’ el mundo en pastilla’ en la discoteca». Sulle note del brano, il rapper trentenne, il cui vero nome è Carlos Efrén Reyes Rosado, ha annunciato la sua conversione ed il desiderio di “cambiare vita”.

Molti suoi colleghi del settore (reggaeton, trap latino, reggae e dancehall) hanno twittato mostrando stupore ed ammirazione verso Farruko, ma non sono mancate molte critiche.

Il rapper ha risposto comunque di voler rimborsare il biglietto ai partecipanti al concerto che si sono sentiti offesi dal suo “sermone religioso”, come alcuni lo hanno definito.

Dopo il concerto ha postato un altro messaggio su Instagram: «Dio ha avuto tanta misericordia con me ed ora posso sorridere perché mi sta accompagnando affinché cambi in meglio la mia vita. Forse non lo capirete, però lo farete più avanti. Vi voglio bene e non dimenticate che Egli è l’unico che ci può rigenerare. Non dimenticate di pregare per favore».

 

Il nuovo brano “Gracias” con Pedro Capó.

Pochi giorni fa è uscita Gracias, scritta assieme Pedro Capò, celebre autore di Calma, brano che esplose nel 2020.

In un’intervista Pedro Capò ha rivelato di essersi commosso appena letto il testo, perché sentiva che «stava parlando di me».

Grazie, benedizione e grazie,
perché non perdo mai la fede, non la lascio mai cadere,
e imparo dalla sconfitta quando devo perdere.
Grazie, benedizione e grazie,
tutto ciò che ci accade ha una ragione.

 
 

Chissà se questo impeto di vita vera sarà realmente seguito nel tempo da Farruko, non è facile lasciare tutto per entrare in «quella porta stretta» che conduce alla fede vissuta. Molti ci provano, «pochi sono quelli che la trovano» (Mt 7,13,14).

Certamente, considerando il livello del panorama musicale giovanile, il rapper portoricano può offrire un’alternativa positiva per i milioni di ragazzi che lo seguono.

Non necessariamente perché parla di Dio, ma perché nel suo piccolo canta la possibilità di un cambiamento, di una vita nuova, con altri ideali. Ed in cui la fede è vissuta come una convenienza positiva per se stesso.

 

 
La redazione

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Gli storici e il mito popolare sulla Santa Inquisizione: nuovo dossier

Una raccolta di citazioni dei principali specialisti internazionali dell’Inquisizione, uniti contro il mito che impedisce ai risultati della storiografia moderna di giungere al grande pubblico. Ciò che si dice dei tribunali inquisitori cattolici è in gran parte falso: poche condanne, nessun sistema oppressivo, scarso uso della tortura.

 
 
 

Ricomincia la pubblicazione dei nostri dossier al 15 di ogni mese.

Quest’anno sarà particolarmente dedicato all’Inquisizione o, meglio, alle inquisizioni, quella medievale (dal XII al XIV secolo), quella romana (dal 1542 al 1965) e l’Inquisizione spagnola (dal 1478 al 1834), quest’ultima totalmente dipendente dalla Corona e spesso in antagonismo alla Chiesa di Roma.

L’obbiettivo è portare alla luce i risultati di decenni di studi storici che contrastano apertamente con il mito ed il pregiudizio anticattolico nato in ambienti illuministi e protestanti con lo scopo di rappresentare il tribunale inquisitorio come simbolo dell’oscurantismo religioso romano.

 

No alla leggenda nera, ma nemmeno a quella bianca.

Oggi pubblichiamo il primo dossier (link in basso), nel quale abbiamo semplicemente raccolto, e continueremo a raccogliere, i giudizi conclusivi dei principali specialisti internazionali sull’Inquisizione e sulla leggenda nera che ancora oggi impedisce ai risultati della storiografia moderna di uscire dai circoli accademici.

Attenzione, nessuno delle decine di storici citati (con relativa fonte bibliografica, basta cliccare sul numerino alla fine della citazione) ha la minima intenzione di contrapporre una “leggenda bianca o rosa”, anzi concordano tutti che si trattò di un’iniziativa sinistra, intollerante verso le forme di dissenso e, come scrive lo storico Andrea Del Col, «le poche uccisioni di eretici, fatte in nome di Dio per motivi legati alla difesa della fede cristiana, anche se eseguite legalmente, noi le valutiamo aberranti»1Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia. Dal XI al XXI secolo, Mondadori 2021, p. 13, 14.

 

Clicca qui per consultare il nuovo dossier:

                                  Gli storici e la leggenda nera dell’Inquisizione

 
 

 

Il giudizio della storia sulla Santa Inquisizione.

Tuttavia, questi storici concludono anche che «non esistette nessuna istituzione persecutoria organizzata ed efficiente»2Jennifer Kolpacoff Deane, A History of Medieval Heresy and Inquisition, Rowman & Littlefield Publishers 2011, p. 88, che è una «leggenda nera» pensare al Sant’Uffizio come una «corte di giustizia sarebbe stata retta da frati spietati, crudeli, sempre smaniosi di istruire processi e bruciare persone»3Dennj Solera, La società dell’Inquisizione, Carocci 2021, p. 15-18, 27-28.

Nei paesi cattolici «si ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale». Gli inquisitori «erano restii a comminare la pena capitale, preferendo generalmente condanne più blande»4Marina Montesano, Superstizioni dell’età moderna, Il Manifesto, 31/12/2011.

Se, alla luce degli studi moderni, si prova a confrontare l’operato dell’Inquisizione cattolica a quello dei tribunali secolari dell’epoca, a quanto avvenne nei paesi protestanti, all’epoca del Terrore in cui implose la Rivoluzione francese, ai crimini dell’eugenetica scientista, alle dittature sanguinarie (in gran parte atee) del Novecento ed a quanto avviene tuttora in diverse parti del mondo, l’immagine di quegli inquisitori preoccupati della salvezza delle anime rischia addirittura di illuminarsi di luce propria.

Non vi furono infatti solo le 1.250 persone5Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia. Dal XII al XXI secolo, Mondadori 2006, p. 772-784 6Christopher Black, Storia dell’Inquisizione in Italia, Carrocci Editore 2013, p. 345 condannate al rogo dall’Inquisizione romana in tutta la sua storia (quattro secoli), ma anche tutele per gli accusati, avvocati difensori, protezione dalle vendette di terzi tramite l’anonimato, salvataggio di centinaia di “streghe” ingiustamente accusate, tentativi fino all’ultimo di salvate la vita degli eretici con la confessione, mantenimento a spese degli inquisitori delle famiglie più povere dei detenuti ed un’infinità di revisioni processuali in ottica moderatrice da parte dei papi.

 

Il nostro nuovo dossier sull’Inquisizione cattolica.

Vedremo nel dettaglio tutto questo con i prossimi dossier, mentre è possibile consultare quelli già pubblicati su tematiche storiche in generale recandosi a questo link.

Ciò che gran parte delle persone sa o ha sentito dire dell’Inquisizione, è falso.

Siamo vittime di quella che Franco Cardini, professore ordinario di Storia presso l’Università di Firenze, ha definito «un oceano d’immonda, innominabile paccottiglia sotto forma cartacea, informatico-telematica, cinematografica»7Franco Cardini, prefazione di R. Camilleri, La vera storia dell’Inquisizione, Piemme 2001, p. 8.

 

Clicca qui per consultare il nuovo dossier:

                                  Gli storici e la leggenda nera dell’Inquisizione

 

 

La redazione
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Centinaia di ucraini salvati dai sacerdoti italiani

Gara di solidarietà tra le parrocchie italiane, una bella testimonianza della “Chiesa in uscita” proposta da Papa Francesco. Ecco alcuni dei tanti preti-eroi raccontati dai media in questi giorni.

 
 
 

Recentemente abbiamo documentato il soccorso umanitario messo in campo dalla Chiesa a favore del popolo ucraino fin dalle prime ore della guerra.

Un aiuto di eguale portata è quello che la comunità cattolica sta dando nell’accoglienza dei profughi ucraini in Italia.

Citiamo solo alcune delle vicende arrivate sui media, tralasciando le innumerevoli iniziative messe in campo dalle diocesi italiane che ognuno può personalmente cercare sul web.

 

Don Gino coinvolge la comunità: 46 profughi salvi!

Degna di nota è ad esempio l’iniziativa di don Gino Samarelli, parroco di Molfetta (Puglia), il quale, grazie alle donazioni ed alla disponibilità dei suoi parrocchiani, è partito con un pullman pieno di cibo e medicinali alla volta dell’Ucraina, unendosi ad altri sacerdoti già presenti nel paese. Il 12 marzo è rientrato in Italia mettendo in salvo 46 profughi.

Il tutto è stato possibile anche grazie al vescovo ed al sindaco, attivatisi «tramite la Caritas diocesana e l’associazione Ser del Pronto intervento sociale» per sostenere l’iniziativa, all’insegna della sana collaborazione tra Chiesa e autorità secolari di cui parla il Concilio Vaticano II (Gaudium et spes, 76).

Nel viaggio, Don Gino è stato accompagnato da autisti, un meccanico, un medico ed un infermiere, questi ultimi messi a disposizione dal servizio socio-sanitario del Comune. Insomma, all’iniziativa di un parroco è seguita la risposta corale di un’intera comunità!

 

Don Giuseppe, ribattezzato il “tassista di Dio”.

Un caso analogo è quello di don Giuseppe Tedesco che, da Busto Arsizio (Lombardia) si è recato alla frontiera ucraino-polacca «per portare in salvo dieci profughi ucraini, tra cui otto bambini e ragazzi dai 9 ai 15 anni e una giovane madre con la figlioletta nata lo scorso 9 febbraio».

Questa impresa è valsa a don Giuseppe l’appellativo di “tassista di Dio” e “prete-ero”, ma lui commenta: «Non penso di aver fatto nulla di eccezionale. Come avrei potuto lasciarli là?».

 

A Roma i parrocchiani cedono le camere a famiglie ucraine.

Un terzo caso esemplare è quello degli ucraini ospitati dai parrocchiani di San Bonaventura a Torre Spaccata (Roma), i quali, «hanno messo a disposizione le loro case, qualcuno ha persino ceduto la propria camera alle profughe per dormire in salotto» come riferisce don Stefano Cascio. Su indicazione della Diocesi, il sacerdote sta eseguendo una mappatura delle disponibilità.

Toccante è poi la storia della dodicenne Karina e di sua madre Natalia, ospitate da don Andrea Lonardo, parroco di San Tommaso Moro.

La giovane amava suonare l’ukulele, che però ha dovuto lasciare in patria, da cui è fuggita in fretta e furia portando con sé solo lo stretto indisponibile, se non addirittura meno. I parrocchiani le hanno comprato un nuovo strumento, mentre dal primo giorno i ragazzi dell’oratorio portano la merenda a madre e figlia.

 

 

Sulle ragioni che hanno ispirato tutti questi slanci di carità, sono eloquenti le parole di don Gino Samarelli: «Ai perché legati al cuore non ci sono risposte. Ci sono cose che si fanno col cuore e basta. Ed è stato bellissimo vedere la grande solidarietà dei cittadini che non hanno fatto mancare un aiuto economico e ogni altro sostegno».

Papa Francesco aveva parlato della sua visione della Chiesa «come un ospedale da campo dopo una battaglia» e della necessità di una Chiesa “in uscita”, fin verso le periferie umane.

Non si può non ringraziare tutti questi sacerdoti e questo laicato dal cuore grande, in questi giorni stanno vivendo e testimoniando queste parole agli occhi del mondo.

 
 

Aggiornamento
Gli amici di InfoCatolica ci segnalano che dall’inizio della guerra, tra tutte le 150 congregazioni religiose operanti in Polonia e Ucraina, sono state già aiutate circa 18.000 persone.

 

 

Marco Visalli

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Spagna, solo lo 0,2% dei preti ha abusato: si spegne la polemica

La Fundacion ANAR e Save the Children hanno pubblicato due report con la stessa conclusione: parrocchie ed istituti cattolici sono i luoghi più sicuri per i bambini. Se la pedofilia è dilagante nella società, soprattutto nelle famiglie monoparentali, all’ultimo posto vi sono i sacerdoti.

 
 
 

Si parla continuamente di abusi sessuali legandoli alla Chiesa cattolica. Poi però escono gli studi ed i grandi media tacciono.

E’ accaduto in Spagna.

Da inizio anno i grandi giornali hanno spinto perché la Conferenza Episcopale attivi un’indagine interna sui casi di pedofilia (verrà svolta da uno studio legale indipendente).

La pressione mediatica si è però sgonfiata quando qualche giorno fa la Fundación ANAR, nota organizzazione (laica) che dal 1970 supporta bambini ed adolescenti vittime di abusi, ha pubblicato un report sugli abusi commessi dal 2008 al 2019.

 

Quanti preti pedofili? 0,2%, abusano meno di tutti.

La ricerca ha mostrato che la pedofilia è presente molto nella società e pochissimo nella Chiesa. Anzi, le strutture cattoliche sono le più sicure.

Le vittime hanno maggiormente meno di 12 anni (43,2%), non sono disabili (97,4%), sono prettamente bambine (78,3%) e vengono abusate maggiormente a Madrid (36%), nella comunità di Valencia (12,4%) ed in Andalusia (11,2%).

Nel 49,7% l’abuso si consuma nella casa del minore, in un’altra casa vicina (14,8) ed in una struttura scolastica (13,2%).

Nel 22,3% dei casi è coinvolta la pedopornografia o la tecnologia informatica. Su questo ricordiamo che i radicali di Bonino, Pannella e Marco Cappato fino a qualche anno fa si battevano per evitarne il proibizionismo.

Ma chi sono gli aggressori sessuali in Spagna?

Secondo la ricerca, nel 95,8% sono maschi e solo il 4,2% è donna. Il 70,6% è un adulto.

Nel 49,2% dei casi è un familiare, includendo padre, madre, patrigno, matrigna, nonni, zii, cugini, fratelli/fratellastri e sorelle/sorellastre e altri. Nell’1% dei casi si tratta di un vicino di casa.

In fondo alla classifica, nello 0,2% dei casi si tratta di un sacerdote.

 

«In definitiva», concludono i ricercatori, «l’abuso sessuale è un problema che comporta fondamentalmente il circolo familiare».

 

Pedofilia, la Chiesa è il capro espiatorio?

Premesso che solo un abuso commesso sarebbe già troppo e che una violenza perpetrata da un sacerdote ha un peso moralmente molto più grande, considerando il ruolo sociale e spirituale che interpreta, viene da porsi qualche domanda.

Alcuni siti web di inspirazione cristiana, infatti, si sono chiesti perché di fronte a questi dati, pochissimi quotidiani nazionali ne abbiano parlato e si sia posta attenzione solo allo 0,2% degli abusi commessi in ambito ecclesiale.

Inoltre, emerge l’origine ideologica delle accuse alla Chiesa se si considera che il 3,7% degli abusi è commesso dagli insegnanti statali (18 volte di più degli abusi commessi dai religiosi).

Perché la Chiesa dovrebbe essere responsabile degli atti dei suoi preti (lo 0,2%) mentre lo Stato (o il Ministero dell’Istruzione) è assolto dalle responsabilità dei suoi dipendenti (3,7%)?

«C’è una volontà politica di sfuocare il problema sociale della pederastia, così diffuso nella nostra società» viene scritto, «nascondendolo dietro a sacerdoti e religiosi, che come gruppo presentano alcuni casi di bassa incidenza, sia in termini relativi che assoluti, rispetto a tutti gli altri gruppi che riguardano i minori. In realtà si intende fare della Chiesa il capro espiatorio di un peccato sociale che coinvolge per la massima parte le istituzioni civili».

Un controsenso che la società spagnola pare aver capito bene se si considera un sondaggio svolto recentemente dal DYM Institute, secondo il quale l’87,6% degli intervistati chiede che una commissione governativa indaghi non solo gli abusi commessi da membri della Chiesa, ma anche quelli presenti in altri ambiti come la famiglia, la scuola o le associazioni.

 

Conferme da altre ricerche indipendenti.

Occorre dire che comunque diversi portali d’informazione hanno onestamente preso atto dei dati, addirittura c’è chi ha ricordato che nel rapporto sugli abusi sessuali verso i bambini in Spagna pubblicato lo scorso novembre da Save the Children, «non si fa nemmeno riferimento all’ambiente ecclesiale».

I numeri erano talmente piccoli che non è stato ritenuto indicativo citarli, confermando invece le statistiche rilevate più recentemente da ANAR.

Nessuno ha invece considerato quanto noi abbiamo scoperto. Il risultato trovato da Fundación ANAR conferma totalmente lo studio svoltosi nel 2018, finanziato dal Ministero della Scienza, Innovazione e Università e a cui ha partecipato l’Università dei Paesi Basi e l’Università di Barcellona.

Il capo-ricercatore, Josep Maria Tamarit, direttore del programma di Criminologia dell’Università della Catalogna, infatti, concluse che in Spagna, dove vi sono 23.000 parrocchie e 18.000 sacerdoti, «le condanne per pedofilia coinvolgono meno dello 0,2% dei religiosi».

 

1 persona oggi accusata su 3.400 assunte dalla Chiesa.

Nonostante questi dati, la progressista María José Segarra Crespo, capo della commissione di Giustizia del congresso spagnolo e l’attuale procuratore generale, Dolores Delgado, hanno voluto indagare su tutti i casi di pederastia attuali relativi esclusivamente all’interno di congregazioni, scuole o qualsiasi altra istituzione religiosa.

Dopo 2 settimane di lavoro (con annessa campagna informativa da parte di El País) da parte della Procura, i numeri raggiunti sono di 68 imputati in procedimenti legali attivi al momento.

Considerando il rapporto del 2017 dei dipendenti della Chiesa in Spagna, vanno considerati:

17.754 sacerdoti provenienti da 23.000 parrocchie
1.263 seminaristi
100.000 catechisti
100.000 insegnanti di 2.600 scuole cattoliche
Un numero imprecisato di operatori ospedalieri pediatrici cattolici ecc.

Si può calcolare a grandi linee 230.000 adulti presenti negli enti ecclesiastici, con rapporti quotidiani con 3,6 milioni di minori (quelli che frequentano la parrocchia, il catechismo, le scuole ecc.). Tra essi vi sono solo 68 denunciati (non condannati).

Cioè, si può anche dire che su 3.400 adulti all’interno delle istituzioni cattoliche, 1 è stato denunciato per abuso.

E’ evidente che se si rapportano questi dati con quelli nelle scuole statali e nelle istituzioni civili, oltre che nelle famiglie, le parrocchie e gli enti cattolici risultano essere i luoghi più sicuri per i bambini. In essi, stando ai dati nudi e crudi, vi è meno incidenza e più severa regolamentazione interna.

 

Pedofilia avviene di più nelle famiglie monoparentali.

Un altro dato importante dell’indagine di ANAR smentisce anche la ricostruzione femminista secondo cui la pedofilia sarebbe diffusa nella “famiglia tradizionale cattolica”, intesa come padre-madre-figli.

Un attacco ingiustificato, che dà per assunto che qualunque famiglia in cui i genitori non sono divorziati sia automaticamente “cattolica”.

Fundación ANAR ha comunque rilevato che il 51,9% delle vittime di abusi sessuali appartiene ad una famiglia monoparentale. «Una proporzione molto elevata in termini relativi», si legge, «se si tiene conto che le famiglie monoparentali rappresentano appena il 12,7% in Spagna».

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

In un secondo grafico vengono presentati dati più dettagliati: solo il 38,5% dei bambini abusati vive in una “famiglia tradizionale”, mentre il 49,3% abita con una madre o padre single, o con un genitore biologico e un patrigno/matrigna.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La redazione

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Gemma Calabresi, moglie del commissario: si convertì il giorno dell’omicidio

La conversione della vedova del commissario Luigi Calabresi. Il percorso di fede iniziò proprio la mattina del 17 maggio 1972, quando uccisero il marito. I mandanti morali ancora non le hanno chiesto scusa. E’ uscito il libro che racconta la sua storia.

 
 
 

E’ la storia di un perdono e di una conversione sbocciata in modo incredibile e drammatico.

In un libro la vita di Gemma Calabresi, vedova del commissario Luigi, si intitola La crepa e la luce (Mondadori 2022).

Luigi Calabresi venne assassinato il 17 maggio 1972 da due militanti di Lotta Continua, ma uno dei mandanti fu Adriano Sofri, incarcerato per concorso morale in omicidio ed fino a poco tempo fa editorialista di Repubblica.

In una bella intervista, Gemma Calabresi -madre del famoso giornalista Mario- ha raccontato di sé e del giorno dell’omicidio del marito, esprimendo una semplice ma radicata fede cattolica.

Il commissario di polizia Calabresi venne ingiustamente accusato dai militanti di sinistra della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli dopo la strage di piazza Fontana. «Trovavo le scritte sui muri vicino a casa, nella discesa verso la metro», ricorda la moglie. «“Calabresi assassino”, “Calabresi sarai giustiziato”, “Calabresi farai la fine di Pinelli”».

 

Quella mattina…la conversione di Gemma Calabresi.

La mattina del 17 maggio 1972 lo freddarono in un agguato in piazzale Baracca, a Milano.

Appena saputolo, racconta oggi la donna, «mi accasciai sul divano. Mi sentivo distrutta, svuotata, abbandonata. Un dolore lacerante, anche fisico. Non so quanto tempo sono stata lì, con le mani nelle mani di don Sandro. So che a un certo momento Dio è arrivato. Dio era lì con me, su quel divano. Ne sono assolutamente certa. Ho sentito una pace profonda. Tutto, le persone che parlavano piangevano gridavano, tutto era ovattato, distante».

Gemma Calabresi aveva ricevuto un’educazione religiosa ma la sua fede, fino a quel momento, era formale.

«Il dono della fede arrivò allora», racconta. «Proposi a don Sandro: “Diciamo un’Ave Maria per la famiglia dell’assassino“. Ma non era roba mia. Io ero una ragazza di venticinque anni cui avevano appena ammazzato il marito. Era Dio che mi indicava la strada, che rendeva testimonianza attraverso di me. Lì ho capito che ce l’avremmo fatta, io e i bambini. Certo, sapevo che la vita non sarebbe più stata la stessa. Ma sentivo che non ero sola».

Con questo fatto drammatico iniziò il percorso di fede che porterà Gemma Calabresi a perdonare gli assassini del marito.

L’umiliazione proseguì anche all’obitorio, appena uscita si imbatté in ragazzi dell’estrema sinistra «che inveivano contro mio marito, che gridavano insulti e slogan. Puoi anche essere contento in cuor tuo che abbiano ucciso il commissario Calabresi; ma non puoi urlarlo in faccia alla vedova, che poi era una ragazza poco più grande di loro».

 

Gemma Calabresi è stata ospite recentemente del Centro Culturale di Milano:

 

L’omicidio Calabresi è ancora un tabù per certa stampa.

Ma l’omicidio Calabresi è ancora un tabù per una certa area giornalistica.

Molti degli intellettuali che ancora oggi intervengono su tematiche etiche, furono gli autori di una violenta campagna ideologica di denigrazione e odio che trovò ampio spazio sui giornali. E che portò all’omicidio Calabresi.

Prima dell’uccisione del commissario, infatti, l’Espresso pubblicò un manifesto contro il «commissario torturatore» firmato dalle grandi firme di allora, che diede avvio alla denigrazione pubblica verso Luigi Calabresi, fino al giorno della morte. Anche in seguito, tutti i giornali si dimostrarono innocentisti verso gli imputati che, alla fine, vennero però condannati.

Tra i firmatari ed accusatori di Calabresi vi furono:
Polo Mieli,
Eugenio Scalfari,
il regista Marco Bellocchio,
Giorgio Bocca,
Tinto Brass,
Liliana Cavani,
Dario Fo,
Franca Rame,
Federico Fellini,
Umberto Eco,
Furio Colombo,
Natalia Ginzburg,
Margherita Hack,
Dacia Maraini,
Alberto Moravia,
Massimo Teodori ecc.

Giampaolo Pansa declinò l’invito a firmare e sosterrà che la lettera costituì «un avallo al successivo assassinio di Calabresi». Gli unici, tra quelli citati, ad essersi scusati risultano essere Paolo Mieli ed Eugenio Scalfari.

Paolo Mieli, infatti, ha dichiarato: «Mi vergogno di aver firmato quell’appello contro Luigi Calabresi. Facemmo un errore abbiamo dato una colpa a qualcuno con una scusa. Dicevamo: “io so chi è stato non ho le prove. Ma so chi è stato”. Tanto poi a sparare sono altri e io poi vado avanti e ridirò la stessa cosa: “io so, ma non ho le prove”. Beh, io mi vergogno davvero di quella cosa. Non è una bella pagina della mia vita».

 

Adriano Sofri, mandante ed editorialista di Repubblica.

Per anni il mandante morale dell’omicidio Calabresi, Adriano Sofri, ha firmato articoli su Repubblica, ad esempio sponsorizzando le unioni omosessuali. Oggi scrive su Il Foglio.

Ebbe il buon gusto di fare le valigie quando nel 2015 il figlio del commissario, Mario Calabresi, divenne direttore di Repubblica.

Alla domanda se abbia mai parlato con Sofri, Gemma Calabresi ha risposto seccamente: «No».

Effettivamente Sofri non chiese mai scusa ai Calabresi. L’unica volta che si avvicinò a farlo fu tramite la mediazione di Indro Montanelli. Così, dal carcere, l’ex leader di Lotta Continua scrisse alla vedova Calabresi: «Montanelli mi chiede, testualmente, di dirle che la campagna di denigrazione e di istigazione contro suo marito, e padre dei suoi figli, fu un’infamia. Glielo dico. Mi chiede di dirle: quella volta mi sbagliai. Glielo dico».

Il figlio del commissario, Mario Calabresi, nel 2021 ha sottolineato che oggi diversi protagonisti di quell’epoca (come i mandanti morali ed i firmatari del vergognoso appello) sono ancora in tv, sui giornali, nella cultura quotidiana a “pontificare” senza aver mai detto una parola di scuse o meglio aver aggiunto frammenti di verità. «Anche Adriano Sofri sa delle cose ma non le ha mai voluto dire», aggiunge amaramente l’ex direttore di Repubblica.

Oggi la donna ricorda quella «consapevolezza calda» che «mi aveva avvolta: Dio aveva già perdonato le persone responsabili della morte di Gigi e io avevo tempo, il mio tempo per farlo. E non sarei stata sola in questa strada, perché — lo sapevo — Lui sarebbe stato con me».

Una testimonianza potente di perdono cristiano, che non toglie però la responsabilità per i firmatari di quel terribile atto di accusa, molti ancora vivi, di chiedere perdono ed evitare di ergersi a luminari di morale progressista.

La redazione

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Gb, la legge sull’aborto trema grazie a questa donna disabile

Nel giorno della Festa della donna, una giovane disabile ha obbligato l’Alta Corte di Londra a decidere se la legge sull’aborto discrimina i disabili permettendone l’uccisione fino al momento della nascita.

 
 
 

L’8 marzo scorso è accaduto qualcosa di impensabile nel Regno Unito.

La Corte di appello di Londra ha infatti deciso di riaprire il caso di Heidi Crowther, 26 anni portatrice di sindrome di Down, e di Maire Lea-Wilson, 33 anni, mamma di Aidan, 16 mesi, portatore di trisomia 21.

Le due donne sostengono che la legge inglese sull’interruzione di gravidanza discrimina i portatori di handicap e viola la Convenzione europea dei diritti umani.

In Gran Bretagna, infatti, i bambini disabili possono essere uccisi nel grembo materno fino al momento della nascita, mentre per i bambini sani il limite è di 24 settimane.

 

«Sono felicissima, un regalo per la Giornata della donna»

«È una norma che dice ai disabili che non dovrebbero esistere e viola i loro diritti umani», ha dichiarato Heidi Crowther davanti alla corte. «Io mi sento indesiderata dalla società alla quale appartengo».

Nel settembre 2021 l’Alta Corte aveva deciso che il caso comportava problemi di natura morale ed etica e dunque era di competenza del Parlamento, ma la Corte di appello ha ribaltato la sentenza, riaprendo il dibattito sulla questione.

La nuova udienza si terrà tra novembre e dicembre 2022. Se le due donne dovessero vincere, i giudici chiederanno al governo di riesaminare la legge sull’aborto.

«Sono così felice da poter scoppiare», ha detto Heidi a BBC News. «Ancor di più per il fatto che questo è avvenuto durante la Giornata internazionale della donna».

Per chi vuole sostenere Heidi, questa è la sua pagina Facebook.

 

 

Le donne abortite in nome dei diritti della donna?

Anche se l’appello dovesse fallire, Heidi Crowther ha mostrato al mondo l’assurdità di uccidere delle bambine, tramite l’aborto, per difendere il diritto delle donne ad interrompere la gravidanza.

L’incoerenza della logica a sostegno dell’aborto era già stata scardinata da Gianna Jessen, sopravvissuta all’aborto e resa permanentemente disabile: «Lo slogan oggi è: “libertà di scelta, la donna ha il diritto di scegliere”. Ma intanto la mia vita veniva soppressa nel nome dei diritti della donna».

C’è una remota possibilità che l’Alta Corte londinese riduca il limite di aborto a 24 settimane anche per i bambini disabili, per lo meno Heidi Crowther ne è convinta.

Ma anche porre un limite temporale risponde ad un’assurdità: perché a 23 settimane e 6 giorni sarebbe legittimo uccidere una bimba non ancora nata, mentre il giorno dopo no?

Come ha spiegato su questo sito web il matematico Francesco Malaspina, lo sviluppo fetale «procede con una meravigliosa continuità e gradualità» e porre un termine «è assolutamente artificiale. Nessuno si sogna di affermare che esista un interruttore collocato al termine della 12° settimana», o alla 24° settimana come nel Regno Unito, «che, scattando, faccia diventare essere umano ciò che prima non lo era».

L’unico vero “interruttore” è al momento del concepimento, lì compare la nuova vita umana e da quel momento si verifica uno sviluppo graduale dell’essere umano.

 

Dall’8 marzo in Guatemala divieto di aborto.

Sempre l’8 marzo scorso, in Guatemala il parlamento (101 voti favorevoli e 8 contrari) è proclamato illegale l’interruzione di gravidanza con pene maggiorate per i medici che la praticano (oltre ad aver ufficializzato l’incostituzionalità del matrimonio omosessuale ed il divieto di indottrinamento scolastico sul gender).

Il divieto di aborto è giustificato con la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, mentre resta legalizzato quando la vita della madre è a rischio.

Si attende la firma del presidente Alejandro Giammattei per l’entrata in vigore, non è chiaro se lo farà anche se 102 membri del suo partito hanno votato a favore.

La giovane deputata Patricia Sandoval e centinaia di altre donne hanno esultato per l’approvazione della legge: «Quale giorno migliore di oggi per approvare una legge a favore della famiglia!», ha dichiarato la donna in parlamento.

La redazione

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Un terzo degli atei crede a fantasmi e astrologia

Ateismo e superstizione. Uno studio mostra importanti percentuali di atei ed agnostici che credono nella superstizione, tra fantasmi, reincarnazione, astrologia e poteri psichici. I paesi indagati sono Stati Uniti, Brasile, Regno Unito, Giappone, Danimarca e Cina.

 
 
 

Atei verso cosa, di preciso?

Verso Dio? E se poi, negato il Creatore, si venera e si ripone speranza di salvezza e attesa di significato ultimo per la propria vita negli idoli?

La Bibbia ha indicato questo nel vitello d’oro, che oggi potrebbe essere la moda, l’accumulo di beni, il progresso, l’estetica, la scienza, il marxismo, il denaro, la filosofia, la politica, l’ecologia ecc.. Surrogati del vero bene, quello che rende lieto il cuore.

«Quando il cielo si svuota di Dio, la terra si riempie di idoli», scrisse per l’appunto Karl Barth.

Che dire poi se, oltre agli idoli mondani, una discreta quota di atei e agnostici crede nella reincarnazione, nell’astrologia, nei poteri mistici, in forze soprannaturali, negli spiriti e nella vita ultraterrena?

 

Atei e paranormale: i risultati dello studio.

E’ quello che ha certificato uno studio realizzato da quattro atenei universitari ed intitolato Understanding Belief (qui un abstract).

I ricercatori hanno infatti indagato le convinzioni di un campione rappresentativo di atei e agnostici in sei Paesi al mondo.

La ricerca ha mostrato che negli Stati Uniti il 20% degli atei (ed il 16% degli agnostici) crede in demoni, angeli, fantasmi e spiriti soprannaturali, il 15% crede nella reincarnazione ed il 33% in un senso ultimo degli eventi, oltre a percentuali più basse di credenza nel nel Karma (12%), nell’astrologia (15%) e nei poteri mistici (12%).

Nel Regno Unito le percentuali non sono diverse, se il 18% dei non credenti (e 22% degli agnostici) crede in esseri soprannaturali, il 28% confida nei significati nascosti dell’Universo, il 20% negli eventi soprannaturali, il 12% nei poteri psichici.

In Danimarca, gli atei che credono nella vita dopo la morte sono il 20%, gli atei astrologi arrivano al 25%, stessa percentuale per la fede nei poteri mistici delle persone, mentre arrivano al 30% i non credenti convinti di indefinite forze di bene o di male. Il 15% crede nel Karma, il 25% nell’astrologia ed il 19% degli atei danesi (e d 16% degli agnostici) negli spiriti soprannaturali (fantasmi ecc.).

In Brasile, fantasmi e spiriti sono ritenuti reali dal 30% degli atei, i quali credono anche alla rincarnazione (28%), nell’astrologia (21%), nei poteri psichici (25%), negli eventi soprannaturali (30%), nelle forze di bene o di male (35%) e nel Karma (25%).

In Giappone, il 22% di chi nega Dio crede negli esseri soprannaturali (il 24% degli agnostici) ed il 20% in un significato nascosto degli eventi. Gli atei giapponesi si sono rivelati essere i più “atei” in generale, confidando molto meno dei loro “correligionari” statunitensi ed europei nella superstizione e nelle forze soprannaturali.

In Cina, il 25% degli atei è convinto della reincarnazione, il 35% dell’astrologia, il 20% dei poteri psichici, il 30% nelle forze del bene e del male, il 25% negli esseri soprannaturali ed il 22% nel Karma.

 

Senza Dio, spuntano gli idoli.

«Mentre “credenza” ed “incredulità” sono normalmente usati in relazione a Dio», hanno concluso gli autori dello studio, «ci sono molti altri esseri soprannaturali e fenomeni, logicamente, l’incredulità in Dio non comporta l’incredulità in queste altre cose».

La convinzione che ci siano «”forze sottostanti” del bene e del male, che “esiste una forza o spirito vitale” e che “gli eventi della vita più significativi accadono per una ragione” sono i più approvati tra i non credenti a livello globale». Seppur, va sottolineato, in percentuali inferiori rispetto alla popolazione generale.

Nel 2008, al contrario, il Washington Post titolava Guarda chi è irrazionale ora, riportando i dati di una ricerca che identificava i cristiani come le persone meno predisposte a credere a Bigfoot, UFO, case infestate, comunicazione con i morti ed astrologia.

 

Ateismo e sondaggi: attenzione all’inganno.

Lo studio è un’ennesima dimostrazione di quanto ha scritto Giuliano Guzzo nel suo ultimo libro, mettendo in guardia «da una lettura ingenua delle rilevazioni demoscopiche» pubblicate dai sociologi delle religioni.

«Chi ha esaminato seriamente la categoria», ha osservato il giovane sociologo a proposito dei “non religiosi”, «ha potuto rilevare come tutto sono fuorché scettici o irreligiosi»1G. Guzzo, Grazie a Dio. Come la fede promuove la civiltà, il progresso, la pace, la famiglia e la salute, Lindau 2022, p. 71, 72.

Basterebbe considerare avvenne nel cosiddetto “secolo ateo”, il Novecento, quando rinacquero spiritualismi, esoterismo e teosofia.

Albert Camus, accorgendosene, scrisse: «Per chi è solo, senza Dio né padrone, il peso dei giorni è terribile. Perciò, visto che Dio non è più di moda, bisogna scegliersi un padrone»2Albert Camus, La Caduta, 1956.

La redazione

 

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La Scozia si scusa per caccia alle streghe, assente nei paesi cattolici

Mea culpa del ministro scozzese per la caccia alle streghe, perpetrata in particolare dal clero calvinista. Nell’Europa cattolica, invece, non si verificò alcuna caccia alle streghe e gli storici mostrano che addirittura l’Inquisizione romana fu un ancora di salvezza per molte donne ingiustamente accusate.

 
 
 

La Scozia ha presentato le sue scuse ufficiali per le migliaia di donne condannate e giustiziate per stregoneria.

In molte occasioni, ha detto il primo ministro Nicola Sturgeon, «solo per il fatto di essere donne».

Secondo i dati più affidabili, nella Scozia protestante furono giustiziate e messe al rogo 1.500 “streghe”, secondo la storica britannica Christina Larner1Christina Larner, Enemies of God: The Witch-Hunt in Scotland, Chatto & Windus 1981 e «circa 1.500, e forse non più di 1.000», secondo lo storico Brian Levack2Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 30.

 

La Riforma protestante e la caccia alle streghe.

Ebbene sì, al contrario di quanto narra la leggenda nera, la verità è che i Paesi cattolici rimasero quasi del tutto immuni dalle cacce alle streghe che hanno invece inondato i Paesi protestanti (ad l’eccezione dell’Inghilterra).

Tutto iniziò in Germania, con la Riforma di Martin Lutero nel XVI secolo.

Brian Levack, docente di Storia dell’Università del Texas, ha spiegato infatti che dopo l’inizio della Riforma protestante, la Germania divenne «il paese in cui si ebbe il maggior numero di processi per stregoneria e di condanne capitali»3Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 115.

Addirittura, ha osservato, lo storico, «circa la metà» di tutti gli accusati di stregoneria in Europa (90.000 cittadini), «viveva nei territori germanici». E ancora: «L’altra grande concentrazione di processi si ebbe nelle regioni confinanti con la Germania. A sud, in Svizzera, da sempre riconosciuta come un vero e proprio centro della caccia alle streghe, furono processate almeno 10.000 persone»4Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 30.

Laddove il protestantesimo prese piede tramite il clero protestante proveniente dalla Germania, arrivó anche l’ossessione per le streghe e per il sabba (mentre gli inquisitori cattolici non ci credevano).

Addirittura, l’eminente storico statunitense, ha sottolineato che «molti protestanti sostenevano che le streghe potessero essere processate anche in mancanza di prove di maleficia, in base al semplice fatto che in quanto streghe la loro volontà era corrotta»5Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 77.

In Scozia attecchì soprattutto il pensiero calvinista ed il clero scozzese svolse un ruolo molto attivo sia nella vita religiosa che nella persecuzione delle streghe.

«I preti scozzesi», ha scritto ancora Brian Levack, «non solo intervenivano nell’interrogatorio iniziale delle streghe come membri dell’assise della loro parrocchia, ma in quanto membri dell’Assemblea generale esercitavano una pressione costante sul governo per la creazione di uno Stato “teocratico” attraverso la repressione giudiziaria della stregoneria. Questo tipo di pressione è uno degli esempi più chiari di come i riformatori religiosi spingessero le autorità secolari a raddoppiare i loro sforzi nella caccia alle streghe»6Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 236, 237.

 

Nell’Europa cattolica nessuna caccia alle streghe.

Nell’Europa cattolica, invece, non si verificò nulla di tutto questo (a parte sporadiche occasioni).

Lo storico italiano Andrea Del Col, docente all’Università di Trieste, ha riconosciuto infatti che «furono soprattutto i tribunali secolari degli Stati protestanti del Centro Europa, piuttosto che le Inquisizione cattoliche, a emettere tali condanne»7Andrea Del Col, L’Inquisizione in Italia. Dal XI al XXI secolo, Mondadori 2021, p. 4, relative alle donne e uomini accusati di stregoneria.

«La Spagna e l’Italia rimasero entrambe saldamente cattoliche per tutto il periodo della Riforma», ha spiegato invece Brian Levack, ed «in entrambi i paesi si verificarono solo occasionali cacce alle streghe e il numero complessivo delle esecuzioni fu estremamente basso»8Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza 2012, p. 137.

I motivi politici, geografici e religiosi per cui i Paesi protestanti furono così attivi contro la stregoneria sono complessi e meritano una trattazione a parte.

Quest’anno pubblicheremo un dossier specifico (ed unico nel web, frutto delle nostre ricerche) sulla caccia alle streghe in cui mostreremo i risultati raggiunti dalla storiografia moderna.

 

L’Inquisizione romana salvò le “streghe”.

Nel futuro dossier che pubblicheremo, verrà mostrato anche che l’Inquisizione cattolica, quella romana (in Spagna il tribunale era totalmente diretto dalla monarchia), fu spesso un ancora di salvezza per le donne accusate di stregoneria.

E’ stato in particolare lo storico (laico) Adriano Prosperi, professore emerito di Storia moderna presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, a rilevare lo scetticismo del Sant’Uffizio verso la realtà delle streghe. Constatando:

«Ci sono processi a difesa delle streghe: in diversi casi troviamo persone processate per aver dato della “strega” a qualche donna. L’accusa di stregoneria era diventata materia di litigi tra donne e il tribunale sorto per combattere la stregoneria interveniva per tutelare l’onorabilità delle donne offese da quel titolo»9Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi 1996, p. 191-192.

La redazione

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Mai confondere martirio cristiano e suicidio islamico

La differenza nel martirio tra cristiani e musulmani. Il card. Robert Sarah, prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, introduce così un libro-inchiesta sui martiri copti uccisi in Egitto nel 2015.

 
 
del card. Robert Sarah,

prefazione de I 21. Viaggio nella terra dei martiri copti (Cantagalli 2022).

 
 
 

Bisogna sapere che il termine “martire”, che in greco significa “testimone” (martus) è stato completamente stravolto dai fondamentalisti islamici.

Come spiega Annie Laurent, nell’Islam, il martire (chahid, testimone) è certamente colui che acconsente a sacrificare la propria vita, ma l’amore di Dio, il perdono e la gratuità sono estranei a questa realtà.

Il martire islamico non muore per testimoniare il proprio credo […], muore invece nel contesto del jihad, perché l’Islam possa trionfare, o per una causa affine, quale per esempio la «liberazione della Palestina» e per «guadagnare il paradiso».

Questa morte è considerata sacra anche quando assume la forma di un attentato suicida, con l’accesso al paradiso come ricompensa. Si noti inoltre che il significato delle due parole chahid e martus esprime la differenza essenziale e diametralmente opposta tra il martirio previsto nel Corano ed il martirio cristiano.

La parola chahid ha un significato attivo, il che significa che il martirio è ricercato per sé stesso nell’ambito di un combattimento da portare avanti fino alla morte, e che può essere assimilato anche al suicidio, poiché l’autore dell’assassinio acconsente volentieri al sacrificio supremo, soprattutto nel caso di attentato terroristico.

Dall’altra parte, il termine martus ha a prima vista un significato passivo: il martire cristiano non ricerca la morte; egli la accetta volontariamente quando si presenta questa terribile prova.

 

Il martire cristiano muore perdonando il proprio carnefice.

Aggiungo subito tuttavia che non bisogna ingannarsi circa il carattere apparentemente passivo del martirio cristiano. Ho fatto uso di tale aggettivo solo per distinguerlo dalla natura aggressiva e violenta dello chahid coranico.

“Attivo”, il martire cristiano lo è in senso pieno. Non è affatto seguace di quello che nel XVII secolo verrà chiamato “quietismo”, anzi egli lotta in mezzo alle prove. Si tratta, però, di un altro tipo di combattimento, di natura spirituale, il combattimento della fede, molto aspro, decisivo e dal quale dipende la salvezza della propria anima; un combattimento che non è altro che quello di Cristo sulla croce.

E’ una lotta spietata contro le forze del male, cioè contro Satana, che va in cerca della sua preda «come leone ruggente» (1Pt 5,8), contro la concupiscenza della carne e anche contro la nostra tendenza -naturale, dopo il peccato originale- a ritrarci con paura di fronte alla sofferenza che giudichiamo umanamente ingiusta, dovuta ai tormenti del martirio e della morte corporale.

Eppure, tutti i martiri, dalla fragile santa Blandina, data in pasto alle belve nell’anfiteatro delle Tre Gallie a Lione, a san Massimiliano Kolbe, nel bunker della fame di Auschwitz, hanno dato prova di un coraggio straordinario, di una forza che superava ogni umana comprensione e provocava stupore, persino l’ammirazione da parte dei loro carnefici…che essi hanno saputo perdonare con sincerità di cuore, come ha fatto Gesù in cima alla Croce gloriosa: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,24).

Il martire cristiano muore perdonando il proprio carnefice, a imitazione e in unione a Cristo sulla croce.

Se ne può trovare un esempio nelle parole di mons. Angaelos, vescovo dei copti ortodossi nel Regno Unito, che subito dopo la loro uccisione ha dichiarato di essere «pronto» a perdonare i terroristi, anche se ad alcuni la cosa poteva sembrare «incredibile»: «Non perdoniamo l’azione, che è atroce. Ma perdoniamo veramente gli assassini dal profondo del nostro cuore. Altrimenti, saremmo consumati dalla rabbia e dall’odio e alimenteremmo una spirale di violenza che in questo mondo non deve esistere».

 

Il martirio cristiano non è ricercato.

Infine, ecco l’ultima caratteristica del martirio cristiano: non va ricercato per sé stesso, perché in un certo senso ciò sarebbe come provocare Dio per ottenere il premio del paradiso e fare di Lui ciò che Egli non è.

Dio non è una sorta di idolo pagano con il quale mercanteggiare per conseguire determinati vantaggi: successo, potere, ricchezza e…salvezza eterna; bisogna invece lasciare che sia come Egli è, ossia un Padre molto amorevole […].

Il martirio implica, pertanto, una totale gratuità.

A mò di conclusione vorrei citare la madre dei due fratelli martiri Samuel e Beshoy: «Sono madre di martiri e sono orgogliosa di loro. In Cielo intercedono per me e per loro padre». E aggiunge, inoltre, che prega per i seguaci dello Stato islamico e che chiede a Dio «che li illumini e apra i loro cuori alla verità e al bene».

Si, questo famoso apoftegma di Tertulliano è proprio vero: «Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani» (Sanguis Martyrum, semen Christianorum).

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Dati Oscad 2021: nessuna emergenza omofobia (ddl Zan inutile)

I nuovi dati dell’Osservatorio sugli atti discriminatori della Polizia di Stato confermando l’inesistenza di un’emergenza omotransfobica in Italia, nonché l’inutilità di una legge apposita. Chi ringraziare per l’affossamento del ddl Zan?

 
 
 

Pubblicati da poco i nuovi dati da parte dell’Oscad, l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori della Polizia di Stato, relativi al 2021.

Ancora una volta si certifica quanto già abbiamo dimostrato nel nostro dossier.

Al di là di sporadici casi di aggressione a persone omosessuali, non esiste alcun fenomeno di “omotransfobia” in Italia, tanto meno un’emergenza tale da giustificare disegni di legge specifici.

 

Solo 77 segnalazioni riguardanti l’omotransfobia.

Su 361 segnalazioni di reati di matrice discriminatoria comunicati dalla Polizia di Stato, infatti, 77 riguardano l’orientamento sessuale o l’identità di genere.

Premesso che anche un solo caso sarebbe grave e da condannare, è evidente che fortunatamente si tratta di un fenomeno marginale, molto distante da ciò che viene dichiarato dall’associazionismo Lgbt (senza citare alcuna fonte, se non quelle interne a loro).

Oltretutto bisogna considerare che si tratta soltanto di segnalazioni alla polizia, senza alcun accertamento del reato. E nonostante ciò, solo il 21,3% del totale riguarda la cosiddetta omofobia.

 

In calo rispetto agli anni precedenti.

Un dato in calo, inoltre, rispetto al passato.

I dati pubblicati nel 2020 e riferiti dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, infatti, rilevavano 82 casi legati all’orientamento sessuale e identità di genere.

Nei dati relativi al 2019, invece, i casi segnalati di discriminazioni relative all’orientamento sessuale e l’identità di genere erano 105.

 

Più discriminazioni religiose che omofobia.

Altro dato significativo è che secondo i dati Oscad è che le discriminazioni più frequenti in Italia hanno sfondo etnico e religioso, seguite da quelle riguardanti la disabilità. L’omofobia è il fanalino di coda.

Questo è un altro «segno che di leggi come il Ddl Zan non c’è mai stato e non c’è alcun bisogno», ha commentato Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia.

«Gli sperticati allarmi di una fantomatica “emergenza omofobia” in Italia lanciati dai promotori del Ddl Zan erano dunque totalmente inventati», ha proseguito Coghe, «mentre il reale intento della legge, come abbiamo sempre sostenuto, era di limitare la libertà di opinione e di espressione delle famiglie e introdurre l’ideologia Gender nelle scuole

Anche per questo il ddl Zan è stato tranquillamente affossato dal parlamento, senza alcun incrementato pericolo verso le persone omosessuali. Chiuso (e sepolto) nello stesso cassetto del predecessore ddl Scalfarotto.

 

Il ddl Zan e la visione antropologica gender.

Accertata l’inutilità di una legge sull’omofobia, il ddl Zan conteneva diversi punti critici, i veri obbiettivi del mondo Lgbt.

Innanzitutto il self-id (la libera autocertificazione del proprio genere sessuale), le restrizioni della libertà di manifestazione del pensiero, l’imposizione dell’Arcigay nelle scuole a parlare di gender e omofobia (e non solo), l’introduzione dei controversi contenuti dei gender studies (come l’indipendenza tra sesso e genere, mai approvata dalla comunità scientifica) che minano la specificità della donna.

Si trattava di un cavallo di Troia per introdurre surrettiziamente nel codice penale la controversa e pericolosa visione antropologica arcobaleno. Ad accorgersene moltissimi autorevoli esponenti che si sono affiancati alle decine di instancabili sigle del movimento pro-life e pro-famiglia italiane.

 

Ecco chi ringraziare per l’affossamento del ddl Zan.

Pur con diversi mesi di ritardo, vorremmo brevemente ricordare alcuni dei principali fautori (principalmente non cattolici) dell’affossamento del ddl Zan.

Una citazione nel mondo cattolico va, oltre ai parlamentari che hanno votato contro, all’intervento determinante della segreteria di Stato della Santa Sede, al quotidiano Avvenire (che ha saputo dare spazio magistralmente a decine di commenti autorevoli, anche provenienti da aree culturali distanti da quelle cattoliche) ed al Centro Studi Livatino.

 

Il merito va condiviso però con numerosi ed eminenti giuristi (costituzionalisti, magistrati, accademici, avvocati), storiche femministe, importanti filosofi ed opinionisti e alcune sigle ed esponenti del mondo Lgbt.

Marina Terragni, storica femminista che ha denunciato «la sparizione delle donne» nell’ideologico testo del ddl Zan;

Michele Ainis, costituzionalista ed editorialista di Repubblica, il quale ha sottolineato nel ddl la volontà di «cancellazione del femminile, dopo decenni di lotte per difenderne la specificità»;

Massimo Fini, laicissimo editorialista de Il Fatto, per il quale si trattava di «una legge dittatoriale e nemica della libertà»;

Paolo Flores d’Arcais, militante ateo e direttore di MicroMega, secondo cui l’intreccio tra sesso, genere sessuale e identità di genere (cioè la nota teoria gender) contenuto nel testo «offende la lingua italiana e la biologia. Esistono solo due sessi, il resto è pura follia»;

Vincenzo De Luca, governatore dem della Campania, che alla Festa dell’Unità ha mandato «al diavolo» il disegno di legge in quanto voleva imporre di celebrare la Giornata di riflessione sull’omotransfobia nelle scuole;

Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, per il quale «il ddl zan restringe l’ambito della libertà di manifestazione del pensiero»;

– l’associazione Lgbt Arcilesbica (in particolare Rita Paltrinieri), firmataria di diversi appelli contro il ddl Zan a causa dell’introduzione dell’identità di genere e «con l’idea di un genere liberamente scelto»;

Domenico Pulitano, professore emerito di Diritto presso l’Università Bicocca, intervenuto parlando di «legge controproducente ed illiberale, populismo legislativo, inutile in quanto la legge Mancino è già ben attrezzata»;

Erika Stefani, avvocati e ministro per le disabilità nel governo Draghi che ha denunciato la strumentalizzazione «dei disabili, inseriti nella legge solo con un riferimento forzato»;

Francesca Izzo, femminista democratica e docente di Storia delle dottrine politiche, la quale si è lamentata che «il ddl Zan mette in discussione l’esistenza delle donne e nega la possibilità che possa esserci una differenza tra una donna biologicamente tale e una donna trans»;

Filippo Vari, ordinario di Diritto costituzionale dell’Università Europea di Roma, il quale ha denunciato la volontà di introdurre «eccessive restrizioni alla libertà di manifestazione del pensiero»;

Aurelio Mancuso, ex presidente nazionale dell’Arcigay, contrario al ddl Zan in quanto «infarcito di visioni discutibili che producono un corto circuito logico anche dal punto di vista giuridico»;

Giuseppe Valditara, ordinario di Diritto privato romano dell’Università degli Studi di Torino e i 300 professori universitari da lui coordinati, firmatari di una lettera pubblica contro l’introduzione tramite il progetto di legge di definizioni controverse in ambito scientifico e «la limitazione illegittima della libertà di manifestazione del pensiero»;

Natalino Irti, professore emerito di Diritto all’Università La Sapienza e presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, che ha stigmatizzato la volontà surrettizia di «sopprimere la libertà di dissenso e di critica»;

Eugenio Mazzarella, ordinario di Filosofia teoretica all’Università degli Studi di Napoli, il quale ha elencato le contraddizioni del ddl Zan, definendola «una legge di bandiera mal sventolata»;

Stefano Fassina, deputato comunista e parlamentare di Liberi e Uguali, cha ha respinto «il riferimento all’identità di genere, che non può diventare un progetto educativo universale»;

Guido Salvini, magistrato, anch’egli preoccupato in quanto «una legge non può essere in contrasto con la legittima libertà delle opinioni» e non può debordare «verso l’imposizione di una visione che non tutti, per ragioni religiose, biologiche, culturali, si sentono di condividere»;

Carlo Nordio, magistrato, che si è scagliato contro «una legge formulata male e propagandata peggio, fino a contraddire se stessa»;

– le femministe di RadFem Italia e Se Non Ora Quando, coordinate dalla giornalista Monica Ricci Sargentini e firmatarie dell’appello Perché il femminismo italiano non sostiene la legge Zan contro l’omotransfobia;

 

Al di là delle dichiarazioni di bandiera di cantanti ed influencer, in Italia l’omotransfobia rimane, per fortuna, quel che è sempre stata: inesistente.

La redazione

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