Amnesty viola i diritti umani dei suoi dipendenti

amnesty international Sconcertante indagine su Amnesty e l’ambiente di lavoro tossico subito dai propri dipendenti. Oltre ad aver tradito i valori fondanti, è diventata una lobby pro-aborto nei Paesi in via di sviluppo. In 4 anni ha perso metà dei volontari.

 

Un ambiente di lavoro “tossico”, bullismo, umiliazioni pubbliche e abusi di potere. Questa è la descrizione usata dai dipendenti di Amnesty International per descrivere il clima che si respira nell’organizzazione internazionale che si dice essere il baluardo della difesa dei diritti umani.

 

Gli sconcertanti risultati dell’indagine: il 40% dei dipendenti subisce umiliazioni.

È quanto emerge da un’indagine interna effettuata dalla stessa Amnesty su un campione di 475 dipendenti, che corrisponde al 70% dello staff del Segretariato generale. Uno studio dovuto dopo il suicidio di due dipendenti, Gaëtan Mootoo e Rosalind McGregor, morti legate alle vessazioni subite sul posto di lavoro.

Addirittura il 39% dei dipendenti di Amnesty dichiara di aver sviluppato un problema mentale o fisico causato dall’ambiente di lavoro e dalla cultura lavorativa dell’organizzazione. «La causa del mio stress è il modo in cui sono trattato da Amnesty e non il lavoro che faccio», ha detto uno degli intervistati.

Nel report emerge «una vera e propria cultura del bullismo», ma anche abusi di potere, nepotismo e razzismo. Umiliazioni pubbliche dei dipendenti inflitte dai responsabili di Amnesty, discriminazioni sessuali e di razza. Nel comunicato emesso dalla stessa Amnesty si prende atto che «dato lo statuto di Amnesty e la sua missione di proteggere e promuovere i diritti umani, il numero di casi riportati di bullismo, razzismo e sessismo è sconcertante».

 

Sponsor dell’aborto nei paesi del Terzo mondo: il legame è il disprezzo per la vita.

Un’indagine che è stata silenziata dai grandi media, nonostante l’enorme contraddizione di una ONG per i diritti umani al cui interno vengono sistematicamente violati. D’altra parte sono stati completamente traditi i valori del fondatore di Amnesty, un ebreo convertito al Cattolicesimo, Peter James Henry Solomon (alias Peter Benenson). Il fondatore salvava vite, mentre oggi l’opera che ha fondato è un affare di morte.

Come già abbiamo avuto modo di segnalare, Amnesty è in prima linea nell’operare indebite pressioni per l’introduzione dell’aborto nei paesi in via di sviluppo (oltre ad essere sponsor di qualunque evento della comunità Lgbt). E’ nata con un nobile intento, difendere i diritti inviolabili enunciati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, oggi spaccia come diritti umani persino la legalizzazione della prostituzione e della droga.

Non è certo un caso che, in appena quattro anni, ha perso più della metà dei suoi volontari, oltre che, ormai da anni, il sostegno del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace. Sarà per il radicale tradimento dei valori fondanti e/o per l’ambiente tossico di lavoro che denunciano i suoi stessi dipendenti. Certamente Amnesty ha bisogno di imparare cosa siano i diritti umani, di certo non lo sono l’uccisione di bambini non ancora nati né le umiliazioni che pratica sistematicamente verso i propri dipendenti. In comune c’è sempre una cosa: il disprezzo per la vita umana.

La redazione

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Il beato Popieluszko, vicini alla condanna gli agenti comunisti che lo massacrarono

beato PopieluszkoGli assassini di padre Popieluszko, a cui è stato dedicato un film nel 2009, simbolo morale di Solidarność, il sindacato non violento che dissolse il regime comunista, potrebbero venire finalmente condannati. Le autorità polacche hanno infatti riaperto il caso dopo 35 anni.

 

Nonostante l’uscita nel 2009 del bellissimo film a lui dedicato dal regista Rafal Wieczynski, pochi conoscono la grandezza umana del beato padre Jerzy Popieluszko. Un umile sacerdote polacco vissuto nella seconda metà degli anni ’90, diventato il simbolo morale di Solidarność, il primo sindacato libero (e cattolico) nel blocco sovietico che -grazie al sostegno economico da parte di Giovanni Paolo II- annientò il regime comunista e portò la democrazia in Polonia.

 

Riaperto il caso dopo 35 anni: il governo polacco vuole condannare i responsabili.

Venne assassinato brutalmente dal regime comunista all’età di 37 anni, i capitani Grzegorz Piotrowski, Leszek Pekala, Waldemar Chmielewski ed il colonnello Adam Petruszka furono giudicati colpevoli e condannati a 25 anni di carcere, ma vennero rilasciati a seguito di amnistia qualche anno dopo. Tuttavia pochi giorni fa è giunta la notizia che i procuratori della Commissione per i crimini contro la nazione polacca, hanno accusato un gruppo di agenti di polizia segreta, oggi in pensione, di aver tentato di incastrare il martire beato nei giorni precedenti all’assassinio.

Si recarono infatti nell’appartamento del sacerdote, a Varsavia, nascondendo al suo interno materiale considerato illegale all’epoca, come munizioni, esplosivi, volantini e pubblicazioni, così da poterlo accusare ed arrestare per sovversione. A guidare il gruppo di agenti era Grzegorz Piotrowski, lo stesso criminale che poi massacrò Popieluszko pochi giorni dopo. E’ ancora vivo, ha 67 anni, ha cambiato nome e ha lavorato per un settimanale satirico ed anticlericale, mentre i suoi complici continuano a ricevere pensioni del Ministero dell’Interno, almeno secondo quanto riferiscono i giornali polacchi.

 

Chi era padre Popieluszko, il nemico principale del regime comunista.

Popieluszko era l’anima spirituale del sindacato non violento, e sfidò il regime vivendo assieme agli operai in sciopero nei cantieri siderurgici di Varsavia, organizzava conferenze, incontri di preghiera anche per medici ed infermieri, assisteva gli ammalati, i poveri, i perseguitati. Nelle sue omelie, ascoltate da migliaia di persone e da artisti e intellettuali dissidenti, «chiedeva a tutti di vivere nella verità, per non perdere la libertà e la dignità. Solo così l’uomo può rimanere libero anche di fronte al regime», ha ricordato Joanna Kwiatkowska, sua collaboratrice. Chiedeva agli operai di mantenersi saldi, di pregare per i loro persecutori, invitava a non reagire ai soprusi del regime dittatoriale con la violenza ma solo con la preghiera, li confessava, sosteneva le loro famiglie.

In poco tempo questo sacerdote divenne il principale nemico del blocco sovietico, perché la resistenza pacifica ma ferma del popolo polacco poteva (come avvenne) contagiare tutti i paesi sottomessi all’Unione Sovietica. I comunisti lo minacciarono uccidendo i figli e i parenti delle persone a lui più vicine, qualcuno dei suoi collaboratori cedette diventando una spia dei servizi segreti. Lui non si piegò e nemmeno mostrò mai odio o rancore, «combatto il peccato non le sue vittime», disse. Il 19 ottobre 1984 viene rapito da tre funzionari del Ministero dell’Interno, riuscì a fuggire ma venne braccato, colpito ancora più duramente, il volto fu sfigurato e legato ed imbavagliato venne buttato, ancora vivo, in un fiume.

Il brutale assassinio di padre Popieluszko generò un movimento enorme di protesta che portò al collasso del sistema comunista. Mezzo milione di persone sfilò al suo funerale il 3 novembre 1984, nonostante il divieto, tra essi anche il futuro regista Wieczynski.

 

Processo di beatificazione per un martire “ucciso in odio alla fede”.

Nel 1991, Giovanni Paolo II in preghiera sulla sua tomba nella chiesa di San Stanislao Kostka, a Varsavia, lo indicò come «martire», «testimone dei nostri tempi difficili, del nostro difficile decennio». La Chiesa ha avviato il processo di beatificazione nel 1997 e nel 2009 si è pronunciata sul «il martirio del Servo di Dio Giorgio Popiełuszko, sacerdote diocesano; nato il 14 settembre 1947 ad Okopy Suchowola (Polonia) e ucciso in odio alla fede». Fu beatificano nel 2010.

La più belle parole dedicate al beato Popieluszko le ha forse pronunciate il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, mons. Angelo Amato: «Padre Popiełuszko è stato un testimone eroico della bellezza e della verità del Vangelo di Gesù. Un martire che trovò la sua forza nel Signore presente nell’Eucaristia. Con la sua testimonianza ci ha mostrato che i regimi passano come temporali d’estate lasciando solo macerie, ma la Chiesa e i suoi figli restano per beneficare l’umanità con il dono della carità senza limiti».

 

Qui sotto il trailer (in spagnolo) del film Popieluszk – Non si può uccidere la speranza.

 
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Cristicchi: «nei monasteri sono cambiato, siamo parte di un disegno»

abbi cura di me cristicchiSimone Cristicchi a Sanremo 2019. Tra i favoriti il suo brano “Abbi cura di me”, una laude francescana che l’artista ha scritto ispirato dalla frequentazione di monasteri e conventi, un’esperienza che lo ha cambiato, richiamandolo alle grandi domande e alle priorità della vita.

 

Certamente è musicalmente cresciuto negli anni, ma non solo. Ha iniziato con brani leggeri come Studentessa universitaria (2003) e Vorrei cantare come Biagio (2005), il cantautore romano Simone Cristicchi ha fatto un percorso personale. Già nel 2017 ha portato a Sanremo, vincendolo, la bella canzone Ti regalerò una rosa, scritta alla fine di un suo viaggio tra gli ospedali psichiatrici d’Italia.

 

“Abbi cura di me”, la laude francescana presentata a Sanremo 2019.

Secondo i pronostici, Cristicchi è tra i favoriti per vincere anche il Festival di Sanremo in corso in questi giorni, stasera ci sarà la finale. Il singolo che ha presentato si chiama Abbi cura di me, incluso nel nuovo album pubblicato il 6 febbraio scorso. «Non cercare un senso a tutto. Perché tutto ha senso, anche in un chicco di grano si nasconde l’universo. Perché la natura è un libro di parole misteriose, dove niente è più grande delle piccole cose. La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere, perché tutto è un miracolo tutto quello che vedi».

Qualcuno l’ha già definita non a torto una “laude francescana” o un Cantico delle creature 2.0, dove la bellezza del creato diventa segno del Mistero, del miracolo, della «scintilla divina». In un altro brano, intitolato Gli Alberi, Cristicchi è ancora più profondo: «Per gioire di questo incanto, senza desiderare tanto, solo quello, quello che abbiamo, ci basterà. Ad accorgersi in un momento di essere parte dell’immenso, di un disegno, molto più grande, della realtà».

 

L’amicizia nei monasteri con frati e monache: “Sono le persone più felici”.

Le parole dell’artista sono però la miglior spiegazione: «Una suora clausura mi ha dato l’interpretazione più bella. È una preghiera di Dio all’uomo, perché anche Dio ha le sue fragilità», ha detto Cristicchi in un’intervista. Il cantautore ha frequentato in questi anni molti monasteri e conventi, come l’eremo di Monte Giove a Fano e la Fraternità di Romena guidata da don Luigi Verdi, con cui ha registrato il nuovo programma per Tv2000, Le poche cose che contano. Ha così creato un legame speciale con suore e monaci, scoprendo che «le persone più gioiose e felici che ho incontrato, sono quelle appartate dal mondo, ma non per una questione di fuga o di snobismo. Nel silenzio ci si connette a qualcosa. Ed è proprio soggiornando in un eremo quest’estate che ho scritto “Lo chiederemo agli alberi”, secondo inedito dell’album. Parlo dell’allodola, che è come le monache, l’uccellino prediletto da San Francesco e rappresenta l’umiltà, perché si ciba delle piccole briciole, del poco che ha, e canta dall’alba alla notte».

Nell’intervista Simone Cristicchi dice di essersi accorto che «la spiritualità va toccata con mano, la devi toccare e farne esperienza. E l’esperienza più forte è vedere persone rapite da qualcosa di superiore, che hanno abbandonato la vita precedente per un desiderio di infinito che appartiene a tutti». Mercoledì scorso, al termine dell’Udienza, il cantautore è riuscito ad incontrare anche Papa Francesco.

 

Un tempo era critico verso la Chiesa.

Un tempo era critico verso la Chiesa, come molti artisti provenienti dalla “sinistra impegnata”. Poi è accaduto qualcosa, «un mio amico monaco mi ha detto che sono un cristiano inconsapevole. Credo che occorra ritornare alle priorità della vita. Siamo invasi ogni giorno da mille progetti, da mille informazioni, mille immagini, siamo continuamente collegati e connessi con la realtà virtuale. Così si perde interesse per le grandi domande dell’esistenza. Siamo noi stessi che ci dobbiamo risvegliare e capire l’importanza della vita. In realtà c’è tanta bellezza che ci circonda, la meraviglia di esserci e di partecipare».

 

Nel video qui sotto, Cristicchi interpreta Gli alberi, spiegando come l’ispirazione sia venuta conoscendo le sorelle francescane di Campello. Più in basso, il brano Abbi cura di me.

 

 
La redazione

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I card. Müller e Brandmüller: «Lutero? Volle rinnovare, non dividere»

muller luteroLutero riabilitato da Bergoglio? Le parole di Francesco sono condivise anche dai suoi predecessori, ed anche da cardinali ritenuti “difensori della dottrina” dai critici del Papa. Non si tratta di glorificare Lutero, ma trovare punti in comune con le confessioni protestanti, secondo la richiesta di Benedetto XVI.

 

Torniamo su un tema toccato qualche tempo fa, quando mostrammo la continuità nelle parole degli ultimi tre pontefici sulla Riforma protestante e su Martin Lutero. I predecessori di Francesco, molto più di lui, impegnati nel cammino d’unità con i fratelli protestanti, hanno valorizzato il tentativo del monaco agostiniano di denunciare la sporcizia spirituale della Chiesa rinascimentale. Rinnovare ma senza dividere, anche se poi le conseguenze furono chiaramente disastrose, al di là delle intenzioni.

 

Il giudizio di Papa Wojtyla e Benedetto XVI su Martin Lutero.

Della posizione dei predecessori di Francesco sul padre della Riforma protestante ne abbiamo già parlato in un precedente articolo. Basti solo ricordare in questo contesto che Papa Wojtyla chiese di «riconoscere l’alta importanza della richiesta di Lutero di una teologia vicina alle Sacre Scritture e della sua volontà di un rinnovamento spirituale della Chiesa», mentre Papa Ratzinger, incontrando i rappresentanti della Chiesa evangelica tedesca, sottolineò che «l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica».

Papa Francesco, invece, si è limitato a ricordare che «l’intento di Martin Lutero, cinquecento anni fa, era quello di rinnovare la Chiesa, non di dividerla», dato che «la Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere». Solo le sue parole, tuttavia, hanno scatenato infuocate polemiche e accuse di voler glorificare Lutero.

 

Il card. Müller: “Lutero voleva rinnovare la Chiesa, non creare lo scisma”.

A inserirsi nel dibattito è stato il card. Gherard Ludwig Müller, ex prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, che domani pubblicherà un “Manifesto per la fede” in sette lingue diverse per correggere la “confusione nell’insegnamento della fede”, già da molti letto come un atto politico per mettersi a capo di una nuova cordata contro l’attuale Pontefice, dopo il fallimento dell'”operazione Viganò”. In un testo in lingua tedesca, datato novembre 2016, il card. Müller ha scritto:

«L’obiettivo di Lutero era la riforma e il rinnovamento della Chiesa, pulirla dagli errori dogmatici che avevano prodotto una pratica pericolosa, non voleva colpire l’unità della Chiesa». Ed ancora: «I Riformatori volevano il rinnovamento della Chiesa secondo il Vangelo, ma andarono in opposizione alla visione cattolica del Vangelo e della Chiesa, senza però formare una coalizione con la cultura secolarizzata del Rinascimento, come invece ritiene l’interpretazione protestantizzata dell’evento storico». Lutero, Zwingli e Calvino, «sono indicati come “riformatori” ma non hanno voluto colpire l’unità della Chiesa in favore di una varietà di denominazioni. Non è stato il tentativo di migliorare la vita morale e spirituale a generare lo scisma, ma il fatto che i seguaci di Lutero, Zwingli e Calvino affermarono che la Chiesa aveva gravemente sbagliato nella fede e proposto un falso concetto dei sacramenti».

Così, anche l’ex prefetto Müller incolpa dello scisma i seguaci di Lutero, salvando invece le intenzioni del monaco agostiniano. Al di là degli errori dei protestanti, ha proseguito il prefetto Müller, «la Riforma storica del 1517 può contribuire come sfida per tutti i cristiani attraverso il rinnovamento in Cristo e della credibilità dei nostri pensieri e delle nostre azioni». Ed infine, il pensiero di Lutero «non deve essere respinto in toto, ma può essere valutato come forma di correzione […]. Possiamo con il Concilio Vaticano II raccogliere le preoccupazioni di Lutero e liberare la fede cattolica da una controversa escalation teologica». Simili parole sono state ripetute dall’ex prefetto durante convegno presso la Pontificia Università Gregoriana e in un’intervista a Il Timone, quando disse: «è necessario sbarazzarsi della “mondanizzazione” della Chiesa: tutto questo possiamo accettarlo dalle istanze della riforma protestante».

 

Lo studio sulla Riforma delle commissioni vaticane (1983, 1999 e 2013)

La posizione qui espressa del card. Müller, in linea con quanto proferito da Francesco, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, è ritrovabile nel lavoro del 1983 della Commissione Congiunta Cattolica Romana-Evangelica Luterana, voluta da Papa Wojtyla, che parlò di Lutero come un «testimone di Gesù Cristo» e dichiarò che «i cristiani, siano essi protestanti o cattolici, non possono ignorare la persona e il messaggio di quest’uomo». Nella Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, datata 1999, si legge inoltre: «I cattolici possono condividere l’orientamento dei riformatori che consiste nel fondare la fede sulla realtà oggettiva della promessa di Cristo, a prescindere dalla personale esperienza, e nel confidare unicamente nella promessa di Cristo».

Nel documento pubblicato nel 2013 dalla Commissione luterano-cattolica per l’unità, di cui l’allora vescovo Müller (è stato creato cardinale da Francesco nel 2014) era co-presidente, si legge infine: «Alla luce dell’indubbio rinnovamento della teologia cattolica che il Concilio Vaticano II ha operato, oggi i cattolici sono in grado di comprendere le preoccupazioni riformatrici di Martin Lutero e di considerarle con un’apertura mentale maggiore di quanto sembrasse possibile in precedenza. L’implicita condivisione delle preoccupazioni di Lutero ha portato a una valutazione nuova della sua cattolicità, che si è concretizzata nel contesto del riconoscimento che la sua intenzione era quella di riformare, e non di dividere, la Chiesa». In quest’ultimo documento i teologi luterani si sono scusati per le colpe dei riformatori verso la Chiesa cattolica, per l’antisemitismo di Lutero e per i suoi durissimi insulti al papato, identificato con addirittura l’Anticristo.

 

Il card. Brandmüller: “Lutero non voleva lo scisma, ma salvare la missione di Cristo”.

E’ stato scritto molto contro Papa Francesco, accusato di “riabilitare Lutero”, in realtà molto più in là di Bergoglio si è spinto anche il  card. Walter Brandmüller, uno dei firmatari dei Dubia rispetto all’Amoris Laetitia. Nel 2017 il cardinale tedesco si è a sua volta soffermato sugli errori teologici del padre della Riforma, asserendo però che Lutero voleva «salvare la missione di Cristo» e «c’era bisogno di un ritorno liberatorio alla pura origine che era il Vangelo incontaminato» rispetto alla Chiesa diventata «meretrice babilonese». Lo storico della Chiesa, Emidio Campi, ha spiegato che «ad indurre Lutero a portare in pubblico le sue nuove concezioni è stata proprio la questione delle indulgenze», che finirono per confondere «la pena temporale con la colpa, si prometteva che bastava acquistare la bolla indulgenziale per ottenere il perdono dei peccati o addirittura che l’anima volasse dal purgatorio in cielo» (E. Campi, in Storia del cristianesimo. L’età moderna, Laterza 1997, p. 13). Sulla rivista InStoria la ricostruzione della situazione della chiesa rinascimentale: «Il potere monarchico del papa, la sua intromissione nella sfera politica, insieme allo scandaloso nepotismo, alla corruzione e alla mondanità che ne conseguirono, generarono un consenso popolare contro la Chiesa di Roma». Con le indulgenze si raggiunse «un livello di avarizia e immoralità tali che non s’erano mai visti prima». Così, «indignato, Lutero» scrisse le 95 tesi «nelle quali smascherava alcuni insegnamenti errati della chiesa». Il 16 giugno 1520, papa Leone X emanò una bolla di condanna e da lì la situazione degenerò.

Il card. Brandmüller ha spiegato che ciò che emerse dalla Riforma fu una rivoluzione completa e non cattolica della fede cristiana, tuttavia «certamente Lutero non ha voluto lo scisma della Chiesa. Non è riuscito a spaccarla, o non l’ha nemmeno voluto». Il suo errore fu volere «che tutta la Chiesa accettasse “il suo Vangelo” della “sola scriptura, sola fides, sola gratia”. Se ciò fosse avvenuto avrebbe baciato i piedi del Papa, ha scritto Lutero». Ha così concluso: «Rimaneva convinto della verità esclusiva delle sue idee che gli erano venute dalla profondità esistenziale» e, ha aggiunto, per Lutero «non si può mai dare una ragione per separarsi dalla Chiesa romana. Chiama lo scisma dei Boemi empio e contrario a tutte le leggi di Cristo».

 

Quando il card. Bergoglio definì “eretico” Lutero.

Il tentativo della Chiesa è trovare un punto d’unione con i fratelli di altre confessioni cristiane: è necessario, disse infatti Benedetto XVI, «che, sotto la pressione della secolarizzazione, non perdiamo quasi inavvertitamente le grandi cose che abbiamo in comune, che di per sé ci rendono cristiani e che ci sono restate come dono e compito». Quando il card. Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires, più svincolato dal ruolo di Pontefice, poteva “permettersi” discorsi più accusatori nei confronti della Riforma. Lo ha fatto notare il teologo valdese Paolo Ricca: durante una conferenza -il cui testo è riportato nel libro “Chi sono i gesuiti”  (J.M. Bergoglio e A. Spadaro, EMI 2014)- il card. Bergoglio definì “eretico” Martin Lutero, aggiungendo che la posizione luterana genera la dissoluzione dell’uomo o il superuomo nicciano. In entrambi i casi si tratta «della morte di Dio, un paganesimo che, nei casi del nazismo e del marxismo, acquisterà forme organizzate» (p. 34).

La redazione

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Marijuana, no alla legalizzazione: ora lo chiede il New York Times

legalizzazione cannabisIn un sorprendente articolo sul quotidiano più importante e progressista del mondo, il “New York Times”, uno studioso avverte dei gravi rischi di legalizzare la marijuana, facendo riferimento ai paesi in cui è avvenuto. A scriverlo è lo studioso Alex Berenson, autore di un libro contro la cannabis pubblicizzato anche da “Repubblica”.

 

«L’ondata verso la legalizzazione ignora i gravi rischi per la salute causati dalla marijuana». Si fa fatica a crederci se queste parole sono il sottotitolo ad un articolo pubblicato dal quotidiano più famoso e più progressista al mondo, il New York Times. Ma è tutto vero. A scriverlo è un reporter del Nyt, Alex Berenson, autore del libro Tell Your Children: The Truth About Marijuana, Mental Illness and Violence (Simon & Schuster 2019).

Berenson si è chiesto cosa ci fosse dietro l’enorme spinta verso la legalizzazione della droga nonostante i sondaggi dicano che solo il 15% degli americani di età superiore ai 12 anni ne abbia fatto uso, almeno una sola, nel 2017. Tale cambiamento, ha concluso, «è guidato da decenni da lobbismo da parte di sostenitori della legalizzazione della marijuana e di compagnie di cannabis a scopo di lucro». Questi gruppi hanno trasformato la marijuana in una medicina –facendo leva sull’uso medico«piuttosto che come intossicante. Alcuni hanno addirittura affermato che la marijuana può aiutare a rallentare l’epidemia di oppiacei, sebbene gli studi dimostrino che le persone che usano la cannabis hanno più probabilità di iniziare ad usare gli oppioidi in seguito». Segnaliamo, come esempio, l’importante studio dell’American Journal of Psychiatry.

 

La comunità scientifica: la cannabis è una droga pesante, non è più lo spinello di una volta.

I sostenitori della legalizzazione, si legge ancora sul New York Times, hanno soffocato la discussione sui «gravi rischi per la salute mentale della marijuana e del THC, la sostanza chimica responsabile degli effetti psicoattivi della droga. Come ho visto in prima persona scrivendo un libro sulla cannabis, chiunque sollevi queste preoccupazioni può essere deriso» ed emarginato. Eppure la letteratura scientifica è piena di studi peer-reviewed che dimostrano che la marijuana aumenta il rischio di psicosi e schizofrenia, ed oggi è molto più negativa di 20 anni fa. Solo poche settimane fa, uno studio ha letteralmente confutato anche il consumo moderato di cannabis dimostrando che un solo spinello, in tutta la vita, è in grado di danneggiare il cervello delle persone.

Il libro Alex Berenson, citato inizialmente, è talmente importante ed autorevole che è finito per essere pubblicizzato anche in Italia da parte di Repubblica, quotidiano su cui scrive Roberto Saviano, noto consumatore di droga ed uno dei volti più noti della legalizzazione. La tesi è appunto che la cannabis è legata alla schizofrenia, evidenza nota anche alla National Academy of Medicine che, se nel 1997 scrisse che «l’associazione tra marijuana e schizofrenia non è ben compresa», nel 2017 ha raggiunto una conclusione molto diversa: «l’uso di cannabis può aumentare il rischio di schizofrenia e altre psicosi; maggiore è l’uso, maggiore è il rischio».

Ma il consenso scientifico non ha frenato le spinte di legalizzazione, tanto che i sostenitori sono oggi raddoppiati rispetto a venti anni fa. A peggiorare le cose c’è l’ignoranza che oggi la marijuana non è quella che si utilizzava negli anni ’70 e ’80, come crede ingenuamente lo scienziato sessantottino Carlo Rovelli, ma contiene percentuali aumentate di THC che la rendono a tutti gli effetti una droga pesante. «A titolo di paragone», scrive il reporter del New York Times, si pensi alla differenza tra una birra e un Martini. La pressione verso la legalizzazione ha aumentano i consumatori abituali, che erano 3 milioni nel 2005 e sono 8 milioni oggi (1 su 5). Al contrario, come termine di paragone, solo 1 su ogni 15 bevitori (circa 12 milioni di americani), consuma alcolici ogni giorno. Nel 2006 gli ospedali americani hanno ricoverato 30.000 casi di persone con diagnosi di psicosi e disturbo da uso di marijuana, nel 2014 tale numero era triplicato a 90.000.

 

La liberalizzazione non ha fermato il mercato nero, anzi.

Il reporter propende per una decriminalizzazione, ma non una piena legalizzazione. Anche perché, ammette, «gli Stati che autorizzano la marijuana ricreativa hanno scoperto che la legalizzazione non mette fine al mercato nero della cannabis non regolamentata. Ma fa abbassare i prezzi, aumentare la disponibilità e l’accettabilità ed aumentare l’uso. Sembra inoltre portare ad un aumento dei crimini violenti». Il caso esemplare è quello del Colorado, dove un dettagliato report governativo del 2017 ha accertato l’incremento dei disturbi psicofisici e dei crimini legati alla liberalizzazione della cannabis. Lo stesso New York Times rivela che «i primi quattro stati a legalizzare -Alaska, Colorado, Oregon e Washington- hanno visto forti aumenti di omicidi e aggressioni aggravate dal 2014, secondo quanto riferito dal Federal Bureau of Investigation. In molti casi, rapporti di polizia e articoli di stampa mostrano chiaramente un legame con la cannabis».

Sempre il New York Times, ad inizio gennaio 2019, constatava che nel 2017 in California i legalizzatori della cannabis promisero un «miliardo di dollari di entrate fiscali e l’addomesticamento del mercato nero. Un anno dopo l’inizio delle vendite ricreative, sono ancora solo promesse. La parte facile della legalizzazione è stata persuadere le persone a votare per questo, dicono gli analisti del settore. La parte difficile, ora che è legale, è convincere la gente a smettere di comprare dal mercato nero». Ed invece, «le tonnellate di cannabis continuano a diffondersi illegalmente in tutto il paese». Ed è piuttosto ovvio, i venditori di cannabis illegale non sono certo degli sprovveduti, semplicemente (come affermano da anni i procuratori antimafia anche italiani) hanno abbassato il prezzo rispetto a quello dei negozi legali, oppure -ancor più pericoloso- si rivolgono al settore del mercato che rimane ancora illegale, come quello dei minorenni.

La redazione

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Polonia, cresce ancora il numero di cattolici praticanti

numero cattolici poloniaI cattolici in Polonia hanno frequentato di più la Messa domenicale e si sono accostati di più all’Eucarestia. Lo stabilisce l’ultimo rapporto dell’Istituto statistico, risalente al 2017. Il 93% della popolazione si dichiara cattolica.

 

Secondo l’ultimo studio dell’Istituto statistico della Chiesa cattolica in Polonia, pubblicato martedì 8 gennaio, il numero di polacchi che hanno partecipato alla Messa domenicale nel 2017 è aumentato dell’1,6% rispetto all’anno precedente. Secondo lo stesso istituto, è aumentato anche dell’1% il numero di fedeli che, presenti a Messa, si sono alzati per ricevere l’Eucarestia. Una decisione, purtroppo, tutt’altro che scontata.

Nel 2017, l’ultimo anno di cui si hanno dati certificati, il 38,3% dei cattolici è stato coerente con la sua fede partecipando all’Eucarestia ed il 17% si è regolarmente accostato alla comunione. Nel 2016, queste cifre erano 36,7% e 16%. E’ sicuramente un calo globale in quanto nel 1989, era il 46,7% dei cattolici polacchi a partecipava alle funzioni religiose ma, tuttavia, dopo vent’anni i dati indicano comunque una stabilità istituzionale della Chiesa cattolica in Polonia, come anche sottolineato dal direttore del Catholic Church Statistics Institute, mons. Wojciech Sadlon. E la crescita di praticanti, seppur lieve, è costante.

 

Nella diocesi di Tarnów, il 72% partecipa all’Eucarestia.

La diocesi con il più alto numero di praticanti è quella di Tarnów, dove il 71,7% dei cattolici frequenta abitualmente la celebrazione eucaristica. Nel 2015, Papa Francesco nominò proprio in quella diocesi, il vescovo ausiliare Leszek Leszkiewicz e, coincidenza vuole, che durante il suo viaggio in Polonia del 2016, proprio a lui diede un piccolo suggerimento su come costruire la comunità parrocchiale: «Se non vai a cercarli, se non ti avvicini a loro, non vengono. Questo è ciò che significa essere un discepolo missionario, una parrocchia che va avanti».

 

Nel 2018, il 93% dei polacchi si è dichiarato cattolico.

Sempre secondo il recente rapporto, anche il numero di battesimi è aumentato mentre si è ridotto quello delle cresime e dei matrimoni. Alla fine del 2017 la Polonia aveva un totale di 24.917 sacerdoti incardinati nelle diocesi, che servono 10.392 parrocchie. Nel 2018, il 93% della popolazione polacca si è dichiarata cattolica.

 

Israele, leggera crescita di cristiani, buona preparazione accademica.

Un piccolo aggiornamento anche per quanto riguarda Israele, dove anche lì si è verificata una leggera crescita dei cristiani nel 2017, i quali hanno raggiunto il 2,2% rispetto all’1,4% del 2016. Secondo il Dipartimento centrale di statistica di Israele, la comunità cristiana vanta un’ottima preparazione accademica: il 73% dei cristiani completa l’istruzione superiore, il 22% arriva al college e il 3,3% ottiene il dottorato. Dati piuttosto inediti per una piccola minoranza.

 

Spagna, aumenta chi destina “l’8×1000” alla Chiesa.

Notizie fresche anche dalla Spagnaa. Secondo i dati appena pubblicati dalla Conferenza Episcopale Spagnola, nel 2018 l’importo assegnato dai contribuenti (tramite un meccanismo simile all’8×1000 italiano) è aumentato di 11.626.046 euro e ha raggiunto 267.834.192 milioni di euro, con un incremento del 4,4% rispetto all’anno precedente. Ha influito sia il miglioramento generale dell’economia, sia l’aggiunta di 51.658 dichiarazioni a favore della Chiesa, rispetto all’anno precedente. In totale, 8,5 milioni di spagnoli hanno destinato lo 0,7% delle loro tasse.

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Incriminati sponsor della lobby LGBT: pedofilia, droga e omicidi

obama gayDue grandi finanziatori del mondo arcobaleno, Ed Buck e Terry Bean, sono stati arrestati per abusi sessuali su minori e omicidio di prostituti di colore. Entrambi appartengono alla ristretta cerchia di Barack Obama e Hillary Clinton e hanno finanziato la campagna a favore del matrimonio omosessuale.

 

Terry Bean e Ed Buck. Chi sono? Il primo (a sinistra, nella foto) è un imprenditore e storico militante Lgbt, fondatore di numerose organizzazioni arcobaleno. Il secondo, Buck (a destra), è un businessman milionario e anche lui consigliere e attivista per i “diritti gay”. Li accomuna anche essere, forse, i più grandi sponsor e finanziatori del movimento omosessuale statunitense, che hanno versato migliaia di dollari per la campagna elettorale di Barack Obama, di Hillary Clinton, del governatore della California, Jerry Brown, e di Eric Garcetti, sindaco di Los Angeles, in cambio della promessa della liberalizzazione delle nozze gay.

 

Secondo prostituto di colore morto per overdose a casa del milionario Lgbt

Qualche settimana fa a casa di Edward Buck ad Hollywood è morto il secondo prostituto di colore nel giro di 17 mesi. Nel luglio 2017, quando il corpo di Gemmel Moore venne ritrovato nel suo appartamento, i pubblici ministeri rinvennero nella sua casa un enorme equipaggiamento per la droga, tra cui 24 siringhe contenenti residui di colore marrone, cinque tubi di vetro con residui bianchi e segni di bruciatura, cannucce di plastica a profusione, sacchetti con polveri bianche di tutti i tipi e sostanza cristalline.

La morte dell’uomo fu attribuita ad un’overdose accidentale di metamfetamina e lo sceriffo della contea di Los Angeles si rifiutò di sporgere denuncia contro Buck, scatenando molti attivisti afro-americani che accusarono i funzionari di Los Angeles di proteggere l’attivista Lgbt a causa dei suoi generosi contributi a potenti politici. Questo, nonostante che nel diario della vittima venne trovato scritto: «Sono diventato dipendente dalla droga. Ed Buck è colui che devo ringraziare. Mi ha dato la mia prima iniezione di crystal meth». Buck gli aveva iniettato droghe pericolose prima della sua morte. Come dicevamo, poco tempo fa la polizia ha ritrovato un secondo uomo di colore morto a casa del milionario Lgbt, anche questa volta a causa di un’overdose di droghe. La madre ha parlato di omicidio, accusando Buck, mentre Jermaine Gagnon, un uomo di 28 anni, ha riferito al DailyMail di essere riuscito a scampare dalla morte quando Ed Buck gli iniettò una dose di droga nel suo appartamento pieno di giocattoli sessuali, durante uno dei tanti festini in cui il milionario stuprava e stordiva giovani uomini di colore.

 

Il milionario gay, amico di Obama: accusato di abusi sessuali.

Se restiamo sempre attorno alla cerchia Obama-Clinton (e Nancy Pelosi, speaker della Camera), spunta il nome del democratico dell’Oregon, Terry Bean (66 anni), che il 4 gennaio scorso è stato incriminato per la seconda volta per pedofilia. Anche Bean, omosessuale, è un volto noto della lobby Lgbt americana, creatore del Gay and Lesbian Victory Fund per sostenere economicamente i candidati politici che dichiarano la loro omosessualità. Nel 2009, durante una cena dedicata ai “diritti umani”, Obama ringraziò Bean, definendolo un “grande amico e sostenitore”. Viene infatti descritto come “sostenitore di spicco del presidente Obama” e “pioniere dei diritti civili”, ed è stato arrestato in custodia cautelare per abusi sessuali su un minore di 15 anni, risalente al 2014, compiuti assieme al suo ex-fidanzato venticinquenne Kiah Lawson.

Quasi contemporaneamente alla morte del primo uomo a casa di Ed Buck, venne indagato anche l’allora sindaco di Seattle, Ed Murray, dopo che numerosi uomini lo hanno accusato di abusi sessuali nei loro confronti quando erano ancora minorenni. Anche Murray è un politico apertamente gay, membro del Partito Democratico statunitense e strettamente legato a Obama.

 

Il “caso Varani” in Italia e lo stile di vita degli attivisti Lgbt.

La presunzione di innocenza vale per tutti, anche se le prove in questo caso sono piuttosto schiaccianti, lo dimostra l’imbarazzo dei grandi media legati al progressismo arcobaleno che stentano a riportare in modo approfondito le notizie. Sopratutto i crimini imputati a Ed Buck, ricordano molto vicino il “caso Varani” che ha sconvolto l’Italia nel 2016. Marco Prato, volto notissimo della movida arcobaleno e attivista Lgbt contro i valori del mondo cattolico, uccise barbaramente Luca Varani durante un festino gay a base di cocaina e alcol, senza alcun movente.

Ne emerse una perversione ai limiti dell’immaginabile e ha mettere al centro lo stile di vita di molti omosessuali militanti è stato un giornalista gay, Marco Pasqua, redattore presso Il Messaggero. «Un mondo che tutti i gay conoscono, una realtà borderline», denunciò Pasqua. «La comunità ha paura che si raccontino cose che tutti conoscono. Che si scoperchi il vaso di Pandora. Tutti sanno, ma è meglio non parlarne». L’attenzione della giustizia statunitense sui due influenti milionari, rivela che le coperture sono forse finalmente saltate. Chissà che il vaso di Pandora non si apra davvero.

La redazione

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Biodiversità in Etiopia, l’unica a salvaguardarla è la Chiesa

etiopia biodiversitàLe foreste in Etiopia resistono solo all’interno delle proprietà ecclesiastiche, lo annuncia la rivista “Nature” informando dell’impegno delle chiese cristiane nel curare il creato. Un tema centrale nel cristianesimo, pur lontano dall’ideologia ambientalista.

 

Se vedi una foresta è molto probabile che ci sia una chiesa, lì nel mezzo. Così spiega Alemayehu Wassie, un’ecologista forestale che da dieci anni lavora per preservare e proteggere la biodiversità in Etiopia.

La Chiesa cattolica e quella ortodossa sono le uniche istituzioni che difendono la biodiversità, creando piccole e fertili oasi in tutto il paese africano. Si calcola siano almeno 35mila, le ultime tracce rimaste delle rigogliose foreste naturali che un tempo coprivano l’Etiopia, oggi quasi scomparse.

 

Le chiese contribuiscono a rallentare la deforestazione.

La rivista Nature ha pubblicato bellissime fotografie di queste riserve naturali in mezzo al deserto, ed effettivamente al centro si erge sempre un campanile. Le foreste sono state sacrificate all’agricoltura, così da poter sfamare la popolazione di oltre 100milioni di abitanti e far fronte alle carestie. La deforestazione è stata particolarmente incoraggiata durante il periodo comunista del paese, tra il 1974 e il 1991, quando il governo nazionalizzò tutti i terreni. Oggi solo il 5% del paese è coperto da foreste, in calo dal 45% all’inizio del XX secolo.

I ricercatori hanno iniziato a rendersi conto del problema diversi anni fa, intraprendendo sforzi di riforestazione e forgiando un’insolita collaborazione con le Chiese presenti sul territorio ed i residenti locali, assieme ai sacerdoti, «stanno contribuendo a rallentare l’erosione delle foreste». La stessa biodiversità forestale è importante per l’agricoltura, perché molti degli uccelli e degli insetti che popolano i boschi di proprietà delle chiese, impollinano le colture e i parassiti di controllo.

 

La cura del creato una priorità nel cristianesimo, lontano dall’ideologia ambientalista.

La salvaguardia del creato è un tema molto caro all’interno del cristianesimo, ben lontano dall’ideologia animalista ed ecologista occidentale. La sana preoccupazione per l’ambiente in cui viviamo, ha spiegato Papa Francesco nella sua enciclica Laudato Sii, «non significa equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità. Queste concezioni finirebbero per creare nuovi squilibri nel tentativo di fuggire dalla realtà che ci interpella». Iniziative simili verso la cura del creato, come quelle riscontrate in Etiopia, avvengono grazie alla Chiesa cattolica in tutto il mondo, dagli Stati Uniti, all’Europa e al Medio Oriente: le diocesi con impianti fotovoltaici, monitoraggio delle emissioni di gas serra, proprietà immobiliari ecclesiastiche (parrocchie, abitazioni ecc.) ecologicamente sostenibili e con fonti rinnovabili (come lo sfruttamento dell’energia solare)

Nel Catechismo, citando espressamente le parole di Giovanni Paolo II, ci viene insegnato che «gli animali, come le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente destinati al bene comune dell’umanità passata, presente e futura. L’uso delle risorse minerali, vegetali e animali dell’universo non può essere separato dal rispetto delle esigenze morali. La signoria sugli esseri inanimati e sugli altri viventi accordata dal Creatore all’uomo non è assoluta; deve misurarsi con la sollecitudine per la qualità della vita del prossimo, compresa quella delle generazioni future; esige un religioso rispetto dell’integrità della creazione». Benedetto XVI esortò «tutti i capi di governo agiscano congiuntamente a favore della difesa dell’ambiente ma anche per promuovere condizioni di vita più degne per tutti i popoli».

Una sensibilità, quella ecologica, già presente nella Chiesa medioevale, nei monasteri francescani e benedettini, come ha dimostrato il prof. Riccardo Rao, dell’Università di Bergamo. Uno studio realizzato da due economisti italiani ha concluso che la biodiversità è tutelata maggiormente nelle aree con forte presenza di cristiani.

La redazione

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Il Papa negli Emirati strappa all’Islam un’alleanza sui cristiani perseguitati

cristiani perseguitati papaIl viaggio di Francesco negli Emirati Arabi e l’incontro con il grande imam d’Egitto. Un viaggio storico per molti motivi, un Documento che firma un’alleanza sulla protezione dei luoghi di culto, sui valori non negoziabili, sui diritti delle donne, sull’opposizione al terrorismo religioso. E l’imam, per la prima volta, ha parlato a nome del mondo islamico.

 

«Conosco bene la penisola arabica, momento storico, impensabile pensare di celebrare una S. Messa all’aperto con una grande croce in quei paesi solo un anno fa. Non solo i musulmani ci invadono, anche noi cristiani ci facciamo largo nel cuore dell’Islam». Questo uno dei commenti più lucidi che ci è arrivato riguardo al viaggio di Papa Francesco negli Emirati Arabi. La “cristianizzazione” dell’Islam è una bella immagine per comprendere il delicato e decennale lavoro della Santa Sede nel cercare un’alleanza con l’area moderata dei musulmani contro il terrorismo e la persecuzione dei cristiani.

Un obiettivo che non viene capito dai guerrafondai cristiani, che scambiano tutto questo per una resa -accuse che colpirono anche Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, nel 2001- e non si sentiranno sazi finché non vincerà il pugno duro e l’equazione generalizzante Islam = terrorismo. Non capiscono, così, di mettere ancora più in pericolo le comunità cristiane in Medio Oriente, tanto che il vicario di Aleppo, mons. Georges Abou Khazen, ha parlato di «visita storica non solo per l’Oriente, ma per tutto il mondo» nella quale si è affermato che «il dialogo deve essere la regola, la base di comportamento, relegando ai margini terroristi e fondamentalisti, un passaggio molto importante, anche per noi in Siria».

 

La gratitudine dei leader cristiani della Penisola Araba.

Il cuore dell’evento è stato l’incontro tra Francesco e il grande imam di Al-Azhar (Egitto), Ahmad Muhammad Al-Tayyib, i quali hanno firmato un Documento sulla fratellanza umana. La Santa Sede ha scelto un interlocutore importante e riconosciuto nel mondo musulmano (pur controverso per le sue dichiarazioni contro Israele), imam di un Paese con una relativa libertà (vietati i simboli cristiani ma libertà di partecipare alle celebrazioni eucaristiche), per mostrare ai musulmani che la convivenza è possibile, che il jihad -inteso come “guerra santa”- non è l’unica forma di essere islamici. «Questo viaggio», ha detto mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale, «potrebbe essere un esempio indicato ai Paesi vicini, una specie di segnale lanciato loro per dire che ‘sì, si può fare’”».

Il vicario di Aleppo, mons. Abou Khazenha anche sottolineato la prima messa pubblica in terra d’Arabia, davanti a più di 120mila persone e una nutrita delegazione musulmana. Una celebrazione in diretta televisiva, nella quale il Pontefice ha affermato in una nazione araba e musulmana che le religioni hanno il compito morale di negare l’appoggio a guerre e violenze. Da sottolineare le parole del Papa rivolte ai cristiani, chiedendo loro di non considerarsi più una “minoranza”: «Non siete minoranza, siete cittadini con tutti i diritti».

 

L’imam d’Egitto ha parlato a nome dei musulmani, accettando l’alleanza sui valori.

Durante l’incontro con Papa Francesco -con tanto di croce pettorale ben in vista-, l’imam Ahmad Muhammad Al-Tayyib ha parlato per la prima volta a nome di tutti i musulmani, impegnandosi in loro nome e ha invitato il mondo musulmano a proteggere i cristiani dove vi sono abusi e violenze, considerandoli ‘cittadini’ di pari livello. Un’insistenza, quella della cittadinanza, fondamentale.

Ma c’è un altro passaggio importante. Il documento firmato tra il Papa e l’imam ha stabilito un’alleanza su alcuni valori comuni e a rischio nelle società Occidentali o Orientali, quali la lotta alla povertà, la difesa dei luoghi di culto («attaccarli o minacciarli attraverso attentati o esplosioni è una deviazione dagli insegnamenti della religione»), la tutela della famiglia, il contrasto di politiche che favoriscono l’aborto e l’eutanasia, una ferma condanna al terrorismo e alla vendita di armi ai movimenti terroristici che strumentalizzano la religione, un impegno comune nei confronti dei diritti delle donne, una stigmatizzazione al materialismo e all’individualismo che «pongono i valori mondani e materiali al posto dei principi supremi e trascendenti».

Dal raduno di Assisi del 1996 voluto da Giovanni Paolo II, la Santa Sede ha a lungo sostenuto un «atteggiamento equilibrato» quando si parla di dialogo con l’Islam, ha dichiarato l’arcivescovo Michael Fitzgerald, scelto da Benedetto XVI come interlocutore dell’Islam con la nomina a nunzio apostolico per l’Egitto. E’ un atteggiamento «critico, ma non ipercritico. Non è ingenua da dire “tutto è meraviglioso. Quando il Papa visita un paese non dice “le tue tende non sono disegnate correttamente”. Non critica immediatamente, stabilisce fiducia, innanzitutto. Questo è ciò su cui il Papa sta insistendo, e più incontri avvengono più cresce la fiducia». Sono anche le parole pronunciate dallo stesso Francesco: «Non abbiamo alternative, o costruiremo assieme l’avvenire o non ci sarà futuro».

 

Le reazioni del network anti-Bergoglio.

La Casa Bianca, tramite un tweet del sottosegretario Mike Pompeo, ha lodato il coraggio di Francesco e ha riconosciuto agli Emirati di aver siglato una nuova pagina. La mini-galassia antipapista, invece, ha avuto reazioni diverse allo storico viaggio negli Emirati Arabi. La gran parte ha taciuto, con evidente imbarazzo, come Aldo Maria Valli, Antonio Socci, Roberto De Mattei e Sandro Magister, mentre approvazione -pur a denti stretti-, è arrivata da Lorenzo Bertocchi de La Verità e da La Nuova Bussola Quotidiana. Nota positiva anche per l’ex vaticanista Marco Tosatti, che tuttavia non ha resistito dal correggere teologicamente una frase della Dichiarazione firmata dal Papa e dall’imam. Pollice in giù invece da parte delle star tradizionaliste di Facebook, il sedicente storico Massimo Viglione si è opposto all’affermazione del Papa sul fatto che «non esiste violenza che possa essere religiosamente giustificatai», scrivendo che invece esisterebbe «una guerra giusta». L’attivissimo gesuita Tiziano Repetto Quinto, invece, ha diffuso una fotografia che, a causa dell’angolazione da cui è stata scattata, sembra mostrare un bacio in bocca tra il Papa e l’imam d’Egitto.

Durante la conferenza stampa con i giornalisti nel ritorno in aereo, Francesco ha spiegato che il Documento firmato «condanna la violenza e alcuni gruppi che si dicono islamici – anche se i saggi dicono che quello non è islam – perseguitano i cristiani».

La redazione

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Quando la Pasionaria antifascista si convertì al cattolicesimo

Dolores IbárruriLa conversione di Dolores Ibárruri, definita la Pasionaria, leader indiscussa del comunismo spagnolo. L’amicizia con un sacerdote, che restò l’unico amico dopo che fu abbandonata dai “compagni”.

 

Senz’altro si tratta di una donna particolare: carismatica e simbolo mondiale dell’antifascismo, a quasi trent’anni dalla sua morte, Dolores Ibárruri, meglio nota come la Pasionaria, è ancora ricordata come «riferimento storico del comunismo spagnolo» e come «leader innata». Spesso, però, si omette un fatto molto rilevante della sua biografia: la sua conversione al Cattolicesimo.

 

Dolores Ibárruri, la conversione non ricordata sui siti web marxisti.

Evidentemente, è un fatto così scomodo, che siti web di ispirazione marxista (tra i tanti, homolaicus.com e marxists.org) non ne parlano minimamente, né fanno menzione del rapporto tra lei e la fede, così fornendo un quadro troppo riduttivo per una personalità così ricca e complessa. Eppure il dato della fede non fu mai irrilevante nella sua vita. Infatti, «Dolores fu una cattolica di gran devozione nella sua infanzia e nella sua gioventù», prima di allontanarsi dalla fede per aderire al comunismo. Tuttavia, si riporta che «la sua devozione la accompagnò in maniera almeno nominale nella sua militanza marxista». Fu lei, nel 1936, a pronunciare il famoso discorso intitolato No Pasaran!

 

Abbandonata dai suoi, l’unico amico il sacerdote padre Llanos.

Sintomatico di ciò è il fatto che «non vide mai di buon occhio le spoliazioni delle chiese», tanto che, come racconta il suo biografo Pedro Miguel Lamet, giornalista gesuita di sinistra, «al suo ritorno in Spagna restituì ad un convento di Suore Riparatrici a Madrid un’immagine della Vergine e un crocifisso sequestrato durante la guerra dai miliziani». Negli ultimi anni di vita, fu fondamentale la sua amicizia con padre José María Llanos, che la portò alla completa conversione: «Insieme con Padre José María Llanos, decise che egli si sarebbe affiliato al PCE [Partido Comunista Español, ndr] ed alle Commissioni Operaie e che ella avrebbe fatto la Comunione». Llanos si curò tanto di lei, da divenire «l’unico membro del partito che andava a vederla in ospedale», come ebbe a dire Dolores, «abbandonata dai suoi».

Addirittura, come abbiamo ricordato a suo tempo, la donna chiese al sacerdote di «ricordarsi di lei durante la Comunione» e nell’89, un mese prima della propria morte, gli augurava «un anno santo», ricordandolo nella preghiera. In quello stesso periodo, la Pasionaria arrivò a «cantare perfino degli inni religiosi dell’epoca, come “Cantiamo all’amore degli amori”» ed una delle sue ultime affermazioni fu: «Vediamo se vecchietti come siamo, trasformiamo ciò che resta della nostra vita in un canto di lode e grazie al Dio-amore, come prova del nostro eterno dovere».

 

Sicuramente, è riuscita in questo suo ultimo intento, dando una splendida testimonianza di conversione, che mostra come solo Dio possa rispondere alle istanze più profonde del cuore umano. Forse le ci è voluta una vita per ritrovare pienamente Cristo, ma, in fondo, ci si perde per ritrovarsi.

Marco Visalli

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