Nozze gay, nemmeno Adriano Sofri riesce a sostenerle con ragionevolezza

Adriano SofriCome dicevamo pochi giorni fa, dopo il referendum irlandese siamo costretti a sorbirci la prevedibile retorica degli epigoni di Mario Mieli, da Massimo Gramellini a Ferdinando Camon. Tra i primi a prendere la parola in Italia è stato Adriano Sofri, l’unico che ha saputo organizzare un discorso nonostante tutto sensato: il suo articolo su Repubblica è tuttavia colmo di classici luoghi comuni a sostegno del matrimonio omosessuale, per questo ci sembra utile offrire a lui e ai lettori una risposta.

Premettiamo che il giornalista di Repubblica parla di morale e di diritti dopo aver passato 22 anni di carcere per essere stato il mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi e uno dei responsabili del linciaggio mediatico contro di lui che ha incendiato l’opinione pubblica, umiliando Calabresi prima che venisse assassinato. Certo, le persone cambiano, Sofri ha pagato, ha chiesto perdono e ha ammesso le sue colpe, tuttavia bisognerebbe avere un po’ di prudenza prima di pontificare su argomenti morali, sopratutto guardando la propria biografia.

L’ex leader di Lotta Continua ha iniziato il suo articolo con il primo argomento, quello del “che male vi fa”: «C’è una differenza fra un valore perseguito per sé che si vuole imporre anche ad altri contro la loro volontà, e un valore cercato per sé che non tocca la libertà degli altri. Chi creda al matrimonio come un sacramento valido solo per la coppia di donna e uomo, resta libero di celebrarlo e viverlo, e non ha una vera ragione di sentirlo offeso dal fatto che altri abbiano scelto di dichiararsi ed essere riconosciuti sposati». Una tesi vecchia che si fa risorgere puntualmente, eppure già gli antichi greci sapevano che ogni legge ha una funzione pedagogica (fa costume, si dice) che va a modificare la società, con effetti anche verso chi è contrario ad essa. La ridefinizione del matrimonio (possibile soltanto modificando la Costituzione) va direttamente a minare le sue fondamenta essendo un’istituzione riconosciuta (nemmeno istituita!), come recita l’art. 29 della Costituzione, per stabilizzare la “famiglia naturale” in vista dell’arrivo dei figli (matrimonio deriva da matris, madre). Ecco cosa toglie il matrimonio omosessuale, come abbiamo già segnalato: toglie il significato e il fondamento giuridico del matrimonio e, dunque, la stabilità (non soltanto giuridica) della famiglia, che è anche quella intesa costituzionalmente.

Inoltre bisognerebbe ricordare a Sofri che se l’argomento pietistico del “che male vi fa?” fosse valido per permettere a chi vuole di sposarsi, allora bisognerebbe utilizzarlo anche per le coppie incestuose. Che male fanno agli altri? E che male fa, a chi non è d’accordo, ampliare il numero dei coniugi a 8, 29 o 35? Anche i gruppi poligamici, infatti, avrebbero diritto alle nozze se è valido l’argomento del “che male fa?”. Per non parlare di due semplici amici che vogliono beneficiare dei diritti del matrimonio, che male vi fanno se sono solamente amici? Ecco dunque una delle tante conseguenze della perdita giuridica dei fondamenti del matrimonio.

Il secondo argomento di Sofri è invocare un referendum anche in Italia, convinto che «senz’altro la “società civile” italiana è più avanzata della Chiesa cattolica», mentre quest’ultima è più avanzata nel «sentimento e nel trattamento nei confronti degli stranieri. La soluzione di compromesso sembrerebbe quella di stare con il papa sui migranti, contro sul matrimonio fra persone dello stesso sesso, con la libertà ultima di ciascuna donna sull’aborto, e così via». Come già detto, l’ex militante di Lotta continua non sembra la persona più indicata per spiegare all’Italia dove la Chiesa cattolica è moralmente avanzata o arretrata, inoltre, dichiarandosi ateo, dovrebbe prima giustificare l’origine del suo concetto di “bene”, “male” e “avanzato” (rispetto a cosa? Rispetto a quale assoluto?), impossibile in un paradigma relativista. In ogni caso, secondo una recente indagine, gli italiani sono maggiormente contrari alle unioni civili, figuriamoci al matrimonio omosessuale.

Il terzo e ultimo argomento di Adriano Sofri è cercare di confutare la posizione di chi è contrario al matrimonio gay, affermando che «a qualunque sesso e sessualità si appartenga si è favorevoli -cioè non ci si oppone- al matrimonio fra due persone perché si riconosce la bellezza e la serietà del loro reciproco desiderio. Ma il matrimonio, obiettano ancora i portavoce autorevoli dell’ortodossia cattolica, dipende dalla sua “naturale” destinazione generativa, inibita per sempre alla coppia omosessuale: se così fosse, daremmo per fallito e maledetto il matrimonio eterosessuale infecondo». Per quanto riguarda la prima affermazione, se la bellezza e la serietà della coppia sono i criteri per accettare il matrimonio di chiunque lo richieda, ritorna la solita obiezione: con quale giustificazione, allora, negarlo a un padre e un figlio amanti? O ad una madre e suo figlio? O alla nonna con il nipote? E con quale argomentazione discriminatoria, se si resta sul piano di Sofri, permettere il matrimonio a due sole persone? Forse cinque amanti desiderosi di sposarsi non sono belli e seri, secondo i criteri utilizzati da Sofri?

Infine, cade anche l’obiezione che le coppie sterili eterosessuali dimostrerebbero che il matrimonio non è istituito ai fini della genitorialità: come abbiamo già rilevato, mentre le relazioni omosessuali sono essenzialmente sterili, alcuni rapporti eterosessuali sono solo accidentalmente sterili a causa di una patologia, un’eccezione alla regola. Le coppie eterosessuali sterili rimangono potenzialmente procreative, al contrario delle coppie omosessuali: ecco perché la patologia di alcune coppie eterosessuali non può pregiudicare in alcun modo il significato del matrimonio contratto nella normalità e nella sanità fisica dei due coniugi.

Ancora una volta verifichiamo che non esiste alcuna tesi ragionevole a sostegno del matrimonio omosessuale, proprio per questo le associazioni Lgbt puntano quasi solamente su argomentazioni sentimentalistiche come “loveislove” e “viva l’uguaglianza”, senza mai entrare nel merito dei loro convincimenti. Legittimo ma inefficace verso chi riesce ancora a ragionare autonomamente senza accodarsi al pensiero comune.

La redazione

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Cari irlandesi, non illudetevi: le unioni gay rimangono eticamente contro l’uomo

Referendum irlandaCome prevedibile, al referendum irlandese per stabilire se i matrimoni tra due persone dello stesso sesso debbano o meno essere inseriti nella carta costituzionale, hanno vinto i “si”. Ora assisteremo per qualche giorno alla solita retorica della “vittoria del progresso contro l’oscurantismo”, così come è avvenuto dopo la legalizzazione in Francia. Almeno prima che si verificasse il boom di divorzi delle coppie gay sposatesi in quell’occasione e arrivassero dati e statistiche subito nascoste dai promotori delle campagne Lgbt.

In Irlanda era facile immaginarlo data la violenta spinta lobbystica organizzata nelle settimane precedenti. Tutti i principali uomini di spettacolo (che fanno sempre grande presa sul popolo) e i media internazionali, anche italiani, si sono apertamente schierati a favore del “si”. Ancora in queste ore stanno ripetendo che è il primo referendum su questa tematiche dimenticando che due anni fa lo stesso referendum in Croazia ha visto la netta vittoria dei difensori del matrimonio e della famiglia. Inoltre, la voce della Chiesa, l’autorità principale del Paese, si è lei stessa resa debole a causa del grosso e vergognoso scandalo dei preti pedofili e delle coperture da parte di alte autorità ecclesiali.

Si è scoperto anche che il miliardario irlandese-americano Chuck Feeney e la sua agenzia Atlantic Philantropies ha investito milioni di dollari per organizzare la campagna pro-Lgbt e “comprare” il voto: «denaro straniero sistematicamente investito per cambiare l’opinione pubblica, per far votare ‘sì’ in un referendum che ha enormi conseguenze per il diritto familiare e le future generazioni», è stato rilevato. Breda O’Brien sull’Irish Time ha affermato che l’Atlantic Philantropies si trasformata in una «macchina di lobbyng professionale che lavora a tempo pieno» per la l’associazionismo gay.

Il quotidiano online Irish Central ha documentato il violento fascismo dei promotori del “si” e delle associazioni omosessuali, con manifesti contrari alla ridefinizione del matrimonio «deturpati e abbattuti dai giovani assaltatori del “vota sì” in tutto il paese)». La campagna dei sostenitori Lgbt è stata organizzata “contro” i difensori del matrimonio, insultandoli e intimidendoli (come avviene già da tempo in Italia). In questo modo, molti indecisi «si sono sentiti intimiditi e hanno iniziato a tenere le loro opinioni per se stessi. Non desiderano essere vittime di bullismo o che le preoccupazioni che avevano sul matrimonio tra persone dello stesso sesso vengano liquidate come bigotte, una sciocchezza primitiva.  Le stesse violenze sono state raccontate dall’ateo Brendan O’Neill, il quale ha parlato di «soffocamento della libertà d’espressione» per chi è contrario ai matrimoni gay, con tanto di minacce e pubblici insulti.

Il fascismo LGBT è stato condannato anche dallo scrittore irlandese John Waters sull’Independent in cui ha raccontato «i lanci di uova e le molestie contro un hotel di Galway, continuate finché non ha cancellato una conferenza contro l’emendamento». A Tempi Waters ha rivelato: «Questi sviluppi recenti sono il frutto di un potere politico e culturale crescente influenzato dalla lobby Lgbt, sia in Irlanda sia a livello globale. Affermano che quello che sta accadendo è qualcosa che nasce dalla società, ma in realtà viene imposto mediante le loro intimidazioni, le loro bugie, la manipolazione dei media e della politica e il silenzio a cui costringono le persone. Quando si agitavano per la legalizzazione delle unioni civili, insistevano sul fatto che si trattava solo di ottenere diritti come quello alla successione ereditaria e alla proprietà, e che non avevano alcuna intenzione di richiedere il matrimonio o l’adozione. E non appena le unioni civili sono state legalizzate, praticamente il giorno successivo, hanno cominciato a chiedere: “Perché allora non possiamo anche sposarci e avere figli?». Ed infatti è un avvertimento anche per chi anche in Italia è a favore delle unioni civili ma non al matrimonio omosessuale: è invece soltanto il primo passo che, come dimostrano tutti i Paesi in cui sono state legalizzate le nozze gay, porta direttamente al matrimonio e all’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali.

Per non parlare della corruzione delle parole: le campagne Lgbt sono sempre caratterizzate da parole come “amore”, “libertà”, “cosa c’è di male?”, “progresso”, le stesse che veniva utilizzate fino a pochi anni fa per sostenere l’eugenetica, accettata ovunque e insegnata nelle migliori università dell’Occidente (tranne l’Italia, come sempre). «Sfortunatamente non è più possibile, in questo contesto, parlare del significato delle parole», ha continuato Waters. «La lobby Lgbt ha letteralmente corrotto ogni parola che possa ostacolare il suo obiettivo, non solo la parola “matrimonio” ma anche “uguaglianza”, “discriminazione”, “libertà”, e sì, anche “amore”». Non a caso Papa Francesco ha scelto di denunciare tale fenomeno come «colonizzazione ideologica che cerca di distruggere la famiglia» tramite la «ridefinizione dell’istituzione del matrimonio».

Insomma una vittoria comprata con il denaro, frutto di intimidazioni, violenza, fascismo e corruzione delle parole. Ma è pur sempre una vittoria e va accettata. Molti si sono spesi per far capire a livello giuridico e sociale quanto fosse deleterio per la società e per la famiglia la ridefinizione del matrimonio, come ha fatto pochi giorni fa il laico magistrato Geremia Casaburi della Corte di appello di Napoli, esperto di tematiche familiari: «Il “matrimonio per tutti”, tanto per usare una formula alla francese, svilisce il matrimonio di tutti».

Dal punto di vista morale, infine, non vorremmo che gli irlandesi credessero davvero che legalizzando qualcosa automaticamente la si renda eticamente e moralmente accettabile: il matrimonio omosessuale legittima pubblicamente un’unione sentimentale deleteria per le stesse persone protagoniste della coppia (lo stesso vale e varrebbe per le unioni incestuose o poligamiche), che vivono un’affettività disordinata rispetto al loro bene e alla loro natura umana. La persona omosessuale va sempre accolta con rispetto e affetto, l’omosessualità non è né un peccato né una malattia da curare. Il problema sono i rapporti omosessuali poiché manifestano e amplificano la contraddizione tra il dato psicologico e l’orientamento biologico/anatomico della persona, che non può essere annullato o ignorato. Questo disordine tra mente e corporeità è un ostacolo alla realizzazione della persona e della sua vera felicità, come spesso ci viene testimoniato da chi vive queste tendenze. Il problema si complica ancora di più quando la coppia pretende di poter crescere un bambino, rendendolo orfano di padre o madre e censurando il confronto con la diversità sessuale, e per soddisfare questa pretesa, è costretta ad acquistare il corpo di una povera donna del Terzo mondo (utero in affitto o maternità surrogata) per poterle poi strappare dalle mani il concepito che ha portato nel grembo per nove mesi. La compravendita di bambini e l’uso della donna come incubatrice.

Dal punto di vista cristiano, evidentemente, le unioni omosessuali violano la volontà di Dio di crearci maschi e femmine e di donare all’uomo la compagnia della donna, e alla donna la compagnia dell’uomo perché fossero una cosa sola nel cammino della vita. Come ha spiegato Papa Francesco, «La Chiesa offre una concezione della famiglia, che è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità. In questa realtà riconosciamo un bene per tutti, la prima società naturale, come recepito anche nella Costituzione della Repubblica Italiana». E ancora: «Il matrimonio consacrato da Dio custodisce quel legame tra l’uomo e la donna che Dio ha benedetto fin dalla creazione del mondo; ed è fonte di pace e di bene per l’intera vita coniugale e familiare».

Ecco, cari militanti irlandesi e cari amici gay: esultate pure, intimate e insultate pure fino allo sfinimento chi non la pensa come voi. Ma non illudetevi di agire per il vostro bene e per il bene della nostra e vostra società. Noi abbiamo cercato e stiamo cercando di farvelo capire.

La redazione

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Dopo aver distrutto la famiglia ora l’Europa vuole più bambini

InvecchiamentoE’ sorprendente leggere un articolo di qualche settimana fa pubblicato sul New York Times nel quale si spiega che la “Sex and Society”, un gruppo no-profit che si occupa dell’educazione sessuale in Danimarca, intende cambiare i suoi programmi dando più spazio «ai metodi per rimanere incinta, parlando della gravidanza in una luce più positiva». «”Per molti, molti anni, abbiamo parlato solo di sesso sicuro, di come prevenire la gravidanza”, ha detto Marianne Lomholt, direttore nazionale di Sex and Society. “Improvvisamente abbiamo pensato che forse dovremmo in realtà spiegare anche come si rimane incinta”».

Questo improvviso incremento del quoziente intellettivo del direttore di Sex and Society rivela in realtà una scomoda verità: effettivamente dagli anni ’60 in poi la gravidanza è stata pesantemente osteggiata dall’ideologia femminista e dal mondo mediatico sempre più secolarizzato, così come la stessa maternità. La diffusione e la regolamentazione delle pratiche abortive è una diretta conseguenza (le leggi che hanno regolamentato l’aborto sono tutte immediatamente successive alla fine degli anni ’60) di questa intolleranza verso la figura materna che impedirebbe alla donna la sua libertà, la sua autonomia. Oggi esistono addirittura gruppi di orgogliosi child-free (adulti senza bambini), ai quali vengono riservati voli in aeroplano e cene al ristorante. Parallelamente tutta la famiglia è finita sotto attacco tramite le leggi sul divorzio (anch’esse tra gli anni 60 e gli anni 70), il matrimonio ha sempre più perso di stabilità e di valore e nel tempo è stato quasi completamente sostituito dalle diverse forme di convivenza.

Gli uomini hanno iniziato ad avere paura e a fuggire dalle responsabilità, responsabilità verso i figli, verso il proprio partner e verso la definitività del matrimonio. Qual è stata l’immediata conseguenza? Il crollo demografico che ha portato alla crisi economica, come prosegue l’articolo sul principale quotidiano americano: «La Danimarca, come diversi paesi europei, sta soffrendo per la bassa natalità. Ci sono 28 europei di 65 anni o più per ogni 100 residenti di età 20-64, quasi il doppio della media mondiale. Entro la fine del secolo, le Nazioni Unite si aspettano che il dato europeo di raddoppi» In Danimarca, in particolare, «il tasso di natalità è al di sotto del cosiddetto tasso di sostituzione, necessario per far evitare il declino ad una popolazione. Tali tendenze trasformano le società, riducendo potenzialmente la crescita economica e aumentando lo stress sui sistemi pensionistici pubblici che richiedono cure per i più anziani. Il Giappone affronta già questa situazione a causa delle vendite di pannolini per anziani che stanno surclassando quelle per i pannolini dei bambini».

I bambini portano sulle spalle anche altre conseguenze, come ha spiegato l’economista Nicholas Eberstadt sul Wall Street Journal: «L’impatto deleterio sui bambini dalla caduta della famiglia è chiaro. Così anche il ruolo dannoso del divorzio e della loro crescita con genitori al fuori dal matrimonio, aggravando disparità di reddito e di ricchezza».

Qualcosa è andato evidentemente storto nel nostro progetto laico e secolarizzato, per anni abbiamo voluto massacrare la famiglia pensando che l’autoaffermazione di noi stessi, la ricerca dell’autonomia assoluta e la mancanza dell’onere e degli obblighi della responsabilità ci potesse rendere finalmente felici. In realtà abbiamo soltanto reso i rapporti personali più fragili e corrotti, ci siamo ritrovati individualisti ed egoisti e abbiamo trasformato l’Occidente in un vecchio, depresso e stanco arnese sull’orlo del declino e pronto per essere colonizzato. Qualcuno comincia ad accorgersene anche, se purtroppo, sembra essere troppo tardi.

 

Avviso importante:

Ricordiamo che domani, sabato 23 maggio 2015, in 100 piazze d’Italia tornano a manifestare silenziosamente e rispettosamente le Sentinelle in Piedi. Nel loro sito web si possono trovare indicazioni precise per chi volesse partecipare, qui sotto il video di invito alla veglia di domani.

La redazione

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Convivenza? Il matrimonio è una sicurezza per figli e genitori

MatrimonioI giovani hanno meno probabilità di essere vittime di reato se vivono con due genitori piuttosto che in famiglie monoparentali, ha rilevato il National Crime Victimization Survey. Crescere con i due genitori biologici è il contesto migliore per la crescita dei bambini, è un riscontro comune della letteratura scientifica come abbiamo mostrato nel nostro apposito dossier.

Tuttavia è stato dimostrato che anche quando le famiglie vivono in quartieri a rischio, i bambini in famiglie con due genitori sposati hanno meno probabilità di essere esposti a crimini violenti rispetto ai bambini di genitori non sposati o divorziati. In particolare, per ogni 1.000 bambini in famiglie con genitori sposati 36 hanno assistito o subito violenze. Al contrario, tra i bambini che vivono con una madre non sposata, il tasso di esposizione a crimini violenti era quasi tre volte superiore: 102 bambini su 1.000. Tra i bambini che vivono con madre separata o divorziata, il tasso di esposizione è stato più che doppio rispetto a quello per i figli di genitori sposati: 89 bambini su 1.000.

Si potrebbe pensare che l’assenza di un maschio adulto in casa a proteggere la famiglia sia la chiave per spiegare questi alti tassi di vittimizzazione nelle famiglie monoparentali. Eppure, i bambini che vivono con un genitore biologico e un genitore acquisito hanno anch’essi mostrato un tasso elevato di esposizione alla violenza: 84 bambini su 1.000. Lo stesso dicasi per i bambini che vivono con entrambi i genitori biologici che sono conviventi e non sposati: 60 bambini su 1000. Lo psicologo Nicholas Zill ha spiegato questi dati concludendo che «molte madri compiono grossi sacrifici personali per garantire che i loro figli non diventino vittime della criminalità. E la maggior parte sicuramente ci riesce. Ma i dati dell’indagine mostrano che la migliore forma di sicurezza domestica per i bambini è un matrimonio stabile».

Secondo uno studio del 2013, inoltre, quasi nove su dieci bambini nati da genitori conviventi hanno la probabilità di veder divisa la loro famiglia all’età di 16 anni, mentre la metà di loro non vivrà con entrambi i genitori naturali quando raggiungeranno l’adolescenza. Nel 2013 solo il 9% dei bambini nati da coppie conviventi avrà ancora i loro genitori che vivranno insieme quando ne avranno 16.

Ma il matrimonio non è un bene soltanto per i bambini, ma anche per gli stessi genitori. Sul “Journal of Marriage and Family Study” è stato mostrato infatti che le coppie conviventi hanno dalle quattro alle otto volte più probabilità di interrompere il loro rapporto rispetto a coloro che sono sposati. Ma -secondo un altro studio– anche una volta sposati, coloro che hanno convissuto prima del matrimonio hanno più probabilità di separarsi o divorziare (il 33% in più, in particolare) rispetto a chi non ha convissuto.

Un altro studio ancora ha mostrato che gli uomini conviventi tendono a guadagnare meno soldi rispetto ai loro omologhi sposati e questi ultimi, una volta raggiunta l’età del prepensionamento, si è rilevato che hanno prodotto più ricchezza di coloro che hanno convissuto (il 78% in più). Lo stesso è stato rilevato da un altro studio per quanto riguarda le donne. Infine, le persone conviventi hanno riportato maggiori elevati livelli di depressione rispetto a quelle sposate, secondo una ricerca. Infine, un altro studio, ha evidenziato che gli individui conviventi avevano tre volte più probabilità di relazione tra loro e problemi di consumo di alcol rispetto alle persone sposate e il 25% di probabilità in più rispetto alle persone single che non convivono.

Ecco alcune ragioni “laiche” a sostegno della posizione della Chiesa, come ha ricordato Papa Francesco: «Nel nostro tempo il matrimonio e la famiglia sono in crisi. Viviamo in una cultura del provvisorio, in cui sempre più persone rinunciano al matrimonio come impegno pubblico. Questa rivoluzione nei costumi e nella morale ha spesso sventolato la “bandiera della libertà”, ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani, specialmente ai più vulnerabili. È sempre più evidente che il declino della cultura del matrimonio è associato a un aumento di povertà e a una serie di numerosi altri problemi sociali che colpiscono in misura sproporzionata le donne, i bambini e gli anziani. E sono sempre loro a soffrire di più, in questa crisi».

La redazione

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Alberto Melloni e le controverse tesi del progressismo cattolico

MatrimonioIl progressismo è stato definito da Papa Francesco come la «tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio». Cedere al «progressismo adolescente», ha affermato ancora, significa seguire i valori più accattivanti proposti dalla cultura dominante.

In Italia il “progressisimo cattolico” è incarnato dai cosiddetti martiniani, i figli spirituali del card. Carlo Maria Martini. Dipendenti dall’approvazione del mondo, facevano i leoni del dissenso durante il pontificato di Benedetto XVI mentre con Francesco si guardano bene dal manifestare qualunque critica. Eppure di mal di pancia ne hanno parecchi, basti pensare alla lontananza di vedute, ancora una volta, sui temi bioetici tra loro e il Santo Padre. Abbiamo già fatto l’esempio concreto di come Francesco guardi con ammirazione il coraggio di Paolo VI di chiudere violentemente la porta ad aborto e metodi contraccettivi con l’enciclica “Humanae Vitae”. Documento da sempre osteggiato dai martiniani (card. Martini compreso).

Altri due martiniani di ferro sono lo storico Alberto Melloni e il vaticanista del “Corriere” Luigi Accattoli, il primo autore del libro “Amore senza fine, amore senza fini” (Il Mulino 2015) e l’altro recensore del libro sul quotidiano per cui scrive. La tesi di Melloni, come si evince dalla recensione estasiata di Accattoli, è sinteticamente questa: il mondo oggi fatica ad accogliere la proposta dottrinale della Chiesa sul matrimonio? Allora è la Chiesa che deve cambiare la dottrina. Il che ricorda molto l’appunto di Papa Francesco: «il progressismo è la tentazione di scendere dalla croce per accontentare la gente».

Oggi, scrive Melloni, in una coppia prima viene la «consumazione» del rapporto, cui segue la convivenza e infine il figlio, dopo l’arrivo del quale si va allo «sposalizio solenne», che imita in tutto quello cristiano, “tranne” nel fatto che arriva per ultimo, mentre prima veniva per primo e legittimava il resto. Per questo lo storico chiama alla necessità di «pensare la sponsalità fuori dal regime di cristianità»: le Chiese lo dovrebbero fare prendendo atto che il regime cristiano non esiste più («siamo indietro di duecento anni» disse il cardinale Martini). C’è un equivoco però: il bene proposto dal cristianesimo al mondo è tale soltanto se si è all’interno di una società cristiana? No, la Chiesa propone uno specifico percorso ai fidanzati cristiani perché ritiene che sia un bene per la loro vita, indipendentemente dal consenso che ottiene tale proposta nel mondo o nella società in cui viene attuata. Essa rimane valida indipendentemente dal fatto che il “regime cristiano” non ci sia più o che a causa della perdita dei valori la porta, citando il Vangelo, si sia fatta molto più stretta per chi decide di vivere seriamente il proprio percorso.

Ne ha parlato proprio Papa Francesco domenica scorsa ai giovani napoletani, ricordando però che la famiglia è in crisi anche perché è sotto attacco: «ci sono le colonizzazioni ideologiche sulle famiglie, modalità e proposte che ci sono in Europa e vengono anche da Oltreoceano Poi quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender, che crea tanta confusione. Così la famiglia è sotto attacco». Melloni ha la stessa lettura della realtà sociale del Santo Padre, il quale ha spiegato: «La famiglia è in crisi: questo è vero, non è una novità. I giovani non vogliono sposarsi, preferiscono convivere, tranquilli e senza compromessi; poi, se viene un figlio si sposeranno per forza». La diagnosi è identica, è la risposta a cambiare: Francesco invita a curare maggiormente la preparazione al matrimonio dei fidanzati e ha chiesto a questi ultimi di accostarsi al matrimonio concentrandosi sul sacramento e non su tutto il contorno (la tradizione, il vestito ecc.): «Tu che vieni a sposarti, lo fai perché davvero vuoi ricevere dal tuo fidanzato e dalla tua fidanzata il Sacramento, o tu vieni perché socialmente si deve fare così? Ma dimmi: con che fede ti sposi?».

Ma è andato anche oltre indicando nella «testimonianza dell’amore» degli sposi cristiani davanti al mondo la soluzione dei problemi. «Così bisogna vivere la vita matrimoniale e questo si fa con la preghiera, molta preghiera e con la testimonianza, affinché l’amore non si spenga. La famiglia è in crisi, e non è facile dare una risposta, tuttavia occorrono la testimonianza e la preghiera». Il Sinodo sulla Famiglia è nato anche per trovare risposte sul come uscire da questa crisi.

Il poco feeling tra Alberto Melloni e il pontefice argentino è emerso sul Concilio Vaticano II, come ha rilevato Sandro Magister. Per non parlare del divertente episodio sulla “Marcia per la Vita”: nel maggio 2012 lo storico bolognese l’ha definita così: «Più che una iniziativa di stampo cattolico mi pare soprattutto una trovata dal sapore politico. Con la Chiesa questa marcia ha ben poco a che fare». Pochi mesi dopo Papa Francesco non solo ha “benedetto” i partecipanti, non solo ha invitato tutti ad imitarli nella difesa della vita, ma è anche intervenuto politicamente a sostegno del riconoscimento giuridico dell’embrione, intrattenendosi assieme ai promotori dell’iniziativa. Così ha fatto nel 2014 e nel 2015, proprio sabato scorso ha inviato il suo sostegno anche alla Marcia per la Vita svoltasi in Perù.

«Lo spirito della mondanità che anche oggi ci porta a questa voglia di essere progressisti, al pensiero unico», ha detto qualche tempo fa. Coloro che dicono: «Non ci chiudiamo. Siamo progressisti» stanno vivendo «lo spirito del progressismo adolescente» secondo il quale, davanti a qualsiasi scelta, si pensa che sia giusto andare comunque avanti piuttosto che restare fedeli alle proprie tradizioni. «Si pensa che «dobbiamo essere come tutti, dobbiamo essere più normali, come fanno tutti, con questo progressismo adolescente». E lo «spirito di mondanità ci porta all’apostasia».

La redazione

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Il 54% dei divorziati pentito della decisione, bastava più tempo per pensarci

Divorzio In principio c’era il mito del divorzio come una liberazione per genitori e figli. Dopo milioni di separazioni si è scoperto che per i genitori il trauma del fallimento della loro vita matrimoniale è una cicatrice indelebile e per i figli è fonte di infiniti disturbi e gravi ripercussioni sociali (povertà, basso livello di istruzione ecc.).

I risultati sono però stati accolti spiegando che sarebbe meno peggio per i bambini che i loro infelici genitori si separino, piuttosto che sforzarsi di vivere assieme continuando a litigare. Ma numerosi ricercatori, come B.D. Whitehead della Rutgers University e altri, hanno dimostrato che per i bambini il divorzio e la permanenza in una “nuova famiglia” è in realtà molto peggio del vivere in una casa infelice: in molti di questi matrimoni, infatti, segnati da insoddisfazione coniugale, straniamento emotivo ed incomprensione reciproca, i due adulti sacrificano alcuni dei loro interessi al fine di preservare la stabilità della casa e la cura necessaria per la loro prole e si rileva un effettivo sforzo di migliorare il loro matrimonio per il bene dei figli, riuscendoci in molti casi e ritrovando l’armonia e il sentimento di amore verso il coniuge. L’amore per i figli spinge i genitori a cambiare anche i pregiudizi dell’uno verso l’altro.

Oggi invece si è arrivati a parlare di divorzio breve, cioè di accelerare i tempi nel veder fallito il proprio principale progetto di vita comune. Due giorni fa il ddl è arrivato in Senato ma il fronte del “no” è ampio, favorevoli solo M5S e Sel mentre il PD ha venti senatori contrari, coordinati dal vicepresidente Stefano Lepri. I sostenitori parlano anche in questo caso si tratterebbe di conquista storica. La Chiesa non la pensa così (e nonostante questo è la prima ad aiutare i genitori divorziati a ricostruire la loro vita), è infatti intervenuta tramite il segretario della Cei mons. Nunzio Galantino dopo l’approvazione da parte della Camera del divorzio breve: «non darà nessun contributo. Non credo si possa parlare di conquista, tanto meno definirla storica. Una accelerazione per quel che riguarda il divorzio non fa che consentire una deriva culturale. Togliere spazio alla riflessione non risolverà. Il matrimonio e la famiglia restano il fondamento della nostra società. La fretta non porterà da nessuna parte». Parole chiare, nette, eppure c’è chi è convinto che la chiesa di Francesco abbia rinunciato ad intervenire nel dibattito politico sui temi eticamente sensibili.

Come sempre la realtà da ragione alla visione della Chiesa: uno studio inglese ha infatti rilevato che il 54% dei divorziati vive con grossi rimpianti la rottura, una volta che si sono calmate le acqua, sperimentando ripensamenti sul fatto di aver preso la decisione giusta. Molti si sono accorti di amare ancora il loro ex-partner, il 42% di questi ha provato a ricostruire il rapporto e il 21% è riuscito a tornare assieme alla persona con cui aveva divorziato. Uno su cinque ha avuto rimpianti fin da subito, il 19% invece entro una settimana. Altri hanno ammesso di voler ricominciare soltanto dopo l’ufficialità del divorzio, soprattutto mentre gli avvocati dividevano i beni, simbolo concreto di una vita trascorsa l’uno a fianco dell’altra.

Indietro comunque non si può purtroppo tornare, il divorzio ha indebolito indelebilmente la famiglia, il matrimonio e i rapporti tra le persone trasformandoli in situazioni temporanee: “finché dura”.  Il divorzio breve peggiora ancora di più le cose, negando perfino un periodo di attesa tra la decisione di divorziare e l’effettiva separazione che, invece, lascia ai coniugi il tempo di riflettere maggiormente sulla decisione. Oggi sappiamo che se seguiranno la loro arrabbiatura, metà delle volte si pentiranno e vorranno tornare indietro. Ma sarà troppo tardi.

La redazione

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Se “love is love” come rifiutare il matrimonio poligamico?

PoligamiaSi sostiene il matrimonio omosessuale parlando di discriminazione verso una relazione romantica basata sul reciproco consenso (love is love). Lo stesso si può dire anche di un gruppo poligamico. Se si apre alla nozze gay non si può più chiudere a nessuno e si distruggono le fondamenta del matrimonio.

 
 
 

Due anni fa lanciavamo una provocazione ai sostenitori delle nozze gay.

Se è sufficiente una relazione romantica, basata sul consenso reciproco, per essere riconosciuti come coppia da parte dello Stato, con che diritto si dovrebbe dire “sì” a due omosessuali e “no” ad un padre e ad un figlio (maggiorenne o minorenne) che intendono veder riconosciuta la loro relazione romantica-sessuale, godendo dei conseguenti privilegi?

Non è forse anch’essa una distinzione e dunque una discriminazione?

E con quali argomenti limitare il numero a “due”?

Forse “l’amore” che lega sei (o trentaquattro, perché mettere limiti discriminatori?) persone vale meno di quello di due omosessuali? Perché discriminare i gruppi amorosi vietando loro il matrimonio poligamico?

 

Il matrimonio poligamico avanza al pari delle nozze gay.

Affermazioni assurde? Non proprio, esattamente un anno fa Ugo Ruffolo, ordinario di Diritto Civile presso l’Università di Bologna, condivise la stessa preoccupazione: «Se il matrimonio (o il patto di convivenza) diventa “pour tous”, eliminando le discriminazioni per sesso, perché allora resta limitato solo alle “coppie”, mantenendo invece la discriminazione per numero?», si è domandato.

«La disciplina prossima ventura delle unioni di fatto rischia dunque d’essere, in prospettiva, il cavallo di Troia per rivendicare la legalizzazione di unioni anche poligamiche?», ha chiesto il giurista. «Potrà sembrarci retrogrado ed antistorico, ma non sarà facile, in lungo periodo, negarne la estensione alle tante famiglie poligamiche immigrate, le quali volessero essere da noi giuridicamente regolate, almeno, come «famiglie di fatto».

Il giudice federale dello Utah, Clark Waddoups, ha infatti scelto la coerenza abrogando alcune norme che proibivano la poligamia nello stato.

Il “New York Times” ha spiegato che la battaglia per il riconoscimento legale della poligamia non è infatti così diverso da quella per il riconoscimento dei matrimoni gay.

A forza di “diritti civili” siamo arrivati alla poligamia, ha spiegato Mario Giordano, una volta distrutte le fondamenta del matrimonio non c’è più nessuna ragione valida per limitarne l’accesso a qualunque tipo di unione tra uomini.

Se limitare è discriminatorio  (vietato vietare insegnano i sessantottini), allora non si dovrebbe limitare più nulla: in Norvegia, infatti, le nozze gay sono legalizzate da tempo ed è stato il partito del Progresso, formazione di destra, a chiedere che la poligamia venga anch’essa legalizzata attraverso «una legge neutrale che affermi che ognuno può sposare chiunque voglia e quante persone voglia».

 

Se si “apre” alle nozze gay poi “entrano” tutti.

Ricordiamo anche che l’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), istituito all’interno del Dipartimento per le Pari Opportunità) ha pubblicato le direttive del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa in cui si invitano gli Stati membri ad abrogare «qualsiasi legislazione discriminatoria ai sensi della quale sia considerato reato penale il rapporto sessuale tra adulti consenzienti dello stesso sesso, ivi comprese le disposizioni che stabiliscono una distinzione tra l’età del consenso per gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso e tra eterosessuali».

Il delegato d’aula del Movimento 5 stelle, Carlo Sibilia, ha invece proposto, oltre al matrimonio omosessuale, anche la discussione «di una legge che dia la possibilità di contrarre matrimonio (o unioni civili) anche tra specie diverse purché consenzienti».

In tutto questo c’è una coerenza ultima: se il matrimonio viene concepito come un contratto privato tra soggetti consenzienti legati da una relazione romantica, chi e con quali argomenti si potrà vietare di riconoscere la poligamia, l’incesto, la pederastia (a patto che lo psicologo accerti la maturità di intenzioni del minore, come avviene già per i minorenni che chiedono l’eutanasia in Belgio) e la zooerastia (quando gli animalisti riusciranno a far definire gli scimpanzé persone legali)?

 

Attacco alle fondamenta del matrimonio.

Ancor di più si capisce che “difendere la famiglia” significa proteggere le fondamenta giuridiche del matrimonio.

Come ha ricordato la docente di Diritto pubblico presso l’Università di Rennes, Anne-Marie Le Pourhiet, lo scopo dell’istituzione legale del matrimonio è quello di «garantire la stabilità della coppia e la tutela della loro prole».

Allo Stato interessa la stabilità della coppia perché si crei un luogo equilibrato e adeguato per la crescita di un nuovo cittadino. Questo è  l’unico senso giuridico del matrimonio, il resto è un attacco alla sua stabilità giuridica creando un danno all’intera società.

Ha quindi aggiunto, la giurista: «La pretesa della lobby gay tende a distorcere la definizione del matrimonio per fargli perdere il suo significato e la sua funzione. L’amore non ha nulla a che fare con il codice civile. Questo argomento è sciocco, ma anche pericoloso, perché può essere usato contro tutte le norme che regolano il matrimonio. Se un uomo ama tre donne, si sosterrà che il divieto di poligamia è discriminatorio, lo stesso se un fratello e una sorella si amano, si toglierà il divieto di matrimonio tra adolescenti ecc».

La redazione

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Cassazione: «le nozze gay non sono un diritto, vietarle non è discriminatorio»

Repubblica gayFinalmente anche la Cassazione ha messo nero su bianco quello che da diversi anni ripetiamo anche su questo sito web: il matrimonio omosessuale non esiste come diritto, vietarlo non significa discriminare nessuno ed è falsa l’argomentazione di chi vuole istituirlo perché “ce lo chiede l’Europa” (sentenza in linea con le precedenti, come la 138 del 2010 della Corte Costituzionale).

«Deve pertanto escludersi», si legge nella recente sentenza che ha respinto il ricorso di una coppia gay che voleva sposarsi in Campidoglio e pubblicare le nozze (ennesima sconfitta di Ignazio Marino, dunque), «che la mancata estensione del modello matrimoniale alle unioni tra persone dello stesso sesso determini una lesione dei parametri integrati della dignità umana e dell’uguaglianza, i quali assumono pari rilievo nelle situazioni individuali e nelle situazioni relazionali rientranti nelle formazioni sociali costituzionalmente protette dagli articoli 2 e 3 della Costituzione».

Parlando dell’argomento “ce lo chiede l’Europa”, la Cassazione ha affermato che «l’articolo 12, ancorché formalmente riferito all’unione matrimoniale eterosessuale, non esclude che gli Stati membri estendano il modello matrimoniale anche alle persone dello stesso sesso, ma nello stesso tempo non contiene alcun obbligo […] e non necessariamente mediante l’opzione del matrimonio per tali unioni». Si parla dunque di «insussistenza dell’obbligo costituzionale o convenzionale di estendere il vincolo coniugale alle unioni omoaffettive», così come ribadito dalla sentenza del 2014 della Corte Costituzionale. E ancora: «nel nostro sistema giuridico di diritto positivo il matrimonio tra persone dello stesso sesso è inidoneo a produrre effetti perché non previsto tra le ipotesi legislative di unione coniugali».

Fino a qui la notizia positiva, tuttavia i supremi giudici hanno aggiunto che «il processo di costituzionalizzaizone delle unioni tra persone dello stesso sesso non si fonda, contrariamente a quanto sostenuto» dalle associazioni Lgbt «sulla violazione del canone antidiscriminatorio dettata dall’inaccessibilità al modello matrimoniale, ma sul riconoscimento di un nucleo comune di diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia». Per questo «sorge l’esigenza di un trattamento omogeneo di tutte le situazioni che presentano un deficit od un’assenza di tutela dei diritti dei componenti l’unione, derivante dalla mancanza di uno statuto protettivo delle relazioni diverse da quelle matrimoniali nel nostro ordinamento». La Cassazione chiede dunque un intervento legislativo che, da una parte protegga queste unioni e dall’altra le differenzi dalle relazioni matrimoniali.

Abbiamo voluto come sempre affidarci alla pronuncia ufficiale e non alla rassegna stampa, facciamo soltanto osservare come “Il Manifesto” abbia riportato la notizia: un trafiletto intitolato “La Cassazione: si a diritti coppie gay”. Divertente anche la reazione isterica de “La Stampa” attraverso un articolo di Fulvia Amabile, secondo cui «non c’è stata nessuna bocciatura delle nozze gay». L’articolo si conclude con le classiche interviste ai presidenti delle migliaia di associazioni Lgbt, tra cui Franco Grillini che però parla di «sentenza pilatesca». “La Croce” di Mario Adinolfi la ritiene una sentenza storica e fondamentale, mentre “La Nuova Bussola Quotidiana” ne sottolinea l’ambiguità. Secondo diversi blog Lgbt è una sentenza «che offende la dignità di migliaia di cittadini». La docente di Diritto costituzionale dell’Università di Milano, Lorenza Violini, ha definito la sentenza un «richiamo a riconoscere un fatto sociale diffuso quali sono le coppie omosessuali senza tuttavia giungere al riconoscimento formale delle stesse analogo a quello che potrebbe conseguire da una precisa presa di posizione del legislatore. Al legislatore spetta dunque, in ultima analisi, la scelta relativa al conferimento di uno status di natura pubblicistica a tali coppie mentre al potere giudiziario spetta riconoscere, caso per caso, diritti e doveri relativi al caso singolo, nella vita concreta. Una linea non facile da tracciare e da rispettare ma che, in questo caso, ha visto il prevalere di scelte prudenti».

Il direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio, si è dichiarato -lo aveva già fatto- favorevole ad una «”via italiana” per tutelare le unioni di fatto tra persone che non possono (e non vogliono) sposarsi. Una via che non confonda ciò che non deve essere confuso», ovvero sottolineando la differenza con il matrimonio. Lo stesso ha detto Maurizio Sacconi (NCD), anche lui però contrario «all’omologazione diretta o indiretta che costituisse il presupposto per alcuni diritti esclusivi del matrimonio». Anche Cesare Mirabelli, già presidente della Corte costituzionale, ha guardando con positività alla sentenza per la respinta delle nozze gay ritenendo però «opportuno un intervento del legislatore per tutelare i diritti dei singoli nel riconoscimento della loro vita sociale ed affettiva, per dare certezza anche a questi rapporti ed evitare le originali e diverse soluzioni di sindaci e tribunali».

La nostra perplessità rispetto all’istituzione di unioni civili o coppie di fatto l’abbiamo già espressa: 1) innanzitutto molti diritti cui i conviventi eterosessuali e omosessuali aspirano sono già presenti nel nostro ordinamento (siamo comunque favorevoli a singoli interventi sul codice civile). Per questo non c’è nessun motivo di istituire tali unioni in quanto non rileviamo alcun «deficit od un’assenza di tutela dei diritti», secondo i criteri stabiliti dalla Cassazione se si vuole avanzare in questa direzione. 2) In secondo luogo è chiaro il tentativo dei promotori di prenderci in giro creando delle unioni civili che siano l’esatto equivalente del matrimonio, chiamate solo in altro modo (come se escludere l’adozione fosse sufficiente). 3) In terzo luogo, per i conviventi dello stesso sesso c’è il rischio concreto che esse siano semplicemente il trampolino di lancio verso l’istituzionalizzazione delle nozze gay, così come avvenuto nel resto d’Europa: occorre dire, tuttavia, che tale rischio si è decisamente abbassato dopo questa sentenza della Cassazione. 4) Infine, sempre per quanto riguarda le coppie omosessuali si tratta di una falsa priorità per i cittadini italiani: non solo perché i registri comunali per le coppie di fatto sono un flop nazionale, ma anche perché lo dicono i sondaggi. Proprio ieri l’istituto SWG ha pubblicato un report in cui si evince che solo il 49% è favorevole alle unioni civili per persone dello stesso sesso, un dato oltretutto in calo dato che due anni fa era favorevole il 58%.

La redazione

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La soluzione per fermare la violenza sulle donne? Il matrimonio

MatrimonioMigliaia di ragazze e donne vengono ogni anno abusate, aggredite o violentate. Questo chiarisce ovviamente che alcuni uomini rappresentano una vera e propria minaccia per il benessere fisico e psichico delle donne e delle ragazze.

Ma, hanno spiegato sul “Washington Post” il prof. W. Bradford Wilcox, professore associato di sociologia presso l’Università della Virginia, e Robin Fretwell Wilson, prof.ssa di diritto alla Washington and Lee University, il dibattito pubblico su questo non tiene conto che «tanti altri uomini sono più propensi a proteggere le donne, direttamente e indirettamente, dalla minaccia della violenza maschile: sono i padri biologici sposati. La linea di fondo è questa: le donne sposate sono notevolmente più sicure rispetto alle loro coetanee non sposate, e le ragazze/bambine che vivono in una casa con un padre sposato hanno nettamente meno probabilità di essere vittime di abusi o aggressioni rispetto alle ragazze/bambine che vivono senza il loro padre».

Entrando nel merito dei dati scientifici, lo studio più completo sugli abusi sessuali verso ragazze e bambine (e ragazzi) mostra infatti che esse hanno maggiori probabilità di essere vittime di abusi quando non vivono in casa con il padre sposato. Ma c’è di più: le ragazze hanno significativamente più probabilità di essere vittime di abusi quando vivono in un nucleo familiare in cui è presente un convivente della madre. In effetti, il rapporto osserva che «solo lo 0,7 per 1.000 dei bambini che vivono con due genitori biologici sposati sono sessualmente abusati, rispetto al 12,1 per 1.000 dei bambini che vivono con un solo genitore e un partner non sposato». I risultati di questo studio, commentano gli studiosi, «sono coerenti con la ricerca accademica» (si veda qui e qui, per esempio) la quale «indica che “le ragazze vittime hanno maggiori probabilità di aver vissuto senza i loro padri naturali”» (e lo stesso dicono gli studi per i bambini maschi).

bambine abusate

Per quanto riguarda le donne adulte, la situazione è ancora più chiara: gli studi mostrano che le donne sposate hanno meno probabilità di essere vittime del partner e di essere vittime di crimini violenti in generale. Nel complesso, una ricerca del Dipartimento di Giustizia americano ha rilevato che le donne non sposate hanno quasi quattro volte più probabilità di essere vittime di crimini violenti rispetto alle donne sposate.

donne abusate

Come spiegare allora questi dati? I due studiosi affermano: «per le ragazze, la ricerca ci dice che il matrimonio offre una certa stabilità e i padri biologici sposati hanno maggiori probabilità di essere attenti e impegnati verso i loro figli perché sono coinvolti in una relazione duratura. Invece, i maschi non imparentati hanno meno probabilità di avere un’interazione permanente con i bambini della famiglia». Più in generale, il «sostegno emotivo e la supervisione» che i padri biologici sposati forniscono ai loro figli «possono limitare la loro vulnerabilità a i potenziali predatori», come ha affermato David Finkelhor, direttore della University of New Hampshire Crimes Against Children Research Center.

Per le donne, la spiegazione degli scienziati sociali è che «il matrimonio sembra invitare gli uomini a comportarsi meglio. Ecco perché gli uomini tendono a stabilizzarsi dopo il matrimonio, ad essere più attenti alle aspettative di amici e parenti, ad essere più fedeli, e più impegnati con le loro partners, tutti fattori che riducono al minimo il rischio di violenza. Inoltre, le donne sposate hanno più probabilità di vivere in quartieri più sicuri, avere un partner che le protegge fisicamente e -per ovvie ragioni- trascorrono meno tempo in ambienti che aumentano il rischio di stupro, rapina e aggressioni».

Certo, esistono tantissime violenze all’interno di matrimoni e delle famiglie. Ma gli studi, anche quelli contenuti nel nostro apposito dossier, dimostrano inequivocabilmente che «i padri sposati sono molto meno propensi a ricorrere alla violenza rispetto agli uomini che non sono legati dal matrimonio o dal rapporto biologico con una figlia».

La redazione

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La famiglia è una sola, lo dice la Costituzione

famiglia 
di Bruno Ferraro*
*Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione
 
da “Libero”, 16/05/13
 

Il tema riguardante le coppie di fatto, etero ed omosessuali, da noi si prospetta con innegabili aspetti di peculiarità, risentendo degli effetti di pregiudiziali ideologiche e religiose fortemente radicate nel costume italiano. Da tali pregiudiziali, tuttavia, occorre affrancarsi, spostando l’attenzione sul terreno dei principi costituzionali, ovvero nei valori nei quali si identifica la radice dell’unità nazionale e per la cui realizzazione è impegnata la società civile e, con essa, lo Stato ordinamento.

Così inquadrato, corre l’obbligo di partire dall’art. 3 della Carta Costituzionale, il quale sancisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Compito della Repubblica è quello di rimuovere gli ostacoli che limitano l’uguaglianza e la libertà dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana. Da tale norma discende il cosiddetto principio di uguaglianza sostanziale, che impone di trattare in modo eguale situazioni uguali e consente invece un trattamento differenziato quando le situazioni uguali non sono.

D’altro canto, il successivo art. 29 afferma che la Repubblica riconosce (leggasi ha l’obbligo di riconoscere) i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Tale compito è reso ancora più evidente nell’art. 31, secondo cui la Repubblica deve agevolare con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti ad essa relativi, in primis la protezione della maternità. Dal combinato disposto delle due norme discende che la famiglia, intesa come cellula primordiale della società, preesiste alla stessa Costituzione, essendo essa basata su una legge di natura che lo Stato, nel momento stesso in cui sorge, ha l’obbligo di riconoscere, proteggere e tutelate, da essa dipendendo la sopravvivenza e il futuro della società civile.

Se il quadro è quello appena tracciato, la pretesa di porre sullo stesso piano l’unione tra uomo e donna e l’unione tra due soggetti dello stesso sesso è giuridicamente sbagliata e costituzionalmente insostenibile. Da quando è sbocciata sulla terra l’umanità si è sempre concepito, senza surrogati, l’incontro tra un uomo e una donna; ad essa e solo ad essa è stato riferito l’istituto del matrimonio; ad essa e solo ad essa è stato fatto risalire il compito, attraverso la paternità e la maternità, di contribuire alla perpetuazione della specie; la parola matrimonio ha avuto sempre un unico significato, quello di sancire, con valore giuridico nell’ordinamento e con valore religioso nella sfera del sacro, la legittimità di un rapporto finalizzato alla procreazione e quindi necessariamente basato sull’incontro tra due persone di sesso diverso.

Ciò è tanto vero che la Costituzione si preoccupa, con l’art. 30, di disciplinare la condizione dei cosiddetti figli naturali (cioè nati fuori dal matrimonio) stabilendo che ad essi è dovuta la stessa tutela riconosciuta ai figli legittimi purché “compatibile con i diritti della famiglia legittima”. Evitiamo, quindi, ogni confusione. La famiglia è una sola, il matrimonio ne è il fondamento, il matrimonio è l’unione di un uomo e una donna. Parlare di matrimonio tra omosessuali allontana perciò dalla Costituzione, a prescindere dalle convinzioni religiose. 

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