Fedez e J-Ax, le soubrette diventano bulli Lgbt

dito medio «Ho usato droghe sintetiche in modo spropositato, so di avere l’aspetto di un narcotrafficante». «Sono diventato un drogato di cocaina, mi devastavo». Il primo a parlare è Fedez, il secondo J-Ax. E’ certamente curioso che i nuovi profeti arcobaleno condividano lo stesso insano passato.

Verrebbe da chiedersi con quale autorità queste due banali soubrette, che fino a ieri avevano ben altre preoccupazioni, oggi pretendano insegnare al mondo cos’è la famiglia e facciano il dito medio a chiunque non la pensi in modo arcobaleno. Certo, le persone cambiano e il passato per fortuna non compromette il presente. Ma è oggi che Federico Leonardo Lucia viene accusato di istigare alla droga tramite i suoi “brani” sui lacci emostatici, mentre Alessandro Aleotti è noto attivista per la legalizzazione delle droghe e bazzica da sempre quel mondo. Certi “valori” rimangono gli stessi per entrambi, a quanto pare.

I comunisti col Rolex, titolo del loro ultimo album, hanno sfruttato la tv berlusconiana per insultare chi si oppone alle adozioni gay, riconducendoli genericamente ai partecipanti al Family Day. Il tutto recitando un copione scritto dalle Iene, bisognose di una marchetta all’associazionismo Lgbt dopo aver realizzato, poche settimane fa, un’inchiesta sull’Unar e sui vizietti dei circoli omosessuali, pagati tramite soldi pubblici.

Dopo le numerose proteste e una petizione con richiesta di scuse firmata da quasi 50mila persone in pochi giorni, J-Ax si è risentito e ha pubblicato un video in cui ha ribadito il dito medio a chiunque aderisce alla Costituzione italiana, la quale sancisce -come dichiarato dalla Corte Costituzionale- la famiglia come l’unione tra uomo e donna. Scontata ignoranza a parte, stupisce che il rapper Aleotti sia dovuto ricorre nuovamente all’imparare a memoria un copione con frasi ad effetto, protetto dai taglia e cuci del suo regista. Per lo meno, vista la banalità del testo, gli va dato atto che questa volta era certamente farina del suo sacco. Il bella zio e il non ci sto più dentro del cinquantenne Aleotti è forse ancora più rivelatore del tatuaggio vivente e bucato di piercing del suo giovane compagno Federico Lucia, che già da solo urla una infinita e irrisolta crisi adolescenziale.

La contraddizione più enorme, però, è che Fedez e J-Ax hanno voluto sostenere l’utero in affitto, l’adozione e le pretese del mondo arcobaleno mostrando il dito medio a chi difende il diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà. Un gesto che, oltre ad essere un discutibile modo di comunicare le proprie idee, è ritenuto offensivo dagli stessi omosessuali: il suo significato, infatti, è quello di invitare qualcuno che si disprezza a venire sottomesso tramite sesso anale. Una pratica ritenuta dai due rapper, perciò, umiliante e delegittimante dell’umanità altrui.

Forse bisognerebbe pensarci due volte prima di eleggere tali artisti come nuovi paladini delle Famiglie Arcobaleno. A guardare le loro ultime performance verrebbe da dire che a volte è meglio continuare ad occuparsi delle proprie canzoncine e sembrare immaturi piuttosto che togliere ogni dubbio dedicandosi a questioni ben al fuori dalla propria portata.

La redazione

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«Due anni fa le nozze gay in Irlanda, ecco lo stupro culturale che abbiamo subito»

gay irlanda referendum 
 
di John Waters*
*giornalista ed ex editorialista dell’Irish Time

da Il Foglio, 06/03/17
 
 

Quando ho iniziato a fare giornalismo, 35 anni fa, lo scopo dei media era favorire il dialogo tra persone con punti di vista differenti. Una visione differente a quella odierna, dove si vuole portare tutti a dire le stesse cose. Il dibattito è stato la linfa vitale della comunità umana, non un ostacolo al progresso.

Tutto questo sta cambiando, certamente nel mio paese, l’Irlanda, ma anche negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in altri paesi. Esprimere una visione non ortodossa in certi ambiti significa rischiare la vita, la serenità e la reputazione. I media sono diventati una corte suprema della correttezza politica, in cui i trasgressori vengono processati pubblicamente per aver infranto il marxismo culturale che ci governa.

Ho subito il mio processo tre anni fa, quando, prima del referendum irlandese in materia di matrimonio gay, la drag queen “Panti Bliss” mi ha chiamato omofobo in TV, aggiungendo che avevo cercato di distruggere la sua felicità, senza offrire alcuna prova a sostegno della sua tesi. “Omofobia” è una parola truffaldina, non ha un significato obiettivo chiaro ed è stata inventata dagli attivisti LGBT come strumento demonizzazione degli avversari così da emarginarli e ridurli al silenzio. E’ uno strumento di censura, viene usato per imbrattare gli oppositori creando una macchia che non può essere pulita da alcuna risposta ragionata, significa considerare le sue argomentazioni come radicate esclusivamente nell’odio o nella paura, cosa che dispensa dal rispondere ragionevolmente a quel che dice.

Quando ho capito che si trattava di una calunnia calcolata, ho chiesto tramite il mio avvocato i ritirare le accuse e scusarsi. Si è scatenato l’inferno. Per diverse settimane sono stato sottoposto al linciaggio da parte di attivisti LGBT, pagati da un’organizzazione “filantropica” americana, misteriosamente interessata alle vicende del mio Paese. Insulti, minacce a auguri di morte. Lo tsunami sui social media è stata replicato sui media, con molti dei miei “colleghi” che hanno cercato di regolare vecchi conti. Mi sono dimesso dall’Irish Times, per il quale ho lavorato per 24 anni, dopo aver scoperto che un presunto amico e collega si era unito alla festa dell’odio twittando sotto pseudonimo. Quando ho avvisato il direttore del mio giornale di questa violazione dei principi fondativi della nostra azienda, mi ha ignorato. La cosa veramente strana è che fino ad allora non avevo detto quasi niente in pubblico sul matrimonio gay.

Per due anni, fino al referendum del maggio 2015, il mio Paese è stato vittima dello stupro culturale tramite propaganda, foraggiato da fondi esteri, con l’obiettivo di condurre un raid predatorio sulla nostra definizione costituzionale del matrimonio, della famiglia e del ruolo dei genitori. Siamo stati assaliti dal bullismo emotivo e dai ricatti morali, ridotti a capri espiatorio siamo stati in parte persuasi e in parte costretti a introdurre una forma di matrimonio gay che è la più estrema di tutto il mondo. Poiché era una nazione fortemente cattolica, l’Irlanda è stata presa di mira dalla lobby gay internazionale come Paese-trofeo la cui caduta potrà essere usata nel mondo come grimaldello e leva per scardinare le altre nazioni meno devote. Chi ostacolava tale progetto è stato preso di mira per garantire che il trofeo potesse essere catturato con il minimo sforzo. Il modello irlandese del matrimonio gay è ora il gold standard con cui tutti gli altri Paesi del mondo saranno misuratati in termini di “tolleranza” e “progressismo”. Abbiamo introdotto nella nostra Costituzione una disposizione che permette non soltanto alle persone gay di sposarsi, ma afferma implicitamente che non vi è alcuna differenza fra una coppia composta da due uomini o due donne e una coppia composto da un uomo e una donna.

La vicenda di “Panti Bliss” mi ha portato ad espormi. Dopo aver osservato il modus operandi del branco LGBT, sono diventato sempre più certo che avrei dovuto oppormi in qualunque modo al tentativo di costringere l’elettorato irlandese ad adeguarsi al loro pensiero. L’emendamento è stato venduto attraverso l’uso improprio di parole come “uguaglianza” ma la Costituzione irlandese già considerava tutti i cittadini uguali davanti alla legge, lasciando la possibilità di una differenza di capacità e funzioni. Anche “uguaglianza” è una parola ricattatoria, impiegata con estremo pregiudizio per costringere le persone ad adeguarsi a distorsioni dei diritti che generazioni di irlandesi non avrebbero mai accettato.

Il matrimonio gay è solo l’ultima portata del menù dei “diritti progressisti” che hanno cercato di ribaltare la realtà. C’è una lunga storia che risale alla diffusione del “marxismo culturale” in Germania e in America, otto decenni fa: queste idee sono entrate nella cultura occidentale grazie all’ideologia dei rivoluzionari sessantottini. Matrimonio gay, maternità surrogata, cambiamento dei valori della vita familiare, sono sindromi che generano attività che vanno monetizzate e producono distrazione e anestesia, a causa della ripetizione persistente ci siamo abituati all’idea che si tratta di sinonimi di libertà. In realtà non c’è alcuna preoccupazione per i diritti umani, la compassione o la tolleranza, ma il desiderio di allinearsi ad un’agenda sociale “cool”, che separa i virtuosi dagli arretrato e dai reazionari. La rivoluzione degli anni Sessanta ci ha convinto che è possibile sfidare la natura stessa dell’uomo.

All’inizio del referendum in Irlanda eravamo una manciata dalla parte del No contro l’intero sistema parlamentare e i media irlandesi. Siamo partiti con il consenso a cifra singola ma abbiamo terminato con il 42%, e avremmo molto probabilmente vinto se avessimo avuto un’altra settimana. Agli elettori è stato detto che avevano il dovere di battersi per l'”uguaglianza”, sono state loro ricordate le intolleranze del passato verso gli omosessuali e gli è stato chiesto come si sarebbero sentiti se i loro figli fossero gay. Non sono stati invitati a giudicare l’emendamento nel contesto dell’ambiente costituzionale o a sostenere una discussione sulla sua traduzione nella pratica. L’adozione gay è l’obiettivo finale della lobby LGBT, raggiunto tramite il “metodo di salame”: procedere una fetta alla volta per ottenere tutti i guadagni incrementali possibili nella prima ondata, per poi capitalizzare chiedendo come mai i gay hanno avuto accesso ad una versione limitata del matrimonio priva dei diritti di adozione. La lobby LGBT tornerà sempre alla carica, chiedendo qualcosa in più, fino alla vittoria definitiva.

Nel sito web del gruppo “Yes, Equality” che ha coordinato la campagna in favore dell’emendamento c’è un paper del 2009 scritto da un’accademica femminista e lesbica che va ben oltre tutti i nostri peggiori timori sulle vere intenzioni della lobby. Si legge: «Il matrimonio fra persone dello stesso sesso rovescia gli assunti biologici e culturali “naturali” riguardo alla riproduzione e alla famiglia. Ha il potere di sovvertire e rovesciarne il concetto storico e le implicazioni del matrimonio. Così facendo, avrà sradicato delle sue tradizioni l’ideologia e il mito romantico del matrimonio che è stato a lungo criticato dalle femministe». E’ la conferma delle intenzioni nascoste di chi ha preso dal nulla la questione del matrimonio gay e l’ha portata al centro del dibattito pubblico. Il matrimonio gay è un cavallo di Troia che porta nel cuore della civiltà moderna un nuovo concetto di vita familiare, finge una preoccupazione per l'”uguaglianza” per ripudiare e smantellare i concetti e le strutture che avevano permesso alle società umane di essere coese da sempre. L’obiettivo è la sovversione del modello normativo della riproduzione e della vita familiare, il rovesciamento dell’ordine naturale.

Nonostante abbia letto il brano appena citato nel corso di diversi dibattiti, non una parola è stata pronunciata o scritta su di esso. I giornalisti si sono semplicemente voltati dall’altra parte, ammettendo di essere tirapiedi ideologici al servizio di un programma radicale. Quello che abbiamo visto in Irlanda nel 2015 (e che sta avvenendo in altri paesi) è che le opinioni su questioni pubbliche si sono scollegate dalla convinzione o dall’analisi, diventando etichette identitarie, la gente le usa per completare i loro vestiti e le loro automobili: «Guardami! Sono un vegetariano pro-palestinese che legge il New York Time!». Ciò spiega il successo della rivoluzione Lgbt e perché questioni mai considerate come urgenti sono balzate in cima all’agenda politica, anche grazie all’impegno dei media. Quello che osserviamo, anestetizzati, non è solo una presa di potere da parte di un movimento non rappresentativo, ma la soppressione stessa della democrazia e dei suoi pilastri principali, inclusi i parlamenti, i media e i tribunali.

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I cristiani impegnati divorziano meno (grazie a Dio!)

coppia-anziani

Certe notizie diventano interessanti se arrivano da un contesto storico e sociale in cui le persone non faticano a definirsi nominalmente cristiane anche se in gran parte non mettono piede in una chiesa da anni, non conoscono e non vivono il messaggio cristiano, ignorano i fondamenti del catechismo e trascorrono la loro vita esattamente come se Dio non esistesse.

Queste persone, gran parte degli italiani (e degli occidentali), continua a definirsi cristiana per motivi di tradizione, abitudine cultura o costume. Ma non c’è da parte loro un’adesione sincera e profonda, impegnata e consapevole alla fede cristiana, alla sequela di Cristo e all’appartenenza alla Chiesa, facendo proprio e vivendo il suo insegnamento, diffuso dal Pontefice, dai pastori e dal Catechismo. Non intendono semplicemente farlo.

A livello sociologico sono definiti cristiani o cattolici nominali e proprio ad essi sembra rivolgersi un’indagine realizzata nel 2011 dal sociologo Bradley Wright, docente dell’Università del Connecticut. «E’ un mito utile», ha dichiarato, «affermare che il tasso di divorzio dei cristiani è identico, se non superiore, a quello di tutti gli altri». Invece non è così, in linea generale il tasso di divorzio di chi si definisce cristiano è del 42%, mentre quello degli americani religiosamente non affiliati è del 50%. Ma se confrontiamo i cristiani nominali da quelli seriamente impegnati (che frequentano settimanalmente le funzioni religiose, anche se questo ovviamente non basta per definirli “impegnati”), il tasso scende al 38%.

Secondo una seconda analisi, effettuata da Brad Wilcox, direttore del National Marriage Project presso l’Università della Virginia, gli americani che frequentano le funzioni religiose più volte al mese hanno invece il 35% in meno di probabilità di divorziare rispetto ai non religiosi e il 20% in meno rispetto ai cristiani nominali.

Questo suggerisce che non è tutto uguale, credere o non credere, scegliere di vivere da autentici cristiani tutti i giorni non è come non farlo. Tutto cambia, tanto che il coinvolgimento attivo e consapevole con l’insegnamento cattolico arriva ad influenzare anche la qualità dei rapporti coniugali e familiari, dato importante in quanto immersi in un contesto storico durissimo e drammatico per la famiglia.

La redazione

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Ora anche i poligami vogliono le nozze e usano la retorica gay

nozze poligami gayEra già tutto previsto. I gruppi poligami, assieme ai loro sostenitori, stanno manifestando negli USA invocando la fine della discriminazione e la rivendicazione del diritto legale del matrimonio, così come è stato concesso agli omosessuali.

Era il 22 aprile 2013 e le nozze gay erano ancora proibite nell’America di Barack Obama, eppure su questo sito web appariva un articolo in cui avvertivamo che aprendo al matrimonio tra persone dello stesso sesso, minando così alle fondamenta dell’istituto matrimoniale, sarebbe crollato il suo stesso significato. Sarebbe stato poi impossibile negare il “diritto” del matrimonio a qualunque altra formazione umana, dagli incestuosi agli amici che intendono avvalersi dei benefici del matrimonio, fino ai gruppi poligamici. Se il matrimonio viene concepito come un contratto privato tra soggetti consenzienti legati da una relazione romantica, ci domandavamo nel 2015, con quali argomenti si potrà vietare di riconoscere la poligamia?

«Amo tutte le mie mamme», si legge in questi giorni sui cartelli dei figli dei poligami che stanno manifestando davanti al Campidoglio di Salt Lake City, nello Utah. «Se fossimo gay, saremmo OK», recita un altro, protestando verso il trattamento di favore riservato dallo Stato alle persone omosessuali. «Che male vi facciamo se ci sposiamo?», domanda un uomo con tre donne, usando la stessa retorica vittimistica delle associazioni Lgbt.

D’altra parte, lo diceva già il compianto laico Indro Montanelli: «la nostra società è basata, ci piaccia o no, sulla famiglia, e la famiglia è per definizione formata da un uomo e da una donna. E’ un postulato, lo riconosco, ma è basato sulla natura, sulla tradizione e sul buon senso. Se ammettiamo il “matrimonio gay” non avremo più argomenti per opporci al matrimonio a tre, o ad altre variazioni sul tema. Sulla possibilità di crescere figli adottivi, poi, non ho dubbi: le due figure – materna e paterna – rimangono fondamentali (nonostante certi padri e certe madri). Nessuno può arrogarsi il diritto di imporre a un bambino regole diverse» (I. Montanelli, Gli omosessuali non vanno discriminati, da “La stanza di Montanelli”, Corriere della Sera 15/01/1999).

La redazione

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Scalfarotto #staisereno, la tua non è famiglia: lo dice anche Rodotà (e la Costituzione)

Ognuno può affermare ciò che vuole: “la nostra è una famiglia”, diranno i gruppi poligamici, le coppie omosessuali, la nonna con il nipote, i single con il loro gatto e quattro amici del cuore. Ma a livello giuridico, è la Costituzione italiana che va presa come riferimento.

Dovrebbe saperlo Ivan Scalfarotto, sottosegretario del Ministero dello Sviluppo Economico, che inviato un sms al suo amico Maurizio Crozza (ha collaborato a tre edizioni di “Crozza Italia”) dopo che il comico ha affermato in televisione che nulla resta dei tre anni del governo Renzi. «Caro Maurizio: in primavera mi sposo», gli ha risposto Scalfarotto. «A quel punto la mia famiglia e la tua saranno finalmente uguali in diritti, dignità e libertà. E lo saremo quindi anche io e te». Scalfarotto ha poi pubblicato il suo messaggio sulla pagina Facebook.

Davvero l’attivista Lgbt ritiene che, grazie alle unioni civili, il suo rapporto di coppia possa essere equiparato alla famiglia di Crozza? L’articolo 29 della Costituzione è chiaro: la famiglia è «una società naturale fondata sul matrimonio». Scalfarotto può accedere al matrimonio? No, quindi la sua non può essere ritenuta “famiglia”. Con l’art. 30 la Costituzione chiede inoltre di disciplinare la condizione dei cosiddetti figli naturali, mentre nell’art. 31 «misure economiche ed altre provvidenze» che agevolino la «formazione della famiglia» e «l’adempimento dei compiti ad essa relativi, in primis la protezione della maternità». Nella coppia Scalfarotto non esisteranno mai la maternità e i “figli naturali” di entrambi i componenti: questo rende oggettivamente diseguale la loro unione con quella delle coppie formate da uomo e donna (e la sterilità o infertilità, come già spiegato, non è obiezione valida).

A chiarire che questo sia l’orientamento della Costituzione ci ha pensato nel 2010 la Corte Costituzionale chiarendo che «l’istituto del matrimonio civile, come previsto nel vigente ordinamento italiano, si riferisce soltanto all’unione stabile tra un uomo e una donna». A chi volesse tacciare di discriminazione chi osa ricordare tutto questo all’onorevole Scalfarotto, ricordiamo che è sempre tale sentenza a ribadire che «la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». Nel 2015 la Cassazione ha ribadito «che la mancata estensione del modello matrimoniale alle unioni tra persone dello stesso sesso non determina una lesione dei parametri integrati della dignità umana e dell’uguaglianza». Sempre nel 2105, il Consiglio di Stato ha a sua volta chiarito che «il matrimonio omosessuale deve intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio».

A ribadire l’incostituzionalità di una “famiglia” omosessuale è stato Bruno Ferraro, presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione: «la pretesa di porre sullo stesso piano l’unione tra uomo e donna e l’unione tra due soggetti dello stesso sesso è giuridicamente sbagliata e costituzionalmente insostenibile». Il giudice emerito della Corte Costituzionale, Sabino Cassese ha confermato: «Le linee costituzionali sono chiarissime: le unioni omosessuali vanno garantite e riconosciute, ma non come famiglia bensì come formazioni sociali», la coppia coniugata e quella omosessuale non sono equiparabili. Perfino il giurista Stefano Rodotà lo ha dovuto amaramente ammettere: «i giudici della Corte Costituzionale si piegano al codice che parla soltanto di matrimoni tra uomini e donne». Per i padri costituenti «il modello matrimoniale consegnato alle regole giuridiche è un dato di realtà irriformabile. Non si rendevano conto che stavano cambiando le regole del gioco. Il riferimento alla tradizione millenaria della famiglia, pronunciato dalla nostra Corte costituzionale, non compare in nessun’altra giurisprudenza». E si potrebbe continuare citando il giurista Giovanni Verde e l’ex presidente della Corte Costituzionale, Gaetano Silvestri, intervenuti a chiarire l’inesistenza giuridica di una “famiglia” omosessuale.

La legge sulle unioni civili, come abbiamo già sottolineato, permette solamente alle coppie dello stesso sesso di definirsi “specifiche formazioni sociali”, non certo “coniugi” o “famiglia”. Ricordarlo a Scalfarotto è un atto di giustizia e di verità, non di offesa. Non se la prenda! Anzi, ora Maurizio Crozza saprà cosa scrivere nel suo sms di risposta.

La redazione

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Religiosità attiva migliora benessere e matrimonio: la ricerca conferma

Uno dei nostri numerosi dossier si occupa del rapporto tra religiosità e benessere psicofisico, legame confermato in modo ormai indubitabile dalla letteratura scientifica.

Proprio nel luglio 2016 uno ennesimo studio ha concluso che «ci sono prove per le donne degli Stati Uniti che una maggiore frequenza alla partecipazione religiosa ha diminuito il rischio di depressione». L’ultima ricerca ad affrontare il tema è stata quella realizzata dal prof. Tyler J. VanderWeele, docente di Epidemiologia presso la Harvard School of Public Health, pubblicata nel libro “Spirituality and Religion within the Culture of Medicine: From Evidence to Practice”, edito dalla Oxford University Press.

Sintetizzando i risultati, l’analisi ha messo in correlazione causale la presenza alle funzioni religiose con tutta una serie di risultati di buona salute, fisica e mentale, tra cui una maggiore durata della vita, una minore incidenza della depressione e un minor tasso di suicidio. Inoltre, i risultati correlano la religiosità ad un miglior rapporto coniugale e un minor tasso di divorzio: per la precisione i fedeli cristiani impegnati nella loro parrocchia hanno sperimentato il 47% in meno di probabilità di divorziare.

Il prof. VanderWeele ha spiegato che «la religione, naturalmente, non ha come scopo principale quello di promuovere la salute fisica o diminuire la probabilità di divorzio, ma di entrare in comunione con Dio. Tuttavia, si scopre che il perseguimento di questo obiettivo ha anche profonde implicazioni per molti altri aspetti della vita, compresa la salute e il matrimonio. La religione può essere infatti intesa come il perseguimento di completo benessere umano: fisico, mentale, sociale e spirituale. La religione è sia la comunione con Dio che il ripristino di una completa integrità e benessere. L’evidenza suggerisce che può effettivamente può realizzare entrambe le cose».

L’epidemiologo di Harvard ha precisato, tuttavia, che questi benefici non si verificano in chi coltiva una spiritualità intimista, staccata dalla comunità religiosa, poiché «nel caso della stabilità del matrimonio, infatti, le comunità religiose possono fornire importanti insegnamenti sulla natura sacra del matrimonio e diventare un sostegno supplementare per famiglie e bambini, nonché offrire un senso di comunità con valori condivisi. Queste cose non necessariamente nascono nella spiritualità solitaria».

«Così», ha concluso il ricercatore, «per coloro che già si considerano religiosi, sia la frequenza al servizio religioso che la preghiera comune possono essere risorse vitali per rafforzare il matrimonio e la fiducia, e per promuovere una vita più felice, più sana e più piena».

La redazione

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Stigma sociale causa suicidi gay? Studio smascherato – debunked

“Lo stigma sociale aumenta il rischio di suicidi tra gay”, “Secondo uno studio le comunità anti-gay causano morte precoce alle persone Lgbt”. Sono questi alcuni dei titoli di giornale apparsi in Italia su uno studio americano secondo il quale le persone omosessuali che subiscono pregiudizi nelle loro comunità avrebbero una minor speranza di vita.

La ricerca, realizzata da Mark Hatzenbuehler della Columbia University (più volte impegnato in tematiche simili), è stata pubblicata nel 2014 sulla rivista Social Science & Medicine e, come si legge, si è trattata del primo studio peer-review che ha davvero indagato le eventuali conseguenze dell’omofobia.

Ma cosa succede se un altro ricercatore prova a riprodurre lo studio seguendo la stessa metodologia utilizzata? E’ ciò che è effettivamente avvenuto e il risultato lo ha riportato Naomi Schaefer Riley sul New York Post: «Il mese scorso, Mark Regnerus, professore presso UT Austin, ha pubblicato un articolo sulla rivista Social Science and Medicine», nel quale ha spiegato di aver «cercato per dieci volte di ottenere gli stessi risultati di Hatzenbuehler utilizzando gli stessi dati esatti, ma senza riuscirvi. Il che significa, ha concluso, che “lo studio originale è così sensibile alle soggettive decisioni di misura da doversi ritenere inaffidabile“». In particolare, la raccolta dei dati su cui si è basato l’autore dello studio originale aveva gravi carenze metodologiche (le domande poste non erano infatti le stesse ogni anno). Schaefer Riley ha anche ricordato che il prof. Regnerus è stato al centro di infuocate polemiche nel 2012 quando ha dimostrato le problematiche psico-fisiche dell’omogenitorialità ma, «nonostante le richieste di correzione, l’Università del Texas non ha trovato irregolarità». La ricerca non si basa sul principio d’autorità e, al di là delle prevedibili polemiche, nessuno ha mai smentito il suo studio su riviste scientifiche, come invece lui ha fatto con quello del prof. Hatzenbuehler.

La confutazione di questa ricerca da parte dello studioso americano è stata un duro colpo per gli attivisti Lgbt, come lo psichiatra Vittorio Lingiardi, che l’ha più volte citata. Anche perché, Hatzenbuehler, seppur concedendo che coloro che si oppongo al matrimonio omosessuale non hanno in realtà «voglia di ferire le persone», si è spinto a sostenere le nozze gay per combattere il presunto stigma sociale: «in una serie di studi che i miei colleghi ed io abbiamo condotto, abbiamo dimostrato che le politiche riguardo il matrimonio tra persone dello stesso sesso influenzano la salute mentale e fisica delle persone LGBT». Invece, niente da fare: «nessuno degli effetti dello stigma sociale sulla mortalità delle minoranze sessuali era statisticamente significativo», secondo la conclusione del prof. Regnerus. Altri studi hanno confutato l’esistenza dell’omofobia come fenomeno sociale.

Mentre l’indagine di Hatzenbuehler è stata ripresa e propagandata da tutto l’establishment mass-mediatico, alimentando il mare di disinformazione esistente attorno al tema dell’omosessualità, la sua confutazione da parte di Regnerus ha ricevuto, prevedibilmente, molta meno attenzione. Eppure non è certo la prima volta. Il caso più celebre è avvenuto nel 2015 quando, qualche mese dopo la pubblicazione sulla rivista Science del più grande studio “pro-gay”, uno degli autori ha accusato l’altro, Michael LaCour, di aver appositamente falsificato i dati per favorire la comunità omosessuale. Negli USA è stata definita come «una delle più grandi frodi scientifiche nella memoria recente».

Nel 2014 il dott. Delaney Skerrett ha guidato un team di ricercatori dell’Australian Institute for Suicide Research and Prevention (AISRAP), i quali hanno scoperto che una delle principali cause di suicidi tra lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali, non era affatto l’omofobia e lo stigma sociale, ma l’altissimo tasso di conflitti domestici con il rispettivo partner (decisamente più alto di quello relativo alle coppie uomo-donna). Secondo altri studi, infatti, le persone omosessuali affrontano tassi decisamente più elevati di violenza domestica rispetto agli eterosessuali e questa potrebbe essere la vera causa dell’alto tasso di suicidi e della vita qualitativamente peggiore purtroppo riscontrata in chi ha tendenze omosessuali. Nasconderlo è la vera discriminazione verso queste persone.

La redazione

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Femminicidio, il matrimonio è protezione per la donna


di David Quinn*
*giornalista dell’Irish Independent

da Mercatornet.org, 24/11/16

 

Recentemente si è tenuto un convegno a Dublino per cercare il modo di ridurre la violenza contro le donne e i bambini. Un problema che non potrà essere risolto se si continua a sostenere un collegamento con la struttura familiare.

La giornalista femminista Olivia O’Leary ha avvertito che «i valori della famiglia tradizionale nascondono una grande quantità di crudeltà». Questo è un argomento molto delicato, ma è lo stesso atteggiamento che ha portato le autorità inglesi di Rotherham e Rochdale a coprire la violenza sessuale e lo stupro di ragazze bianche, spesso minorenni, da parte di uomini soprattutto pakistani, a causa della paura di incorrere nell’accusa di incitamento al razzismo.

Ma entriamo nel merito e verifichiamo se vi è davvero un legame con la struttura familiare “tradizionale”. La tabella pubblicata qui sotto si basa sul sondaggio 2011-2012 National Survey of Children’s Health condotto dal National Center for Health Statistics negli Stati Uniti, che ha intervistato ben 95.677 genitori di bambini di età inferiore ai 17 anni.

 

Come fa notare questo articolo pubblicato dall’Institute for Family Studies, i risultati sono stati assolutamente chiari. Ai genitori è stato chiesto se il loro bambino avesse mai visto o sentito «i genitori, i tutori o altri adulti in casa schiaffeggiarsi, colpirsi e picchiarsi a vicenda». I bambini che vivono con una madre divorziata o separata avevano sette volte più probabilità di assistere a violenza domestica rispetto ai bambini che vivono con i loro due genitori biologici sposati. Se la madre non si è mai sposata, invece, il bambino aveva ancora sei volte più probabilità di assistere a violenza domestica rispetto ai bambini che vivono con i loro genitori biologici, sposati.

In altre parole, se siamo davvero preoccupati per la violenza domestica dobbiamo guardare la questione in modo equo e oggettivo, svolgendo una discussione corretta su di esso.

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Vita e famiglia, ecco le più recenti vittorie politiche nel mondo

Durante la nostra pausa invernale abbiamo inevitabilmente interrotto l’iniziativa di informare periodicamente i nostri lettori sulle vittorie politiche che i difensori della vita e della famiglia stanno ottenendo contro la cosiddetta “cultura dello scarto”. Cerchiamo di recuperare, mostrando le principali notizie arrivateci negli ultimi mesi.

 

In Colombia, è stata approvata dal Senato, nel dicembre scorso, la richiesta per un referendum sulle adozioni gay, così da opporsi alla dichiarazione favorevole da parte della Corte Costituzionale. Gli attivisti avrebbero dovuto raccogliere un minimo di 1,8 milioni di firme per presentare tale richiesta, obbiettivo che è stato abbondantemente superato. Ora il disegno di legge è passato alla Camera e dovrà essere approvato dal presidente e la Corte costituzionale.

In Svizzera, il cantone di Berna ha deciso di bandire la teoria gender dalle scuole, vietando tutti i temi legati alla “prospettiva gender” (secondo la quale il genere può essere contrapposto al sesso biologico) dalle strategie formative dei programmi scolastici che da quelli di formazione per i docenti.

Il Mississipi, in America, è diventato nell’aprile 2016 il quarto stato americano a vietare l’aborto tramite smembramento del feto umano (pratica tra le più utilizzate), grazie all’approvazione del disegno di legge al Senato (vinto per 40 a 6) e alla Camera (vinto per 83 a 33). Il governatore Phil Bryant ha posto la sua firma, imitando così i governatori del West Virginia, del Kansas e dell’Oklahoma.

In Romania in appena un mese e mezzo sono state raccolte circa 3 milioni di firme (il Paese conta 30 milioni di persone) per chiedere un emendamento costituzionale in cui venga protetta la famiglia naturale, intesa come l’unione tra un uomo e una donna. Nello scorso luglio, la Corte costituzionale rumena ha approvato la richiesta. Attualmente l’articolo 48.1 afferma che «La famiglia è fondata sul matrimonio liberamente scelto dai coniugi, la loro piena parità, così come il diritto e il dovere dei genitori di assicurare l’educazione, la cura e l’istruzione dei loro figli». La riformulazione ha lo scopo di eliminare il riferimento ai “coniugi”, sostituendolo con un riferimento specifico all’uomo e alla donna. La modifica costituzionale verrà discussa dal Parlamento e dovrà ottenere una maggioranza di tre quarti di esso in entrambe le camere.

In Sudafrica la Corte Suprema ha capovolto una sentenza “pro-eutanasia” dell’Alta Corte, negando la legalizzazione del suicidio assistito.

Nel Kentucky, in America, Kim Davies ha finalmente ottenuto giustizia: l’impiegata comunale era stata incarcerata per essersi rifiutata di inserire il suo nome sulle licenze di matrimonio alle coppie dello stesso sesso, dopo che la Corte Suprema ha ridefinito la famiglia a livello nazionale. Il governatore Matt Bevin ha finalmente firmato una legge che garantisce l’obiezione di coscienza degli impiegati assunti dalle contee statali e Kim può ora cantare vittoria.

In Kirghizistan, stato indipendente dell’Asia centrale, tramite un referendum popolare è stata introdotta nella Costituzione una specificazione per cui il matrimonio è solo ed esclusivamente l’«unione tra un uomo e una donna».

In Spagna, nella città di Valencia, il Tribunale Superiore di Giustizia ha rapidamente dichiarato inammissibile la denuncia nei confronti del card. Antonio Cañizares, arcivescovo della città, accusato da gruppi femministi e dalla comunità lgbt di “incitamento all’odio contro omossesuali e femministe” per aver criticato l’ideologia gender e una legge locale che consente ai minori di cambiar sesso anche senza l’autorizzazione dei genitori. I giudici non hanno ritenuto di procedere per «evitare di sottoporre una persona a un procedimento penale a seguito di denunce imprudenti e/o a seguito di fatti che non costituiscono evidentemente un reato penale».

Nell’Arkansas, la Corte Suprema ha emesso una sentenza con la quale ha deciso che i certificati di nascita dei bambini devono essere collegati alla parentela biologica, respingendo il caso sollevato da coppie omosessuali. Occorrerà dunque individuare la madre e il padre biologici del bambino.

In Brasile lo schieramento femminista, in alleanza con il Partito Comunista e quello dei Lavoratori (capeggiato da Dilma Rousseff), ha subito una forte battuta d’arresto vedendosi bloccato il tentativo di creare una Commissione parlamentare delle Donne, con la quale introdurre la teoria gender i cosiddetti “diritti sessuali e riproduttivi”, vale a dire l’aborto (il tutto mascherato dalla lotta alla discriminazione e alla violenza sulle donne). L’enorme associazionismo pro-life è riuscito non solo ad evitare che la Commissione delle Donne si occupi di aborto, ma anche che le misure relative allo stato dei nascituri siano affidate alla Commissione di Sicurezza sociale e famiglia, sottraendole così all’ideologia femminista.

In South Australia nel novembre scorso il parlamento ha respinto il Bill 2016 che avrebbe introdotto il suicidio assistito.

Il South Carolina, in America, a larga maggioranza ha approvato la proibizione dell’aborto oltre la 20° settimana (normalmente si praticava fino alla 28°), a meno che sia a rischio la vita della donna. Infatti, è stata dimostrata la presenza del dolore fetale, tanto che altri 13 Stati (Alabama, Arkansas, Indiana, Kansas, Louisiana, Mississippi, Nebraska, North Carolina, North Dakota, Oklahoma, Texas, West Virginia e Wisconsin) hanno aderito al restringimento della legge abortista.

In Lettonia, il ministro della Giustizia Dzintars Rasnacsha ha dichiarato che la la Convenzione di Istambul, sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, è inaccettabile poiché non è coerente con la sua legge fondamentale in quanto contiene la definizione di ‘genere’ e la sostituisce al concetto di ‘sesso’. La convenzione, infatti, obbliga i Paesi a condannare le discriminazioni non solo sulla base del sesso, ma anche sulla base del ‘genere’.

In Italia, il tribunale di Gorizia ha assolto una farmacista che si era rifiutata di consegnare ad una cliente il farmaco NORLEVO (la “pillola del giorno dopo”) nonostante l’esibizione di ricetta medica, riconoscendo il diritto di obiezione di coscienza.

La redazione

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Convivenza prematrimoniale e la lungimirante visione della Chiesa

FidanzatiPiù volte Papa Francesco si è soffermato sul matrimonio e sui fattori che cooperano alla crisi della sua istituzione: «Sono nuove forme, totalmente distruttive e limitative della grandezza dell’amore del matrimonio. Ci sono tante convivenze e separazioni e divorzi», ha spiegato nell’ottobre scorso.

La cultura dello scarto, di cui spesso parla, coinvolge anche la famiglia la quale «è non di rado fatta oggetto di scarto, a causa di una sempre più diffusa cultura individualista ed egoista che rescinde i legami e tende a favorire il drammatico fenomeno della denatalità, nonché di legislazioni che privilegiano diverse forme di convivenza piuttosto che sostenere adeguatamente la famiglia per il bene di tutta la società», ha avvisato nel gennaio 2015.

La convivenza è per ben due volte citata dal Papa come una forma limitativa dell’amore tra due persone, non è certo un giudizio che raccoglierà molti applausi: su molti quotidiani sono comparse inchieste sulla fine del matrimonio a discapito delle convivenze (dove oltretutto si spiega che è un problema di «incertezza esistenziale»). Francesco parla giustamente di «diverse forme di convivenza», le principali sono quella tra giovani fidanzati (che hanno poi magari l’intenzione di sposarsi in futuro) e quella tra adulti che invece non hanno intenzione di sposarsi. Oggi ci concentriamo sulla prima forma di convivenza, quella definita prematrimoniale: perché la Chiesa invita a rivedere questa scelta?

Lo ha ben spiegato il teologo padre Angelo Bellon: «il motivo principale per cui la convivenza prematrimoniale è sbagliata viene dal fatto che poggia sull’esperienza sessuale, che in se stessa è falsata prima del matrimonio. Ma è proprio l’esperienza sessuale non vissuta secondo Dio che è all’origine dell’insicurezza. Infatti non vi è un vero donarsi. Nei rapporti prematrimoniali e nella convivenza prematrimoniale ci si dona “limitatamente”. Vi è anche un altro fatto: i due, consegnandosi in fretta prima del tempo e in maniera sbagliata, non mettono le loro risorse nel costruire il vero edificio che rende sicuro il loro matrimonio. Parlo dell’edificio spirituale, fatto di condivisione di esperienza di fede e di vita, l’unico all’interno del quale si trova la vera sintonia, quella che fa amare l’altro perdutamente perché lo si sente proprio come la metà di se stesso».

Il giudizio di padre Angelo è chiaro e netto, come sempre, oltretutto trova conferma nelle indagini sociologiche. Si è scoperto, infatti, che «i coniugi che convivevano prima del matrimonio hanno dimostrato comportamenti più negativi e meno positivi di problem solving e di supporto reciproco rispetto ai coniugi che non convivevano prima di sposarsi». Un altro studio ha concluso: «le coppie che convivevano prima del matrimonio hanno riferito una qualità inferiore e un impegno minore nel loro matrimonio, una visione più individualistica (solo le mogli), e una maggiore probabilità di divorzio rispetto alle coppie che non convivevano». Una ricerca sul Journal of Family Issues ha rilevato: «L’idea che la convivenza migliora la selezione del partner e le formazione coniugale dev’essere respinta. La convivenza è negativamente correlata all’interazione coniugale e positivamente correlata al disaccordo coniugale, predisposizione per il divorzio e per la probabilità di divorzio».

Sono le donne, in particolare, a percepire ripercussioni più gravi: in Svezia i ricercatori hanno concluso: «i nostri risultati indicano che le donne che sono coinvolte in rapporti prematrimoniali hanno tassi di dissoluzione coniugale quasi dell’80% più elevati rispetto a coloro che non convivono». Lo stesso è stato verificato negli Stati Uniti: «abbiamo scoperto che la convivenza negli Stati Uniti è associata ad un maggior rischio di scioglimento». Su Demography è spiegato: «I risultati sono in linea con le ipotesi precedenti che suggeriscono che la convivenza è selettive di uomini e donne che sono meno impegnati nel loro matrimonio e più inclini al divorzio. I risultati sono in linea anche con la conclusione che le esperienze di convivenza aumentano significativamente l’accettazione del divorzio dei giovani». Sul Journal of Family Psychology è stato invece rilevato che «la continenza sessuale prima del matrimonio è stata associata con migliori risultati di relazione». Proprio recentemente una ricerca ha mostrato che le «coppie che vivono insieme prima del matrimonio hanno meno probabilità di sposarsi» in seguito.

Qualche mese fa anche Papa Francesco ha parlato del periodo del fidanzamento, confermando: «Dovremo forse impegnarci di più su questo punto, perché le nostre “coordinate sentimentali” sono andate un po’ in confusione. Chi pretende di volere tutto e subito, poi cede anche su tutto – e subito – alla prima difficoltà (o alla prima occasione). Non c’è speranza per la fiducia e la fedeltà del dono di sé, se prevale l’abitudine a consumare l’amore come una specie di “integratore” del benessere psico-fisico. Il fidanzamento è un percorso di vita che deve maturare come la frutta, è una strada di maturazione nell’amore, fino al momento che diventa matrimonio. Aspettare quel momento; è un momento, è un percorso che va lentamente avanti, ma è un percorso di maturazione. Le tappe del cammino non devono essere bruciate. La maturazione si fa così, passo a passo».

La redazione
(articolo inserito nell’archivio dedicato alla sessualità)

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