Ligabue e quella malinconia così ostinatamente cristiana

Le parole del noto cantautore italiano Luciano Ligabue per l’uscita dell’autobiografia intitolata “Una storia”. Il racconto di una malinconia presente nella sua vita e che forse non sa decifrare ma che lo accomuna a tutti gli uomini che sanno riflettere. Come Leopardi e don Giussani.

 
 
 

Luciano Ligabue si confessa al Corriere in occasione dell’uscita della sua biografia Una storia (Mondadori 2022).

Il noto cantautore di Correggio affronta tanti argomenti, tra gli altri anche il dramma di un figlio nato morto e sepolto nel Cimitero degli angeli.

Ligabue parla anche della fede, perché «non può non esistere una linea di giustizia che regola il mondo».

 

Ligabue salvato da una suora: «La malinconia nella vita».

Nell’intervista racconta anche quando rischiò anche di morire, aveva cinque anni e subì un’operazione sbagliata alle tonsille.

Si salvò solo grazie ad una suora«Mi scossero e vomitai tutto il sangue che stavo ingurgitando», ricorda. «Mancava il plasma del mio gruppo, me lo donò una suora. Forse il senso di colpa viene anche da lì, dal sangue della suora».

Il tema più interessante è effettivamente legato a questa malinconia che Ligabue dice di provare. «C’è nella mia vita. E nelle mie canzoni», spiega. «Mi porto dentro da sempre un senso di colpa, un pensiero di troppo. Sarà il retaggio catto-comunista».

Più avanti spiega che uno dei suoi maggiori successi, Certe notti, nasce «dall’inquietudine, dall’irrequietezza. Sono le notti in cui devi uscire perché non sei in pace con te stesso, cerchi di risolvere qualcosa».

E ancora: «Anche quella è una canzone fraintesa. Quasi tutte nascono da un disagio personale che mi consente di far arrivare agli altri quel che provo».

 

Quella malinconia vissuta e descritta da Leopardi.

Ligabue, senza accorgersene, è in celebre compagnia.

Non c’è nessun altro italiano al di fuori di Giacomo Leopardi che ha saputo esprimere al meglio questa nota onnipresente nella vita dell’uomo non superficiale, dell’uomo che riflette seriamente sul senso delle cose e della propria vita.

La malinconia di Leopardi, troppo spesso scambiata per depressione, è il riconoscimento ed il desiderio di un bene assente, una sproporzione tra il desiderio di infinito e l’apparente assenza di una risposta nella realtà.

«Natura umana, or come, se frale in tutto e vile, se polve ed ombra sei, tant’alto senti1G. Leopardi, Sopra il ritratto di una bella donna.

Nel Canto notturno esplode la malinconia di Leopardi: «E quando miro in cielo arder le stelle, dico fra me pensando: a che tante facelle? Che fa l’aria infinita e quel profondo Infinito seren? Che vuol dire queste solitudine immensa? Ed io, che sono?»2G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.

 

Don Giussani e la malinconia come richiamo di Dio.

Effettivamente “malinconia” (come anche “tristezza”) è uno dei termini più cari al cristianesimo.

E’ molto interessante la lettura del teologo italiano Luigi Giussani quando scrive che si tratta di «una nota inevitabile e significativa della vita, perché nella vita, in ogni suo momento tu hai la percezione di qualcosa che ancora ti manca; la tristezza è un’assenza sofferta»3L. Giussani, Si può vivere così?, Rizzoli 2007, p. 338.

Ligabue riconosce che quel “tarlo” che si ritrova dentro deriva dalla sua educazione cattolica ed effettivamente nel cristianesimo viene valorizzata la tristezza come percezione naturale di “qualcosa che manca”. Qualunque successo si raggiunga…manca sempre qualcosa.

La malinconia, per questo, può essere vista come un’ancora di salvezza, un richiamo costante posto da Dio nell’uomo perché non si illuda mai di potersi accontentare, di essere autosufficiente, non rischi di allontanarsi troppo da Lui.

«Che la vita sia triste», continua don Giussani, «è l’argomento più affascinante per farci capire che il nostro destino è qualcosa di più grande. E quando questo mistero ci viene incontro diventando un uomo, allora questo fascino diventa cento volte più grande»4L. Giussani, Si può vivere così?, Rizzoli 2007, p. 338.

 

Nei giorni precedenti alla Pasqua del 2020, Donatella Puliga, docente di Mitologia classica all’Università di Siena, ha espresso a suo modo tutto ciò in una bellissima riflessione:

«Verso cosa tendiamo, e quale “tu” attendiamo? Ora che tutto indietreggia nelle nostre vite e qualcosa di nuovo si fa strada verso di noi, gustare un diverso sapore del mondo acquista, nel tempo pasquale, una valenza in più e ci fa sperimentare l’inatteso e l’oltre, così radicalmente inscritti nell’orizzonte della nostra finitudine».

La redazione

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Il Vaticano salva l’ospedale Fatebenefratelli di Roma

Con un blitz da 100 milioni di euro il salvataggio del Fatebenefratelli, ospedale d’eccellenza. Grazie all’Aspa e alla Fondazione del Vecchio, Papa Francesco è riuscito nell’impresa. Una lunga storia quella degli ospedali, che trovano la loro origine proprio nell’alveo del cristianesimo.

 
 
 

Il Fatebenefratelli di Roma è un’eccellenza nell’ostetricia di terzo livello, con 3.500 parti all’anno.

Eppure è sull’orlo del fallimento, i debiti nei confronti delle banche sono elevatissimi e questo ha portato al concordato gestito dal tribunale per evitare il tracollo. Il quale, però, appare imminente, salvo un miracolo.

Proprio quel miracolo è arrivato dal Vaticano che da alcuni mesi ha avviato con successo un’iniziativa filantropica per salvare l’ospedale, voluta direttamente da Papa Francesco.

 

Il blitz del Vaticano per salvare il Fatebenefratelli di Roma.

Assieme ad Aspa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) e alla Fondazione Del Vecchio, infatti, è avvenuto un accordo economico con le banche creditrici che permetterà anche un rilancio importante dello storico nosocomio dell’Isola Tiberina che potrà tornare ad ambire vette d’eccellenza.

Si parla di un’iniezione di 100 milioni di euro, in gran parte garantita da Aspa attraverso la Fondazione Sanità Cattolica. E’ probabile che il Policlinico Gemelli possa entrare anche a far parte della gestione dell’ospedale cattolico, migliorandone ulteriormente il prestigio.

A fare da regista di questa operazione, per volontà del Papa, è stata Mariella Enoc, presidente dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.

Finalmente un investimento economico degno di nota, passato in gran parte sotto traccia (fanno comprensibilmente molto più notizia operazioni spericolate come quelle del palazzo di Londra, una spy story sulla quale c’è un processo ancora in corso nel tribunale della Santa Sede).

 

La storia degli ospedali, un’invenzione cristiana.

Il legame tra cristianesimo e medicina è veramente molto antico, gli stessi ospedali moderni sono un’invenzione cristiana come riportavamo nel 2012.

Il maggior storico della medicina italiano, Giorgio Cosmacini, ha descritto dettagliatamente l’origine degli ospedali.

Mentre alcuni riferiscono del contributo degli arabi, Cosmacini precisa che «in accordo con buona parte della storiografia -anche successiva – della medicina araba, il principale, se non unico, merito è quello di aver trasmesso la medicina antica e bizantina»1G. Cosmacini, L’arte lunga. Storia della medicina dall’antichità a oggi, Laterza 2001, p. 144, ed infatti, prosegue, «bastano le dita di una mano per numerare i maggiori protagonisti della medicina araba»2G. Cosmacini, L’arte lunga. Storia della medicina dall’antichità a oggi, Laterza 2001, p. 147.

Il merito della cultura cristiana è aver “vagliato tutto e trattenuto il valore”, secondo il celebre insegnamento paolino: assimilò così le (poche) conoscenze mediche arabe ma soprattutto quelle greche e bizantine, e -anche a causa della diffusione della lebbra nell’Alto medioevo- fondò i lebbrosari, ovvero «un aspetto dell’esordio generale dell’assistenza ospedaliera»3G. Cosmacini, L’arte lunga. Storia della medicina dall’antichità a oggi, Laterza 2001, p. 113.

Così, sottolinea l’eminente storico italiano, «è dal Medioevo non pagano, ma cristiano, che vennero emergendo concetti e valori di grande rilevanza per la medicina»4G. Cosmacini, L’arte lunga. Storia della medicina dall’antichità a oggi, Laterza 2001, p. 117, in particolare per quanto riguarda l’innovativo valore dell’accoglienza, dell’assistenza, dell’ospitalità (“ospedale”).

Mentre il concetto di ospedale «era noto solo marginalmente nel mondo classico», conclude Cosmacini, «fu il Medioevo cristiano a dare fondamento etico alla hospitalitas»5G. Cosmacini, L’arte lunga. Storia della medicina dall’antichità a oggi, Laterza 2001, p. 117, da cui appunto presero il nome gli ospedali moderni.

Inizialmente si chiamavano “case ospitali” o “domus episcopi” poiché «sorgevano accanto alle residenze vescovili, erano gli archetipi delle istituzioni ospitaliere»6G. Cosmacini, L’arte lunga. Storia della medicina dall’antichità a oggi, Laterza 2001, p. 118

Fu solo dal XII secolo che gli ospedali iniziarono a distaccarsi dall’esclusiva correlazione ai conventi e alle fondazioni ecclesiastiche.

La redazione

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Esorcismi, gli psichiatri: «Ci sono fenomeni inspiegabili»

Gli esorcismi alla luce della scienza e della psichiatria. Tra esorcisti e psichiatri c’è una stretta collaborazione e alcuni assistono anche ai riti di liberazione testimoniando eventi non spiegabili (o difficilmente) dalla medicina.

 
 
 

Dal 16 al 21 maggio si svolgerà a Roma la XVI edizione del Corso di esorcismo e preghiera di liberazione organizzato dall’Istituto Sacerdos dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

Nella settimana di confronto tra esorcisti sarà presentata una ricerca scientifica, realizzata in collaborazione con l’Università di Bologna e l’antropologo di fama mondiale Thomas Csordas.

Il rapporto tra esorcisti e psichiatri non deve stupire, da decenni c’è stretta collaborazione in ambito cattolico, ben oltre l’immaginazione di molti.

Gli esorcisti sono i primi a sapere che delle 100mila persone che si rivolgono a loro in un anno soltanto poche hanno davvero bisogno di un intervento di liberazione dal maligno.

«Spesso il nostro compito è ascoltare e supportare con la preghiera chi è fragile, in rari casi serve un vero esorcismo», ha spiegato ad esempio don Gianluca Gerbino, segretario del Collegio degli esorcisti di Brescia. «Chi dice di essere indemoniato non è detto che lo sia e viceversa non c’è peggior soluzione di credere indemoniato chi invece non lo è».

 

Gli esorcisti in Italia e chi assistono.

Secondo i dati raccolti da un recente studio, le poche persone che hanno realmente necessità di un esorcismo sono quelle che hanno frequentato in passato sette sataniche o hanno percorso strade esoteriche.

Ad esempio, prosegue il segretario don Gerbino, «chi cerca un messaggio dall’aldilà con lo spiritismo. Si creano forti suggestioni, non sempre sane e si può solleticare inconsapevolmente la presenza di chi non ci vuole bene».

Gli esorcisti sottolineano anche di non avere ovviamente alcun potere particolare, «solo il mago disonesto fa credere di avere poteri extra naturali che ovviamente non ha», dice Giuseppe Ferrari, presidente dell’Associazione internazionale degli esorcisti (Gris). Tutto sta nella personale predisposizione del sacerdote, autorizzato esplicitamente dal vescovo.

Per questo ai loro corsi partecipano psichiatri, poliziotti, magistrati, avvocati: tutte le figure che collaborano abitualmente con gli esorcisti per evitare truffe, maghi e fattucchieri.

 

Gli esorcismi e la scienza, parola agli psichiatri.

Tante pellicole dell’orrore (a partire da L’esorcista, 1973) hanno fissato nella mente di molti scene apocalittiche e totalmente inventate, lontanissime dalla realtà, con il danno di aver prodotto un pregiudizio sugli esorcismi come una pratica sopravvissuta da un passato superstizioso.

A distruggere questo mito sono tanti psicologi e psichiatri che operano, come detto, al fianco dei sacerdoti esorcisti.

Ne ha parlato, ad esempio, Massimo Giannantonio, ordinario di Psichiatria all’Università di Chieti e Pescara e dell’International School of Medicine dell’Ospedale San Camillo di Roma.

«Essendo un medico mi astengo da commenti meta psicologi» sull’esistenza del diavolo ed i tentativi esorcistici di liberazione, dice giustamente. «Posso solo dire che la dimensione sovrannaturale è meritevole di approfondimenti perché ci sono tanti fenomeni inspiegabili. Quindi non sono in grado né di confermare l’esistenza di una dimensione sovrannaturale né di negarla con certezza».

Forse lo psichiatra più esperto di esorcismi in Italia è Luigi Janiri, ordinario di psichiatria all’Università Lumsa di Roma e responsabile delle attività ambulatoriali del Policlinico Gemelli. Autorità in campo di dipendenze e relativi danni cerebrali, ha studiato da vicino anche tanti casi di possessione demoniaca.

«I fenomeni scarsamente spiegabili dalla scienza psichiatrica e che si ritrovano nei casi di possessione cosiddetta demoniaca dovrebbero essere proprio quegli aspetti diagnostici che discriminano tra le condizioni francamente psicopatologiche (soprattutto isteria e disturbi dissociativi) e quelle appunto di possessione», ha spiegato nel 2017.

Avendo partecipato a numerosi esorcismi, Janiri elenca alcuni fenomeni di cui è stato testimone: cambi improvvisi di voce (ragazze che assumono voci maschili), improvvisi sanguinamenti, capacità di forza improvvisa (panche delle chiese scaraventate in aria), soggetti che parlano idiomi sconosciuti (in Messico un uomo ha usato un vocabolario pre-colombiano, lo si è scoperto in seguito).

Lo psicoanalista Giorgio Codarini, a sua volta, pur non potendo dimostrare per chiari limiti epistemologici una realtà sovrannaturale, nelle persone indemoniate sostiene di percepire «qualcosa di anomalo del ritmo del parlare, nella tipologia di linguaggio adottato e nel discorso nel suo insieme. Il mondo esterno è come se non esistesse, e c’è un godimento lontano da esso. La volontà di queste persone si piega, viene meno. L’io non è più padrone in casa propria».

 

Celebre psichiatra americano testimone delle possessioni.

Anche all’estero permane questa collaborazione tra scienza e fede.

Lo psichiatra statunitense Richard Gallagher, docente presso il prestigioso New York Medical College e alla Columbia University, ha a sua volta studiato e partecipato a diversi esorcismi raccogliendo le sue osservazioni e giudizi nel libro Demonic Foes: A Psychiatrist Investigates Demonic Possession in the Modern United States (Harper Collins 2019).

Negli ultimi 10 anni ha partecipato a 100 fenomeni di possessione demoniaca, ritenuti inspiegabili dalla scienza. E’ stato «spettrale ed inquietante», ha riferito.

Tra non molto recensiremo dettagliatamente il suo libro che risulta effettivamente un documento incredibile.

Il suo lavoro, non a caso, è supportato anche dal prof. Joseph English, docente di Psichiatria (ed ex presidente di dipartimento) del New York Medical College (anche lui testimone durante un esorcismo).

«Contrariamente ad un’impressione diffusa», ha detto English in un’intervista, «tali fenomeni non solo continuano ad essere riportati nel mondo di oggi, ma sfidano ancora la facile spiegazione di chi pensa siano meri disturbi medici o psichiatrici concepiti in modo semplicistico».

La redazione

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Il Wall Street Journal si schiera: abolire la legge sull’aborto

Il principale quotidiano americano scende in campo dalla parte della Corte Suprema. Il Wall Street Journal ha infatti chiesto di annullare la sentenza Roe v Wade per affidare democraticamente la decisione ai cittadini dei singoli Stati americani.

 
 
 

Ribaltare la legge sull’aborto, lo ha chiesto (incredibilmente) anche il Wall Strett Jorunal.

Il quotidiano a maggiore diffusione negli Stati Uniti si è infatti schierato a favore della Corte Suprema USA, intenzionata per l’appunto ad annullare la sentenza Roe v. Wade che legalizza l’interruzione di gravidanza dal 1973.

In verità, l’editoriale del WSJ è uscito il 26 aprile scorso mentre soltanto ieri c’è stata la fuga di notizie sulla decisione della Corte Suprema.

E’ anche vero, tuttavia, che tutti conoscono da tempo qual è l’orientamento generale dei giudici essendoci già stato un voto preliminare (ed informale) nel febbraio scorso che ha visto favorire l’affossamento dell’attuale legge.

 

Il Wall Street Journal dalla parte della Corte Suprema.

Già il titolo dell’articolo del WSJ dice tutto: “L’aborto e la Corte Suprema: questo è il momento per i giudici di passare la questione agli elettori”.

Il Wall Street Journal si esorta infatti i giudici ad utilizzare il caso attualmente in discussione, Dobbs v. Jackson Women’s Health, per ribaltare la vecchia sentenza che cinquant’anni fa ha liberalizzato l’interruzione di gravidanza in tutti i 50 stati americani.

L’aborto venne infatti imposto ai cittadini americani con una sentenza e non scaturì da una decisione democratica come una legge federale o un referendum (come è avvenuto invece in Italia).

Nell’editoriale si legge che «cinque giudici» sarebbero propensi a votare contro la legge «ma una feroce campagna di lobbying sta cercando di far loro cambiare idea».

Come abbiamo scritto, scaraventare contro questi giudici la pressione mediatica è stato proprio l’obbiettivo della fuga di notizie avvenuta ieri. Il Wall Street Journal ci ha visto lungo, evidentemente, definendo l’imminente campagna come «apocalittica».

Nell’articolo si profetizza anche il ritorno dell’abusato argomento degli “aborti clandestini” e delle “mammane”, puntualmente ripescato in occasione di sentenze favorevoli al diritto alla vita dei nascituri. «Tutto ciò ha lo scopo di indurre i giudici a fare un passo indietro dal ribaltare» la vecchia sentenza.

 

Affidare democraticamente la decisione ai singoli Stati.

Il celebre quotidiano americano non tifa né a favore né contro una legge sull’interruzione di gravidanza, ritiene più democratico che la decisione vada ai cittadini di ogni singolo Stato tramite i propri rappresentanti politici.

«La possibilità di praticare l’aborto non scomparirebbe negli Stati Uniti», si legge infatti sul Wall Street Journal.

Interrompere una gravidanza «potrebbe rimanere in alcuni stati anche se ci sono già relativamente poche cliniche che praticano aborti. Il risultato più probabile è una molteplicità di leggi a seconda di come vanno il dibattito e le elezioni. La California potrebbe consentire l’aborto fino al momento della nascita, il Mississippi potrebbe vietarlo tranne in caso di stupro o incesto».

 

Corte Suprema, le reazioni in Italia e nel mondo.

Com’era prevedibile, i grandi media hanno reagito imbastendo una furente campagna contro la Corte Suprema.

Si nota un evidente coordinamento tra i responsabili delle redazioni nell’inserire nel titolo degli articoli la parola “abolire” di fianco a “diritto”, così da suscitare facile indignazione. Come si può abolire un diritto?

Ma il punto centrale indicato dai giudici della Corte Suprema è proprio l’aver sottolineato che non esiste alcun diritto all’aborto nella Costituzione americana (come nemmeno in quella italiana, d’altra parte): l’interruzione di gravidanza è stata decisa da una sentenza da parte dei loro predecessori nel 1973.

Il presidente Joe Biden è intervenuto dicendosi «pronto a reagire» quando verrà emessa la sentenza, invitando i suoi elettori a votare candidati pro-aborto nelle prossime elezioni di medio termine (novembre 2022).

I quotidiani conservatori hanno giocato sull’ipocrisia sottolineando tutte le volte che i democratici hanno salutato con sacro rispetto le sentenze della Corte Suprema quando favorivano la loro agenda politica.

 

Tantissime le donne intervenute a sostegno della Corte Suprema, tra le più attive Lynn Fitch, procuratore generale del Mississippi, Kristan Hawkins, presidente di Students for Life, la giovanissima Allie Beth Stuckey e l’ancor più giovane senatrice Julie Slama (26 anni).

Secondo Richard Garnett, docente di Diritto costituzionale presso University of Notre Dame, è improbabile che i giudici possano cambiare idea «a causa di questa fuga di notizie». «Se è stata realizzata con l’intento di influenzare il comportamento dei giudici», ha spiegato, «chiunque ha preso quella decisione si sta davvero sbagliando».

 

In Italia la reazione più scomposta è stata de La Stampa di Massimo Giannini: «Aborto, medioevo americano». In pagina la classica retorica del “diritto di scelta” e gli slogan femministi.

Ancora una volta, non esiste un “diritto di scelta” sulla vita altrui (lo ha spiegato perfino il giurista Vladimiro Zagrebelsky). Ci si dimentica sempre, infatti, dell’altro soggetto in questione: il bambino non nato ed il diritto alla vita. Troppo comodo buttarla sull'”utero è mio”.

Diverso il commento di Giuliano Ferrara su Il Foglio, per il quale la «riconsiderazione del “diritto assoluto all’aborto” può essere il frutto, più che di un inesistente colpo di mano dei conservatori o addirittura dei trumpiani, di una evoluzione comprensibile del diritto, che nascerebbe proprio là dove tutto era cominciato».

 

L’aborto non è un tema religioso ma scientifico.

Tutto questo dimostra ancora una volta che non si tratta di una tematica “religiosa”, ma politica e scientifica.

Chi si oppone all’interruzione di gravidanza lo fa basandosi sempre più spesso sull’evidenza del dolore fetale, della vitalità del bambino non ancora nato, della capacità di sopravvivenza autonoma al di fuori dell’utero materno.

Dati scientifici non disponibili cinquant’anni fa quando molti ritenevano l’embrione un grumo di cellule da asportare senza problemi.

Non si spiegherebbe, altrimenti, perché tra i difensori della vita nascente ci sono tantissime sigle di “Secular pro-life” (cioè atei pro-vita), come raccontavamo qualche anno fa. Molti di essi sono scesi nelle piazze americane in queste ore contrapponendosi ai pro-choice (in molti casi cattolici).

Tante volte Papa Francesco ha ripetuto queste sagge parole: «Perché la Chiesa si oppone all’aborto? E’ un problema religioso? Filosofico? No, è un problema scientifico, perché lì c’è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema».

La redazione

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L’ebreo Amos Oz: «Così trovai conforto in Gesù»

Nel libro postumo di Amos Oz, “Gesù e Giuda” (Feltrinelli 2022), la volontà di andare oltre i “pregiudizi” storici dell’ebraismo su Gesù di Nazareth. Leggendo i vangeli comprende finalmente la cultura occidentale, l’arte, la musica e la letteratura. E in Gesù trovò conforto.

 
 
 

Amos Oz è stato uno degli intellettuali più influenti e stimati di Israele, è morto nel 2018.

Un devoto ebreo affascinato misteriosamente da Gesù di Nazareth, tanto che nel suo ultimo e celebre romanzo, Giuda (Feltrinelli 2014), arriva a scrivere che Giuda sarebbe stato il più fedele dei suoi seguaci, al punto da spingerlo verso Gerusalemme e la crocifissione affinché potesse manifestare a tutti che era figlio di Dio.

Spesso vicino a vincere il Premio Nobel per la letteratura, è in uscita un saggio postumo intitolato Gesù e Giuda (Feltrinelli 2022), a conferma di quanto detto sopra.

 

Gesù per gli ebrei: non era cristiano, non fondò nulla.

Amos Oz afferma le storiche tesi della religione ebraica nei confronti del cristianesimo, ovvero che Gesù era “solo” un ebreo e non avrebbe inteso fondare una nuova religione. Un argomento al quale abbiamo già risposto nel 2018.

Secondo suo zio Joseph Klausner, ricorda ancora Amos Oz, Gesù non era cristiano perché «non era mai stato battezzato come si deve in una chiesa, mai era andato a confessarsi, non si era mai fatto il segno della croce, non assistette mai a una messa, non celebrò mai una domenica o la Pasqua. Che razza di cristiano poteva essere».

Un argomento un po’ debole se si considera che Gesù fu proprio l’iniziatore del movimento cristiano, proseguito dai suoi discepoli più stretti su suo mandato.

Sarebbe come dire che Charles Darwin non era darwinista perché non si definì mai così oppure che Buddha non era buddhista perché non frequentò mai un tempio buddhista.

 

Il libro di Amos Oz: «Nei Vangeli vedo la cultura europea»

Amos Oz cerca però di andare oltre suo zio Joseph e chiede che il Nuovo Testamento venga insegnato nelle scuole ebraiche di Israele.

Infatti, scrive, «molto ebrei, passati e presenti, non hanno altro che una vaga -spesso piuttosto superficiale, spesso molto incerta- idea su Gesù».

Lui stesso, rivela Amos Oz, quand’era giovane studente si rese conto che:

«Se non avessi letto il Nuovo Testamento, almeno i Vangeli, non sarei mai stato in grado di capire la maggior parte dell’arte europea; non sarei mai stato in grado di apprezzare nel modo giusto la musica di Johann Sebastian Bach; non sarei mai stato capace di comprendere appieno un romanzo di Dostoevskij. Di conseguenza, per alcune settimane mi rinchiusi nella biblioteca del kibbutz, dove me ne stavo tutto solo a leggere i Vangeli, capitolo per capitolo. Gli altri ragazzi del mio anno passavano la sera giocando a pallacanestro o corteggiando le ragazze. Io ero un disastro in entrambi i campi, così trovai conforto in Gesù».

 

Ratzinger: «Le opere della fede testimonianza di verità»

Nelle parole di Amos Oz riecheggia la lucida analisi di Benedetto XVI presente nel suo bellissimo libro Perché siamo ancora nella Chiesa (Rizzoli 2008) .

«La Chiesa ha proiettato nella storia un fascio di luce tale da non poter essere ignorato», scrive il Papa emerito.

«Anche l’arte che è nata sotto l’impulso del suo messaggio, e che ancora oggi ci si mostra in opere impareggiabili, diventa una testimonianza di verità: ciò che è stato in grado di esprimersi a simili livelli non può essere soltanto tenebre», spiega.

«La bellezza delle grandi cattedrali, la bellezza della musica che si è sviluppata nell’ambito della fede, la dignità della liturgia della Chiesa, la stessa realtà della festa, che non si può fare da soli ma si può solo accogliere, il ciclo dell’anno liturgico, nel quale convivono l’ieri e l’oggi, il tempo e l’eternità – tutto questo non è a mio avviso una insignificante casualità».

Concludendo con una più che opportuna riflessione: «La bellezza è lo splendore del vero, ha detto Tommaso d’Aquino. Le espressioni nelle quali la fede è stata in grado di tradursi nella storia sono testimonianza della verità che è in essa».

La redazione

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Corte Suprema, i giudici sapranno resistere ai radicali pro-aborto?

E’ uscita in anteprima la bozza della decisione dei giudici della Corte Suprema USA contro “Roe v Wade”, la sentenza che legalizza l’aborto dal 1973. Qual è lo scopo della soffiata? Cosa si aspetta da questo la lobby pro-choice?

 
 
 

Perché è stata fatta uscire in anteprima la bozza della decisione della Corte Suprema USA sull’aborto?

Innanzitutto capiamo cosa sta succedendo.

Dal 1973 la sentenza Roe v. Wade obbliga gli stati americani a legalizzare l’interruzione di gravidanza anche quando il feto potrebbe vivere autonomamente fuori dall’utero materno (anche fino al momento della nascita).

Alla base dell’aborto legale, quindi, non c’è alcuna legge o alcun referendum popolare.

Una nota di curiosità: la donna che ha dato il nome alla storica sentenza del 1973, Jane Roe, nel frattempo si è convertita al cattolicesimo ed è oggi un’attivista pro-life.

 

La Corte Suprema chiamata a decidere sul caso Dobbs.

Nel dicembre 2021, tuttavia, il Mississippi ha contestato direttamente la legge ritenendola incostituzionale (non esiste un diritto all’aborto), antidemocratica (non decisa dai cittadini attraverso i rappresentanti politici) e obsoleta rispetto alle moderne evidenze scientifiche.

Il Mississippi ha così approvato il divieto di aborto dopo la 15° settimana di gravidanza innescando la causa Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, finita inevitabilmente davanti alla Corte Suprema.

Nel febbraio scorso un primo voto informale dei giudici ha dato ragione al Mississippi e nel prossimo giugno avverrà il voto ufficiale che, secondo molti, annullerà Roe v. Wade e consentirà autonomia legislativa ai singoli stati.

 

La soffiata per creare pressione e ricatto morale ai giudici.

Stamattina il sito web Politico ha pubblicato in anteprima una bozza che conferma il voto di febbraio, manifestando l’orientamento contrario alla legge pro-aborto.

Il testo è stato presumibilmente scritto dal giudice Samuel Alito, il quale parla di un «ripudio totale e incrollabile della decisione del 1973 che garantiva la protezione costituzionale federale del diritto all’aborto [sic]».

Ma la legge, prosegue l’eminente giurista «ha sbagliato clamorosamente fin dall’inizio e riteniamo che debba essere annullata. E’ tempo di dare ascolto alla Costituzione e restituire la questione dell’aborto ai rappresentanti eletti del popolo».

La fuga di una bozza di parere non ha precedenti nella storia della Corte Suprema.

L’obbiettivo è chiaramente quello di scatenare la bagarre mediatica come ultimo, violento e disperato tentativo di mantenere viva una legge antidemocratica che ha interrotto la vita di circa 60 milioni di bambini nell’utero materno.

C’è già notizia delle prime manifestazioni nei pressi della Corte Suprema, anche se si stanno radunando anche centinaia di attivisti pro-life (si scorgono anche sigle di femministe e atei pro-life).

I radicali pro-aborto contano sul supporto della pressione di giornali e televisioni tramite i soliti servizi a senso unico ed interviste quotidiane a vip, show girl e sportivi pro-aborto usati come grimaldello sociale.

Ci aspettiamo inoltre una feroce campagna di ricatto morale verso i giudici dell’alta corte, tramite insulti, denigrazioni a livello personale e la prevedibile gogna social. I progressisti, si sa ormai, si comportano così.

Nella nostra piccolissima realtà italiana è accaduto qualcosa di simile dopo la sentenza contro i referendum su eutanasia e cannabis quando il giudice Giuliano Amato è stato preso di mira per settimane, scavando nel suo passato e nella sua vita privata.

 

Già 29 gli Stati pronti a difendere la vita.

In uno studio del dicembre 2020 il Guttmacher Institute, il braccio statistico di Planned Parenthood, la più grande catena di cliniche abortiste degli Stati Uniti, ha rivelato che 29 stati americani sarebbero “ostili” ad una legge di interruzione di gravidanza e favorevoli ad una legislazione a favore della vita.

Al contrario, soltanto 16 stati mostrano supporto all’attuale legislazione americana.

Un motivo in più per comprendere la volontà dei giudici della Corte Suprema di rimandare la decisione ai singoli stati e quindi agli stessi cittadini.

 

Il card. Dolan: «Equilibrio tra salute donna e diritto vita».

In una recente intervista apparsa su Vatican News, il card. Timothy Dolan, arcivescovo di New York, ha dichiarato di aspettare la decisione sul caso Dobbs e sulla costituzionalità della legge sull’aborto.

Dolan si augura che «sia temperato, se non eliminato. Non c’è stato nessuno Stato che abbia limitato totalmente il diritto all’aborto, ma sarebbe gradita una legislazione che difenda la vita del bambino nel grembo materno dopo un certo numero di mesi di gravidanza».

Tuttavia, ha saggiamente aggiunto, la Chiesa auspica un equilibrio tra la salute della donna ed i diritti alla vita nascente:

«Dobbiamo sempre guardare ai bisogni di salute della donna e dobbiamo assicurarci che una donna, in particolare una madre incinta, abbia l’assistenza sanitaria e il supporto di cui ha bisogno, anche dopo la nascita del bambino. A volte l’enfasi sull’assistenza sanitaria delle donne ha visto la complicazione mortale per l’altra parte, ovvero del bambino nel grembo materno. Per noi contano “entrambi”. Amiamo la mamma ed amiamo il bambino. I pro-aborto invece parlando di un “o” – “o”. Per loro, c’è solo la mamma e dimenticano il bambino. Auspico nuove leggi che tutelano i diritti civili del nascituro, è una questione di diritti umani».

 

Manterremo attivo l’aggiornamento sugli sviluppi più interessanti.

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Harvard, 17 universitari sono diventati cattolici a Pasqua

La parrocchia di Cambridge (Massachusetts), a fianco dell’Università di Harvard, è colma di giovani studenti e alcuni di loro hanno chiesto ed ottenuto il battesimo a Pasqua. Ecco la storia di cinque di loro, convertitisi grazie all’incontro cristiano e a testimoni autorevoli.

 
 
 

Anche quest’anno migliaia di adulti si sono battezzati nella messa di Pasqua.

Ne avevamo parlato poche settimane prima, recandoci sui siti web di decine di parrocchie in tutto il mondo per conoscere quanti catecumeni avessero finito il loro percorso in vista del battesimo.

Tra di essi vi sono 17 studenti dell’Università di Harvard, che si sono battezzati durante la Veglia Pasquale dello scorso 16 aprile presso la Paul’s Catholic Church di Cambridge (Massachusetts).

Assieme ad altri 14 adulti hanno concluso il percorso di catecumenato e in un’intervista alla CNA hanno raccontato la loro conversione.

 

Il cappellano di Harvard: «Con il lockdown molti giovani hanno riflettuto».

Percorsi diversi ma tutti diretti nella stessa destinazione: la Paul’s Catholic Church, il cui campanile svetta da secoli su Harvard Square.

Padre Patrick J. Fiorillo, vicario parrocchiale e cappellano universitario dell’Harvard Catholic Center, ha spiegato che «c’è sicuramente un segmento significativo di persone che hanno iniziato a pensare più profondamente alle loro vite e alla loro fede durante il COVID-19. Uscire dal periodo di pandemia ha dato loro l’opportunità di fare il passo successivo e andare avanti».

«La maggior parte delle persone, pur trovandosi in circostanze di vita ordinarie mettono in discussione le vie del mondo e cercano di entrare in contatto con questo desiderio nei loro cuori di qualcosa di più», ha proseguito padre Fiorillo.

«E’ bello vedere che molti giovani continuano a convertirsi al cattolicesimo, e lo fanno in un luogo laico come Cambridge».

 

Ecco come sono nate alcune conversioni ad Harvard.

Katie Cabrera è una matricola di Harvard di 19 anni, è entusiasta di sperimentare per la prima volta il «potere trasformante di Cristo attraverso il suo corpo e il suo sangue» alla messa della veglia pasquale.

Nativa di Dorchester (Massachusetts), dice di essere stata battezzata da bambina ma di aver abbandonato la Chiesa ma, spiega, «anche se me ne sono andata, ho sempre saputo di credere in Dio. Ho sempre avuto quella fede, ma non sapevo cosa farne. C’era un vuoto che esisteva nel mio cuore». Ha scoperto cosa mancava quando è stata coinvolta con l’Harvard Catholic Center.

Dopo essere arrivata da un’amica alla “festa del gelato” dell’Harvard Catholic Center, «così è iniziato tutto», sentendo anche per lei la chiamata a voler diventare cattolica. «Questo è ciò che ho cercato per tutta la vita».

 

Kent Shi ha invece 25 anni, sulle labbra agnostico e quindi ateo nella vita.

Anche nel suo caso la potenza dell’incontro cristiano ha inciso: invitato da un amico ad una Adorazione Eucaristica, senza nemmeno sapere di cosa si trattasse, rimase turbato e iniziò a partecipare alla Messa a St. Paul ed al programma RCIA (Rito di Iniziazione Cristiana per Adulti) della parrocchia.

 

Per Loren Brown, la scelta di frequentare un’università laica come Harvard si è rivelata “provvidenziale”. Anche lui 25enne, originario di Los Angeles e mai battezzato. Ancora una volta l’opera di testimoni cristiani, come i suoi amici cattolici, ha influito sulla sua messa in discussione della mancanza di impegno per la fede.

Così, durante il lockdown, ha iniziato a leggere alcuni libri da loro consigliati, come le poesie di TS Eliot e le Confessioni di Sant’Agostino che lo hanno «attirato alla fede».

Brown descrive la sua conversione come un processo graduale che è culminato in un altro incontro, quello con un sacerdote. Nell’estate del 2021, infatti, fuori dalla chiesa di St. Paul, ha incontrato padre George Salzmann, cappellano dell’Harvard Catholic Center. «Mi ha chiesto come stavo, cosa stavo studiando e abbiamo subito trovato un interesse comune per sant’Agostino», racconta il giovane. La settimana successiva ha frequentato la sua prima messa domenicale e non ha più smesso.

Brown dice che ora si rende conto che c’era molto di più nel venire ad Harvard, oltre alla semplice specializzazione universitaria. «Quello che volevo da Harvard è completamente cambiato. Invece di un’istruzione che mi prepari per un lavoro o una carriera, ne voglio una che mi formi come essere umano e morale».

 

Verena Kaynig-Fittkau ha invece 42 anni, è arrivata ad Harvard dalla Germania come docente e per fare un post-dottorato in elaborazione di immagini biomediche. Mamma di un bambino, cresciuta come “luterano laica”, a Cambridge ha subito due aborti spontanei che hanno «rotto il mio orgoglio e mi hanno fatto capire che non posso fare le cose da sola».

Con un cuore forse per la prima volta colmo di umiltà, si è ritrovata a guardare un video su YouTube di padre Mike Schmitz, prete cattolico della diocesi di Duluth (Minnesota), “scoprendo” il cattolicesimo. Ha così cercato altri video di sacerdoti, tra cui padre Casey Cole ed il vescovo Robert Barron. Infine ha deciso di partecipare alla messa a St. Paul fissando un appuntamento con padre Fiorillo.

Il cappellano dell’Harvard Catholic Center le ha risposto a ciò che lei chiama «l’elenco di problemi protestanti con il cattolicesimo», è entrata nel programma RCIA tre settimane dopo.

 

La potenza dell’incontro con testimoni autentici.

Il denominatore comune di queste conversioni, come di quelle che avvengono ogni anno, è l’incontro cristiano.

In uno splendido articolo su l’Osservatore Romano, il filosofo Massimo Borghesi si è domandato giustamente «perché mai un giovane di oggi dovrebbe essere attratto da una posizione che si qualifica solo per un campo ristretto di battaglie etico-culturali.

Effettivamente per molti strati del cattolicesimo, la fede sembra ridursi a contrapposizioni etiche che non scaldano il cuore, come disse Francesco nella sua celebre intervista a la La Civiltà Cattolica.

Le cose cambiano, invece, quando si ripropone la dinamica della Chiesa nei primi secoli: «quella della testimonianza personale e comunitaria», scrive Borghesi, «della partecipazione ad un’esperienza di umanità rinnovata capace di investire la realtà e la storia».

Purtroppo questa dinamica non è all’ordine del giorno e «ciò che difetta al cattolicesimo odierno, anche e soprattutto a quello impegnato, è la categoria di “incontro”. Una categoria che attraversa e supera la distinzione tra destra e sinistra e che consente di andare direttamente al cuore dell’umano».

«Il problema della Chiesa odierna», conclude il filosofo, «è che difetta troppo spesso di pastori, di persone che amano Cristo e condividono la vita di coloro che sono loro affidati. Là dove il pastore è un uomo di Dio che si fa tutto a tutti lì le chiese tornano, miracolosamente piene. L’uomo odierno, il giovane di oggi, non ha perso il senso dell’amore divino».

La redazione

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Cannabis, la scienza contro l’Associazione Luca Coscioni

Quattro neuroscienziati riassumono in una review gli ultimi studi sulla pericolosità della cannabis, dimostrando conseguenze psichiatriche importanti anche nei consumatori moderati. Ecco il motivo per cui l’Associazione Luca Coscioni non cita mai studi scientifici a sostegno delle sue istanze politiche.

 
 
 

Peserà ancora per il radicale Marco Cappato la sonora bocciatura della Corte Costituzionale.

Il referendum sull’eutanasia è stato respinto in quanto avrebbe legalizzato l’omicidio del consenziente, mentre quello sulla cannabis se fosse passato avrebbe legalizzato qualunque droga.

Il rispetto integrale per la vita umana, così caro al cristianesimo, passa anche dal fronteggiare leggi che la vita la danneggiano irreparabilmente, come quelle a favore della droga. Per questo talvolta ci occupiamo anche di questo tema.

 

La legalizzazione non danneggia l’attività della mafia.

Dopo la bocciatura del referendum, l’Associazione Luca Coscioni ha dovuto accontentarsi di polemizzare con i giudici sostenendo che “la mafia ringrazia”.

E’ famoso, infatti, il mito che la legalizzazione minerebbe minerebbe le basi della criminalità organizzata.

Si tratta di un argomento usato a grimaldello per ingannare l’opinione pubblica, smentito categoricamente da noti procuratori antimafia come Nicola Gratteri, Raffaele Cantone, Fausto Cardella e Paolo Borsellino.

In caso di liberalizzazione, la mafia abbasserebbe semplicemente il prezzo rispetto allo Stato e inizierebbe a vendere la droga alla nicchia di mercato rimasta illecita per lo Stato, ovvero i minorenni.

 

Gli studi recenti sulle conseguenze della marijuana

A smentire l’altro mito dei radicali, secondo cui “uno spinello non ha mai ucciso nessuno”, vi sono schiere di studiosi, scienziati, psichiatri e ricercatori.

Proprio recentemente su The Conversation quattro neuroscienziati hanno riassunto gli studi peer-review più recenti sul tema. Si tratta di Barbara Jacquelyn Sahakian (University of Cambridge), Christelle Langley (University of Cambridge), Martine Skumlien (University of Cambridge) e Tianye Jia (Fudan University).

Il paper è stato stimolato da due studi recenti. Il primo, pubblicato su The Journal of Psychopharmacology, ha dimostrato una diagnosi di disturbo da uso di cannabis (CUD) sui consumatori abituali, rilevando peggiorate prestazioni cognitive in termini di memoria, funzione esecutiva e processo decisionale rischioso.

Il secondo studio, apparso su International Journal of Neuropsychopharmacology, ha dimostrato che l’uso di cannabis in adulti ed adolescenti è associato a dipendenza, apatia ed anedonia.

I quattro scienziati scrivono che «il tetraidrocannabinolo (THC) è il principale composto psicoattivo della cannabis ed agisce sul “sistema endocannabinoide” del cervello, che sono recettori che rispondono ai componenti chimici della cannabis». L’uso di cannabis, provoca «desiderio persistente di usare droga e genera l’interruzione delle attività quotidiane, come il lavoro o l’istruzione. È stato stimato nel DSM-5 che circa il 10% dei consumatori di cannabis soddisfa i criteri diagnostici per questo disturbo».

Solitamente si sostiene che uno spinello ogni tanto non farebbe nulla di male.

Oltre ad essere stato esplicitamente smentito da uno studio pubblicato nel 2019, questa affermazione è direttamente contrastata da quanto scrivono i ricercatori: «Sono stati notati disturbi cognitivi anche nei consumatori lievi di cannabis: essi tendono a prendere decisioni più rischiose di altri e hanno più problemi con la pianificazione».

Un altro studio ha analizzato i consumatori saltuari di cannabis rilevando deficit cognitivi.

Per quanto riguarda le differenze di sesso, scrivono i neuroscienziati, «abbiamo dimostrato che, mentre i consumatori maschi di cannabis avevano una memoria più scarsa nel riconoscere visivamente le cose, le consumatrici avevano più problemi con l’attenzione e con le funzioni esecutive. Questi effetti sessuali persistevano quando si controllava l’età; il QI; l’uso di alcol e nicotina; sintomi di umore e ansia; stabilità emozionale; e comportamento impulsivo».

Nel 2021 su Neuroscience & Biobehavioral Reviews è stato certificato che l’uso di cannabis è anche associato a specifiche menomazioni nella ricompensa e nella motivazione e «l’uso di cannabis durante l’adolescenza è stato segnalato come un fattore di rischio per lo sviluppo di esperienze psicotiche e schizofrenia».

 

Nel 2021 smentita efficacia della cannabis terapeutica.

Nel marzo scorso su JAMA Network Open è stata colpita un’altra area d’azione dell’Associazione Luca Coscioni, ovvero la legalizzazione della cannabis terapeutica (utile a preparare il terreno a quella non terapeutica).

I ricercatori hanno scoperto che l’uso di prodotti a base di cannabis per trattare dolore, ansia e depressione non è riuscito a migliorare questi sintomi, raddoppiando invece il rischio di sviluppare i sintomi di dipendenza del disturbo da uso di cannabis.

 

La Rivista di Psichiatrica contro legalizzazione cannabis.

Questi sono solo alcuni motivi per cui la Rivista italiana di Psichiatria si è fortemente opposta alla liberalizzazione della cannabis.

Nel farlo ha contrastato apertamente quei movimenti che ne sponsorizzano l’uso e la legalità (tra cui l’Associazione Luca Coscioni, per l’appunto) basandosi sull’assunto «della “innocuità” della cannabis, considerata non in grado di indurre dipendenza e libera da importanti o duraturi effetti a livello somatico o psichico».

Eppure, fa notare la celebre rivista medica, «la letteratura scientifica, per chi volesse obiettivamente documentarsi sull’argomento, è vastissima e assolutamente concorde nell’indicare rischi e conseguenze psichiatriche dell’assunzione di cannabis […]. La letteratura epidemiologica che lega l’assunzione di cannabinoidi – con particolare riguardo all’età precoce, al dosaggio giornaliero e alla continuità di questa – a conseguenze di natura psichiatrica è vastissima e, fatte salve le necessarie variabilità di natura clinica, assolutamente univoca».

La redazione

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Addio alla storica Chiara Frugoni: «Ecco perché sono grata al Medioevo»

Morta la celebre medievalista italiana, Chiara Frugoni. Da non credente, una vita dedicata a San Francesco d’Assisi ed al Medioevo cristiano, di cui narrò a lungo le innovazioni contribuendo a smentire il mito dei “secoli bui”.

 
 
 

Il 9 aprile scorso ci ha lasciato Chiara Frugoni, una studiosa di prestigio.

Medievalista ed atea dall’età di 15 anni a causa di un’istruzione severissima (e poco umana) da parte di alcune suore canossiane.

Frugoni era però francescana, stimava la spiritualità di San Francesco d’Assisi.

«Sono affascinata da Francesco, come uomo oltre che come santo», disse in un’intervista a TV2000. «Mi piace vedere tutte le cose che ha pensato e proposto molto al di là del suo tempo».

 

Chiara Frugoni e il Medioevo: «Ma quali secoli bui?!»

Eccellente è anche il suo lavoro sul Medioevo, un periodo storico profondamente cristiano.

«Sono felice di aver contribuito a sfatare l’immagine di Medioevo come a un’epoca arretrata, buia, oltranzista, dogmatica»1C. Frugoni, Frugoni: “Studio San Francesco e ho portato il cilicio, ma le suore sono state la mia scuola di ateismo”, intervista a Repubblica, 19/01/04, disse nel 2014.

Lo fece, in particolare, con il suo Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali (Laterza 2001), dove in 200 pagine raccolse tutte le grandi innovazioni che i secoli medievali donarono alla storia e di cui godiamo ancora oggi, spesso senza accorgercene.

Alcuni esempi: l’università, il libro, la stampa a caratteri mobili, la carta, gli occhiali, la filigrana, le banche, i notai, le note e la scala musicale, gran parte dei vestiti, gli scacchi, il carnevale, l’anestesia, i vetri alle finestre, i camini, le posate, il mangiare seduti, i gatti domestici, la pasta, i bottoni e quindi la moda, i mulini ad acqua e a vento, l’aratro, gli ospedali, i frantoi, le segherie, l’uso del cavallo come forza motrice, la bussola, la carriola, il timone, la polvere da sparo e così via.

«Per chi come me porta gli occhiali», spiegò a TV2000 nel 2016, «porta sul naso un po’ di Medioevo». In questi secoli vi furono «una quantità tale di invenzioni che dobbiamo essere gratissimi. Purtroppo nella scuola vengono insegnati ancora tanti luoghi comuni, molto difficili da estirpare, come l’idea che fossero un’epoca di mezzo tra il Rinascimento e l’antichità classica».

Il Medioevo, disse Chiara Frugoni, «va molto di moda perché ci permette di pensare che le contraddizioni, le paure e l’irrazionalità fossero tutte lì. E’ una valvola di sfogo perché pensiamo siano esistite davvero queste cose e ci convinciamo di essere migliori. E non è affatto vero».

 

Le invenzioni del Medioevo, dalle università al cavallo

Le università, ad esempio, nacquero sotto l’ala della Chiesa e del papato e gli studenti, scrive Frugoni, ricevevano «tutto il necessario per vivere e per studiare» ed era «quasi impossibile reprimerli» in caso di scorribande «a causa dei privilegi che usufruivano: godendo automaticamente della condizione clericale, che permetteva loro di appellarsi alla giustizia ecclesiastica, sfuggivano a quella civile»2C. Frugoni, Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali, Laterza 2001, p. 45.

La Chiesa tutelava assolutamente questi atenei, «favorendo il moltiplicarsi delle università nel Medioevo» ed offrendo «molteplici occasioni di guadagno ai cittadini, che a loro volta avevano la possibilità di fare istruire i figli, avviandoli a prestigiose carriere»3C. Frugoni, Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali, Laterza 2001, p. 45.

Una delle tante innovazioni rispetto ai Romani fu l’uso del cavallo, mentre i popoli precedenti «aggiogavano» questi animali trattandoli come dei buoi, «nel Medioevo un più attento esame dell’anatomia dell’animale portò all’introduzione del collare di spalla», scrive la storica. «Il nuovo collare, introdotto nell’anno Mille e ancora in uso oggi, permette al cavallo di tirare agevolmente l’aratro senza soffocare moltiplicandone la trazione (addirittura triplicandola)»4C. Frugoni, Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali, Laterza 2001, p. 137.

 

«Grata al Medioevo, ne godiamo ancora oggi»

Nel 2014 è deceduto un altro grande storico, il celebre Jacques Le Goffe, per il quale il Medioevo cristiano fu sinonimo di «sviluppo e progresso, in tutti i campi», aggiungendo anche la concezione dell’uguaglianza della donna all’uomo.

Nell’introduzione del suo libro, la storica Chiara Frugoni scrive qualcosa di simile spiegando che la sua opera «vuole essere un omaggio al Medioevo, ai tanti miglioramenti introdotti di cui ancora oggi godiamo. Spero portino a condividere, forse con sorpresa, la mia gratitudine»5C. Frugoni, Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali, Laterza 2001, p. VI.

La redazione

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Nietzsche: «Ecco perché odio il cristianesimo»

Quale fu il giudizio di Nietzsche sul cristianesimo? Stima per Gesù ma odio profondo per la religione cristiana la quale impedisce «di vantare diritti particolari, di supremazia». La carità e l’attenzione ai più deboli furono per lui il principio opposto alla selezione naturale.

 
 
 

Già in passato ci eravamo occupati di Nietzsche e della sua viscerale intolleranza per il cristianesimo.

Ne ha parlato qualche tempo fa anche David Lloyd Dusenbury, docente alla Hebrew University of Jerusalem, riflettendo anche sulla visione nicciana di Socrate e Gesù, che il filosofo tedesco accomunò strettamente, criticando instancabile l’eredità platonico-cristiana.

 

Nietzsche e la stima per Gesù.

La morte di Cristo e quella di Socrate furono per Nietzsche «i più grandi assassinii giudiziari della storia del mondo». Mentre ritenne il secondo, Socrate, un grande dialettico «ambulante di Atene», Gesù fu «l’uomo più nobile».

Dusenbury ha commentato così queste parole: «Nietzsche è l’unico a riflettere sul fatto che che la cultura europea è stata inaugurata, anche solo simbolicamente, da questi due processi».

La psicologia di Nietzsche, scrive lo studioso, «è modellata dai testi greco-romani pre-cristiani (e anti cristiani). Questo gli impedisce di vedere il cristianesimo secondo il modello stereotipato dell’Illuminismo, cioè la fede più sanguinosa della storia umana».

 

Ecco perché Nietzsche odiava il cristianesimo.

Mentre la stima per la figura di Gesù è palpabile («questi in verità è stato un uomo divino», scrisse ne L’Anticristo), alrettanto lo è la repulsione per i Vangeli e il cristianesimo.

Nietzsche parla addirittura di «sorte funesta» diffusa dal cristianesimo. Cos’è che lo scandalizza? E’ il fatto che l’eredità cristiana impedisce che qualcuno oggi «possa avere il coraggio di vantare diritti particolari, di supremazia».

I cristiani distruggono la gerarchia tra gli uomini, essi, scrive il filosofo tedesco, sono «per un profondissimo istinto ribelli contro tutto quanto è privilegiato, egli vivono, combattono sempre per “diritti uguali”». La carità, l’attenzione ai malati, ai più deboli è insopportabile per l’autore de L’Anticristo, il cristianesimo «si volgeva a ogni specie di diseredati della vita».

Ecco le parole di Nietzsche ne L’Anticristo:

«Se si pongono gli individui come uguali si mette in questione la specie, si favorisce una prassi che mette capo alla rovina della specie; il cristianesimo è il principio opposto a quello della selezione. Se il degenerato e il malato devono avere altrettanto valore del sano, allora il corso naturale dell’evoluzione è impedito. Questo amore universale per gli uomini […] ha in realtà abbassato la forza, la responsabilità, l’alto dovere di sacrificare uomini. La specie ha bisogno del sacrificio dei falliti, deboli, degenerati; ma proprio a questi ultimi si rivolse il cristianesimo. Questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo, vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato»1Friedrich Nietzsche, L’Anticristo. Maledizione del cristianesimo, Adelphi 1977, p. 73-136.

 

Secondo David Lloyd Dusenbury saranno proprio i pensieri di Nietzsche a “difendere” il cristianesimo dagli attacchi illuministi, quando venne accusato di essere gerarchico e patriarcale. «Se avessimo ascoltato Nietzsche», conclude lo studioso, «saremmo stati più riluttanti nell’accusare» l’eredità cristiana.

La redazione

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