Melita Cavallo, il giudice arcobaleno non scandalizza nessuno?

cavalloNel novembre 2015 si è alzato un polverone mediatico sulla sentenza del Consiglio di Stato, attraverso la quale è stata ribadita l’incostituzionalità del matrimonio omosessuale in quanto «privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio».

Gli attivisti arcobaleno si sono scagliati contro uno dei cinque magistrati che hanno firmato la sentenza, Carlo Deodato, reo di essere cattolico e aver condiviso su Twitter un articolo di giornale in cui si criticavano le nozze gay. Insulti, minacce e sberleffi gli sono stati rivolti accusandolo di pregiudizio ideologico. Il magistrato e il suo buon operato sono stati tuttavia prontamente difesi anche da colleghi laici e apertamente favorevoli alle unioni tra persone dello stesso sesso, come Vladimiro Zagrebelski, da giuristi come Mario Chiavario, professore emerito di Procedura Penale nell’Università di Torino e dall’ex procuratore generale Ennio Fortuna.

Stupisce, ma non troppo, che la stessa agitazione mediatica non si sia verificata anche nei confronti di Melita Cavallo, 70 anni, presidente del Tribunale per i minori di Roma e, possiamo ormai dirlo, attivista e paladina Lgbt (o “giudice delle coppie gay”, come la definisce Repubblica). Non si contano, infatti, i suoi continui interventi mediatici in aperto sostengo alle istanze omosessuali, dal ddl Cirinnà alla stepchild adoption, così come sono ben quindici le sentenze che ha personalmente firmato a favore dell’adozione di bambini in coppie omosessuali. Nel 2014, quando ha approvato il primo caso, ha sostenuto di essere contraria a tale pratica ma «come giurista non avevo alcun mezzo per oppormi», pochi mesi fa ha invece negato l’importanza di padre e madre, arrivando a dichiararsi favorevole all’utero in affitto in caso di fantomatiche “donne generose”, come se l’assenza di denaro bastasse a legittimare il regalo di bambini, trattati come pacchi natalizi da sfornare e donare a chi non ne ha.

La Cavallo risponde alla critiche dei colleghi, che definiscono “eversive” le sue sentenze, sostenendo che il suo agire è «convenzionalmente orientato». E’ autrice del libro “Si fa presto a dire famiglia” (Laterza 2016), in cui si scaglia contro l’ipocrisia dei discorsi pubblici sulla famiglia tradizionale, volume presentato, ovviamente, al fianco di Monica Cirinnà. La Cavallo parteciperà anche al Festival del Giornalismo di Perugia a parlare, manco a dirlo, di diritti lgbt.

Il problema non è avere delle convinzioni, anche se forse manifestarle in modo così militante può risultare imprudente e inopportuno per il delicato ruolo pubblico che si ha. La vera questione è che per un semplice tweet il giudice Deodato è stato crocifisso dai media per settimane, mentre per l’intensa e pluriennale attività arcobaleno del giudice Cavallo nessuno dice nulla, nessuno si lamenta o parla di incompatibilità di ruolo, di pregiudizio ideologico o conflitto di interessi. Strano, ma vero.

La redazione

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Metodi naturali, la bellezza della sessualità cristiana

fertilità 

di Alessandra*

*dal sito web Amici Domenicani, 10/03/16

 

Caro Padre Angelo,
leggo sempre le sue risposte sul sito di Amici Domenicani e le trovo sempre piene di sapienza e di carità. La ringrazio per il suo prezioso lavoro. Non ho per adesso domande da porle, ma vorrei offrire la mia testimonianza di donna, sposa e madre cristiana perché ho notato che ci sono sempre tantissime domande sulla liceità della contraccezione nel matrimonio e sui metodi naturali.

Lei spiega sempre in maniera completa tutti gli aspetti morali della questione, molte volte le sue risposte mi hanno aiutata a capire e apprezzare ancora di più la bellezza della sessualità matrimoniale vissuta secondo la volontà di Dio. Dalle domande che tanti le rivolgono, mi sembra di capire che ci sono tanti pregiudizi e cattiva informazione sui metodi naturali. E’ per questo che le scrivo, per confermare che è possibile vivere cristianamente la sessualità matrimoniale e che i metodi naturali sono anche un percorso di conoscenza del proprio corpo, che regalano serenità e padronanza di sé. Da donna, posso dire che questa consapevolezza del corpo e della fecondità è un dono meraviglioso da portare a se stesse e al proprio marito.

Molti si affannano ad imparare tante cose e sviluppare molte conoscenze in tante aree del sapere, ma si scoraggiano davanti alla necessità di applicarsi per capire e studiare i ritmi del proprio corpo. Ad esempio, avere cicli irregolari non impedisce assolutamente l’uso dei metodi naturali. Anzi, monitorare i propri cicli può essere d’aiuto a capire se ci sono dei problemi ormonali che causano l’irregolarità e a risolverli (anche attraverso semplici accorgimenti nella dieta o nello stile di vita). Altre volte imparare i metodi naturali aiuta a capire che in realtà quello che sembra un ciclo irregolare non lo è poi tanto, perché ci sono delle “fasi” del ciclo che ricompaiono stabilmente ogni mese. Inoltre i cicli cambiano nel corso della vita: dopo la prima gravidanza e passato il periodo dell’allattamento, molte donne scoprono una nuova regolarità.

Un’altra cosa che vorrei testimoniare è che è possibile usare i metodi naturali anche durante l’allattamento. Tra l’altro, allattare in maniera naturale (cioè tutte le volte che il bimbo lo chiede, senza alternare biberon e latte materno) di solito ritarda il ritorno della fertilità femminile: secondo i disegni meravigliosi del Creatore, quando il corpo della mamma è dedicato a nutrire un neonato, un’altra gravidanza è naturalmente posticipata, per permetterle di dedicare tutte le energie all’allattamento. Ma anche quando i cicli tornassero (a me è capitato con l’ultima figlia, perché da subito dormiva tanto durante la notte e c’erano lunghi intervalli tra una poppata e l’altra), è sempre possibile usare i metodi naturali, anche se con maggior accortezza (ad esempio può accadere di doversi astenere in due periodi del mese, anziché in uno, perché i segni dell’ovulazione sembrano ripetersi). Tutto questo è normale e, se vissuto con serenità, non fa che accrescere l’amore dei coniugi e la consapevolezza del miracolo della loro paternità e maternità. Questo “allenamento” inoltre aiuta a prepararsi per i periodi più difficili, quando accade di doversi astenere per periodi lunghi (noi avevamo fatto la scelta di astenerci per diversi mesi dopo la nascita della prima figlia, per motivi di salute e complicazioni sorte dopo il parto).

La gioia che si sperimenta vivendo il matrimonio secondo la volontà del Creatore è talmente grande che la fatica umana che si fa nei periodi in cui bisogna astenersi sembra davvero poca cosa. E questo non è solo il mio pensiero, ma anche quello di mio marito e altre coppie di sposi che conosco e che hanno deciso di vivere così il loro matrimonio. Alle donne vorrei dire anche che la conoscenza e l’accettazione profonda della propria fertilità aiuta anche a conoscersi meglio psicologicamente e a vivere con molta più gioia e consapevolezza le esperienze meravigliose della gravidanza e del parto, che non sono una malattia ma una parte bellissima ed essenziale della nostra femminilità.

Padre, non so se troverà utile questa mia testimonianza, ma la prego di continuare nella sua opera di diffusione della verità. Purtroppo – e non dico questo per giudicare, ma lo constato con tristezza – a volte anche i pastori della Chiesa non insistono adeguatamente su questo punto, forse perché pensano di imporre alle coppie un giogo troppo grande. Ma non è così: vivere così il matrimonio è un giogo leggero ed è giusto aiutare le coppie di sposi cristiani a maturare nella fede e spingerle ad informarsi, a capire, ad applicare tutta la loro intelligenza nel discernimento della verità. Io e mio marito non abbiamo mai usato contraccettivi, e i metodi naturali ci hanno sempre aiutati efficacemente nei periodi in cui – pregando – avevamo preso la decisione di cercare di aspettare un po’ prima di accogliere un altro bambino. Spero che la mia testimonianza sia utile a qualcuno e spero di non averla disturbata con questa lunga lettera. La prenda come un’ulteriore conferma e ringraziamento.

Un saluto,
Alessandra.

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La vera trasgressione è la fedeltà, non il libertinismo

coppia anziani 

di Massimo Recalcati*
*psicoanalista e neuropsichiatria dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna

da Repubblica, 03/04/16

 

Il tempo ipermoderno sputa sulla fedeltà inneggiando una libertà fatta di vuoto. Tutto ciò che ostacola il dispiegarsi della volontà di godimento del soggetto appare come un residuo moralistico destinato ad essere spazzato via da un libertinismo vacuo sempre più incapace di attribuire senso alla rinuncia. Il principio si applica tanto ai legami con le cose quanto, soprattutto, a quelli con le persone.

Non è un caso che nel nostro paese la fedeltà sia stata recentemente considerata dai legislatori come una forma arcaica del legame amoroso al punto da volerla sopprimere negli articoli del Codice che normano le unioni civili e quelle matrimoniali. Perché evocare inutilmente un fantasma anacronistico reo di aver pesato come un macigno inutile sulla libertà affettiva e sessuale delle vite umane? Meglio liberarsene come di un tabù decrepito dalle armi desolatamente spuntate, come un ferro vecchio che non serve più a niente. Oggi è il tempo del “poliamore”, della libertà senza inibizioni, della curiosità sperimentale, dell’esperienza senza vincoli, della morte dell’amore pateticamente romantico e dell’affermazione, al suo posto, dell’amore narcisistico che rende l’aspirazione degli amanti al “per sempre” una farsa o una ingenuità bigotta di qualche credulone, o, peggio ancora, una catena repressiva alla nostra libertà di amare che deve essere finalmente spezzata.

Anche l’elevazione della fedeltà ad un rango superiore a quello della mera fedeltà (sessuale) dei corpi, teorizzata, non a caso, soprattutto dagli uomini, tradisce, in realtà, la stessa difficoltà a concepire un legame capace di durare nel tempo senza essere necessariamente mutilato nella spinta del desiderio. Sembra un insegnamento fatale dell’esperienza: più una relazione dura nel tempo più il desiderio erotico si infiacchisce e necessita di nuovo carburante, o, meglio, di dopamina. Le neuroscienze lo confermano senza incertezza: il cervello per mantenere animato il desiderio deve essere dopato dall’eccitazione proveniente da un nuovo oggetto. L’anima, forse, si pensa, può restare fedele, ma non lo si può chiedere al corpo la cui spinta erotica non deve conoscere vincoli.

Il problema è che il nostro tempo non è più in grado di concepire la fedeltà come poesia ed ebbrezza, come forza che solleva, come incentivazione, potenziamento e non diminuzione del desiderio, come esperienza dell’eterno nel tempo, come ripetizione dello Stesso che rende tutto Nuovo. Il nostro tempo non sa né pensare, né vivere l’erotica del legame perché contrappone perversamente l’erotica al legame. È un assioma che deriva da una versione solo nichilistica della libertà: la libertà dell’amore – come la libertà in generale per l’uomo occidentale – deve escludere ogni forma di limite, deve porsi come assoluta. In questo senso la fedeltà diviene un tabù logoro che appartiene ad un’altra epoca e destinato ad essere sfatato.

Quello che l’ideologia neo-libertina del nostro tempo però non vede è che ogni forma di disincanto tende, come spiegarono già Adorno e Horkheimer in Dialettica dell’illuminismo, a ribaltarsi nel suo contrario. Il culto del poliamore, della libertà narcisistica, la polverizzazione dell’ideale romantico dell’amore porta davvero verso una vita più ricca, più soddisfatta, più generativa? La clinica psicoanalitica ci consiglia di essere prudenti: la ricerca affannosa del Nuovo spesso non è altro che la ripetizione monotona della stessa insoddisfazione. Il punto è che il nostro tempo rischia di smarrire ogni possibile sguardo sulla trascendenza, sull’altrove, anche di quella che si dà nell’esperienza assolutamente immanente dei corpi. Perché non esiste amore se non del corpo, del volto, della particolarità insostituibile dell’Altro. L’ideale della fedeltà può diventare – come lo è stato per diverse generazioni – una camicia di forza che sacrifica il desiderio sull’altare dell’Ideale divenendo dannosa per la vita. Quando questo accade è bene liberarsene al più presto.

Ma l’esperienza della fedeltà, vissuta non in opposizione alla libertà, ma come la sua massima realizzazione, offre alla vita una possibilità di gioia e di apertura rare. Quella che scaturisce dall’esperienza di rendere sempre Nuovo lo Stesso: la ripetizione della fedeltà rivela infatti che giorno dopo giorno il volto di chi amo può essere, insieme, sempre lo Stesso e sempre Nuovo. Mentre il nostro tempo oppone lo Stesso al Nuovo, il miracolo dell’amore è, infatti, quando c’è, quello di rendere lo Stesso sempre Nuovo. Accade anche nella lettura dei cosiddetti classici. Lo diceva bene Italo Calvino: quando un libro diventa un classico se non quando risulta inesauribile di fronte ad ogni lettura? Quando la sua forza non si esaurisce mai, ma dura per sempre eccedendo ogni possibile interpretazione? E non è, forse, la fedeltà (ad un amore, ad un autore, ad un’idea) un nome di questa forza? Non è la fedeltà ciò che ci spinge a rileggere lo stesso libro – o un corpo che si trasforma in libro – scoprendo in esso sempre qualcosa di Nuovo? Non è il suo miracolo quello di fare Nuovo ogni cosa, soprattutto quella “cosa” che crediamo di conoscere di più? Non è questa la sua potenza: trasformare la ripetizione dello Stesso in un evento ogni volta unico e irripetibile?

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Se “l’amore è un diritto”, perché negare le nozze alle gemelle Decinque?

decinqueAnna e Lucia Decinque, 31 anni, sono due gemelle che condividono tutto nella vita, compreso il loro fidanzato di 32 anni, Ben Byrne. Una storia che è diventata pubblica e sta facendo crollare il castello delle già deboli argomentazioni a sostegno del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Il trio, infatti, ha vissuto finora a Perth, in Australia, in casa della madre delle ragazze. Le due sorelle vivono costantemente assieme, hanno perfino speso 240.000$ in cosmetici e chirurgia plastica per assomigliarsi ancora di più. Poche settimana fa hanno annunciato la volontà di sposarsi e di avere una gravidanza in contemporanea attraverso la fecondazione in vitro.

I rapporti con fidanzati separati, hanno detto, avevano sempre fallito, «perché stiamo assieme 24 ore su 24, ogni singolo giorno, ogni minuto della nostra vita». Così il fidanzato Ben le tratta allo stesso modo e formano un trio felice. La domanda è: se la legge australiana sul matrimonio venisse modificata per consentire agli omosessuali di sposarsi, perché si dovrebbe vietare di riconoscere anche il matrimonio ad Anna, Lucy e Ben? Anche il loro è un amore sincero, desiderano impegnarsi gli uni per gli altri, risulterebbe discriminante e scandalosamente ingiusto non accogliere il loro “diritto d’amore”, secondo le parole che utilizza costantemente la propaganda Lgbt.

Si ripropone quindi la domanda che mette in crisi l’Arcigay: se “love is love”, perché l’amore di tre persone sarebbe meno dignitoso di quello di due persone dello stesso sesso, tanto da non dover essere riconosciuto dallo Stato? Se il matrimonio non si basa sulla complementarietà sessuale di un uomo e una donna, che si uniscono per creare un ambiente stabile e sicuro in vista dei figli, ma, come ci insegnano i teorici arcobaleno, solamente sull’amore e sul consenso di due adulti consapevoli, perché vietare l’istituzione dell’incesto tra due parenti, adulti e uniti anche dall’amore? E perché mettere limitazioni sul numero di coniugi? Se è possibile dare in adozione bambini ad una coppia di omosessuali, perché quel che conta “è l’amore e l’affetto che ricevono”, perché allora non darli in adozione a tre, quattro o dodici genitori, etero o omo che siano? A livello di quantità, garantirebbero molto più amore e affetto ai bambini, rispetto ad una coppia.

Tornando al caso delle gemelle Decinque e continuando ad utilizzare la retorica Lgbt, risulta fortemente ingiusto mantenere il vuoto legislativo sui diritti delle coppie poligamiche in tema di successione in un contratto d’affitto, di risarcimento del danno conseguente alla morte dei conviventi, di nomina dell’amministratore di sostegno ecc. L’uguaglianza significa dare anche a questo singolare ménage à trois la possibilità di sposarsi. Non è forse giunto il momento di abbattere qualunque limite -bigotto e conservatore-, sul matrimonio ed accettare le diverse strutture familiari? L’esperienza vissuta di Anna, Lucy e Ben suggerisce che la società ha bisogno di andare oltre l’antiquata egemonia diadica che stanno promuovendo gli attivisti gay nella loro campagna per il matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Chi combatte per i diritti gay, perché non combatte anche per i diritti dei poligamici?

Questa è chiaramente una riflessione grottesca e volutamente satirica. Ma è l’inesorabile logica della spinta per il matrimonio omosessuale. O si abbatte qualunque limite oppure si mantengono i limiti attuali e si torna a riconoscere il matrimonio nel suo significato e scopo originale. Vie di mezzo non ce ne sono.

La redazione
(articolo inserito nell’archivio dedicato alla tematica sulle unioni omosessuali)

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“Amoris Laetitia”, l’esortazione di Papa Francesco piace anche ai tradizionalisti

francesco famigliaDopo il Sinodo sulla famiglia del 2014 e del 2015, è stata pubblicata in questi giorni l’esortazione post-sinodale intitolata Amoris Laetitia, firmata da Papa Francesco, il quale ha studiato le conclusioni a cui sono giunti i padri sinodali e ha sintetizzato ed elaborato un lungo e dettagliato testo, pregno di profonde riflessioni e spunti interessanti, in cui si esplicita la dottrina cattolica sul matrimonio, sulla famiglia e sulla sessualità.

Da due anni gli scatenati antibergogliani hanno viziato l’aria profetizzando che dopo il Sinodo sarebbe “venuto giù tutto”, annunciando la legittimazione delle unioni omosessuali, del divorzio e la distruzione della sacramentalità del matrimonio con l’introduzione della comunione ai divorziati risposati. Significativa la scelta del vaticanista Marco Tosatti, non certo un progressista, di titolare così il suo articolo: “Molto rumore per nulla, o quasi?”. Perché «sui temi scottanti che hanno appassionato giornali e monsignori negli ultimi due Sinodi, l’esortazione post-sinodale ha in buona sostanza lasciato le cose come stavano prima del clamore della battaglia». In particolare, è stata «abbandonata quella volontà di creare norme generali a favore dell’inclusione che hanno caratterizzato la prima parte del dibattito, in particolare da parte di alcune conferenze episcopali europee, e di alcuni teologi, come il card. Kasper».

E’ un’esortazione che infatti ha trovato il plauso anche dal mondo definito mediaticamente “tradizionalista”. L’arcivescovo di New York, Timothy Dolan, ha commentato ad esempio: «L’unica vera rivoluzione che si può scorgere tra le pagine dell’esortazione è la rivoluzione della tenerezza che rappresenta non solo una delle categorie di questo pontificato, ma anche uno dei simboli con cui guardare la famiglia attraverso questo documento». E, in un’altra occasione: «ancora una volta la Chiesa sotto l’ispirazione dello Spirito Santo sta sinceramente cercando di essere fedele agli insegnamenti senza tempo di Gesù, e tuttavia cerca di applicarli in un modo misericordioso, comprensibile e gentile». Grande apprezzamento è arrivato anche da mons. Vincenzo Paglia, nominato arcivescovo e voluto da Benedetto XVI come presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia, e da Massimo Gandolfini, portavoce del Family Day, secondo il quale, grazie a questa esortazione del Papa, «la dottrina della Chiesa non cambia, anzi si rafforza». Anche sui quotidiani conservatori, come Il Giornale, si specifica la positività del documento pontificio.

Perfino il cardinale statunitense Raymond Leo Burke, sempre ben idolatrato e osannato dai tradizionalisti, ha spiegato che «Amoris laetitia non ha lo scopo di cambiare la pastorale della Chiesa per quanto riguarda quelli che vivono in una unione irregolare, ma di applicare fedelmente la pastorale costante della Chiesa, quale espressione fedele della pastorale di Cristo stesso, nel contesto della cultura odierna. L’unica chiave giusta per interpretare Amoris laetitia è la costante dottrina e disciplina della Chiesa per quanto riguarda il matrimonio». Padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, giustamente stimato da Antonio Socci (nonché suo amico personale), ha scritto: «L’esortazione apostolica di papa Francesco […], è la visione dolce e potente dell’umanità cattolica che si fa strada, corregge, illumina e supera una concezione razionalista e banale dell’io, dell’amore, della società».

Gli unici contrari sono i soliti apocalittici Sandro Magister e il già citato Antonio Socci, ma l’impostazione è ideologica e non hanno molta voce in capitolo. Troppi “al lupo, al lupo” rendono inattendibili. Bisognerebbe comunque precisare che Sandro Magister, oltre al tentativo catastrofista di incolpare il Papa per aver dato il “via” libera ad ogni peccato («ogni peccato è scusato», ha scritto), ha tuttavia riconosciuto: «Letta nel suo insieme, la “Amoris lætitia” può dare spunto a giudizi complessivamente positivi, anche da parte di analisti che non hanno taciuto le loro critiche a talune impazienze dei due sinodi sulla famiglia», pubblicando la riflessione di don Juan José Pérez-Soba, docente di pastorale familiare nel Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia: «chi aspettava un cambiamento nella dottrina della Chiesa non sarà accontentato e rimarrà deluso, chi aspettava che l’esortazione apostolica del Santo Padre andasse più avanti dei sinodi, rimarrà deluso anche lui. La prima conseguenza che si ricava dall’esortazione è che la proposta del cardinale Kasper, già respinta nel sinodo, non è stata accettata». A proposito di impostazione ideologica, Antonio Socci ha ripreso il commento di Magister, tagliando però la parte finale, quella in cui il vaticanista dell’Espresso giudica positivamente l’esortazione del Papa. Da parte sua, invece, ha scritto due articoli in due giorni riproponendo le sue profezie catastrofiste e gli insulti al Papa (del tipo «Bergoglio è contro Gesù, pensa di essere migliore del nostro Salvatore»). Solita isolata minestra.

 

Qui sotto abbiamo estrapolato i giudizi del Papa su alcuni argomenti più scottanti, invitiamo tuttavia una lettura integrale dell’esortazione Amoris Laetitia, senza ridurla agli aspetti sui quali c’è stata più discussione mediatica.

EROS, SESSUALITA’, METODI NATURALI (E NON CONTRACCEZIONE)
«Spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione».

«Anche il calo demografico, dovuto ad una mentalità antinatalista e promosso dalle politiche mondiali di salute riproduttiva, non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire. Lo sviluppo delle biotecnologie ha avuto anch’esso un forte impatto sulla natalità. Possono aggiungersi altri fattori come l’industrializzazione, la rivoluzione sessuale, il timore della sovrappopolazione, i problemi economici, […]. La società dei consumi può anche dissuadere le persone dall’avere figli anche solo per mantenere la loro libertà e il proprio stile di vita. E’ vero che la retta coscienza degli sposi, quando sono stati molto generosi nella trasmissione della vita, può orientarli alla decisione di limitare il numero dei figli per motivi sufficientemente seri, ma sempre per amore di questa dignità della coscienza la Chiesa rigetta con tutte le sue forze gli interventi coercitivi dello Stato a favore di contraccezione, sterilizzazione o addirittura aborto. Tali misure sono inaccettabili anche in luoghi con alto tasso di natalità, ma è da rilevare che i politici le incoraggiano anche in alcuni paesi che soffrono il dramma di un tasso di natalità molto basso. Va riscoperto il messaggio dell’Enciclica Humanae vitae di Paolo VI, che sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità».

«Il matrimonio, inoltre, è un’amicizia che comprende le note proprie della passione, ma sempre orientata verso un’unione via via più stabile e intensa. Perché non è stato istituito soltanto per la procreazione, ma affinché l’amore reciproco abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità. Questa peculiare amicizia tra un uomo e una donna acquista un carattere totalizzante che si dà unicamente nell’unione coniugale. Proprio perché è totalizzante questa unione è anche esclusiva, fedele e aperta alla generazione. Si condivide ogni cosa, compresa la sessualità, sempre nel reciproco rispetto. Benedetto XVI […] rispondeva che, seppure non sono mancati nel cristianesimo esagerazioni o ascetismi deviati, l’insegnamento ufficiale della Chiesa, fedele alle Scritture, non ha rifiutato “l’eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, poiché la falsa divinizzazione dell’eros […] lo priva della sua dignità, lo disumanizza”.

«Dio stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature. Quando la si coltiva e si evita che manchi di controllo, è per impedire che si verifichi l’impoverimento di un valore autentico. San Giovanni Paolo II ha respinto l’idea che l’insegnamento della Chiesa porti a “una negazione del valore del sesso umano” o che semplicemente lo tolleri “per la necessità stessa della procreazione”. Il bisogno sessuale degli sposi non è oggetto di disprezzo e “non si tratta in alcun modo di mettere in questione quel bisogno”. La sessualità non è una risorsa per gratificare o intrattenere, dal momento che è un linguaggio interpersonale dove l’altro è preso sul serio, con il suo sacro e inviolabile valore. In questo contesto, l’erotismo appare come manifestazione specificamente umana della sessualità, in esso si può ritrovare il significato sponsale del corpo e l’autentica dignità del dono. Nelle sue catechesi sulla teologia del corpo umano, san Giovanni Paolo II ha insegnato che la corporeità sessuata “è non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione”, ma possiede “la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono”. L’erotismo più sano, sebbene sia unito a una ricerca di piacere, presuppone lo stupore, e perciò può umanizzare gli impulsi».

«In nessun modo possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi. Nel contesto di questa visione positiva della sessualità, è opportuno impostare il tema nella sua integrità e con un sano realismo. Infatti non possiamo ignorare che molte volte la sessualità si spersonalizza ed anche si colma di patologie, in modo tale che diventa sempre più occasione e strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri e istinti. In questa epoca diventa alto il rischio che anche la sessualità sia dominata dallo spirito velenoso dell’“usa e getta”. Il corpo dell’altro è spesso manipolato come una cosa da tenere finché offre soddisfazione e da disprezzare quando perde attrattiva. Si possono forse ignorare o dissimulare le costanti forme di dominio, prepotenza, abuso, perversione e violenza sessuale, che sono frutto di una distorsione del significato della sessualità e che seppelliscono la dignità degli altri e l’appello all’amore sotto un’oscura ricerca di sé stessi? Gli atti propri dell’unione sessuale dei coniugi rispondono alla natura della sessualità voluta da Dio se sono compiuti in modo veramente umano. Tuttavia, il rifiuto delle distorsioni della sessualità e dell’erotismo non dovrebbe mai condurci a disprezzarli o a trascurarli. L’ideale del matrimonio non si può configurare solo come una donazione generosa e sacrificata, dove ciascuno rinuncia ad ogni necessità personale e si preoccupa soltanto di fare il bene dell’altro senza alcuna soddisfazione. Ricordiamo che un vero amore sa anche ricevere dall’altro, è capace di accettarsi come vulnerabile e bisognoso, non rinuncia ad accogliere con sincera e felice gratitudine le espressioni corporali dell’amore nella carezza, nell’abbraccio, nel bacio e nell’unione sessuale. Benedetto XVI era chiaro a tale proposito: “Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità”. Per questa ragione “l’uomo non può neanche vivere esclusivamente nell’amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono”. Questo richiede, in ogni modo, di ricordare che l’equilibrio umano è fragile, che rimane sempre qualcosa che resiste ad essere umanizzato e che in qualsiasi momento può scatenarsi nuovamente, recuperando le sue tendenze più primitive ed egoistiche».

«Con “cultura del provvisorio” mi riferisco, per esempio, alla rapidità con cui le persone passano da una relazione affettiva ad un’altra. Credono che l’amore, come nelle reti sociali, si possa connettere o disconnettere a piacimento del consumatore e anche bloccare velocemente. Penso anche al timore che suscita la prospettiva di un impegno permanente, all’ossessione per il tempo libero, alle relazioni che calcolano costi e benefici e si mantengono unicamente se sono un mezzo per rimediare alla solitudine, per avere protezione o per ricevere qualche servizio. Si trasferisce alle relazioni affettive quello che accade con gli oggetti e con l’ambiente: tutto è scartabile, ciascuno usa e getta, spreca e rompe, sfrutta e spreme finché serve. E poi addio. Il narcisismo rende le persone incapaci di guardare al di là di sé stesse, dei propri desideri e necessità. Ma chi utilizza gli altri prima o poi finisce per essere utilizzato, manipolato e abbandonato con la stessa logica. E’ degno di nota il fatto che le rotture dei legami avvengono molte volte tra persone adulte che cercano una sorta di “autonomia” e rifiutano l’ideale di invecchiare insieme prendendosi cura l’uno dell’altro e sostenendosi».

 

EUTANASIA E SUICIDIO ASSISITO.
«L’eutanasia e il suicidio assistito sono gravi minacce per le famiglie in tutto il mondo. La loro pratica è legale in molti Stati. La Chiesa, mentre contrasta fermamente queste prassi, sente il dovere di aiutare le famiglie che si prendono cura dei loro membri anziani e ammalati».

 

UNIONI E MATRIMONI OMOSESSUALI.
«Nessuno può pensare che indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla società. Accade il contrario: pregiudica la maturazione delle persone, la cura dei valori comunitari e lo sviluppo etico delle città e dei villaggi. Non si avverte più con chiarezza che solo l’unione esclusiva e indissolubile tra un uomo e una donna svolge una funzione sociale piena, essendo un impegno stabile e rendendo possibile la fecondità. Dobbiamo riconoscere la grande varietà di situazioni familiari che possono offrire una certa regola di vita, ma le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso, per esempio, non si possono equiparare semplicisticamente al matrimonio. Nessuna unione precaria o chiusa alla trasmissione della vita ci assicura il futuro della società. Ma chi si occupa oggi di sostenere i coniugi, di aiutarli a superare i rischi che li minacciano, di accompagnarli nel loro ruolo educativo, di stimolare la stabilità dell’unione coniugale?».

«Con i Padri sinodali ho preso in considerazione la situazione delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, esperienza non facile né per i genitori né per i figli. Perciò desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. Nei riguardi delle famiglie si tratta invece di assicurare un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita. Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che “circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”; ed è inaccettabile “che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso”»

 

UTERO IN AFFITTO.
«La vergognosa violenza che a volte si usa nei confronti delle donne, i maltrattamenti familiari e varie forme di schiavitù che non costituiscono una dimostrazione di forza mascolina bensì un codardo degrado. La violenza verbale, fisica e sessuale che si esercita contro le donne in alcune coppie di sposi contraddice la natura stessa dell’unione coniugale. Penso alla grave mutilazione genitale della donna in alcune culture, ma anche alla disuguaglianza dell’accesso a posti di lavoro dignitosi e ai luoghi in cui si prendono le decisioni. La storia ricalca le orme degli eccessi delle culture patriarcali, dove la donna era considerata di seconda classe, ma ricordiamo anche la pratica dell’“utero in affitto” o la strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica.

 

IDEOLOGIA GENDER.
«Un’altra sfida emerge da varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo. E’ inquietante che alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini. Non si deve ignorare che sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender), si possono distinguere, ma non separare. Una cosa è comprendere la fragilità umana o la complessità della vita, altra cosa è accettare ideologie che pretendono di dividere in due gli aspetti inseparabili della realtà. Non cadiamo nel peccato di pretendere di sostituirci al Creatore. Siamo creature, non siamo onnipotenti. Il creato ci precede e dev’essere ricevuto come dono. Al tempo stesso, siamo chiamati a custodire la nostra umanità, e ciò significa anzitutto accettarla e rispettarla come è stata creata».

 

ABORTO E OBIEZIONE DI COSCIENZA.
«In questo contesto, non posso non affermare che, se la famiglia è il santuario della vita, il luogo dove la vita è generata e curata, costituisce una lacerante contraddizione il fatto che diventi il luogo dove la vita viene negata e distrutta. È così grande il valore di una vita umana, ed è così inalienabile il diritto alla vita del bambino innocente che cresce nel seno di sua madre, che in nessun modo è possibile presentare come un diritto sul proprio corpo la possibilità di prendere decisioni nei confronti di tale vita, che è un fine in sé stessa e che non può mai essere oggetto di dominio da parte di un altro essere umano. La famiglia protegge la vita in ogni sua fase e anche al suo tramonto. Perciò a coloro che operano nelle strutture sanitarie si rammenta l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza. Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia», ma «rigetta fermamente la pena di morte».

«Ogni bambino sta da sempre nel cuore di Dio, e nel momento in cui viene concepito si compie il sogno eterno del Creatore. Pensiamo quanto vale l’embrione dall’istante in cui è concepito! Bisogna guardarlo con lo stesso sguardo d’amore del Padre, che vede oltre ogni apparenza».

 

ADOZIONI OMOSESSUALI.
«Ogni bambino ha il diritto di ricevere l’amore di una madre e di un padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra e armoniosa. Entrambi contribuiscono, ciascuno in una maniera diversa, alla crescita di un bambino. Rispettare la dignità di un bambino significa affermare la sua necessità e il suo diritto naturale ad avere una madre e un padre. Non si tratta solo dell’amore del padre e della madre presi separatamente, ma anche dell’amore tra di loro, percepito come fonte della propria esistenza, come nido che accoglie e come fondamento della famiglia. Diversamente, il figlio sembra ridursi ad un possesso capriccioso. Entrambi, uomo e donna, padre e madre, sono cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti. Mostrano ai loro figli il volto materno e il volto paterno del Signore. Inoltre essi insieme insegnano il valore della reciprocità, dell’incontro tra differenti, dove ciascuno apporta la sua propria identità e sa anche ricevere dall’altro. Se per qualche ragione inevitabile manca uno dei due, è importante cercare qualche maniera per compensarlo, per favorire l’adeguata maturazione del figlio. Un padre con una chiara e felice identità maschile, che a sua volta unisca nel suo tratto verso la moglie l’affetto e l’accoglienza, è tanto necessario quanto le cure materne. Vi sono ruoli e compiti flessibili, che si adattano alle circostanze concrete di ogni famiglia, ma la presenza chiara e ben definita delle due figure, femminile e maschile, crea l’ambiente più adatto alla maturazione del bambino».

 

MATERNITA’ E FEMMINISMO.
«Oggi riconosciamo come pienamente legittimo, e anche auspicabile, che le donne vogliano studiare, lavorare, sviluppare le proprie capacità e avere obiettivi personali. Ma nello stesso tempo non possiamo ignorare la necessità che hanno i bambini della presenza materna, specialmente nei primi mesi di vita. La realtà è che la donna sta davanti all’uomo come madre, soggetto della nuova vita umana che in essa è concepita e si sviluppa, e da essa nasce al mondo. Il diminuire della presenza materna con le sue qualità femminili costituisce un rischio grave per la nostra terra. Apprezzo il femminismo quando non pretende l’uniformità né la negazione della maternità. Perché la grandezza della donna implica tutti i diritti che derivano dalla sua inalienabile dignità umana, ma anche dal suo genio femminile, indispensabile per la società. Le sue capacità specificamente femminili – in particolare la maternità – le conferiscono anche dei doveri, perché il suo essere donna comporta anche una missione peculiare su questa terra, che la società deve proteggere e preservare per il bene di tutti».

 

MATRIMONI CIVILI E DIVORZIATI RISPOSATI.
«Lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo ispira la cura pastorale della Chiesa verso i fedeli che semplicemente convivono o che hanno contratto matrimonio soltanto civile o sono divorziati risposati. La Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo imperfetto: invoca con essi la grazia della conversione, li incoraggia a compiere il bene, a prendersi cura con amore l’uno dell’altro e a mettersi al servizio della comunità nella quale vivono e lavorano. Mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione».

«I Padri hanno indicato che un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati. Va accolta e valorizzata soprattutto la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione, il divorzio o l’abbandono, oppure sono stati costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza. Il perdono per l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Nello stesso tempo, le persone divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato. La comunità locale e i Pastori devono accompagnare queste persone con sollecitudine, soprattutto quando vi sono figli o è grave la loro situazione di povertà. Ai divorziati che vivono una nuova unione, è importante far sentire che sono parte della Chiesa, che “non sono scomunicati” e non sono trattati come tali, perché formano sempre la comunione ecclesiale. Queste situazioni esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità».

«I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui “l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione”. C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di “coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”. Altra cosa invece è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari. Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia. I Padri sinodali hanno affermato che il discernimento dei Pastori deve sempre farsi “distinguendo adeguatamente”, con uno sguardo che discerna bene le situazioni».

«Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, come quelle che abbiamo sopra menzionato, è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. E’ possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi. Nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave. I presbiteri hanno il compito di accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno. Questi atteggiamenti sono fondamentali per evitare il grave rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente “eccezioni”, o che esistano persone che possano ottenere privilegi sacramentali in cambio di favori. È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa. In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio».

«Accolgo le considerazioni di molti Padri sinodali, i quali hanno voluto affermare che i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Questa integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti».

 

EDUCAZIONE SESSUALE.
Il Concilio Vaticano II prospettava la necessità di “una positiva e prudente educazione sessuale” che raggiungesse i bambini e gli adolescenti “man mano che cresce la loro età” e “tenuto conto del progresso della psicologia, della pedagogia e della didattica”. È difficile pensare l’educazione sessuale in un’epoca in cui si tende a banalizzare e impoverire la sessualità. Si potrebbe intenderla solo nel quadro di una educazione all’amore, alla reciproca donazione. In tal modo il linguaggio della sessualità non si vede tristemente impoverito, ma illuminato. L’educazione sessuale offre informazione, ma senza dimenticare che i bambini e i giovani non hanno raggiunto una maturità piena. L’informazione deve arrivare nel momento appropriato e in un modo adatto alla fase che vivono. Non serve riempirli di dati senza lo sviluppo di un senso critico davanti a una invasione di proposte, davanti alla pornografia senza controllo e al sovraccarico di stimoli che possono mutilare la sessualità. I giovani devono potersi rendere conto che sono bombardati da messaggi che non cercano il loro bene e la loro maturità. Quando si pretende di donare tutto in un colpo è possibile che non si doni nulla».

 

CONVIVENZA.
«La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della semplice convivenza, molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti. In queste situazioni potranno essere valorizzati quei segni di amore che in qualche modo riflettono l’amore di Dio. Sappiamo che è in continua crescita il numero di coloro che, dopo aver vissuto insieme per lungo tempo, chiedono la celebrazione del matrimonio in chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale contraria alle istituzioni e agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso). In altri Paesi, infine, le unioni di fatto sono molto numerose, non solo per il rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi è percepito come un lusso, per le condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di fatto. Comunque, tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e delicatezza».

 

La redazione

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Il paesino di Siroki Brijeg dovrebbe essere il centro del mondo

sirokibrijegConoscete la città di Siroki Brijeg in Bosnia ed Erzegovina? Si trova a 40 minuti da Medjugorje, ma non è questa la sua caratteristica principale.

La piccola città, dal nome impronunciabile, vanta uno straordinario primato in tutta l’Europa: non è mai stato registrato un solo divorzio a memoria d’uomo tra i suoi 20mila parrocchiani (su 30mila abitanti), nessuna famiglia si è mai divisa.

Il segreto è un forte cattolicesimo popolare unito alla serietà con cui si vive la tradizione croata -che coinvolge moltissimi paesi bosniaci- verso il matrimonio (dove la difesa della famiglia, come unione tra uomo e donna, è stata scritta nella Costituzione per volontà popolare). C’è anche una grande storia di dolore alle spalle della gente di Siroki Brijeg, la cui fede è stata a lungo tempo minacciata dai musulmani turchi, prima, e dal comunismo poi. Il 7 febbraio 1945 divenne la sede della terribile strage di 66 frati francescani, ad opera di partigiani comunisti durante la Seconda Guerra Mondiale. L’essere costretti a richiamare i motivi della propria fede porta sempre ad una saggezza ed una certezza personale che permette anche di non essere “ingannati” dalla menzogna del progresso.

Le fonti che parlano di questa cittadina spiegano che il matrimonio viene vissuto come indissolubilmente unito alla croce di Cristo ed infatti, secondo la tradizione croata, alla coppia che si prepara al matrimonio non viene insegnato a guardare al partner come alla persona perfetta, come colui/colei che compie il destino dell’altro, in senso platonico. No! Il sacerdote dice loro: «Hai trovato la tua croce! Una croce da amare, da portare con te per sempre». La croce, nel cristianesimo, è la condizione per la salvezza personale, così il marito non ha la capacità di compiere la moglie, o viceversa, ma entrambi sono la condizione reciproca che permette la realizzazione della propria vocazione. Se uno abbandona l’altro, abbandona Cristo. Tradisce il compito da Lui affidatogli. Questa è la visione cristiana del matrimonio, che viene ancora autenticamente vissuta e insegnata a Siroki Brijeg.

Per la semplice gente di quel sperduto paesino bosniaco non esistono avvocati, psicologi di coppia, maghi o astrologi. Se c’è un problema, tra i due sposi c’è solo la preghiera comune, in ginocchio entrambi davanti al crocifisso si trova la forza di perdonarsi, di superare l’orgoglio, di piangere, di gridare le proprie sofferenze e di tornare ad abbracciarsi. Di sentirsi perdonati da un Altro per la propria piccolezza. Per farlo seriamente serve, chiaramente, la viva coscienza di Chi è che tiene assieme nel sacramento i due sposi. Perché la vera unità è impossibile all’uomo.

Gli abitanti di Siroki Brijeg educano così, da decenni, i loro figli, a loro danno questa testimonianza di amore. Il mistero di Dio è anche questo, la scelta dei piccoli come testimoni ai grandi. Il figlio di un umile falegname di Nazareth sconvolge la storia divenendo la via, la verità e la vita. I poveri e ignoranti pastorelli di Lourdes e Fatima diventano strumento per la conversione di milioni di persone, sapienti ed intellettuali. Allo stesso modo, un piccolo e sconosciuto paesino europeo diviene silenzioso testimone dell’amore indissolubile, realtà ormai sconosciuta alle grandi città occidentali, i cui abitanti sono sempre più lontani gli uni agli altri. Schiacciati dalle macerie e da quel che rimane dei loro progetti matrimoniali.

La redazione
(articolo inserito nell’archivio dedicato al tema della famiglia)

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Unioni civili. Matteo Renzi umilia se stesso, le coppie Lgbt e il popolo della famiglia

ladelfaPoche ore dopo la votazione in Senato del maxi-emendamento sulle unioni civili, su cui il Governo aveva posto la fiducia (primo caso nella storia italiana in cui viene chiesta su temi di coscienza), il premier Matteo Renzi è corso ad esultare su Facebook: «La giornata di oggi resterà nella storia del nostro Paese». Per lui avrebbe vinto l’amore, la speranza, la libertà e tutti i retorici slogan che il ducetto di Rignano ha copiato da Barack Obama.

Eppure, qualcuno dovrà pur fargli notare che in realtà è stato sonoramente sconfitto dal popolo del Family Day, quello che fatto smantellare il disegno di legge originale. Solo qualche settimana fa, infatti, i leader del Partito Democratico facevano la voce grossa: «Nessuno stralcio sulle adozioni», assicurava Matteo Orfini, presidente del Pd. «Passerà anche la stepchild», prometteva Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato. «Le adozioni restano, noi non cambiamo rotta», giurava Debora Serracchiani, vicepresidente del Pd. Monica Cirinnà invece scriveva dieci giorni fa: «il Governo non può mettere la fiducia. Quello sulle Unioni Civili è un disegno di legge parlamentare, fatto lavorando insieme e contando sui voti di forze di opposizione. Sui disegni di legge, non essendo prodotti dal governo in carica (ma dal parlamento appunto), non può essere chiesto un voto di fiducia delle forze che sostengono il governo stesso». Ed invece hanno dovuto smantellare il ddl Cirinnà e chiedere la fiducia evitando i voti segreti e il dibattito parlamentare, consapevoli che avrebbero probabilmente perso. Per questo sono i primi ad essere stati sconfitti, poco importa che la fiducia sia stata votata (oltretutto cambiando in corsa la maggioranza!).

Lo dimostra anche il sentimento di sconfitta che provano le principali associazioni Lgbt, talmente in lutto che hanno organizzato una manifestazione il 5 marzo contro il governo Renzi. Perché il maxi-emendamento «ci disgusta e offende», scrive ad esempio la fondatrice delle Famiglie Arcobaleno, Giuseppina La Delfa. Parla di «rabbia e amarezza», perché «questa legge è una sberla in faccia, che ci trasforma in caricature viventi. E chi voterà la fiducia stasera o domani avrà tradito l’insieme delle persone omosessuali e transessuali». Il ddl Cirinnà, continua, «scrive la discriminazione e i pregiudizi nella legge, li scolpisce nella pietra ed è uno schiaffo pesante inflitto a tutte e tutti noi». Come darle torto? Renzi, coadiuvato da Scalfarotto e Lo Giudice, ha cancellato il vincolo di fedeltà per le coppie omosessuali. Così, scrivono le Famiglie Arcobaleno, «il pregiudizio viene scolpito nella pietra: i gay e le lesbiche sono promiscui – dunque poche seri, inaffidabili, traditori, non hanno nessun obbligo morale a rispettare il compagno o la compagna, non gli si chiede nemmeno di provarci, o di impegnarsi a non farlo! Un gesto di una gravità inaudita». Evidentemente, si legge anche sul Corriere, «lo stile di vita di una coppia gay è sempre e comunque nel segno della trasgressione e del tradimento continuo. A quanto pare la fedeltà non è possibile immaginarla tra coniugi che non siano un uomo e una donna regolarmente uniti in matrimonio».

Per non parlare della possibilità di divorziare in pochi giorni, «una battaglia di 30 anni per ottenere una legge che ci permette di unirci per divorziare in 3 mesi. Non capite tutti quanti che viene scritto ancora una volta nella legge, nella pietra, che noi omosessuali siamo incapaci di prenderci impegni seri, definitivi, importanti?», riflette La Delfa. «Questa legge pagliacciata, non la vogliamo». Per tutta la giornata di ieri, infatti, le associazioni Lgbt hanno manifestato con rabbia sotto al Senato, chiedendo di non votare la fiducia, arrivando anche a bloccare il traffico. Monica Cirinnà esulta per la “storica giornata dei diritti” ma le associazioni gay rispondono scrivendo che si tratta di una «brutta pagina nella storia dei diritti civili nel nostro Paese». Anche il giurista Lgbt Stefano Rodotà ha rilevato che «tutti gli interventi sono stati finalizzati a segnare il massimo di distanza possibile tra le unioni civili e il matrimonio».

Sia ben chiaro: meglio una legge del genere che il vecchio ddl Cirinnà, dove l’equiparazione al matrimonio era totale e plateale, contenente oltretutto la stepchild adoption. Il popolo del Family Day è riuscito a difendere i bambini e far stralciare una pratica che apriva indirettamente all’utero in affitto, come confermato anche dall’ex presidente della Corte costituzionale, Ugo De Siervo: «Diciamocelo chiaramente: con la “stepchild adoption” si concede il diritto a un padre naturale di estendere la genitorialità a chi desidera lui. Non vedo proprio la tutela di un diritto del bambino. Ci potrà poi essere qualche caso limite. Ma non si legifera mai per i casi limite, quanto per i casi ordinari. E qui, di ordinario, vedo piuttosto l’aspirazione di qualcuno a utilizzare la maternità surrogata nascondendosi dietro il presunto interesse del bambino».

Tuttavia il disegno di legge votato rimane una autentica porcata anche per i difensori della famiglia, «una procedura parlamentare antidemocratica, azzeramento del dibattito in Senato, sostituzione con un maxiemendamento, addirittura voto di fiducia, mai chiesto nella storia repubblicana su normative che interrogano profonde questioni di coscienza», scrive Mario Adinolfi. «Chiedo rispettosamente a Sergio Mattarella come possa non ravvisare estremi di incostituzionalità plateali in una normativa che assegna il diritto alla reversibilità della pensione, alla successione testamentaria, all’utilizzo del cognome del partner solo a 7.500 coppie omosessuali attualmente conviventi con 529 minori e non alle novecentomila coppie di fatto eterosessuali con settecentomila bambini che sono totalmente escluse da questi pletorici “nuovi diritti”».

Su Twitter c’è comunque qualcuno che esulta, ma non si accorge che il maxi-emendamento ha amplificato ancora di più la differenza tra coppie gay e famiglie naturali. Dicono che è il “primo passo”. Ma è anche l’ultimo e l’unico possibile poiché, come ha spiegato pochi giorni fa l’ex presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, «la parificazione della coppia omosessuale al matrimonio non è consentita dall’art. 29 della Costituzione, secondo l’interpretazione che ne dà la Consulta nella sentenza del 2010. Perché vi è una differenza naturale tra la coppia di persone di sesso diverso e quella di persone dello stesso sesso che non può consentire di evocare il principio di eguaglianza». Se per la Costituzione la famiglia è la “società naturale fondata sul matrimonio”, allora l’unica famiglia possibile è quella tra uomo e donna uniti in matrimonio. Una realtà che è naturalmente e costituzionalmente differente e diseguale dall’unione di due persone dello stesso sesso, che non potrà mai essere intesa come “matrimonio”, e quindi come “famiglia”.

 

cirinnà

 

Una legge, quella sulle unioni civili, che umilia tutti. Innanzitutto Matteo Renzi, Alfano e tutto il governo di maggioranza, perché per poterla approvare hanno dovuto cambiare in corsa la maggioranza (senza riferire al Quirinale), saltare la commissione e presentarla direttamente in aula, impedire il dibattito parlamentare e far votare tramite fiducia, modificando oltretutto radicalmente la struttura iniziale e originale. Umilia le associazioni e le coppie omosessuali, ufficializzando la loro natura essenzialmente promiscua e sminuendo la serietà dei loro rapporti, tanto che si potranno sciogliere in soli 3 mesi. Umilia le coppie eterosessuali non sposate, private dei privilegi concessi a quelle omosessuali ed, infine, umilia il popolo della famiglia che era certamente disposto a perdere -riconoscendo di difendere valori indigesti per il libertino uomo moderno-, ma voleva farlo democraticamente, all’interno di un dibattito parlamentare, di una votazione reale e concreta. Ancor meglio un referendum.

 

Post Scriptum
L’unica goccia positiva è che, per lo meno, ci siamo liberati della filosofa Lgbt Michela Marzano. «Resterò coerente con quanto ho sempre detto», ha affermato. «Nel momento in cui si dovesse approvare una legge senza la stepchild adoption, tirerò le conseguenze e molto probabilmente lascerò il Partito Democratico». E’ ora quindi per la Marzano di fare le valige, oppure la poltrona vale di più della parola data (vedi Cirinnà)? Questa mattina ha già rimandato: aspetterà la conclusione dell’iter della legge.

 

Qui sotto quando Renzi diceva: “sul Cirinnà non chiederemo la fiducia”

La redazione

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Unioni civili, Mario Adinolfi stravince contro un confuso Umberto Galimberti

fuoriondaQuella scorsa è stata la settimana di propaganda aperta del mondo mediatico a favore del ddl Cirinnà sulle unioni civili, senza alcuna prudenza o rispetto verso un dibattito che divide pesantemente gli italiani. Oltre alle soubrette Barbara D’Urso, Fiorella Mannoia e Dario Canino, si sono schierati tutti i conduttori televisivi di tutte le trasmissioni e di tutti i canali principali, così come tutti i principali quotidiani. Stasera andrà in onda il Festival di Sanremo, pensato chiaramente come uno spot per l’utero in affitto: ospite d’onore Elton John e Nicole Kidman, paladini dell’utero in affitto, mentre Hozier canterà un vecchio brano che parla di Chiesa e omofobia.

Una profonda frattura tra l’irreale mondo dello spettacolo e dell’informazione, e quello del popolo. L’agenzia di sondaggi Ixè, su commissione di Agorà (trasmissione di Raitre) ha infatti certificato: «Il 50% dei cittadini italiani intervistati, se sedesse in Parlamento, voterebbe a favore del ddl Cirinnà sulle unioni civili, 3 punti percentuali in meno del sondaggio condotto la scorsa settimana, prima del Family day. Il 43% voterebbe contro mentre il 7% non prende posizione. Lo stesso campione statistico, alla domanda più esplicita sulle adozioni per i gay, ha risposto in modo diverso: appena il 20% è favorevole (7 giorni fa era il 24%), mentre il 73% contrario (il 29 gennaio era il 67%)». Dopo il Family Day, quindi, lo dicono i sondaggi, gli italiani hanno iniziato a cambiare idea e, conseguentemente, anche in Parlamento il ddl Cirinnà è entrato in crisi. Prima del 30 gennaio scorso era una cosa data per certa, oggi 40 senatori si sono appellati alla Corte Costituzionale, il Movimento 5 Stelle ha aperto un dibattito al suo interno (con tanto di pagina Facebook a favore della famiglia naturale) lasciando libertà di coscienza ai parlamentari, nel Partito Democratico si sono aperte voragini interne, Forza Italia (su approvazione di Berlusconi) voterà, compatto, nel caso non vi saranno modifiche al testo (cioè, stralcio della stepchild adoption e della, comunque incostituzionale, equiparazione al matrimonio). E c’è chi sta già pensando al referendum abrogativo nel caso la legge dovesse passare.

Per il movimento arcobaleno è un periodo nero, dopo l’icona gay Roberto Saviano che ha definito i figli dei “piaceri obbligatori” per gli adulti, ben tre trasmissioni televisive, che avrebbero dovuto essere sponsor delle unioni civili, si sono invece rivelate un tremendo autogol: la prima, Fuori Onda del 31 gennaio scorso, ha dato voce ad una coppia omosessuale con figlio che ha dichiarato, in diretta: «la madre non serve, è un concetto antropologico», creando polemiche anche tra i favorevoli al ddl Cirinnà. La seconda, le Iene del 5 febbraio 2016, ha dato voce al senatore PD Sergio Lo Giudice e al suo compagno omosessuale, i quali hanno imbarazzato persino l’intervistatrice raccontando con nonchalance come hanno acquistato un bambino all’estero, quanto lo hanno pagato, come gli hanno impedito di essere allattato dalla madre («perché è molto importante che fin da subito non si crei il legame tra madre e figlio», hanno detto), ammettendo che il ddl Cirinnà servirà per legittimare ciò che hanno fatto, confermando così i timori dei contrari al disegno di legge.

La terza trasmissione televisiva è stata Fuori Onda due sere fa su La7, che ha visto tra gli ospiti Umberto Galimberti, Marco Pannella e Mario Adinolfi. Contando anche i due conduttori, voleva essere il solito 4 contro 1 secondo gli autori. In realtà, oltre alla sorpresa di Pannella che si è mostrato perplesso e prudente sul ddl Cirinnà, gli spettatori hanno assistito ad un lucidissimo Adinolfi che ha risposto, con puntualità e cognizione di causa, alle sciocchezze del filosofo Galimberti (forse depresso, sicuramente plagiatore), particolarmente adirato contro “i cattolici”. Abbiamo sintetizzato tutto in un video, calcisticamente parlando il risultato è stato uno schiacciante 6-0 a favore dell’ex parlamentare PD, oggi tra i portavoce del Family Day, che ha abilmente svelato anche l’ipocrisia e i noti trucchi dei due conduttori (chiamarli giornalisti è troppo), Labate e Parenzo. Il filmato (qui di seguito) dura 30 minuti circa, assicuriamo che vale la pena guardarlo per chiarirsi ulteriormente le idee sul tema che sta animando il dibattito nazionale in questi giorni.

 

Qui sotto il video che abbiamo realizzato (pubblicato anche sul nostro canale Youtube)

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Slovenia: per il popolo, libero pensatore, esiste solo la famiglia naturale

sloveniaJe suis Slovenia. Solidarietà al popolo sloveno, noi ci schieriamo in anticipo. Nessuna bomba dell’Isis, per fortuna, nessun attacco terroristico. Semplicemente attraverso uno storico referendum popolare, gli sloveni hanno detto “no” al matrimonio e all’adozione per le persone dello stesso sesso. Una vittoria schiacciante: 63,3% contro 36,7%.

Solidarietà perché ora sarà durissima: aspettatavi insulti e denigrazione dagli opinionisti del tollerante “mondo progressista”, vi chiameranno omofobi, razzisti, discriminatori, retrogradi. Lo stesso è accaduto nel 2012 con gli abitanti del Nord Carolina, anche loro massicciamente difensori della famiglia tramite referendum e per questo, per settimane, «sono stati sottoposti a livelli straordinari di abusi e di ridicolizzazione», come ha raccontato il laico Brendan O’Neill, editorialista di “Spiked online”. Bollati come “popolo razzista” da parte di migliaia di militanti dei “diritti civili”, convinti che la legalizzazione del matrimonio gay sarebbe equiparabile alla liberazione dei neri dalla schiavitù.

Lo stesso O’Neill ha raccontato anche quanto accaduto in Irlanda pochi mesi fa dove, sempre attraverso un referendum, i cittadini hanno votato in modo opposto a Slovenia e Nord Carolina. Grazie a lui e all’Irish Central sappiamo però che la campagna referendaria è stata caratterizzata dal «soffocamento della libertà d’espressione» per i contrari alle nozze Lgbt, con tanto di minacce verso gli intellettuali contrari (come lo scrittore John Waters, costretto con violenza a cancellare le sue conferenze pubbliche). Il tutto ben oliato dal miliardario irlandese-americano Chuck Feeney che ha investito milioni di dollari per organizzare la campagna pro-Lgbt e trasformato la sua agenzia in una «macchina di lobbyng professionale che lavora a tempo pieno», comprando il voto, letteralmente, dei quotidiani e dei politici.

In Slovenia niente di tutto questo ed infatti i risultati sono stati opposti (così come ha vinto la famiglia in Romania, Polonia e Ungheria). Pensare che, secondo i racconti degli attivisti arcobaleno, il fronte del “si” era ottimista perché «non è semplice per il fronte del no arrivare al quorum richiesto». Sandi Paulina, responsabile esteri di Arcigay Arcobaleno Trieste e cittadino della capitale slovena, ha rivelato che i partiti politici, i vip de Paese e i personaggi dello spettacolo erano tutti schierati a favore delle nozze gay (contraria la Chiesa, Papa Francesco con tanto di appello cinque giorni fa ai pellegrini sloveni a difendere la famiglia, e molte associazioni cittadine). Ed invece il popolo si è dimostrato indipendente dal mondo politico e mondano. Libero pensatore, perché ha già toccato per mano l’oppressione del regime, quello comunista, e non desidera certo mettersi nelle mani di un’altra forma di dittatura: la “colonizzazione ideologica” arcobaleno.

Perché di regime, purtroppo, si tratta: lo sta scoprendo oggi l’Irlanda dato che, in seguito al referendum, il Parlamento di Dublino ha approvato una legge che obbliga le istituzioni cattoliche, comprese le scuole, ad assumere dipendenti apertamente omosessuali, anche se essi contrastano dichiaratamente i principi del datore di lavoro. A tutto questo la Slovenia ha detto “no”, perché difendere la famiglia significa anche difendere la libertà.

 

Aggiornamento 22/12/15
Incredibile come l’Unità, Il Manifesto, l’Huffington Post (solo versione italiana) e il “Fatto Quotidiano” abbiano censurato la notizia (come denunciato anche da Il Foglio). Il Corriere della Sera ha pubblicato due stizzite righe soltanto nell’edizione cartacea, accompagnando la notizia con la foto di una sorridente coppia omosessuale. Il servizio di oggi su “La Croce” sottolinea invece giustamente che l’affluenza alle urne è stata una percentuale degli aventi diritto al voto ben superiore rispetto a quella richiesta dalle regole referendarie (per le quali bastava il 20% di contrari per annullare la legge).

La redazione

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Consiglio di Stato: «il matrimonio omosessuale non rispetta l’ordine naturale»

consiglio di statoConsiglio di Stato e nozze gay. Una sentenza rivoluzionaria che conferma l’illegalità in Italia della trascrizione di matrimoni omosessuali contratti all’estero, nel verdetto alcuni passaggi davvero positivi per chi difende la famiglia naturale.

 

La notizia non è certo nuova: il Consiglio di Stato ha confermato che la Costituzione italiana riconosce soltanto il matrimonio naturale e che le trascrizione da parte di sindaci ribelli di nozze omosessuali contratte all’estero sono illegali. Volevamo comunque dare rilievo ad alcune sfumature che non sono particolarmente emerse e che giustificano un, seppur minimo, razionale ottimismo.

Innanzitutto facciamo notare come in questi anni diversi pronunciamenti abbiamo smontato completamente i pochi argomenti avanzati dai sostenitori Lgbt. In particolare, con la sentenza n.138 del 2010, la Corte Costituzionale ha chiarito definitivamente che le nozze gay sono incostituzionali poiché «l’istituto del matrimonio civile, come previsto nel vigente ordinamento italiano, si riferisce soltanto all’unione stabile tra un uomo e una donna». Ha poi aggiunto un particolare molto importante: «la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». Con una chiara sentenza, venne smontata dunque la legittimità del matrimonio omosessuale e l’equivalenza tra unioni omosessuale e eterosessuali.

Nel 2015 la Cassazione si è rifatta a tale sentenza, confutando in particolare la tesi del “diritto al matrimonio omosessuale” e quello del “ce lo chiede l’Europa”. «Deve escludersi», dice la sentenza, «che la mancata estensione del modello matrimoniale alle unioni tra persone dello stesso sesso determini una lesione dei parametri integrati della dignità umana e dell’uguaglianza, i quali assumono pari rilievo nelle situazioni individuali e nelle situazioni relazionali rientranti nelle formazioni sociali costituzionalmente protette dagli articoli 2 e 3 della Costituzione». Nel nostro Paese, dunque, non c’è alcuna lesione dei diritti delle persone omosessuali, ed inoltre «l’articolo 12 della Carta dei diritti fondamentali della Ue, ancorché formalmente riferito all’unione matrimoniale eterosessuale, non esclude che gli Stati membri estendano il modello matrimoniale anche alle persone dello stesso sesso, ma nello stesso tempo non contiene alcun obbligo». Quindi, l’Europa non ci chiede proprio nulla.

Arriviamo dunque alla recente sentenza del Consiglio di Stato, il quale ha sostenuto che «il matrimonio omosessuale deve, infatti, intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio». Per cui, «il corretto esercizio della potestà impedisce all’ufficiale dello Stato civile la trascrizione di matrimoni omosessuali celebrati all’estero […]. Non appare, in definitiva, configurabile, allo stato del diritto convenzionale europeo e sovranazionale, nonché della sua esegesi ad opera delle Corti istituzionalmente incaricate della loro interpretazione, un diritto fondamentale della persona al matrimonio omosessuale, sicchè il divieto dell’ordinamento nazionale di equiparazione di quest’ultimo a quello eterosessuale non può giudicarsi confliggente con i vincoli contratti dall’Italia a livello europeo o internazionale […]. Risulta agevole individuare la diversità di sesso dei nubendi quale la prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio, secondo le regole codificate negli artt.107, 108, 143, 143 bis e 156 bis c.c. ed in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto, oltre che all’ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna». Il matrimonio è soltanto tra uomo e donna, perché risponde all’ordine naturale, e non c’è alcun diritto al matrimonio omosessuale.

Un secco 3-0, potremmo dire, che è stato male digerito (sopratutto dalla Rete Lenfordavvocati arcobaleno) dal mondo Lgbt il quale si è scatenato contro i giudici non rispettando la sentenza. Due di loro, si è scoperto, sono cattolici (in un Paese in cui l’80% si dichiara cattolico), gli altri tre non si sa. Questo è bastato per parlare di mancata imparzialità del Consiglio di Stato, la quale sarebbe stata invece rispettata se i magistrati fossero stato atei e/o pro-gay. Alla frustrazione dell’associazionismo arcobaleno ha risposto il laicissimo magistrato Vladimiro Zagrebelski: «non si può negare la ragionevolezza delle conclusioni cui è giunto il Consiglio di Stato, che è un giudice che applica le leggi vigenti e si preoccupa del sistema che esse definiscono. Basta sottolineare l’assurdità della pretesa di alcuni sindaci di decidere secondo il loro proprio orientamento, rifiutando di sottostare all’autorità gerarchica da cui, nella materia, dipendono e dando luogo ad un sistema per cui si potrebbe esser sposati oppure no a seconda del Comune (e sindaco) ove si è richiesta la registrazione. Resta l’esempio negativo di un ribellismo improprio da parte di pubblici funzionari, come sono i sindaci nelle loro funzioni in tema di Stato Civile. Sul piano della legge vigente è dunque giunta la parola fine». Azzeccato anche il commento ironico di Mario Giordano, così come sono condivisibili gli interventi del prof. Mario Chiavario, professore emerito di Procedura Penale nell’Università di Torino-, che ha definito “assurda” «la pretesa di un’astensione del giudice, in quanto “cattolico”, dal pronunciarsi in sede giudiziaria su certi argomenti. E’ paradossale che questi attacchi arrivino in gran parte da un mondo che delle proprie convinzioni ideologiche ha fatto il passe-par-tout per ogni sorta di forzature del dettato delle leggi a colpi di sentenze»-, e quello odierno dell’ex procuratore generale Ennio Fortuna.

In realtà si dovrebbe parlare di 6-0 se, oltre alle tre sentenze, ricordiamo -come giustamente ha fatto Mario Adinolfi, direttore de La Croce– che: «vinciamo in piazza, in Parlamento e nella Chiesa. Ovvero il 20 giugno a piazza San Giovanni, la dimensione politico-parlamentare che ha costretto a ritirare il ddl Cirinnà, riscriverlo, ripresentandolo con 23 articoli modificati anziché 19 e saltando il passaggio in Commissione dove il testo era inchiodato. Eppoi c’è la Chiesa: al punto 76 della Relatio finale del Sinodo si legge: “circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. Oggi la resistenza sta vincendo». Nonostante tutto il main-stream politico, culturale e mediatico remi contro.

La redazione

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