La Corte Usa: «tutelato chi rifiuta le nozze gay». Obama&Clinton? L’han presa bene?

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha dato ragione al pasticciere di Denver che si rifiutò di realizzare una torta per un matrimonio omosessuale. 7 giudici a favore e 2 contro, un importante precedente poiché si è ritenuto che «le obiezioni religiose e filosofiche al matrimonio gay sono idee protette e in alcuni casi forme di espressione protette».

La sentenza è una vittoria netta per i difensori della libertà religiosa poiché il pasticcere, Jack Phillips, dopo essere stato denunciato dalla coppia gay, ha fatto appello al Primo emendamento della Costituzione. dicendo: «Non voglio che la mia creatività, la mia arte, i miei talenti siano forzati per contribuire a un evento religioso che viola le mie convinzioni religiose».

L’amministrazione Trump ha difeso il ricorso del pasticcere, appoggiato dalla Alliance Defending Freedom, e ben sette giudici hanno riconosciuto il diritto di Phillips. Tra essi, due liberal, Elena Kagan, Stephen Breyer più l’indipendente Anthony Kennedy. Gli unici giudici a votare contro sono stati Ruth Bader Ginsburg, nominata da Bill Clinton, e Sonia Sotomayor, nominata da Barack Obama.

A chi vedeva come discriminante la scelta del pasticcere di offrire servizi solo per coppie non omosessuali, occorrerebbe sottoporre la scelta di numerosi locali, saune, club sportivi, villaggi turistici e centri balneari italiani (e non solo) che riservano l’ingresso soltanto a “comprovate” persone omosessuali, vietando a tutti gli altri di beneficiare dei loro servizi. Non è, allora, anch’essa una forma di discriminazione? Seconda riflessione: che la Corte Usa ammetta la legittimità filosofica di opporsi al matrimonio tra persone dello stesso sesso manda in fumo il tentativo di molti esponenti arcobaleno di delegittimare gli oppositori sostenendo che sarebbe gravemente lesivo e razzista tanto quanto rifiutare le nozze interraziali. Tuttavia, il solo fatto che non sia (giustamente) riconosciuta alcuna forma di obiezione di coscienza su quest’ultime, mentre è tutelata l’opposizione filosofica e religiosa alle unioni Lgbt, sancisce una insanabile differenza.

D’altra parte, restando in Italia, la Cassazione ha deciso nel 2015 che il divieto di nozze gay non lede alcun diritto, mentre il Consiglio di Stato ha confermato che la Costituzione italiana riconosce soltanto il matrimonio naturale. Cosa che ha già autorevolmente chiarito la Corte Costituzionale con la sentenza n.138 del 2010, definendo incostituzionale il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

La redazione

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Ed Sheeran perde coraggio e rinnega il brano sul “bambino mai nato”

Forse le pressioni sono state talmente tante che non ce l’ha fatta a restare coerente. Così, il bravo musicista Ed Sheeran ha rinnegato “Small Bump”, pur di sottrarsi da una prevedibile pioggia di fuoco mediatica dopo che il brano è diventato l’inno dei pro-life irlandesi.

«Sei solo un piccolo rigonfiamento, non ancora nato», canta in prima persona il polistrumentista britannico, raccontando la storia di un bambino mai nato, morto dopo cinque mesi di gravidanza. «Tra quattro mesi verrai messo al mondo, ti darò nient’altro che la verità perché tu sei il mio unico e solo. Le unghie della dita sono grandi come un chicco di riso e le palpebre chiuse presto saranno spalancate». E’ una dolce poesia “Small Bump”, che termina amara: «Sei solo un piccolo rigonfiamento, non ancora nato. Solo quattro mesi, poi sei stato strappato via dalla vita. Forse servivi lassù, in cielo. Ma non abbiamo ancora capito il perché».

“Strappato alla vita”, come accade ai bambini che avrebbero dovuto continuare ad essere difesi dalla legge irlandese. Per questo le note della canzone venivano suonate a Dublino dal popolo pro-life nei giorni antecedenti al referendum sull’aborto che ha visto vincere la cultura dello scarto. Pressato dai fan e dai media, Ed Sheeran non ha trovato il coraggio di sostenere la campagna pro-life e ha scritto su Instagram di non aver «dato l’approvazione per questo uso, il quale non riflette su cosa sia la canzone». Parole enigmatiche. La canzone è una canzone, il suo significato è implicito nel testo che non può improvvisamente essere rinnegato per convenienza politica o per salvaguardia del proprio benestare.

Le pressioni sono state molte, gli haters hanno preso di mira i pochi vip irlandesi contrari. Ma l’incoerenza pesa: «Scusa, Ed Sheeran», gli ha scritto una fan su Twitter. «Non puoi scrivere una canzone come “Small Bump” e poi reagire scioccato quando il movimento pro-life lo usa durante la campagna. Sapevi di correre quel rischio quando hai umanizzato i piccoli umani». Peccato. D’altra parte “il coraggio, uno non se lo può dare”.

E pensare che solo pochi mesi fa il cantautore cattolico ha avviato i lavori per costruire una cappella privata nella sua tenuta in East Anglia, dove ha intenzione di sposare la storica fidanzata. «E’ diritto di ogni persona avere un luogo di ritiro spirituale per la contemplazione e la preghiera», ha detto, «per l’osservanza religiosa, la celebrazione delle tappe fondamentali della vita, come la famiglia, i matrimoni, i battesimi e così via».

La redazione

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Lawrence Krauss accusato di violenze sessuali. Era l’ultima celebrità atea.

Il fisico americano Lawrence Krauss è uno degli ultimi astri della comunità di atei militanti. Lottando contro il fondamentalismo protestante ha detto: «Insegnare il creazionismo è abuso sui minori». A proposito di abusi, Krauss è stato da poco accusato di violenza sessuale nei confronti di una donna. La vicenda ha attirato l’attenzione sul suo comportamento inappropriato negli ultimi dieci anni.

Palpeggiamenti, molestie e battute sessiste agli studenti dell’Arizona State University. La quale lo ha sospeso e ha proibito a Krauss di rimanere nel campus per tutta la durata dell’indagine interna. Anche la American Physical Society e altre organizzazioni scientifiche hanno ritirato gli appuntamenti con il fisico, ed il Center for Inquiry, un’organizzazione che promuove la laicità, ha sospeso la sua affiliazione. Lo stesso Krauss, in seguito a tale vicenda, ha deciso di dimettersi dal consiglio del Bulletin of the Atomic Scientists.

L’attivista atea Melody Hensley, sua ammiratrice,  è la sua accusatrice. Nel 2006 Krauss l’avrebbe sessualmente assalita durante una convention nel 2006, fortunatamente la donna sarebbe riuscita a scappare. Krauss ha negato, sostenendo che fosse qualcosa di consensuale. Ma la donna ha ribadito: «E’ stato decisamente un predatore. Non volevo che ciò accadesse e non era affatto consensuale». Il fidanzato della Hensley, oggi suo marito, è testimone del fatto che quella sera la donna tornò a casa scioccata dall’evento accadutole.

Il sito web Buzzfeed ha annunciato di aver investigato sul passato di Krauss, attraverso documenti, e-mail (tra studentesse e responsabili dell’università) ed interviste a più di 50 persone, dalle quali sono emerse numerose altre accuse contro il fisico. Gran parte delle denunce arrivano dall’interno, da parte di militanti ateisti, che non avrebbero alcun interesse a scalfire ingiustamente l’attuale loro celebrità. E, a seconda di quanto si legge, sono testimonianze che vantano di conferme circostanziate da parte di altri testimoni. Se il tutto venisse appurato, diventerebbe più chiaro perché nel 2011 lo scienziato difese pubblicamente Jeffrey Epstein, un ricco finanziere condannato per aver usufruito della prostituzione di una ragazza minorenne.

Più volte ci siamo occupati dell’ateo-scientista Krauss, autore di A Universe from nothing, in cui sostiene che «la filosofia è morta, non avendo tenuto il passo degli sviluppi più recenti della scienza». Nel libro teorizza la scoperta «che tutte le evidenze suggeriscono un universo che può plausibilmente essere emerso dal nulla. In questo senso la scienza rende possibile non credere in Dio». Le tesi circa tali evidenze sono state letteralmente fatte a pezzi da filosofi (laici) del calibro di David Albert sul New York Times e Massimo Pigliucci. E, non da ultimo, dal celebre cosmologo George Ellis.

In seguito a ciò Krauss ha fatto marcia indietro dichiarando: «Non credo di aver sostenuto che la fisica ha definitivamente dimostrato come qualcosa che potrebbe venire dal nulla» (dimenticandosi forse proprio il titolo del suo libro). «Non mi interessa niente di cosa il “nulla” significa per i filosofi», ha aggiunto il fisico, «mi interessa il “nulla” della realtà. E se il “nulla” della realtà è pieno di roba, allora lo accetterò. Ma, in tutta serietà, non ho mai fatto tale affermazione. Se avessi intitolato il libro soltanto come “Un universo meraviglioso”, poche persone sarebbero state attratte fino a comprarlo». Puro marketing, dunque, per vendere più copie. Nel libro citato, Krauss mostra grande confusione di piani tra filosofia, teologia e scienza. «Ogni atomo del tuo corpo proviene da una stella esplosa, e gli atomi nella tua mano sinistra provengono probabilmente da una stella diversa dalla tua mano destra, ed è davvero una cosa poetica», ha scritto. «Non potresti essere qui se le stelle non fossero esplose. Quindi, dimentica Gesù. Le stelle sono morte perché tu potessi essere qui oggi». Lo stupro (per restare in tema) della scienza per finalità (a)teologiche.

Krauss ritiene anche che la dea scienza sarebbe il fondamento della morale, ecco cosa afferma in difesa dell’omosessualità: «Le scoperte scientifiche sulla frequenza del comportamento omosessuale in una varietà di specie ci dicono che è completamente naturale in una frazione piuttosto fissa di popolazioni e che non ha apparenti impatti evolutivi negativi. Questo sicuramente ci dice che è biologicamente fondata, non dannosa e non innatamente “sbagliata”». Anche la violenza sessuale, sempre per restare in tema con le pesanti accuse a suo carico, è frequente in molte specie, è naturale ed evolutivamente vantaggiosa. Dunque, usando il ragionamento di Krauss, non “innatamente sbagliata”. Così, a quanto pare, tutto comincia ad avere un inquietante collegamento.

La redazione

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I figli dei figli del ’68: meno rabbia, più disperazione

 
 
 
di Gianfranco Morra*
*da Italia Oggi, 18/01/18

 

L’inquietante crescita della criminalità giovanile, da Napoli a Torino, è un fenomeno complesso, dovuto a molte cause e condizioni. Essa tuttavia può essere capita meglio se riferita ad un evento, del quale quest’anno ricorre il cinquantenari: la contestazione giovanile del 1968.

In quell’anno, l’Italia viveva in un clima di ricostruzione e di benessere, raggiunti non senza duri sacrifici dall’intera popolazione. La sua morale era ancora quella tradizionale, liberale per le classi colte e cattolica per le masse popolari. Nel corso della sua storia, l’Italia non aveva mai avuto una rivoluzione culturale o sociale. Nel ’68 accolse il grido di rivolta di Parigi e Berkeley. Per la prima volta, esplose una rivoluzione, di tipo antropologico, che mirava a rifiutare il «perbenismo» della società cristiana e borghese per realizzare una convivenza fondata sul «niente proibito e tutto subito».

I partiti e i sindacati cercarono di gestirla e di servirsene, in realtà ne furono travolti. La parola d’ordine del movimento non era «creare una società più attiva ed efficiente», era di mandare «la fantasia al potere». Non fu una rivoluzione politica, ma antropologica. Freud ha battuto Marx, Prometeo è stato sconfitto da Orfeo e Narciso. E la rivoluzione fece fuori i tre vecchi e fastidiosi «padri».

Il padre fisico venne eliminato, visto che era un «padrone» o almeno un «padrino», che spadroneggiava in una famiglia repressiva e maschilista. Occorreva una «società senza padre», oramai era avvenuta la «morte della famiglia» (titoli di best-sellers dell’epoca). La politica e la legislazione si adattarono subito a questo antifamilismo, con leggi che hanno finito per distruggere, in nome del dialogo, ogni autorità familiare. Oggi nella maggioranza delle famiglie il colloquio è spento, anche perché gli strumenti social lo rendono difficile. Quella educazione che un tempo la famiglia dava, anche dove oggi non manca, si è fatta tenue e difficile. Non più comunità, la casa è diventata piuttosto un rifugio notturno.

Anche il padre culturale venne ghigliottinato: il maestro. Declassato a «compagnon» al quale si dà del tu, in una scuola ludica e fantasiosa, dove si poteva fare tutto, anche studiare. Purché non vi fossero né merito né selezione («voto di gruppo»). Era nata la scuola del pensiero «unico e vuoto»: che non trasmetteva più princìpi, valori e imperativi, ma indicava perentoriamente le cose alle quali occorreva opporsi (fascismo, razzismo, xenofobia, maschilismo, discriminazione, omofobia). Una scuola che insegnava ai giovani non ciò che dovevano, ma ciò che non dovevano essere: tu sei qualcuno fin che ti opponi possibilmente a tutto.

Il terzo padre si è estinto: «Dio è morto». La religione, la parrocchia, il catechismo facevano parte della educazione dei giovani. Dal ’68 essi scoprono come il Dio Padre fosse autoritario, maschilista e sessuofobo, aiutati in ciò da un clero in crisi di numero e di prestigio, che cerca di stare a galla assumendo e battezzando tutto l’armamentario della secolarizzazione anticristiana. Qualcuno lo attende ancora, ma Godot è scomparso senza lasciare traccia. Anche Gesù non è più Cristo, ma un Superstar che aiuta a superare le nevrosi o un Che Guevara della Palestina che lotta contro i poteri forti.

Nelle chiese non mancano i vecchi, anche se non sono più tanti, ma pochissimi sono i giovani. Il loro triangolo educativo (famiglia, scuola, religione) si è dunque dissolto nella nebulosa del tutto è possibile e niente è vietato. Senza che essi abbiano assunto i miti logorroici del politicamente corretto, che ignorano e anche deridono: l’antifascismo e la resistenza, la tolleranza e la società multietnica. Il ’68 ha veramente rivoluzionato la morale individuale e sociale. Si dirà che è accaduto dovunque. Ma altri paesi lo hanno frenato e anche cancellato. Mentre da noi è giunto, sino al culmine del 1977, alla P38. Tuttavia il terrorismo, per fortuna quasi scomparso, fu in fondo l’esito meno preoccupante della contestazione. Ben più negative le conseguenze antropologiche, ancora vive e diffusissime oggi, mezzo secolo dopo.

Di cui la delinquenza giovanile (accompagnata dalla tossicodipendenza) è una delle più gravi. La contestazione non è più «movimento», ma «istituzione», meno rabbia e più disperazione. Un riflusso, filantropico e pacifista, spompato e nichilista, non un superamento. I suoi «valori» sono immutati: individualismo, spoliticizzazione, rifiuto della famiglia e dei figli, disinteresse per il lavoro e la carriera, vita alla giornata.

Quelle che, con un termine eufemistico e giocoso, vengono chiamate «baby gang» non sono fatti casuali. Non le spiegano certo le superficiali e ciarlatanesche prediche di Saviano («tutta colpa della società»), né potranno essere combattute dalle utopie buoniste dei magistrati («non è colpa loro, non vanno puniti ma rieducati»). Magari fosse così. Nella realtà la baby gang diventa per molti l’unica socializzazione possibile dopo la distruzione della agenzie di formazione compiuta dalla contestazione. E spesso è solo un apprendistato per arrivare al diploma della grossa criminalità.

Questi giovani che feriscono e uccidono per uno smart o per un giaccone, come gli altri che, per noia, tirano i sassi sulle autostrade o bruciano i barboni, sono i figli dei figli del ’68. Minniti manderà cento uomini per controllarli. Ce ne vorrebbero centomila. Li abbiamo creati noi, dovremo tenerceli a lungo.

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«L’Inquisizione regno della tortura? Una fake news», così afferma la storica ebrea

«L’immagine dell’Inquisizione romana come regno della tortura e del male vive ormai di vita propria, finendo per assomigliare a quelle fake news di cui oggi molto si parla». Così la storica ebrea Anna Foa, docente di Storia moderna presso l’Università La Sapienza di Roma. Un’altra specialista contro la leggenda nera, cioè la falsa vulgata anticattolica creata da illuministi e protestanti.

Il mainstream mediatico, ha riflettuto la Foa, ha erroneamente ritenuto che con l’apertura degli archivi centrali dell’ex Sant’Uffizio nel 1998, la Chiesa cattolica avrebbe preso finalmente atto del presunto carattere abominevole e sanguinario dell’Inquisizione, che nell’immaginario collettivo ancora rappresenta «il braccio armato della Chiesa nei confronti dell’eresia, del libero pensiero, della libertà di coscienza. Agli occhi dei media e al cosiddetto senso comune storiografico, l’Inquisizione era il nemico per antonomasia del pensiero moderno».

Niente di tutto ciò, ovviamente. Una delusione per giornalisti ed anticlericali, non certo per gli specialisti. Anche perché, ha proseguito la storica di religione ebraica, «nel corso dei due decenni precedenti si era già avuta una vasta rivisitazione storiografica in questo campo, che era però andata, più che nella direzione di una richiesta di perdono, nel senso di una revisione della cosiddetta immagine nera dell’Inquisizione, attraverso studi che, soprattutto nei riguardi dell’Inquisizione romana, avevano piuttosto messo in discussione il numero delle sue vittime e il suo ruolo nella persecuzione». Anche recentemente sono stati pubblicati volumi storici in difesa dell’Inquisizione, completamente ignorati dai grandi giornali (con l’eccezione di Paolo Mieli, sul Corriere). Tra quelli in lingua italiana, come abbiamo riportato su UCCR: Storia dell’Inquisizione in Italia. Tribunali, eretici, censura (Carocci 2013) di Christopher Black, storico dell’Università di Glasgow; Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori e missionari dello storico laico Adriano Prosperi, della Scuola Normale di Pisa; Caccia alle streghe della storica Marina Montesano, dell’Università di Genova; L’Inquisizione in Italia, di Andrea Del Col dell’Università degli Studi di Trieste; L’inquisizione: atti del simposio internazionale, dello storico Agostino Borromeo.

Purtroppo, si è rammaricata Anna Foa, né l’apertura degli archivi, né il contributo di questi storici ha contribuito a far entrare la verità nel «saper comune e nemmeno nell’attività di divulgazione dei media, volta più al sensazionalismo che all’accuratezza dei dati. Si era così ulteriormente accentuato il divario fra gli studi scientifici e il saper comune, e assai poco delle acquisizioni più recenti della storiografia era passato a far parte dell’immagine diffusa del terribile tribunale d’Inquisizione. Basta navigare in rete, leggere i titoli degli ultimi libri apparsi, per rendersene conto. Il fenomeno appare ancora più macroscopico se si analizza la vulgata di alcuni temi particolarmente caldi sull’Inquisizione, quali la caccia alle streghe, il processo a Giordano Bruno, l’abiura di Galilei. La divaricazione tra il sapere razionale — frutto di riflessioni, di approcci storici, di analisi documentaria — e quello mitologico è ormai invalicabile».

Così, ha concluso con poca speranza la storica de La Sapienza, «si scrive e si afferma che l’Inquisizione ha fatto milioni di morti per stregoneria con la stessa sicumera con cui si afferma che i vaccini sono la causa dell’autismo. Ma avevamo davvero sperato che l’accesso agli archivi, il crescere dei materiali a disposizione degli studiosi, il loro sapere specialistico, le loro distinzioni, potessero incrinare il regno del mito, del non sapere, del pregiudizio? Ma perché avrebbe dovuto essere così? Gli ultimi vent’anni, che sono quelli passati dall’apertura degli archivi, sono anche quelli che hanno visto il crescere nella società tutta della fabbrica mitologica, l’affermarsi di strumenti molto più utili alla sua affermazione della carta e delle stesse immagini, l’abbattimento delle barriere fra il vero e il falso, fra il sapere e il non sapere, fra la realtà e la finzione. Passioni e pregiudizi prevalgono su sapere e conoscenza. Gridano più alto. Nessun archivio — dovremmo saperlo, dovremmo averlo imparato dagli eventi dei secoli passati — può avere la meglio su di essi, nessun documento può confutare un pregiudizio consolidato, mettere in crisi uno stereotipo».

Da parte nostra non siamo così pessimisti come la Foa, le -seppur poche- persone realmente interessate hanno infatti sempre più strumenti informativi per accedere a quel che gli specialisti già da tempo sanno. Già il fatto che una storica del suo calibro, appartenente ad un’altra religione (quella ebraica), abbia percepito l’ignoranza e la malafede dilagante su queste tematiche è un buon motivo per ben sperare nel futuro.

La redazione

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I missionari cristiani, un bene per il mondo: a dirlo uno studio laico

«Come ateo, cerco di fare delle scelte basate su prove e ragioni. Quindi, finché non saremo pronti a investire pesantemente nella medicina laica in l’Africa, suggerisco di lasciare che Dio faccia il suo lavoro». Così ha scritto, sul laicissimo Slate, nel 2014, l’antropologo americano Brian Palmer.

E’ la frase conclusiva di un’indagine sulla “medicina missionaria” e sui missionari cristiani, i quali «non traggono un personale profitto dal loro lavoro, sono pagati molto male, forse per nulla. Molti rischiano la vita». Essi, ha proseguito lo studioso, «sono di stanza in tutta l’Africa, negli avamposti rurali e nelle baraccopoli urbane. Invece di paracadutarsi durante le crisi, come fanno alcuni specialisti di medicina internazionale, molti di loro hanno assunto impegni a lungo termine per affrontare i problemi di salute dei poveri africani».

Così, è stato riconosciuto che «in tanti Paesi dell’Africa subsahariana la Chiesa cattolica, con le sue scuole e le sue opere sanitarie e d’assistenza, resta l’unica struttura sociale in grado di mantenere una rete istituzionale e morale a livello nazionale e internazionale. Spesso sono gli uomini della Chiesa a farsi carico della mediazione e dell’opposizione nei molteplici, talvolta sanguinosi, slittamenti verso forme di governo dittatoriali […] cercando di  far avanzare il Paese verso forme di governo meno corrotte e più credibili».

Tornando all’antropologo laico Palmer, non trattiene affatto le sue rimostranze per la mancanza di dati medici prodotti dalle organizzazioni religiose impegnate nelle zone di crisi e per l’impossibilità dei missionari di separare l’impegno religioso da quello medico. Tuttavia, ammette la positività della loro presenza, domandandosi: come possiamo però sapere se sono efficaci, se migliorano i sistemi di assistenza sanitaria a cui partecipano? A queste domande, però, aveva già risposto il sociologo Robert Woodberry, che ha lavorato sull’impatto globale dei missionari per più di quindici anni. I risultati delle sue ricerche sono state pubblicate nel 2012 su American Political Science Review, con il titolo The Missionary Roots of Liberal Democracy.

La ricercatrice Natasha Moore ha spiegato che la modellizzazione statistica e, insieme, l’approfondita analisi storica suggeriscono un solido nesso causale tra la presenza di missionari durante il periodo coloniale e la salute delle nazioni oggi. Più missionari partivano, più tempo rimanevano e migliori erano i risultati, persino dopo un secolo o due dopo. Il prof. Woodberry ha infatti rivelato: aspettativa di vita più lunga, mortalità infantile più bassa, alfabetizzazione più elevata e arruolamento educativo, più democrazia politica, minore corruzione, maggiore partecipazione civica. In molti luoghi hanno introdotto la stampa e i giornali e hanno spesso sviluppato forme di movimento sociale, mobilitando l’opinione pubblica contro lo sfruttamento coloniale e le -spesso terribili e disumane- abitudini locali

«I missionari hanno profondamente plasmato il mondo, in tutti i tipi di risultati», ha quindi affermato il sociologo. Le resistenze alle sue scoperte si sono sciolte quando ha presentato i dati ad un paper scientifico di punta nel suo campo, l’American Political Science Review, i revisori non hanno sollevato obiezioni al suo lavoro ma soltanto richiesto ulteriori prove. Alla fine, il suo articolo di 30 pagine venne supportato da 192 pagine di materiale (vincendo una serie di prestigiosi premi).

Lo scetticismo generale era prevedibile, la sua ipotesi non solo rompeva i pregiudizi di lunga data sulle missioni cristiane in quanto poco importanti e/o distruttive, ma ha suggerito che sono uno dei fattori che contribuiscono maggiormente all’ascesa della democrazia. Spesso si parla di conversioni forzate ed abusi da parte dei missionari, ha ricordato Woodberry, ma «se tali violazioni fossero state la norma, se la maggior parte dei missionari si fossero comportati così, il loro impatto complessivo misurabile non sarebbe così positivo».

La missione è un impegno centrale del cristianesimo, ma non per sterile filantropia o proselitismo. Nasce invece da una reale preoccupazione per il destino del mondo. Come ha ricordato Benedetto XVI: «Essere missionari è chinarsi, come il buon Samaritano, sulle necessità di tutti, specialmente dei più poveri e bisognosi, perché chi ama con il cuore di Cristo non cerca il proprio interesse, ma unicamente la gloria del Padre e il bene del prossimo. Sta qui il segreto della fecondità apostolica dell’azione missionaria, che travalica le frontiere e le culture, raggiunge i popoli e si diffonde fino agli estremi confini del mondo».

La redazione

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Chi è Paolo Berizzi, l’hater del ministro Fontana

Paolo Berizzi, RepubblicaPaolo Berizzi, giornalista di Repubblica, attacca il ministro Fontana reo di essere nato a Verona, città che Berizzi considera nazista e fascista.

 

«Le notizie pubblicate da Paolo Berizzi sono false». Così ha concluso l’Ordine dei giornalisti quando lo scribacchino di Repubblica inventò la storia di un alunno che aveva fatto il saluto nazista. Lo stesso Berizzi è l’hater che sta accusando il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, di essere nazista poiché tifa l’Hellas Verona, «la “squadra a forma di svastica” – come cantano gli ultrà pro-Hitler della curva Sud dove il neoministro è presenza fissa».

 

Paolo Berizzi contro Fontana: “veronese e cattolico!”

Il vero problema è il sospetto che Fontana sia l’unico ministro che negli ultimi trent’anni pare voglia seriamente occuparsi di politiche familiari. Inaccettabile per Repubblica. Così l’informativa raggiunge il kompagno Berizzi che si attiva spulciando la vita privata del nemico, scoprendo che è “veronese e cattolico”! E’ questa l’accusa che gli rinfaccia continuamente, traendo l’ovvia conclusione: è un “naziofascista!!”.

Come da copione, il neoministro è attualmente sotto il tiro anche del mondo Lgbt, dopo aver osato affermare che «per la legge in questo momento non esistono Famiglie arcobaleno» e che «i bambini hanno bisogno di una mamma e di un papà». Uh, scandaloso! Eppure, se si legge l’intervista incriminata, Fontana ha un unico nemico: la crisi demografica. Per questo intende «abbassare l’Iva per tutti i prodotti che riguardano l’infanzia» e «mettere in atto anche delle politiche per cercare di ridurre il numero degli aborti, potenziare i consultori così di cercare di dissuadere le donne dall’abortire». Ovvero, finalmente l’applicazione integrale della legge 194.

Contro-intervistato da Repubblica, appena sopra la solita sfilza di dichiarazioni al vetriolo dell’associazionismo arcobaleno, Fontana si è difeso: «sulle unioni civili non è stato previsto nulla sul contratto tra Lega e M5s, è una polemica strumentale, tanto che c’è chi mi ha criticato anche perché vengo da Verona e nel calcio tifo Hellas. Evidentemente a qualcuno dà fastidio se uno è cattolico, mi sembra che sia un marchio di vergogna. Ma siamo in Italia, non in Arabia Saudita».

Si ritorna così a Berizzi e alla macchina del fango di Repubblica. Ma il modus operandi è stato ben smascherato dall’Ordine dei giornalisti che lo ha condannato per violazione del delle norme deontologiche e per non aver rispettato la «verità sostanziale dei fatti, i doveri di lealtà e buona fede». E i fascisti, questa volta quelli veri, hanno esultato.

La redazione

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Portogallo: i comunisti si alleano ai cattolici e respingono l’eutanasia

Vittoria di misura in Portogallo, dove i comunisti si sono alleati al mondo cattolico per respingere le quattro proposte di depenalizzazione dell’eutanasia avanzate dai partiti della sinistra (che appoggiano il governo).

Il Partido Comunista Português (Pcp), infatti, secondo le parole del deputato Antonio Filipe ritiene che «non si possa affrontare la vita umana in funzione della sua utilità, degli interessi economici o di discutibili modelli di dignità sociale». Questa ferma posizione del mondo comunista, ha dichiarato mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, «mi ha lasciato a bocca aperta: dimostrazione che la prerogativa della difesa della vita non appartiene solo ad una parte politica o di fede».

In ogni caso, il presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa, aveva annunciato, in caso di voto favorevole del Parlamento, il suo veto per fermare la cosiddetta morte dolce. L’arcivescovo di Lisbona, Manuel Clemente, durante una delle tante veglie e manifestazioni pacifiche organizzate dalle comunità delle differenti fedi cristiane, aveva invitato i deputati «a tener conto del fatto che la società si è espressa insistentemente per il no alla legalizzazione dell’eutanasia».

Quella portoghese è la giusta strada che i cattolici devono percorrere sui temi etici: la convergenza e l’alleanza con realtà a loro distanti, basandosi su ragioni ed argomenti laici. Lo abbiamo fatto nel nostro piccolo, pubblicando un elenco di 10 ragioni laiche, per l’appunto, contro l’eutanasia. Condivisibili da credenti e non. La bontà di questo approccio si è reso evidente anche in Italia quando gruppi importanti di femministe radicali ed attiviste lesbiche si sono unite al mondo cattolico per respingere l’accettazione sociale dell’utero in affitto.

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Donne prete: “no” definitivo del Vaticano, delusione per Sandro Magister

Per l’ennesima volta, arriva il “no” definitivo da parte della Santa Sede all’ordinazione femminile.

Papa Francesco lo ha ribadito diverse volte, ma oggi è il suo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, card. Luis Ladaria, ad affermarlo. Amareggiato il vaticanista antibergogliano Sandro Magister, per il quale invece ordinare le donne «è del tutto conforme alla grande tradizione della Chiesa».

Ladaria, fresco di nomina cardinalizia, è partito dal giudizio espresso da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, del 22 maggio 1994, scrivendo: «desta seria preoccupazione veder sorgere ancora in alcuni paesi delle voci che mettono in dubbio la definitività di questa dottrina». Chiarendo che «Cristo ha voluto conferire questo sacramento ai dodici apostoli, tutti uomini, che, a loro volta, lo hanno comunicato ad altri uomini», ha quindi aggiunto che «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa». La differenza di funzioni tra l’uomo e la donna, tuttavia, «non porta con sé nessuna subordinazione, ma un arricchimento mutuo». Al centro della Chiesa c’è Maria, «la quale non ha ricevuto il ministero apostolico». Eppure è a Colei che tutti si affidano.

E’ dunque un ordinamento dottrinale e non disciplinare, e non importa che Papa Wojtyla non abbia parlato ex-cathedra, seppur si sia pronunciato dopo aver interpellato i presidenti delle Conferenze episcopali. «L’infallibilità», ha infatti spiegato il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, «non riguarda solo pronunciamenti solenni di un Concilio o del Sommo Pontefice quando parla “ex cathedraˮ, ma anche l’insegnamento ordinario e universale dei vescovi sparsi per il mondo, quando propongono, in comunione tra loro e con il Papa, la dottrina cattolica da tenersi definitivamente».

Il card. Ladaria ha evidenziato come anche Papa Francesco «nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium, ha riaffermato che non si pone in discussione “il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo sposo che si consegna nell’eucaristiaˮ, e ha invitato a non interpretare questa dottrina come espressione di potere, ma di servizio, in modo che si percepisca meglio l’uguale dignità di uomini e donne nell’unico corpo di Cristo».

Il vaticanista dell’EspressoSandro Magister, che oggi gioca all’essere leader della corrente antibergogliana, è tra coloro che hanno sempre tentato di riaprire la questione, cercando di negare il carattere infallibile della chiusura del Papa polacco. «Papa Karol Wojtyla ce l’ha messa tutta per chiudere una volta per sempre la questione delle donne prete», ha scritto ironico Magister diversi anni fa, «Il guaio, per lui, è che c’è chi lo prende in parola. Col risultato che lo spiraglio si spalanca. E la questione ridiventa di nuovo aperta, apertissima». Per Magister, infatti, sarebbe «del tutto conforme alla grande tradizione della Chiesa il conferimento alle donne dell’ordine sacro».

Il prefetto Ladaria ha anche mandato in fumo le profezie catastrofiste dei portavoce della galassia tradizionalista, che da anni annunciano la distruzione dell’ordinazione sacerdotale da parte dell’odiato Papa Bergoglio, proprio avvalendosi della bufala dell’introduzione delle donne prete.

La redazione

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“Universo enorme è spreco divino”. Risponde l’astrofisico Hugh Ross

Prima dell’invenzione del telescopio, alcuni consideravano il cosmo troppo piccolo ed insignificante per essere l’opera di un Creatore. Solo un cosmo infinito, dicevano, si adatterebbe ad una divinità infinita. Oggi conosciamo la grandezza dell’Universo, eppure alcuni sostengono che sia un argomento contro l’opera di un Creatore.

Nel suo libro God: The Failed Hypothesis, il fisico Victor Stenger si lamenta infatti: «Se Dio ha creato l’universo come un posto speciale per l’umanità, sembra aver sprecato una quantità enorme di spazio». L’universo contiene infatti circa 200 miliardi di galassie di grandi e medie dimensioni e cento volte più galassie nane e le stelle si stima che ammontino a circa 50 miliardi di trilioni.

L’astrofisico Hugh Ross, docente presso l’Università di Toronto (Canada), ha però spiegato che «coloro che non hanno avuto il privilegio di studiare astrofisica potrebbero non rendersi conto che l’universo deve essere tanto enorme per permettere la vita umana, o qualsiasi altra vita, al suo interno». Le ragioni sono almeno due. La prima riguarda la produzione di elementi essenziali per la vita, mentre la seconda la velocità di espansione.

Il modello del Big bang, che vanta oggi una forte plausibilità nel mondo scientifico, ci dice che al momento della creazione cosmica l’Universo era infinitamente caldo e compresso e la sua materia esisteva sotto forma di idrogeno. Espandendosi si raffreddava e la velocità di espansione dipendeva dalla sua massa. Senza addentrarsi in spiegazioni complesse, basta comprendere che se la densità di massa cosmica fosse stata di poco inferiore, la fusione nucleare dell’idrogeno primordiale non avrebbe funzionato e non si sarebbero mai prodotti elementi essenziali alla vita, come carbonio, azoto, ossigeno ecc. Se, invece, fosse stata di poco superiore tutto l’idrogeno sarebbe stato rapidamente fuso in elementi non utili. Così, Ross ha commentato: «Date le leggi della fisica in base alle quali opera l’universo, la massa cosmica non doveva essere diversa da quello che osservano esattamente gli astronomi, altrimenti non saremmo qui ad osservarla e a discuterne. Un universo più grande o meno grande non avrebbe permesso l’esistenza della vita fisica». Dunque, ritorna la sensazione di una sintonizzazione fine in direzione della vita intelligente.

La seconda ragione per cui l’Universo avrebbe dovuto avere la dimensione che ha, è legata all’espansione cosmica. Essa, come già scritto, dipende dalla densità di massa: data la legge di gravità, una densità di massa inferiore avrebbe reso troppo rapida l’espansione, impedendo il formarsi di stelle e pianeti. Con una densità di massa superiore, invece, tutte le stelle sarebbero state enormi (o trasformate in buchi neri) ed i pianeti in orbita completamente inadatti alla vita umana. La morale che se ne può trarre è che la vita fisica non può esistere in un universo con una densità di massa minore o maggiore del valore che osserviamo nel cosmo.

Entrando in campo filosofico e teologico, così come vi entra chi nega Dio a partire dalla dimensione dell’Universo, l’astrofisico canadese arriva addirittura a ribaltare i piani e formulare un ragionamento molto semplice: «Data questa situazione, qualcuno potrebbe obiettare che la pura coincidenza spiega la densità di massa “giusta” dell’universo. Eppure, gli scienziati osservano che la massa dell’universo è finemente sintonizzata per produrre l’adeguata abbondanza e diversità di elementi essenziali per la vita e che la densità di massa è fissata con precisione per consentire il giusto tasso di espansione per tutta la storia cosmica, così che stelle e pianeti si formino nei momenti giusti e nei luoghi giusti per la vita. La combinazione di queste improbabilità astronomiche sfida chiaramente qualsiasi spiegazione diversa dall’intenzionalità trascendente».

Ovvero, c’è un tale «perfezionamento cosmico» che si spiegherebbe solo presupponendo un’intenzione e non una coincidenza. Oltre non è prudente andare, se non apprezzando quanto ha scritto Alfio Quarteroni, ordinario di Matematica presso l’Università del Minnesota: «Per chi ha fede, il Dio creatore non può esimersi dall’essere anche un matematico. Il più grande di tutti, naturalmente. Perché ha risolto il più complesso problema inverso che mai sia stato posto: determinare le condizioni iniziali giuste (al tempo zero, quello della creazione) affinché il sistema dinamico dell’evoluzione dell’universo arrivasse a oggi a possedere questa meravigliosa grandezza».

La redazione

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