Lo scienziato agnostico che si è convertito a Medjugorje

medjugorjeLe conversioni a Medjugorje. Tra gli innumerevoli convertiti anche João Carlos Da Silva, ricercatore e ingegnere portoghese che ha raccontato la sua esperienza nel paesino della Bosnia Erzegovina.

 

Arrivò incredulo ma, al suo ritorno in Portogallo, era già certo di quel che aveva sperimentato. Il suo nome è João Carlos Da Silva, ricercatore portoghese ed ingegnere di Biosistemi, docente presso l’Università Tecnica di Lisbona. Un uomo completamente secolarizzato, privo di credo religioso ma con la “casualità” di avere una moglie interessata ai fenomeni di Medjugorje, la cittadina della Bosnia Erzegovina dove dal 1981 alcune persone dicono di ricevere apparizioni quotidiane dalla Vergine.

 

La scienza e Medjugorje: apparizioni e sole pulsante.

Il caso delle apparizioni di Medjugorje è stato analizzato anche da alcuni medici e scienziati, che hanno escluso la “frode e l’inganno cosciente”. Lo ha confermato Giorgio Gagliardi, psicofisiologo e psicoterapeuta alla Scuola Europea di Ipnosi e Psicoterapia Ipnotica di Milano e membro del Centro Studi Parapsicologici di Bologna. I fenomeni che lì avvengono rimangono un mistero e hanno generato enorme scetticismo, sia all’interno che all’esterno del mondo cattolico.

Uno studio del 2016 ha rilevato che i pellegrini che si recano a Medjugorje non sono affatto sprovveduti creduloni, lontani da tentazioni millenariste, sincretismo religioso o miracolismo magico. Vi sono comunque numerose testimonianze su fatti apparentemente inspiegabili come improvvise pulsazioni del sole, percepite da tutti ad occhio nudo. Ne sono state testimoni la giornalista Rai, Elisabetta Castana, e la psicoterapeuta Fausta Marsicano, docente presso l’Università Europea di Roma. Quest’ultima, in particolare, ha smentito che si potesse trattare di un’allucinazione collettiva o di un fenomeno provocato dalle videocamere amatoriali, testimoniando che la percezione delle pulsazioni solari avviene in modo sincronico in tutti i presenti.

 

La posizione della Chiesa. Il Papa a Chiara Almirante: “ho salvato io Medjugorje”.

Per quanto riguarda l’approvazione della Chiesa, la Commissione d’inchiesta su Medjugorje presieduta dal card. Camillo Ruini ha concluso il suo rapporto, consegnandolo a Papa Francesco. Uno dei diciassette membri della Commissione, padre Salvatore Maria Perrella, preside della Pontificia Facoltà Teologica “Marianum” di Roma, ha spiegato che «il Papa ha avocato a sé ogni decisione su Medjugorje». Il giudizio di tale commissione non è definitivo e ha sezionato il “caso” in due segmenti: una prima parte riguarda le sette apparizioni iniziali, su cui il giudizio è quello di credibilità. Mentre la Commissione è perplessa sul seguito delle apparizioni, che continuerebbero ancora oggi.

Nel novembre scorso, Chiara Almirante, fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti, si è recata da Papa Francesco avendo il sospetto che le informazioni in possesso del Pontefice -più volte intervenuto in modo critico verso la Madonna “postina”– non fossero fondate. Il Papa le ha risposto: «Chiara, guarda che sono io che ho salvato Medjugorje, perché la Commissione della Congregazione della Dottrina della Fede, sulla base di tante notizie anche false, aveva già detto che Medjugorje è tutto falso. Quindi sono io che poi ho salvato Medjugorje, sono io che ho mandato Hoser perché credo – quello che ho anche affermato nella conferenza stampa – che i frutti sono tanti e sono inequivocabili. Puoi dire che ho a cuore Medjugorje, e che non mi sono reso conto che quella affermazione, che io ho detto a titolo personale, ma che nasceva anche da una informazione sbagliata, era arrivata in maniera così forte. Quindi puoi dire che ho a cuore Medjugorje, molto a cuore. E che mi sto muovendo col mio delegato Hoser, proprio per custodire tutto ciò che c’è di bello c’è a Medjugorje». Proprio mons. Henryk Hoser, il vescovo polacco che Papa Francesco ha nominato come Visitatore Apostolico a Medjugorje, sottraendone la giurisdizione dal vescovo di Mostar, mons. Peric, ha annunciato qualche settimana fa la costruzione di un santuario più ampio, dopo aver definito Medjugorje “luce del mondo”.

 

La conversione dell’ingegnere agnostico João Carlos Da Silva.

Questo perché è innegabile la mole di conversioni che avvengono ogni anno in questo piccolo paesino, i cui frutti spirituali sono enormi e teologicamente sani. Tra essi proprio il prof. João Carlos Da Silva, il quale pur indifferente e completamente laico, alcuni anni fa ha acconsentito di accompagnare la moglie, devota cattolica, in un pellegrinaggio in seguito ad un esaurimento nervoso. Lui non ricordava neppure se aveva fatto o meno la Prima Comunione da piccolo, neppure l’ultima volta che era entrato in una chiesa o aveva assistito ad una celebrazione eucaristica, era più interessato a conoscere le tecniche di agricoltura del luogo che altro.

Il primo impatto, una volta arrivati a Medjugorje, fu scioccante. Lui stesso ha raccontato che nonostante 40 gradi di temperatura, migliaia di giovani erano raccolti in preghiera, interminabili file con centinaia di persone desiderose di confessarsi, canzoni, rosari. Ritornati all’ostello in cui alloggiavano, la guida li informò che il giorno seguente si sarebbe svolta un’apparizione dedicata ai non credenti. Si fece convincere dalla moglie e dalle figlie di scrivere su un foglio un’intenzione alla Madonna: «Intercedi per me davanti a Dio, perché perdoni i miei peccati». Durante la (presunta) apparizione, qualcosa in lui effettivamente accadde, in particolare -ha testimoniato- la sensazione di un «grande rammarico per il mio passato, per una vita colma di peccato, così passai tutto il mio tempo chiedendo a Dio la grazia del perdono». A questa sensazione si aggiunse un altro segno: «Sono stato assorbito da una brezza fresca e contemporaneamente tutte le cellule del mio corpo, dai piedi alla testa, sono state attraversate da qualcosa di simile a una corrente elettrica. Questo fenomeno durò alcuni secondi». La prima reazione, terminata l’apparizione, fu chiedere alle figlie se anche loro avevano sperimentato lo stesso, ricevendo risposta negativa e piuttosto sorpresa in quanto la temperatura era molto elevata.

La moglie si accorse del cambiamento di João Carlos Da Silva e insistette perché si confessasse, così fece e così avvenne la sua conversione e l’inizio della sua vita da cattolico. «Penso che questo sia stato il culmine dell’intercessione della Vergine di fronte a Dio, che avevo chiesto a Medjugorje. Dio vuole salvare tutti ed è pronto ad accogliere tutti quelli che sono lontani da Lui, come lo ero io».

La redazione

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Cuba, la prima chiesa costruita dopo 60 anni dal regime comunista

ateismo di stato cubaNotizie da Cuba, dove la religione è ancora repressa dai rimasugli del regime castrista. Ma i cattolici statunitensi sono riusciti a finanziare la costruzione di una nuova parrocchia, nuova “casa” per 200 fedeli cubani. E’ la prima a cui è stata concessa l’autorizzazione dopo la fine della dittatura atea.

 

Dopo sessant’anni dalla dittatura comunista, iniziata con la rivoluzione del 1959, una chiesa cattolica è stata costruita e inaugurata per la prima volta a Cuba, a 250 chilometri ad ovest dell’Avana. Un momento storico avvenuto lo scorso sabato 26 gennaio nella città di Sandino, davanti alla gioia di molti fedeli che ora avranno un luogo in cui pregare e ricevere i sacramenti. Nonostante decenni di comunismo ateo, Cuba mantiene infatti una popolazione cattolica che supera il 60%.

La nuova parrocchia, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, ha una capacità di 200 persone e occupa 800 metri quadrati di terra, che lo Stato ha accettato di cedere alla Chiesa. E’ stata finanziata dai cattolici statunitensi, gli stessi che sostengono e finanziano con grande generosità molte parrocchie dell’America Latina. In particolare, la nuova chiesa cubana è stata donata dai parrocchiani di San Lorenzo, della città americana di Tampa, che hanno raccolto circa 95mila dollari. La parrocchia è guidata da mons. Steven Dornquast, che ha spiegato: «aiutare i nostri fratelli è parte della nostra fede».

 

Cuba, il “paradiso” ateo che infatuò l’Occidente.

Come tutte le dittature comuniste, anche Cuba venne dichiarata “ufficialmente atea” da Fidel Castro e rimaste tale dal 1959 al 1992. Tuttavia, rispetto a tutti gli altri regimi atei (Cambogia, Cina, Corea, Vietnam, Jugoslavia, Unione Sovietica, Romania ecc.), su Cuba nacque un enorme mito e, anche in Italia, si credette per anni che si fosse instaurato un paradiso terrestre di libertà e umanità portato dalla rivoluzione. Lo stesso Che Guevara, spietato assassino, riuscì a trasformarsi in un’icona pop in Europa. Ad esempio, nel 1974 fu pubblicato il libro A Cuba (Cittadella di Assisi), scritto dal sacerdote Ernesto Cardenal, utile a comprendere l’infatuazione per la rivoluzione cubana anche all’interno del mondo cattolico. A Cuba, si legge, si è realizzato un «cristianesimo precristiano», che ha portato a «maturazione i caratteri nativi della gente cubana come la generosità gratuita, l’estro creativo, la giocosità corale». E’ una «società liberata e consegnata ormai alla crescita autentica». Si tessono le lodi del “carattere evangelico” del governo di Fidel Castro, «tutto il popolo è stato alfabetizzato» e L’Avana «è la città più allegra che ho visto».

La verità è che nella “città più felice al mondo” i credenti venivano fucilati al grido di “Viva Cristo Re”, il Natale cristiano fu spostato al 26 luglio, anniversario della rivoluzione. Nessuna libertà di stampa, campi di lavoro forzati, «chi voleva entrare a far parte del Partito Comunista, doveva superare un corso di “ateismo scientifico” e non poteva battezzare i figli», ha raccontato Yoani Sánchez, giornalista ed attivista cubana, famosa per il suo blog indipendente Generación Y. «Sono nata nell’epoca del più retrivo ateismo e sono entrata per la prima volta in una chiesa all’età di 17 anni. Malgrado ciò, di nascosto dai miei genitori – entusiasti del materialismo imperante – i miei nonni mi raccontavano le storie di Natale, del presepe, delle stelle che brillavano nella Notte Santa. Non capivo cosa ci fosse di male in certe cose, perché la maestra girava gli occhi e ci zittiva quando ci sorprendeva a parlare della Vigilia di Natale. Mi resi conto che la stessa intransigente professoressa portava un Gesù crocifisso, sotto forma di spilla dentro il portafoglio, ben nascosto dagli sguardi altrui. Questo falso ateismo era il risultato di uno dei cambiamenti più importanti che è riuscito a ottenere il socialismo cubano: la scomparsa delle pratiche religiose. Ma le proibizioni non fecero scomparire i sentimenti religiosi, che furono soltanto nascosti. La proposta degli ideologi comunisti fu la creazione dell’uomo nuovo, con una visione del mondo scientifico – materialista, privo di superstizioni, altruista e solidale, disposto a dare la vita per la causa, impegnato nella costruzione della nuova società. Alla fine del 1991 accadde “il miracolo”: le autorità depenalizzarono le attività religiose».

 

Oggi c’è maggior libertà, ma la Chiesa è ancora controllata dallo Stato.

Oggi le cose sono migliorate notevolmente, tuttavia il regime non è stato sconfitto. Nonostante la concessione della costruzione di una nuova chiesa, nonostante ciò avvenne per un nuovo seminario nel 2010, alcuni sacerdoti cubani hanno spiegato che «la Chiesa cattolica è ancora costantemente monitorata e controllata. La piena libertà religiosa è ridotta a permessi di libertà controllata. I cristiani possono unirsi per condividere la loro fede, ma non gli è permesso costruire chiese. Possono partecipare a processioni a condizione di un esplicito permesso da parte delle autorità, che raramente le concedono. laici sono censurati quando cercano di applicare la loro fede alla pratica politica e sociale».

La redazione

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Il Papa: «Preferisco dare la vita che annullare il celibato». I migranti? «Aiutiamoli a casa loro».

conferenza stampa panamaLe parole di Francesco in conferenza stampa sul volo di ritorno da Panama. Alcuni giudizi sull’attualità, dal celibato sacerdotale all’educazione sessuale, dai temi dell’immigrazione all’aborto. Ecco i suoi interventi e un piccolo commento.

 

Sul sito web della Santa Sede ancora non è disponibile la trascrizione ufficiale della conferenza stampa tra Papa Francesco e i giornalisti, nel volo di ritorno da Panama a Roma. Vi sono tuttavia altre fonti attendibili per riflettere sulle parole del Pontefice a commento dell’attualità, come sempre avviene in questi casi. Abbiamo raccolto qui sotto i suoi interventi su vari argomenti, in particolare: celibato dei preti, educazione sessuale, aborto, immigrazione e la situazione politica in Venezuela.

 

PAPA FRANCESCO E CELIBATO: “UN DONO, NON VA ELIMINATO”.

In molte parti del mondo non ci sono più sacerdoti e molti suggeriscono varie soluzioni, l’eliminazione del celibato, l’ordinazione femminile e il celibato opzionale. Più volte Francesco si è espresso sul tema e ne ha parlato anche in questa occasione, rispondendo ad una domanda sulla possibilità che «lei permetta a degli uomini sposati di diventare preti nella Chiesa cattolica». Ecco la risposta:

«Nella Chiesa cattolica di rito orientale possono farlo, si fa l’opzione celibataria o di sposo prima del diaconato. Per quanto riguarda il rito latino, mi viene alla mente una frase di san Paolo VI: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato”. Questo mi è venuto in mente e voglio dirlo perché è una frase coraggiosa, lo disse nel 1968-1970, in un momento più difficile di quello attuale. Personalmente penso che il celibato sia un dono per la Chiesa e non sono d’accordo a permettere il celibato opzionale. No. Soltanto rimarrebbe qualche possibilità nei posti lontanissimi, penso alle isole del Pacifico, ma è qualcosa da pensare quando c’è necessità pastorale. Il pastore deve pensare ai fedeli. La mia decisione è: no al celibato opzionale prima del diaconato. Sono uno chiuso? Forse, ma non sento di mettermi davanti a Dio con questa decisione».

C’è poi l’opzione dei “viri probati”, cioè l’ordinazione di uomini sposati di una certa età e di provata fede che possano celebrare Messa dove mancano i preti. Su questo, Francesco ha detto: «Credo che il tema debba essere aperto in questo senso per i luoghi dove c’è un problema pastorale per la mancanza dei sacerdoti. Non dico che si debba fare, non ci ho riflettuto, non ho pregato sufficientemente su questo. Ma i teologi ne discutono, devono studiare».

Da anni i nemici della Chiesa battono il chiodo sulla presunta «opera demolitrice di papa Bergoglio», citando la sua presunta volontà di distruggere «i sacramenti del matrimonio, dell’eucaristia e della confessione (insieme con un paio di Comandamenti). Ma anche il battesimo» e, altro esempio, la «delegittimazione del celibato ecclesiastico». Sono parole di Antonio Socci, bugie diffuse appositamente per insinuare delusione e frustrazione nel mondo cattolico, staccandolo dalla Chiesa.

 

ABORTO: “UN DRAMMA TERRIBILE, ANCHE PER LE DONNE”

Durante la Via Crucis, a Panama, un giovane ha letto queste parole: «C’è una tomba che grida al cielo e denuncia la terribile crudeltà dell’umanità, è la tomba che si apre nel ventre delle madri. Dio ci conceda di difendere con fermezza la vita e far sì che le leggi che uccidono la vita siano cancellate per sempre».

Durante la conferenza stampa, un giornalista ha chiesto se oltre alle parole “radicali” ascoltate nella Via Crucis, vi sia spazio anche per «la sofferenza delle donne». Ecco la risposta del Papa:

«Il messaggio della misericordia è per tutti, anche per la persona umana che è in gestazione. Dopo questo fallimento, c’è pure misericordia. Ma una misericordia difficile, perché il problema non è dare il perdono ma accompagnare una donna che ha preso coscienza di avere abortito. Sono drammi terribili. Una donna quando pensa quello che ha fatto… Bisogna essere nel confessionale, lì devi dare consolazione e per questo ho concesso a tutti i preti la facoltà di assolvere l’aborto per misericordia. Tante volte, ma sempre, loro devono “incontrarsi” con il figlio. Io tante volte, quando piangono e hanno questa angoscia, le consiglio così: tuo figlio è in cielo, parla con lui, cantagli la ninna nanna che non hai potuto cantargli. E lì si trova una via di riconciliazione della mamma col figlio. Con Dio, la riconciliazione c’è già, Dio perdona sempre. Ma anche lei deve elaborare quanto è accaduto. Il dramma dell’aborto, per capirlo bene, bisogna stare in un confessionale. Terribile».

Una delle tre testimonianze di giovani ascoltate durante la GMG di Panama è stata quella di Erika de Bucktron, panamense, assieme al marito Rogelio e ai figli Rogelio, Allyson, Maria e Inés. L’ultima figlia è affetta da sindrome di Down ed Erika ha raccontato la gravidanza «ad alto rischio», tanto che i medici le consigliarono l’interruzione di gravidanza. Ed invece, ha raccontato la donna, «ci siamo abbandonati nelle mani di Dio e abbiamo chiesto che si compisse la sua volontà. In fondo, avevamo la speranza che nostra figlia nascesse sana, però abbiamo accolto con amore la volontà del Signore». E ora «rendiamo grazie a Dio per la nascita di Inés».

 

EDUCAZIONE SESSUALE: “NESSUNA COLONIZZAZIONE IDEOLOGICA”

Nel dialogo con i giornalisti il Papa è stato interpellato anche sul tema delle gravidanze precoci, 10mila lo scorso anno a Panama. «La incolpano perché si oppone all’educazione sessuale nelle scuole», ha detto il giornalista rivolgendosi a Francesco. Ecco la risposta:

«Credo che nelle scuole bisogna dare l’educazione sessuale. Il sesso è un dono di Dio non è un mostro. Bisogna offrire un’educazione sessuale oggettiva, senza colonizzazioni ideologiche. Perché se nelle scuole si dà un’educazione sessuale imbevuta di colonizzazioni ideologiche, distruggi la persona. Il sesso come dono di Dio deve essere educato, non con rigidezza. Educato, da “educere”, per far emergere il meglio della persona e accompagnarla nel cammino. Il problema è nei responsabili dell’educazione, sia a livello nazionale che locale come pure di ciascuna unità scolastica: che maestri si trovano per questo, che libri di testo… Io ne ho visti di ogni tipo, ci sono cose che fanno maturare e altre che fanno danno. Dico questo senza entrare nei problemi politici di Panama: bisogna avere l’educazione sessuale per i bambini. L’ideale è che comincino a casa, con i genitori. Non sempre è possibile per tante situazioni della famiglia o perché non sanno come farlo. La scuola supplisce a questo, e deve farlo, sennò resta un vuoto che viene riempito da qualsiasi ideologia».

Molto importante l’aver sottolineato che l’ideale è che l’educazione sessuale avvenga in famiglia. Il più grande problema di quanto avviene nelle scuole è proprio la visione ideologica che viene trasmessa, dove l’interruzione di gravidanza viene “passata” come metodo anticoncezionale e, sopratutto, il sesso è descritto come una mera pratica di soddisfazione personale usando il corpo dell’altro. La visione cattolica è differente, insegna a custodirsi e a custodire la propria sessualità nella giovinezza e di donarsi completamente all’interno del sacramento matrimoniale, alla persona con cui si è scelto di condividere il destino. Il Papa non ha precisato questo passaggio, sarebbe stato l’ideale ma probabilmente il contesto di una rapida intervista “a braccio” non glielo ha permesso.

 

“I GIOVANI SI ALLONTANANO PER MANCANZA DI TESTIMONI COERENTI”

Più interessante la domanda sui giovani che lasciano la Chiesa e suoi motivi, argomento di cui abbiamo parlato qualche settimana fa. Ecco le parole del Papa:

«I motivi sono tanti, alcuni sono personali. Ma il più generale è la mancanza di testimonianza dei cristiani, dei preti, dei vescovi. Non dico dei Papi, perché è troppo, ma anche, pure. Se un pastore fa l’imprenditore o l’organizzatore di un piano pastorale, se non è vicino alla gente, non dà una testimonianza di pastore. Il pastore deve essere con la gente. Il pastore deve essere davanti al gregge, per indicare il cammino. In mezzo al gregge per sentire l’odore della gente e capire che cosa sente la gente, di che cosa ha bisogno. E deve essere dietro il gregge per custodire la retroguardia. Ma se un pastore non vive con passione, la gente si sente abbandonata o prova un certo senso di disprezzo. Si sente orfana. Ho parlato dei pastori, ma ci sono anche i cristiani, i cattolici. Ci sono i cattolici ipocriti, che vanno a messa tutte le domeniche e non pagano la tredicesima, ti pagano in nero, sfruttano la gente. E poi vanno ai Caraibi a fare le vacanze, con lo sfruttamento della gente. Se fai questo dai una contro-testimonianza. Questo a mio parere è ciò che allontana di più la gente dalla Chiesa. Ai laici suggerirei: non dire che sei cattolico, se non dai testimonianza. Piuttosto puoi dire: sono di educazione cattolica, ma sono tiepido, sono mondano, chiedo scusa, non guardatemi come un modello. Questo si deve dire. Io ho paura dei cattolici così, che si credono perfetti. La storia si ripete, lo stesso accadde a Gesù con i dottori della legge, che pregavano dicendo: “Ti ringrazio Signore perché non sono come questi peccatori”».

Giustamente Francesco ha citato l’ipocrisia dei cattolici: sarebbe meglio non dire di essere cattolici! Lo scandalo verso i fedeli e la mancanza di testimonianza cristiana da parte dei pastori è una causa importante della disaffezione, si potrebbe aggiungere la carenza di pastori che sappiano formare alle ragioni della fede, che testimonino una fede non sentimentale ma poggiata sulla certezza, sicuri del perché loro stessi ogni giorno decidano di appartenere a Dio e non al mondo.

 

CASO VENEZUELA, IL PAPA FA SUE LE POSIZIONI DEI VESCOVI VENEZUELANI.

Non poteva mancare una domanda sul colpo di Stato venezuelano, dove Juan Guaidó si è auto-proclamato presidente contro il dittatore Nicolas Maduro. Ecco le parole di Francesco:

«Io appoggio in questo momento tutto il popolo del Venezuela perché sta soffrendo, quelli di una parte e dell’altra. Io soffro per quello che sta accadendo in questo momento in Venezuela e per questo ho chiesto che ci sia una soluzione giusta a pacifica. Quello che mi spaventa è lo spargimento di sangue».

Molto più interessanti sono state però le dichiarazioni del card. Baltazar Porras, arcivescovo di Mérida ed amministratore apostolico di Caracas: «In questi giorni abbiamo avuto contatti quotidiani con il Segretario di Stato Vaticano, e il Papa chiede costantemente della nostra situazione e anche dei fratelli nicaraguensi. Papa Francesco ha insistito sul fatto che la parola dell’episcopato venezuelano è la sua parola e la appoggia pienamente». E’ noto che i vescovi venezuelani sono intervenuti molte volte contro l’ex presidente Maduro. Parole importanti perché smentiscono le recenti dichiarazioni dei soliti haters sul caso venezuelano, secondo i quali Papa Francesco è un «papa sinistroso» (Antonio Socci) perché «appoggia il dittatore del popolo» (Riccardo Cascioli).

 

PAPA BERGOGLIO E IMMIGRAZIONE: “AIUTIAMOLI A CASA LORO”

C’è spazio anche per una riflessione su un tema d’attualità, di cui si parla continuamente. Anche in questa occasione il Papa ha ribadito la sua posizione:

«Il governante deve usare la prudenza, perché la prudenza è la virtù di chi governa. È una equazione difficile. A me viene in mente l’esempio svedese, che negli anni ‘70, con le dittature in America Latina ha ricevuto tanti immigrati, ma tutti sono stati integrati. Anche vedo che cosa fa sant’Egidio, ad esempio: integra subito. Ma gli svedesi l’anno scorso hanno detto: fermatevi un po’ perché non riusciamo a finire il percorso di integrazione. E questa è la prudenza del governante. È un problema di carità, di amore, di solidarietà. Ribadisco che le nazioni più generose nel ricevere sono state l’Italia e la Grecia e anche un po’ la Turchia. La Grecia è stata generosissima e anche l’Italia, tanto. È vero che si deve pensare con realismo. Poi c’è un’altra cosa: il modo di risolvere il problema delle migrazioni è aiutare i Paesi da dove vengono i migranti. Vengono per fame o per guerra. Investire dove c’è la fame, l’Europa è capace di farlo, e questo è un modo per aiutare a crescere quei Paesi. Ma sempre c’è quell’immaginario collettivo che abbiamo nell’inconscio: l’Africa va sfruttata! Questo appartiene alla storia, e fa male! I migranti del Medio Oriente hanno trovato altre vie d’uscita. Il Libano è una meraviglia di generosità, ospita più di un milione di siriani. La Giordania, lo stesso. E fanno quello che possono, sperando di reintegrare. Anche la Turchia ha ricevuto qualcuno. E anche noi in Italia abbiamo accolto qualcuno. È un problema complesso sul quale si deve parlare senza pregiudizi».

Segnaliamo a questo proposito il dossier in cui abbiamo raccolto i discorsi del Papa su questo tema specifico.

La redazione

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GMG 2019 a Panama, il profondo discorso di Papa Francesco

panama giornata mondiale gioventùGiornata Mondiale della Gioventù a Panama, qui sotto i principali passaggi delle parole d’apertura del Papa. Un discorso intenso e profondo, da leggere con attenzione.

 

Che bello ritrovarci, e farlo in questa terra che ci accoglie con tanto colore e tanto calore! Riuniti a Panama, la Giornata Mondiale della Gioventù è ancora una volta una festa, una festa di gioia e di speranza per la Chiesa intera e, per il mondo, una grande testimonianza di fede.

 

«Una Chiesa “cool”, giovanile, non ci interessa, non ci lascerà contenti».

Mi ricordo che, a Cracovia, alcuni mi chiesero se sarei andato a Panama, e io risposi: “Io non so, ma Pietro di sicuro ci sarà. Pietro ci sarà”. Oggi sono contento di dirvi: Pietro è con voi per celebrare e rinnovare la fede e la speranza. Pietro e la Chiesa camminano con voi e vogliamo dirvi di non avere paura, di andare avanti con questa energia rinnovatrice e questo desiderio costante che ci aiuta e ci sprona ad essere più gioiosi, più disponibili, più “testimoni del Vangelo”. Andare avanti non per creare una Chiesa parallela un po’ più “divertente” o “cool” in un evento per giovani, con un po’ di elementi decorativi, come se questo potesse lasciarvi contenti. Pensare così sarebbe mancare di rispetto a voi e a tutto quello che lo Spirito attraverso di voi ci sta dicendo.

Al contrario! Vogliamo trovare e risvegliare insieme a voi la continua novità e giovinezza della Chiesa aprendoci sempre a questa grazia dello Spirito Santo che tante volte opera una nuova Pentecoste. E questo è possibile solo se, come abbiamo da poco vissuto nel Sinodo, sappiamo camminare ascoltandoci e ascoltare completandoci a vicenda, se sappiamo testimoniare annunciando il Signore nel servizio ai nostri fratelli; che è sempre un servizio concreto.

 

«Veniamo da popoli diversi, cosa ci tiene uniti? E’ Qualcuno che ci rende fratelli»

Bene. So che arrivare qui non è stato facile. Conosco gli sforzi, i sacrifici che avete fatto per poter partecipare a questa Giornata. Molti giorni di lavoro e di impegno, incontri di riflessione e di preghiera fanno sì che il cammino stesso sia la ricompensa. Il discepolo non è solamente chi arriva in un posto ma chi incomincia con decisione, chi non ha paura di rischiare e di mettersi a camminare. Se uno si mette a camminare, è già un discepolo. Se rimani fermo, hai perso. Cominciare a camminare, questa è la più grande gioia del discepolo, essere in cammino.

Veniamo da culture e popoli diversi, parliamo lingue diverse, usiamo vestiti diversi. Ognuno dei nostri popoli ha vissuto storie e circostanze diverse. Ma nulla di tutto ciò ci ha impedito di incontrarci, tante differenze non hanno impedito di incontrarci e di stare insieme, di divertirci insieme, di celebrare insieme, di confessare Gesù Cristo insieme. Nessuna differenza ci ha fermati. E questo è possibile perché sappiamo che c’è Qualcuno che ci unisce, che ci fa fratelli. Voi, cari amici, avete fatto tanti sacrifici per potervi incontrare e così diventate veri maestri e artigiani della cultura dell’incontro, che non è “Ciao, come va? Ciao, a presto”. No, la cultura dell’incontro è quella che ci fa camminare insieme con le nostre differenze ma con amore, tutti uniti nello stesso cammino. Voi, con i vostri gesti e i vostri atteggiamenti, coi vostri sguardi, i desideri e soprattutto la vostra sensibilità, voi smentite e screditate tutti quei discorsi che si concentrano e si impegnano nel creare divisione, quei discorsi che cercano di escludere ed espellere quelli che “non sono come noi”.

Tutti sono persone come noi, tutti con le nostre differenze. E questo perché avete quel fiuto che sa intuire che «il vero amore non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità» (Benedetto XVI, Omelia, 25 gennaio 2006). Sapete chi ha detto questo? Sapete? Papa Benedetto XVI, che ci sta guardando, e gli facciamo un applauso, gli mandiamo un saluto da qui! Lui ci sta guardando alla televisione. Un saluto, tutti, tutti con le mani, a Papa Benedetto! Al contrario, sappiamo che il padre della menzogna, il demonio, preferisce sempre un popolo diviso e litigioso. Lui è il maestro della divisione, e ha paura di un popolo che impara a lavorare insieme. E questo è un criterio per distinguere le persone: i costruttori di ponti e i costruttori di muri. I costruttori di muri che seminando paura cercano di dividere e di impaurire le persone.

 

Il cristianesimo non è un insieme di leggi, è una Persona che mi ha amato»

Voi ci insegnate che incontrarsi non significa mimetizzarsi, né che tutti pensano la stessa cosa o vivere tutti uguali facendo e ripetendo le stesse cose: questo lo fanno i pappagalli. Incontrarsi vuol dire saper fare un’altra cosa: entrare nella cultura dell’incontro, è una chiamata e un invito ad avere il coraggio di mantenere vivo e insieme un sogno comune. Un sogno concreto, che è una Persona, che scorre nelle nostre vene, fa trasalire il cuore e lo fa sussultare ogni volta. Un santo di queste terre amava dire: «Il cristianesimo non è un insieme di verità da credere, di leggi da osservare, o di proibizioni. Il cristianesimo visto così non è per nulla attraente. Il cristianesimo è una Persona che mi ha amato tanto, che desidera e chiede il mio amore. Il cristianesimo è Cristo» (S. Oscar Romero, Omelia, 6 novembre 1977).

Che cosa ci tiene uniti? Perché siamo uniti? È la certezza di sapere che siamo stati amati con un amore profondo che non vogliamo e non possiamo tacere; un amore che ci provoca a rispondere nello stesso modo: con amore. È l’amore di Cristo quello che ci spinge (cfr 2 Cor 5,14). Un amore che unisce è un amore che non si impone e non schiaccia, un amore che non emargina e non mette a tacere e non tace, un amore che non umilia e non soggioga. È l’amore del Signore, amore quotidiano, discreto e rispettoso, amore di libertà e per la libertà, amore che guarisce ed eleva. È l’amore del Signore, che sa più di risalite che di cadute, di riconciliazione che di proibizione, di dare nuova opportunità che di condannare, di futuro che di passato. È l’amore silenzioso della mano tesa nel servizio e nel donarsi: è l’amore che non si vanta, che non si pavoneggia, l’amore umile, che si dà agli altri sempre con la mano tesa. Questo è l’amore che ci unisce oggi.

Maria aveva l’età di tante di voi, l’età di tante ragazze come voi. Disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Maria ha saputo dire “sì”. E questo è quello che oggi ci chiede: vuoi dare carne con le tue mani, i tuoi piedi, il tuo sguardo, il tuo cuore al sogno di Dio? Vuoi che sia l’amore del Padre ad aprirti nuovi orizzonti e a portarti per sentieri mai immaginati e pensati, sognati o attesi, che rallegrino e facciano cantare e danzare il cuore? Abbiamo il coraggio di dire all’angelo, come Maria: “Eccoci, siamo i servi del Signore, avvenga per noi…”? Non rispondete adesso, ognuno risponda nel suo cuore. Ci sono domande a cui si risponde solo in silenzio.

 

«La GMG non dà speranza per il documento finale, ma perché cambia il cuore ed il vostro volto».

Cari giovani, questa Giornata non sarà fonte di speranza per un documento finale, un messaggio concordato o un programma da eseguire. Quello che darà più speranza in questo incontro saranno i vostri volti e una preghiera. Col volto con cui tornerete a casa, col cuore cambiato con cui tornerete a casa, con la preghiera che avete imparato a dire con questo cuore cambiato. Ognuno tornerà a casa con la nuova forza che si genera ogni volta che ci incontriamo con gli altri e con il Signore, pieni di Spirito Santo per ricordare e mantenere vivo quel sogno che ci fa fratelli e che siamo chiamati a non lasciar congelare nel cuore del mondo: dovunque ci troveremo, qualsiasi cosa staremo facendo, potremo sempre guardare in alto e dire: “Signore, insegnami ad amare come tu ci hai amato”.

Grazie per aver detto “sì” al sogno di Dio di vedere i suoi figli riuniti. Amici, amici e amiche, Gesù vi benedica! Ve lo auguro con tutto il cuore. Santa Maria la Antigua vi accompagni e vi protegga, perché possiamo dire senza paura, come lei: «Eccomi. Avvenga di me». Grazie!

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500 imam al fianco di Asia Bibi e contro l’Islam violento

islam fondamentalistaIn Pakistan 500 leader islamici prendono posizione a favore di un Islam moderato, isolando e condannando i terroristi e l’interpretazione violenta del Corano. Un passo storico, frutto della lungimirante posizione dialogante della Chiesa.

 

Papa Francesco lo aveva chiesto esplicitamente nel 2014, riferendosi al terrorismo: «Sarebbe bello che tutti i leader islamici parlino chiaramente e condannino quegli atti, aiuterà la maggioranza del popolo islamico a dire “no”. Abbiamo bisogno di una condanna mondiale da parte degli islamici, che dicano: “Noi non siamo quelli. Il Corano non è questo”».

Una risposta concreta la si è avuta cinque anni dopo, in occasione dell’assoluzione della cristiana pakistana accusata falsamente di blasfemia, Asia Bibi, un evento che ha incendiato il mondo islamico. Alcuni estremisti del partito Tehreek-e-Labaik hanno chiesto ed ottenuto una revisione del caso ed il nuovo giudizio si attende a breve, intanto la donna è in attesa fuori dal carcere (in cui è stata 3.421 giorni), in un luogo segreto.

 

500 leader islamici contro l’Islam fondamentalista: un passo storico.

Nel frattempo oltre 500 predicatori islamici pakistani -durante il Consiglio pakistano degli ulema- hanno firmato la “Dichiarazione di Islamabad” contro il terrorismo islamico. Una svolta storica per la Repubblica islamica del Pakistan e il documento contiene anche un riferimento eccezionale ad Asia Bibi. Numerosi i punti riguardanti la libertà religiosa, si condannano gli omicidi compiuti «con il pretesto della religione», affermando che tutto questo «è contro gli insegnamenti dell’islam». La dichiarazione ribadisce l’importanza della lotta al fondamentalismo ed afferma che nessun musulmano o non musulmano può essere dichiarato “meritevole” di essere ucciso tramite sentenze pronunciate al di fuori dei tribunali e i fedeli di ogni religione o setta hanno il diritto costituzionale di vivere nel Paese in base alle proprie norme culturali e dottrinali.

I leader islamici vietano di pubblicare materiale che incita allodio religioso e riconoscono il Pakistan come un Paese multi-etnico e multi-religioso così, in accordo con gli insegnamenti della sharia, sottolineano che «è responsabilità del governo proteggere la vita e le proprietà dei non musulmani che vivono in Pakistan. Il governo deve trattare con fermezza gli elementi che minacciano i luoghi sacri dei non musulmani residenti in Pakistan». Ed ancora, si legge: «tutti i non musulmani residenti in Pakistan hanno propri diritti e il governo deve assicurare i diritti fondamentali delle minoranze». Il 2019, infine, viene decretato come l’anno dedicato a «sradicare il terrorismo, l’estremismo e la violenza settaria dal Paese». «Un passo storico», lo ha definito l’Osservatore Romano.

 

Nel Corano c’è di tutto: pace e sottomissione. Manca un’autorità e le fonti sono contraddittorie.

E’ piuttosto sterile la polemica tra chi parla di “Islam pacifico” e “Islam fondamentalista”:  hanno torto entrambi. Nel Corano si trova di tutto, sia versetti di pace che di sottomissione degli infedeli. Ogni attentato terroristico è sempre appoggiato da un un giurista musulmano che lo ritiene conforme ad un precetto dell’islam ma, tuttavia, ci sono tanti altri giuristi che lo condannano, anch’essi partendo dai precetti dell’Islam. Il grande problema è la contraddittorietà delle fonti e la mancanza di un interlocutore unico, di un’autorità unica ad interpretare la sharia, la legge islamica.

Il patriarca cattolico iracheno, Louis Raphaël Sako -creato cardinale da Francesco come segno di vicinanza ai cristiani perseguitati- ha recentemente ribadito che «l’Isis secondo me è politicizzata, è chiaro, ma l’Isis si basa sui versetti del Corano. I musulmani devono fare una nuova lettura dei versetti che chiedono la violenza, che pensano che solo l’Islam sia la vera religione, che le altre religioni siano false. Se ci sono versetti del tempo di Maometto bisogna inserirli nel contesto, fare una esegesi, come noi abbiamo fatto». Ma, tuttavia, ha precisato: «Non tutti i musulmani sono fanatici, non bisogna generalizzare, e per natura gli iracheni sono moderati, abbiamo vissuto 35 anni in un regime laico. Poi gli americani hanno aperto le frontiere e sono entrati tutti questi fondamentalisti dalla Giordania, dall’Egitto, dallo Yemen, dall’Arabia Saudita».

 

Benedetto XVI e l’Islam: coerenza con l’approccio di Papa Francesco.

Qualche settimana fa il card. Gerhard Müller, ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha ribadito che «la maggioranza dei musulmani è pacifica». Non mancano episodi di cronaca che lo dimostrano, come il recente invito dell’International Christian Concern a firmare una lettera ai familiari di un ufficiale di polizia musulmano che ha sacrificato la sua vita per salvare centinaia di fedeli in Egitto, oppure la fila di musulmani egiziani per donare sangue ai cristiani vittime degli attentati. Anche una moschea ha ospitato e ristorato i giovani cattolici che partecipano in questi giorni alla Giornata Mondiale della Gioventù di Panama e perfino il quotidiano Libero ha certificato che in Palestina i musulmani convivono pacificamente con le tradizioni cristiane.

Benedetto XVI non attribuì mai alla religione islamica, in modo generalizzato, la responsabilità degli attentati terroristici. Addirittura disse che «certamente l’Islam contiene degli elementi in favore della pace» e, in un’altra occasione, ricordò che «i musulmani condividono con i cristiani la convinzione che in materia religiosa nessuna costrizione è consentita, tanto meno con la forza». Nel novembre 2006, due mesi dopo la crudele esecuzione di tre cattolici indonesiani da parte di fondamentalisti musulmani, volle manifestare «tutta la mia stima per i musulmani». Anche il suo successore, Papa Francesco, ha ribadito che «non si può dire che tutti gli islamici sono terroristi». Quando lo si afferma, «tanti islamici sono offesi. Dicono: “No, noi non siamo questo. Il Corano è un libro di pace, è un libro profetico di pace. Questo non è islam”». Da queste parole è nata la leggenda che Bergoglio ritenga l’Islam “una religione di pace”, cosa che non ha mai detto, ma d’altra parte anche Giovanni Paolo II subì diverse reprimende dai soliti polemisti per il “dialogo ad ogni costo” con i leader islamici.

 

Salvaguardare il dialogo con i musulmani moderati, allearsi con loro.

Dipingere la religione islamica come estranea al terrorismo e al desiderio di sottomissione degli infedeli (cioè tutti i non islamici) è chiaramente fuorviante e falso. Ma lo è anche continuare a perpetrare la generalizzazione Islam = terrorismo, ignorando una realtà più ampia e stratificata. Sopratutto perché contribuisce a rinforzare l’area realmente fondamentalista, togliendo fiato e riflettori invece a chi, all’interno del mondo musulmano, vi si oppone. La scelta più ponderata resta quella di dare rilevanza alla possibile convivenza pacifica (come recentemente ha fatto la Chiesa polacca) ed appellarsi ai leader islamici disponibili ad un dialogo, alla separazione fra politica e religione e alla revisione storica del Corano, perché convincano il popolo ad isolare e condannare i fondamentalisti. La recente Dichiarazione di Islamabad è uno dei frutti più maturi di questo tentativo.

La redazione

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Villa Giorgina a Roma, la storia di un ebreo salvato da Pio XII

isaia levi vaticanoFu Isaia Levi a far costruire Villa Giorgina, per poi donarla al Vaticano dopo che lì trovò rifugio durante l’occupazione romana dei nazisti. Una storia emersa dopo il ritrovamento di alcune ossa, inizialmente attribuite ad Emanuela Orlandi.

 

Oggi si celebra la Giornata della Memoria, in memoria delle vittime dell’Olocausto. Gli ebrei non ebbero vita facile neppure in Italia, tra le leggi razziali e l’occupazione nazista di Roma. Molti di essi sopravvissero grazie all’impegno “clandestino” del Vaticano e l’ennesima conferma è arrivata da quelle ossa ritrovate nell’ottobre scorso a Villa Giorgina, dal 1959 sede della Nunziatura apostolica, l’ambasciata del Vaticano nella capitale italiana.

 

Le ossa ritrovate a Villa Giorgina non sono di Emanuela Orlandi.

In quel frangente la stampa si avventò sul ritrovamento collegando inspiegabilmente le ossa a quelle di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana sparita nel 1983. Un’operazione scandalistica condita da un bel pizzico di anticlericalismo. Si censurò il fatto che furono gli stessi uomini della nunziatura a chiedere l’intervento della polizia italiana, in totale trasparenza.

In quel frangente intervistammo Marco Fassoni Accetti, colui che si è auto-accusato –con indizi credibili– come il responsabile della sparizione della Orlandi (e di Mirella Gregori): «Le ossa non sono le loro, conosco i fatti miei», ci disse, mentre ancora i quotidiani rilanciavano la “scoperta” del secolo. Fassoni Accetti aveva ragione, le ossa sono risultate antecedenti agli anni ’60 e lo scheletro è di un uomo.

 

L’ebreo Isaia Levi trovò rifugio in Vaticano e ricambiò donando Villa Giorgina.

Nessun giornalista ha fatto mea culpa, solo il Corriere della Sera ha parlato di «abbaglio giornalistico». L’inviato Goffredo Buccini ha anche ricostruito la storia di Villa Giorgina, quartiere Pinciano di Roma, oggi di proprietà della Santa Sede e luogo di ritrovamento delle famose ossa, basandosi sul libro La Nunziatura apostolica in Italia, (Libreria editrice vaticana).

Fu l’ebreo Isaia Levi a donare Villa Giorgina al Vaticano, il cui nome è in omaggio a Giorgina Levi, la figlia di morta diciottenne a Parigi. Inizialmente fascista, ma nonostante questo in pericolo quando i nazisti occuparono Roma, così l’ebreo Levi si rifugerà in Vaticano con la moglie Nella e si convertirà al cattolicesimo, attribuendo alla consorte «l’ausilio e l’appoggio datomi nel dispormi ad abbracciare la religione cattolica».

Giulio Andreotti, si legge nella ricostruzione del Corriere, si ricorderà che nel 1943 la Santa Sede aprì una mensa nei vasti sotterranei di Villa Giorgina. Isaia Levi la donò per testamento a Papa Pio XII, con l’esplicita richiesta di farne Nunziatura, assieme alla donazione del patrimonio in opere di beneficenza. Oltre a Levi, in Vaticano trovarono riparo e protezione tantissimi altri ebrei, tra i più famosi l’archeologa Hermine Speier: si parla di un totale complessivo di 9600 ebrei.

 

La conversione del rabbino capo di Roma Eugenio Zolli, grato per l’opera di Pio XII.

Quasi in contemporanea alla conversione di Isaia Levi, avvenne nella capitale italiana un’altra conversione importante. Quella del rabbino capo di Roma, Eugenio Zolli. Attese la fine della guerra e chiese il battesimo cattolico con il nome di “Eugenio Pio Israel Zolli“, in forma di gratitudine verso l’opera di salvataggio di centinaia di ebrei romani da parte della Chiesa e di Pio XII, che vennero nascosti in Vaticano e nei monasteri italiani.

«Ciò che il Vaticano ha fatto resterà indelebilmente ed eternamente scolpito nei nostri cuori», scrisse l’ex rabbino. «Sacerdoti, come pure alti prelati, hanno fatto cose che resteranno per sempre un titolo di onore per il cattolicesimo» (P. Dezza, Eugenio Zolli: Da Gran Rabbino a testimone di Cristo (1881-1956) La Civiltà Cattolica, 21/2/1981, pag. 340).

La redazione

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Aborto fino alla nascita, il governatore di New York rischia la scomunica

aborto fino alla nascitaAborto a New York al nono mese. Due vescovi chiedono la scomunica latae sententiae del governatore cattolico Andrew M. Cuomo, che ha autorizzato l’interruzione di gravidanza fino alla nascita (e non è una bufala, come qualcuno ha scritto).

 

Il governatore di New York, Andrew M. Cuomo (Democratico), ha firmato martedì scorso una delle leggi più permissive sull’aborto nella storia degli Stati Uniti. Con il Reproductive Health Act, infatti, sarà permessa l’interruzione di gravidanza fino all’ultimo giorno prima della nascita. In Italia qualcuno si è affrettato a dichiararla una “bufala”, ma è tutto vero e spiegheremo perché. Non si capirebbe altrimenti il tempestivo intervento di due vescovi a richiesta della scomunica latae sententiae verso il governatore cattolico.

In molti stanno infatti esortando il card. Timothy Dolan, arcivescovo di New York, a scomunicare Cuomo (è l’unico autorizzato ad emettere tale sentenza). Il governatore, infatti, si dichiara apertamente cattolico e praticante, è divorziato ed appoggia apertamente il matrimonio omosessuale. La sua politica è notoriamente finanziata da Planned Parenthood, la gigante industria delle cliniche abortiste.

 

Due vescovi a favore della scomunica, altri chiedono l’interdizione dall’Eucarestia.

Nelle ultime ore, tre importanti vescovi americani hanno chiesto di prendere provvedimenti dottrinali nei confronti del governatore newyorkese. Il primo è stato il vescovo Richard Stika, della diocesi di Knoxville (Tennessee), il quale sul suo profilo Twitter -rappresentato da una foto in cui abbraccia Papa Francesco- ha scritto: «Qualcuno oggi mi ha chiesto se avrei rilasciato una scomunica ad un governatore cattolico sotto la mia giurisdizione se tale governatore avesse fatto ciò che è stato fatto a New York. Penso che lo avrei fatto se avesse votato un simile disegno di legge. Questo voto è così orribile e vile da giustificare l’atto. Per fortuna non sono in quella posizione». Anche il vescovo Joseph Strickland, della diocesi di Tyler (Texas) è intervenuto appoggiando il giudizio di mons. Stika: «Non sono in grado di agire in merito alla legislazione di New York, ma imploro i vescovi che lo sono di pronunciarsi con forza. In qualsiasi società sana si chiama infanticidio!».

Si è aggiunto il vescovo Edward Scharfenberger, nominato da Papa Francesco alla diocesi di Albany (New York): «Questa legislazione minaccia di rompere la comunione tra la fede cattolica e coloro che sostengono il Reproductive Health Act, anche se si professano di seguire la Chiesa. E’ qualcosa che mi turba molto come pastore». Il vescovo americano ha scritto una lettera aperta al governatore Cuomo: «Anche se in un tuo recente discorso hai citato la tua fede cattolica, la tua difesa della legislazione sull’aborto estremo è completamente contraria agli insegnamenti del nostro Papa e della nostra Chiesa». Il vescovo di Albany ha precisato che la scomunica non è pensata per “punire”, tuttavia «coloro che ricoprono cariche pubbliche e continuano ad allontanarsi dalla fede cattolica nella loro persistente difesa dell’aborto, come evidenziato non solo dalla promozione della legislazione, ma anche dalla scandalosa celebrazione di esso, dovrebbero essere consapevoli della disposizioni del canone ecclesiale secondo cui, nella misura in cui continuano in tale ostinazione, non devono presentarsi per la Santa Comunione. Lo stesso canone lascia al ministro del Sacramento la possibilità di rifiutare la Comunione se tale persona chiede di essere accolta». Quindi, pur non essendo una scomunica formale, per il vescovo le norme ecclesiali sono molto chiare a riguardo.

Anche la Conferenza episcopale di New York si è fatta sentire con un comunicato:

«Il nostro amato stato è diventato più pericoloso per le donne e i loro bambini non ancora nati. Molti senatori dello stato e membri dell’Assemblea che hanno votato per questa legge sono esse stesse delle madri, che hanno sentito il loro bambino rigirarsi nel loro grembo. Molti altri, come il nostro governatore, sono padri che tenevano la mano della moglie mentre guardavano i video degli ultrasuoni, gioendo per il primo battito cardiaco del loro bambino. Molti di questi stessi funzionari erano nati in condizioni non perfette: povertà, problemi di salute, disabilità, famiglie distrutte. Tutti hanno superato questi problemi diventando leader nel nostro stato, perché i loro genitori hanno scelto la vita per loro. Ringraziamo tutti coloro che hanno cercato di fermare questa orrenda politica, e tutti i newyorkesi pro-life che hanno fatto sentire la loro voce nel tentativo di fermarla. Preghiamo tutti per la conversione del cuore di coloro che celebrano questo tragico momento nella storia del nostro stato. E preghiamo in modo speciale per le vite che saranno perse, e per le donne del nostro stato che sono meno al sicuro a causa di questa legge».

 

Il card. Dolan frena: “non è la risposta adeguata”, ma c’è un precedente importante.

Nella serata di ieri è arrivata la risposta del card. Timothy Dolan, il quale ha spiegato che la scomunica «non è una risposta adeguata, non dovrebbe essere usata come un’arma. Troppo spesso, temo, quelli che chiedono la scomunica di qualcuno lo fanno per rabbia o frustrazione». Il card. Dolan è persona saggia e prudente, la scomunica è sempre stata utilizzata non come punizione sull’onda di una comprensibile ira ma allo scopo di riportare quella persona alla Chiesa, un monito in vista di un ravvedimento, un atto di misericordia perché avvenga la guarigione interiore della persona “sanzionata”. Il cardinale non ha mancato, comunque, di condannare apertamente l’operato politico del governatore Cuomo, dicendo che ha «insultato la Chiesa, ostentato pubblicamente il suo dissenso dalla dottrina cattolica».

Anche Joseph Ratzinger non parlò di scomunica ai politici cattolici pro-aborto, ma –scrisse– se «la formale cooperazione di una persona diventa manifesta (da intendersi, nel caso di un politico cattolico, il suo far sistematica campagna e il votare per leggi permissive sull’aborto e l’eutanasia), il suo pastore dovrebbe incontrarlo, istruirlo sull’insegnamento della Chiesa, informarlo che non si deve presentare per la Santa Comunione fino a che non avrà posto termine all’oggettiva situazione di peccato, e avvertirlo che altrimenti gli sarà negata l’Eucaristia». In caso persista, «il ministro della Santa Comunione deve rifiutare di distribuirla. Questa decisione non è una sanzione o una pena. Né il ministro della Santa Comunione formula un giudizio sulla colpa soggettiva della persona; piuttosto egli reagisce alla pubblica indegnità di quella persona a ricevere la Santa Comunione, dovuta a un’oggettiva situazione di peccato»:

Estromettere pubblicamente il governatore Cuomo dall’Eucarestia, dunque, pur senza scomunicarlo, potrebbe essere un atto fortemente simbolico, nella capitale degli Stati Uniti, da deterrente per tutti i politici che fanno a gara nel dichiararsi “cattolici” e poi promuovono politiche contrarie ai valori cattolici (in tutti i campi, anche in caso di disumane politiche immigratorie, repressioni civili ed altro), vi sarebbe la necessità per la Chiesa di evitare lo scandalo della tolleranza del male. Vi sono comunque altre opinioni, come quella di mons. Leonardo Salutati, docente di Teologia morale sociale alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale, per il quale «chi fa leggi a favore dell’aborto, si mette in una condizione di cooperazione ad un delitto talmente grave da essere annoverato tra quelli previsti dal Codice di Diritto Canonico ai quali è automaticamente connessa la pena della scomunica latae sententiae».

Infine, segnaliamo un precedente importante e riguarda l’arcidiocesi di Città del Messico, la quale scomunicò il sindaco della capitale messicana, Marcelo Ebrard, e tutti i deputati del “Distrito federal” che votarono e approvarono il provvedimento di depenalizzazione dell’aborto. Il card. Norberto Rivera Carrera disse: «Abbiano la decenza di non entrare in cattedrale né in nessuna altra Chiesa cattolica del mondo finché non saranno perdonati». E’ giusto comunque lasciare la decisione ai pastori che ne hanno la responsabilità.

 

Aborto fino alla nascita: non è una bufala ed è differente dalla legge italiana.

Il Reproductive Health Act è stato approvato da 38 voti favorevoli contro 28, e celebrato con applausi e l’illuminazione di rosa del One World Trade Center (o Freedom Tower), luogo nel quale morirono oltre 1.000 persone durante l’11 settembre. Non c’era luogo più idoneo e audace per festeggiare la futura morte di innumerevoli bambini nell’utero materno. La Cattedrale dell’Immacolata, situata a fianco del palazzo dell’esecutivo, ha risposto suonato le campane a lutto.

Sul quotidiano online Open, che fa riferimento ad Enrico Mentana, si è cercato di smentire che la legge permetta davvero l’aborto fino alla nascita, lo stesso hanno fatto alcuni blog “anti-bufale” spiegando che si tratta della stessa legislazione presente in Italia. Sono però, esse stesse, due bufale, sia perché sono smentiti dagli stessi quotidiani americani (che parlano di “abortion until birth”), sia perché basterebbe leggere il testo di legge.

La nuova legge di New York sostituisce infatti quella risalente 1970, approvata tre anni prima che l’aborto diventasse legale a livello nazionale. La legge precedente consentiva l’interruzione di gravidanza dopo le 24 settimane di gravidanza soltanto se la vita della donna era a rischio, mentre la nuova legge autorizza i medici ad eseguire l’aborto sia quando il feto dimostra incapacità di vita autonoma sia quando ad essere in pericolo non è soltanto la vita della donna, ma anche la sua salute. Questo è il punto chiave, perché -come tutti sanno- basterà manifestare un turbamento del proprio benessere psico-fisico per poter ottenere la soppressione di un bambino al nono mese di gravidanza: infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il termine “salute” come «non la mera assenza di malattia, ma uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale».

La Legge 194/78 che regolamene l’interruzione di gravidanza in Italia, al contrario, consente l’aborto dopo i primi novanta giorni in caso di «grave pericolo per la vita della donna» e «quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna». E’ evidentemente una dicitura molto più stringente e limitante di quella ora presente a New York, la quale si limita a consentire l’aborto quando è «necessario a proteggere la vita o la salute della paziente» (“the abortion is necessary to protect the patient’s life or healt”), lasciando enorme discrezione alla donna e al medico, senza necessità di accertare “gravi processi patologici” in corso.

 

Nel video qui sotto l’ex ginecologo abortista Anthony Levantino spiega perché mai è necessario l’aborto per salvare la vita o la salute di una donna.

 
La redazione

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Tra teismo e naturalismo, il primo è più razionale

scientismo naturalismoSignificato del naturalismo e il suo legame con lo scientismo. Il libro del filosofo americano JP Moreland mostra la contraddittorietà e la limitatezza del naturalismo, al quale preferisce la semplicità e la coerenza del teismo, in armonia con l’indagine scientifica.

 

Uno dei tanti libri che purtroppo non arriverà mai in Italia si intitola Scientism and Secularism: Learning to Respond to a Dangerous Ideology (Crossway 2018), scritto dal filosofo James Porter Moreland, docente presso la Biola University (California). Una sfida aperta al naturalismo, ovvero l’opzione filosofica che nega l’esistenza di realtà spirituali o soprannaturali che trascendono il mondo, poiché tutto ciò che esiste è composto in ultima analisi da componenti fisiche.

Una visione della vita molto complessa, quella del naturalismo, che pone diversi problemi nel giustificare, ad esempio, la moralità oggettiva ed il significato ultimo della vita ma, tuttavia, molti naturalisti sono disposti coerentemente a farne a meno. Lo fece il defunto biologo William Provine, per il quale «l’evoluzione naturalistica ha chiare conseguenze che Charles Darwin aveva perfettamente capito. 1) Nessun dio ha dignità di esistere; 2) non esiste vita dopo la morte; 3) non esiste una base definitiva per l’etica; 4) non esiste un significato ultimo nella vita; 5) il libero arbitrio umano è inesistente» (discorso al Darwin Day Kenyote Address, 1998).

 

Il naturalismo dipende totalmente dallo scientismo.

Una delle prime difficoltà che emergono da questo scenario, come sottolineato da JP Moreland, è che l’approccio naturalista implica ed è totalmente debitrice del cosiddetto “scientismo”, che si potrebbe suddividere in scientismo forte e debole. Lo scientismo forte afferma che alcune proposizioni sono vere e razionali da affermare se e solo se si tratta di proposizioni scientifiche ben consolidate, cioè adeguatamente testate attraverso la metodologia scientifica appropriata. In poche parole, non ci sono verità a parte le verità scientifiche, e anche se ci fossero, non ci sarebbe alcuna ragione per affermarle. I difensori dello scientismo debole, invece, tengono conto di verità oltre al campo scientifico e persino concedono uno status di razionalità minima e positiva a proposizioni che non abbiano il supporto della scienza, tuttavia continuano a ritenere che la scienza sia il campo più autorevole dell’apprendimento umano ed ogni altra attività intellettuale sarebbe inferiore alla scienza (concepita priva di limiti d’indagine).

Esempi di scientisti sono pressoché infiniti, ne citiamo due su tutti. Il celebre biologo EO Wilson, ad esempio, nel suo La conquista sociale della Terra scrisse che «alle grandi domande -“Chi siamo?”, “Da dove veniamo?”, “Perché siamo qui?”- si può rispondere solo alla luce di un pensiero evoluzionistico basato sulla scientificità e la scienza non è semplicemente un’altra impresa come la medicina, l’ingegneria o la teologia. È la fonte di tutto il sapere che abbiamo del mondo reale che può essere accertato e uniformato al sapere preesistente». L’etologo Frans de Waal affermò invece che «la scienza può strappare la moralità dalle mani dei filosofi».

 

Scientismo forte e debole: contraddizioni e limiti.

E’ molto facile sottolineare le problematiche razionali alla base dello scientismo forte, poiché la proposizione che soltanto le asserzioni scientifiche possono essere vere e conosciute è chiaramente auto-contraddittoria, priva della verifica scientifica o della sua falsificazione. Come sostiene giustamente JP Moreland, «è un’affermazione filosofica, non un’affermazione empirica e scientifica». Così, lo scientismo forte si sostiene di fatto su un’affermazione filosofica che afferma che le asserzioni filosofiche non sono né vere, né possono essere verificate. Ma anche lo scientismo debole è appoggiato su una base instabile poiché affermare che la scienza è “il settore più autorevole dell’apprendimento umano” significa negare implicitamente l’integrità intellettuale di altri campi della conoscenza, come quello filosofico e teologico, presumendo che quello scientifico abbia più autorità intrinseca.

 

Metodo di conoscenza della fede porta a maggior certezza morale.

Nel settimo capitolo di Scientism and Secularism, JP Moreland esamina invece tre aree in cui si è giustificati ad affermare proposizioni senza supporto scientifico. (1) la certezza razionale delle leggi della logica e della matematica, (2) la maggiore autorità epistemica per la conoscenza dei propri stati coscienti, e (3) il maggior peso epistemico delle affermazioni morali autoevidenti. Senza entrare nello specifico, queste sono aree dove la scienza non ha alcuna autorità ma si potrebbero fare degli esempi più alla portata di tutti. L’esistenza di ognuno, anche del più irriducibile positivista, è basata sul metodo di conoscenza della fede/fiducia non su quello della scienza: dall’avere ragionevole fiducia che la propria madre non abbia messo del veleno nel caffè che ci ha servito questa mattina, alla ragionevole fiducia che il tetto sotto cui siamo è stato costruito a norma e non crollerà, uccidendoci, così come la sedia su cui siamo seduti, l’ascensore che usiamo ogni giorno ecc. Ogni istante mettiamo la nostra vita nelle mani di una “certezza morale” basata su un atto di fede ragionevole (nel caso vi siano adeguati motivi per fidarsi): nessuno porterà il caffè della madre in un laboratorio di analisi, così come nessuno necessita una verifica tecnica del tetto ogni volta che entra in casa. Così, la nostra vita si gioca sulle certezze/verità morali (l’amicizia, l’amore, la fede), che sono statisticamente più utilizzate e infinitamente più importanti per l’esistenza, rispetto a quelle scientifiche.

In ogni caso il naturalismo fallisce, per contraddizione quando si poggia sullo scientismo forte, per ingenuità e mancanza di realismo quando, tramite lo scientismo debole trascura l’esistenza di ben altri metodi per conoscere la realtà che rendono ininfluente quello scientifico (la scienza è totalmente inutile per arrivare alla certezza morale che il proprio coniuge ci ami davvero) ed ignora l’umiltà della scienza, che avanza per approssimazione e, sopratutto, necessita sempre di qualcuno che interpreti i dati che ricava. Tanto che, secondo il neuroscienziato Giacomo Rizzolatti, «la filosofia è molto più precisa della scienza».

 

Il teismo è in maggior armonia con i presupposti filosofici della scienza.

L’ultimo passaggio è quello di osservare che la ricerca scientifica assume, a priori, alcuni  presupposti filosofici. Ad esempio, l’esistenza del mondo esterno; l’ordine e la conoscibilità del mondo naturale; la sua uniformità; l’affidabilità dei sensi e della mente; l’applicabilità della matematica e l’esistenza dei numeri ecc. JP Moreland conduce a comprendere come essi si adattano meglio in un contesto teistico piuttosto che in un quadro naturalistico. Il teismo teorizza l’esistenza di un Dio razionale, il quale crea un universo razionale e ordinato e le creature vengono dotate di facoltà adeguate a conoscere ed apprezzare il funzionamento del mondo. Il teismo nemmeno ha bisogno di rinnegare o ridurre ad “inganno” il potente bisogno di significato dell’esistenza e permette di giustificare una base oggettiva per l’etica. Se “in principio era il Logos”, allora anche i presupposti filosofici necessari all’indagine scientifica trovano un quadro ragionevole (l’intelligibilità dell’universo, l’ordine del mondo esterno ecc.). Se invece “in principio c’era il caos” è tutto molto più difficile, contraddittorio e complesso.

Pensiamo per esempio all’affidabilità della nostra mente, da cui dipende quasi tutto ciò che crediamo e facciamo. Il filosofo Alvin Plantinga, emerito alla University of Notre Dame, ha giustamente osservato che la spiegazione naturalistica del funzionamento del nostro cervello è un evidente argomento contro il naturalismo stesso: se i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre speranze sono semplicemente il risultato di reazioni chimiche, perché dovremmo fidarci di questi pensieri? Quanto è probabile che le nostre capacità cognitive siano affidabili, data la loro origine puramente casuale? Molto poco. JP Moreland penetra al centro del problema: «Se la mente fosse emersa casualmente dalla materia senza l’input di un’Intelligenza superiore, sorgono immediatamente due problemi. Primo, perché dovremmo fidarci e ritenere veri o razionali i prodotti della mente? In secondo luogo, se il pensiero implica formulare entità astratte (proposizioni, leggi della logica ecc.) stanziate nella propria mente, allora sembra incredibilmente improbabile che una proprietà emersa dalla materia in una lotta per la sopravvivenza possa produrre pensieri, in primo luogo. Che questa proprietà emergente possa contenere e produrre entità astratte sarebbe un incognita irrisolvibile». Anche in questo caso, l’affidabilità dei sensi e della mente si adatta meglio all’interno di un contesto teistico in cui si presuppone l’origine non casuale della nostra mente e della coscienza.

Infine, c’è un’altra incompatibilità: quella tra il naturalismo e l’esistenza dei valori e diritti, come già abbiamo approfondito in passato. Lasciamo la parola al filosofo analitico Paul Copan, della Palm Beach Atlantic University: «Come passiamo da un universo che nasce dal nulla, da nessuna materia precedente, ad un universo fatto di materia ed energia senza valore, arrivando infine ai valori morali, inclusi i diritti umani, la dignità umana e l’obbligo morale? È difficile vedere come il naturalista possa superare questo abisso. La materia non ha proprietà morali, per non parlare di quelle mentali. Un universo morale e la dignità umana sono meglio spiegati nel contesto di un fondamento metafisico, in contrapposizione alle alternative non teistiche e in particolare al naturalismo. Se i valori morali oggettivi, la dignità e i diritti umani sono una realtà oggettiva (e ci sono ottime ragioni per pensare che lo siano), allora è estremamente probabile che esista un Essere morale all’origine della nostra creazione».

 

Così, il libro di JP Moreland aiuta a capire in modo chiaro come la visione filosofica del mondo promossa dal naturalismo non è in grado di spiegare adeguatamente -senza contraddirsi- le caratteristiche fondamentali necessarie a supporto dello sforzo scientifico. La visione teista, invece, risulta più semplice e in maggior armonia con una ragionevole spiegazione della realtà.

La redazione

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Neal McDonough: «sono cattolico, Hollywood mi censura»

attori cattolici L’attore Neal McDonough, protagonista di “Captain America”. Un cattolico coerente, fedele a sua moglie Ruvé Robertson, da sempre rifiuta scene di sesso esplicito e per questo ha trovato parecchie porte chiuse. Ma la sessualità è un dono, non un gioco o una forma di intrattenimento.

 

Pare che ad Hollywood ci sia un attore realmente cattolico, cioè coerente con i valori cristiani. Si chiama Neal McDonough e non ha particolare bisogno di presentazioni. Lo abbiamo apprezzato in Minority Report, il bellissimo film di Steven Spielberg, nel ruolo del poliziotto Gordon Fletcher, ma anche in Captain America (2011) e in tante altre pellicole di successo.

Qualche giorno fa, McDonough ha avuto l’occasione di riaffermare le sue forti convinzioni cristiane, aggiungendo anche che ciò gli è costato il posto nella serie “Scoundrels”, promossa da ABC nel 2010. «È stata una situazione orribile per me», ha rivelato in un’intervista per Closer Weekly  (alla quale non si può accedere dai server italiani), riferendosi al licenziamento per non aver accettato di esibirsi in scene di sesso esplicito e reale con la co-protagonista, Virginia Madsen. «Da quel momento ho faticato ad ottenere altre parti perché in molti mi avevano etichettato come uno zelota religioso. In realtà ho solo messo Dio e la famiglia al primo posto».

Nei suoi 30 anni di carriera è rimasto sempre coerente su questo, evitando scene di sessualità con altre donne, nemmeno quando ha partecipato alla famosa serie tv “Desperate Housewives”. «Quando Marc Cherry mi fece firmare», ha spiegato l’attore riferendosi al produttore televisivo creatore della sere, «gli ho detto: “Sono sicuro che lo sai, non bacerò nessuno». “Ma come? Questo è “Desperate Housewives!”, gli rispose Cherry. «Poi si fermò cinque secondi e mi disse: “Va bene, riscriverò la tua parte allora”. E ci siamo divertiti molto».

 

Neal McDonough: “Fedele a mia moglie e ai miei valori, evito scene di sesso esplicito”.

McDonough vive con sua moglie da 16 anni, la modella sudafricana Ruvé Robertson, con la quale ha avuto cinque figli. Le è fedele, nella vita come sul set, questo motiva il suo rifiuto alle scene di sessualità, dove i baci tra attori non sono più “recitati”, come poteva avvenire cinquant’anni fa, ma quasi spesso si tratta di lunghe scene altamente sessualizzate, provate e riprovate più volte. «Devo tutto a mia moglie Ruvé», ha spiegato l’attore americano, «in Chiesa, dopo aver ricevuto l’Eucarestia, per prima cosa ringrazio Dio che me l’ha donata, senza di lei sicuramente non starei parlando in questa intervista».

McDonough si è lamentato di qualche porta chiusa ricevuta a Hollywood, ma è anche grato perché ne ha trovate tante altre aperte. E’ evidente che ogni produttore scrive la sceneggiatura che vuole ed è normale che un attore che non rientra nella parte venga scartato, bisognerebbe però sottolineare che la difficoltà vissuta da un attore affermato come McDonough riflette anche l’iper-sessualizzazione del cinema contemporaneo.

 

Cattolici e sessualità: un bellissimo dono di Dio, da preservare nel matrimonio.

Anche per questo, tra le tante, abbiamo selezionato questa storia perché ci aiuta a ricordare che per i cattolici la sessualità è una cosa seria, non un gioco e non una forma di intrattenimento. Non è un tabù, non c’è alcuna sessuofobia ma la concezione che si tratti di un bellissimo dono di Dio e come tale vada custodita e preservata, donandola e donandosi totalmente ed integralmente a colei/colui con il/la quale si è scelto di unirsi nel sacramento del matrimonio. «L’unione sessuale, vissuta in modo umano e santificata dal sacramento, è a sua volta per gli sposi via di crescita nella vita della grazia», ha scritto Francesco in Amoris Laetitia. «Il valore dell’unione dei corpi è espresso nelle parole del consenso, dove i coniugi si sono accolti e si sono donati reciprocamente per condividere tutta la vita».

C’è chi lo ritiene un residuo moralistico del passato, una forma arcaica. Legittimo, ci mancherebbe. Ma «l’ideologia neo-libertina», ha spiegato lo psicoanalista (laico) Massimo Recalcati, «non è altro che la ripetizione monotona dell’insoddisfazione». E uno studio pubblicato sulla rivista Applied Research in Quality of Life sembra dargli ragione.

La redazione

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L’errore di chi tira in ballo le mura vaticane contro i migranti

mura leonine Il Vaticano ha mura alte però critica il muro di Trump. Un paragone fuori luogo da parte del presidente americano, ecco la storia delle Mura leonine ed ecco perché il ricatto morale è un errore.

 

Negli ultimi mesi si è presa la moda di opporsi ad ogni appello di Papa Francesco all’accoglienza chiamando in causa le mura del Vaticano. Un ricatto morale, come se l’esistenza delle Mura leonine smentisse il richiamo all’inopportunità morale di costruire muri ai confini degli Stati per respingere chi chiede di essere accolto.

 

Anche Papa Wojtyla e Benedetto XVI contro la chiusura delle frontiere.

Le Mura che cingono il Vaticano esistevano già al tempo di Benedetto XVI, quando anch’egli si espresse contro una politica che si riduce «alla chiusura ermetica delle frontiere» (2012) ed invitò ad «aprire le frontiere dei popoli e infrangere le barriere fra le classi e le razze» (2005).

Le Mura circondavano il Vaticano anche quando sul soglio pontificio c’era Giovanni Paolo II il quale, come oggi Francesco, invitava i Paesi ricchi a «non disinteressarsi del problema migratorio e ancor meno chiudere le frontiere o inasprire le leggi». Perché «il diritto ad emigrare» è «al di sopra di ogni egoismo nazionalista» (2001). Eppure nessuno ricattò moralmente i predecessori di Francesco tirando in ballo le Mura leonine.

 

Il presidente Trump si giustifica con le Mura del Vaticano.

Tuttavia, qualche giorno, delle Mura vaticane ne ha parlato addirittura il presidente americano, Donald Trump. Mentre difendeva il progetto del muro al confine tra Usa e Messico per impedire l’entrata alla carovana di famiglie disperate partite dall’Honduras, ha smentito che si potesse ritenere “immorale” perché anche il Vaticano ha delle mura difensive alte 40 piedi (circa 12 metri). «E’ uno dei muri più alti esistenti!».

Ma il parallelismo di Trump è quantomeno sballato, basterebbe conoscere la storia delle Mura leonine. Apprezzabile da questo punto di vista il commento di Damiano Serpi su Il Sismografo: «È vero, il Vaticano è circondato da un poderoso muro, anzi da più di uno», ha spiegato. «Tuttavia, non si possono scambiare le pere con le mele senza fare i conti con la storia e il mutare dei secoli. Ciò di cui parla Trump sono, in realtà, le così dette “mura leonine”, ovvero quella cinta muraria di circa 3 km di lunghezza, alta 14 metri e composta da ben 44 torri che fece erigere tra l’848 e l’852 l’allora pontefice Leone IV».

 

Le Mura Leonine non servivano ad impedire il passaggio di famiglie disperate.

Le mura vaticane risalgono all’Alto Medioevo e non ha alcun senso comparare un’opera muraria di 1170 anni fa a qualcosa che si vuole costruire oggi, nel 2019. L’esigenza di realizzare questa cinta muraria, ha proseguito Damiano Serpi, «non derivò dalla necessità o dall’obiettivo di impedire a dei “poveri cristi” disperati di varcare il confine di uno stato perché in cerca di cibo, lavoro e di un futuro migliore. Quel sistema articolato di mura e torri non aveva come obiettivo quello di cancellare la speranza di altri uomini e le loro famiglie per un futuro migliore (e più equo). Leone IV, così come i suoi precursori, aveva ben altri impellenti problemi da affrontare, ovvero proteggere il Colle Vaticano e la prima Basilica di San Pietro dai Saraceni che, nell’estate dell’846, l’avevano già violata e saccheggiata in armi».

Come ha spiegato il card. Joseph Tobin, arcivescovo di Newark, la costruzione di muri può essere giustificata moralmente o moralmente sbagliata, considerando anche che quando si innalzarono muri per respingere i migranti a metà degli anni ’90, queste persone si spinsero verso passaggi di confine molto pericolosi e ne morirono circa 8mila (in Arizona e in Texas). Questo perché «le forze che li spingono a fuggire – violenza, persecuzione e povertà estrema – sono più pericolose di un pericoloso passaggio di confine».

 

La Città del Vaticano ospita due famiglie di migranti: 10 persone.

Oggi le mura vaticane hanno esaurito il loro compito e sono lì a rappresentare un’epoca passata, «l’ingegno e la caparbietà dei nostri avi nel difendere l’integrità del cristianesimo». Usare la loro esistenza per giustificare la muratura delle frontiere significa prendere per i fondelli, potrà farlo qualche giornalista di Libero in crisi esistenziale ma non il presidente degli Stati Uniti. «Confondere l’archeologia vaticana con l’architettura attuale della dottrina sociale della Chiesa è un meschino tentativo di mistificare la realtà».

E fa parte della realtà anche il fatto che il Vaticano ospita da anni due famiglie di migranti, dieci persone in tutto. Sono 605 gli abitanti totali della Città del Vaticano.

Ovviamente, ogni Stato ha il sacrosanto diritto a regolare i flussi migratori e, se non c’è possibilità di integrare, è anche lecito «non accogliere», come ha spiegato Papa Bergoglio. Ma non si mistifichi la realtà.

La redazione

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