Dimostrare l’esistenza di Dio. Si può? E ha senso farlo?

Le prove dell’esistenza di Dio, secondo il filosofo cattolico Edward Feser. Non si tratta di assurde dimostrazioni scientifiche ma un’esposizione di cinque argomenti per i quali Dio è l’unica spiegazione possibile o, comunque, la più ragionevole.

 

Nessun credente è tale grazie ad un qualche argomento a dimostrazione dell’esistenza di Dio. La fede cristiana ha origine come cammino della ragione dalla percezione di un bisogno infinito all’incontro personale con una risposta ritenuta adeguata a tale sete di significato. Ma si può provare l’esistenza del Creatore a prescindere dalla fede?

Se per il cristiano Søren Kierkegaard ogni prova di Dio è, al più, «un canovaccio eccellente per una comica pazzesca», grandi pensatori cristiani -come Tommaso d’Aquino, Anselmo, Agostino, Plotino ecc. (e non cristiani, come Aristotele)- la pensavano diversamente e sono autori di numerose ed affascinanti “prove di Dio”, atte a convincere la persona non credente. Per quanto ci riguarda, non siamo così interessati a difendere e supportare questi sforzi intellettivi che, tuttalpiù, riteniamo utili come nutrimento per la fede dei credenti, nonché occasione di confronto con i non credenti.

 

“Cinque prove dell’esistenza di Dio”: il libro del filosofo tomista Edward Feser.

Per questo segnaliamo il recente e monumentale lavoro del filosofo tomista Edward Feser, docente presso il Pasadena City College, intitolato Five Proofs of the Existence of God (Ignatius Press 2017), esposizione dettaglia e aggiornata di cinque prove filosofiche a favore di Dio: la prova aristotelica, la prova neoplatonica, la prova agostiniana, la prova tomista e la prova razionale. Uno dei più interessanti lavori moderni sulla teologia naturale tradizionale, in cui si difendono le classiche dimostrazioni di Dio dalle varie critiche ricevute nella storia.

«Ci sono molti altri argomenti che ritengo essere convincenti ma che non ho inserito nel libro», ha spiegato Feser, «richiedevano troppe argomentazioni metafisiche». Feser ritiene che Dio si possa “dimostrare” in quanto la sua esistenza è «difendibile con argomenti che ogni persona razionale può trovare convincenti» e, ancor di più, «possiamo difendere» tali argomentazioni «con il metodo della ritorsione, che implica il mostrare che non si possono negare a causa di auto-contraddizione o incoerenza» (ovvero: la difesa di un’affermazione dimostrando che la sua negazione comporta una contraddizione).

 

Sono “prove” ma non dimostrazioni scientifiche.

Non si tratta di dimostrazioni matematiche o scientifiche da laboratorio, come chiedono retoricamente alcuni atei per poter essere convinti. Tuttavia, ha spiegato il filosofo, «rivendico la parola “prova”. Gli argomenti sono “prove” in quanto, in primo luogo, la conclusione segue deduttivamente le premesse, e le premesse sono ritenute essere conoscibili al di là di ogni ragionevole dubbio. Non sono semplici deduzioni probabilistiche, argomenti per la spiegazione migliore, o argomenti basati sul “Dio delle lacune”. Sostengo che tali argomenti mostrano non tanto che Dio è la spiegazione più probabile dei fatti asseriti nelle premesse degli argomenti, ma piuttosto che Dio è l’unica spiegazione possibile in principio di tali fatti. Questo tipo di argomentazione si adatta ad un uso tradizionale della parola “prova”».

Ovviamente, ha ulteriormente precisato, «ciò non implica che io pensi che ogni lettore sarà immediatamente convinto. Ciò che si intende indicare con “prova” è la natura della connessione tra i fatti descritti nelle premesse e il fatto descritto nella conclusione. È un’affermazione metafisica, non un’affermazione sociologica». «Naturalmente», ha proseguito Feser, «sono consapevole che alcune persone sfideranno comunque questi argomenti o rimarranno dubbiose. Ma questo è vero per qualunque argomento qualsiasi conclusione».

 

La ragione può giungere a Dio anche senza la fede.

La Chiesa si è espressa più volte a favore del raggiungimento dell’esistenza di Dio anche da parte di una ragione privata della fede. Pio IX e Paolo VI hanno affermato che «Dio può essere conosciuto con certezza col lume naturale dell’umana ragione dalle cose create» (Dei filius e Dei verbum) e lo stesso Catechismo precisa la distinzione già notata da Feser: «l’uomo che cerca Dio scopre alcune “vie” per arrivare alla conoscenza di Dio. Vengono anche chiamate “prove dell’esistenza di Dio”, non nel senso delle prove ricercate nel campo delle scienze naturali, ma nel senso di “argomenti convergenti e convincenti” che permettono di raggiungere vere certezze».

Se da una parte gli agnostici non dovrebbero ridurre la questione di Dio ad un qualsiasi fenomeno della natura indagabile scientificamente, come si trattasse di un oggetto, dall’altra i credenti devono evitare il “fideismo” emozionale, «che non riconosce l’importanza della conoscenza razionale e del discorso filosofico per l’intelligenza della fede e tende a fare della lettura della Sacra Scrittura e della sua esegesi l’unico punto di riferimento veritativo» (Giovanni Paolo II. Fides et ratio). Ma, in campo filosofico e teologico, si dovrebbe anche trattenersi dal ridurre completamente Dio ad una teoria o un’argomentazione, facendo scomparire la possibilità di farne esperienza. Egli si è fatto conoscere e si è reso familiare, accessibile a tutti. L’incontro con Lui è ciò che davvero porta ad un convincimento certo.

La redazione

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Il terrorismo politico? Invenzione del secolo buio illuminista

terrore giacobinoIlluminismo francese e ghigliottina. Il nuovo libro dello storico Francesco Benigno (Università di Teramo) affronta la storia del terrorismo, individuandone l’origine nella Francia illuminista, patria della Rivoluzione francese e -secondo alcuni- della tolleranza.

 

Il Medioevo sarebbero stati “secoli bui”, mentre l’Illuminismo fu un periodo “di luce”. Ancora oggi, ripetendo questo abusato concetto, siamo tutti vittime della vincente propaganda illuminista, per l’appunto. Poi però arrivano gli storici che, implacabili, continuano nel tentativo di svegliare le masse: ci tentò fino all’ultimo il celebre Jacques Le Goff, che dedicò anni di pubblicazioni scientifiche per dimostrare che il Medioevo è sinonimo di progresso, cultura e diritti umani (soprattutto verso la figura della donna). Ma la leggenda, purtroppo, ha resistito.

Oggi arriva un altro volume interessante: Terrore e terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica (Einaudi 2018), scritto dallo storico Francesco Benigno, docente presso l’Università degli Studi di Teramo e direttore dell’Istituto meridionale di storia e scienze sociali. Uno studio sul terrorismo, dalla sua nascita fino ai giorni oggi. E quando nacque il terrorismo? Proprio nel periodo illuminista che, secondo alcuni, avrebbe invece regalato alla storia modernità, giustizia sociale, emancipazione da tutto il buio precedente.

 

Terrorismo nasce nella Francia illuminista.

Invece no. Il concetto di terrorismo -inesistente prima- nacque proprio verso la fine del ‘700, in piena Rivoluzione francese. Il frutto più maturo dell’illuminismo furono la ghigliottina ed il Terrore giacobino, un «“regime di sangue e paura”, il cui scopo era il fine palingenetico della Rivoluzione e l’attuazione di Virtù e Giustizia anche attraverso violenza repressiva e legislazione speciale, il Terrore appunto», scrive lo storico Marcello Flores D’Arcais (Università di Siena) recensendo il libro del collega Benigno. «È nell’Ottocento che il terrorismo acquista la sua configurazione più coerente». Giunse in Italia, in Spagna, in Germania, in Austria, in Russia, in Giappone, in Grecia, dove si moltiplicano gli attenti politici. La Francia illuminista fece da apripista, non facendosi remore ad utilizzare il terrore come strumento del “bene” (secondo i rivoluzionari).

 

Bauman: “Il comunismo? Figlio del secolo dei Lumi”.

Già il celebre sociologo polacco Zygmunt Bauman indicò che «il comunismo non è un’utopia romantica, ma è figlio del secolo dei Lumi, di Voltaire e Diderot». E, di fatti, aggiunse, «il comunismo è una tecnica di conquista del potere, tecnica golpista, tecnica che permette di ignorare i risultati delle elezioni, e che tende alla totale manipolazione delle coscienze e del linguaggi. Camus disse che la particolarità del Novecento stava nel fatto di causare il Male in nome del Bene».

 

Sam Harris: “Un movimento ateo trasformatosi in regno del terrore”.

Perfino il filosofo Sam Harris, uno degli atei militanti più famosi al mondo, ha riconosciuto nel 2014 che «ci sono stati molti movimenti atei nel corso della storia che iniziarono con il più alto degli ideali, tra cui le rivoluzioni francese e russa. Ma il loro idealismo iniziale si è rivelato insostenibile. Si sono trasformate in regni del terrore, la forza bruta ed il terrore divennero i mezzi utilizzati per il controllo sociale».

 

Il paradosso della storia è che i più celebri illuministi (si pensi a Voltaire) vengono oggi celebrati come maestri di tolleranza e a loro vengono perfino attribuite false citazioni (come “Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”), censurando completamente l’amara verità: appena furono al potere, la loro tolleranza la espressero attraverso la lama della ghigliottina.

La redazione

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Due vittime di abusi ritornano: «Senza la Chiesa dove andiamo?»

abbandoni chiesaVittime di abusi nella Chiesa, ma il male commesso da un prete non pregiudica la loro appartenenza perché solo nell’Eucarestia si può trovare la pace del perdono e della rinascita. Questo testimoniano Ben Hoffman (Minnesota) e Paul Peloquin (Canada).

 

Abbandonare la Chiesa, a causa di abusi sessuali subiti da un prete, è una soluzione che sembra ovvia e pienamente comprensibile a prima vista, ma aggrava solamente il danno subito perché ci si priva dell’unico luogo in cui, grazie alla presenza fisica di Dio tramite l’Eucarestia, si può superare l’odio e concepire la propria vita in un orizzonte eterno, ricevendo serenità e speranza. E’ questo quel che vuole testimoniare Ben Hoffman (nella foto, a destra), raccontando di essere tornato cattolico dopo 8 anni dall’abuso subito da un prete.

Nel 2011 non voleva avere più niente a che fare con la Chiesa, aveva 16 anni e assieme a due fratelli minori fu molestato sessualmente da un prete omosessuale, Curtis Wehmeyer. La famiglia era attiva in parrocchia, almeno fino a quando vennero scoperti gli abusi sui propri figli: il prete li attirò in un camper nel parcheggio della chiesa, offrì loro alcool e marijuana, mostrò loro immagini pornografiche e li toccò in modo inappropriato, almeno secondo i dati della polizia. E’ stato condannato a 6 anni di prigione ed è stato ridotto allo stato laicale dal Vaticano.

 

Addio alla Chiesa dopo gli abusi del prete: “ma ora chi mi dà l’Eucarestia e la pace?”

E’ un esempio di come questi criminali possano non solo distruggere la vita di giovani ed adolescenti, ma anche la vita di fede di tutti i loro amici e familiari. La vita degli Hoffman, infatti, andò in frantumi: i figli iniziarono improvvisamente a drogarsi, ad impegnarsi in una vita sessualmente promiscua e minacciarono più volte il suicidio, lo stesso matrimonio dei genitori rischiò di rompersi. Fortunatamente la comunità cattolica di Minneapolis (Minnesota), la città in cui vivono, si strinse attorno a loro e riuscirono ad inquadrare che quegli abusi altro non erano che la perversione ed il peccato di un uomo. Il tempo e l’amicizia rischiararono i pensieri, la ripresa della preghiera portò molte cure spirituali e oggi gli Hoffman sono tornati alla vita cattolica.

«Non posso immaginare di superare quello che mi è successo senza Cristo», è il giudizio chiaro, lucido e razionale di Ben Hoffman, che oggi ha 25 anni, si è sposato, ha un figlio di 11 mesi e lavora come venditore. «La Chiesa cattolica è la nostra casa perché Cristo è qui, nell’Eucaristia. E’ Lui il grande guaritore», e affidandosi a Dio -il cui nome venne tradito proprio da un uomo chiamato a rappresentarlo-, è originata la sua trasformazione e la sua rinascita come uomo.

 

Andarsene dalla Chiesa significa privarsi di Cristo, l’unico in grado di guarire le ferite.

Oggi Ben sta combattendo ancora, ma non più per se stesso ma per gli altri “sopravvissuti” agli abusi che vogliono abbandonare la Chiesa. E’ diventato anche leader dei Servant of the Cross, un ministero familiare per bambini delle scuole medie, che organizza per loro progetti nell’oratorio parrocchiale. «Appena mi separai dalla Chiesa», in seguito agli abusi, «restai lontano diversi anni e aprii la mia vita a tutto il male che avevo rifiutato in precedenza: il diavolo mi aveva portato esattamente dove mi voleva. Non sono un santo, la ferita non è completamente guarita, ma grazie a Dio sono tornato e ho trovato la mia fede».

Vuole aiutare le vittime di abusi sessuali a riconoscere nuovamente che non bisogna permettere ad un uomo -sia esso un prete o un vescovo- di avere la meglio sulla propria fede e sulla partecipazione ai Sacramenti, altrimenti il Male vincerebbe due volte. «Non c’è vera felicità senza Cristo», afferma Ben Hoffman, «l’ho capito proprio negli anni in cui mi sono allontanato», moralmente distrutto e ferito dalle molestie subite. «Se potessi cambiare la mente o la prospettiva anche solo di una persona, tutto ciò che ho passato ne sarebbe valsa la pena».

 

Dopo gli abusi è rinato in un monastero, oggi aiuta le altre vittime a non lasciare la fede.

Sono da sottolineare anche le parole di Paul Peloquin (nella foto a sinistra), psicologo clinico di Albuquerque (New Mexico), anche lui rimasto vittima all’età di 11 anni di un prete pedofilo, Earl Bierman. Un trauma fisico e spirituale, tanto che Ploquin ha lasciato la Chiesa per oltre 30 anni. Oggi, invece, utilizza una terapia basata sulla fede per aiutare le vittime a guarire dalle ferite morali e tornare alla Chiesa. Il suo riavvicinamento al cattolicesimo è avvenuto lentamente, dal 2002 al 2005: ha trascorso del tempo in un monastero benedettino, dove nella pace, nella preghiera e nella natura ha ripreso in mano la sua relazione con Dio. Dopo 12 anni è riuscito finalmente a perdonare il suo abusatore: «Non lo maledico più. Non ha più presa su di me».

Anche Peloquin è impegnato nello stesso messaggio di Ben Hoffman: «Abbiamo bisogno di buoni sacerdoti, che vogliono vivere come servi, senza loro non abbiamo i sacramenti. La maggior parte dei sacerdoti è buona, ma alcuni non lo sono, sono lupi vestiti da agnelli a lavorano per conto di Satana». Così, lo psicologo messicano oggi aiuta le altre vittime di abusi sessuali, dicendo loro: «Non lasciare che il malvagio ti imprigioni. C’è uno che è venuto a liberarti, Gesù, che può guarirci dalle nostre ferite. Lui è la tua speranza e non ha mai smesso di amarti. Lui è lì, con le braccia aperte e desidera solo che tu possa tornare. Se lasci la Chiesa, ti fai del male più di quanto te ne possa rendere conto: stai lasciando la tua strada per la salvezza».

La redazione

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«Da 40 anni studio i danni causati dalla scomparsa del padre»

ruolo padre Importanza della figura paterna. Lo psicoanalista francese Jean-Pierre Winter si occupa da anni delle conseguenze della sua assenza per i bambini, così come avviene nelle coppie composte da due donne. Il suo nuovo libro si chiama “L’avenir du père”, ecco alcuni estratti.

 

Sei delle sette sparatorie più letali nelle scuole statunitensi tra il 2005 e il 2015 sono state compiute da giovani cresciuti in case in cui il padre non c’era. Secondo Real Women of Canada, a provenire da nuclei famigliari privi della figura paterna sono l’85% dei giovani in carcere, il 63% dei giovani suicidi, il 71% delle adolescenti incinte e il 90% dei fuggitivi o degli adolescenti senzatetto (The Curse of Fatherlessness). Un grande esperto di Medio Oriente, Gilles Kepel, ha parlato con numerosi giovani terroristi jihadisti incarcerati, trovando un unico punto in comune: l’assenza del padre.

E’ di questo che si occupa Jean-Pierre Winter, affermato psicoanalista francese, esperto di psicopatologia del bambino e fondatore e attuale presidente del Mouvement du coût freudien. Intervenne, come tanti suoi colleghi, in occasione del dibattito francese sulla legalizzazione del matrimonio egualitario, opponendosi alla dissociazione della parola “genitori” da quella di “padre” e “madre”. Il suo pensiero è stato ribadito nella sua ultima opera, intitolata L’avenir du père (Il futuro del padre), con il quale ha sottolineato l’importanza insostituibile della figura paterna e le conseguenze della sua progressiva scomparsa. Proponiamo qui alcuni estratti.

 

Adozioni gay, servono anni perché si manifestino i danni.

«Come specialista nell’infanzia», ha scritto Winter, «ho affrontato per 40 anni il danno causato dalla progressiva scomparsa della figura paterna. Servono alcuni anni per rendersi conto della manifestazione di questi danni, specialmente nell’adolescenza, perché è l’età in cui ritorna tutto ciò che è stato metabolizzato male nella prima infanzia e produce sintomi». Lo psicoanalista freudiano si riferisce ad alcuni studi che –al contrario di tanti altri– indicano come i bambini “senza padre” stanno crescendo bene esattamente come gli altri, «ma questi studi non indicano mai l’età dei bambini studiati», ha avvertito. «In un bambino può sembrare che tutto vada bene fino all’età di 5-6 anni, anche fino a 12-13 anni, ma improvvisamente c’è uno sconvolgimento. Perché? Perché lasciando l’infanzia alle spalle affiorano elementi della loro vita precedente che sono stati repressi, censurati o inibiti. Così, questo bambino “che stava bene” inizia a non andare più bene, anzi va peggio degli altri bambini di età simile».

 

Crescere con genitori del sesso opposto è totalmente diverso.

Come tanti altri suoi colleghi, anche il dott. Jean-Pierre Winter ha sottolineato che «non è uguale a zero essere nati da due persone diverse per natura, un uomo e una donna, anche se hanno molto in comune, nascere seguendo una legge della natura che non possiamo respingere, relazionarsi dall’inizio con un corpo e una voce di uomo ed un corpo e una voce di donna. I loro modi di toccarci, di prenderci, di nutrirci, di sorridere non sono la stessa cosa. Fin dall’inizio affronteremo questa differenza di ruoli e di sessi e saremo in grado di gestirla. Ad esempio, sapremo dalle sensazioni del corpo che esiste un altro tipo di relazione, diversa dalla relazione di controllo e dominio, che è la relazione originale con la madre».

Le Famiglie Arcobaleno solitamente replicano che i bambini cresciuti con due donne si relazionano comunque con i nonni, gli amici o gli zii. Ma «relazionarsi con l’altro sesso in modo occasionale ed esterno», ha replicato lo psicoanalista francese, «non ha affatto gli stessi benefici dell’essere sempre in contatto con le loro differenze. Per gli psicoanalisti, le ripercussioni delle adozioni a persone dello stesso sesso sono misurate in più di una generazione. Vorrei che le conseguenze siano misurate prima di dare loro, per legge, un posto equivalente a quello delle famiglie naturali. Forse sarebbe il momento di ricordare il principio di precauzione».

 

Avere due mamme per legge uccide simbolicamente la figura paterna.

Una legge che sancisce la legittimità di un’adozione a due donne, «agisce anche direttamente a livello simbolico, non sopprime un essere, ma un luogo». «Tutti quelli che avrebbero potuto occupare quel luogo sono squalificati in anticipo, resi superflui e, con loro, tutti coloro che hanno occupato questo posto nel passato. In altre parole, il padre è morto prematuramente». Ed invece, «l’ambivalenza del padre nei confronti del figlio e del figlio nei confronti del padre è fondamentale perché possono capirsi e confrontarsi». Al contrario, il padre diventa “facoltativo”, «estendendo la non necessità del padre all’intera società. Così un bambino insoddisfatto potrebbe dire a suo padre: “Scusa, ma non abbiamo bisogno di te, qui sei solo tollerato”».

 

La differenza tra sessi è un dato di fatto, non un costrutto sociale.

C’è poi un altro problema che sta prendendo progressivamente piede, ovvero la tesi artificiale secondo cui la differenza tra i sessi non sarebbe altro che un costrutto sociale e personale. C’è un fondo di verità, ha scritto Jean-Pierre Winter, «nelle differenze tra uomini e donne vi sono effettivamente fattori che risalgono a costruzioni storiche, geografiche, ecc. Ma lo stesso si potrebbe dire della morte: in ogni percezione della morte, c’è una parte dell’immaginario personale e un’altra parte delle situazioni sociali. Gestiamo diversamente il soggetto morte in base al luogo e al tempo, ma, nonostante ciò, la morte è ancora la morte, qualcosa di reale. La stessa cosa accade con la differenza dei sessi, è un dato di fatto come la differenza tra la vita e la morte. Un uomo e una donna possono essere simili tra loro, ma ciò non significa che siano intercambiabili».

La redazione

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Le cliniche per aborto chiudono «ad un ritmo allarmante»: l’indagine scatena la festa

Numero aborti. L’Abortion Care Network ha pubblicato un report allarmato dal fatto che negli Stati Uniti le cliniche che offrono interruzioni di gravidanza stanno chiudendo una dopo l’altra. E’ bastato poco per far gioire gli attivisti Pro-life.

 

Le cliniche che forniscono pratiche di aborto stanno chiudendo «ad un ritmo allarmante». Lo ha rivelato un report pubblicato da un’organizzazione che guadagna sulle spalle dell’interruzione della vita dei bambini non nati.

Un tema di cui ci occupiamo costantemente in quanto lo riteniamo essere una vera ingiustizia sociale, tentando di sensibilizzare la società verso l’incoerenza dell’ossessione moderna dei “diritti” e la contemporanea soppressione di vite umane indesiderate. La crescita costante dell’opposizione all’aborto, dei medici obiettori di coscienza e di politiche a favore della vita nascente stanno premiando il lavoro di tanti attivisti.

Sopratutto negli Stati Uniti, dove il tema dell’interruzione di gravidanza scuote molto più le coscienze rispetto ad altre parti del mondo ed è puntualmente argomento centrale delle campagne elettorali. Questo spiega la gioia di moltissime persone all’aver appreso dall’Abortion Care Network che «dal 2013 sono state chiuse 148 cliniche per aborti indipendenti. 40 di queste cliniche hanno chiuso i battenti nel 2013; 23 nel 2014; 33 nel 2015; 22 nel 2016; 17 nel 2017. A novembre 2018, ben 11 cliniche indipendenti hanno smesso di offrire i servizi».

E’ bastato sapere ciò per scatenare la felicità di molti. «Il rapporto dell’ACN sembra confermare ciò che i fautori dell’aborto hanno sottolineato da molto tempo: il lavoro dei consulenti fuori dalle cliniche, gli eventi di preghiera, le indagini, gli sforzi legislativi e i centri di risorse e aiuto per la donne in gravidanza potrebbero effettivamente avere un impatto sul numero di aborti e delle strutture negli Stati Uniti», ha dichiarato Carole Novielli di Live Action News.

In Virginia, la più grande clinica abortista fino a quattro anni fa, è oggi uno studio medico gratuito riservato ai poveri e dedicato alla Beata Vergine Maria. Si chiama Mother of Mercy ed ha aperto i battenti il 6 dicembre 2017, finanziata dalla diocesi di Arlington. Un anno prima si chiamava Amethyst Health Center for Women e praticava interruzioni di gravidanza. E’ così passata dall’essere un luogo di morte a uno di vita e carità.

La redazione

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Nel 2018 più fedeli per Francesco rispetto ai predecessori: nessuna fuga

fuga fedeli bergoglioFuga di fedeli da Bergoglio, lo ripetono continuamente, ma è falso. Ecco i dati delle udienze generali relativi al 2018, dai quali si evince che i pellegrini accorsi in piazza San Pietro sono stati più numerosi (o comunque nella media) se confrontati con quelli di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II.

 

I fedeli fuggono da Papa Francesco. Così ripetono esultanti numerosi giornalisti cattolici e così hanno titolato più volte Libero, Il Giornale e La Verità. Spesso con tanto di foto di piazza San Pietro semi deserta, omettendo il dettaglio che l’evento non è ancora cominciato.

Ma è falso. Lo abbiamo già dimostrato nel 2017, pubblicando i dati ufficiali dei partecipanti agli eventi pubblici di Bergoglio (dal 2013 al 2016), confrontandoli con quelli relativi a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. La media di fedeli presenti agli incontri pubblici del Pontefice argentino è sempre stata nettamente più alta dei suoi predecessori: 790mila presenze medie annuali per Papa Francesco, 600mila presenze medie per Benedetto XVI e 690mila presenze medie per Giovanni Paolo II.

Per quanto riguarda il 2017, purtroppo non siamo riusciti a conoscere i dati relativi alle presenze in quanto la Santa Sede ha smesso di pubblicare il resoconto annuale alla fine di dicembre. Per il 2018, invece, abbiamo potuto calcolare il numero di pellegrini accorsi in piazza San Pietro alle Udienze generali grazie ai dati puntualmente offerti ogni mercoledì dall’agenzia SIR. Sommando i dati delle singole udienze, infatti, si può calcolare le presenze mensili e, di conseguenza, il totale annuale (un esempio relativo alle udienze dello scorso novembre: 7/11, 14/11, 21/11 e 28/11).

 

I fedeli non fuggono da Bergoglio: 500mila nel sesto anno. Per Ratzinger 400mila.

Nel 2018, i fedeli presenti alle Udienze generali sono stati 505.500, in calo rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, l’agenzia SIR non ha pubblicato i dati relativi a ben 5 udienze (in particolare quelle del: 31/01, 21/03, 28/03, 22/08 e 29/08). Così, ipotizzando almeno 6000 presenti (il numero minimo) il dato arriverebbe a 535.500, ma si tratta, per l’appunto, di un’ipotesi.

Confrontando i 505.500 presenti per Papa Francesco con i dati dei suoi predecessori, osserviamo che si tratta comunque di una cifra notevole. I pellegrini presenti alle udienze di Benedetto XVI, nel sesto anno di pontificato, erano 100mila in meno e, come si osserva dalla tabella qui sotto, anche l’amato Papa Ratzinger ebbe nel corso della sua permanenza sul soglio pontificio un notevole “calo di fedeli” (o “fuga”, come oggi viene scritto nei confronti di Francesco). Giovanni Paolo II, invece, vide più pellegrini in piazza rispetto a Francesco soltanto nei suoi primi due anni, nel 2000 e nel 2001, ma, al contrario di quanto avverrà per i suoi successori, rimasero costanti per tutta la durata del suo pontificato.

bergoglio fuga di fedeli

 

Numero partecipanti alle udienze: quale significato?

E’ evidente che questi numeri lasciano il tempo che trovano: la popolarità non equivale alla verità, la quale non è affatto democratica. Per quanto ci riguarda, non significa nulla quale pontefice abbia riscosso più “successo” tra i fedeli e quanti di loro siano accorsi alle sue udienze. Il paradosso è proprio quello di Benedetto XVI, un grandissimo Pontefice che però negli ultimi suoi due anni ha raggiunto il picco di “impopolarità” tra i partecipanti alle udienze.

L’unico motivo per cui presentiamo questi dati è per rispondere con la semplice verità alla malevola disinformazione dei soliti haters i quali, invece, sostengono che Francesco sia un Papa non amato dai cattolici, apprezzato solo da chi è fuori o contro la Chiesa. Ma è una leggenda, come gran parte delle loro “notizie”.

La redazione

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James Watson, un Nobel razzista che crede all’ateismo scientifico

James Watson, dna e doppia elica. Revocati i titoli onorari a causa di ennesime frasi contro neri, ma il razzismo è un passo coerente con il suo credo materialista: l’uomo è totalmente riconducibile al suo materiale genetico. «La cultura cristiana», scrive lo storico ebreo Lèon Poliakov, «è sempre stata antagonista alle teorie razziste».

 

Il noto biologo James Watson ci è ricascato. In una recente intervista è tornato a parlare delle “differenze genetiche” di intelligenza fra bianchi e neri ed il Cold Spring Harbor Laboratory ha deciso di revocare i titoli onorari consegnati al suo storico leader. Questa la notizia di oggi sui giornali.

Watson è un biologo statunitense ritenuto “uno dei padri del Dna”, per il quale ha vinto il Nobel per la Medicina nel 1962. Amatissimo dal matematico Piergiorgio Odifreddi, che lo omaggia con definizioni come «il più famoso scienziato vivente» e «noto anticonformista». Così anticonformista che nel 2007 disse che «i neri sono meno intelligenti dei bianchi» e che l’idea che «l’eguaglianza della ragione condivisa da tutti i gruppi razziali si è rivelata una delusione» tanto che «chi ha a che fare con dipendenti di colore pensa che questo non sia vero» (da notare che Odifreddi pubblica i suoi elogi a Watson 7 anni dopo queste frasi, divenute nel frattempo di dominio pubblico). Concetto ribadito poche settimane fa e che gli è costato la revoca dei suoi titoli onorari e la confutazione delle sue tesi da parte della comunità scientifica.

 

Watson vinse il Nobel rubando il lavoro di Rosalind Franklin.

Quel che sui quotidiani non viene però scritto è che Watson vinse il Nobel per la scoperta della struttura elicoidale del DNA, appropriandosi in gran parte del lavoro di Rosalind Franklin (morta poco dopo di cancro) e servendosi dei suoi lavori non ancora pubblicati. Tanto che l’università di Harvard si rifiutò di pubblicare il celebre libro di Watson, “La doppia elica”, in cui si vantava della scoperta. La vicenda è approfondita in B. Maddox, Rosalind Franklin. La donna che scoprì la struttura del dna (Mondadori 2002).

 

Il biologo idolo della comunità ateista: “La vita è solo questione di chimica”.

Occorre anche ricordare che James Watson è sempre stato un idolo della comunità anti-teista americana, alla stregua di Dawkins e dell’etologo E.O. Wilson. Una nota di colore: l’ateo più famoso del mondo, Richard Dawkins, difese lo stesso Watson quando quest’ultimo sostenne il diritto delle donne ad abortire se dalle analisi fosse emersa l’omosessualità del suo bambino (negli Stati Uniti i neodarwinisti sono contrari agli omosessuali perché li ritengono un danno alla proliferazione della specie).

Watson non ha mai fatto mistero del suo “ateismo scientifico”. Basta leggere il suo libro, Dna, il segreto della vita (Adelphi 2004) per scoprire quanto sia orgoglioso che l’aver scoperto il «segreto della vita» abbia di fatto confermato «la rivoluzione del pensiero materialistico dell’Ottocento». Per il quale, la vita umana non sarebbe «nulla di speciale, nient’altro che una questione di chimica», mentre l’uomo è «il prodotto di lanci casuali dei dadi della genetica» (p.415). Nel 1997, il nobel Watson firmò a favore della clonazione umana, perché «non esiste un’anima immortale ma soltanto processi elettrochimici». Invocò anche l’eugenetica e la selezione sessuale: «Lasciateci liberare la società dai difetti genetici». «C’è qualcosa di divino all’interno di una cellula, qualcosa che si chiama vita?», si domandò ancora Watson. «La doppia elica rispondeva a questa domanda con un “no” definitivo» (p. 415). E’ un’affermazione forse ancor più sciocca di quella dell’astronauta russo, Jurij Gagarin, che, reduce dal suo giro attorno alla terra (1961), proclamò: «Sono stato nello spazio, ma lassù non ho visto alcun dio».

 

Il genetista Francis Collins si convertì grazie alla scoperta del DNA.

Il religiosità pagana, animista. Anzi, a ben vedere, la doppia elica ha confutato il panteismo di Baruch Spinoza e l’anima mundi di Giordano Bruno, perché ha escluso il vitalismo magico interno alla materia (una “materia divina”) che nulla ha che vedere con il cristianesimo, per il quale ogni cellula è sottoposta interamente alle leggi naturali. E’ sul principio generatore di queste leggi che la scienza, con buona pace di naturalisti e tardo-positivisti ottocenteschi, cede il passo alla riflessione filosofica e metafisica.

Lo ha osservato uno dei maggiori esperti mondiali di fisica gravitazionale teorica e di cosmologia quantistica, il fisico Don Page: «Come cristiano ritengo che le leggi fisiche dimostrino la fedeltà di Dio e gli schemi che ha utilizzato, seppur non siano per Lui vincolanti. Vediamo tanta bellezza matematica, semplicità ed eleganza nell’universo fisico, nelle equazioni dinamiche che Dio ha creato, in un certo senso le leggi fisiche sembrano essere analoghe alla grammatica e al linguaggio che Dio ha scelto di usare». Ed il genetista che ha decifrato il DNA umano, Francis Collins, è noto per essersi convertito al cristianesimo dopo quella scoperta: «Ero sbalordito dall’eleganza del codice genetico umano. Mi resi conto di aver optato per una cecità volontaria e di essere caduto vittima di arroganza, avendo evitato di prendere seriamente in considerazione che Dio potesse rappresentare una possibilità reale».

 

Dall’ateismo scientifico al razzismo il passo è breve.

Come ha ben osservato il saggista Francesco Agnoli, è proprio da questi suoi convincimenti riduzionistici che prende piede il convinto razzismo di Watson. «Se il dna è tutta la vita, e se tutta la vita è riconducibile al dna, allora ogni distinzione tra uomo e uomo, e ogni alterità tra uomini e animali, è riconducibile solo ed esclusivamente ad esso», scrive Agnoli. «Di qui al razzismo il passo è breve: la differenza di sviluppo tra bianchi e neri non deriverebbe da dissimili cultura, storie ed educazioni, ma da fattori genetici, e come tale sarebbe incolmabile, eterna, immutabile» (F. Agnoli, Perché non possiamo essere atei, Piemme 2009, p.102).

Bisognerebbe ascoltare anche Lèon Poliakov, tra i principali studiosi del genocidio ebraico e dell’antisemitismo razzista (citato nel nostro dossier). «Il rifiuto di vedere l’uomo creato a immagine di Dio», ha scritto, «fu in buona parte alla base del pensiero determinista e razzista del XIX secolo. Infatti la tradizione giudaico-cristiana era “antirazzista” e “antinazionalista” […]. Per questo l’antropologia della Chiesa ha sempre giocato un ruolo di un freno estremo alle teorie razziste» (L. Poliakov, Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, pag. 245,246,370,371).

La redazione

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Clamoroso dietrofront: alla Caritas monete da tutte le fontane romane

monetina fontana treviIl sindaco Virgina Raggi si “pente” e garantisce alla Caritas le monete della fontana di Trevi e aggiunge quelle di tutte le altre fontane. Un riconoscimento per il principale ente caritatevole della città, che ogni giorno aiuta gratuitamente centinaia di cittadini romani. Un “presidio di umanità”, secondo il quotidiano rosso l’Unità.

 

Non solo le monete raccolte nella Fontana di Trevi a Roma resteranno alla Caritas diocesana, ma anche le monete raccolte in tutte le altre fontane della Capitale saranno destinate all’organismo caritativo diocesano, per un totale approssimativo di 200.000 euro aggiuntivi.

Un dietrofront clamoroso quello di Virginia Raggi, sindaco di Roma, che -scrivendo a l’Osservatore Romano ha negato di aver «mai pensato di privare la Caritas di questi fondi». Si parla delle monetine lanciate dai turisti nella vasca di Trevi che, da decenni, il Comune dona all’organismo caritatevole più importante e presente sul territorio per contribuire all’aiuto quotidiano di migliaia di cittadini romani. Per la Raggi sarebbe stato un malinteso, in realtà l’atto esecutivo di espropriazione delle monete (si parla di un milione e mezzo di euro ogni anno) è stato deciso dal consiglio comunale il 28 dicembre scorso, su proposta dell’assessore Laura Baldassarri.

 

Virgina Raggi: “garantisco io, la Caritas non si tocca: aiuta i romani”

La notizia ha generato un polverone tale che il sindaco romano è corso ai ripari, non solo fermando l’atto ma aggiungendo la donazione alla Caritas di tutte le monete gettate nelle altre fontane romane. «La Caritas e tutte le migliaia di persone assistite dai suoi operatori», ha spiegato ieri, «possono stare tranquille. Garantisco io, in prima persona, che non verrà mai meno il contributo di questa amministrazione. L’ente diocesano svolge un compito importante per tanti bisognosi e per la città di Roma che vuole continuare a essere la capitale dell’accoglienza dei più deboli».

Secondo i dati del 2017, più di 48 mila famiglie si sono rivolte alla Caritas di Roma, di cui il 43% sono italiani e il 68% sono donne. Per loro sono stati erogati 350 mila pasti, 200 mila pernottamenti, 15 mila prestazioni sanitarie, 40 mila visite domiciliari a malati e anziani. Un’opera che ha coinvolto seimila volontari, cinquemila studenti e 12 mila pellegrini.

 

Sconfitta della laicità?

Ma anche il plateale dietrofront ha generato a sua volta polemiche, non solo interne ai 5stelle, e le solite urla alla laicità perduta, si veda l’odierno editoriale di Mario Ajello su Il Messaggero. E’ ovvio che è nel pieno diritto del comune di Roma decidere a chi destinare le monete lanciate nelle fontane presenti sul suo territorio e nessuno intende togliere a Cesare ciò che è di Cesare, ma il rapido “pentimento” dell’amministrazione comunale dopo le polemiche stride parecchio con il racconto di una presenza cattolica ininfluente sul territorio italiano, rappresentato da una Chiesa debole e priva di seguito popolare.

Inoltre, il riconoscimento laicissimo di Virginia Raggi (paladina Lgbt, ricordiamolo) all’operato della Caritas, andrebbe preso più sul serio. Ci sono certamente tante altre realtà caritatevoli nella Capitale, sia cattoliche che laiche, ma i disoccupati, i padri divorziati, i senzatetto, gli immigrati, le donne in difficoltà, gli anziani soli, la fila per avere tutti i giorni un piatto caldo gratuito la fanno davanti a questo ente diocesano. A chi si rivolgono gli oltre diecimila cittadini romani indigenti? Lo ammette la stessa Raggi che, arrivata al vertice dell’amministrazione comunale (al contrario degli attivisti grillini che criticano la sua marcia indietro, sul web), ha preso pieno possesso della realtà: «Credo che le parrocchie rappresentino un baluardo importante per la tenuta del territorio. Spesso le parrocchie e i centri di volontariato rappresentano le frontiere all’interno della città, il luogo in cui ci si confronta e si cresce insieme». Ecco perché sarebbe certamente legittimo, ma insensato e controproducente per i suoi stessi cittadini, privare la Caritas di questi fondi.

 

Il premier Conte annulla l’iper-tassazione del no-profit: “un errore”

Infine, restando in argomento, lo stesso ragionamento dev’essere balenato nella mente del premier Giuseppe Conte. Il quale, come la Raggi, ha personalmente garantito che il terzo settore -in gran parte rappresentato dalle opere caritatevoli cattoliche- non verrà ulteriormente tassato con l’Ires. «Quando si sbaglia bisogna ammettere l’errore», ha dichiarato ieri, Conte. Dopo l’incontro con i rappresentanti del “settore solidarietà”, «abbiamo convenuto di tornare al regime precedente». Il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, a nome del Terzo settore, ha ringraziato il premier e «quanti – non da ultimo le testate giornalistiche – si sono adoperati per evitare il raddoppio della tassazione sugli enti che svolgono attività non profit».

 

Quando perfino l’Unità celebrava la Caritas: “un presidio di umanità”

«Quando si è stretti nella morsa degli usurai o quando improvvisamente ci si scopre poveri», scriveva qualche anno fa L’Unità, l’ex organo di stampa del Partito Comunista Italiano. «Quando si è persa la casa e gli affetti e con loro la dignità e l’umanità. Per chi vive queste situazioni drammaticamente “consuete” in questi tempi di crisi, incontrare la Caritas significa trovare un ricovero, una risposta al bisogno immediato, avere di fronte qualcuno disposto con competenza di ascoltare e prendersi cura. È un’occasione per risalire la china dell’emarginazione sociale». E ancora: «E’ stato così per tanti in questi anni. Qualcosa di più della semplice assistenza e di diverso dall’elemosina. Un presidio di umanità. Sia per chi ha usufruito dei servizi, sia per quell’esercito di volontari che hanno arricchito di senso loro vita».

La redazione

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Switchfoot, la rock band ispirata da Kierkegaard e Sant’Agostino

rock band La rock band statunitense, gli Switchfoot, pubblica il nuovo album “Native Tongue”. Un gruppo che esprime in musica il senso religioso dell’uomo, con una profondità non comune. Ecco i loro brani più belli e intensi, quasi una preghiera.

 

Conoscete gli Switchfoot? No? Peccato, ne vale la pena. Il nuovo album intitolato Native Tongue porta la data del 16 gennaio, a produrlo la rock band di San Diego (California), chiamata appunto Switchfoot, guidata dal suo frontman Jon Foreman. Un gruppo affermato, vincitrice dei Grammy Award nel 2011.

«Abbiamo una spinta comune per il bene, per la grandezza, e per vedere gli ideali su cui è stato fondato il nostro paese», ha detto recentemente Foreman a The Christian Post. «Iniziamo da lì, iniziamo da questa comunanza tra gli uomini, con questa identità comune piuttosto che dalla rabbia, dalla paura: una volgare abitudine se penso a Twitter e Facebook».

Più volte nei loro brani, come d’altra parte ammettono, fa capolino l’inspirazione ricevuta dai brani di Soren Kierkegaard, profondo autore danese nonché padre della filosofia esistenziale. Da lui, percepiscono «una chiamata a puntare in alto, ad essere onesti. Lo vedo nei Salmi e lo vedo in tutte le Scritture», spiega Foreman, figlio di un pastore protestante. «E’ la stessa cosa che senti nel blues, è la stessa cosa che sentivo ascoltando alcune band punk locali, è quell’onestà. Questo è il modo in cui voglio cantare, il modo in cui voglio suonare, e sento che questo è il mio ruolo».

Più che il nuovo Native Tongue, preferiamo un album più datato chiamato New Way to Be Human (2002), che contribuì al loro successo negli Stati Uniti. I testi sono profondi e la musica -specialmente quando è in versione acustica- coinvolge l’ascoltatore nell’atmosfera di domanda, di richiesta di perdono, di bisogno di redenzione, di preghiera che caratterizza l’album.

 

Il brano è una preghiera: “Nulla mi rende felice, lasciami conoscere il Tuo tocco”

Pensiamo ad esempio a Only Hope (“Soltanto speranza”), brano che è stato parte della colonna sonora del film A Walk to Remember (2002) ma, sopratutto, a Let That Be Enough. «Mi sento così sconfitto, così solo. Sembra tutto così impotente e non ho progetti. Sono un aereo al tramonto con nessun posto dove atterrare. E posso vedere tutto, ma nulla di questo mi rende felice e tutti i miei castelli di sabbia passano il tempo crollando». E’ una significativa auto-coscienza della posizione dell’uomo, desideroso di felicità ma impossibilitato a darsela e, quando ci prova, fallisce. «E’ il mio compleanno domani, nessuno qui sa che sono nato questo giovedì di 22 anni fa. E mi sento bloccato guardando la storia ripetendo: “Si, ma chi sono io?”. Solo un bambino che sa di essere bisognoso». E’ soltanto partendo dall’evidenza di questo bisogno che, di fronte all’impotenza umana, non ci si arrende al nichilismo disperato e neppure si reagisce con violenza verso il mondo. Ma, ed ecco l’opzione cristiana, ci si consegna alla domanda verso Colui senza il quale la realtà non ha senso. «Fammi sapere che Tu mi senti», dice la canzone, aprendosi alla preghiera. «Lasciami conoscere il tuo tocco, fammi sapere che mi ami e fai che sia abbastanza».

 

La canzone “New Way To Be Human” è l’annuncio cristiano al mondo.

Un altro brano che proponiamo è New Way To Be Human (Un nuovo modo di essere umani), da cui prende il nome l’album stesso. Ascoltando le parole, cantate su un ritmo incalzante, porta alla mente il discorso di San Paolo all’areopago di Atene, quando annunciò l’incarnazione di Dio in mezzo ai pagani e ai loro dei. «Ogni giorno è la stessa cosa, un’altra tendenza è iniziata. Ehi, ragazzi, potrebbe essere quello!», canta Jon Foreman con ironia, sottolineando come tanti ripongano negli idoli moderni -la moda, le tendenze- la loro speranza, ciò che finalmente renderà felici. Ed invece no, «con tutta la nostra moda, siamo ancora incompleti»: ecco l’amara verità. Ed ancora: «Perché nessuno è famoso, e nessuno sta bene. Abbiamo tutti bisogno del perdono». Così, come Paolo disse: “Colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio” (At 17,15.22-18), il brano annuncia la grande novità: «Il Dio della redenzione potrebbe rompere la nostra routine. C’è un nuovo modo di essere umano, niente di come siamo mai stati».

 

La conversione di Agostino: “Muoio dalla voglia di essere incontrato, oggi cerco la grazia di Dio”.

Ed infine suggeriamo un ultima canzone, ispirata esplicitamente alle Confessioni di Sant’Agostino. E, di fatti, si intitola: Something More (Augustine’s Confession). Il brano racconta l’uomo Agostino prima e durante la conversione, una metafora dell’uomo qualunque: «Si è appena svegliato con il cuore spezzato, in tutto questo tempo non è mai stato sveglio. A trentun anni il suo intero mondo è un punto interrogativo. Guarda i sogni che aveva, alimenta la fiamma nella sua testa. Nella silenziosa disperazione del vuoto dice: “Dev’esserci qualcosa di più di quello che sto vivendo, Ti sto implorando!“. Le sue paure, il tempo che scorre, i sogni che si infrangono: «Ma è arrabbiato di essere vivo e sta morendo dalla voglia di essere incontrato. Nella tranquilla disperazione del vuoto dice: “Hey, io mando all’aria tutto, niente mi è rimasto a trattenermi. Hey, io do via tutto, oggi cerco la grazia di Dio“».

Vale la pena conoscere i Switchfoot. Al contrario di tanti artisti moderni, hanno qualcosa di interessante da dire all’uomo. Qui sotto il brano Let That Be Enough.

 

La redazione

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Siria, i giovani universitari cattolici: «siamo 300, siamo il futuro»

cristiani siriaI cristiani in Siria ci sono. Domenica scorsa gli universitari erano riuniti per l’Eucarestia nella Cattedrale di Homs, si sono presentati in 300. La fondazione vaticana Aiuto alla Chiesa che soffre finanzia i loro studi.

 

Nel 2012 l’antica città siriana di Homs è stata lo scenario di un’offensiva senza precedenti tra le forze governative e l’Esercito siriano libero. I quartieri cittadini furono rasi al suolo dai bombardamenti e le vie erano piene di civili morti. L’intervento delle Nazioni Unite nell’aprile 2012 pose fine al conflitto.

 

In 300 i giovani cattolici alla Messa nella Cattedrale di Homs.

«La situazione in Siria oggi sta gradualmente migliorando», ha spiegato Khalil Al Tawil. «Vita e trasporti si stanno normalizzando, anche se abbiamo ancora molti problemi economici». Khalil è uno dei giovani universitari cattolici di Homs, riunitisi domenica scorsa nella Cattedrale melchita cattolica di Nostra Signora della Pace. Erano in 300, ragazzi e ragazze uniti per celebrare insieme l’Eucaristia. Un miracolo, si potrebbe dire.

Tutti hanno potuto continuare i loro studi grazie al sostegno della Chiesa, attraverso l’aiuto della fondazione di diritto pontificio, con sede in Vaticano, chiamata Aiuto alla Chiesa che Soffre. I giovani siriani lo sanno e hanno colto l’occasione di un’intervista per esprimere gratitudine: «Ho ricevuto una borsa di studio per acquistare materiale e anche per un corso di francese. Continuo a ricevere assistenza per pagare il trasporto all’università», ha spiegato Khalil. Lo ha confermato un’altra giovane, Sandra Satmeh: «La Chiesa è responsabile per le spese dell’autobus, è un aiuto per le nostre famiglie perché abbiamo a malapena qualcosa per mangiare o per pagare l’affitto».

 

La fondazione vaticana finanzia gli studi dei cristiani in Siria.

La Cattedrale di Homs porta ancora i segni dei bombardamenti ma i lavori di riparazione sono in corso, sui muri si vedono i fori dei proiettili sparati dagli jihadisti, specialmente contro le immagini di Gesù, di Maria e degli apostoli. Ma i cattolici sono tornati a celebrare la messa, pieni di speranza, concreta e non illusoria. E sono proprio questi 300 giovani a rappresentarla più di altro, il loro desiderio di studiare per contribuire alla rinascita della Siria. Lo ha spiegato la giovane studentessa di Ingegneria civile, Anaghem Tannous, presente anche lei nella cattedrale: «Ciò che mi ha aiutato in questi anni a mantenere la speranza e la felicità è stata la possibilità di continuare i miei studi. Voglio migliorare le mie conoscenze e aiutare le persone qui nel mio paese».

Questo è il motivo per cui la Chiesa è impegnata nel finanziare l’educazione in modo prioritario, perché è il miglior investimento per il futuro. Ma c’è un secondo motivo: soltanto coloro che portano avanti studi universitari sono esenti dall’obbligo di entrare nell’esercito dopo i 18 anni di età. Lo ha raccontato Wissam Salloum, uno studente cattolico di 21 anni, iscritto ad Ingegneria informatica: «Il prossimo anno mi laureo, ma voglio continuare a studiare per evitare di andare in guerra. Voglio stare in Siria e voglio che presto ci sia pace, pace per tutti».

 

Una comunità unita tra sport e amicizia, anche con i compagni musulmani.

La Cattedrale di Nostra Signora della Pace è anche un luogo in cui questi giovani si incontrano e condividono l’amicizia e la vita in generale, oltre a celebrare la fede. Dopo la Messa, infatti, hanno improvvisato una sfida nel campetto di basket e poi un pranzo assieme. Spesso invitano i loro amici musulmani, la maggioranza degli studenti dell’università: «E’ raro che nella mia classe ci sia un compagno cristiano», spiega Wissam. «Così, nascono amicizie tra noi e i musulmani che ci apprezzano e rispettano l’atteggiamento pacifico dei cristiani, non vogliamo scontri e ci vedono con speranza di fronte a tante difficoltà». «Ringraziamo anche Papa Francesco», continua Wissan, «non lo conosco di persona, ma so che ha parlato diverse volte della Siria, ci ha fatto conoscere al mondo e sembra una persona umile».

 

Si possono aiutare i cristiani della Siria attraverso Aiuto alla Chiesa che Soffre, tutte le indicazioni si trovano qui.

La redazione

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