Il coming out di Marco Carta ed il padre assente: e se la psicoanalisi avesse ragione?

Origine omosessualità. Da Freud in poi innumerevoli psicoanalisti hanno teorizzato il legame tra genesi dell’omosessualità ed assenza del padre o un conflittuale rapporto con la figura paterna. La storia e i dubbi di Marco Carta sembrano confermare.

 

Il coming out del cantante meteora Marco Carta ce lo stanno propinando in tutte le salse, in Italia ha avuto più eco del voto del Midterm. Si dichiara gay, vuole un figlio a tutti i costi e racconta della sua infanzia, la tragica scomparsa della madre e l’abbandono da parte del padre.

Rispetto a quest’ultimo, il cantante descrive un rapporto conflittuale: «Avevo sei anni, papà aveva un’altra famiglia e non l’avevo mai conosciuto. Quel giorno, stava venendo da me e io mi sono seduto sulle scale ad aspettarlo due ore prima e non è mai arrivato. Due anni dopo è morto. La rabbia è stata tanta. E tutta inutile. Ero più arrabbiato con la morte che con lui. Mi sono sempre chiesto se nell’omosessualità ho cercato quello che non ho avuto».

Carta, dunque, si domanda se la genesi della sua attrazione per persone dello stesso sesso non sia nata in modo naturale, spontaneo ma a causa dell’assenza del padre. Forse non lo sa, ma  è la stessa domanda (a volte, vera e propria convinzione) che si fanno milioni e milioni di omosessuali, cresciuti con padri assenti o deboli, ininfluenti oppure, a volte, così violentemente presenti da sperare nella loro assenza. Questa è anche la tesi di molte scuole freudiane e di psicoanalisi e vi sono diversi studi che confermano questo fenomeno. Lo stesso Sigmund Freud vide nella mancanza del padre, nella sua presenza passiva o nella sua estromissione (volontaria o meno) la possibilità della genesi dell’omosessualità maschile.

Una convinzione anche per Richard Isay, psicoanalista americano del Weill Cornell Medical College ed attivista gay, che nel suo Essere omosessuali. Omosessualità maschile e sviluppo psichico (Raffaello Cortina 1996) descrive la presenza nel bambino di un’attrazione erotica verso il padre e l’imitazione della madre per ricevere da lui amore ed attenzione. Un’identificazione che si protrae fino all’età adulta in caso di disinteresse/lontananza da parte del padre o in caso in cui esso se ne accorga e lo allontani, generando l’omosessualità maschile e rendendo il figlio, a sua volta, poco virile in funzione della sua identificazione materna. Secondo Isay, da questa dinamica nascono molti dei racconti di omosessuali che riferiscono di padri ostili, freddi o distaccati. Per quanto riguarda l’attrazione tra donne il fenomeno sarebbe speculare anche se le dinamiche appaiono più complesse e statisticamente meno rilevanti. Uno dei principali sessuologi canadesi, Ray Milton Blanchard, psichiatra all’Università di Toronto, quando -assieme allo psicologo Kurt Freund- ha constatato una correlazione tra una relazione “povera” padre-figlio e le possibilità del figlio di diventare omosessuale (Journal of Homosexuality 1983).

Il padre delle neuroscienze in Italia, Mauro Mancia, neurofisiologo e psicoanalista, ha concluso che la «perversione sessuale», così come lui riteneva l’omosessualità, «è connessa con l’assenza del padre e con il fallimento di una relazione primaria con una madre incapace di condurre il bambino alla soglia di Edipo. La perversione sessuale può essere considerata come l’espressione di un’organizzazione di personalità narcisistica che fa un massiccio uso della scissione e dell’identificazione proiettiva come difesa contro l’ansia da separazione. Ciò impedisce agli omosessuali di disidentificarsi dalle loro madri e di raggiungere una distinta identità di genere». Lo psicoterapeuta Giuseppe Nicora del Policlinico Gemelli di Roma, esperto in disturbi della sfera sessuale, ha visto a sua volta la figura paterna come perno nel quale il bambino riesce a superare la “nostalgia della madre” e, in caso di assenza della figura paterna, emerge il desiderio nostalgico dell’oggetto necessario e mancante, un uomo per l’appunto. Anche lo psicoanalista Claudio Risé ha individuato nella «sparizione della figura paterna» l’eziologia dell’omosessualità, in quanto al giovane viene negata l’esperienza di iniziazione alla propria dimensione maschile, «lasciandolo in qualche modo nella terra di nessuno che viene, per forza di cose, occupata dalla sfera di influenza materna, rendendo il giovane maschio più in sintonia con il mondo femminile e lo spinge in direzione di una propria omosessualità: la sua curiosità verso il corpo maschile, causata dall’assenza del rapporto col padre, viene quindi trasferita verso un altro uomo, su cui viene caricata di valenze affettive ed erotiche frutto sempre dell’assenza paterna». Una tesi che vede conferma in studi clinici sull’effeminizzazione presente nell’omosessualità maschile. Il padre dov’era (Sugarco 2013) si intitola lo studio dello psicoanalista freudiano Giancarlo Ricci, membro dell’Associazione Lacaniana Italiana di Psicoanalisi, in cui ha esplorato i motivi psichici e familiari che portano all’orientamento omosessuale in cui l’assenza del padre e il predominio della madre sono ancora una volta al centro dell’attenzione (ma anche un vissuto traumatico come l’abuso). La scuola e il pensiero sono quelli appunto di Jacques Lacan che, a sua volta, rilevò l’assenza della figura paterna, o la sua debolezza all’interno degli equilibri familiari, una costante nella vita degli omosessuali.

Oltre a Lacan, la tesi è sostenuta da numerosi psichiatri, autori del testo Homosexuality: A Psychoanalytic Study of Male Homosexuals (1962), a cura dello psicoanalista americano Irving Bieber. Assieme a studiosi del calibro di Melanie Klein, Alfred Adler Cornelia B. Wilbur, ha osservato che gli uomini omosessuali erano più propensi a riferire di avere “madri oppressive o a cui erano molto legati” e padri distaccati, ostili o rigidi che odiavano o di cui avevano avuto timore. Una situazione che, a loro dire, predispone fortemente un bambino a diventare omosessuale. Joseph Nicolosi, psicologo clinico americano famoso per le “terapie riparative”, ha ripreso la traccia ritenendo, in base alla sua esperienza, l’omosessualità un problema dello sviluppo, quasi sempre il risultato di rapporti familiari problematici tra padre e figlio (Omosessualità maschile: un nuovo approccio, Sugarco 2002). Convinzione che ha ereditato dal suo maestro, l’eminente psichiatra statunitense Charles M. Socarides, docente alla Columbia University e premiato dalla principali associazioni di psicologia. Un approccio confermato da un’altra autorità in materia, lo psicologo della Cornell University Ritch Savin-Williams, secondo cui «il problema dell’omosessualità non è principalmente un problema di sesso ma un problema di sviluppo e di relazione, in effetti è una questione di origine familiare» (Lesbian, gay and bisexual youths relationships with their parents, Oxford University Press 1996). Gli psicologi Ray Seutter e Martin Rovers hanno concluso uno studio osservando che «i risultati sono coerenti con la teoria del “padre debole” nell’eziologia dell’omosessualità», avvalorando in particolare il modello di studi di Charles M. Socarides e Irving Bieber.

C’è chi ha fatto notare che il dilagare statistico delle persone omosessuali sia emerso proprio in seguito agli anni ’70, momento in cui la famiglia iniziò la sua disgregazione (divorzio) e dove la ribellione all’autorità paterna fu un simbolo di forte emancipazione. Ne emerse una generazione disagiata, di adulti inconsistenti e la figura maschile venne ancor più messa in discussione dall’esuberante fenomeno femminista.

Insomma, il dubbio di Marco Carta sembra così trovare conferma nella in una parte della psicoanalisi (mentre altri ritengono tale tesi superata), almeno quando ancora la ricerca e gli studiosi non erano viziati dall’ideologia moderna del politicamente corretto. Dubbio, occorre dirlo, mai nato nelle persone con un orientamento sessuale ordinato, coincidente ed in coerenza con il dato anatomico e biologico.

La redazione

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Napolitano tra i “grandi d’Italia” anche per Benedetto XVI, nessuna polemica?

Napolitano tra i grandi d’Italia. L’elogio di Benedetto XVI segue quello di Papa Francesco, ma non parte nessuna polemica da parte degli antibergogliani. Eppure, il Papa venne criticato perché apprezzò l’ex presidente, reo di essere “comunista”, “massone” e non aver firmato il decreto che avrebbe salvato Eluana Englaro.

 

Era il 2016 quando Papa Francesco venne investito da un’ondata di insulti da parte di “devotissimi cattolici” per alcune parole riportate dal Corriere della Sera, in particolare sull’ex presidente Giorgio Napolitano e la leader radicale Emma Bonino. Di loro, il quotidiano riferì che il Papa avrebbe detto che sono i «grandi dimenticati» protagonisti della cronaca dei nostri giorni, mentre in un secondo articolo il Corriere ha riportato che «il Papa è solito citare “tra i grandi dell’Italia di oggi” sia il capo dello Stato emerito, Giorgio Napolitano, che l’ex ministro Emma Bonino».

Francesco spiegò così i motivi di questo elogio: «Quando Napolitano ha accettato per la seconda volta, a quell’età, e sebbene per un periodo limitato, di assumersi un incarico di quel peso, l’ho chiamato e gli ho detto che era un gesto di “eroicità” patriottica». Quanto alla Bonino, il Papa ha voluto valorizzare il fatto che «è la persona che conosce meglio l’Africa. E ha offerto il miglior servizio all’Italia per conoscere l’Africa. Mi dicono: è gente che la pensa in modo molto diverso da noi. Vero, ma pazienza. Bisogna guardare alle persone, a quello che fanno».

Il catto-complottista Maurizio Blondet scrisse: «A parte il senso di offesa come credente, per l’uso e l’abuso che Bergoglio fa del cattolicesimo cui appartengo, non mi stupisco. Conferma che Bregoglio sta attuando un programma scritto da lungo tempo. Napolitano, è apparentemente l’omaggio ad un “fratello”. Napolitano, massone, fu il regista, rafforzato da “antifascismo” e radicalismo laicista, del colpo di Stato, decretato dai luoghi illuminatissimi di Bruxelles e Washington, che doveva rovesciare l’ultimo politico eletto (ancorché indegno, Berlusconi) e sostituirlo con servi e maggiordomi del Sistema. Che cosa volete che commenti: se Bergoglio sia personalmente massone non so. Basta che sia modernista. Pare più un prodotto dell’ideologia, che un consapevole fautore: per esempio ha falle di conoscenza della dottrina cattolica, quasi ridicole. Forse è teleguidato, il che è peggio, in un certo senso» (M. Blondet, Bergoglio elogia Napolitano e Bonino? Esegue il programma, 10/02/16). Nel suo delirio, Blondet sostiene che Francesco abbia lodato Napolitano obbedendo al copione del solito “nuovo ordine mondiale” del quale i due farebbero parte. Rispetto ad Emma Bonino, non sappiamo quanto il Papa conoscesse, di certo la sua mano tesa e l’enfasi posta sull’attivismo nel sociale dell’ex ministro venne fatta passare per un’approvazione papale di tutto quanto la leader radicale ha fatto nella sua vita. L’associazione Papaboys giustamente puntualizzò: «Papa Francesco ha semplicemente dato a Cesare il suo. Francesco non ha messo sull’altare Emma Bonino, ha riconosciuto il suo impegno ed il suo lavoro per l’Africa». Una sorta di promessa: impegnati sulle battaglie giuste, sul problema delle carceri e dei migranti: su questo avrai l’appoggio del mondo cattolico.

Che quelle al Papa fossero accuse piuttosto pretestuose lo si è potuto confermare pochi giorni fa, all’uscita del libro Oltretevere (Edizioni Piemme) di Alessandro Acciavatti, il quale ha rivelato diversi dettagli nel rapporto tra i Papi e i Presidenti della Repubblica italiana dal Dopoguerra ad oggi. Ampio spazio è stato dato all’intenso rapporto, che non è errato chiamare d’amicizia, intercorso tra l’ex presidente Giorgio Napolitano e Benedetto XVI. L’autore ha pubblicato una memoria scritta proprio dal Papa emerito, risalente all’agosto 2016, in cui Ratzinger ripercorre i suoi contatti con il mondo politico e culturale, in particolare -appunta Benedetto XVI- grazie al «contatto con don Giussani, il cui movimento “Comunione e Liberazione” avevo potuto conoscere già durante la fondazione della rivista internazionale Communio che secondo me è stato un importante avvenimento internazionale dei primi anni Settanta. Attraverso l’incontro con Don Giussani e con Comunione e Liberazione è poi nato il contatto con Rocco Buttiglione e – purtroppo solo indirettamente – con il grande filosofo Del Noce, che purtroppo non potei più incontrare personalmente».

Quindi il rapporto con Francesco Cossiga, Andreotti, Carlo Azeglio Ciampi ed in particolare Napolitano. Il Papa emerito ha detto dell’ex presidente:

«Da lungo tempo la sua figura mi era nota, soprattutto mi aveva impressionato la sua azione come Presidente della Camera dei Deputati caratterizzata da severa obbiettività e autentica imparzialità. Era evidente che la sua idea del Partito comunista aveva una forma diversa rispetto a come noi conoscevamo quel fenomeno sulla base della storia tedesca. Senza dubbio egli ben presto ha percorso strade per la chiarificazione delle sue idee politiche che lo hanno condotto a un incontro profondo con la tradizione giuridica cristiana – la cultura, la civiltà della fede – preparandolo a portare la suprema responsabilità per il suo Paese, l’Italia, che, pur nella contrapposizione delle tradizioni spirituali, è comunque giunto a un’idea di fondo di giustizia e di verità che può dare al Paese interna unità. Già il primo incontro mi fece vedere un’ampia, profonda convergenza sulle posizioni di fondo che oggi sono in ballo Per l’Italia, Napolitano ha rappresentato certo una fortuna essere guidata in tempi difficili e tra scogli di ogni tipo da un uomo così».

Dunque, anche per il Papa emerito, l’ex presidente Napolitano va annoverato tra i “grandi d’Italia”. Ma nessuna polemica si è levata, un assordante silenzio è arrivato da coloro che si stracciarono le vesti quando Francesco emise un giudizio simile. Antonio Socci e i suoi epigoni in questo caso hanno preferito evitare  di ricordare che non sono affatto chiariti i rapporti tra Andreotti e la mafia e Napolitano, un uomo effettivamente di grande spessore, porta sulla coscienza un’enorme macchia, quella di essersi rifiutato di firmare un disegno di legge che il Consiglio dei ministri approvò velocemente per fermare la macchina giudiziaria e tentare di salvare la vita ad Eluana Englaro, obbligando l’assistenza attraverso alimentazione e idratazione per soggetti non autosufficienti.

Quando l’apprezzamento arrivò da Francesco si disse che il Papa argentino elogiava un uomo che condannò a morte Eluana, ora che Napolitano è stato inserito tra i “grandi d’Italia” anche da Benedetto XVI nessuno fiata e, anzi, sicuramente lo si giustificherà dicendo che Ratzinger sta solo valorizzando alcuni aspetti della biografia dell’ex presidente. Ovviamente sarebbe sciocca una polemica del genere, così come fu quella contro l’attuale Papa, ma l’ipocrisia dei nemici di Bergoglio è ormai facilmente prevedibile.

Sottolineiamo infine che la stima di Benedetto XVI per Napolitano è reciproca, l’ex presidente italiano ebbe infatti a commentare: «Non esito a confessare che una delle componenti più belle che hanno caratterizzato la mia esperienza è stato proprio il rapporto con Benedetto XVI. Abbiamo scoperto insieme una grande affinità, abbiamo vissuto un sentimento di grande e reciproco rispetto. Ma c’è di più, qualcosa che ha toccato le nostre corde umane. E io per questo gli sono molto grato […]. Un rapporto di schietta amicizia, con tutta la deferenza che io ho per lui e per il suo altissimo ministero, per la sua altissima missione».

La redazione

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Corte Europea: la Chiesa non deve pagare l’Ici, ma gli anticlericali esultano

Ici e Vaticano. La Corte Europea ha confermato l’esenzione dell’imposta sugli immobili alle strutture religiose e caritative, mentre ha chiesto il recupero dell’Ici a tutte quelle associazioni no-profit con attività commerciale (sportive, culturali e religiose). Ma i radicali e Maurizio Turco credono sia una sconfitta della Chiesa.

 

La questione dell’ICI, l’imposta comunale sugli immobili, è molto semplice. Va pagata se l’attività è commerciale, non va pagata se l’attività è non commerciale. A complicare le cose vi sono le situazioni cosiddette miste. Ma la legge è chiara: tutti gli enti non commerciali (scuole, cliniche, associazioni di volontariato o sportive, luoghi culturali, ricreativi ed edifici religiosi) non sono tenuti a pagare l’imposta a meno che, al loro interno, vi siano attività commerciali.

Basterebbe questo per capire che quello dell’Ici non è un problema della “Chiesa”, ma di un vastissimo mondo legato al cosiddetto no-profit. Infatti, nella sentenza di ieri della Corte di giustizia dell’Unione europea, la parola “chiesa” non compare mai, si parla semplicemente di “enti non commerciali”. Così Avvenire ha denunciato la fake-news che sta girando: «per quale strano meccanismo della comunicazione un “ente non commerciale” diventa in un istante “la Chiesa”?», si domanda. «Succede da anni, da quando si ragiona di IMU e di ICI».

Ed infatti tutta la grande stampa, i Radicali e le masse anticlericali hanno esultato scrivendo che «l’Italia dovrà recuperare l’Ici non versata dalla Chiesa». Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno e delegato dell’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), ha giustamente commentato: «la questione va ben oltre la Chiesa cattolica e la laicità dello stato non c’entra nulla. Dalla breccia di Porta Pia in poi questi dibattiti non sono sereni, bensì intossicati da pregiudizi e semplificazioni di carattere storico-ideologico che non dovrebbero esserci». E’ il segno di quanto sia diventata per molti una delle tante lotte ideologiche contro la religione cattolica e il suo vastissimo fronte di aiuto caritativo ed umanitario che i Radicali vorrebbero vedere tassato e messo in crisi. Il loro argomento di battaglia è che le mense per i poveri e gli ostelli che ospitano i senza tetto farebbero “concorrenza sleale” a ristoranti, hotel e ospedali e, per questo, chiedono la tassazione totale alle opere caritative.

Ma nella sentenza di ieri, la Corte Europea ha semplicemente dichiarato che, al contrario di quanto decise il Tribunale Ue nel 2016, l’Italia ha facoltà di recuperare l’Ici (si parla di una somma tra i 13 e i 14 miliardi) non versato da tutti quegli enti non commerciali che ospitano attività commerciali al loro interno (un ospedale con un bar, ad esempio o un’associazione culturale che vende libri). Non è impossibile, come venne sancito due anni fa, sono mere “difficoltà interne” da superare. In realtà, spiega il magistrato della Cassazione Alfredo Mantovano, non si recupera niente perché entra in gioco la prescrizione e, ha aggiunto Marco Miccinesi, ordinario di Diritto tributario all’Università Cattolica, resta fattualmente impossibile la ricostruzione del quadro degli enti non commerciali che disponevano di immobili nel periodo 2007 al 2011. Inoltre, la Corte Ue ha confermato (come già stabilito dalla Commissione) la regolarità dell’Imu, che ha sostituito l’Ici dal primo gennaio 2012, in quanto non costituisce aiuto di Stato al mondo no-profit. Tutto qui (ottimo l’approfondimento di Avvenire).

Eppure, l’editorialista de La Stampa, Gian Enrico Rusconi, ha scritto che gli uomini di Chiesa starebbero tremando di paura e «sperano che la faccenda finisca nel nulla», mentre il radicale Maurizio Turco l’ha definita «una vittoria della laicità contro il clericalismo di Stato» (e ora punta a riformare la legge sull’8×1000), dedicando il successo a Pannella. Peccato che siano coinvolte migliaia di associazione sportive, centinaia di associazioni culturali, le sedi di Emergency, le Camere di commercio, i musei, la comunità ebraica di Roma, la comunità valdese ecc. e tutti gli enti no-profit che ospitano o gestiscono una pur minima attività commerciale (vendita libri, souvenir, servizi extra, visite turistiche, convegni ecc.)

In queste ore anche anche i vescovi esprimono soddisfazione: «Una pronuncia positiva», ha commentato il vescovo “giurista” di Trapani, Domenico Mogavero, «viene confermata l’esenzione dell’Imu per gli edifici di culto. In pratica una istituzione dell’Europa (che non è mai stata tanto tenera verso la dimensione religiosa) riconosce il valore della fede, la sua specifica rilevanza al punto da garantire ai luoghi di culto un’esenzione che non contrasta con la finalità fiscale». E’ intervenuto anche mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, spiegando: «le attività sociali svolte dalla Chiesa cattolica trovano anche in questa sentenza un adeguato riconoscimento da parte della Corte di Giustizia Europea. La Corte, infatti, conferma la legittimità dell’Imu – introdotta nel 2012 – che prevede l’esenzione dell’imposta, quando le attività sono svolte in modalità non commerciale, quindi senza lucro. La sentenza odierna rileva che la Commissione avrebbe dovuto condurre una verifica più minuziosa circa l’effettiva impossibilità dello Stato italiano di recuperare le somme eventualmente dovute nel periodo 2006-2011».

Gli enti religiosi che ospitano attività commerciali (definiti erroneamente “chiesa” dai media), pagano già le tasse sugli immobili, senza problemi. Lo aveva spiegato don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana: «La Chiesa ha sempre pagato le tasse su tutte le attività commerciali! Nessuno, con un minimo di onestà intellettuale, può affermare il contrario. Era esentata, come tanti altri organismi ed enti laici, solo per le attività solidali ed educative. Le polemiche e gli attacchi finiti sui giornali, alimentati soprattutto dai radicali, riguardavano situazioni “miste” (culto e commercio), su cui ora s’è fatta chiarezza. La Chiesa, anzi, ha invitato a procedere nei casi ove la legge è stata violata. Ci aspetteremmo altrettanta chiarezza in altre istituzioni».

Ed infatti, ancora una volta, il segretario della Cei in queste ore ha ribadito: «Abbiamo ripetuto più volte in questi anni che chi svolge un’attività in forma commerciale – ad esempio, di tipo alberghiero – è tenuto, come tutti, a pagare i tributi. Senza eccezione e senza sconti. Detto questo, è necessario distinguere la natura e le modalità con cui le attività sono condotte. Una diversa interpretazione, oltre che essere sbagliata, comprometterebbe tutta una serie di servizi, che vanno a favore dell’intera collettività».

Servizi di carità e assistenza ecclesiali che i radicali vorrebbero tassare ma che loro, al contrario, non svolgono. Anche perché in essi non rientra l’istigazione al suicidio dei malati e delle persone con depressione così da strumentalizzare la loro morte in vista di una legge sull’eutanasia. Tuttavia, ricevono ugualmente dallo Stato decine di milioni di euro ogni anno destinati a Radio Radicale, grazie ad un furbo escamotage: sostengono di offrire un servizio pubblico trasmettendo, in alcuni momenti della giornata, la diretta dal Parlamento: peccato che lo faccia già Radio Rai Parlamento, con ben altri risultati in termini di ascolti. Sarebbe ora che Maurizio Turco iniziasse una battaglia in nome della laicità contro i privilegi laicisti della sua stessa emittente radiofonica.

La redazione

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Il simbolismo religioso risale al Neolitico, la spiritualità è insita nella nostra natura

L’homo religiosus e il Neolitico. L’antropologo Facchini riflette sulla Dea Madre e sul simbolismo religioso che caratterizza da sempre l’essere umano, nel quale l’idea di Dio è spontanea e non derivata dall’educazione religiosa.

 

«La spiritualità è insita nella nostra natura», scriveva il compianto matematico statunitense Amir D. Aczel, docente alla Bentley University del Massachusetts, nel suo libro Perché la scienza non nega Dio (Raffaello Cortina Editore 2015), pubblicato in Italia l’anno della sua tragica morte. Si stupiva Aczel di come «l’impulso umano all’adorazione della forza creatrice risale ai primi giorni della nostra specie» (p. 51), è un tutt’uno con l’essere umano, sottolineando la scempiaggine di coloro che da secoli ne profetizzano la fine.

Gli antropologi Julien Ries e Yves Coppens hanno dedicato i loro studi all’homo religiosus, che «coincide con l’uomo in generale. L’essere umano, fin dallo sbocciare della sua umanità, è sensibile al sacro e possiede una dimensione spirituale». C’è un fattore nell’uomo che si chiama coscienza e che percepisce naturalmente l’esistenza di uno spirito superiore, di un dio che lo ha inevitabilmente generato.

In questi giorni ne ha parlato il prof. Fiorenzo Facchini, docente emerito di Antropologia all’Università di Bologna, riflettendo sul culto della Dea Madre, la divinità della procreazione, risalente al Neolitico. Ma, ancora prima, nel Paleolitico superiore (30mila anni fa) compaiono statuette di donne note come “Veneri aurignaziane” che rappresentavano la fertilità femminile. Ancora oggi luoghi destinati a camere sepolcrali o santuari, in cui è presente spesso la forma di un toro, un’altra divinità personificata però nella forma di un animale.

«E’ difficile non scorgere in tali rappresentazioni un simbolismo che si lega al senso religioso», ha commentato l’evoluzionista Facchini, «che accompagna la vita dell’uomo e si prolunga in una vita oltre la morte. Probabilmente racconti mitologici arricchivano il senso religioso, di cui il culto della fertilità e della vita rappresentavano un’espressione». Secondo Jacques Cauvin (1987) si può far risalire al Neolitico l’esistenza di una religione.

Così, la rappresentazione di Dio nasce spontanea nell’essere umano e non deriva da un’educazione religiosa la quale, ha spiegato l’antropologo di Oxford, Scott Atran, «va ad aggiungersi ad una rappresentazione di Dio già costruita. L’educazione religiosa non contribuirà in misura sostanziale alla creazione di tale immagine. Elementi come la verità e l’eternità sono già presenti nei bambini rispetto a Dio ancora prima di qualunque educazione ricevuta». Come riflettevamo in un’altra occasione: questo anelito di Infinito è ciò che davvero accomuna gli uomini di tutti i tempi, la ricerca dell’Aldilà come soluzione che possa finalmente soddisfare una mancanza incolmabile che chiunque percepisce dentro di sé nell’aldiqua, forma un “consenso unanime”.

Il teologo Francesco Brancato, docente presso la Facoltà Teologica di Sicilia, dialogando con lo zoologo Ludovico Galleni, commentava il fatto che «sin dalla preistoria l’essere umano ha avuto coscienza che la sua stessa condizione, al pari di tutto il resto degli esseri viventi, è quella propria di una creatura mortale, in possesso di un breve segmento di esistenza rispetto al grande ciclo vitale della natura. Egli ha compreso, nello stesso tempo, di essere aperto a una dimensione che non può essere totalmente assimilata a quella della sua esistenza attuale e di non essere un semplice frammento del più ampio ventaglio della natura e della sua storia» (F. Brancato e L. Galleni, L’atomo sperduto. Il posto dell’uomo nell’universo, San Paolo 2014, p. 464).

Una mera coincidenza? Uno scherzo sadico della natura? Oppure quell’inestirpabile coscienza di Dio è una “firma” posta all’interno dell’uomo dal Creatore perché la creatura non si dimenticasse e non si allontanasse troppo da Lui?

La redazione

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Corte Suprema Alabama: «la legge pro aborto è anomala e illogica, i non nati sono persone»

Aborto illegale. Lo hanno chiesto in una storica sentenza i giudici dell’Alabama chiedendo ai colleghi della Corte Suprema degli Stati Uniti di intervenire a livello nazionale per mettere fine ad una legge “anomala e logicamente errata”.

 

Una storica sentenza non ha stranamente avuto l’adeguata risonanza mediatica, ma non c’è da stupirsi. La Corte Suprema dell’Alabama, il più importante tribunale del popolato stato americano, ha infatti riconosciuto la personalità dei bambini non ancora nati e ha simultaneamente e coerentemente chiesto il rovesciamento di Roe v. Wade, ovvero la legge che dal 1973 legalizza l’interruzione di gravidanza negli Stati Uniti.

Nel caso Jessie Livell Phillips v. State of Alabama è stata infatti confermata la condanna per omicidio per un uomo che nel 2009 uccise la moglie incinta e il loro bambino non ancora nato. I giudici hanno quindi riconosciuto due vittime e coerentemente hanno sentito l’obbligo di spiegare:

«Secondo le leggi penali dello stato dell’Alabama, il valore della vita di un bambino non ancora nato è nientemeno che il valore della vita di tutte le altre persone. Il commento aggiuntivo del tribunale di prima istanza è che questo paese è fondato sull’identica protezione ed il giusto processo per tutte le sue persone, basandosi sulla legge costituzionale. Così, questa Corte conclude che non è errata la negazione dell’attenuante rispetto all’aggravante dovuta dal fatto che Baby Doe era una persona non nata al momento dell’omicidio».

Detto in altri termini: l’accusa di duplice omicidio è fondata e non necessita di attenuanti soltanto perché la madre, vittima dell’omicidio, portava nel grembo un bambino non nato. I giudici hanno anche aggiunto che la legge che regolamenta l’aborto negli USA è un’«anomalia legale e un errore logico», invitando quindi i colleghi della Corte Suprema degli Stati Uniti ad «annullare questa eccezione, sempre più isolata, ai diritti dei bambini non nati».

La Corte Suprema è stata coerente rispetto ad una sua sentenza simile emessa nel 2012, questa volta però ha ritenuto un errore logico la legalità dell’interruzione di gravidanza? Lo ha spiegato nelle 180 pagine della stessa sentenza:

«Poiché stati come l’Alabama continuano a fornire una protezione maggiore e più coerente alla dignità della vita dei bambini non ancora nati, l’eccezione Roe v. Wade è in netto contrasto legale e logico che risulta essere sempre più alienato e contrario al tessuto legale dell’America. La dichiarazione della Corte Suprema degli Stati Uniti, nel contesto dell’aborto, afferma che i bambini non nati non sono “persone” ai sensi del 14° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, ma ciò è in netto contrasto con le numerose dichiarazioni degli stati membri rispetto al fatto che i bambini non nati sono in effetti, “persone” in praticamente tutti gli altri contesti».

La portata di questa dichiarazione è giustamente stata definita “storica” da James Dobson, fondatore di Focus on the Family, un noto attivista pro-life dell’Alabama. La Corte Suprema ha praticamente preso atto della realtà, dell’evidenza scientifica e delle numerose prese di posizioni di giudici e tribunali sulla innegabile personalità dell’embrione umano e, contemporaneamente, dell’ormai arretratezza ed inadeguatezza della legge abortista statunitense.

Pochi giorni fa, sempre la stessa Corte ha nuovamente inviato un messaggio alla Corte Suprema degli Stati Uniti chiedendole di proibire a livello nazionale una violentissima pratica chiamata “aborto per smembramento”, praticata frequentemente nel secondo trimestre di gravidanza, che consiste nello smembrare, per l’appunto, il feto umano pezzo per pezzo quando si trova ancora nell’utero materno, ed estrarne i pezzi uno alla volta. «La costituzionalità del divieto statale di abortire tramite smembramento è una questione di importanza nazionale», hanno scritto i giudici. «Paesi come l’Arkansas, Kansas, Kentucky, Louisiana, Mississippi, Oklahoma, Texas e West Virginia Stati hanno già stabilito il divieto, ma nella maggior parte dei paesi esistono ancora battaglie legali su questo».

Secondo un sondaggio realizzato da Gallup nel luglio 2018, i cittadini americani che si definiscono “pro-life” (48%) sono cresciuti fino ad equiparare quelli che si dicono “pro-choice” (48%). Il 29% vorrebbe che l’aborto fosse legale in qualsiasi circostanza, mentre la maggioranza (53%) chiede che venga proibito del tutto (18%) o comunque resti accessibile solo in poche e determinate circostanze (35%). Il 48% degli americani definisce l’aborto un atto moralmente sbagliato, contro il 43% che pensa l’opposto.

Con tutta l’evidenza, la battaglia a difesa della personalità dei bambini non ancora nati intrapresa dalla Corte Suprema dell’Alabama non è sostenuta soltanto dal dato medico-scientifico ma anche dal crescente consenso della popolazione americana.

La redazione

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Germania, due pastori protestanti ricevono l’ordinazione sacerdotale cattolica

Conversione protestanti. Il vescovo di Augusta, Konrad Zdarsa, ha ordinato don Schneider e don Theurer, due ex pastori protestanti che si sono convertiti e hanno ottenuto la dispensa dal celibato.

 

Grazie all’ordinariato avviato da papa Benedetto XVI nel con la costituzione apostolica ”Anglicanorum coetibus” (2011), furono moltissimi i pastori e i vescovi anglicani e protestanti che si unirono alla Chiesa cattolica, ricevendo la dispensa dal celibato.

Il fenomeno si è un po’ ridotto negli anni ma comunque accade annualmente di accogliere religiosi che individuano nel cattolicesimo la loro vera dimora. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono due pastori di Augusta (Germania), ordinati al sacerdozio cattolico il 28 ottobre scorso dal vescovo Konrad Zdarsa. Entrambi i preti, André Schneider (44 anni) e Andreas Theurer (51 anni), sono sposati e anch’essi hanno ricevuto la dispensa dal celibato.

«Vengo da una famiglia protestante», ha raccontato don Schneider, «dopo aver studiato teologia sono stato prima vicario dal 2002 al 2013, poi pastore evangelico luterano a Erfurt. Tuttavia, col passare del tempo, mi è diventato sempre più chiaro che avevo bisogno di una comunione piena e vibrante con la Chiesa cattolica ed il suo leader. Sono grato a Papa Francesco».

Padre Theurer ha invece spiegato così la sua scelta radicale: «Sono stato un pastore protestante di Württemberg per 17 anni. Fin da giovane mi sono presto reso conto che la strada della parrocchia era la mia vocazione. Durante il mio sacerdozio, tuttavia, è maturata in me l’idea che l’ordinazione dei sacramenti come nella testimonianza biblica e nella chiesa primitiva richiede effettivamente un’ordinazione sacerdotale cattolica. Questa è stata anche la ragione principale della mia conversione nel 2012. A questo proposito, sono grato che grazie alla dispensa del papa dal celibato mi è stato concesso di proseguire questa mia vocazione».

Se guardiamo all’attuale situazione in Germania, la patria di Martin Lutero, negli ultimi decenni si è verificata una vera e propria emorragia nella confessione protestante. Al contrario, come spiegavamo qualche mese fa, il numero dei cattolici è rimasto sostanzialmente lo stesso e questo sembra dovuto proprio a quanto emerge dalla testimonianza dei due ex pastori, cioè che l’autorevolezza della continuità apostolica e dell’autorità della Tradizione, pienamente rispettati e mai traditi o interrotti dal cattolicesimo, emanano ancora un fascino irresistibile di verità ed autenticità. Sopratutto da quando i fratelli protestanti si sono adeguati alla liquidità del mondo. «Le istituzioni cattoliche», ha dichiarato sorprendentemente il più importante filosofo anglicano, Roger Scruton, «sono le uniche che offrirebbero apertamente protezione e supporto a qualcuno conservatore come me, e senza necessariamente d’accordo con quel che dico».

La redazione

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«Ho il cancro e non è una sfiga, il Signore non è crudele»

Nadia Toffa e il cancro. Una testimonianza significativa sul senso del male, una risposta all’oncologo Umberto Veronesi secondo il quale il cancro è la prova che Dio non esiste.

 

Vagliate tutto e trattenete ciò che vale. Così insegnava San Paolo, così ci sforziamo di fare, anche in questo caso. Non c’è mai stata molta simpatia per Nadia Toffa, conduttrice de Le Iene e nota paladina di battaglie contro la vita (utero in affitto) e contro la verità. Guardiamola però come una semplice donna, ammalata e perciò profondamente ferita dalla vita, che sta facendo i conti con la morte e con il superfluo dell’esistenza.

Nadia Toffa ha un cancro. E quando uno ha un cancro e parla di Dio, ringrazia il Signore, vive la malattia come un dono, una croce da portare: o è completamente uscito di senno oppure crede in ciò che dice, è autentico e sta offrendo una testimonianza importante, chiunque esso sia. Anzi, una contro-testimonianza rispetto a quella dell’oncologo Umberto Veronesi, quando disse: «Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio».

Nei giorni scorsi era scoppiata una polemica su Nadia Toffa, incredibilmente diventata famosa in tutto il mondo da quando si è ammalata. Per la prima volta ha scontentato la marea di follower che la seguono parlando del cancro come un “dono”. Un concetto di chiara impronta cristiana e sorprendente per una che non aveva mai dato segni di particolare profondità esistenziale, anzi nota per sponsorizzare, con la solita finta sdolcinatezza, la maternità surrogata e altri miti del progresso.

Il 12 ottobre scorso, poi, è stata ospite a Verissimo di Silvia Toffanin, uno dei tanti programmi televisivi di gossip e di applausi irritanti. L’ex Iena, gonfia in volto, provata da chemioterapie e medicine, ha raccontato di sé e della malattia e lo ha fatto con affermazioni davvero insolite, sia per lei che per la televisione in generale. Anche i sacerdoti che vengono talvolta invitati a questi tipo di trasmissioni restano spesso sul vago, parlano del Creatore e dell’Amore, termini più distaccati, neutrali e meno esplosivi. La Toffa invece no:

«All’inizio mi chiedevo: “perché proprio a me?” Chi è che vuole il cancro? Nessuno. E’ una brutta notizia. Ma poi mi sono detta: “perché non a me?”. Questo è il mio dolore, me lo devo portare. E’ il mio fardello. Il Signore mi ha dato una sfida che io posso magari non vincere, ma l’importante è mettercela tutta. Combattere, sempre. Non bisogna mollare, il Signore non è crudele. Da una sfiga si può trovare anche qualcosa di buono, il Signore non è cattivo, lo ripeto, non ci vuol veder soffrire. E’ una prova per farci migliorare, per essere persone migliori».

O Nadia Toffa è completamente impazzita oppure sta facendo un’esperienza misteriosa e la sta giudicando con onestà. La malattia vista non come sfiga ma come croce da portare, non un castigo di Dio ma un male della natura che il Signore non ha voluto evitare per poter trarne un bene maggiore, perché il Suo disegno è misterioso e le Sue vie non sono le nostre. Il Signore non è cattivo, testimonia Nadia, facendo entrare questo vertiginoso giudizio in milioni di case, in milioni di vite umane, in milioni di persone abituate a cambiare canale o a tappare le orecchie appena ascoltano qualcosa di “religioso”, magari pure credenti ma abituate a ragionare sulla vita con i canoni a-teistici di “fortuna” e “sfortuna”.

Non solo il male non è un’obiezione a Dio, come disse Veronesi. Ma, anzi, diventa misteriosamente l’occasione, per chi lo sperimenta, di testimoniare la Sua bontà e la positività della realtà. E di confermare le parole della Chiesa: «All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce» (dall’enciclica Lumen Fidei).

Qui sotto il video pubblicato anche sul nostro canale Youtube

La redazione

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Cristiani ipocriti? I figli più propensi a diventare atei in giovane età

Giovani e ateismo. Analizzando un gruppo di non credenti è emerso che coloro che hanno abbandonato la fede in giovane età sono figli di genitori “incoerenti” con la loro fede. Si educa solo ciò che si vive in prima persona, altrimenti non si è credibili.

 

Spieghiamo il recente studio in termini “scientifici”: analizzando un campione di 5.153 atei (ex credenti), sono risultati positivamente associati ad un ritardo nell’età dell’entrata nell’ateismo se i loro genitori hanno vissuto modelli comportamentali in coerenza con gli ideali professati. Più semplicemente: i figli osservano, i figli mettono alla prova e non basta insegnare loro cosa è bene e cosa è male, non è sufficiente “educarli alla fede”, non serve limitarsi a mandarli al catechismo se poi i genitori non vivono, per primi, per loro stessi, ciò cui insegnano. Cioè, se i figli non si accorgono che gli stessi genitori vivono la fede cristiana non per abitudine, ma perché ne hanno bisogno, loro per primi. Per dare senso alla loro di vita.

Gli studiosi inglesi hanno comunque commesso un ingenuo errore equiparando i “genitori coerenti” ai “genitori credibili”. Ma la coerenza non è automaticamente sinonimo di credibilità, perché è credibile -seppur non coerente, in linea teorica-, anche un padre o una madre che sbaglia, sa di sbagliare e si rialza perché anche nell’errore continua ad affermare un ideale più grande. E, anche questo, i figli e i giovani lo osservano e sanno distinguere l’ipocrisia del moralista dal peccatore che chiede perdono e riparte.

All’inizio di quest’anno, uno studio ha pubblicato un sondaggio che ha rilevato come la Generazione Z (i nati nel periodo 1996-2010) è la meno cristiana nella storia americana (e occidentale), con 4 adolescenti su 100 che esprimono una visione del mondo vicina a quella evangelica. Ma non sono i giovani ad essere cambiati, è lo scetticismo esistenziale con cui vivono gli adulti -sopratutto la generazione successiva al ’68- che è dilagante.

Uno studio che è un monito importante per noi credenti. Perché educare ed educare alla fede non significa far apprendere le buone maniere o insegnare a memoria i dieci comandamenti, ma comunicare il senso della vita attraverso la realtà quotidiana vissuta. Si educa solo ciò che si è, e se non si è, allora le conseguenze verso i giovani saranno disastrose. Non solo se ne andranno, ma si convinceranno dell’ipocrisia e dell’irrilevanza dell’educazione cristiana divenendo scettici a loro volta ed insegnando lo stesso ai loro futuri figli.

La redazione

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Divorziati e risposati, ma trovano la fede per vivere in castità. Un esempio.

Divorziati risposati e castità. Eva Lucas e Pepe González, dopo la conversione, hanno scelto di fidarsi della Chiesa e vivere come “fratello e sorella” in quanto avevano alle spalle due matrimoni falliti.

 

La testimonianza di Eva Lucas e Pepe González è quella della pazienza e fiducia in Dio, in un processo per costruirsi una vita famigliare conforme alla Sua volontà, dopo aver vissuto relazioni senza discernimento. È una testimonianza che ha aiutato molte persone.

Divorziati da altre persone e sposatisi tra loro con rito civile, Eva e Pepe a un certo punto hanno ritrovato la fede. Sollecitarono allora la dichiarazione di nullità delle loro unioni precedenti e si proposero di vivere in castità finché non avessero potuto essere sposati agli occhi di Dio e della Chiesa. A dispetto degli scherni di parenti e amici, si sono mantenuti fermi nel loro proposito, e così hanno ricevuto il “Premio Familia” della spagnola Revista Misión, che li ha intervistati.

Eva e Pepe provenivano da matrimoni precedenti in cui «ciascuno era giunto senza discernimento e senza rendersi conto di quello che facevamo realmente». Quelle unioni – nelle quali ciascuno dei due ebbe due figli – terminarono in un divorzio. Dopo, Eva e Pepe si conobbero e si risposarono con rito civile.  Senza dubbio, un viaggio in Terra Santa cambiò il loro copione. Davanti al Muro del Pianto, chiesero al Signore “che i nostri figli abbiano la fede che noi non abbiamo avuto, e che noi possiamo sposarci nella Chiesa, un giorno…”.

Da allora, tutto cominciò a cambiare. Fecero richiesta di nullità – che gli arrivò soltanto quando decisero di confidare nella Chiesa e iniziare a vivere in castità – e nel 2015 hanno potuto celebrare validamente il sacramento del matrimonio. E sono diventati una testimonianza per molte persone.

Ecco come hanno raccontato la loro storia.

«La società ci vende relazioni “usa e getta”, che è ciò che è accaduto a noi nel nostro primo matrimonio, e imbastire un fidanzamento e un matrimonio cristiani, nei quali bisogna dare il meglio all’altro quando occorre, genera scherni e rifiuto. Siamo stati quarant’anni senza Dio e, con l’autorevolezza di chi ha fatto esperienza della vita sia senza di Lui che con Lui, possiamo dire che tutto cambia se possiedi Cristo. A noi, la grazia di Cristo ha aiutato a vivere in castità e ad aggiustare la nostra situazione. Se lo raccontiamo, non è perché ci guadagniamo qualcosa, ma perché è la verità.

Nelle nostre relazioni precedenti pensavamo che la normalità fosse ciò che oggi ti dicono: che devi cercare il tuo benessere, che l’altro deve garantire la tua felicità, che non devi perseverare nella storia se ci sono problemi… ciò può portare solo al fallimento e all’infelicità permanenti. Però, con Dio, ciò cambia: la prima cosa che cerchi è la felicità dell’altro, non il tuo benessere, e ciò è quello che davvero ti rende felice. Amare ed essere amati per sempre è ciò che tutti cerchiamo, perché tutti portiamo nel cuore un amore come quello di Dio, che ci ha fatti a Sua immagine: un amore incondizionato. Non svaniscono i litigi, chiaramente, ma lavoriamo insieme per prenderci cura del nostro matrimonio. E ciò si propaga a tutta la famiglia. Così come i litigi colpiscono i figli, allo stesso modo l’unione si trasmette al resto della famiglia. 

Quando davanti a Dio comprendi quello che hai fatto con il tuo precedente matrimonio e perché, il danno che hai causato ai tuoi figli, ai tuoi genitori, all’altro… quello che più ti costa è perdonare te stesso. Però se vedi che Dio ti ha perdonato, ora non hai più scuse per non perdonarti. Puoi chiedere perdono e perdonare.

 Ci hanno scritto dalla Colombia; una coppia ci ha fermati per strada per dirci che stavano nella medesima situazione e avevano deciso di fidarsi della Chiesa e vivere in castità; una vedova ha scritto su Internet come l’aveva aiuta la nostra storia; una donna sposata, sul punto di separarsi, ci ha detto che, dopo aver letto la nostra testimonianza, lei e il suo amante, che pure era sposato, hanno deciso di smettere di vedersi per salvare i loro matrimoni».

La redazione

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Alce Nero, il mito sessantottino era un pellerossa cattolico

La storia di Alce Nero. Combatté contro l’esercito dei cowboy, si convertì, chiese il battesimo cattolico e trascorse la vita come diacono e missionario. Potrebbe anche essere canonizzato.

 

Curiosa la vita: i sessantottini ecologisti e terzomondisti veneravano un mito che non sapevano essere un convinto convertito cattolico. Parliamo di Alce Nero (Black Elk), della tribù Lakota Sioux, icona dalla resistenza dei nativi americani alla società bianca.

Cugino di Cavallo Pazzo e membro dell’etnia di Nuvola Rossa e Toro Seduto, Black Elk fu considerato dai pellerossa un Uomo della Medicina, mediatore tra il mondo degli Uomini e quello degli Spiriti. Combatté le guerre indiane contro l’esercito dei cowboy degli Stati Uniti, divenne una celebrità tra le file della disperata controcultura giovanile quando venne riscoperto il libro del poeta John Neihardt, Alce Nero parla (1932).

Il poeta Neihartdt descrisse la sua vita omettendo totalmente -andando contro gli accordi- la conversione cattolica di Alce Nero, il quale aveva trascorso gran parte della sua vita come diacono e missionario. Tanto che, poco prima di morire (1950), l’indiano scrisse una lettera: «Chiedo a voi, cari amici, che quel libro venga annullato». Poco tempo fa la notizia che molti lakota sioux, fra cui i familiari di Alce Nero e molti discendenti dei nativi da lui convertiti, hanno scritto una petizione alla Chiesa cattolica, per proporre che venga canonizzato, ricevendo il parere favorevole della Conferenza Episcopale Americana.

«La preghiera della Chiesa cattolica è migliore della Danza degli Spiriti», scrisse Alce Nero, i Lakota cominciarono a convertirsi alla Chiesa di Roma non appena il grande capo Nuvola Rossa, vincitore di battaglie contro l’esercito americano, chiese ai gesuiti di fondare una missione nella riserva di Pine Ridge. Alce Nero si battezzò assieme alla moglie nel giorno di San Nicola, in modo né superficiale né formale; nessun sincretismo religioso, almeno leggendo le drastiche e reiterate dichiarazioni dello stesso Alce Nero.

Inutile fu la lettera aperta dei gesuiti indirizzata a Neihardt datata 26 gennaio 1934, a salvare la memoria del falso mito terzomondista fu l’antropologo e gesuita Michael F. Steltenkamp, intitolato “Alce Nero, missionario dei lakota (1970), il quale incontrò la figlia del pellerossa, Lucy Looks Twice, e scoprì che Black Elk non si limitò a diventare un devoto fedele, ma si fece diacono e catechista, evangelizzando a sua volta, accompagnando i gesuiti nella riserva e servendo a Messa. Ross Enochs, docente di Scienze religiose al Marist College di New York, sostiene invece che Alce Nero aveva fatto una sintesi tra la fede dei suoi padri e quella cattolica, caratteristica delle conversioni operate dai gesuiti che salvaguardarono e valorizzarono sempre le tradizioni locali quando non erano in conflitto con il cattolicesimo.

In ogni caso, grazie all’iter di beatificazione di Alce Nero, nessuno potrà più ignorare o rifiutarsi di accettare la realtà e quindi la totale rottura di un mito, celebrato come tale contro la sua stessa volontà.

 

AGGIORNAMENTO 05/11/18
Ci è stata segnalata una interessante pubblicazione in lingua italiana, curata da Riccardo Fenizia, dedicata ad Alce Nero e alle falsità che hanno caratterizzato la sua fama internazionale. Il titolo è: Alce Nero, Black Elk, parla veramente: La vera storia di un grande uomo, dietro la menzogna.

La redazione

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