Morire a 11 anni per il volgare vuoto di Sfera Ebbasta, una tragedia nella tragedia

La tragedia di Corinaldo. Sei vittime alla discoteca Lanterna Azzurra, accorse per il trapper Sfera Ebbasta, profeta della droga libera, della donna-oggetto, del nichilismo assoluto. Ci sono modelli di vita verso cui non bisognerebbe accompagnare i figli, mette tristezza che le volgarità del trapper siano l’ultima cosa attesa da quegli adolescenti.

 

«Hey troia! Vieni in camera con la tua amica porca. Quale? Quella dell’altra volta». E’ per ascoltare questa poesia che due giorni fa sono morti 5 ragazzini minorenni ed una mamma, nella tragedia di Corinaldo (Ancona). Travolti dalla calca durante un fuggi fuggi generale nella discoteca “Lanterna azzurra”, provocato dall’uso di uno spray urticante.

Si può morire anche ad un concerto di Mozart, di Gianni Morandi o di Cristina D’Avena. Ma colpisce ed infonde tristezza il fatto che l’ultimo pensiero di questi ragazzi prima di perdere la vita era probabilmente quello di ascoltare i sermoni musicali del trapper Sfera Ebbasta (di nome Gionata Boschetti), rappresentante del vuoto assoluto di cui si abbeverano molti odierni adolescenti e ampiamente sponsorizzato dalla rivista Rolling Stone Italia. Mette una qualche nausea leggere i “testi” delle “canzoni” sulle cui note avrebbero ballato quei giovani, in quella discoteca, quella tragica notte. In confronto, Fedez e J-Ax sono Pascoli e Dante Alighieri.

«Tu sei un babbo di minchia, solo un minchia di babbo» è  il gioco di parole più ricercato e riuscito nei brani del trapper di Sesto San Giovanni. Il quale, ovviamente, non ha alcuna colpa nella tragedia accaduta. Anche se lo psichiatra Paolo Crepet lo riconosce comunque moralmente colpevole: «Dobbiamo dare ai nostri figli esempi di passione, di cose semplici e positive. Non si può parlare di alcol e droghe per tutta la vita. Se io scrivo in un testo che devo scolarmi una bottiglia di rum e correre a 180 all’ora, c’è qualcosa che non va. I cantanti hanno delle responsabilità», ha affermato. Quella mamma, morta schiacciata da decine di corpi caduti a causa di una transenna arrugginita, forse non sapeva che stava accompagnando la figlia undicenne in una discoteca che si sarebbe riempita di inni alla droga libera, allo sfruttamento della donna come oggetto sessuale («scorcia-troie», come le chiama il trapper), all’esaltazione della ricchezza, al nichilismo assoluto. Probabilmente non avrebbe condiviso. Ma molti altri genitori? C’è un post su Facebook di una mamma che si sfoga: «Vivo un continuo ricatto: lei mi dice “ma gli altri lo fanno”. Non c’è suo padre che se n’è andato di casa, a resistere io ci provo ma vince sempre lei».

Le persone perdono la vita in circostanze assurde, tutti i giorni, e ci sono sempre stati artisti con messaggi terribili, a partire dai Jefferson Airplaine che incitavano a fare scorpacciata di Lsd, poi Jim Morrison e Frank Zappa. Ma resta il fatto che morire a 11 anni attendendo le volgarità di Sfera Ebbasta ci pare essere una doppia tragedia, questo è accaduto e anche su questo bisognerebbe riflettere. Domani, quando la vita ricomincerà. Ci sono modelli di vita verso cui non bisognerebbe accompagnare i figli, verso cui i genitori non dovrebbero essere complici. Non che ciò avrebbe potuto salvare la vita di quei giovanissimi ragazzi, ma forse aiuterebbe a salvare molti adolescenti dalla disperazione esistenziale in cui versano. Se il loro mondo a 11-13 anni è già pieno di fumo/droga, tipa/porca e money/vodka, inutile poi lamentarsi della perdita dei valori e della società liquida. E già questa, di per sé, è una tragedia.

La redazione

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Radicali mangiasoldi: dimezzati i fondi pubblici per la radio

Finanziamento Radio Radicale. Il governo taglia 5 milioni di euro destinati annualmente all’emittente del Partito Radicale, la cui rendicontazione del denaro intascato è sempre stata poco chiara e per nulla trasparente.

 

Nonostante il 2,6%% dei loro consensi ottenuti nell’ultima tornata elettorale, il Partito Radicale riceve 10 milioni di euro l’anno di finanziamento pubblico da parte dei cittadini italiani. O, meglio, riceveva.

Finalmente l’attuale governo gialloverde ha deciso un netto taglio di ben 5 milioni nei confronti della radio del partito, Radio Radicale.

Marco Cappato e Maurizio Turco hanno sempre giustificato questo ingente finanziamento statale con il servizio pubblico che offrirebbero trasmettendo la diretta del Parlamento, un servizio superfluo in quanto già ottimamente svolto da Radio Rai Gr Parlamento. Senza considerare che in dieci anni, la radio dei radicali ha perso il 40% del propri ascoltatori.

Gli epigoni di Pannella e Bonino non perdono occasione per denunciare il “Vaticano rapace”, il finanziamento alle scuole paritarie e la presunta aleatoria rendicontazione che la Chiesa cattolica emetterebbe riguardo l’8×1000. Mentre non è mai stato per nulla chiaro come Radio Radicale impieghi i danari pubblici e i cittadini non sono mai stati dettagliatamente informati su come vengano spesi i loro soldi.

Il consiglio di redazione dell’emittente ha diffuso un comunicato in cui si annuncia che il taglio potrebbe significare la chiusura della radio tra venti giorni (lo ha ripetuto Rita Bernardini), eppure basterebbe imparare a camminare con le proprie gambe, come fa gran parte delle stazioni radiofoniche, senza gravare sulle spalle dello Stato propagandando oltretutto una concezione della vita e dei valori che confligge con il tessuto popolare più profondo.

La redazione

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Il Papa contro l’aborto, sei femministe lasciano la Chiesa: ma a rimetterci sono loro

Sei donne svizzere abbandonano la Chiesa. Protesta contro il discorso di Francesco sull’aborto paragonato al contrattare un sicario, ma queste femministe avevano scambiato la Chiesa per un circolo filosofico. Ed invece è il luogo di permanenza storica di Cristo, al quale hanno rinunciato per una protesta priva di fondamenta.

 

“Se la Chiesa si apre ai gay io divento cattolica”. Così disse il transessuale Vladimiro Luxuria qualche anno fa, concependo la fede come un gioco, un baratto. Pochi giorni fa lo stesso errore è stato commesso da sei femministe svizzere, che hanno lasciato la Chiesa in segno di protesta dopo il durissimo discorso di Papa Francesco, quando nell’ottobre scorso ha paragonato l’interruzione di gravidanza all’affittare un sicario.

Il pronunciamento del Papa è stato ripreso da tutti i quotidiani internazionali e finalmente ha aperto gli occhi ai suoi falsi adulatori, che hanno realizzato che è il momento di finirla di idealizzare Papa Francesco. La delusione è stata palpabile in tanti che in questi anni avevano giocato a “tirare dalla loro parte” il Pontefice, come Furio Colombo, Michela Marzano, Dacia Maraini e Corrado Augias.

Le femministe cattoliche Cécile Bühlmann, Ruth-Gaby Vermot, Anne-Marie Holenstein, Monika Stocker, Doris Strahm e Regula Strobel, hanno invece agito in modo pratico annunciato l’abbandono del «sistema di potere patriarcale della Chiesa cattolica romana», turbate dal discorso di Francesco. L’Unione svizzera delle donne cattoliche (SKF), di cui facevano parte si è rammaricata della decisione, ma ha dichiarato: «Come queste sei donne, anche noi siamo rimaste scioccate dal paragone fatto dal Vaticano tra aborto e l’omicidio su commissione e abbiamo deciso di firmare una petizione indirizzata a papa Francesco».

Ma la Chiesa cattolica non è il luogo nel quale ci si entra perché si è d’accordo, non è un circolo filosofico che propone idee da condividere o meno, non è un’associazione alla quale si aderisce perché si difendono assieme certi ideali. La Chiesa è solo e unicamente il luogo in cui si incontra fisicamente Colui che salva la vita dal nulla dell’esistenza, in particolare grazie ai sacramenti. È la Chiesa che, ogni giorno, dice: “Ecco l’agnello di Dio”, ed è lì che Gesù continua a compiere la storia. La Chiesa cattolica è il volto di Cristo nella sua realtà umana. Resterà immortale la testimonianza di don Lorenzo Milani, un “prete di sinistra” amatissimo dagli anticlericali ma ai quali rispondeva: «L’assoluzione dei peccati non me la dà mica l’Espresso. L’assoluzione dei peccati me la dà un prete. Se uno vuole il perdono dai peccati si rivolge al più stupido, arretrato dei preti pur di averla. Per avere continuamente il perdono dei miei peccati. Averlo e darlo. Il più piccolo litigio che io avessi con la Chiesa, io perdo questo potere: di togliere i peccati agli altri e di farli togliere a me. E chi me lo rende questo potere? Quelli dell’’Espresso? Non si riuscirà a trovare in me la più piccola disubbidienza proprio perché, prima di ogni altra cosa, mi premono i sacramenti. E nessuno riuscirà a farmi disubbidire. Il primo ordine che il vescovo mi dà, se lui mi sospendesse eccetera, io mi arrendo immediatamente. Rinuncio alle mie idee. Delle mie idee non m’importa nulla. Perché io nella Chiesa ci sto per i sacramenti, non per le mie idee»

Così, queste donne svizzere, non hanno fatto alcun dispetto andandosene dalla Chiesa. Domani il Papa tornerà ad affacciarsi in piazza San Pietro, nessuna celebrazione eucaristica verrà sospesa: hanno semplicemente danneggiato loro stesse. Si sono private dell’unico luogo, autentico, dove il Mistero si è fatto carne e ha scelto di restare tra gli uomini: «Su questa pietra fonderò la mia Chiesa».

E tutto questo per negare una verità, cioè che interrompere una gravidanza significa uccidere un bambino non nato. E non lo dice il Papa, non lo dice da sempre la Chiesa cattolica, lo dicono gli stessi medici-sicari. Come il ginecologo abortista Javier Valdés, che ha paragonato il feto umano agli uomini «che si trovano sulla sedia elettrica». O ancora Alessandra Kustermann, ginecologa della Mangiagalli di Milano: «In quel momento so benissimo che sto sopprimendo una vita». E lo ha ammesso anche Nicola Surico, presidente uscente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo): «si tratta pur sempre di interrompere una vita».

Dov’erano quelle sei femministe mentre questi medici confermavano e anticipavano le parole del Papa? Perché non hanno protestato rinunciando agli ospedali, così come hanno rinunciato alla Chiesa? La spiegazione è molto semplice: se ne sono andate perché avevano già tradito il magistero della Chiesa, erano cattoliche a modo loro. Ancora non avevano realizzato che è l’uomo che è chiamato ad adeguarsi alla evangelica porta stretta. E non viceversa.

La redazione

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Attivista Lgbt aggredisce vescovo con acido, i media nascondono la notizia

Violenza lgbt. Il vescovo di Managua (Nicaragua) attaccato da una militante lesbica pro-aborto mentre stava confessando. Mons. Guevara ha riportato gravi ustioni ma per i media la notizia non c’è o non è rilevante.

 

La Chiesa cattolica in Nicaragua è oggettivamente sotto assedio. La Conferenza episcopale ha assunto un ruolo centrale, promuovendo e mediando i negoziati nella guerra civile tra il governo ed i suoi oppositori e ne ha pagato dure conseguenze, tanto che i vescovi più volte sono stati aggrediti verbalmente e fisicamente dai seguaci del presidente Ortega.

Ma mercoledì scorso, 5 dicembre, fa è avvenuta un’altra aggressione, apparentemente estranea alla crisi politica che sta attraversando il Paese centroamericano. Una femminista, lesbica e pro-aborto, ha infatti aggredito don Mario Guevara, vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Managua, mentre stava confessando in chiesa. La donna lo ha assalito lanciandogli addosso dell’acido solforico ed è stata fermata dai fedeli presenti prima che l’agguato finisse in tragedia.

Elis Leonidovna Gonn è stata arrestata dalla polizia, mentre il vescovo e alcuni fedeli sono stati ricoverati: mons. Guevara ha riportato gravi ustioni sul viso e sul corpo ma le sue condizioni paiono stabili. Al momento dell’aggressione, la donna indossava una maglietta con l’immagine di un bambino nel ventre materno che alza il dito anulare, usata spesso ironicamente dalle femministe radicali.

Un attacco, purtroppo, ordinario da parte dei militanti pro-aborto, come tanti ne avvengono ogni settimana in tutto il mondo. Ricordiamo solo i più recenti: in ottobre, l’attivista Lgbt e pro-aborto Jordan Hunt ha violentemente colpito una mamma pro-life (qui il video), mentre un mese prima la giornalista di Fox News, Denise McAllister, è finita sotto scorta per aver ricevuto valanghe di minacce di morte dopo l’essersi dichiarata pro-life. Così va avanti, ogni mese, da decenni, nel più totale silenzio dei principali quotidiani.

Anche nel caso dell’aggressione al vescovo nicaraguense, i quotidiani e le agenzie di stampa sono rimasti silenti, come se non fosse una notizia rilevante. Soltanto TGcom24, tra i media “laici”, ha informato del fatto ben guardandosi, però, dal riportare i motivi dell’attacco ed il profilo ideologico della donna, cosa che invece si fa abitualmente per qualunque altro tipo di aggressione. Sopratutto quando si tratta di “insulti omofobi”, la stampa si scatena in perfetta sincronia, trasformando perfino una scritta su uno scontrino in un caso di emergenza nazionale.

Un altro esempio sintomatico è stata l’omissione da parte dei grandi quotidiani su un particolare scomodo del dottore pedofilo arrestato a Castel Volturno (Caserta), accusato di aver abusato di un bimbo di 9 anni. L’hanno chiamata “dottoressa”, censurando un dettaglio noto a tutti: era un transessuale, informazione messa invece in evidenza dalla stampa locale. La femminista del Corriere della SeraMonica Ricci Sargentini, si è detta “senza parole” riguardo la volontaria e sospetta omissione della grande stampa.

La redazione

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Cosa dà valore all’uomo? Un filosofo, un teologo e uno scienziato non sanno rispondere

Valore dell’uomo e della vita. Tre rappresentanti del pensiero umano non hanno risposte, basterebbe leggere i profondi giudizi di don Luigi Giussani per riemergere dalla nebbia dell’esistenza e della mancanza di risposte.

 

Ci lamentiamo spesso del relativismo assoluto in cui vivono i giovani. Eppure, come dare loro torto quando si legge un lungo dialogo tra tre rappresentati del pensiero umano che riflettono sul “valore dell’uomo” senza che si cavi un ragno dal buco? Se questi sono gli adulti, poi non stupiamoci.

Qual è l’unità di misura dell’umanità? E chi — o che cosa — definisce l’uomo? Su questo si sono confrontati il frate domenicano Peter Hunter, docente al collegio di Blackfriars a Oxford, il fisico Guido Tonelli, docente alla Normale di Pisa e l’antropologo Silvano Petrosino dell’Università Cattolica di Milano. Ci mancherebbe, qualche spunto interessante è emerso: «spesso ci convinciamo che la misura dell’uomo sia, per esempio, il godimento. O il potere. Ma è un inganno», ha introdotto Petrosino, «l’uomo resta irrimediabilmente abitato da una misura che non riesce a misurare». Nonostante il promettente inizio, la conversazione si è rivelata sterile anzi, controproducente, almeno quando Tonelli ha affermato che bisogna «capire che il valore dell’uomo non è stabilito dal suo denaro o dal successo, ma dalle sue azioni nei confronti delle comunità, siano esse locali o globali, dalle soluzioni che trova ai problemi, dalle sue scoperte e visioni».

Ecco ricomparire l’utilitarismo: hai valore se sei utile, se produci azioni, se trovi soluzioni, se scopri, se sogni. L’uomo avrebbe valore solo in quanto partecipa al flusso della realtà, così come il dito ha valore solo perché è parte del corpo e solo se è capace di muoversi o indicare.

Eppure il prof. Petrosino aveva aperto la strada alla risposta: l’uomo trova dentro sé una misura. Un altro docente della Cattolica di Milano, un teologo di nome Luigi Giussani, se avesse partecipato al dibattito sicuramente si sarebbe inserito affermando: «La scelta dell’uomo è: o concepirsi libero da tutto l’universo o schiavo di ogni circostanza». E’ questa scelta che determina il valore umano, di ogni uomo: che sia utile o non utile alla società, non importa. Per concepirsi libero, non riducibile all’ingranaggio universale, c’è solo un modo: «La superiorità dell’io si fonda sulla dipendenza diretta dal principio che gli dà origine e dà origine a tutto, cioè da Dio. La grandezza e la libertà dell’uomo derivano dalla dipendenza diretta da Dio, condizione per cui l’uomo realizzi e affermi sé».

L’uomo è definito, inizia a dire io quando si percepisce in rapporto con l’Eterno, in grado di vedere se stesso all’interno di un significato, di un disegno. Un essere voluto e amato, così inizia l’affermazione di sé. Come il bambino, che non si può affermare o concepire senza la madre. «Ciò significa», proseguì Giussani, «che senza quel rapporto il singolo uomo non ha possibilità di avere un volto suo, indistruttibile, d’eterna durata; non ha cioè possibilità d’essere persona, di rappresentare quindi un ruolo inconfondibile nel cammino del mondo, d’essere protagonista nel disegno totale».

Questo è anche uno dei grandi insegnamenti di Gesù agli uomini: ha educato il loro senso religioso. Infatti, «la religiosità cristiana non sorge come gusto filosofico, ma dall’accanita insistenza di Gesù Cristo che vedeva nel rapporto col Padre l’unica possibilità di salvaguardare il valore della singola persona. La religiosità cristiana sorge come unica condizione dell’umano» (L. Giussani, All’origine della pretesa cristiana, Rizzoli 2013).

La redazione

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Il fondamento biblico dell’Immacolata Concezione

Il dogma dell’Immacolata Concezione ha un fondamento nella Bibbia? La festa cristiana dell’8 dicembre rende omaggio alla nascita di Maria di Nazareth immune dal peccato originale, dogma fissato nel 1854 e fondato su un brano del Libro della Genesi.

 

Oggi, 8 dicembre, si festeggia l’Immacolata Concezione. Non molti italiani ne conosco il significato e in un’indagine di qualche anno fa si mostrava che i pochi che si avventuravano in una risposta la confondevano con il parto virginale di Gesù Cristo. Non c’entra nulla: per immacolata concezione ci si riferisce a Maria, la madre di Gesù, nata priva del “peccato originale” a motivo della missione alla quale da sempre Dio l’ha destinata: essere la Madre di colui che ha riempito di un senso eterno l’esistenza degli uomini.

Questa convinzione, da sempre presente nel popolo cristiano, è stata fissata in “dogma” -cioè in “verità di fede”- l’8 dicembre 1854, con la bolla Ineffabilis Deus di Pio IX. Ma, nel farlo, si è partiti da presupposti legittimi, ovvero ricorrendo alla Scrittura? Ovvero, il dogma dell’Immacolata Concezione ha un fondamento biblico?

La risposta è affermativa, ovviamente, seppur il riferimento non sia immediato ma acquista significato pieno alla luce della Tradizione della Chiesa. Il primo fondamento è quello contenuto nel Libro della Genesi, in particolare nel dialogo tra Dio e il serpente (simbolo del Male), che ha appena ingannato Eva porgendole la mela. «Io porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,15). Fin dalla fine del I secolo, la tradizione cristiana (ma anche quella giudaica) vi ha riconosciuto all’unanimità una profezia nel Messia: il Creatore si riferiva a Maria di Nazareth e alla “sua stirpe”, cioè Gesù.

Il problema, ha ben spiegato il teologo padre Angelo Bellon, è che tra ebraico, greco e latino non è chiaro se “questa ti schiaccerà la testa” si riferisca alla “donna” o alla “sua stirpe” ma si ritiene, ormai, che nel testo originale il pronome si riferisse alla stirpe della “donna”. Tuttavia, Pio IX concentrerà l’attenzione sulla “donna”, su Maria, «che, tutta bella e immacolata, ha schiacciato il capo velenoso del crudelissimo serpente, ed ha portato la salvezza al mondo».

Pio IX si sbagliò? No, il suo riferimento a Genesi non fu inesatto perché la “stirpe” di Maria, cioè il Messia, Cristo, è legato in modo inscindibile a quella “donna”. La salvezza degli uomini introdotta da Gesù nel mondo, infatti, prescinde dal sì di Maria all’essere sua madre. Giovanni Paolo II ha affermato: «Questa versione non corrisponde al testo ebraico, nel quale non è la donna, bensì la sua stirpe, il suo discendente, a calpestare la testa del serpente. Tale testo attribuisce quindi, non a Maria, ma a suo Figlio la vittoria su Satana. Tuttavia, poiché la concezione biblica pone una profonda solidarietà tra il genitore e la sua discendenza, è coerente con il senso originale del passo la rappresentazione dell’Immacolata che schiaccia il serpente, non per virtù propria ma della grazia del Figlio».

Ma cosa c’entra l’immunità della Madonna dal peccato originale con questa diatriba tra “donna” e “stirpe”? Ben poco, infatti il dogma dell’Immacolata Concezione è basato molto più sulla parte iniziale del versetto: “Porrò inimicizia fra te e la donna”, cioè la “donna” sarà l’antitesi del peccato (in quel caso rappresentato dal serpente). «Si tratta di un’ostilità espressamente stabilita da Dio, che assume un rilievo singolare se consideriamo il problema della santità personale della Vergine», ha commentato Papa Wojtyla. «Per essere l’inconciliabile nemica del serpente e della sua stirpe, Maria doveva essere esente da ogni dominio del peccato. E questo fin dal primo momento della sua esistenza».

Come già disse Pio XII, se la Vergine Maria fosse stata “contaminata” nel suo concepimento dalla macchia ereditaria del peccato, non avrebbe potuto esserci quell’eterna inimicizia tra lei ed il peccato stesso. «L’assoluta ostilità stabilita da Dio tra la donna e il demonio», dirà ancora Giovanni Paolo II, «postula quindi in Maria l’Immacolata Concezione, cioè una assenza totale di peccato, sin dall’inizio della vita». Benedetto XVI ricordò anche un passo evangelico su cui fondare il dogma dell’Immacolata Concezione, riguardante per l’appunto l’annuncio dell’angelo Gabriele a Maria di Nazareth: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1,28). “Piena di grazia”, disse Papa Ratzinger, «è il nome più bello di Maria, nome che Le ha dato Dio stesso, per indicare che è da sempre e per sempre l’amata, l’eletta, la prescelta per accogliere il dono più prezioso, Gesù, “l’amore incarnato di Dio”».

Quindi sì, il dogma dell’Immacolata Concezione ha un fondamento biblico. Per un approfondimento ulteriore consigliamo la lettura dedicata al tema presente su Cathopedia, l’enciclopedia cattolica. Buona festa dell’Immacolata!

La redazione

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Babe Ruth, il miglior giocatore di baseball ha preferito la fede alla gloria del mondo

Babe Ruth, baseball e fede. La storia della leggendaria stella del baseball, il cui record è ancora imbattuto. Sedotto dai piaceri del mondo ha poi scelto la croce cristiana ed è morto in letizia.

 

Il miglior giocatore di baseball di tutti i tempi è tuttora George Herman “Babe” Ruth, nato nel 1895 a Baltimora, morto a New York nel 1948. Il suo record di colpi vincenti non è ancora stato battuto da alcun giocatore. Ha giocato nei Boston Red Sox e nei mitici New York Yankees ed il suo mito è vivo come sempre.

Una vita altalenante fra le glorie della fama e la fede cattolica che, fra vicende alterne, lo accompagnava fin da ragazzo. La sua vita, però, iniziò col… lancio sbagliato: a soli sette anni finì in una casa di correzione. I genitori gestivano un locale non particolarmente ben frequentato e, a dire dello stesso Babe, proprio là imparò il lato peggiore della vita. La casa di correzione era gestita da religiosi che non nutrivano particolari speranze per il suo futuro, ma una persona che contava su di lui c’era ed era suo fratello Matthias, devoto cattolico e fiducioso nella sua rinascita. Lo stesso giovane atleta parlava del fratello come del “miglior uomo che io abbia mai incontrato nella vita”. Nel periodo vissuto nel riformatorio ricevette i Sacramenti e visse la fede in maniera molto profonda.

Una volta uscito e messe in luce le sue eclatanti qualità di giocatore di baseball, tuttavia, la sua fede scolorì. Babe iniziò a giocare nei campionati delle varie serie nazionali ed a scalare rapidamente tutti i gradini del successo, fino a diventare un mito inarrivabile. La gloria sportiva lo portò lontano dalla vita precedente e proprio in quel periodo si allontanò completamente dalla Chiesa. Egli stesso raccontava di come i piaceri del mondo lo avessero travolto, abbacinato… ma descriveva anche il “suo altare”, una grande finestra che dava sulla città di New York, che era il luogo dove si inginocchiava a pregare.

Si ritirò dalle scene e tutto pareva annunciare una vecchiaia illuminata dai fasti della gloria mondana. Ma la diagnosi di un cancro cambiò i programmi e la leggendaria stella del baseball racconta in una lettera di come Cristo e Sua Madre entrarono nuovamente nella sua vita, con tutta la Loro forza amorevole e rinnovatrice. «Per la prima volta», raccontava, «mi resi conto che la morte mi era vicina e chiamai un Sacerdote per confessarmi di tutta la mia intera vita». Il Sacerdote lo confessò e gli diede appuntamento per il giorno dopo per somministrargli la Santissima Eucaristia, dispensandolo però dal digiuno. Tuttavia, Babe Ruth digiunò ugualmente e stette sveglio tutta la notte. Una notte luminosa, evidentemente, che descriveva piena di calma e di serenità nonostante la malattia devastante, «poiché avevo consegnato la preoccupazione e le mie paure a Dio, che mi guardava con la Sua immensa misericordia».

La sua conversione definitiva avvenne quella notte, in cui l’attesa del Signore nella Santissima Eucaristia e dell’incontro definitivo con Lui non permisero di dormire a quell’uomo che aveva conosciuto tutte le seduzioni del mondo, i suoi piaceri ma che aveva ritrovato Dio nella sofferenza, in quella sofferenza che mai avrebbe immaginato lo avrebbe ricondotto dal Padre. Durante uno dei lunghi periodi passati in ospedale, Babe ricevette la lettera di un bambino di dodici anni, che gli inviava il più bel regalo che avrebbe mai ricevuto nella sua vita: la Medaglia Miracolosa. La lettera diceva: “Caro Babe, tutta la mia classe prega per te, preghiamo tutti per te. Ti invio una medaglia, indossala e tienila sempre con te. Mike Quinlan”. L’uomo indossò la Medaglia e rispose a Mike, ringraziandolo ed assicurandogli che avrebbe portato con sé quel regalo prezioso fin nella tomba. Cosa che infatti fece.

Della sua malattia e del suo ritorno al Padre, il celebre giocatore parlò ampiamente in un epistolario, quasi completamente sconosciuto ai suoi fans.

Carla Vanni

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Una scuola vieta tutto: Gesù, l’albero, i canti, Babbo Natale, il rosso e i bastoncini di zucchero

Natale censurato. La preside di una scuola elementare del Nebraska ha censurato qualunque richiamo cristiano nella festa natalizia, stilando un elenco delle attività pericolose per l'”inclusione” e la “laicità”, ammettendo solo i pupazzi di neve e l’omino pan di zenzero. Una “situazione orwelliana” secondo i legali che sono già intervenuti per ripristinare il buon senso.

 

A parte qualche caso sporadico, di cui abbiamo parlato pochi giorni fa, sembra che quest’anno l’intolleranza al Natale cristiano, in Italia, sia meno pronunciata rispetto al passato.

Il tema è diventato molto sensibile e famiglie e cittadini sono allertati immediatamente appena qualche apologeta del laicismo si inventa qualche censura in nome del fantomatico “rispetto”. Molto hanno anche pesato le dichiarazioni dell’attuale Ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti: «Crocifisso e presepe sono simboli dei nostri valori, della nostra cultura, delle nostre tradizioni e della nostra identità. Non vedo che fastidio diano a scuola. Chi pensa che l’inclusione si faccia nascondendoli, è fuori strada».

Tuttavia, all’estero, le cose non sono così rosee. Il caso più eclatante di cui abbiamo notizia è avvenuto qualche giorno fa in Nebraska (Stati Uniti), dove Jennifer Sinclair, preside della Manchester Elementary School, ha vietato praticamente “tutto”. Ha censurato completamente il Natale, manco fosse una scuola dell’Unione Sovietica, quando nemmeno era considerato giorno festivo. Qualunque festeggiamento che anche lontanamente possa ricordare la cristianità è stato bandito, contato di elenco di oggetti proibiti:

– La figura di Gesù in qualunque suo aspetto.
– Babbo Natale o oggetti natalizi che lo rappresentino.
– Gli alberi di Natale.
– Gli elfi sugli scaffali.
– Canti natalizi/religiosi.
– Musica natalizia.
– Libri scolastici legati al Natale.
– Scambiarsi regali con ornamenti natalizi.
– Bastoncini di zucchero.
– Articoli di colore rosso o verde.
– Immagini delle renne.
– Video e filmati di Natale o personaggi dei film di Natale.

Stentavamo a crederci ma la notizia purtroppo è vera. Nelle attività “ammesse” dai bambini vi sono invece: pupazzi di neve, l’omino di pan di zenzero, lo slittino, la cioccolata calda, gli orsi polari.

Gesù a parte, cosa c’entra Babbo Natale? La preside evidentemente sa che Santa Claus deriva principalmente da San Nicola, vescovo di Myra, così, a scanso di equivoci, è stato anche lui bandito. Sia mai che un bambino troppo curioso possa interessarsi della storia! Ed assieme a lui, via anche elfi e renne che, pur non avendo nessun collegamento diretto con la cristianità, possono comunque richiamare Babbo Natale, quindi San Nicola e poi non si sa dove si va a finire. Divieto anche di libri, musiche, recite e film natalizi, realtà pericolose che rischiano di aprire uno spiraglio alla tradizione cristiana.

Ma la vera domanda è: cos’hanno fatto di “male” i bastoncini di zucchero?? Ci siamo informati, scoprendo che questi dolci (si chiamano Candy Cane) hanno la forma a lettera “J” per richiamare l’iniziale di Jesus (“Gesù”). La preside Jennifer Sinclair è una che non si fa fregare, per questo ha proibito agli alunni di mangiare anche quei pericolosi dolcetti. E cosa dire del divieto al colore rosso? In questo caso lo ha spiegato la stessa direttrice scolastica: «Il rosso è per il sangue di Cristo e il bianco è un simbolo della sua risurrezione. Questo include anche i colori dei bastoncini di zucchero». Motivo in più per bandirli.

La donna, al suo primo anno come preside della scuola, si è giustificata scrivendo che proviene «da un posto nel quale Natale e simili non sono ammessi nelle scuole e come scuola pubblica, la Manchester Elementary cercherà di essere inclusiva e culturalmente sensibile a tutti i nostri studenti». Inclusiva con tutti, meno che con la tradizione cristiana sulla quale hanno messo radice gli Stati Uniti (e non solo). Ad osservare il polverone che si sta scatenando dubitiamo che la signora Sinclair avrà molto futuro come dirigente scolastica, anche perché è già intervenuto il Liberty Counsel, un gruppo legale specializzato in questioni relative al Primo Emendamento della Costituzione americana, che ha affermato: «Il divieto scolastico viola la Costituzione degli Stati Uniti mostrando ostilità verso il cristianesimo». La preside, hanno continuato i legali, «sembra aver confuso i propri valori e le proprie preferenze con la legge. Il primo emendamento della Costituzione non richiede l’eliminazione dei simboli natalizi – religiosi e laici – in un tentativo errato di essere “inclusivi”, oltretutto parte di una festa riconosciuta dallo Stato. Lo sforzo di eliminare completamente i simboli natalizi è orwelliano». Sarà anche un caso unico nel suo genere, ma è esemplare di quanto schizofrenico sia l’odio per il cristianesimo nascosto dietro la maschera dell”inclusione”.

Al di là dello schieramento politico, non si possono non condividere le parole dell’ex ministro Giorgia Meloni: «Care maestre, se dite che il Natale è offensivo allora siate coerenti: il 24 e il 25 dicembre andate a lavorare.

 

 

AGGIORNAMENTO 12/12/18
La preside della scuola è stata messa in congedo amministrativo.

 

AGGIORNAMENTO 17/01/19
La preside della scuola, Jennifer Sinclair, ha rassegnato le dimissioni e il consiglio scolastico ha votato all’unanimità per accettarle.

 
La redazione

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Le bugie di Renato Farina su Lourdes e i problemi di Libero

Coppie gay benedette a Lourdes. Il Santuario mariano smentisce la bufala di Renato Farina (Libero) e promette azioni legali, prosegue tuttavia la campagna di falsità anticlericali da parte della destra conservatrice.

 

Ad attaccare quotidianamente la Chiesa, oggi, la sinistra laicista si alterna felicemente alla cosiddetta destra conservatrice. Tocca a Renato Farina, collega e amico di Antonio Socci ed uno dei tanti giornalisti di area cristiana che pare aver perso la bussola negli ultimi decenni. A Don Giussani, ha preferito definitivamente la coppia Feltri&Belpietro e l’anno scorso si è pure iscritto al Partito Radicale, per amore a Marco Pannella.

In un trafiletto apparso su Le Figaro, Farina ha letto di un’opportunità apertasi il 14 febbraio prossimo, giorno di San Valentino, che il Santuario di Lourdes avrebbe dato alle coppie omosessuali riguardo ad una benedizione e, quindi, di un ufficiale riconoscimento ecclesiale. «L’autorevole quotidiano conservatore non ci fa il titolo», ha premesso Renato Farina, «forse spaventa la portata abbastanza eversiva dell’iniziativa». Ma il giornalista di Libero non ha paura di nulla ed il titolo lo ha fatto lui, piazzando in seconda pagina l’annuncio: “Per riempire le casse Lourdes benedice le coppie gay”, con l’approvazione della «Chiesa post-moderna e post-dogmatica».

Fa tutto parte della retorica antipapista e complottista sulla Chiesa sottomessa al mondo, a braccetto con massoneria, satanismo e omosessualismo. Farina ha fiutato il vento e ha cercato “di fare cassa” ma, com’era prevedibile, ha calpestato una ennesima fake news di cui Libero è noto e goloso collezionista.

«Nessun invito è stato inviato alle coppie gay per San Valentino nel 2019» e «l’articolo pubblicato dalla redazione di Libero Quotidiano, che riprende quanto riportato da quello di Le Figaro, è quindi assolutamente privo di fondamento». Così è arrivata repentina la smentita dal Santuario, luogo delle apparizioni di Maria a santa Bernadette, accompagnata dall’annuncio «di adire alle vie legali per ristabilire la verità». La Grotta di Lourdes, conclude il comunicato ripreso da Avvenire, «rimane un Santuario cattolico. Il suo ministero pastorale pertanto è in pieno accordo con il magistero della Chiesa». Tutti sono accolti, omosessuali e non, ma la benedizione delle coppie gay non è prevista ed è una falsità.

Sul passato del giornalista Renato Farina pesano varie condanne e la sospensione dall’Ordine dei giornalisti per aver scritto falsità a comando, e non è nuovo a questi attacchi anticlericali. «La Chiesa si converte», scriveva ironico qualche mese fa sempre su Libero. «Per la prima volta i vescovi italiani dicono che i migranti vanno aiutati innanzitutto a non abbandonare la loro terra». Così, la Chiesa mette da parte «l’utopia adatta ai super-buoni». Farina faceva riferimento ad un documento della CEI, intitolato Comunità accoglienti, uscire dalla paura, sul drammatico fenomeno migratorio. L’intenzione del giornalista era prorogare la bufala dell’immigrazionismo selvaggio benedetto dal Vaticano, eppure il testo dei vescovi italiani da lui richiamato ribadiva la solita posizione, già espressa in tante altre occasioni: accoglienza cristiana ma nei limiti del possibile e della legalità.

Soltanto un anno fa il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Gualtiero Bassetti, spiegava: «Abbiamo assistito nel Mediterraneo alla morte dei nostri fratelli, cose che non vorremmo vedere. La gente non deve essere costretta a partire. Dobbiamo promuovere la mentalità per cui si creino condizioni per cui essi possano restare». Sempre nel 2017, il segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, ha affermato che «il discorso dell'”Autiamoli a casa loro” è un discorso valido, nel senso che dobbiamo aiutare veramente questi Paesi nello sviluppo». Don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, ha aggiunto: «permettere a chi soffre di restare nella propria terra significa puntare su uno sviluppo umano integrale, rimuovendo le cause degli squilibri, spesso all’origine del cammino e della fuga dei migranti». Mentre don Gianni De Robertis, direttore generale di Migrantes, ha citato le parole di papa Francesco e Benedetto XVI: «la prima libertà deve essere quella di non essere costretti a lasciare il proprio Paese».

La CEI ha anche avviato una campagna intitolata Liberi di partire, liberi di restare, investendo concretamente denaro per finanziare progetti nei Paesi di provenienza, di transito e di accoglienza dei migranti, anche per aiutare a «far rientrare le persone e trasformare la loro esperienza in ricchezza» per i loro Paesi. Papa Francesco, in prima persona, si è attivato per trasferire un centinaio di extracomunitari dall’Italia all’Argentina, dando il buon esempio alla politica e, lui stesso, è intervenuto chiarendo che se non ci sono le possibilità, «meglio non accogliere».

Se la verità non interessa alla “sinistra laicista”, tanto meno potrà interessare alla “destra conservatrice”.

La redazione

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Giappone, il cristianesimo perseguitato si preservò grazie al Rosario: la scoperta di un rotolo

Cristianesimo in Giappone. E’ stato scoperto un rotolo relativo al periodo della persecuzione in cui compaiono immagini della vita di Cristo contemplate durante la recita del Rosario, l’unico strumento che trasmise la fede tra le generazioni di cristiani clandestini.

 

Il museo Sawada Miki Kinenkan di Oiso (Giappone), ha reso noto un documento che potrebbe far luce sulla storia del cristianesimo nel paese asiatico. Secondo gli esperti, il documento risale al cosiddetto periodo Azuchi-Momoyama, che corrisponde grosso modo alla fine del 16° secolo, quando i cristiani erano vittime di persecuzione.

Si tratta di un rotolo di carta sul quale compare una serie di disegni ad inchiostro che rappresentano i misteri gioiosi, dolorosi e gloriosi che si contemplano nella preghiera del Rosario. I personaggi dipinti indossano abiti tradizionali hakama, i pantaloni tradizionali giapponesi dell’epoca. I test effettuati con il metodo del radiocarbonio hanno confermato la data che compare scritta: “1592 anni dalla sua nascita”, in riferimento alla natività di Cristo.

Siamo nel periodo della persecuzione cristiana giapponese. La storia cristiana in Giappone è iniziata con San Francesco Saverio e i suoi fratelli gesuiti nel 1549, i quali evangelizzarono i popoli che incontrarono e diedero avvio alla prima comunità cristiana. Si stima che verso la fine del 1500 vi fossero oltre 200mila cristiani in Giappone, tra cui diversi daymios, i signori feudali giapponesi.

Con l’ascesa al potere di Toyotomi Hideyoshi, tuttavia, iniziò la persecuzione. Con la scusa di combattere l’influenza delle nazioni europee, Hideyoshi vietò l’evangelizzazione e nel 1587 emise un ordine per espellere i cristiani. Cinque anni dopo la creazione del rotolo, i primi 26 martiri cattolici del Giappone vennero crocifissi proprio per ordine di Hideyoshi. Il successore a comando dell’esercito, Tokugawa, bandì la religione ed intensificò la persecuzione tanto che nel 1632 altri 55 cattolici subirono il martirio. Alcuni anni dopo, cinque gesuiti entrarono segretamente in Giappone ma furono scoperti e giustiziati.

Da quel momento in poi il cattolicesimo giapponese sopravvisse clandestinamente e senza sacerdoti per quasi tre secoli. Nella seconda metà del XIX secolo, dopo la riapertura del Giappone al resto del mondo, venne concessa anche la libertà di religione e i cattolici vennero alla luce provocando notevole stupore negli europei e negli stessi giapponesi, i quali erano convinti che il dominio degli shogun avesse estinto la fede cattolica. Il rotolo recentemente scoperto mostra che quel che mantenne viva la fede nei clandestini fu proprio la devozione alla Vergine. Senza sacerdoti e senza sacramenti, la recita comunitaria o personale del Santo Rosario divenne uno dei punti focali della devozione e la meditazione dei misteri, in cui si contemplano alcuni momenti della vita di Gesù Cristo, furono per molti l’unica forma di educazione religiosa e lo strumento di trasmissione della fede.

All’interno del museo si possono osservare molti reperti risalenti agli anni della persecuzione cristiana nel Sol Levante. In un’apertura laterale di una statua del Buddha, ad esempio, è stato ritrovato nascosto un crocifisso in avorio ed immagini che, a prima vista, potevano essere scambiate per una delle tante divinità femminili giapponesi ma che in realtà rappresentavano la Vergine Maria. Colpiscono anche delle spade di samurai su cui si osservano piccole croci nel manico, altre immagini invece risultano sfigurate in quanto provengono dai persecutori giapponesi che costrinsero i contadini sospettati a calpestare immagini della Vergine e crocifissi, nel tentativo di scoprire se si trattava di cristiani in clandestinità.

Il film Silence, diretto da Martin Scorsese, racconta in modo esemplare la vita clandestina dei cristiani in Giappone attraverso gli occhi di due gesuiti che nel 1638 arrivano in Giappone in ricerca del loro maestro spirituale e, con grandissima sorpresa, trovano una comunità cristiana che vive nel nascondimento. Ma con una devozione più sentita rispetto a quella delle società occidentali e, grazie al recente ritrovamento, oggi sappiamo che ciò che ha mantenuto salde nella fede generazioni di cristiani clandestini fu la recita del Rosario.

La redazione

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