Due fiumi dichiarati “esseri umani viventi”: follie del relativismo
Viviamo in tempi affascinanti, da un lato, e surreali dall’altro. In un’epoca in cui moltissimi esseri umani ancora non hanno accesso ai diritti umani ed in cui famosi bioeticisti vorrebbero togliere il diritto alla vita a bambini non nati, appena nati e disabili cognitivi, due fiumi sono stati dichiarati “persone” giuridiche dotate di diritti umani.
In Nuova Zelanda, al fiume Whanganui sono stati concessi gli stessi diritti legali di un essere umano poiché semplicemente la tribù Maori considera il fiume un suo “antenato” ed un “parente”. Allo stesso tempo, la corte indiana ha dichiarato il fiume Gange e il suo principale affluente, la Yamuna, “esseri umani viventi”, considerati sacri nella fede indù. E’ stato deliberato che non si tratta più di correnti d’acqua, ma «entità legali e viventi aventi lo status di una persona giuridica con tutti i diritti, doveri e responsabilità corrispondenti».
Ma secondo quale criterio si può affermare che un fiume ha precisi “doveri e responsabilità”? E quali diritti? Sorgeranno crisi esistenziali quando, per esempio, si dovrà costruire una diga per impedire allagamenti mortali: si lederanno i diritti umani d’esistenza del fiume per preservare i diritti umani d’esistenza della popolazione locale. Aprire le porte dei tribunali agli ambientalisti radicali ci porterà ad affrontare miriadi di cause legali quando vorranno difendere i diritti umani dei loro clienti animali, vegetali, fiumi, montagne, prati, insetti e microorganismi. Ma non serve stravolgere il diritto per difendere i fiumi, l’ambiente e la creazione, sono idee autodistruttive che trovano consenso dopo la proliferazione di nuovi diritti, legata al progressivo relativismo sociale.
Lo ha spiegato bene Pietro Barcellona, l’ex marxista docente di Filosofia del diritto presso l’Università di Catania: «la mancanza di ogni fondamento metafisico e di ogni legittimità trascendente rende l’ordine giuridico contingente e artificiale, privo di qualsiasi riferimento a un ordine naturale comunque riconducibile all’armonia del cosmo. Ogni comando è per sua natura arbitrario, senza giustificazione, né misura. Consumata definitivamente l’idea di fare affidamento su una qualche verità eterna e immutabile, su una qualche ragione universale, non resta che affidarsi alla labile contingenza degli accordi contrattuali e dei patti sociali, con i quali i singoli individui decidono di fissare un argine ai loro illimitati desideri» (Il declino dello Stato. Riflessioni di fine secolo sulla crisi del progetto moderno, Dedalo 1998).
Senza una verità assoluta ed oggettiva da difendere, rimane la dittatura del desiderio: voglio, perciò è un mio diritto. Eppure, il fondamento della legge è dipendente dalla capacità della ragione umana di cogliere ciò che è vero (giusto) e ciò che è falso (sbagliato), abilità pesantemente compromessa a causa delle totalitarie sovrastrutture ideologiche in cui siamo immersi. Ha scritto la filosofa Hannah Arendt: «il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più» (Le origini del totalitarismo, Einaudi 2004).
La redazione