Prostituzione nel Medioevo: male minore e carità della Chiesa
Medioevo e prostituzione. Recensione del libro “La mala vita” della storica Maria Serena Mazzi, docente presso l’Università di Firenze e Ferrara. Venne tollerata come forma di difesa delle donne dalle aggressioni sessuali dei giovani, un male accettato per mitigare uno più grande. L’aiuto della Chiesa a liberare le prostitute e offrire loro una vita nuova.
Prostituzione nel Medioevo. Un tema poco studiato e pieno di sorprese. Ne ha parlato Maria Serena Mazzi, docente di Storia medievale presso le Università di Firenze e Ferrara, con piglio femminista e un po’ anticlericale, non troppo tenero nei confronti di un periodo storico da molti definito “oscuro”, spesso colpito da leggende nere e resoconti da film horror. Il suo nuovo libro si intitola La mala vita. Donne pubbliche nel Medioevo (Il Mulino 2018).
Quello delle meretrici, così il nome delle donne che mettevano in vendita il loro corpo, è stato anche nel Medioevo «un fenomeno complesso e ampio, ma soprattutto un problema, difficile da contrastare, più ancora da risolvere». (p. 8). Che cosa portò le principali città europee a dotarsi di bordelli pubblici a partire dalla metà del XIV secolo? La storica dell’Università di Firenze individua la ragione nel “male minore”, ovvero la necessità di difendere le donne. Vi era, infatti, un fenomeno piuttosto diffuso di giovani più o meno benestanti che soli o in gruppo aggredivano sessualmente le vedove o le donne sole, perché il marito era in guerra.
Prostituzione nel Medioevo e male minore.
Così, «i legislatori di molti paesi d’Europa fra Tre e Quattrocento credettero di individuare un rimedio opportuno a questi mali nella “fornicazione municipalizzata” e nelle prostitute uno strumento per mitigare l’aggressività dei giovani maschi e soddisfare le loro necessità, salvaguardando al tempo stesso la virtù delle donne onorate» (p. 40). A poco sembravano infatti servire le leggi di continuo proclamate, adattate, migliorate per contenere la violenza carnale. Nei consigli cittadini si individuò così nella creazione dei postriboli cittadini l’unica soluzione per mitigare un male più grande, «questo sistema avrebbe evitato crimini ben più gravi, come le violenze alle vergini, alle donne sposate, alle vedove oneste e alle monache, che erano in crescita ovunque e impensierivano le municipalità» (p. 41). Si aspirava anche a correggere e sradicare «i comportamenti “contro natura” rappresentati dall’omosessualità e dai rapporti sessuali di tipo sodomitico», incoraggiando la ripresa di unioni feconde e i matrimoni.
Così, lentamente, la società medioevale arrivò a tollerare e giustificare la prostituzione secondo la teoria del “male minore”, come scrisse anche Sant’Agostino nel De ordine e nel De civitate Dei. «Come Mosè aveva concesso agli uomini del suo popolo il ripudio delle proprie mogli per evitare l’omicidio dopo aver constatato quanto la pratica fosse divenuta frequente e adottata quasi come una forma praticabile di separazione», ha spiegato la storica del Medioevo, «il concetto del “male minore”, utile a evitare mali ben più gravi e pericolosi, legittimò fino dai secoli più lontani la tolleranza della prostituzione. Anziché rischiare la corruzione di altre oneste, e soprattutto per cancellare l’”abominevole vizio della sodomia”» (p. 27).
Chiesa medievale e prostituzione.
E la Chiesa cattolica? Che ruolo ebbe in tutto ciò? Se ne parla nell’ultimo capitolo del libro. Almeno a partire dal XIII secolo, rivolse una mano tesa alle donne, alle prostitute, alle cosiddette “donne pubbliche”, orientando verso di loro «un’opera di conversione e soccorso, in alcuni casi anche di prevenzione attraverso il finanziamento di doti alle giovani povere». Furono diversi i tentativi messi in atto dalla Chiesa medioevale per aiutare le meretrici a cambiare vita, a migliorare la loro situazione, a dar loro speranza. Papa Innocenzo III, ad esempio, nel 1198 promise in una bolla «la remissione dei peccati a quanti avessero preso in moglie una prostituta pentita, per incoraggiare al rientro in una onesta vita matrimoniale le donne delle strade e dei bordelli». Nel 1227, un altro pontefice, Gregorio IX, «concedeva all’ordine di santa Maria Maddalena, da poco fondato, il diritto di creare case e rifugi per le penitenti».
Quest’opera di recupero, spiega la storica Maria Serena Mazzi, «nasceva all’interno di un più vasto movimento penitenziale, con l’intento di salvare dal peccato le prostitute e dalle tentazioni continue i loro clienti. Reinserendole nella comunità attraverso il matrimonio o relegandole in una comunità a parte come gli istituti delle Convertite o di Santa Maddalena, si otteneva lo scopo di limitare il numero delle meretrici e di condurre un’attività risanatrice. La dotazione come atto caritativo nei confronti di fanciulle in età da marito ma così povere da non disporre del minimo necessario per contrarre un matrimonio secondo le convenzioni e le norme sociali dell’epoca avrebbe permesso di salvarne alcune da un destino a volte inevitabile» (p. 29). Una discreta dote, infatti, avrebbe attirato qualche giovane con poche risorse, offrendo così «l’opportunità di una vita “normale” a ragazze che rischiavano il declassamento sociale e la pericolosa attrazione di un mondo contiguo e separato, governato da regole diverse, dove la vita seguiva un altro ritmo e il tempo scandiva le giornate in altro modo, fino a smarrirsi dentro di esso» (p. 30).
Molte prostitute ricevettero così un aiuto concreto da parte della Chiesa, che le strappò da un mondo squallido, dominato dalla prepotenza dei clienti, dei protettori, dei ruffiani. «Si pagavano i debiti accesi da queste donne affinché potessero “scoderse et francharse del logo”. In definitiva per liberarle, restituirle a una condizione di libera scelta: allontanarsi da quel luogo per ricominciare altrove, da quei luoghi per cambiare la propria esistenza» (p. 149).
Ancora oggi, in Italia, la Comunità Papa Giovanni XXIII è impegnata da 25 anni a fianco delle vittime della prostituzione, tra gli unici ad occuparsi seriamente del destino di queste donne. Ne hanno “liberate” 7.000, accolte nelle loro strutture dopo averle incontrate nelle strade e aver offerto loro una vita d’uscita. Un fenomeno antico, ieri considerato un “male minore” ed oggi erroneamente ritenuto un “lavoro come un altro”. Ma è sempre stata e sempre sarà una forma di schiavitù.
La redazione