Il coming out di Marco Carta ed il padre assente: e se la psicoanalisi avesse ragione?
Origine omosessualità. Da Freud in poi innumerevoli psicoanalisti hanno teorizzato il legame tra genesi dell’omosessualità ed assenza del padre o un conflittuale rapporto con la figura paterna. La storia e i dubbi di Marco Carta sembrano confermare.
Il coming out del cantante meteora Marco Carta ce lo stanno propinando in tutte le salse, in Italia ha avuto più eco del voto del Midterm. Si dichiara gay, vuole un figlio a tutti i costi e racconta della sua infanzia, la tragica scomparsa della madre e l’abbandono da parte del padre.
Rispetto a quest’ultimo, il cantante descrive un rapporto conflittuale: «Avevo sei anni, papà aveva un’altra famiglia e non l’avevo mai conosciuto. Quel giorno, stava venendo da me e io mi sono seduto sulle scale ad aspettarlo due ore prima e non è mai arrivato. Due anni dopo è morto. La rabbia è stata tanta. E tutta inutile. Ero più arrabbiato con la morte che con lui. Mi sono sempre chiesto se nell’omosessualità ho cercato quello che non ho avuto».
Carta, dunque, si domanda se la genesi della sua attrazione per persone dello stesso sesso non sia nata in modo naturale, spontaneo ma a causa dell’assenza del padre. Forse non lo sa, ma è la stessa domanda (a volte, vera e propria convinzione) che si fanno milioni e milioni di omosessuali, cresciuti con padri assenti o deboli, ininfluenti oppure, a volte, così violentemente presenti da sperare nella loro assenza. Questa è anche la tesi di molte scuole freudiane e di psicoanalisi e vi sono diversi studi che confermano questo fenomeno. Lo stesso Sigmund Freud vide nella mancanza del padre, nella sua presenza passiva o nella sua estromissione (volontaria o meno) la possibilità della genesi dell’omosessualità maschile.
Una convinzione anche per Richard Isay, psicoanalista americano del Weill Cornell Medical College ed attivista gay, che nel suo Essere omosessuali. Omosessualità maschile e sviluppo psichico (Raffaello Cortina 1996) descrive la presenza nel bambino di un’attrazione erotica verso il padre e l’imitazione della madre per ricevere da lui amore ed attenzione. Un’identificazione che si protrae fino all’età adulta in caso di disinteresse/lontananza da parte del padre o in caso in cui esso se ne accorga e lo allontani, generando l’omosessualità maschile e rendendo il figlio, a sua volta, poco virile in funzione della sua identificazione materna. Secondo Isay, da questa dinamica nascono molti dei racconti di omosessuali che riferiscono di padri ostili, freddi o distaccati. Per quanto riguarda l’attrazione tra donne il fenomeno sarebbe speculare anche se le dinamiche appaiono più complesse e statisticamente meno rilevanti. Uno dei principali sessuologi canadesi, Ray Milton Blanchard, psichiatra all’Università di Toronto, quando -assieme allo psicologo Kurt Freund- ha constatato una correlazione tra una relazione “povera” padre-figlio e le possibilità del figlio di diventare omosessuale (Journal of Homosexuality 1983).
Il padre delle neuroscienze in Italia, Mauro Mancia, neurofisiologo e psicoanalista, ha concluso che la «perversione sessuale», così come lui riteneva l’omosessualità, «è connessa con l’assenza del padre e con il fallimento di una relazione primaria con una madre incapace di condurre il bambino alla soglia di Edipo. La perversione sessuale può essere considerata come l’espressione di un’organizzazione di personalità narcisistica che fa un massiccio uso della scissione e dell’identificazione proiettiva come difesa contro l’ansia da separazione. Ciò impedisce agli omosessuali di disidentificarsi dalle loro madri e di raggiungere una distinta identità di genere». Lo psicoterapeuta Giuseppe Nicora del Policlinico Gemelli di Roma, esperto in disturbi della sfera sessuale, ha visto a sua volta la figura paterna come perno nel quale il bambino riesce a superare la “nostalgia della madre” e, in caso di assenza della figura paterna, emerge il desiderio nostalgico dell’oggetto necessario e mancante, un uomo per l’appunto. Anche lo psicoanalista Claudio Risé ha individuato nella «sparizione della figura paterna» l’eziologia dell’omosessualità, in quanto al giovane viene negata l’esperienza di iniziazione alla propria dimensione maschile, «lasciandolo in qualche modo nella terra di nessuno che viene, per forza di cose, occupata dalla sfera di influenza materna, rendendo il giovane maschio più in sintonia con il mondo femminile e lo spinge in direzione di una propria omosessualità: la sua curiosità verso il corpo maschile, causata dall’assenza del rapporto col padre, viene quindi trasferita verso un altro uomo, su cui viene caricata di valenze affettive ed erotiche frutto sempre dell’assenza paterna». Una tesi che vede conferma in studi clinici sull’effeminizzazione presente nell’omosessualità maschile. Il padre dov’era (Sugarco 2013) si intitola lo studio dello psicoanalista freudiano Giancarlo Ricci, membro dell’Associazione Lacaniana Italiana di Psicoanalisi, in cui ha esplorato i motivi psichici e familiari che portano all’orientamento omosessuale in cui l’assenza del padre e il predominio della madre sono ancora una volta al centro dell’attenzione (ma anche un vissuto traumatico come l’abuso). La scuola e il pensiero sono quelli appunto di Jacques Lacan che, a sua volta, rilevò l’assenza della figura paterna, o la sua debolezza all’interno degli equilibri familiari, una costante nella vita degli omosessuali.
Oltre a Lacan, la tesi è sostenuta da numerosi psichiatri, autori del testo Homosexuality: A Psychoanalytic Study of Male Homosexuals (1962), a cura dello psicoanalista americano Irving Bieber. Assieme a studiosi del calibro di Melanie Klein, Alfred Adler e Cornelia B. Wilbur, ha osservato che gli uomini omosessuali erano più propensi a riferire di avere “madri oppressive o a cui erano molto legati” e padri distaccati, ostili o rigidi che odiavano o di cui avevano avuto timore. Una situazione che, a loro dire, predispone fortemente un bambino a diventare omosessuale. Joseph Nicolosi, psicologo clinico americano famoso per le “terapie riparative”, ha ripreso la traccia ritenendo, in base alla sua esperienza, l’omosessualità un problema dello sviluppo, quasi sempre il risultato di rapporti familiari problematici tra padre e figlio (Omosessualità maschile: un nuovo approccio, Sugarco 2002). Convinzione che ha ereditato dal suo maestro, l’eminente psichiatra statunitense Charles M. Socarides, docente alla Columbia University e premiato dalla principali associazioni di psicologia. Un approccio confermato da un’altra autorità in materia, lo psicologo della Cornell University Ritch Savin-Williams, secondo cui «il problema dell’omosessualità non è principalmente un problema di sesso ma un problema di sviluppo e di relazione, in effetti è una questione di origine familiare» (Lesbian, gay and bisexual youths relationships with their parents, Oxford University Press 1996). Gli psicologi Ray Seutter e Martin Rovers hanno concluso uno studio osservando che «i risultati sono coerenti con la teoria del “padre debole” nell’eziologia dell’omosessualità», avvalorando in particolare il modello di studi di Charles M. Socarides e Irving Bieber.
C’è chi ha fatto notare che il dilagare statistico delle persone omosessuali sia emerso proprio in seguito agli anni ’70, momento in cui la famiglia iniziò la sua disgregazione (divorzio) e dove la ribellione all’autorità paterna fu un simbolo di forte emancipazione. Ne emerse una generazione disagiata, di adulti inconsistenti e la figura maschile venne ancor più messa in discussione dall’esuberante fenomeno femminista.
Insomma, il dubbio di Marco Carta sembra così trovare conferma nella in una parte della psicoanalisi (mentre altri ritengono tale tesi superata), almeno quando ancora la ricerca e gli studiosi non erano viziati dall’ideologia moderna del politicamente corretto. Dubbio, occorre dirlo, mai nato nelle persone con un orientamento sessuale ordinato, coincidente ed in coerenza con il dato anatomico e biologico.
La redazione