La divinità di Gesù non fu elaborata dalla chiesa primitiva

bart ehrman gesùDivinità di Gesù: pretese di essere Dio? Si dichiarò Dio? Secondo lo studioso Bart D. Ehrman la risposta è negativa, la sua natura divina fu un’elaborazione successiva delle comunità cristiane. Ma non è vero, ecco perché.

 

«Nessuno dei nostri primi tre vangeli dichiara che Gesù è Dio o lasci intendere che Gesù abbia mai sostenuto di esserlo». Questo afferma con convinzione l’agnostico Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento presso la North Carolina University, uno studioso importante che moltissimo ha fatto per dimostrare l’esistenza storica di Gesù di Nazareth, entrando in polemica con i “miticisti”, ovvero i pochi (e privi di titoli accademici) sostenitori della teoria del “Gesù mitico”.

Tuttavia, Ehrman non è credente e si giustifica teorizzando che «il Gesù storico non è quello contrabbandato dal cristianesimo contemporaneo. Gesù è esistito. Ma non fu la persona che oggi la maggior parte dei credenti pensa che fosse» (Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 344). Nel sostenere ciò, lo studioso statunitense mostra spesso forti limitazioni e contraddizioni, l’esempio più classico è quando mette in discussione la divinità di Gesù Cristo. Lo abbiamo già osservato nell’aprile 2016.

Davvero Gesù non sostenne mai di essere Dio e «l’attribuzione di una natura divina a Gesù è stata un’elaborazione successiva delle comunità cristiane» (p. 235, 236)? No, è falso, anche se vi è una circostanza da chiarire: effettivamente Gesù ha rivelato la sua natura ai discepoli in modo progressivo e prudente, pedagogico. Spesso ha usato parabole e metafore, e quando gli apostoli intuirono si premurò: «Allora domandò: “Ma voi chi dite che io sia?”. Pietro, prendendo la parola, rispose: “Il Cristo di Dio”. Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno» (Lc 9,20-21 // Mc 8,29-30 // Mt 16,15-20). Se si fosse presentato fin da subito come il Salvatore atteso, il Sinedrio non gli avrebbe concesso nemmeno un anno di vita pubblica.

In ogni caso egli stesso espresse più volte la sua natura divina ed è ciò che conclusero anche i discepoli che con lui vissero e l’apostolo Paolo, che da loro si informò direttamente pochi anni dopo la morte di Cristo. E’ sufficiente riferirsi a 4 fonti: la Prima lettera ai Corinzi, un passaggio della Lettera ai Filippesi, un brano del Vangelo di Marco e un detto contenuto in Q, la fonte comune tra Matteo e Luca.

 

PRIMA LETTERA AI CORINZI E DIVINITA’ DI GESU’.

La Prima lettera ai Corinzi è stata composta da Paolo attorno al 53/54 d.C., ovvero una ventina d’anni dopo la morte di Gesù. Già in essa, in particolare in 1Corinzi 1, 21-25, San Paolo si riferisce a Gesù come «il potere di Dio e la saggezza di Dio». E’ una prima e chiara identificazione divina di Gesù Cristo, vicinissima alla sua morte.

Sempre in questa lettera, Paolo si riferisce al Cristo così: «Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo» (1Corinzi 8,4-6). Gli studiosi concordano sul fatto che in questo passaggio Paolo sta alludendo alla famosa preghiera ebraica “Shema”, contenuta in Deuteronomio 6, 4-9, una forte affermazione del monoteismo ebraico. Quando scrive che “dal quale sono tutte le cose”, Paolo prefigura ed anticipa quel che scriverà successivamente Giovanni, quando identificherà Gesù con «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).

 

LETTERA AI FILIPPESI E DIVINITA’ DI GESU’.

Anche in un’altra lettera di San Paolo, destinata ai cristiani di Filippi e composta anch’essa tra il 53-54 d.C. (dunque contemporanea alla Prima lettera ai Corinzi), Paolo identifica in modo netto e univoco Gesù di Nazareth con Dio. Ecco cosa scrive: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,5-11).

Ancora una volta, pochissimi anni dopo la morte di Gesù c’è già nella comunità cristiana primitiva la convinzione che quell’uomo ha una natura divina. Sono gli anni in cui Pietro e Giacomo, testimoni oculari della vita e delle parole di Gesù di Nazareth, vivono ancora a Gerusalemme e con loro Paolo ha parlato più volte. Impossibile sostenere che l’apostolo delle genti riferisse qualcosa di differente dalle convinzioni di Pietro e Giacomo, così è altrettanto impossibile sostenere che la divinità di Gesù fu un’elaborazione successiva della comunità cristiana.

 

VANGELO DI MARCO E DIVINITA’ DI GESU’.

Tra i molti passaggi evangelici in cui Gesù auto-identifica la sua natura divina, ce n’è uno contenuto nel Vangelo di Marco -il più antico tra i vangeli- che tutti gli studiosi ritengono quasi certamente risalente al Gesù storico. Si trova in Mc 13,32, Gesù parla della data del giudizio finale: «Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre».

Gesù stabilisce una gerarchia, ponendosi al di sopra degli angeli del cielo. E’ un passaggio “sicuro” dal punto di vista dell’attendibilità storica in quanto è imbarazzante per la chiesa primitiva il fatto che Gesù Cristo stesso sia ignorante di qualcosa e, tuttavia, si dichiara come Figlio di Dio.

Ed è proprio il suo manifestarsi che lo porterà alla croce: «Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?”. Gesù rispose: “Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo”. Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: “Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?”. Tutti sentenziarono che era reo di morte» (Mc 14,60-64 // Mt 26, 57-66).

 

FONTE Q E DIVINITA’ DI GESU’.

Come già detto, la cosiddetta Q è la antica fonte pre-sinottica comune dei due evangelisti, Matteo e Luca. Così si esprime Gesù: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27 // Lc 10,22). La fonte Q è solitamente data tra gli anni 40 e 50 d.C. (quindi 10/20 anni dopo la morte di Gesù).

 

Bastano dunque questi pochi e sintetici esempi per mostrare che Gesù sostenne di essere Dio e l’attribuzione di una natura divina non venne affatto elaborata successivamente dalle prime generazioni di cristiani, ma ebbe origine dagli stessi testimoni oculari, quegli uomini che vissero quotidianamente assieme a Gesù di Nazareth. Certo, si può rifiutarsi di credere a quel che Cristo disse di se stesso ma, come abbiamo già spiegato, diventa poi razionalmente complicato stimare e ammirare Gesù di Nazareth, riducendolo ad un semplice uomo, senza credere in Lui.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

L’Economist (pro-Obama) appoggia Trump: no auto-identificazione dei trans

The Economist, il gender e Trump. Dopo la decisione del presidente americano di abolire il genere e legare il sesso all’evidenza anatomica di nascita, la rivista britannica sostiene a sorpresa l’errore di liberalizzare l’auto-identificazione della sessualità.

 

E se lo dice pure l’Economist. Oltre 1 milione di copie vendute ogni mese, il celebre settimanale inglese è la rivista economica e finanziaria più nota al mondo ed il più attivo organo di stampa britannico ad aver sostenuto l’amministrazione di Barack Obama. Dal 2004 sostiene apertamente ed esplicitamente il “matrimonio egualitario”, la legalizzazione della prostituzione e della droga e perfino la teoria della volontaria estinzione umana per salvare il pianeta. Si capisce chiaramente, dunque, l’ambito ideologico di provenienza.

 

“Sessualità è determinata solo da elementi biologici chiari e oggettivi”.

Questo ha aumentato lo stupore per un editoriale dell’Economist giudicato a favore di Donald Trump e, addirittura, sostenendolo contro l’autoidentificazione di genere per le persone trans. L”attuale presidente americano starebbe infatti preparando una norma per stabilire in modo legale che il sesso di una persona è determinato solo da “elementi biologici chiari e oggettivi”, ovvero la sessualità attribuita e decisa dalla natura al momento della nascita, marcando un divario ancora più netto dal suo fallimentare predecessore, Obama. Un atto di verità e di coerenza con l’evidenza scientifica, abolendo la ridicola sigla “Gender X” e impedendo fantomatiche ed impossibili transizioni sessuali -come già è stato proibito alla prestigiosa Johns Hopkins University School of Medicine- tramite mutilazione di organi genitali che modificano soltanto l’apparenza esteriore delle persone, ingannandole di poter davvero mutare la propria sessualità.

 

Il meccanico di 46 anni “si sente” una bambina di 6 anni: lo è davvero?

Ci si aspettava una stigmatizzazione globale, che invece (ancora) non è arrivata così potente. In Italia, è stata l’indaffarata tuttologa Chiara Lalli su Wired a replicare scrivendo che «ci sono molti altri aspetti che concorrono alla nostra identità», oltre al sesso. Senza però specificare quali e, conseguentemente, convenendo sull’assurdo fatto che Paul Wolschtt, meccanico inglese di 46 anni, è effettivamente una bambina di 6 anni solo perché si sente tale e così percepisce la sua identità, indipendentemente dalla genetica. Eppure, come ha giustamente e sorprendentemente spiegato la filosofa Lgbt Michela Marzano, «il corpo non è solo qualcosa che si “ha”, ma anche e soprattutto qualcosa che si “è”, prima della certezza che è la vita che impone il corpo a ognuno di noi e che non possiamo sbarazzarcene senza sbarazzarci al tempo stesso della nostra esistenza».

 

L’Economist: “le persone non possono auto-identificare il proprio sesso”.

Ed anche l’Economist ha deciso di prendere posizione in un editoriale. Ovviamente, ha dovuto anticipare che «è un campione orgoglioso dei diritti dei gay» e che «il primo editoriale a favore del matrimonio omosessuale lo abbiamo pubblicato nel 1996». Dopo le dovute e scontate premesse, si legge però:

«Alcuni vedono l’autoidentificazione di genere per le persone trans come la prossima frontiera. Ciò inizia con l’idea che ciò che rende qualcuno un uomo o una donna non è il sesso biologico, ma una conoscenza interiore della persona stessa. Le persone trans hanno una disforia di genere, un senso schiacciante di appartenenza all’altro sesso. Soffrono gravemente quando non possono agire su questo. La campagna sociale a favore dell’autoidentificazione sostiene che i membri di tale minoranza oppressa dovrebbero essere liberi di scegliere la loro identità di genere. Questa settimana è emerso che il presidente Donald Trump ha intenzione di impedire proprio questo».

Il celebre settimanale inglese, per proteggersi dai lettori, ha scritto che sarebbe “sbagliata” la scelta dell’amministrazione statunitense, ma subito dopo ha sostenuto comunque il concetto che ha portato ad agire il presidente Trump:

«Trump sbaglia. Tuttavia, lo Stato dovrebbe resistere all’impulso di trasformare lo status legale delle persone trans in una questione di definizione personale, come la Gran Bretagna sta prendendo in considerazione. Lo Stato deve assicurare che il benessere delle persone trans sia bilanciato rispetto al potenziale danno ad altri. Tale danno è difficile da quantificare, ma non dovrebbe essere respinto con leggerezza. Gli uomini commettono quasi tutti i reati sessuali, quindi la società dovrebbe aiutare a mantenere donne e bambini al sicuro. Oggi solo l’1% degli uomini in carcere in Gran Bretagna per reati sessuali si identifica come donna, ma raddoppierà il loro numero. Se “uomo” e “donna” sono determinati dall’identificazione personale, gli spazi dedicati a donne e bambini diventeranno accessibili a chiunque. Non c’è motivo di pensare che auto-identificandosi come donna renda un maschio meno pericoloso. Al contrario, ci sono tutte le ragioni per pensare che i maschi predatori dichiarino di essere trans per commettere più facilmente dei crimini. Anche il benessere dei bambini dovrebbe pesare sul bilancio. Coloro che scelgono un’identità trans vengono avviati a trattamenti irreversibili sempre più giovani, nonostante le prove che senza di essi la maggior parte cambierà idea. Alcune scuole hanno iniziato ad insegnare ai bambini a comprendere la loro identità di genere attraverso l’introspezione, non l’anatomia. Viene detto loro che se sono leader e razionali sono ragazzi, e se sono nutrici e pettegole sono ragazze. Così, gli stereotipi di genere obsoleti sono tornati a ruggire sotto l’ala dell’auto-identificazione.

L’impulso è nobile: le persone trans sono state storicamente soggette a terribili discriminazioni, ma la teoria dell’identità di genere è relativamente nuova. E come si formi l’identità di genere è ancora poco conosciuto. Decidere come bilanciare i diritti in competizione e come valutare i rischi richiederà un attento dibattito, ma chiunque interroga la nuova ortodossia è marchiato come “transfobico”. La ricerca sui danni ai bambini a causa della transizione sessuale è soppressa. Gli accademici che esplorano le conseguenze della ridefinizione delle categorie di sesso affrontano campagne per farli licenziare. Questo è un percorso pericoloso».

 

Un editoriale di fuoco, quindi. Nel quale, non solo si ammette l’insussistenza delle argomentazioni Lgbt, non solo si critica chi asseconda i bambini confusi verso la loro identità, ma si afferma anche l’esistenza della teoria gender, così ampiamente negata e ridicolizzata dai militanti arcobaleno. C’è infine l’ammissione di un clima sociale omo-fascista verso chi non è allineato alla “nuova ortodossia”, che coinvolge anche i ricercatori.

 

Un detenuto si auto-identifica come donna e violenta 4 donne.

La presa di posizione de l’Economist può sorprendere ma sospettiamo sia un atto dovuto dopo quanto avvenuto nella prigione femminile di New Hall, nel nord dell’Inghilterra, di cui abbiamo parlato. Dopo aver soppresso le proteste e gli avvertimenti riguardo al trasferimento dei maschi transessuali nelle carceri femminili, quattro donne sono state violentate da un uomo auto-identificatosi come donna e, quindi, legittimato a scontare la pena in quella prigione. Già in quel caso arrivarono delle critiche, in particolare da The Spectator, una rivista vicina al partito conservatore inglese. Oggi, più sorprendentemente, si è accodato anche un settimanale di tutt’altro schieramento.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Tiene l’ora di religione: scelta dall’88,5% degli studenti

scuola ora religione datiBuona tenuta dell’insegnamento della religione (IRC) nelle scuole, perso solo il 4% in dieci anni a causa di studenti di altre fedi. Ma cresce nelle paritarie dell’infanzia e trova più adesione nei licei che nei professionali.

 

L’insegnamento dell’ora di religione nelle scuole italiane gode di buona salute. Una scelta volontaria, facoltativa, degli studenti e delle famiglie, che ha perso soltanto il 4% di partecipanti in dieci anni. E i motivi riguardano, per lo più, l’aumento di studenti di altre religioni.

L’ultimo rapporto disponibile risale all’anno scolastico 2015/16, dal quale emerge che l’88,5% di studenti si è avvalso dell’ora di religione. Nelle scuole superiori ha scelto di partecipare l’81,6%, nella scuola dell’infanzia il dato sale al 91,7%.

 

Ora di religione: differenze tra scuole statali e paritarie.

Se si separano le scuole paritarie da quelle statali, il risultato cambia poco. L’87,9% degli studenti delle statali sceglie di partecipare all’ora di religione, contro l’88,5% delle paritarie. Una differenza minimale. Addirittura, se si prendono in considerazione soltanto le scuole dell’infanzia paritarie, si è verificato un incremento di partecipazioni dell’1,3%, che ha portato il dato al 91,7%. Nelle superiori paritarie la crescita è impercettibile +0,10%, così come nelle primarie e nelle medie paritarie +0,3%.

 

Maggior frequenza nei licei che negli istituti tecnici.

La minor partecipazione all’ora di religione si registra nelle scuole professionali e negli istituti tecnici, dove d’altra parte è maggiore il numero di studenti stranieri (circa il 10%). Al contrario, si registra maggior partecipazione nei licei scientifici, classici e linguistici dove le adesioni superano l’85% degli studenti.

 

Perché ha più spazio la religione cattolica rispetto alle altre?

Come studenti e famiglie sanno bene, l’ora di religione non è un momento di catechismo cattolico, quello si fa in parrocchia. Si tratta di uno studio e di un confronto con gli alunni sul pensiero religioso che, volente o nolente, è parte integrante della vita di ognuno e della storia di tutti i paesi occidentali. Evidentemente il peso del cristianesimo cattolico è preponderante ma, com’è ovvio che sia, anche nelle altre materie scolastiche si dà maggior spazio a Dante e Manzoni rispetto a Yasunari Kawabata e Rolf Jacobsen. Così, lo studio della religione cattolica, più dell’ebraismo, del scintoismo o del buddhismo, è indispensabile per capire il nostro passato e dunque il nostro presente e futuro. L’altissimo numero di famiglie e studenti che scelgono di partecipare ogni settimana all’ora di religione nelle scuole italiane dimostra che la materia è interessante e non è un abuso della laicità, come spesso invece affermano alcuni polemisti.

 

 

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

De Andrè e la fede: «Non credo, ma non posso prescindere da Gesù»

fabrizio de andré cristianoAnniversario della morte di Fabrizio de André. Alcune frasi inedite nella sua vita privata rivelate in un’intervista un anno prima di morire e l’incontro con un sacerdote. I suoi testi e la stima per Gesù Cristo.

 
 
 

Vent’anni fa ci lasciava Fabrizio De André, un poeta più che un cantautore.

Pacifista, forse anarchico, certamente ha segnato la storia della musica italiana. Un anno prima di morire, per carcinoma polmonare, affidò alcune parole a Giampaolo Mattei, vaticanista e critico musicale, che riassumono la sua visione esistenziale: «Non ho il dono della fede ma nella mia vita non posso prescindere da Cristo».

Bello constatare che, nell’edizione odierna, l’Osservatore Romano è tornato a produrre cultura, pubblicando proprio una commemorazione di De Andé da parte di Mattei.

Il giornalista riscopre alcuni brani “evangelici” di Faber, dove la figura di Cristo è centrale, l’attenzione è in particolare rivolta al suo ultimo album Anime salve (1996).

In Ho visto Nina volare si domanda «quale sarà la mano che accende le stelle», e descrive quella «estatica contemplazione del mistero della creazione, in quella solitudine che ti mette a contatto con l’Assoluto» e l’ultimo brano del suo ultimo disco è Smisurata preghiera: «Ricorda, Signore, questi servi disobbedienti alle leggi del branco».

 

De André ai sessantottini: “Cristo arrivò prima di voi”.

Non certo vicino ai cattolici, anzi. Sostenne la campagna sul divorzio ma fu spesso criticato dalla sinistra extraparlamentare.

Eppure, De André riconobbe che il cristianesimo, ben prima del marxismo comunista, introdusse nel mondo quell’attenzione speciale per gli ultimi, per i poveri, per i perdenti.

«Con il disco “La buona novella”», disse De André nel 1998, «scritto in pieno 1968, ho voluto dire ai miei coetanei: guardate che le nostre stesse lotte sono già state sostenute da un grande rivoluzionario, il più grande rivoluzionario della storia. Molti ritennero il mio disco anacronistico perché parlavo di Gesù Cristo nel pieno della rivolta studentesca. Ma tutti coloro che pretendono di fare rivoluzioni devono guardare all’insegnamento di Cristo, lui ha combattuto per una libertà integrale, piena di perdono» (in G. Mattei, Anima mia, Piemme 1998, p. 109).

 

Quell’incontro tra De André ed un sacerdote.

De André non considerava Gesù come il figlio di Dio, nel 1967 gli dedicò “Si chiamava Gesù”, in cui canta: «Non intendo cantare la gloria né invocare la Grazia o il perdono di chi fu come altri che un uomo».

Tuttavia un sacerdote milanese nel 2012, confessò ad Affari italiani di aver incontrato in modo fortuito il cantautore nel 1998, un anno prima della morte.

«Era periodo di Pasqua e stavo facendo il giro di un condominio per la benedizione delle case, a Milano», ha raccontato il sacerdote. «Suono ad una porta e mi apre Dori Ghezzi: “Padre, grazie ma non siamo cattolici”, mi dice. Mi scuso, faccio per andarmene, ma una voce mi chiama: “Ma no, padre, entri pure”. Era Fabrizio De André».

I due parlarono per circa un’ora, Faber non si confessò e nemmeno si convertì, però il sacerdote accenna al contenuto del colloquio: «Era curioso. Abbiamo parlato della morte, dell’aldilà e di Cristo, della sua predicazione. Ho sentito nelle sue parole molto rispetto e molta attenzione per la figura di Gesù. Altro non posso dire».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Carlo Freccero direttore di Rai2: bestemmie, porno Rai e massoneria

porno rai freccero Il presidente Rai, Marcello Foa, ha nominato Carlo Freccero a RaiDue. Un personaggio controverso, già sospeso dalla Rai a causa di minacce e comportamento violento dopo la censura della sua serie Tv omo-pornografica in onda in fascia protetta.

 

Il nome del nuovo presidente della Rai, il “giornalista sovranista” Marcello Foa, fu sostenuto apertamente dal quotidiano La Verità e anche da molti cattolici, convinti di vedere in lui un condottiero nemico del pensiero unico. Eletto nel settembre scorso, dopo la nomina da parte del governo Lega-Movimento 5 Stelle, tanti si stanno già pentendo.

Il nuovo anno è stato infatti inaugurato da Foa con il film Wine to Love, uscito in pochissime sale cinematografiche il 18-19 dicembre. Uno spot Lgbt, con lungo e insistito bacio tra uomini che il neo-presidente ha scelto per la programmazione del 4 gennaio, in prima serata e su RaiUno. Ed è pronto anche un secondo film, Il Giorno più bello, la storia di un matrimonio gay. «Marcello Foa, questa è la Rai del cambiamento 2019? Quella in cui certi programmi poco rispettosi della sensibilità delle famiglie italiane vengono spostati da Raitre a Raiuno in prima serata?», ha domandato Mario Adinolfi, leader del Popolo della Famiglia.

Chi è Carlo Freccero, neo-direttore di RaiDue.

Ancor meno condivisibile è la decisione di Foa su Carlo Freccero, 71 anni, neo-promosso a direttore di RaiDue dopo che Mario Monti snobbò la sua auto-candidatura a presidente generale della Rai. L’ambizioso personaggio, di fede grillina ed affamato di potere, avrebbe voluto approdare a RaiUno: «me l’hanno impedito i poteri forti e parte del Vaticano, in particolare il Cardinal Bertone», si è sfogato. E con molta umiltà ha aggiunto: «Anche stavolta mi aspettavo di arrivare sulla poltrona dell’ammiraglia, è una direzione che manca nel mio curriculum. L’hanno diretta tutti, tranne uno come me. E’ una cosa oscena».

Porno Rai, bestemmie e “i cardinali pedofili”.

L’obiettivo del neo direttore Freccero è di riportare Daniele Luttazzi in televisione (noto per le offese volgari alla figura di Cristo e alla religione cattolica), una rubrica sull’Islam e, secondo alcuni, una rassegna stampa soltanto “sovranista”. E poi, ovviamente, sdoganare film omosex e la cosiddetta Porno Rai: un suo pupillo da sempre, lo fece già con la serie tv “Fisica o chimica” in onda su Rai4, da lui diretta nel 2012. In orario mattutino ed in replica nel primo pomeriggio, in piena fascia protetta, mandò in onda scene da bollino rosso con orge, scambi di coppia, rapporti sessuali alunni-professori, droga tra adolescenti. Ovviamente condito da rapporti omosessuali. «E’ tutto pedagogico, cretino, non si può fare solo don Matteo!!», si giustificò al telefono con il giornalista di Libero, Francesco Borgonovo.

Quella tra Borgonovo e Freccero fu una telefonata passata alla storia (qui sotto). 8 minuti di insulti, volgarità, minacce (anche personali) e bestemmie, a causa della critica avanzata dal giornalista (che oggi lavora a La Verità, sponsor di Foa e dello stesso Freccero). Dopo la denuncia, i dirigenti Rai spostarono la Porno Rai di Freccero in seconda serata, e lui non la prese affatto bene: «Fascisti, siete un giornale di m**a, mi censurate. Ma io chiedo a tutti quanti di assalirvi e vi mando i forconi sotto la redazione. Prendete ordini dai cardinali pedofili! Racconterò che i cardinali pedofili mi fanno chiudere attraverso un giornalista!! Sarà sangue e sangue scorrerà», urlò al telefono. La Rai sospese Freccero per 10 giorni, oggi Marcello Foa gli ha regalato Rai2.

Ricordiamo che Ferruccio Pinotti, nel suo Fratelli d’Italia (Rizzoli 2007), ha scritto che, nel 2002, Freccero ha fondato gli Illuminati, un ordine legato agli Illuminati di Baviera, una società segreta massonica che aspirerebbe ad esercitare pressioni mediante l’instaurazione di un nuovo ordine mondiale. Il neo-direttore di RaiDue si difese dicendo di aver poi abbandonato il gruppo massonico ma il giornalista Luciano Corrado, autore di importanti inchieste sulla massoneria, ha precisato che «dopo il giuramento massonico, per gli espulsi o i dimissionari-dimissionati, esiste solo quello che i testi “sacri” della massoneria definiscono il “sonno”. Si perde, insomma, lo status, come avviene per i sacerdoti cattolici, ma la “consacrazione” resta». Ne avevamo parlato più approfonditamente nel giugno 2012.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Missionario benedettino celebrato da indù: «ha cambiato nostra mentalità»

missionario cristiano indiaPrem Bhai, il missionario benedettino che ha convertito centinaia di persone in India, evangelizzando nella clandestinità. A sorpresa, nel suo decimo anniversario, è stato commemorato dai leader dell’indusimo e del buddhismo, che hanno annunciato l’abrogazione della legge anti-conversione.

 

Sono solo 19 milioni i cattolici presente in India, i cui abitanti si aggirano attorno a 1 miliardo. Anche l’induismo, come l’Islam, ha davvero grossi problemi nel rispetto delle donne e il mondo occidentale lo ha intuito pochi giorni fa quando si è diffusa la notizia di due donne entrate per la prima volta in un tempio induista, uno dei più sacri del Paese.

Un gesto storico e scioccante che ha generato scontri in piazza tra fedeli e polizia e rituali di “purificazione” del tempio, ma che fa seguito ad un’intervento della Corte Suprema che ha cancellato il divieto di ingresso nel tempio alle donne “impure”, cioè in fase mestruale (dai 10 ai 50 anni). Pochi giorni fa il parlamento indiano ha invece approvato una legge che obbliga il settore pubblico a riservare il 10% dei posti di lavoro a coloro che sono “economicamente vulnerabili”, a patto che siano poveri delle alte caste escludendo ancora una volta i dalit, in gran parte cristiani, ancora ritenuti “intoccabili” perché impuri. L’induismo ha anche al suo interno un folto gruppo di fondamentalisti chiamati “nazionalisti”, che recentemente hanno calpestato l’immagine di Papa Francesco vicino alla Cattedrale del Sacro Cuore a Nuova Delhi, chiedendo un’India libera dai cristiani.

 

Leader indù e buddhisti rendono omaggio al missionario benedettino.

Tutto questo rende ancora più sorprendente quanto accaduto qualche settimana fa, quando molti rappresentanti dell’induismo si sono stretti nell’omaggio di un missionario cristiano, Henry Gaigwad, un benedettino morto dieci anni fa e sepolto al confine con lo Stato di Assam. Nel 1981 si avventurò per la prima volta in India, stabilendosi nello stato di Arunachal Pradesh e facendosi chiamare Prem Bhai per aggirare la legge sulla messa la bando dei missionari cristiani. Nella clandestinità praticò l’evangelizzazione, incontrando uomini e donne nei villaggi e proponendo loro il percorso cristiano, convertendo, battezzando e fondando chiese e monasteri. Il benedettino ha assunto un ruolo fondamentale nella diffusione del cristianesimo in quello stato indiano (che nel 2011 contava il 30% di cristiani), fino alla morte nel 2008. Alcuni dicono che sia merito suo e delle innumerevoli conversioni che la persecuzione dei cristiani ebbe un rallentamento.

Sorprendente l’omaggio rivoltogli durante la celebrazione dell’anniversario da Takam Sanjoy, leader del Congresso Nazionale Indiano, fondato da Sonia Gandhi. «Le tribù dell’Arunachal Pradesh sono ossessionate dal sentimento di vendetta, credono nel detto occhio per occhio, dente per dente», ha dichiarato il politico induista. «Ma Prem Bhai ha cambiato questa mentalità». Un altro leader politico, Nabam Rebia, ha aggiunto: «Grazie a lui, la nostra gente è cambiata, ha aperto gli occhi e sono certo che è stata una fonte d’ispirazione per l’umanità intera». Addirittura il primo ministro buddista, Pema Khandu ha annunciato una donazione di 14.800 dollari alla fondazione gestita dalla famiglia del missionario benedettino, per ampliare il santuario dov’è sepolto. Anche lui ha riconosciuto: «Ha profondamente cambiato l’approccio che ciascuno ha verso il prossimo».

Con grande sorpresa dei 700 cattolici presenti alla commemorazione, Pema Khandu ha anche annunciato l’abrogazione della legge anti-conversione del 1978, ammettendo che «è indirizzata verso i cristiani». Lo stesso Pre Bhai, ha spiegato Anto Akkara, aveva affrontato ben 8 arresti (e diversi pestaggi) a causa della sua opera di evangelizzazione.

 

Missionari cristiani: lo studio di un antropologo laico.

Nel 2014 era stato l’antropologo americano Brian Palmer, rigorosamente laico, a firmare uno studio sui missionari cristiani, ammettendo che «la Chiesa cattolica, con le sue scuole e le sue opere sanitarie e d’assistenza, resta l’unica struttura sociale in grado di mantenere una rete istituzionale e morale a livello nazionale e internazionale», fin nei Paesi più poveri e degradati. «Spesso sono gli uomini della Chiesa a farsi carico della mediazione e dell’opposizione nei molteplici, talvolta sanguinosi, slittamenti verso forme di governo dittatoriali cercando di far avanzare il Paese verso forme di governo meno corrotte e più credibili».

L’esempio del benedettino Henry Gaigwad conferma i frutti di civiltà del cristianesimo missionario, così come hanno riconosciuto i leader indù e buddhisti dell’India in occasione del suo anniversario di morte.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Marcia per la Vita di Parigi, c’è il sostegno di Papa Bergoglio

bergoglio marcia per la vitaMarcia per la Vita di Parigi, arriva il sostegno di Bergoglio. In un messaggio al nunzio apostolico il Papa promuove l’evento, come ha sempre fatto. L’Osservatore Romano invita invece ad unirsi ai cattolici di Washington per la manifestazione pro-life.

 

L’appoggio di Papa Francesco alla Marcia per la Vita che si terrà a Parigi il prossimo 20 gennaio è una notizia non tanto di per sé, piuttosto per il suo valore simbolico. Molti opinionisti, anche cattolici, sono infatti a disagio verso queste forme di manifestazione esplicita alla difesa della vita, le ritengono espressioni di un cattolicesimo superato o bigotto, moralista.

Eppure, anche il Pontefice che più ha riscosso simpatie anche nel cattolicesimo cosiddetto progressista, ogni anno non manca di salutare con favore le principali iniziative organizzate dai comitati ProLife. Ha benedetto i partecipanti alla Marcia per la Vita italiana, ha incoraggiato gli organizzatori di quella francese, ha lanciato tweet a favore della Marcia per la Vita di Washington, ha supportato la manifestazione svoltasi in Perù, ha incontrato una delegazione di responsabili della “Manif Pour Tous“ italiana ecc.

 

Bergoglio alla Marcia per la Vita di Parigi: “no al disprezzo per la vita”.

In occasione della tredicesima Marcia per la Vita in Francia, che vedrà camminare unite migliaia di persone e diversi vescovi cattolici, Papa Bergoglio non ha fatto mancare le sue parole di incoraggiamento scrivendo al nunzio apostolico Luigi Ventura: «Tutto il male operato nel mondo si riassume in questo: il disprezzo per la vita», richiamando le parole pronunciate durante l’Udienza generale dello scorso 10 ottobre. Gli organizzatori della manifestazione francese hanno anche rivelato che «il Sovrano Pontefice incoraggia i partecipanti a “testimoniare i valori inalienabili della dignità umana e della vita”». Il tema della Marcia per la Vita di Parigi 2019 sarà in particolare a favore dell’obiezione di coscienza dei medici.

 

L’Osservatore Romano invita alla Marcia per la Vita di Washington.

L’Osservatore Romano, organo di stampa della Santa Sede, ha anche invitato ad unirsi ai cattolici degli Stati Uniti che manifesteranno dal 14 al 22 gennaio prossimo, tramite l’iniziativa “Nove giorni per la vita”, contro la cultura dello scarto per ricordare la sentenza della Corte suprema di giustizia sul caso “Roe vs Wade” del 22 gennaio 1973 che ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti. L’iniziativa è promossa dalla Conferenza Episcopale e, si legge su l’Osservatore Romano, «da quel giorno, sono trascorsi 46 anni, la vita di circa 56 milioni di bambini è stata soppressa. Da quel giorno, milioni di aborti hanno impedito ad altrettanti esseri umani di vivere la propria vita. Purtroppo, la “cultura dello scarto”, spesso additata da Papa Francesco, continua a espandersi coinvolgendo non solo bambini, ma anche anziani e persone più deboli. Per questo motivo, i presuli statunitensi esortano tutti a partecipare ai nove giorni di preghiera, di penitenza e di pellegrinaggio».

Il 18 gennaio saranno i cattolici di Washington a scendere in piazza in occasione della Marcia per la Vita e, sempre il quotidiano della Santa Sede informa che «il tradizionale appuntamento dei movimenti e delle organizzazioni pro-life sta registrando un grande numero di adesioni».

 

Alberto Melloni: “questa Marcia ha poco a che fare con la Chiesa”.

Ecco dunque l’errore di chi, nel mondo cattolico, si dissocia da questi eventi o addirittura vi si oppone. E’ accaduto nel 2013, quando ad esempio Furio Colombo ha definito la Marcia per la Vita puro “terrorismo”, mentre Alberto Melloni, editorialista di Repubblica, ha scritto: «Con la Chiesa questa marcia ha ben poco a che fare». Papa Francesco, invece, ha spiegato che «l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del Magistero della Chiesa».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

La femminista: «Prostituzione un lavoro? No, è stupro a pagamento»

legalizzare prostituzioneProstituzione legale. Chi la invoca ritiene sia “un lavoro come un’altro”, ma per l’ex-prostituta Rachel Moran si tratta di una schiavitù che distrugge la donna, la disumanizza e la riduce ad oggetto da pagare e allontanare. Un “contenitore di fluidi maschili”, come le definisce Elisabetta Ambrosi.

 

Su Il Fatto Quotidiano è comparso qualche giorno fa un terribile articolo. L’autrice è Elisabetta Ambrosi, già nota ai nostri lettori in quanto nel 2014 invitò a depenalizzare l’incesto (e le adozioni per i single) con le stesse argomentazioni utilizzate a favore delle nozze omosessuali. Nel recente commento l’intenzione era difendere le prostitute, ma le ha umiliate terribilmente.

Le donne che si prostituiscono, ha scritto la Ambrosi, «impediscono che la violenza deflagri. Tengono bassi i livelli di stress di milioni di uomini, fanno sì che i loro fluidi si scarichino, abbassando la soglia della rabbia». Ridurre le donne a raccoglitori umani di fluidi maschili è piuttosto vergognoso, sopratutto per una che si definisce femminista. Contribuisce però a far capire che nessuna donna lo farebbe perché “appassionata” ma piuttosto perché è costretta e conferma l’assurdità di chi lo definisce “un lavoro come un altro”, come ha fatto il vicepremier Matteo Salvini vuole legalizzarla, facendosi accompagnare dal suo amico trans Efe Bal.

 

Dacia Maraini e Lea Melandri: “non è un mestiere normale”.

L’ultima volta in cui in Italia si è parlato di prostituzione sulle prime pagine dei giornali risale al 2015, quando l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino voleva creare un quartiere a luci rosse. Già allora riportammo l’opposizione di alcune prostitute, di molti operatori che le aiutano quotidianamente, e anche di diverse femministe rosse, come Dacia Maraini e Lea Melandri, intenzionate a smontare il mito che sia “un mestiere normale”.

 

L’ex prostituta Rachel Moran: “Stupro a pagamento”.

La ex-prostituta Rachel Moran, oggi giornalista e femminista anti-prostituzione, è una testimone importante in questo dibattito. La sua vicenda è raccontata in un libro intitolato Stupro a pagamento: la verità sulla prostituzione (Round Robin 2017), dove racconta la lenta devastazione della sua dignità e personalità durante i 7 anni in cui vendeva il suo copro. La sua tesi è che non si può tollerare la compravendita del corpo femminile, perché alla base dello scambio sesso-denaro c’è una relazione diseguale: la prostituzione è sempre «abuso sessuale pagato», così come è insita in essa la distruzione della personalità della donna, disumanizzata e ridotta a oggetto da usare, pagare e allontanare. Lo stesso dicasi per escort, squillo e prostitute d’alto borgo. Tutte, scrive la Moran, «sono vittime di una mistificazione che fa comodo agli uomini che pagano per fare sesso». L’umiliazione subita ogni giorno è uguale per tutte e in tutti i segmenti di mercato.

Lo slogan sessantottino Il corpo è mio e decido io ha distrutto la vita di troppe donne. La femminista intende battersi perché la prostituzione sia riconosciuta come «sfruttamento sessuale radicato nell’abuso» e, di conseguenza, per la criminalizzazione della richiesta di rapporto sessuale a pagamento, cioè dei clienti. Che, tra l’altro, corrisponde alla stessa linea suggerita dalla Conferenza Episcopale Italiana. Assieme a lei tante attiviste che difendono il modello nordico “proibizionista” svedese, diffusosi in Norvegia (nel 2009), in Islanda (2009) ed è attualmente in discussione in Irlanda, Israele, Gran Bretagna, Finlandia e Francia.

Lavoro come un altro? Ma in quale lavoro l’abuso sessuale fa parte del contratto? Papa Francesco, giustamente, ha parlato, senza mezzi termini, di «donne schiave della prostituzione. Non mi piace dire prostitute: schiave della prostituzione».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

L’Olanda quasi senza cristiani, ma chi resta è più fedele e motivato

olanda secolarizzazioneSecolarizzazione in Olanda. Un recente rapporto mostra la situazione tragica del paese di tradizione protestante, ma due fenomeni mettono speranza. I cristiani immigrati stanno creando nuove comunità e i pochi fedeli rimasti sono più vivi e motivati.

 

Secondo il recente rapporto del Netherlands Institute for Social Research (SCP), mentre la popolazione olandese è cresciuta del 28% tra il 1970 e il 2010, la secolarizzazione ha preso d’assalto il Paese, con una media di 267 persone che abbandonano il cristianesimo ogni giorno: una media di 100mila all’anno.

E’ una crisi radicale che ha colpito tutti i grandi Stati investiti dalla Riforma protestante, come ha spiegato Brad Gregory, docente di Storia all’Università di Notre Dame negli Stati Uniti. Il protestantesimo ha abbandonato la visione e la cultura filosofica aristotelica e tomistica e ha soggettivato la fede e relativizzato la morale, sradicandola da un riferimento oggettivo e autorevole (la successione apostolica) dando inevitabilmente il via ad un pluralismo religioso e confessionale. La prima conseguenza è stata l’indifferenza al problema della verità.

In Olanda, come in Danimarca, Svezia e Belgio, la secolarizzazione ha trovato la strada spianata, in discesa. Secondo il recente studio, il numero di olandesi che seguono una delle denominazioni del cristianesimo -cattolici, ortodossi e protestanti – si è ridotto di un terzo nell’ultimo decennio: dal 43% del 2002 al 31% del 2016. Nel 2013, dopo l’elezione di Francesco, si è verificato un rallentamento del processo, ma non è bastato ad arginare la crisi. Tre quarti degli olandesi afferma oggi che il significato che danno alla loro vita ha poca o nessuna connessione con la prospettiva religiosa, mentre due terzi dice di avere poca o nessuna fiducia nelle organizzazioni religiose. Negli ultimi dieci anni, in media è stata chiusa una chiesa ogni settimana.

 

Secolarizzazione Olanda: il processo non è inevitabile.

Ma non tutto è perduto, l’idea del processo storico come linea retta è un’ingenuità. Anche in Olanda si stanno verificando due fenomeni davvero interessanti che potranno essere determinanti per una rinascita futura. Innanzitutto, vi sono circa un milione di immigrati che stanno iniziando a formare una consistente comunità di fede cristiana e spesso ricevono aiuto dalle chiese tramite corsi di lingua e ricerca di lavoro. In secondo luogo, lo ha svelato proprio l’autore del rapporto, il sociologo olandese Joep de Hart, «i giovani nel complesso vanno meno in chiesa, ma quelli che rimangono sono più motivati ​​e più fedeli». L’età media dei membri delle chiese cristiane è aumentata ma, anche in quel caso, «chi rimane, è fortemente motivato, lo stesso che avviene anche ai giovani, i quali sono anche più ortodossi e determinati degli anziani».

 

Meno fedeli ma più vitalità e consapevolezza, la profezia di Ratzinger.

E’ quel che già disse il teologo Joseph Ratzinger nel 1997: «Proprio un’epoca di cristianesimo quantitativamente ridotto può suscitare una nuova vitalità di cristianesimo più consapevole. Nel cristianesimo c’è sempre un nuovo inizio, è quel che accade ora e che avverrà anche in futuro, sempre. E questi inizi susciteranno nuove e vigorose forme di vita cristiana» (dall’intervista di Peter Seewald, Il sale della terra, San Paolo 1997).

Specificamente in Olanda, lo aveva già osservato il cardinale Willem Jacobus Eijk nel 2013: «Spesso dico che, se la quantità dei fedeli diminuisce, la qualità dei fedeli sta migliorando: i fedeli che rimangono nella Chiesa hanno un rapporto personale con Cristo, pregano e si interessano alla fede, la prendono sul serio e questo è per noi un segno di speranza».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

La Nuova Bussola Quotidiana ora è anche novax

cascioli vaccini bussola quotidianaLa Nuova Bussola Quotidiana e le bufale. Il portale di Riccardo Cascioli rischia di essere un autogol per il mondo cattolico, fortemente orientata alla critica ideologia verso il Papa, all’antievoluzionismo, al free-vax. Ecco l’ultima de LaNuovaBQ.

 
 
 

“Siete diventati anche no-vax, voi cattolici antiscientifici avete raggiunto il fondo”. Così ci hanno scritto ieri pomeriggio.

Chi glielo spiega che La Nuova Bussola Quotidiana, nonostante i proclami, difficilmente può ritenersi una fonte d’informazione (autenticamente) cattolica? E che, ormai, prevale l’imbarazzo nell’essere in qualche modo accomunati al portale diretto da Riccardo Cascioli?

Un sito web esasperatamente politicizzato, dove l’interlocutore critico non sono gli antagonisti della fede, ma i nemici della Lega e i sostenitori del PD. In nome di questa lotta (politica), tutto è giustificato e non vi è alcuna remora ad asfaltare chiunque osi mettersi sui binari di Matteo Salvini, il vero riferimento morale de LaNuovaBQ da quando i suoi autori hanno rinnegato l’autorità spirituale di Papa Francesco.

 

LaNuovaBQ sui vaccini e sulle “malattie dei migranti”.

L’ultima è arrivata ieri, a firma di Paolo Gulisano.

Lo scrittore se l’è presa nientemeno che con Walter Ricciardi, già presidente del Consiglio Superiore di Sanità e docente Ordinario di Igiene e Medicina Preventiva, reo di aver bollato come antiscientifico l’inno alla “libertà vaccinale” proveniente dalle file del governo giallo-verde.

Gulisano, articolista de La Bussola ed attivissimo anche sul portale del sedevacantismo italiano Radio Spada, ha dileggiato Ricciardi accusandolo di fare affari con le case farmaceutiche produttrici di vaccini e con il Partito Democratico, arrivando a sfidarlo a «portare le prove che il Vice Premier ha torto», quando afferma che i vaccini sono dannosi e i migranti portano malattie.

Gulisano, ovviamente, concorda con Salvini, smascherando il «grande affare delle vaccinazioni» ed invocando la “libertà vaccinale” che sarebbe in vigore negli altri Paesi europei.

 

La Nuova Bussola Quotidiana e la cultura cattolica.

Così Gulisano e La Bussola si schierano apertamente con il mondo dei no-vax e free-vax, rifiutano con veemenza l’evoluzione biologica e verrà il tempo delle scie chimiche e, perché no, della terra piatta.

Ma chi sono coloro che proclamano la “libertà vaccinale”, a cui si ispirano Cascioli e Gulisano?

E’ il comitato Colmiva, sul cui sito web vi sono continui collegamenti tra vaccini ed autismo e la frase “danni da vaccino” è onnipresente. LaNuovaBQ esalta l’intervento del gruppo di lavoro “Vaccino Veritas” contro il dott. Ricciardi, omettendo però che è formato da omeopati ed ortopedici e l’unico medico (in pensione) è un noto negazionista del legame HIV-AIDS.

Cosa dire della tesi salviniana dei “migranti portatori di malattie“? E’ di qualche mese fa uno studio del Campus biomedico di Roma che ha negato questa relazione.

Ma, si sa, anche gli scienziati fanno tutti parte di un grande complotto ordito dal Vaticano immigrazionista. «Cavernicoli», li definisce con durezza l’eminente virologo Roberto Burioni. «Somari patentati, che con la loro superstizione vogliono mettere in pericolo i loro figli, i nostri figli e tutti noi. Qualcuno ha il coraggio di affermare che ‘bisogna garantirgli la libertà di scelta‘. Invece bisogna solo garantirgli la libertà di studiare o di tacere, e fare in modo che con la loro follia non facciano del male a tutti gli altri, prima di tutto ai loro figli».

 

LaNuovaBQ rischia da tempo di essere un danno per il mondo cattolico -come lo era il sito web Pontifex di Bruno Volpe qualche anno fa- che potrebbe venire accomunato al suo catastrofismo, all’antipapismo, all’antievoluzionismo, alla generalizzazione negativa nei confronti di migranti e musulmani.

Altre loro battaglie sono contro le canzoni rock “pericolose”, come Bohemian Rhapsody dei Queen e l’ossessione per il “materiale fecale” dei gay. Classici argomenti di cultura cattolica, no?

A detta continua del direttore Riccardo Cascioli, «i vescovi hanno perso la testa». Ma chi ha smarrito la bussola sembrano invece coloro che divulgano tali dichiarazioni, che nulla hanno a che vedere con il cattolicesimo e verso le quali ogni cattolico dovrebbe prendere le distanze.

E molti loro lettori lo hanno fatto.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace