Michelle Obama e la sua autobiografia: ammette che i non nati sono bambini

L’autobiografia di Michelle Obama: “Becoming. La mia storia”. L’ex first lady racconta della sua gravidanza e riconosce la personalità della bambina non ancora nata, minando la concezione della vita rappresentata e promossa dalla politica abortista del marito Barack. Il quale, rivela Michelle, «mi ha lasciato sola a manipolare il mio sistema riproduttivo».

 

Dallo scorso mese chiunque sia entrato in una libreria non ha potuto non notare, sponsorizzato più di altri, il libro di Michelle Obama, intitolato Becoming. La mia storia (Garzanti 2018).

Un bestseller negli Stati Uniti che nelle prime settimane ha venduto oltre un milione di copie. Seppur l’ex first lady racconti del suo periodo alla Casa Bianca, seppur lei lo abbia negato, per molti opinionisti altro non sarebbe che l’iniziale discesa in campo politico di una donna che ha raccolto molti consensi (più del marito), futura avversaria del travolgente Donald Trump.

Uno dei paragrafi più interessanti di questa autobiografia, caratterizzata da intensi toni femministi e progressisti, è l’esperienza della seconda gravidanza della signora Obama, descritta come «il mio più grande privilegio, il dono di essere una donna».

Sorprendentemente, Michelle Obama descrive la bambina non ancora nata in questo modo:

«Avevamo le nostre vite esteriori, ma ora qualcosa stava accadendo all’interno, una bambina cresceva, una bebè […] questa piccola vita nascente che ora mi dava una gomitata e ora premeva la mia vescica con il suo tallone. Non ero mai sola né mi sentivo sola. Lei era lì, sempre, mentre io andavo al lavoro in macchina o tagliavo le verdure per fare un’insalata, o stavo sdraiata di notte a letto, leggendo, per l’ennesima volta, il libro “What to Expect When You’re Expecting”».

C’è dunque un chiaro riconoscimento che i bambini non (ancora) nati sono proprio quello che gli attivisti pro-aborto, ampiamente sostenuti dall’ex first lady, non vogliono riconoscere: dei bambini! Quell’essere umano che Michelle Obama racconta è una “lei”, seppur sia ancora all’interno del periodo in cui la legge statunitense permette l’interruzione di gravidanza. E’ impossibile non percepire il contrasto tra le affermazioni della signora Obama e la politica, sua e di suo marito, a favore del “diritto” a porre fine alla vita nascente.

Barack Obama è forse stato il presidente più favorevole all’aborto nella storia degli Stati Uniti, ha allegramente ricompensato le lobby Lgbt e pro-choice che hanno finanziato la sua campagna elettorale (come NARAL Pro-Choice America, Planned Parenthood ecc.). La stessa Michelle Obama, nelle sue apparizioni pubbliche, si è sempre mostrata favorevole all’aborto libero, alla “libertà di scelta delle donne” giustificandosi con il fatto che il governo non «dovrebbe interferire sul fatto che una donna accetti o meno la sacra responsabilità della maternità». Un’enorme bugia perché l’attuale legge statunitense (come tutte le leggi a favore dell’interruzione di gravidanza) non ammette l’aborto libero ma prevede un limite massimo in cui concedere l’interruzione di gravidanza, oltre il quale lo Stato già interferisce, obbligando di fatto la donna a partorire.

Così, leggendo l’autobiografia della signora Obama, si rileva che l’unico modo per rifiutare questa “sacra responsabilità della maternità” sarebbe eliminare il bambino che vive nel grembo materno, lo stesso di cui Michelle racconta e descrive come una persona, una figlia, un “privilegio dell’esser donna”. Così, se ne deduce, se la madre accetta il bambino esso si “trasforma” in un figlio, in caso contrario si tratta solamente di un grumo di cellule di cui liberarsi.

C’è un’altra rivelazione dell’ex first lady che mette molta tristezza. E’ quando Michelle racconta che dopo l’aborto naturale, le due figlie sono state concepite mediante fecondazione in vitro, una tecnica che di solito comporta la rimozione di una moltitudine di embrioni in soprannumero. Il suo «dolce, attento marito», si legge nell’autobiografia, era impegnato in politica ma ciò è stato un bene perché «mi ha lasciato in gran parte da sola a manipolare il mio sistema riproduttivo». Agli occhi di persone normali si tratta, da parte di Barack, di un disinteresse verso sua moglie, abbandonata a se stessa, mentre Michelle usa parole di gratitudine per questo, imbevuta del motto femminista “l’utero è mio e decido io”, dove l’inutile maschio è relegato a collaboratore iniziale o, come nel caso della fecondazione artificiale, ad un inutile e superflua presenza.

Mentre il racconto della gravidanza mina sostanzialmente gli argomenti “pro-choice” sulla “non personalità dell’embrione”, queste ultime fredde e disumane parole di Michelle Obama rappresentano perfettamente la concezione della vita e della famiglia che gli Obama -e i Clinton, prima di loro- hanno tentato (riuscendoci) di diffondere negli Stati Uniti e, quindi, nel mondo. Se la si legge con questo sguardo, l’autobiografia della signora Obama può risultare effettivamente interessante e formativa.

La redazione

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«Amare la Tradizione significa unità con il Papa». La FSSP si distanzia dalla Fraternità San Pio X

Fraternità San Pio X. Il nuovo superiore generale, don Davide Pagliarani ha respinto l’unità con la Chiesa in nome degli “errori conciliari”, ma la Fraternità Sacerdotale di San Pietro (FSSP) ne ha preso le distanze.

 

«Non c’è possibilità di andare in Paradiso senza essere uniti al Papa». Così ha affermato padre Andrzej Komorowski, il Superiore Generale recentemente eletto della Fraternità Sacerdotale di San Pietro (FSSP). E’ una Società di vita apostolica di diritto pontificio che mantiene la celebrazione della Messa tridentina e intende far capire che seguire la Tradizione non significa essere “tradizionalisti” e, men che meno, può autorizzare a staccarsi dall’unità con la Chiesa.

Le parole di padre Andrzej sono importanti in quanto manifestano la netta presa di distanze della FSSP da quella frangia tradizionalista che accarezza lo scisma dal cattolicesimo e combatte apertamente Papa Francesco. I leader di questa cordata sono i membri della Fraternità San Pio X (SSPX), della quale è stato eletto da poco il nuovo Superiore generale, don Davide Pagliarani. Una scelta poco saggia, tanto che il nuovo Superiore ha subito annullato tutti i passi di riavvicinamento compiuti in questi anni con la Santa Sede, respingendo il braccio teso della Congregazione per la Dottrina della fede in nome degli “errori dottrinali” commessi dalla Chiesa di Roma dopo il Concilio Vaticano II.

Se dunque don Pagliarani, nelle vesti di Martin Lutero, vorrebbe riformare la Chiesa correggendo gli “errori conciliari”, dall’altra parte è giunta la voce della Fraternità Sacerdotale di San Pietro: «Il Papa è il volto visibile del nostro Signore. L’unità con lui è molto importante se vuoi essere nella Chiesa. C’è una sola chiesa fondata dal Signore e il Papa è il Suo vicario visibile». Così, di fatto, il “tradizionalista” padre Andrzej Komorowski ha risposto alla tradizionalista Fraternità San Pio X nel modo più cattolico che ci potrebbe essere. Anche se, ha precisato padre Gerstle, membro della Fraternità, «non mi piace affatto il termine “tradizionalista”. Noi non siamo “tradizionalisti” ma semplicemente cattolici. E come cattolici apprezziamo la Tradizione».

Padre Komorowski ha ricordato anche che «questo non significa che l’esercizio dell’autorità papale sia sempre giusto, ma non è un motivo o una giustificazione per fare ciò che si vuole», ha proseguito il Superiore Generale della FSSP. La quale, oltretutto, ha origine proprio nella Fraternità San Pio X, fondata dall’arcivescovo Marcel Lefebvre, sospeso a divinis da Paolo VI e caduto nel sedevacantismo. I membri fondatori della FSSP si sono separati da Lefebvre dopo che ordinò quattro vescovi nel 1988, contro la volontà di Giovanni Paolo II, evento che portò alla sua scomunica (nel 2009 Benedetto XVI revocò la scomunica dei quattro vescovi).

Negli ultimi 30 anni, la FSSP ha creato un seminario nel Nebraska ed uno in Germania, mentre la sua Casa generalizia è a Friburgo. E’ riuscita a formare una comunità in unità con il Pontefice, mantenendo legittimamente la liturgia tridentina. «Prego molto per i miei vecchi, buoni amici della FSSPX perché si uniscano alla Chiesa», ha detto padre Joseph Bisig, co-fondatore della FSSP, «devono entrare senza porre condizioni, accettando l’autorità del magistero vivente».

In Francia, ne parlavamo qualche tempo fa, sono aumentati i seminaristi della Fraternità Sacerdotale di San Pietro, la quale insegna che l’amore e la fedeltà per la Tradizione (la traditio fidei) la si vive soltanto nell’umile adesione alla Santa Madre Chiesa (senza porre condizioni, come spiega padre Bisig) e non alla propria personale, relativista ed egoistica interpretazione dei contenuti del depositum fidei.

La redazione

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Henry Sire, chi è il folle tradizionalista autore de “Il Papa dittatore”?

Henry Sire e il “Papa dittatore”. Un tradizionalista nemico di Papa Francesco a cui ha dedicato un libro pieno di ingiurie, è convinto che il Vaticano sia un’associazione massonica e che la CIA abbia fatto crollare le Torri gemelle, rifiuta tutti i Papi dopo Paolo VI. L’Ordine di Malta lo ha appena espulso.

 

«Nessun sacerdote deve usare il Messale di Paolo VI per le celebrazioni e l’unica liturgia che ha diritto universale nella Chiesa latina è quella decretata da Papa San Pio V». Ne è convinto il sedicente storico Henry Sire, autore de Il Papa Dittatore, lo scritto diffuso su Amazon (sotto il falso nome Marcantonio Colonna) che supporta e divulga il classico elenco di ingiurie ed accuse verso Papa Francesco.

Pochi giorni fa, l’Ordine di Malta, a cui Sire apparteneva, lo ha espulso dopo che una commissione disciplinare interna ha ritenuto diffamanti le sue sparate contro il Papa: «il suo comportamento è gravemente incompatibile con l’appartenenza all’ordine». Nel decreto di espulsione si riporta anche la legittimità di commentare criticamente le azioni dei pastori, a patto che si mostri rispetto e si stia attenti al «vantaggio comune e alla dignità delle persone». Invece, quello di Sire (e di tanti altri) è semplicemente un martellante sfogo dovuto ad una profonda crisi esistenziale. Sire ha risposto con gli avvocati e la vicenda si trascinerà nella vanità del nulla. Gli unici in sua difesa sono stati Roberto De Mattei ed il blogger Marco Tosatti, il suoi alter ego italiani.

Ma chi è Henry Sire? Condivide alcuni tratti comuni dei militanti “cattolici” anti-Chiesa: l’avversione al Concilio Vaticano II, la venerazione per Marcel Lefebvre, l’inclinazione al complottismo, l’adesione al creazionismo biblico, l’ossessione per la massoneria e gli ebrei (con picchi di vero antisemitismo), l’orientamento politico verso l’estrema destra, la repulsione del novus ordo missae,, la difesa della “razza” bianca, l’atteggiamento disfattista e disperato sulle sorti della Chiesa. All’estero, Sire, è ben conosciuto dai cattolici e molti stanno ripresentando i suoi interventi pubblici prima della pubblicazione del suo testo. La morte di Papa Luciani, scriveva ad esempio Sire, sarebbe legata ai «cardinali curiali (nei loro grembiuli massonici) che si aggiravano con fiale di veleno mortale nella notte in cui egli morì». E, poche righe più sotto del suo libro Phoenix from the Ashes (Angelic Press 2015): «Beh, non vorrei finire come il vescovo Williamson per spiegare alla gente che è stata la CIA a far esplodere le torri gemelle. Ma, d’altra parte, dicono che la razza continentale dei massoni è più letale degli inglesi stessi».

I maggiori interessi di Sire, prima dell’attuale pontefice, sono state le presunte irregolarità canoniche implicate nel processo del vescovo Lefebvre e la guerra al Concilio Vaticano II. Di quest’ultimo scrive: «l’eresia esplicita è stata introdotta attraverso i documenti del Concilio II. La Gaudium et Spes, anche se libera da una manifesta eresia, è un documento deplorevole, pervaso dai moderni standard materialistici» (p. 203). «Oggi abbiamo la prova della posizione eretica in cui il Concilio ha attirato la Chiesa» (p. 207). A pagina 286 se la prende invece con la riforma della liturgia cattolica: «Dobbiamo chiarire che nel tentativo di eliminare la tradizionale liturgia della Chiesa, Papa Paolo VI e le gerarchie del mondo dopo di lui hanno seguito una politica di completa illegalità. L’intera riforma liturgica è immersa nell’illegittimità e nell’illegalità dall’inizio alla fine».

Lo storico tradizionalista arriva anche a scrivere: «La Chiesa dovrebbe tornare alla legalità. Nessun sacerdote deve usare il Messale di Paolo VI per le celebrazioni e l’unica liturgia che ha diritto universale nella Chiesa latina è quella decretata da Papa San Pio V» (p. 286). A pagina 323 definisce “invalide” tutte le ordinazioni sacerdotali avvenute secondo il rito liturgico introdotto da Paolo VI. Oltre a quest’ultimo e a Francesco, l’autore de Il Papa dittatore” non risparmia insulti nemmeno a Giovanni Paolo II: «La peggiore enormità del movimento ecumenico si trova nella perversione introdotta da Giovanni Paolo II, che ha trasformato l’ecumenismo in una convergenza generale delle religioni mondiali» (p. 383)

Quel che si vuol far passare come uno storico sopraffino che, per amore della Chiesa e della verità pubblica la sua protesta di coscienza al Papa per salvare la Chiesa dalla sua imminente rovina, altro non è che un «classico esempio da manuale di un reazionario cattolico radicale», ha scritto l’apologista cattolico Dave Armstrong. Henry Sire, «giusto per stabilire oltre ogni dubbio il suo essere un fanatico estremista, mette in discussione la validità di molte migliaia di ordinazioni sacerdotali e della canonizzazione di Papa Giovanni Paolo II». Ciò dimostra, prosegue Armstrong, «che i recenti libretti antipapisti non sono necessariamente critiche equilibrate, moderate, sfumate, rispettabili, accademiche. Provengono da uno sfondo di pensiero forte, quasi scismatico, influenzato dal pensiero catto-reazionario, proprio come documentano anche molti firmatari della famosa Correctio filialis inviata a Francesco».

La redazione

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«Il Vaticano già paga l’Imu» dice il governo, e teme la contrarietà popolare a “tassare la Chiesa”

Imu e Vaticano. Il Ministero dell’Economica interviene spiegando che la Chiesa già paga l’Imu sugli immobili, mentre è esente (come altri) per attività solidali. Si parla anche di percentuali bulgare sulla contrarietà degli italiani nel tassare le parrocchie, per questo la vicenda verrà congelata.

 

La notizia è partita ieri sera dall’agenzia Adnkronos, in contatto con «autorevoli fonti di governo». Le quali hanno annunciato che la questione “Imu-Chiesa” è congelata e sarà forse riaperta in futuro perché, viene spiegato, una serie di sondaggi provano che gli italiani sono in realtà contrarissimi a “tassare la Chiesa”. «Percentuali bulgare», si legge, «dimostrano che una decisione in questa direzione si trasformerebbe in un vero e proprio boomerang» per il governo giallo verde.

Ma c’è un secondo motivo per cui il governo non ha alcuna intenzione di riaprire il capitolo Imu, ed è molto semplice. Ecco quanto riportano fonti del Ministero dell’Economia e delle finanze (Mef): «Il Vaticano già paga l’Imu sugli immobili con finalità commerciali, ma è esentato, come tanti altri organismi ed enti laici, solo per le attività solidali ed educative. Tassare tutte le proprietà vorrebbe dire costringere la Chiesa a chiudere oratori e altre realtà che “salvano i ragazzi dalla strada”».

La questione era stata riaperta un mese fa, quando la Corte di giustizia dell’Unione europea ha sentenziato che l’Italia ha facoltà di recuperare l’Ici non versato da tutti quegli enti non commerciali che ospitavano attività commerciali al loro interno nel periodo 2007-2011 e che allora si riteneva impossibile riscuotere. In nessun passaggio della sentenza si parlava di “chiesa” o di “Vaticano”, ma i media tradussero la notizia con: “L’UE impone all’Italia di riscuotere l’IMU al Vaticano”.

Una fake news, come avevamo ben spiegato, ma che diede avvio al delirio di Radicali & Anticlericali che la tradussero come una “vittoria della laicità sul clericalismo”. Peccato che siano coinvolte migliaia di associazione sportive, associazioni culturali, le sedi di Emergency, le Camere di commercio, i musei, la comunità ebraica di Roma, la comunità valdese e tutti gli enti no-profit che ospitano o gestiscono una pur minima attività commerciale.

In ogni caso, i media da allora si sono concentrati solo sulla Chiesa cattolica ed oggi il governo ha, di fatto, risposto, descrivendo la realtà attuale. L’Imu viene già regolarmente pagato dai vescovi e tassare anche le realtà caritatevoli ed educative -pur di recuperare gli importi del passato- significherebbe penalizzare gravemente l’opera sociale delle parrocchie che sono, in moltissimi casi, l’unico punto di riferimento per migliaia di persone, nel giro di diversi chilometri. Anche questo rende ragione di quelle statistiche “bulgare” così temute dal Ministero dell’Economica (Mef), le quali rivelano la contrarietà dei cittadini italiani (credenti e non) nel veder messe in difficoltà le strutture ecclesiali che offrono loro un servizio sociale enorme, quasi sempre gratuitamente.

La redazione

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“Le donne stiano zitte”: perché San Paolo non era misogino

L’autorevole biblista Romano Penna parla del ruolo delle donne nelle chiese paoline. Contrariamente all’accusa di antifemminismo e misoginia, le lettere di Paolo evidenziano la partecipazione attiva delle donne e il loro riconoscimento. Questa analisi sfida gli stereotipi e sottolinea l’importanza delle donne nella comunità cristiana fin dall’inizio.

 
 

La citazione Le donne nelle chiese stiano zitte tratta dalla Prima Lettera ai Corinzi è stata spesso utilizzata «dentro e fuori la Chiesa per dimostrare l’antifemminismo di Paolo».

Questo punto di vista è stato espresso da Romano Penna, un autorevole biblista di fama internazionale, che attualmente ricopre la carica di professore emerito presso la Pontificia Università Lateranense.

 

La visione storica di Paolo sul ruolo delle donne

Recentemente abbiamo discusso dell’accusa rivolta a San Paolo di misoginia, presentando la confutazione di questa tesi da parte di diverse teologhe femministe che hanno offerto una lettura completamente diversa delle lettere paoline, così come dell’Antico e del Nuovo Testamento in generale.

Di recente, anche l’autorevole biblista italiano Romano Penna si è occupato di questa tematica, offrendo ulteriori spunti di riflessione.

Concentriamoci sull’affermazione citata all’inizio. Penna giustamente afferma che molti studiosi mettono in dubbio l’autenticità di queste parole, suggerendo che «siano state inserite posteriormente nel corso della tradizione manoscritta come una glossa». Sembra che la visione storica di Paolo differisca da quanto suggerito da questa citazione. Infatti, spiega il biblista, «il Paolo storico documenta un tutt’altro modo di vedere le cose».

 

L’interpretazione di Penna: una prospettiva alternativa

Romano Penna spiega che l’apostolo delle genti, nei suoi testi, «dà assolutamente per scontato che le donne possano intervenire liberamente in pubblico, senza porre loro alcuna museruola, come denota l’uso del verbo profetèuein impiegato a loro riguardo esattamente come per l’uomo».

Lo studioso fa riferimento a un altro passo nella Prima Lettera ai Corinzi, in cui Paolo scrive che se un uomo prega o profetizza con la testa coperta, disonora il suo capo e «ogni donna che prega o profetizza senz’avere il capo coperto da un velo, fa disonore al suo capo, perché è lo stesso che se fosse rasa» (1 Corinzi 11, 4-5).

Questo passaggio suggerisce che Paolo non vieta affatto alle donne di parlare, dà per scontato che le donne profetizzino in chiesa esortandole però (alla pari degli uomini) a porsi un velo o copricapo. Tuttavia esso anticipa solo di qualche riga l’invito, dubbiosamente autentico, rivolto loro a “stare zitte” in chiesa..

Risulta così una contraddizione, per questo Penna suggerisce che «le parole di Paolo possono valere come semplice e banale ammonizione alle donne corinzie a non parlottare durante l’assemblea liturgica. Alternativamente, visto che poco prima a proposito di chiunque parla come glossolalo, cioè senza farsi capire, Paolo ha stabilito che abbia un interprete (14, 28: “Ma se non ha un interprete, stia zitto nella chiesa”), si può pensare che l’apostolo proibisca alle donne di parlare soltanto come glossolale, dato che in 11, 5 egli dava per scontato che potessero parlare apertamente come profetesse, cioè in modo da farsi capire a edificazione della comunità».

 

Le donne nelle lettere paoline: presenza attiva e lodevole

Altre lettere paoline documentano ampiamente la partecipazione attiva delle donne, alcune delle quali sono menzionate per nome, sia nella fondazione delle chiese che all’interno dei ministeri. Penna evidenzia che Paolo elogia sette donne (Prisca, Maria, Giunia, Trifena, Trifosa, Perside, Giulia) per il loro impegno evangelico, in confronto a cinque uomini (Aquila, Andronico, Urbano, Apelle, Rufo).

Basterebbe questo semplice dato statistico a «smentire quanti hanno scritto di un supposto antifemminismo di Paolo», commenta il biblista. Nelle chiese paoline, le donne svolgono ruoli di prestigio e sono lodevoli agli occhi di Paolo stesso. Contrariamente all’accusa di “stare zitte”, Paolo sembra riconoscere il loro significativo contributo.

«Si può ritenere che le donne esercitassero delle funzioni tali che non ebbero neanche al tempo di Gesù», riferisce il biblista, «a parte una loro significativa presenza alla croce e al sepolcro vuoto. Infatti, di una loro responsabilità ecclesiale si può parlare solo nel periodo successivo alla Pasqua e specificamente appunto nelle Chiese paoline, dato che non abbiamo notizia di donne attive nelle Chiese giudeo-cristiane».

Lo stesso Paolo, inoltre, è famoso per aver affermato che tra i battezzati in Cristo «non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno solo in Cristo Gesù» (Gal 3, 27-28), annullando così «tutte le differenze o meglio le contrapposizioni: culturali, sociali, e persino sessuali». In quell’occasione, ha proseguito il biblista Penna, «San Paolo non richiama soltanto l’uguaglianza davanti a Dio del “maschio” e della “femmina”, bensì e soprattutto quella di una parità di funzioni a livello comunitario».

 

Il commento di S. Giovanni Crisostomo sulle donne paoline

Questa visione rappresenta una vera rivoluzione nella cultura del I secolo, ricordiamo che Flavio Giuseppe scrisse ad esempio: «La donna, come dice la Legge, è in ogni cosa inferiore all’uomo» (Contro Apione 2, 201).

Al contrario, San Giovanni Crisostomo, un Padre della Chiesa del IV secolo, commentando le lettere paoline (in particolare Rm 16,5), ha osservato che «di nuovo Paolo esalta e addita a esempio una donna, e di nuovo noi uomini siamo sommersi dalla vergogna! O meglio, non solo siamo sommersi dalla vergogna, ma siamo anche onorati. Siamo onorati, infatti, perché abbiamo con noi donne del genere; ma siamo sommersi dalla vergogna, perché siamo molto indietro al loro confronto» (G. Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Romani 31, 1, PG 60, 667).

 

In conclusione, l’interpretazione di Romano Penna sulla Prima Lettera ai Corinzi offre una prospettiva chiara sul ruolo delle donne nelle chiese paoline. La partecipazione attiva delle donne e il loro riconoscimento da parte di Paolo dimostrano che l’accusa di antifemminismo è infondata. Questa analisi sfida gli stereotipi e sottolinea l’importanza delle donne nella comunità cristiana fin dall’inizio.

La redazione

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Perché molti giovani lasciano la Chiesa? Le risposte in uno studio

Abbandono della Chiesa da parte dei giovani. La causa principale non è negli scandali dei pastori ma nell’incapacità degli adulti (genitori, educatori, sacerdoti) di curare le loro ferite, di essere credibili testimoni.

 

Uno studio biennale realizzato dal Center for Applied Research in the Apostolate presso la Georgetown University (CARA), offre uno sguardo sui motivi per cui diversi giovani si allontanano dalla Chiesa, già all’età di 13 anni. E’ un problema noto alla Chiesa, tanto che Papa Francesconell’aprile 2017– si è rivolto con queste parole ad alcuni ragazzi in procinto di cresimarsi: «La Cresima è il Sacramento dello Spirito Santo, non è il Sacramento dell”‘arrivederci, eh? Dopo la Cresima si deve continuare a venire in Chiesa!».

Il 74% dei 214 ex cattolici USA intervistati dal citato studio (tra i 15 e i 25 anni), ha dichiarato di aver deciso di lasciare la Chiesa tra i 10 e i 20 anni e «molti di essi non hanno mai parlato dei loro dubbi e delle loro domande con i genitori o i sacerdoti», ha riportato John Vitek, uno dei principali autori dell’indagine. Molti dei giovani ex cattolici intervistati rientrano nella categoria sociologica dei “nones” (persone prive di affiliazione religiosa), mentre solo il 14% si etichetterebbe come ateo o agnostico. Il 21%, invece, dice di essere “rinato” o cristiano evangelico. Tuttavia, «la grande maggioranza dei giovani che si sono disillusi dalla Chiesa cattolica credono ancora in Dio e la maggior parte desidera ancora essere parte di un qualche tipo di comunità religiosa».

Ascoltando le loro motivazioni, i ricercatori hanno rilevato tre archetipi di disaffezione cattolica: il “ferito”, il “vagabondo” e il “dissidente”.
I “feriti” sono giovani che hanno vissuto un disagio o una tragedia in cui Dio sembrava essere assente. Nonostante le loro preghiere, la realtà si sarebbe rivelata negativa: un giovane, per esempio, ha ricordato la famiglia in preghiera per il nonno malato, «tutti pregavano per lui e lo facevo anche io, però non ci fu niente da fare per aiutarlo e quello fu il mio primo scetticismo».

I “vagabondi“, invece, raggruppano coloro che hanno spesso avuto problemi a collegare la propria identità di cattolici battezzati alle concrete esperienze di vita: non hanno ritrovato in loro stessi una motivazione valida del perché essere cattolici e così, pian piano, si sono allontanati. I ricercatori hanno sottolineato l’influenza che i genitori possono avere su questo abbandono dalla Chiesa quando si sentono inadeguati a spiegare le ragioni e l’importanza della fede.

La categoria dei “dissidenti” raccoglie i giovani che ad un certo punto sono entrati in disaccordo con l’insegnamento della Chiesa su tematiche etiche, sopratutto per quanto riguarda il controllo delle nascite, il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la sessualità in generale.

Quasi nessuno ha giustificato l’abbandono parlando degli scandali che hanno negativamente coinvolto a livello mediatico la Chiesa (come le questioni economiche-finanziarie e la pedofilia) o stimolati dall’apologetica ateista. La causa principale, invece, sembrano essere le ferite che non vengono adeguatamente curate da genitori, educatori e sacerdoti: «un giovane può prima avere un’esperienza dirompente che fa sì che si senta ferito in qualche modo», ha commentato Vitek, «questa mancanza può poi indurre il giovane a dubitare della fede e il dubbio irrisolto può portare ad allontanarsi»

La questione fondamentale appare essere la mancanza di testimoni credibili ed autorevoli tra gli adulti. Non basta indurre i ragazzi a fare presenza alla “vita cattolica”, limitarsi a portarli (o trascinarli, a volte) a Messa alla domenica o iscriverli al catechismo. Da questo studio emerge che il compito degli educatori è di essere tali, cioè saper dare le ragioni per cui loro stessi (genitori, catechisti, sacerdoti) scelgono ogni giorno di appartenere a Dio e non al mondo. Se l’avvenimento cristiano non genera una novità esistenziale e visibile nella persona, rimarrà qualcosa di esterno e ci si troverà incapaci di generare frutto. Forse si sapranno dare informazioni teoriche sulla dottrina, ma senza diventare entusiasti testimoni capaci di rimarginare le ferite ed i dubbi dei giovani, attraverso la propria vita (prima ancora che con le parole).

La redazione

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La neurobiologa cattolica e pro-life nominata ai vertici della scienza

Nomine di Trump. Il presidente americano mantiene la parola e nomina Maureen Condic, neurobiologa all’Università dello Utah, membro dell’agenzia governativa National Science Board. Dopo Kavanaugh è la seconda scelta di peso all’interno del mondo pro-life.

 

Almeno su questo, il presidente Donald Trump sta mantenendo la parola. Al di là delle sue controverse azioni politiche in tema di muri ed immigrazione, c’è da dire che ha rispettato il patto contratto in campagna elettorale con il crescente mondo pro-life, compattatosi e infoltitosi durante il disastroso mandato di Barack Obama.

Dopo aver piazzato il cattolico Brett Kavanaugh a far pendere l’ago della bilancia della Corte suprema degli Stati Uniti a favore della vita e della famiglia, tre giorni fa ha nominato la neurobiologa Maureen Condic membro del National Science Board, l’agenzia governativa che sostiene la ricerca nei campi non-medici della scienza e dell’ingegneria. Vi lavorerà per i prossimi 6 anni.

La Condic è docente presso la School of Medicine dell’Università dello Utah ed è nota per il suo lavoro sulla riparazione del midollo spinale, ma è anche un’esperta a livello internazionale sull’embriologia e l’inizio della vita umana. «Sono solo felice dell’opportunità di servire il mio paese e la più grande comunità scientifica», ha dichiarato. E’ una devota cattolica e nel 2013 ha testimoniato in un tribunale a sostegno di un disegno di legge che avrebbe limitato l’aborto, dimostrando ai legislatori che il feto umano può percepire dolore già a partire dall’8° settimana dal concepimento, in quanto «il circuito neuronale responsabile della risposta più primitiva al dolore, il riflesso spinale, è in atto dopo otto settimane di sviluppo». «Imporre dolore a qualsiasi creatura vivente capace di dolore è crudeltà. Dobbiamo semplicemente decidere se sceglieremo di ignorare il dolore del feto o no», aveva sottolineato la neuroscienziata.

Nel 2014 Papa Francesco l’ha nominata membro corrispondente della Pontificia Accademia della Scienza. Il vescovo emerito di Salt Lake City, John C. Wester, aveva rivelato che la Condic «è sempre stata davvero una sostenitrice del messaggio a favore della vita umana e lo ha fatto con grande sacrificio personale. Non è sempre stato facile per lei, ha sofferto a livello professionale a causa della posizione molto forte che ha assunto nel difendere la vita, eppure non ha vacillato. È stata molto coerente nel promuovere la santità della vita umana come un dono di Dio».

Oggi, invece, proprio grazie alla coerenza e alla sua scelta controcorrente, è arrivata ad occupare uno dei posti più ambiti per i ricercatori scientifici, fornendo consulenza tecnica al Congresso americano. «Si è liberi di definirmi come si vuole. Ma chiamarmi “neuroscienziato pro-life” suggerisce che un insieme di punti di vista prestabiliti stiano guidando l’analisi etica e scientifica e penso che questo sia assolutamente il contrario della realtà», ha però voluto precisare Maureen Condic. «Il mio lavoro non è quello di controllare l’interpretazione di ciò che dico, il mio compito è quello di presentare con precisione i fatti». Buon lavoro!

La redazione

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L’Italia è il paese che più perseguita gli atei. E c’è pure chi ci crede.

Discriminazione atei. L’UAAR presenta un report in cui l’Italia è peggio dello Zimbabwe: gli atei italiani sarebbero perseguitati perché la domenica c’è l’Angelus del Papa, l’architettura sacra è tutelata e si può destinare l’8×1000. Un gioco al vittimismo che risulta offensivo per chi davvero è discriminato.

 

L‘Italia sarebbe il Paese europeo che più reprime e perseguita gli atei. No, non è una barzelletta ma un vero report realizzato dall’International Humanist and Ethical Union (Iheu), una sorta di mega-chiesa dei non credenti.

Lo studio è stato presentato pochi giorni fa alla Camera dei Deputati dall’UAAR, l’associazione di atei fondamentalisti italiani. Vi si legge che lo Zimbabwe ha maggior rispetto per i non credenti rispetto al Belpaese, che sarebbe un pochino più sicuro dello Sri Lanka e del Pakistan. Nessuno nel mondo mediatico italiano vi ha dato ovviamente importanza, tranne Federico Tulli di Left.

L’Italia è un oscuro paese di repressione per gli atei, ha spiegato Adele Orioli dell’UAAR.
I motivi sono questi:

1) Esiste l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole (facoltativo);
2) Esiste il sistema dell’8×1000 (dove i cittadini scelgono liberamente a chi destinare la quota di imposta sui redditi ed il sistema premia chi riceve maggiori destinazioni ripartendo il denaro tra i soggetti beneficiari, in proporzione alle scelte espresse. La Chiesa viene costantemente scelta dalla maggioranza di coloro che firmano e quindi è maggiormente premiata);
3) Esiste il finanziamento pubblico alle scuole cattoliche (ed è vero il contrario, solamente in Italia le scuole paritarie non sono adeguatamente finanziate dallo Stato nonostante apportino un risparmio notevole alle casse pubbliche);
4) Esiste una straripante presenza della Chiesa cattolica nel palinsesto televisivo (il quale premia e mantiene le trasmissioni più seguite, perciò evidentemente è ciò che desiderano i telespettatori, si noti il caso del programma A Sua Immagine su Rai1);
5) Esiste una tutela particolare verso il danneggiamento del sacro (ed è invece un beneficio pubblico essendo un Paese noto al mondo per le sue bellezze architettoniche legate al cristianesimo);
6) Esiste la pena della blasfemia (totalmente inapplicata, esistendo oltretutto intere regioni italiane in cui la bestemmia è utilizzata come intercalare);

Mentre nel mondo i cristiani vengono realmente perseguitati ed uccisi (assieme anche agli atei, nei paesi islamici), in particolare nei Paesi come la Corea del Nord dove il governo è ufficialmente ateo, gli atei borghesi italiani giocano al vittimismo dichiarandosi perseguitati e martiri perché la domenica c’è l’Angelus del Papa in televisione. «In sé non avrei nulla da obiettare a questa religione mondana, alla religione dell’ateismo», ha scritto il filosofo laico Giulio Giorello. «Ma qualunque religione comporta il costituirsi di una comunità i cui membri si vincolano reciprocamente secondo schemi pubblici: allora, se l’ateismo militante prendesse corpo in strutture istituzionali e dettasse una politica, offrirebbe dimostrazione non di forza ma di debolezza» (Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo, Longanesi 2010, p. 27). E’ proprio quello che dimostrano i report delle associazioni razionaliste.

La redazione

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I gatti neri sterminati nel Medioevo? Una fake news storica

L’articolo esamina la presunta persecuzione dei gatti nella cultura cristiana. Si analizza la bolla papale “Vox in Rama” di Papa Gregorio IX, erroneamente interpretata come un’autorizzazione allo sterminio dei gatti neri. Grazie al contributo di uno storico ateo, cadono le bufale e i pregiudizi su questo argomento.

 
 
 

L’articolo intitolato “Il gatto, venerato dall’Islam e perseguitato dalla Chiesa” e pubblicato su una rivista di natura, inizia con un’affermazione controversa riguardante la presunta persecuzione dei gatti nella cultura cristiana.

 

L’origine del mito: il gatto nero e la superstizione

Si fa riferimento alla bolla papale “Vox in Rama” emessa nel 1232 da Papa Gregorio IX, che, secondo l’articolista Marta Frigerio (un’appassionata di gatti e di bufale, evidentemente), avrebbe autorizzato lo sterminio dei gatti, in particolare quelli neri, considerati creature diaboliche.

Tuttavia, è importante precisare che Gregorio IX non ha mai autorizzato alcuno sterminio di gatti neri, né lo ha mai fatto la Chiesa cattolica. Questa è una delle fake news anticlericali più diffuse, ma pochi hanno preso l’iniziativa di smentirla.

Ad alimentarla ci ha pensato qualche giorno fa il quotidiano La Verità (sic!), dove si legge che «papa Gregorio IX diede disposizione di sterminare tutti i gatti neri». Viene così ripetuta la falsa idea che questa presunta “superstizione cattolica” sia collegata alla Peste Nera che colpì l’Europa tra il 1347 e il 1352, causando la morte di un terzo della popolazione continentale.

 

L’indagine dello storico ateo sulla Chiesa e i gatti neri

Per smontare questa bufala, uno storico agnostico/ateo americano di nome Tim O’Neill si è impegnato a studiare approfonditamente la vicenda realizzando un ottimo debunking.

Ecco cosa scrive lo studioso:

«La storia secondo cui stupidi personaggi medievali, su istigazione del loro ancor più stupido clero, uccisero migliaia di gatti portando alla morte di un numero ancora maggiore di persone durante l’epidemia della peste nera del 1340, è popolare e diffusa. Ma il massacro medievale di gatti è contrassegnato da una totale mancanza di riferimenti. Perché? Perché non è mai successo».

Non esistono infatti riferimenti storici che confermino l’autorizzazione di Gregorio IX allo sterminio dei gatti neri. Inoltre, l’epidemia della Peste Nera (1347-1352) ha avuto inizio oltre un secolo dopo l’emissione della bolla papale (1232), rendendo ancora più infondate le affermazioni che collegano i gatti neri alla diffusione della malattia.

 

Gregorio IX, cosa dice la “Vox in Rama” sui gatti neri?

La bolla papale “Vox in Rama” del 1232 era indirizzata al re di Germania, Enrico, figlio dell’Imperatore Federico II, e riguardava un culto satanico diffusosi in Germania da parte di un gruppo di “Luciferiani”. La bolla descriveva semplicemente le pratiche di questa setta, tra cui un rito in cui appare un gatto nero ma in alcun modo autorizzava uno sterminio di gatti. Le affermazioni che collegano il contenuto della bolla papale alla persecuzione dei gatti neri e alla diffusione della Peste Nera vanno quindi ritenute infondate.

Per chiarire meglio ogni dubbio, riportiamo integralmente le parole del Papa contenute nella bolla in questione che riprendono quanto gli fu riferito da Corrado di Marburgo riguardo alla setta tedesca:

«Quando un neofita dev’essere iniziato ed introdotto dinanzi all’assemblea dei malvagi per la prima volta, gli appare in visione una specie di rana o, secondo gli altri, un rospo. Talvolta il rospo è di normali dimensioni, ma spesso è grosso quanto un’oca o una papera. Di solito è grande come l’apertura di un forno. Il novizio si fa avanti e si mette di fronte ad un uomo di un pallore spaventoso i cui occhi sono neri ed il cui corpo è così sottile ed emaciato che sembra non aver carne ma solo pelle ed ossa. Il novizio lo bacia e lo trova freddo come il ghiaccio. Dopo averlo baciato, ogni resto di fede cattolica che poteva ancora albergare nel cuore del neofita, lo abbandona. Poi, tutti si siedono per banchettare e, al termine, tutti si alzano. Da una specie di statua che di solito si trova in queste riunioni, emerge un gatto nero: è grande quanto un cane di buona taglia, ed entra camminando all’indietro con la coda sollevata. Per prima cosa il novizio gli bacia il posteriore, poi fa lo stesso il Maestro delle Cerimonie, ed infine vi partecipano tutti, a turno. O almeno, tutti quelli che meritano tanto onore. Il resto, cioè coloro che non ne sono ritenuti degni, baciano il Maestro delle Cerimonie. Ritornati ai loro posti, per un po’ restano in piedi in silenzio, con le teste girate verso il gatto. Quindi il Maestro esclama: “Perdonaci”. La persona dietro di lui ripete la formula ed una terza aggiunge: “Signore lo sappiamo”. Un quarto partecipante finisce la formula dicendo: “Obbediremo”. Quando questa cerimonia si è conclusa, le luci vengono spente ed i presenti si abbandonano alla più abominevole sensualità. Se ci sono più uomini che donne, questi soddisfano tra di loro i reciproci depravati appetiti. Le donne fanno lo stesso l’una con l’altra. Alla fine di tali orrori si riaccendono le lampade ed ognuno torna al suo posto. Quindi, da un angolo buio emerge la figura di un uomo. La parte superiore del suo corpo, dai fianchi in su, risplende come il sole ma, sotto, la sua pelle è grezza e coperta da una pelliccia, come un gatto. Il Maestro delle Cerimonie taglia un pezzo del vestito del novizio e dice a quella risplendente immagine: “Maestro, mi è stato dato questo ed io, a mia volta, lo passo a te”. Al che l’altro risponde: “Tu mi hai ben servito e meglio mi servirai ancora nel futuro. Metterò sul tuo conto ciò che mi hai dato”. E sparisce non appena pronunciate queste parole. Ogni anno, a pasqua, quando ricevono dal prete il corpo di Cristo, lo nascondono in bocca per poi sputarlo nelle immondizie in segno di spregio verso il loro Salvatore. Inoltre, questi uomini tra i più miserabili, bestemmiano contro il Signore dei Cieli, e nella loro follia dicono che il Signore ha fatto male a sprofondare Lucifero in un pozzo senza fondo. Questa gente disgraziata crede in Lucifero e lo ritiene il creatore dei corpi celesti che assurgerà a gloria dopo la caduta del Signore. Con lui, e attraverso lui, sperano di raggiungere la felicità eterna. Confessano di non credere che bisogna fare il volere di Dio ma, piuttosto, che bisogna dispiacerlo…».

La bolla papale in questione menziona effettivamente un gatto nero, ma non contiene alcuna autorizzazione per lo sterminio degli stessi. Nonostante ciò, questa falsità viene ripetuta da anni senza alcuna verifica delle fonti.

 

Bestiari medievali: elogi e simbolismo dei felini

Inoltre, si tralascia il fatto che i gatti erano ampiamente apprezzati durante il Medioevo per il loro ruolo nel limitare la proliferazione dei roditori. Numerose rappresentazioni artistiche dell’epoca ritraggono i gatti come animali domestici e i bestiari medievali, che erano libri che descrivevano gli animali, esaltano le virtù dei felini. Era comune che le famiglie possedessero un gatto e persino nella cosiddetta “Regola delle anacorete” del XIII secolo, un manuale monastico rivolto alle anacoreti, si consigliava: “Non possederete nessuna bestia, mie care sorelle, eccetto solo un gatto”.

La conclusione dello storico americano O’Neill è che «l’intero mito è il solito groviglio di pregiudizi sulla Chiesa medievale, idee popolari sbagliate sul Medioevo e la tendenza generale di accettare “per veri” racconti che perpetuano l’idea che i nostri antenati non erano intelligenti come noi. Aggiungiamo una pesante dose di pregiudizio anticristiano e possiamo capire perché» la bufala è ancora così diffusa».

La redazione

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«Non c’è posto in seminario per omosessuali, il caso è serio»: le chiare parole del Papa

Francesco e l’omosessualità. Presentiamo in anteprima in Italia il libro “La fuerza de la vocacion” che verrà pubblicato il 3 dicembre in lingua spagnola. Un’intervista con Papa Francesco in cui il Papa affronta un tema scottante: la presenza di persone omosessuali tra il clero e la loro influenza nel pensiero della Chiesa.

 

Il prossimo 3 dicembre verrà pubblicato in Spagna il libro La fuerza de la vocación, un’intervista di Fernando Prado a Papa Francesco sul passato, il presente e il futuro della vita consacrata. Se ne parlerà moltissimo anche in Italia e ne diamo qui in esclusiva un’anticipazione per la lingua italiana (grazie a Periodista Digital). Un libro chiaro e coraggioso, in cui Francesco non evita alcuna domanda, neanche il controverso problema dell’omosessualità nella Chiesa.

Tra i tanti temi toccati dal Pontefice, infatti, ve n’è uno particolarmente d’attualità, ovvero la presenza di persone con tendenza omosessuale all’interno dei seminari e nel ministero sacerdotale. Un fenomeno di cui si è iniziato vorticosamente a parlare dopo il report del Grand Jury della Pennsylvania, quando è emerso che oltre l’80% delle vittime dei preti molestatori non erano né ragazze, né bambini, ma maschi adolescenti. Ovvero, non tutti gli omosessuali sono abusatori -chiaramente-, ma gran parte degli abusatori nella Chiesa cattolica sembrano mostrare tendenze omosessuali. Francesco si era già preoccupato di ciò quando spiegò che «nel dubbio, meglio che non entrino nei seminari», seppur abbia comunque voluto indicare il problema più nel clericalismo -cioè l’abuso di potere spirituale dei preti molestatori sui giovani-, piuttosto che nell’omosessualità.

Mai prima d’ora, però, Papa Bergoglio aveva parlato così duramente e chiaramente del problema. Ecco le parole del Pontefice contenute nel nuovo libro, tradotte dallo spagnolo. La domanda di Fernando Prado è: “non è un segreto che nella vita consacrata e anche nel clero vi sono persone con tendenza omosessuale. Cosa dice di questo?” Ed ecco la lunga risposta di papa Francesco:

«È qualcosa che mi preoccupa, perché forse non è stato focalizzato bene. Dobbiamo fare molta attenzione alla formazione della maturità umana e affettiva. Dobbiamo discernere con serietà e ascoltare la voce dell’esperienza che ha la Chiesa. Quando il discernimento non è curato in tutto questo, i problemi crescono, succede che al momento forse non mostrano il loro volto, ma lo fanno in seguito»

«La questione dell’omosessualità è una questione molto seria che deve essere correttamente discernuta fin dall’inizio con i candidati. Dobbiamo essere esigenti. Nelle nostre società sembra addirittura che l’omosessualità sia di moda e che la mentalità, in qualche modo, influenzi anche la vita della Chiesa. C’è stato un vescovo un po’ scandalizzato che mi ha detto di aver appreso che nella sua diocesi, una diocesi molto grande, c’erano molti preti omosessuali e che doveva affrontare tutto questo intervenendo, prima di tutto, nella formazione, per formare un altro clero distinto. È una realtà che non possiamo negare, nella vita consacrata non sono mancati dei casi».

«Un religioso mi ha detto che dopo una visita canonica a una delle province della sua congregazione, era rimasto sorpreso. Vide che c’erano bravi studenti e che persino alcuni religiosi già professi, erano gay. Lui stesso dubitava della questione e mi ha chiesto se c’era qualcosa di sbagliato in tutto ciò. “In breve”, mi stava dicendo, “non è così grave; è solo un’espressione di affetto”. Questo è un errore. Non è solo un’espressione di affetto. Nella vita consacrata e nella vita sacerdotale, quel tipo di affetti non ha posto. Per questo motivo, la Chiesa raccomanda che le persone con questa tendenza radicata non siano accettate nel ministero o nella vita consacrata. Il ministero o la vita consacrata non sono il loro posto. Dobbiamo esortare i sacerdoti e religiosi omosessuali a vivere pienamente il celibato e, soprattutto, che siano squisitamente responsabili, cercando di non scandalizzare nessuno con la loro doppia vita, né le loro comunità né il santo popolo di Dio. È meglio che lasciano il ministero e la loro vita consacrata piuttosto che vivano una doppia vita».

Leggendo le parole di Francesco si rileva l’evidenza che, almeno secondo le informazioni in suo possesso, le persone con  tendenza omosessuale presenti nel clero fatichino (evidentemente più degli altri) a non cadere nella “doppia vita”, cioè nell’omosessualità praticata (anche solo tra adulti). La loro non accettazione nei seminari dunque non è una discriminazione pregiudizievole ma una tutela verso un evidente fonte di scandalo, sopratutto per la posizione chiara che il Catechismo ha su questo in netta divergenza al “pensiero del mondo”, come giustamente accennato dal Papa. La forte preoccupazione espressa da Francesco è anche una secca smentita alla “complicità” verso l’omoeresia che gli viene rinfacciata dai giornalisti-blogger che lo stanno combattendo.

La redazione

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