Suore scatenate al rave eucaristico? Una bufala, ecco il video originale

Rave eucaristico? Suore scatenate sulla musica da discoteca? Il video è falso, la musica originale è stata eliminata e anche i movimenti delle religiose sono stati accelerati. Ecco lo scherzo di un Dj polacco.

 

Una fake news. Anzi, un fake video realizzato meglio di altri, con la falsa musica in sottofondo perfettamente sintonizzata alla velocità con cui è stato accelerato il video delle “suore saltellanti”. In molti lo hanno già condiviso, in Italia è stato diffuso con il titolo “Rave eucaristico: centinaia di Suore che ballano musica da discoteca!” e si fa credere che davvero vi sia stato un raduno di religiose scatenate al ritmo di musica da discoteca, techno hardcore per la precisione.

I commenti erano prevedibili: indignazione, battute, “questa non è la mia chiesa”. Nessuno si è preoccupato di verificare e sono pochi quelli che hanno intuito la bufala, seppur ad una prima e superficiale visione possa nascere il sospetto che sia tutto vero. Ma non è così. Basta una breve ricerca in inglese e poi in lingua polacca per comprendere che l’evento si è svolto il 15 settembre 2018 a Cracovia, in Polonia. Ancora non siamo riusciti a risalire allo scopo della festa, ma certamente hanno partecipato anche tante famiglie con bambini, oltre che ad un numero elevato di suore.

L’audio originale del video è stato eliminato da dj Isaac Vissers, che l’ha sostituito con un sottofondo di musica techno, velocizzando i movimenti delle suore, rendendole quasi robotiche. Tanti altri hanno replicato l’esperimento, cambiando il sottofondo ed inserendo musica hip-hop, house ecc.

Il video originale (qui sotto, da due diverse angolature) è differente e anch’esso presente online. I tempi sono rallentati, le religiose battono le mani e chiacchierano (la prova regina dell’originalità del video) e la musica su cui le religiose stanno ballando divertite, come avviene ogni anno in qualunque parte d’Italia in occasione degli oratori estivi, è del gruppo Małe TGD, un band di giovani adolescenti polacchi cattolici presenti sul palco del concerto, che cantano il brano intitolato Góry do Góry (Montagna alla montagna). Il cui testo dice: «Viaggi da molto nel mondo, poi all’improvviso un’ombra pericolosa. E’ una montagna di paura. Ma non avere paura, abbi fede! Se le montagne non possono essere superate, se le montagne non possono essere aggirate. Alte montagne, fede di bambino».

Al di là della bufala, guardando il video originale si resta piacevolmente sorpresi dalla bellezza di queste suore polacche. Così giovani, così atletiche, così felici e così vive. Lontane anni luce dall’immaginario collettivo e forse è solo grazie alla manomissione del filmato originale che ora possiamo apprezzare questo momento di festa e questa gioiosa distesa di religiose che ballano. E a quei noiosi cristiani che storcono il naso per qualunque cosa, con “la faccia da funerale” come li chiama il Papa, raccontategli che la fede è anche festa e compagnia, ed offritegli un viaggio nelle parrocchie del Camerun o della Nigeria, dove addirittura la stessa Santa Eucarestia è celebrata dai nostri fratelli con canti e danze. Ben sanno distinguere, infatti, i momenti di serietà e silenzio da quelli di gioia.

 

La redazione

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Il monoteismo biblico non è nato copiando il faraone Akhenaton

Mosé e Akhenaton. Chi cerca una spiegazione naturale del monoteismo biblico sostiene che il monoteismo ebraico e mosaico sia nato copiando il monoteismo del faraone Amenofi IV (Akhenaton). Ma gli egittologi smentiscono l’ipotesi.

 

All’interno del filone di ricerca della spiegazione naturale e non divina delle origini della religione giudaico-cristiana, la tesi predominante è che il monoteismo biblico nacque imitando quello instaurato dal faraone Akhenaton (Amenofi IV) che scelse una divinità secondaria, Aton, e la trasformò nel culto centrale del Pantheon egizio, fino a farle reggere una religione monoteistica.

Questa la tesi dello storico delle religioni Raffaele Pettazzoni (1883-1959), oratore del Grande Oriente d’Italia, la loggia massonica italiana. Il suo libro, Storia delle religioni e mitologia (Mimesis 2018), è stato da poco ripubblicato e recensito da Armando Torno sul Corriere della Sera.  Non è un caso che Pettazzoni fu convinto massone, la sua tesi coincide espressamente con la volontà di appiattire le religioni ad un unica grande ideologica etica, contrastando l’originalità e negando al monoteismo ebraico la sua origine in una rivelazione divina. Ma, quelle appena esposte, sono affermazioni ampiamente superate e per nulla originali, anche perché furono già divulgate da Sigmund Freud nel suo saggio L’uomo Mosè e la religione monoteistica (e prima di lui, da altri autori: Breasted, Rank e Abraham).

Innanzitutto esistono forti dubbi che quello del faraone Akhenaton fosse davvero un monoteismo. L’egittologo francese Nicolas Grimal, docente presso l’Università della Sorbona, ne dubita fortemente e ha spiegato che a quel tempo semplicemente vi fu un «aumento progressivo» comune della volontà di celebrare anche una divinità legata al sole e, già nella XVIII dinastia (precedente a Akhenaton), si può vedere «un sorgere di culti “eliopolitani” e una “solarizzazione” dei principali dei dell’Egitto». Così, il cambiamento operato dal faraone a tale riguardo, «non era di per sé rivoluzionario ed era ben lungi dall’essere la religione rivelatrice che gli studiosi hanno affermato di essere» (N. Grimal, A History of Ancient Egypt, Barnes and Noble 1997, p. 238). Quello di Akhenaton fu di fatto quello che gli esperti chiamano un “henotheismo”, ovvero una preferenza e superiorità di un dio sugli altri. Le prime iscrizioni lasciate dal faraone, infatti, «si riferiscono agli “dei” al plurale» (D.B. Redford, The Monotheism of Akhenaten, in Aspects of Monotheism, p. 22).

Ma anche assumendo che fosse un vero e proprio rivoluzionario monoteismo, diversi studiosi hanno rilevato grandi differenze tra il monoteismo biblico e mosaico con quello (supposto) egiziano di Akhenaton, che viene chiamato “atenismo” (dal dio Aton). «L’atenismo era alla sua origine una tipica religione egiziana che “non infastidiva nessuno”», ha scritto l’egittologo canadese Donald B. Redford. «Mai sarebbe venuto in mente ad un antico egizio il postulare il soprannaturale come una monade, un’emanazione trinitaria intellettualmente superiore. Ancor meno gli sarebbe venuto in mente di supporre che la sua salvezza eterna dipendesse dal riconoscimento di tale monade. Un egizio poteva scegliere di adorare questo dio o quello; un altro poteva anche credere, per qualsiasi ragione, che altri dei non esistevano. Questo non era importante per un egiziano antico, nulla avrebbe potuto importargli di meno» (D.B. Redford, Akhenaten: The Heretic King, Princeton University Press, 1984, p. 22). Il monoteismo di Akhenaton, infatti, non era affatto esclusivo mentre, fin nel primo Comandamento insegnato da Mosè, l’esclusivismo è la base del monoteismo biblico (Non avrai altro Dio all’infuori di me).

Altra annotazione. «L’atenismo è privo di contenuto etico» (D.B. Redford, The Monotheism of Akhenaten, in Aspects of Monotheism, p. 113). Aton, ha proseguito l’egittologo canadese. «Non sembra mostrare alcuna compassione per le sue creature, ma fornisce loro vita e sostentamento in un un modo piuttosto superficiale: nessun testo ci dice che sente “il grido del povero”, o soccorre i malati o perdona i peccatori. Allo stesso modo, mentre conosciamo tutto sull’apparato di culto spiegato dettagliatamente nell’Antico Testamento, l’atenismo non ha offerto atti di culto (cose diverse dai quotidiani sacrifici umani/animali), non esiste nessuna immagine di culto, nessuna mitologia, nessun concetto di manifestazione continua (D.B. Redford,Akhenaten: The Heretic King, Princeton University Press, 1984, p. 169-179). Si potrebbe dire che l’atenismo ha più in comune con il Deismo dell’Occidente del XVIII secolo che con il monoteismo ebraico.

La conclusione del prof. Redford è drastica: .«C’è poca o nessuna prova a sostegno del fatto che Akhenaton fosse un progenitore del monoteismo vero e proprio che troviamo nella Bibbia, esso ha avuto un suo sviluppo separato […]. Il monoteismo di Akhenaton è così distinto dallo Yahwismo che mi chiedo perché i due vengano a volte messi a confrontino» (p. 113). E anche il suo collega egittologo francese, Nicolas Grimal, arriva alla stessa conclusione: «Si è supposto che l’atenismo si trovi alle radici del cristianesimo, quando in realtà non fa altro che riflettere il terreno comune delle civiltà semitiche» (p. 228). E potremmo anche aggiungere il giudizio di un terzo egittologo, lo statunitense James Peter Allen della Brown University e presidente dell’Associazione Internazionale degli egittologi: «l’Atenismo, è meno all’origine delle religioni monoteistiche del mondo che di una filosofia naturale: se questa religione avesse avuto successo, avremmo dovuto aspettarci che da essa fosse emerso un Talete piuttosto che un Mosè» (P.J. Allen, The Natural Philosophy of Akhenaten, in Religion and Philosophy in Ancient Egypt, Yale University Press 1985, pp. 89-101). Ovvero, come già detto, l’atenismo si avvicinava al Primo Motore di Aristotele o al Deismo di Thomas Jefferson ma nulla a che vedere con l’originale monoteismo ebraico.

La redazione

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Questo è Roger LaRade. Non è un vescovo cattolico, è un buffone.

Roger LaRade e The Eucharistic Catholic Church. E’ un signore canadese che scimmiotta lo stile cattolico, ha fondato una setta religiosa Lgbt, celebra messa, battesimi e matrimoni travestito da vescovo cattolico.

 

Girano vorticosamente foto di questo tipo (a sinistra) sui social, sia sui grandi quotidiani, dove il soggetto in questione viene scambiato per un vescovo cattolico presente ai Gay Pride, sia sui blog del mondo catto-tradizionalista, ossessivamente ossessionati dalla lobby gay vaticana.

Ma Roger LaRade è tanto cattolico quanto Asia Argento. Si fa chiamare reverendissimo J. Roger Larade, ma non è mai stato ordinato. Si definisce «ex sacerdote gesuita che attualmente esercita privatamente come analista jungiano» e si occupa di «zombie, diavoli e teorie jungiane», dimenticandosi di aggiungere che forse è proprio lui ad aver bisogno di un bravo psicoterapeuta.

Il suo tempo lo trascorre infatti gestendo una minuscola associazione canadese chiamata L’Église Catholique Eucharistique (The Eucharistic Catholic Church), un scimmiottamento della Chiesa cattolica, imitando il linguaggio tipico ecclesiale, citando passi evangelici, indossando paramenti vescovili e proclamando la «piena inclusione delle persone LGBTQ, che sono doni di Dio, nella vita della Chiesa, la quale comprende pure l’ordinazione sacerdotale e il sacramento del matrimonio». Sembra che la storia risalga al 1940 quando il vescovo della Chiesa ortodossa greca, John Augustine Kazantks, si dichiarò omossessuale ed emigrò negli Stati Uniti, fondando una setta religiosa Lgbt il cui primo luogo di culto fu un bar gay adiacente al Winecoff Hotel.

LaRade bazzica per i Gay pride vestito da vescovo e ama farsi fotografare per suscitare polemiche, indignazione o sorpresa. Non è goliardia, ci crede davvero. Pratica il battesimo, celebra l’eucarestia e matrimoni, ordina sacerdotesse. Il tutto in case private, garage o sotterranei adibiti a chiesa domestica e ha affiliazione con una identica sezione a Cuba, in Camerun e in Russia, a cui partecipano tre o quattro persone. LaRade ha fondato una seconda associazione, chiamata Ordine dei Francescani dell’Annunciazione dell’Infinito Amore di Dio, nota come i Francescani dell’Annunciazione (Franciscans of the Annunciation).

Occhio alla bufala, quindi. Pochi mesi fa alcuni organi di stampa hanno annunciato che il Vaticano si sarebbe affidato ad un potente studio legale americano per tutelare la sua immagine, in particolare verso un sito spagnolo anticattolico che usa il nome e il dominio della Santa Sede (InfoVaticana), lasciando credere che si tratti di un organo ufficiale. Ci sono certamente cose più urgenti a cui pensare ma forse, per lo stesso motivo, bisognerebbe coinvolgere gli stessi avvocati anche verso il caso LaRade.

La redazione

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Santi Ambrogio, Gervaso e Protaso: la scienza conferma la tradizione cattolica

La tradizione su Sant’Ambrogio, patrono di Milano, confermata dalla scienza. L’Università di Milano, studiando i resti del santo, ha appurato quel che si è sempre saputo grazie ai racconti popolari e l’arte, così come per quanto riguarda i fratelli e martiri Gervaso e Protaso.

 

Molto spesso si ritiene che quelle attorno ai Santi cattolici siano agiografie più che biografie, cioè miti e leggende che vengono tessute attorno agli scarni dati storici. Anche molti cattolici dubitano dei racconti popolari sui patroni delle città e dei resti mortali venerati in tante parti d’Italia. Tuttavia una recente scoperta ha messo in crisi questo piccolo pregiudizio.

Parliamo di Sant’Ambrogio, vescovo del IV secolo, patrono della città di Milano e venerato da milioni di fedeli. Recenti analisi di laboratorio, realizzate dall’Università di Milano e dall’Istituto Galeazzi con indagini radiografiche e Tac sullo scheletro, oltre a mostrare la probabile causa della morte -osteoporosi-, hanno riscontrato la frattura alla clavicola destra di cui Ambrogio parlava nelle lettere alla sorella, provocandogli dolore. Nonché la fisionomia del volto, con una differenza di altezza tra i due occhi osservabile nel mosaico del V secolo, custodito nel Sacello di san Vittore in Ciel d’Oro, nella basilica milanese a lui dedicata.

Tra gli altri risultati, anche depositi di oro e di bromo che fanno ipotizzare ricche vesti colorate di porpora di Tiro usate da Ambrogio, uomo alto circa un metro e settanta, morto intorno ai 60 anni. Governatore delle provincie del nord Italia e figlio del prefetto romano della Gallia, quindi di ottima famiglia. Il mosaico e la Tac, quindi, dipingono la medesima persona, solo in linguaggi diversi.

Oltre ad Ambrogio, importanti scoperte sono arrivate dai corpi dei martiri e santi Gervaso e Protaso, che riposano accanto ad Ambrogio nella cripta della basilica. Anche la loro storia è sempre stata avvolta da un’aura leggendaria e il ritrovamento delle loro reliquie è raccontato dallo stesso Ambrogio in una lettera alla sorella Marcellina. Ebbene, gli scheletri di Gervaso e Protaso presentano tracce compatibili con una morte violenta, confermando dunque la tradizione che racconta della persecuzione da loro subita dal generale Anastaso quando li denunciò come cristiani e li additò come persone da punire e da redimere. I due fratelli furono arrestati, torturati ed umiliati. A Protasio fu tagliata la testa con un colpo di spada (ed infatti lo scheletro presenta segni di decapitazione e lesioni alle caviglie), mentre Gervasio morì a seguito dei numerosi colpi di flagello ricevuti (ed infatti sono state riscontrate lesioni da difesa e fratture costali, oltre a segni di tubercolosi). Sempre secondo la Tac e l’esame antropologico dei resti, Gervaso e Protaso erano certamente fratelli, probabilmente gemelli, morti tra i 25 e i 27 anni d’età (probabilmente sotto Diocleziano), molto robusti, alti un metro e 80, erano di origine europea.

L’attuale arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ha ben spiegato il valore della ricerca, dicendo che «questa cura per reliquie di valore unico per la devozione della Chiesa ambrosiana e della Chiesa universale è un esercizio significativo di alleanza tra scienza/scienze e comunità cristiana. Infatti la cura e la devozione che si esprime per i santi anche venerando le loro reliquie aiuta i cristiani a non dimenticare mai che il cristianesimo è una fede costruita sull’incarnazione del Verbo di Dio in Gesù di Nazaret: la dimensione storica per il cristianesimo è irrinunciabile».

L’avvio di questi studi scientifici su santi di questa importanza, i cui racconti sono stati tramandati da innumerevoli generazioni, mostra che la comunità cattolica non ha nulla da temere, tanto meno la smentita. Nemmeno mettendo la credibilità storica di ciò che si è sempre raccontato riguardo al patrono di Milano nelle mani di scienziati e ricercatori. E anzi, da oggi quel che si è sempre saputo attraverso l’arte, le omelie e i racconti popolari sui santi Ambrogio, Protaso e Gervaso, vive del conforto della scienza.

La redazione

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Vescovi cinesi a San Pietro: la commozione del Papa e la cattiveria dei blogger-farisei (video)

Vescovi cinesi e il video della commozione di Francesco. Dando loro il benvenuto a San Pietro, grazie al recente accordo con Pechino, il Papa si commuove e, facendolo, fa intuire la portata storica dell’intesa e la lontananza dalla realtà dei critici antipapisti.

 

Nell’omelia della messa di inizio del Sinodo sui giovani, Papa Francesco ha dato il benvenuto a due vescovi cinesi, Giovanni Battista Yang Xaoting e Giuseppe Guo Zincai, giunti a Roma proprio in seguito all’accordo tra Santa Sede e Cina sulle nomine episcopali, tra gli applausi dei fedeli presenti in piazza San Pietro. Facendolo si è intimamente commosso (video più sotto).

Pur leggendo un testo scritto si intuisce la sua profonda partecipazione alle parole pronunciate e ha mostrato involontariamente al mondo la portata di questo passo storico che forse, pochi meglio di lui e dei suoi collaboratori. può ancora aver compreso fino in fondo.

La commozione del Papa porta involontariamente alla mente la gratuita cattiveria e la lontananza dalla realtà del gruppetto di giornalisti, leader della galassia antipapista, che ha pregiudizialmente attaccato anche il nuovo storico accordo, oltretutto auspicato ampiamente in precedenza dal predecessore Benedetto XVI, come spiegato dal suo amico ed ex portavoce, padre Federico Lombardi. A loro si sono uniti altrettanto poco competenti pro-life statunitensi. “Bergoglio fa patti con il Diavolo”, “un tradimento”, un “errore enorme”. I soliti Aldo Maria Valli, Marco Tosatti, Antonio Socci, Sandro Magister, Riccardo Cascioli hanno lasciato le vesti da teologi sopraffini che hanno usato per condannare le encicliche bergogliane, indossando quelle di esperti diplomatici e fini conoscitori del mondo cinese. Pronti però, a cambiarsi nuovamente d’abito per diventare attenti sociologi quando tra poco inizieranno certamente ad opporsi frontalmente anche al Sinodo dei giovani.

 

Qui sotto i saluti commossi del Papa ai vescovi cinesi (pubblicato sul nostro canale Youtube)

 

Peccato che, come già abbiamo osservato, la Chiesa cattolica clandestina cinese -che gli antipapisti vorrebbero difendere da Papa Francesco- ha ampiamente preso le distanze e si è unanimemente (ad eccezione dell’anziano vescovo Joseph Zen, l’unico critico davvero autorevole) stretta attorno al Papa, ringraziando la Santa Sede per questo grande passo compiuto. Gianni Valente ha raccolto tante testimonianze in Cina di vescovi, fedeli e sacerdoti, tra le quali quella di don Paul Han Qingping: «non si può accettare l’atteggiamento di organizzazioni e individui che fanno vedere di essere preoccupati per la Chiesa in Cina, e in realtà stanno sfruttando la situazione per perseguire la loro agenda “occulta”», ha dichiarato. «I cattolici cinesi hanno saputo che fuori dalla Cina c’è chi strumentalizza le loro sofferenze, chi non si vergogna di usare i martiri cinesi per attaccare il Papa, per costruire polemiche e calunnie contro di lui, come fanno l’ex nunzio Viganò e le forze che lo sostengono. Sono persone che non sanno niente della Chiesa in Cina, e non hanno alcun sincero interesse per i cattolici cinesi. Questa è una cosa che provoca dolore per loro, in questo momento».

Pietro Lin Jiashan, vescovo clandestino di Fuzhou, non riconosciuto dal governo, ha riunito tutti i sacerdoti clandestini della diocesi per festeggiare la notizia dell’accordo tra Cina e Santa Sede e riflettere sul messaggio del Papa ai cattolici cinesi. «Esso rappresenta un fatto molto importante per la Chiesa in Cina. Si può capire che ci siano delle preoccupazioni sull’applicazione accordo. Ma io sono certo che la Chiesa è di Cristo. È Cristo che la conduce mentre cammina nel pellegrinaggio in questo mondo terreno verso la pienezza dei tempi. Papa Francesco ha approvato l’accordo tra Cina e Santa Sede per ottenere il meglio per tutta la Chiesa in Cina. Lui e i suoi collaboratori hanno operato un attento discernimento per farsi guidare dalla volontà di Dio e valutare in maniera oggettiva e ragionevole tutti i pro e i contro».

Come segnalavamo nel nostro articolo, con il quale davamo la parola ai veri esperti internazionali e al vescovo clandestino Giuseppe Wei Fu, ci sono ancora tanti passi da compiere e da migliorare, ma è indubbio che la comunità cinese stia vivendo con sollievo questa decisione. «Finalmente sono arrivate le notizie che aspettavamo da tanto tempo» ha confidato Giuseppe Pietro Xu Honggen, vescovo cattolico di Suzhou. «A preoccuparci non erano le indiscrezioni sull’imminenza dell’accordo, ma il fatto che esso veniva annunciato e poi tardava a arrivare». Anche il vescovo clandestino Giuseppe Wei Jingyi ha diffuso ampiamente le indicazioni pastorali contenute nel messaggio di Papa Francesco, proponendole ai preti della diocesi come la bussola utile ad orientare il cammino futuro.

Rispetto ai due vescovi cinesi presenti in piazza San Pietro, Giovanni Battista Yang Xiaoting è stato ordinato con il consenso di Benedetto XVI nel 2010 e la notizia è stata diffusa da AsiaNews. Mentre Giuseppe Guo Jincai è tornato alla comunione ecclesiale soltanto recentemente. Rispondendo alle preoccupazioni di alcuni per il legame con la Chiesa patriottica, è sempre Asia News ad aver intervistato due sacerdoti cinesi in comunione con la Chiesa cattolica che hanno ritenuto positiva la presenza dei due vescovi a Roma: «Siamo molto contenti ma allo stesso tempo sappiamo che bisogna procedere con prudenza, piano piano. Oggi al Sinodo vi sono solo due vescovi, l’augurio è che in futuro ve ne possano essere tanti». Papa Francesco ha anche chiesto che l’assemblea del Sinodo, che si chiuderà il 28 ottobre, «non si lasci soffocare e schiacciare dai profeti di calamità e di sventura né dai nostri limiti, errori e peccati».

La redazione

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Marco Cappato, i vostri amici e militanti si suicidano perché non si sentono amati

Marco Cappato e l’eutanasia. Papa Francesco toglie la maschera alla “falsa compassione” di chi sostiene l’eutanasia, spiegando che se i sofferenti trovano amore nelle persone accanto sparisce il desiderio di morte. I Radicali accompagnano i loro militanti/amici a morire perché, in fondo, non li amano.

 

Lucio Magri, Mario Monicelli, Dj Fabo, Davide Trentini, Pietro D’Amico, Piera Franchini, Dominique Velati ecc. Sono tanti gli italiani che si sono recati in Svizzera per suicidarsi, accompagnati dagli avvoltoi dell’Associazione Luca Coscioni, e molti di loro sono stati militanti radicali o iscritti al partito.

Ieri Papa Francesco ha però coraggiosamente tolto la maschera da questo “accompagnamento”, fatto passare come amorevole e amichevole, quando invece è di fatto un atto di abbandono della persona sofferente e la strumentalizzazione della sua morte con il fine di una legge sull’eutanasia.

«Stiamo vivendo quasi universalmente una forte tendenza a legalizzare l’eutanasia», ha denunciato il Papa. «Sappiamo che quando viene effettuato un accompagnamento umano calmo e partecipativo, il paziente cronico o il malato terminale percepisce questa sollecitazione. In queste circostanze terribili, se la persona si sente amata, rispettata, accettata, l’ombra negativa dell’eutanasia scompare o diventa quasi inesistente, perché il valore del suo essere si misura dalla sua capacità di dare e ricevere amore, non dalla sua produttività».

Quella di Francesco è la stessa posizione espressa sul British Medical Journal, la principale rivista medica del Regno Unito: «adeguate cure mediche, consulenza e una presenza amorevole accanto al malato spesso rimuovono la richiesta di eutanasia». Angelo Mainini, direttore sanitario della Fondazione Maddalena Grassi, ha testimoniato lo stesso parlando della sua esperienza personale: «All’inizio molti pensano di voler morire, ma con il tempo il giudizio nel 99% dei casi muta, strada facendo cambiano le priorità e, con il giusto accompagnamento, riescono ad apprezzare ciò che quella loro nuova vita può offrire. Se attorno hanno persone che amano e scadenze attese con gioia, come la nascita di un nipotino o la laurea di un figlio, anche solo riuscire a fare quel sorriso o muovere la testa li appaga pienamente».

Il problema, dunque, è la solitudine umana ed esistenziale di queste persone e la responsabilità è di chi sta loro vicino. Dei parenti ma sopratutto della ditta Cappato&Welby, pronti ad approfittarsi della morte altrui per perorare una battaglia politica. Assecondare le richieste di morte al posto di presenziare tramite la propria amorevole vicinanza e manifestare l’importanza e il valore che quella persona ha, pur malata, è un tradimento dell’amicizia, una «falsa compassione», sempre secondo le parole di Francesco. Così, ha aggiunto Lucien Israel, l’agnostico luminare francese dell’oncologia, quotidianamente a contatto con malati terminali: se il medico e le persone vicino al paziente, alla persona depressa o distrutta dalla vita, fanno «ciò che è necessario per dare sollievo ai dolori fisici e alle difficoltà psicologiche, attraverso le cure e la gentilezza, tutto ciò gli fa percepire che c’è qualcuno intorno a lui che si occupa di lui» e svanisce il desiderio di morte.

E forse non c’è meglio per capirlo che lasciar parlare il compianto Salvatore Crisafulli, paralizzato a letto dal 2003 a causa di un incidente automobilistico, che attraverso il movimento delle palpebre ha scritto: «Ma cos’è l’eutanasia, questa morte brutta, terribile, cattiva e innaturale mascherata di bontà e imbellettata col cerone di una falsa bellezza? Dove sarebbe finita l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico, pronti a cedermi come trofeo di morte, col pretesto che alla mia vita non restava più dignità? Credetemi, la vita è degna di essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato. Sì, la vita, quel dono originale, irripetibile e divino che non basta la legge o un camice bianco a togliercela, addirittura, chissà come, a fin di bene, con empietà travestita da finta dolcezza».

La redazione

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Junipero Serra, ma quale genocidio! Gli storici difendono il santo missionario

Junipero Serra e genocidio? Violenza nelle missioni francescane in California? Un falso storico riemerso recentemente ma al quale hanno prontamente risposto diversi storici.

 

Fra Junipero Serra è stato il primo santo ispanico canonizzato nel territorio nordamericano, un missionario francescano che 250 anni fa ha contribuito a fondare lo stato americano della California con le sue missioni, creando anche le prime vie di comunicazione. La sua statua svetta nel Campidoglio di Washington. Nel 2015 Papa Francesco lo ha dichiarato santo in quanto «difensore degli indigeni contro i soprusi dei colonizzatori», ma da allora è riesplosa una vecchia campagna denigratoria nei suoi confronti, tanto che alcuni hanno vandalizzato la sua tomba pochi giorni dopo la proclamazione, con la scritta “Santo del genocidio”.

E’ stato infatti accusato di genocidio, tra essi anche qualche attuale capo degli indigeni americani. Il consiglio di amministrazione della Stanford University ha annunciato la scorsa settimana che eliminerà il santo dalle strade e dagli edifici del campus, perché vedere il suo nome causa “traumi e danni emotivi” a molti studenti. Un’assoluta sciocchezza per molti storici spagnoli che hanno preso posizione, alcuni consultati quotidiano ABC.

Vi furono certamente violenze e abusi da parte dei colonizzatori ma, ha spiegato pochi giorni fa la storica spagnola Enriqueta Vila, membro della Royal Academy of History, «le missioni francescane hanno preservato gli indigeni. Il genocidio si è verificato da chi era interessato all’oro». Il libro di James A. Sandos, emerito di Storia presso l’Università di Redlands, intitolato Converting California, ricorda che quando l’oro fu scoperto in California nel 1848, circa 150.000 indiani nativi vivevano nella regione. Dodici anni dopo, ne rimanevano 30.000. La maggior parte di questi 30.000 sopravvissuti all’ondata di minatori e colonizzatori anglofoni, erano proprio quelli che abitavano le missioni dei missionari cattolici. Non è un caso che le grandi città di questo stato -San Francisco, San Diego e Los Angeles- mantengono il nome originale delle missioni francescane e nel 2003, su richiesta degli intellettuali messicani, le Missioni Francescane di Sierra Gorda sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità.

Un’altra storica, María del Carmen Martín Rubio dell’Università Complutense di Madrid, ha viaggiato recentemente proprio in Alta California e ha testimoniato: «A San Carlos Borromeo, dove è sepolto, Frate Junipero è totalmente ammirato e così è lo stesso nei villaggi limitrofi», attribuendo la campagna diffamatoria ad una “manipolazione politica” non basata sulla realtà. La storica ha verificato anche che alcune delle colture introdotte dal frate continuano ancora oggi ad essere seminate e a sfamare le popolazioni locali. «Junipero è solo il capro espiatorio. L’attacco è contro il mondo ispanico nel suo insieme, i cui rapporti con i nativi furono più fluidi, rispettosi e benigni», ha invece affermato Maria Elvira Roca Barea, ricercatrice del Consiglio nazionale delle ricerche spagnolo, già docente presso Università di Harvard ed autrice di Imperiofobia e leggenda nera.

San Junipero Serra fu «un uomo del suo tempo», ha aggiunto Fernando García de Cortázar, vincitore del National History Award 2008 e professore di Storia contemporanea presso l’Università di Deusto (Bilbao). «E’ stato un religioso che fondò missioni che rappresentavano isole di cultura e pietà nella California del diciottesimo secolo e che in seguito divennero grandi città. Senza dubbio, incolpare lui e i francescani di crudeltà è una vera barbarie». Ruben Mendoza, professore di Archeologia alla California State University, che ha diretto alcuni programmi di indagine e conservazione nelle missioni San Juan Bautista, San Carlos Borromeo de Carmelo e Nuestra Senora de la Soledad, ha affermato: «Sono il discendente di indios messicani, ispanici, cattolici, e la mia eredità è quella della California». Nel corso delle sue indagini sul campo, ha riferito l’archeologo, ha testimoniato in prima persona l’ostilità nei confronti dei missionari dell’epoca. «In una missione vi era il luogo per fare il fuoco, e alcuni studenti erano convinti che fosse il luogo dove i missionari torturavano gli indios bruciandoli, invece era il fuoco per cuocere la carne da distribuire ai nativi americani», ha detto a titolo di esempio. I missionari, ha detto, portarono in California una lunga serie di innovazioni benefiche alla popolazione locale: «Agricoltura, architettura, urbanizzazione, vinicoltura, editoria, progressi medici, irrigazione, acquedotti, burocrazia, democrazia». Junípero Serra, ha detto, «sarebbe addolorato di vedersi contrapposto alle popolazioni alle quali ha dedicato la sua vita».

«Non è legittimo fare di Serra un sostituto per tutti e 65 gli anni dell’esperienza missionaria in California», ha commentato Robert Senkewicz, professore di Storia alla Santa Clara University. «Se si vuole parlare di genocidio contro i nativi della California, accadde durante la corsa all’oro, dopo il 1850. Nonostante i loro errori, nessun missionario in California fece proprio il ritornello “il solo indiano buono è quello morto”. E nelle missioni californiane non vi fu nulla che si possa connettere a stragi come Sand Creek o Wounded Knee. Non sono un teologo, ma non credo che si canonizzi qualcuno perché è perfetto, neppure San Pietro lo era», ha aggiunto Senkewicz, «quanto per le sue qualità, e nel caso di Serra il suo impegno nell’evangelizzazione, visto nel suo insieme, ha fatto molto bene».

Dopo le proteste e a seguito delle indagini affidate ad una commissione interna, la Stanford University ha cambiato parzialmente idea: saranno rinominate solo alcune, ma non tutte, le dediche rivolte a padre Serra presenti nel campus.

Approfittiamo per segnalare un nostro specifico dossier sul periodo coloniale e sul ruolo dei missionari, in cui -consultando storici e ricercatori- abbiamo sfatato pregiudizi e falsità. Le stesse che puntualmente riemergono verso San Junipiero Serra.

La redazione

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La statua che “suda”: il vescovo attende la scienza (mentre la sindaca vuole il miracolo)

Il video della statua che suda. Dedicata a San Filippo d’Agira, la statua ha iniziato ad essudare il 20 settembre scorso ma la Curia ha spento la corsa al miracolismo avviando indagini sul fenomeno.

 

Ad Agira, provincia di Enna, sta avvenendo un caso esemplare nel comportamento della Chiesa nei confronti di supposti prodigi o miracoli. La statua del santo patrono, San Filippo, lo scorso 20 settembre ha iniziato ad  “essudare”, richiamando i riflettori dei media e schiere di curiosi. Filippo fu un presbitero taumaturgo ed esorcista vissuto nel I secolo, venerato sia dalla Chiesa cattolica che dalla Chiesa ortodossa.

Il vescovo di Nicosia, mons. Salvatore Muratore, ha subito dato ordine di chiudere la sagrestia dell’Abbazia Reale di Agira, dove si trova la statua: «Ci sono accertamenti in corso», spiega la Curia ai giornalisti. Una prassi doverosa che spegne la corsa al miracolismo e permette di avviare accertamenti sul fenomeno, affidati ad una commissione d’inchiesta.

Una decisione, quella del vescovo, che ha scatenato le proteste del sindaco Maria Greco, del Partito democratico, che invece voleva sfruttare la vicenda per aumentare l’afflusso turistico. Tanto che ha inviato una protesta scritta in Vaticano per far “liberare” San Filippo. «Anche solo due autobus di pellegrini al giorno», afferma, «potrebbero essere una grande occasione per la nostra comunità, che ha investito nell’idea di paese albergo, valorizzando case che hanno una vista mozzafiato sulle montagne della Sicilia».

I presunti fenomeni di lacrimazione o essudazione di statue sono numerosi, ma pochissimi hanno superato i diversi iter che portano al “miracolo” e spesso sono risultati essere fenomeni naturali. Solitamente vi sono più commissioni chiamate ad occuparsi del caso, formate da teologi, tecnici e scienziati. Questi ultimi giungono a concludere se la lacrimazione (o la guarigione, in altri casi) è scientificamente spiegabile oppure inspiegabile, mentre saranno i teologi a doversi esprimere sull’atto miracoloso. E molto spesso è accaduto che proprio la commissione teologica abbia negato il miracolo, nonostante l’approvazione dell’equipe scientifica la quale, come dimostra il caso di Marie-Marguerite d’Youville, è spesso formata anche da scienziati atei o scettici.

Il caso di lacrimazione più famoso, su cui però la Chiesa non si è mai pronunciata, è quello della statuetta dedicata alla Madonna di Civitavecchia. Ce ne siamo occupati a lungo in un nostro dossier, in cui abbiamo descritto anche l’intervento della Magistratura italiana la quale, dopo lunghe e numerose indagini, ha archiviato il caso escludendo il dolo (cioè trucco o marchingegno da parte di uno o più soggetti) e concludendo che l’origine del fenomeno è da ricondursi ad un fatto di suggestione collettiva o ad un fatto soprannaturale. Ma le stesse analisi della magistratura, come abbiamo visto, permettono di escludere la prima ipotesi.

La questione dei miracoli anima il dibattito tra credenti e non, anche se spesso si perde il punto centrale. Nella misura in cui si ha ragione di credere che Dio esiste, allora non c’è ragione di escludere che Dio intervenga nella storia. E, come ha spiegato Jeffrey D. Rediger, psichiatra della Harvard Medical School: «solitamente si definisce “miracolo” una contraddizione della legge naturale. Io credo invece che i miracoli contraddicano solamente ciò che oggi sappiamo e conosciamo della natura e delle sue leggi» (J.D. Rediger, Harvard Medical School professor says ‘Miracles from Heaven’ and other remarkable cures could be real, Washington Post, March 29, 2016).

La redazione

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Danimarca, le nuove linee guida del governo: riscoprire l'”eredità cristiana”

Danimarca e cristianesimo. Il ministro della Cultura ha reso pubblico il contratto di governo fino al 2023, spiegando che le emittenti statali dovranno sottolineare il valore fondante del cristianesimo per la società e la democrazia. Una scelta dovuta di fronte al secolarismo radicale che ha lacerato la società.

 

Da diversi anni giungono notizie che a Copenaghen gli ex terroristi islamici trovano aiuto, studi pagati e offerte di lavoro salvo poi, due anni dopo, apprendere che gli stessi hanno ringraziato prendendo di mira i locali pubblici, chiedendo loro il pizzo.

E poi ancora: gare pubbliche di auto-erotismo, abolizione del divieto di sesso con animali, aborto selettivo ai bambini con Sindrome di Down, guerra al Natale e alle feste cristiane, inverno demografico ecc. Insomma, quello che si dice un perfetto Paese progressista.

Questa premessa rende ancor più sorprendente la notizia che il Ministero della Cultura danese ha preso una decisione in forte contro-tendenza. Il 18 settembre scorso, in diretta su Danish Radio, ha infatti descritto quale sarà l’impegno del governo per il 2019-2023, annunciando che le emittenti pubbliche dovranno rafforzare il patrimonio culturale nativo della Danimarca e sottolineare il ruolo fondante del cristianesimo nella società danese. Radio e televisioni statali, quindi, avranno il compito di sottolineare che la società danese si basa sui principi della democrazia, che hanno le loro radici nel cristianesimo.

Ecco le parole del ministro Mette Bock: i media danesi «dovranno rafforzare la propria offerta per quanto riguarda i valori culturali, democratici e storici nella società danese, compresa una chiara diffusione della cultura danese e del patrimonio culturale danese. Dev’essere chiaro nei programmi e nelle piattaforme statali che la nostra società è radicata nel cristianesimo».

Di fronte ad una secolarizzazione pronunciata, un secolarismo radicale, un femminismo estremo, ed il conseguente lassismo dei valori sociali, sembra dunque che il governo cerchi di correre ai ripari, riscoprendo le proprie radici. La frase “kristne kulturarv”, traducibile come “eredità cristiana”, è ripetuta ben cinque volte nel contratto di governo, assieme a iniziative civiche come la conservazione della cultura e l’educazione pubblica.

In Danimarca dunque ci si vorrebbe ora difendere da una deriva che loro stessi hanno entusiasticamente abbracciato, volendo ricorrere all’eredità cristiana per contrastare il progressivismo distruttivo e l’islamizzazione della società che sta erodendo il carattere distintivo danese. Questa preoccupazione si riflette in gran parte dell’Europa, un continente che un tempo era ritenuto irreversibilmente laico e che ora, invece, pare voler riscoprire la cultura cristiana per mantenere l’unità nazionale e la stabilità sociale.

Siamo certamente favorevoli a questa ripresa culturale del cristianesimo ma, ben sappiamo, che una cristianità proclamata ma non vissuta ha poca credibilità ed è priva di quella vitalità e di quella novità che riesce a penetrare il radicato scetticismo. Proclamare un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo è proprio l’errore di molti conservatori attuali, che non sentono l’esigenza di convertire profondamente loro stessi all’eredità cristiana che tuttavia vorrebbero presente e viva nei loro Paesi. Per questo Giovanni Paolo II chiedeva il percorso inverso: è dalla fede che deve nascere la cultura, perché -disse- «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» (Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”, aprile 1985).

La redazione

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La fantascienza, un genere letterario nato nel progresso culturale del Medioevo

Libri di fantascienza e Medioevo. Due studiosi descrivono la letteratura medievale che dà origine al filone fantascientifico, tra mondi extraterrestri e alieni dalla pelle verde. Il Medioevo fu un periodo storico pieno di vita, di progresso tecnologico e culturale.

 

Esseri dalla pelle verde, che parlano lingue sconosciute? Sono i protagonisti di molti film moderni, un classico della fantascienza, genere letterario molto apprezzato oggi e ritenuto moderno. Solitamente la sua origine viene individuata nelle riviste pulp dei primi anni del ventesimo secolo o nei romanzi di Jules Verne ed Edgar Allan Poe. Ma in realtà la sua origine può essere fatta risalire al Medioevo.

Un esempio sono proprio i cosiddetti “bambini verdi di Woolpit”, un racconto popolare risalente al XII secolo. Ma anche la storia di Eilmer, un monaco dell’XI secolo che costruì un paio di ali e spiccò il volo dalla cima dell’Abbazia di Malmesbury. Oppure il libro Voynich Manuscript, risalente al XV secolo, pieno di illustrazioni di piante extraterrestri e paesaggi surreali.

Ne hanno parlato recentemente Carl Kears, docente di Old and Middle English al King’s College di Londra e James Paz, docente di Letteratura medievale antica all’Università di Manchester. Nella letteratura medievale pullulano racconti di questo tipo, ma anche storie di robot e mappe che misurano ed esplorano i confini esterni del tempo e dello spazio. E’ il cosiddetto genere “fantasy” che oggi, ironia della sorte, spesso ritorna al periodo medioevale per sfuggire ad una modernità tecnico-scientifica.

Come sanno gli appassionati, la fantascienza ha un grande legame con la scienza in quanto quest’ultima è utilizzata come base razionale per fantasticare. Un esempio su tutti è il grande supporto che ha dato la fisica nella nascita della celebre saga di Star Trek. E l’origine medievale della fantascienza, scrivono i due ricercatori, conferma che «il Medioevo non era un oscuro, statico ed ignorante periodo di magia e superstizione. Fu invece un periodo di enormi progressi nella scienza e nella tecnologia, che gettò le basi per la scienza moderna attraverso la creazione delle università». La cultura letteraria medievale si abbeverò delle novità tecnologiche e della sete di scoperte, che brulicava così intensamente quel periodo storico.

Gli studiosi hanno così iniziato a rivelare la convergenza di scienza, tecnologia e immaginazione nella cultura letteraria medievale, pubblicando il volume Medieval Science Fiction (Kings College London 2016). In esso vengono analizzati i romanzi medievali sulla macchina volante di Alessandro Magno o gli uccelli d’oro automatizzati del famoso viaggiatore medievale Sir John Mandeville.

Esattamente come i moderni, gli scrittori medievali mitigarono il senso di meraviglia con un approccio razionale. Un esempio è Geoffrey Chaucer, che descrisse approfonditamente le procedure e gli strumenti dell’alchimia (una prima forma di chimica), dimostrando di averne avuto un’esperienza pratica, ma manifestando forte scetticismo nel suo Canon’s Yeoman’s Prologue and Tale, dove la definisce una pseudo-scienza e immagina e drammatizza i suoi dannosi effetti nel mondo. Sono noti gli attacchi di Sant’Agostino all’astrologia e ai suoi precetti fatalistici: il celebre storico di Scienza medievale, Edward Grant, ha infatti scritto: «l’astrologia e la magia furono tenute a freno con successo nel Medioevo» (D.C. Lindeberg & R.L. Numbers, Dio e natura, La Nuova Italia 1994, p. 43).

Dunque era chiara la distinzione tra fantasia e realtà in questo periodo storico, ricco di novità tecnologiche e di vita culturale. «E’ opportuno precisare», ha così scritto il grande appassionato di Medioevo, Umberto Eco, «che il Medioevo non è quello che il lettore comune pensa, che molti affrettati manuali scolastici gli hanno fatto credere, che cinema e televisione gli hanno presentato». Infatti, ha proseguito lo storico Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale, «grandi studiosi come Jacques Le Goff hanno insistito tutta la vita a parlare della luce del Medioevo».

La redazione

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