Michelle Obama e la sua autobiografia: ammette che i non nati sono bambini
L’autobiografia di Michelle Obama: “Becoming. La mia storia”. L’ex first lady racconta della sua gravidanza e riconosce la personalità della bambina non ancora nata, minando la concezione della vita rappresentata e promossa dalla politica abortista del marito Barack. Il quale, rivela Michelle, «mi ha lasciato sola a manipolare il mio sistema riproduttivo».
Dallo scorso mese chiunque sia entrato in una libreria non ha potuto non notare, sponsorizzato più di altri, il libro di Michelle Obama, intitolato Becoming. La mia storia (Garzanti 2018).
Un bestseller negli Stati Uniti che nelle prime settimane ha venduto oltre un milione di copie. Seppur l’ex first lady racconti del suo periodo alla Casa Bianca, seppur lei lo abbia negato, per molti opinionisti altro non sarebbe che l’iniziale discesa in campo politico di una donna che ha raccolto molti consensi (più del marito), futura avversaria del travolgente Donald Trump.
Uno dei paragrafi più interessanti di questa autobiografia, caratterizzata da intensi toni femministi e progressisti, è l’esperienza della seconda gravidanza della signora Obama, descritta come «il mio più grande privilegio, il dono di essere una donna».
Sorprendentemente, Michelle Obama descrive la bambina non ancora nata in questo modo:
«Avevamo le nostre vite esteriori, ma ora qualcosa stava accadendo all’interno, una bambina cresceva, una bebè […] questa piccola vita nascente che ora mi dava una gomitata e ora premeva la mia vescica con il suo tallone. Non ero mai sola né mi sentivo sola. Lei era lì, sempre, mentre io andavo al lavoro in macchina o tagliavo le verdure per fare un’insalata, o stavo sdraiata di notte a letto, leggendo, per l’ennesima volta, il libro “What to Expect When You’re Expecting”».
C’è dunque un chiaro riconoscimento che i bambini non (ancora) nati sono proprio quello che gli attivisti pro-aborto, ampiamente sostenuti dall’ex first lady, non vogliono riconoscere: dei bambini! Quell’essere umano che Michelle Obama racconta è una “lei”, seppur sia ancora all’interno del periodo in cui la legge statunitense permette l’interruzione di gravidanza. E’ impossibile non percepire il contrasto tra le affermazioni della signora Obama e la politica, sua e di suo marito, a favore del “diritto” a porre fine alla vita nascente.
Barack Obama è forse stato il presidente più favorevole all’aborto nella storia degli Stati Uniti, ha allegramente ricompensato le lobby Lgbt e pro-choice che hanno finanziato la sua campagna elettorale (come NARAL Pro-Choice America, Planned Parenthood ecc.). La stessa Michelle Obama, nelle sue apparizioni pubbliche, si è sempre mostrata favorevole all’aborto libero, alla “libertà di scelta delle donne” giustificandosi con il fatto che il governo non «dovrebbe interferire sul fatto che una donna accetti o meno la sacra responsabilità della maternità». Un’enorme bugia perché l’attuale legge statunitense (come tutte le leggi a favore dell’interruzione di gravidanza) non ammette l’aborto libero ma prevede un limite massimo in cui concedere l’interruzione di gravidanza, oltre il quale lo Stato già interferisce, obbligando di fatto la donna a partorire.
Così, leggendo l’autobiografia della signora Obama, si rileva che l’unico modo per rifiutare questa “sacra responsabilità della maternità” sarebbe eliminare il bambino che vive nel grembo materno, lo stesso di cui Michelle racconta e descrive come una persona, una figlia, un “privilegio dell’esser donna”. Così, se ne deduce, se la madre accetta il bambino esso si “trasforma” in un figlio, in caso contrario si tratta solamente di un grumo di cellule di cui liberarsi.
C’è un’altra rivelazione dell’ex first lady che mette molta tristezza. E’ quando Michelle racconta che dopo l’aborto naturale, le due figlie sono state concepite mediante fecondazione in vitro, una tecnica che di solito comporta la rimozione di una moltitudine di embrioni in soprannumero. Il suo «dolce, attento marito», si legge nell’autobiografia, era impegnato in politica ma ciò è stato un bene perché «mi ha lasciato in gran parte da sola a manipolare il mio sistema riproduttivo». Agli occhi di persone normali si tratta, da parte di Barack, di un disinteresse verso sua moglie, abbandonata a se stessa, mentre Michelle usa parole di gratitudine per questo, imbevuta del motto femminista “l’utero è mio e decido io”, dove l’inutile maschio è relegato a collaboratore iniziale o, come nel caso della fecondazione artificiale, ad un inutile e superflua presenza.
Mentre il racconto della gravidanza mina sostanzialmente gli argomenti “pro-choice” sulla “non personalità dell’embrione”, queste ultime fredde e disumane parole di Michelle Obama rappresentano perfettamente la concezione della vita e della famiglia che gli Obama -e i Clinton, prima di loro- hanno tentato (riuscendoci) di diffondere negli Stati Uniti e, quindi, nel mondo. Se la si legge con questo sguardo, l’autobiografia della signora Obama può risultare effettivamente interessante e formativa.
La redazione