Spagna, i vescovi che slegarono la Chiesa dal regime di Franco

Non tutto l’episcopato spagnolo vide in Franco l’unica forza in grado di frenare la persecuzione marxista della Chiesa, sopportandone a volte le efferatezze. Il Vaticano puntò sul card. Tarancón per slegare i vescovi spagnoli dal franchismo e riuscì nella transizione tra la dittatura e la democrazia.

 
 
 

Tra gli innumerevoli dittatori (atei) che insanguinarono il Novecento, uno dei pochi a dichiararsi “cattolico” fu Francisco Franco, generalísimo di Spagna.

In quegli anni il terrore occidentale era dovuto all’avanzata criminale del regime comunista, così in ambito ecclesiale si diede fiducia alle uniche, pur controverse, personalità che avrebbero potuto porvi un freno.

Come abbiamo già osservato, è falso il mito di una accondiscendenza generale della Chiesa al franchismo, ma è indubbio che gran parte dell’episcopato spagnolo preferì almeno inizialmente il nazionalismo spagnolo.

Come ha scritto lo storico Paolo Pombeni, fu «una scelta perdente perché il Generalissimo non si farà condizionare affatto dal cattolicesimo nazionale, ma gli imporrà brutalmente le sue ragioni, così come farà sostanzialmente col Vaticano».

 

Perché la Chiesa spagnola sopportò il franchismo.

E’ troppo facile oggi leggere la storia conoscendo già l’evoluzione dei fatti, lo ha ricordato lo storico Vicente Cárcel Ortí che da decenni studia sulle fonti d’archivio spagnole.

«Oggi conosciamo come si è evoluta la storia della Spagna durante il regime militare di Francisco Franco», ha spiegato, «non possiamo però commettere l’errore di giudicare le scelte fatte prima di questi eventi alla luce di ciò che è accaduto dopo».

Perché gran parte dell’episcopato spagnolo optò per Franco? Lo ha spiegato ancora Paolo Pombeni, scrivendo che furono «le violenze efferate contro il clero, le monache e gli stessi edifici di culto» da parte dei marxisti «che destano rigetto nell’opinione pubblica cattolica europea e che impediscono di vedere le parallele efferatezze delle forze franchiste».

Anche Cárcel Ortí si riferisce alla feroce persecuzione anticattolica dei marxisti spagnoli del Governo repubblicano, con l’intento dichiarato di eliminare la Chiesa dalla Spagna. Nel 1933 le elezioni verranno vinte dalla destra, ma i marxisti spagnoli rifiutarono il responso provocando una rivoluzione civile con migliaia di morti (40 ecclesiastici nel solo ottobre 1934).

Verranno così indette nuove elezioni nel 1936 e la sinistra si unirà nel Fronte popolare, incrementando la spirale di violenza contro la Chiesa spagnola che avrà termine solo alla fine della guerra civile.

«In quel momento di totale caos politico», ha spiegato Carcel Ortì, «la scelta autoritaria appare ancora come una soluzione rassicurante».

Così, nel luglio 1937 la Conferenza episcopale spagnola si legò moralmente ai ribelli nazionalisti perché «i vescovi, in quel momento di persecuzione totale, vedono nei nazionali l’unica possibilità di salvezza per la Spagna che rischia di finire nelle mani del comunismo stalinista. In quel preciso momento non si poteva conoscere l’evoluzione politica successiva. Se in quel momento i militari ribelli alla Repubblica offrivano una possibilità di salvezza, cosa doveva fare la Chiesa, allearsi col persecutore? Con chi la stava annientando?».

 

Il Vaticano appoggiò vescovi contrari a Franco.

Lo storico Francesco Margiotta Broglio ha precisato tuttavia che in Vaticano, nel frattempo, Pio XII «mise in guardia circa il riconoscimento del governo falangista» e lo stesso «Pacelli si rifiutò di aderire alla richiesta di Franco per la scomunica di clero e fedeli baschi».

Occorre anche sottolineare l’esistenza di importanti uomini nella chiesa spagnola che, nel corso degli anni, contribuirono a disimpegnare progressivamente l’appoggio dell’episcopato spagnolo al franchismo, favorendo il processo di transizione dalla dittatura alla democrazia.

Se ne è parlato recentemente, ricordando i vescovi Josep Pont y Gol, Antonio Añoveros Ataún, Ramón Masnou e soprattutto il cardinale Vicente Enrique y Tarancón.

Proprio quest’ultimo fu l’uomo di fiducia di papa Paolo VI, colui che lo aiutò a separare la Chiesa spagnola dal regime franchista e, allo stesso tempo, a rendere possibile l’applicazione del Concilio Vaticano II.

Il card. Tarancón, già quand’era vescovo di Solsona, prese le distanze dal socialismo ma anche dal nazionalismo franchista, favorendo il più possibile uno spirito di riconciliazione. Disapprovò «le ingiustizie del regime capitalista» ed allo stesso tempo sottolineò che «i rancori e le vendette non sono scomparsi nell’uno o nell’altro» schieramento, denunciando apertamente i franchisti.

Non è strano che dal governo di Franco, Tarancón sia stato definito “il vescovo rosso”. Assieme ai suoi sacerdoti, il vescovo difese l’utilizzo del linguaggio popolare catalano durante la predicazione, venendo continuamente rimproverato dalle autorità franchiste. Alla fine degli anni Quaranta pubblicò la prima rivista spagnola interamente in lingua catalana, aggirando le censure governative.

Nel 1964 il Vaticano lo nominò arcivescovo di Oviedo per cercare di disincagliare il legame di molti vescovi spagnoli dal cattolicesimo nazionale di spirito franchista. Nel 1969 Tarancón divenne arcivescovo di Toledo e fu creato cardinale da Paolo VI, il quale nel 1971 lo nominò arcivescovo di Madrid e lo pose alla guida della Conferenza Episcopale Spagnola.

Questa carriera fulminea conferma che la Santa Sede vide nel card. Tarancón l’uomo ideale per separare la Chiesa spagnola dal regime di Francisco Franco, il quale sognava un episcopato sottomesso e assoggettato al potere politico. Il cardinale contrastò apertamente il governo nazionalista e difese (impedendo che fossero espulsi dal paese) i non pochi vescovi spagnoli apertamente ostili a Francisco Franco, come Antonio Añoveros Ataun.

Nel 1975, durante la messa di intronizzazione di Juan Carlos I a Madrid, il card. Tarancón difese pubblicamente la libertà e l’indipendenza della Chiesa davanti al potere, ponendo di fatto fine al cattolicesimo nazionale.

Come si legge su Wikipedia in versione catalana, «di fronte all’aggressiva irritazione dei dirigenti franchisti, il cardinale Tarancón svolse un importante ruolo di conciliazione durante gli ultimi anni della dittatura e nel passaggio della società spagnola ad un sistema democratico, difendendo da un lato l’indipendenza della Chiesa e allo stesso tempo il consolidamento della legalità emanata dalla Costituzione del 1978».

 

Paolo VI, nemico giurato del franchismo.

Lo stesso Paolo VI fu un nemico giurato del franchismo spagnolo, già inserito nella lista dei “nemici ufficiali” del regime prima ancora di essere eletto.

Il 26 marzo 1967 il Papa, attraverso la Populorum progressio, giustificò l’insurrezione rivoluzionaria «nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese» (n. 31), scatenando il panico negli ideologi del fascismo. In Spagna fu ampliamente divulgata da Joaquín Ruiz-Giménez, una delle personalità più importanti del cattolicesimo spagnolo del XX secolo.

Il giornalista e sacerdote spagnolo Antonio Pelayo ha anche ricordato che i ripetuti appelli del Papa ai laici perché si adoperassero a «penetrare di spirito cristiano» la mentalità, i costumi, le leggi e le strutture «fu accolto come una ventata d’aria fresca dai movimenti apostolici quali l’Acción Católica, la Juventud Obrera Cristiana (Joc), la Hermandad Obrera de Acción Católica (Hoac), sottoposti a severi controlli di polizia e ad altre pratiche totalitarie».

La redazione

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Le ultime vittorie pro-life e pro-family (gennaio – marzo 2022)

Aggiornamento trimestrale sui successi legislativi nel mondo a proposito di tematiche etiche e bioetiche. Da gennaio a marzo 2022.

 
 
 

La nostra rubrica trimestrale con le principali novità legislative su ciò che definiamo i falsi miti del progresso.

Molte di queste novità vengono puntualmente segnalate sulla nostre nostre pagine Facebook, Twitter, Instagram e Linkedin.

 

Nuove leggi pro life e pro family nel mondo.

 

Finlandia
Nel marzo 2022 il tribunale distrettuale di Helsinki ha respinto all’unanimità le accuse di incitamento all’odio presentate contro il membro del parlamento Paivi Rasanen e il vescovo luterano Juhana Pohjola, ree di aver difeso il matrimonio come unione tra un uomo e una donna, citando passi della Bibbia. «Il governo non dovrebbe interpretare i “concetti biblici”», hanno scritto i giudici, ritenendo che le dichiarazioni non costituissero discriminazione verso le persone Lgbt.

«Una vittoria in nome della libertà di espressione», ha dichiarato Paul Coleman, direttore esecutivo di ADF International, pool internazionale di avvocati che difende dalla limitazione di libertà di pensiero. Sam Brownback, già ambasciatore degli Stati Uniti per la libertà religiosa internazionale, ha twittato: «E’ uno scandalo anche solo il fatto che questo caso sia stato perseguito».

 

Florida (Stati Uniti)
Nel marzo 2022 il ddl falsamente soprannominato “Don’t Say Gay” è stato trasformato in legge dal governatore Ron DeSantis, garantendo così maggiori diritti ai genitori nell’istruzione dei figli e proibendo l’insegnamento di tematiche gender nelle scuole materne ed elementari. Considerando l’importanza e la notorietà internazionale del provvedimento, gli abbiamo dedicato un articolo apposito.

 

Torino (Italia)
Nel marzo 2022 dopo il pronunciamento della Corte d’Appello e del prefetto Raffaele Ruberto, il sindaco Stefano Lo Russo è stato costretto ad interrompere l’iscrizione all’anagrafe dei figli di coppie arcobaleno, iniziata con l’ex Chiara Appendino. L’unico genitore riconosciuto sarà quello biologico.

 

Texas (Stati Uniti)
Nel marzo 2022 la Corte Suprema del Texas ha decretato la piena costituzionalità e legittimità della legge, varata nel settembre 2021, che vieta l’interruzione di gravidanza dopo sei settimane dal concepimento basandosi sull’attività cardiaca del non nato.

 

Idaho (Stati Uniti)
Nel marzo 2022 dopo il Texas, anche in Idaho è stata approvata (28 vs 6) una legge che vieta l’aborto quando è possibile rilevare il battito cardiaco dei bambini non ancora nati, generalmente attorno alle sei settimane dal concepimento. Si tratta del primo stato ad imitare la legge texana.

 

Inghilterra
Nel marzo 2022 la Camera dei Lord ha bocciato (179 vs 145) un emendamento che avrebbe costretto il governo a presentare una legge sul suicidio assistito entro un anno. Si tratta della 12esima volta che il Parlamento boccia l’eutanasia ed il suicidio assistito dal 1997. Al disegno di legge si sono opposti con successo moltissimi disabili, quattro di essi seduti anche in parlamento.

Sempre nel Regno Unito, l’unico centro di trattamento di bambini e adolescenti che si identificano come transgender, la controversa clinica Tavistock di Londra, è stata ritenuta «un’opzione non sicura o praticabile». La decisione è arrivata dopo un’inchiesta ufficiale del Servizio sanitario britannico (NHS). I trattamenti sono stati così interrotti.

 

California (Stati Uniti)
Nel marzo 2022 gli attivisti della città di Visalia (California) hanno fermato con successo l’apertura di un nuovo centro Planned Parenthood. Si tratta della più grande catena di cliniche abortiste al mondo, nata dall’eugenista statunitense Margh. Una vittoria di Davide contro Golia, battaglia di successo combattuta da imprenditori e politici locali e attivisti. «Siamo stati costretti a rinunciare al nostro progetto a causa della forte obiezione da parte della comunità», ha ammesso Lauren Babb, vicepresidente per gli affari di governo di Planned Parenthood.

 

Parlamento europeo
Nel marzo 2022 è nato all’interno del parlamento UE il team “Vita e Famiglia”, fondato dal gruppo parlamentare dei Conservatori e Riformisti europei (Ecr).

 

Arizona (Stati Uniti)
Nel marzo 2022 il governatore Doug Ducey ha trasformato in legge tre progetti importanti. Il primo vieta ai medici di eseguire l’interruzione di gravidanza dopo 15 settimane dal concepimento (salvo emergenze mediche alla madre), riducendo così la liberalizzazione precedente. Una seconda legge ha vietato la chirurgia “irreversibile” di riassegnazione del sesso verso i minori affetti da disforia di genere, mentre un terzo disegno di legge proibisce ai trans di competere nelle squadre femminili delle scuole pubbliche e private, dai college alle università.

 

Ungheria
Nel marzo 2022 il parlamento ungherese ha eletto (137 voti vs 51) per la prima volta una donna come presidente della Repubblica. Si tratta della giovane Katalin Novák, 44 anni, resterà in carica per un periodo di cinque anni. Novak è nota per aver più volte protetto la famiglia, i bambini non nati e le donne.

 

Iowa (Stati Uniti).
Nel marzo 2022 l’Iowa è diventato l’11° stato americano a proteggere lo sport femminile impedendo ai trans di gareggiare nelle competizioni femminili. Il governatore Kim Reynolds ha infatti trasformato in legge il bill 2416 dopo l’approvazione di Camera e Senato.

 

Kosovo
Nel marzo 2022 il parlamento ha respinto in maggioranza (92 vs 28) le unioni civili per le coppie dello stesso sesso. Nonostante la pressione dell’Unione Europea, i parlamentari hanno rifiutato l’ingerenza dei burocrati di Bruxelles, continuando a riconoscere soltanto il matrimonio naturale.

 

Oklahoma (Stati Uniti)
Nel marzo 2022 il governatore Kevin Stitt ha firmato un disegno di legge che impedisce ai transgender di competere in squadre sportive femminili, unendosi così ad altri stati con leggi simili. Il governatore è stato affiancato e supportato da una dozzina di giovani atlete mentre firmava il provvedimento Save Women’s Sports Act.

 

West Virginia (Stati Uniti)
Nel marzo 2022 il governatore Jim Justice ha trasformato in legge un provvedimento che vieta l’aborto sui bambini con sindrome di Down. L’Unborn Child with Down Syndrome Protection and Education Act era stato approvato da Camera e Senato e proteggerà la vita dei bambini non ancora nati a cui viene diagnosticata questa disabilità, imponendo ai medici di fornire materiale educativo e informazioni sui sistemi di supporto disponibili per le famiglie che crescono bambini con disabilità.

 

Lazio (Italia)
Nel marzo 2022 i consiglieri regionali hanno approvato un provvedimento a favore della maternità denominato “Pacco mamma” che garantisce alle donne gravide, con un reddito Isee non superiore ai 30mila euro, un voucher necessario all’acquisto dei prodotti necessari per il neonato, nonché percorsi individuali di accompagnamento, linee guida, ascolto e sostegno.

 

South Dakota (Stati Uniti)
Nel febbraio 2022 è diventato il 10° stato a vietare agli atleti trans di gareggiare negli sport femminili. La giovane governatrice Kristi Noem ha infatti firmato una legge che «riguarda “l’equità”», ha spiegato.

I legislatori hanno anche approvato maggiori restrizioni per l’accesso alla pillola abortiva, introdotte nel settembre 2021 da un ordine esecutivo di Kristi Noem.

 

Scozia
Nel febbraio 2022 la Corte di Scozia ha stabilito che la definizione legale di donna non può essere modificata per includere gli uomini che si identificano come donne. Il governo infatti intendeva inserire nel censimento della popolazione una definizione di donna che includesse anche le persone transgender auto dichiaratesi “femmine”, ma i giudici -sostenuti a gran voce dalle femministe di For Women Scotland– hanno sostenuto che i parlamentari non hanno il potere di ampliare la definizione di donna.

 

Irlanda
Nel febbraio 2022 un sondaggio tra i medici irlandesi ha scoperto che oltre l’88% di essi si rifiuta di praticare l’interruzione di gravidanza, avvalendosi dell’obiezione di coscienza. L’indagine, realizzata da Newstalk, a 4 anni dalla legalizzazione dell’aborto, ha anche scoperto che quasi la metà di tutti gli ospedali di maternità in Irlanda non praticano aborti.

 

Svezia
Nel febbraio 2022, dopo che il Karolinska Institutet, l’università medica svedese tra le più importanti al mondo, ha annunciato di aver bloccato la somministrazione dei bloccanti della pubertà ai minori affetti da disforia di genere (in seguito allo scandalo suscitato dal documentario Trans Train), tutta la Svezia ha deciso di fermarsi.

Non essendoci conclusioni definitive sull’effetto e sulla sicurezza dei trattamenti di detransizione, sulla base di prove scientifiche, ed essendoci invece evidenze di persone danneggiate in modo irreversibile, la conclusione generale del National Board of Health and Welfare è che i rischi del trattamento antipubertà e dell’ormone di conferma del sesso per i minori di 18 anni superano attualmente i possibili benefici. Tali trattamenti saranno quindi somministrati soltanto in casi eccezionali, sostituendoli con interventi psicosociali, trattamenti psichiatrici infantili e misure di prevenzione del suicidio quando necessario.

Sullo stesso tema è intervenuta anche l’Accademia nazionale di medicina francese, optando per «una grande prudenza medica» ed invitando «alla più grande riserva nel loro uso», soprattutto per i «numerosi effetti indesiderati, per non dire delle gravi complicazioni, che possono derivare da certe terapie disponibili».

 

Polonia
Nel gennaio 2022 è stata approvata (227 vs 214) la legge Czarnek che aumenta i controlli sui corsi e le attività scolastiche che potrebbero veicolare contenuti ideologici e diseducativi, come l’identità di genere e controversi corsi di educazione sessuale.

La redazione

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Colonia “elimina” la cattedrale, ultima follia della cancel culture

Cancellate le guglie della cattedrale, simbolo cittadino da secoli, dal logo della città di Colonia. Il pretesto è un ammodernamento per i social network, la realtà è la rimozione di qualunque simbolo ritenuto politicamente scorretto.

 
 
 

Cancellare ciò che è politicamente scorretto.

E’ questo il principio della cancel culture, la nuova era del progresso.

La stanno vivendo gli abitanti di Colonia, nella Germania occidentale, il cui simbolo è stato cancellato dal logo della città dopo secoli.

Si tratta della maestosa cattedrale, il monumento più importante della città e il più visitato dell’intero paese.

Magnifica espressione dell’architettura gotica e, fino a ieri, anche il simbolo della città stessa.

Peccato che la nuova logica del mondo odi l’identità e tutto ciò che ritiene “politicamente scorretto”, come un simbolo religioso.

 

La cattedrale di Colonia cancellata dal logo cittadino.

Così il Comune di Colonia cambierà il logo cittadino ritenendolo “obsoleto” e non più adatto al mondo del web e degli smartphone (nella foto i due loghi, in alto quello precedente).

Questo è ovviamente il pretesto, in realtà l’unica cosa che è stata cancellato sono le guglie della cattedrale, il resto è rimasto sostanzialmente identico.

Un’iniziativa che ha suscitato polemiche e la preoccupazione di molti tedeschi. «Mi chiedo se sia così bello far sparire la cattedrale», ha detto Robert Kleine, decano della cattedrale.

Su Welt il caporedattore Dagmar Rosenfeld scrive: «I tempi cambiano, così fa lo spirito del tempo. Nessuno lo sa meglio di noi abitanti di Colonia». «Le bellissime guglie della cattedrale non entreranno più in contatto con cose amministrative così brutte come biglietti e lettere ufficiali, forse è addirittura una piccola consolazione», commenta amaro.

Un altro opinionista, Lucas Wiegelmann, è più arrabbiato: «In futuro Colonia vorrà fare a meno delle due guglie della cattedrale nel logo della città. Motivo ufficiale: un’estetica più moderna. Ma il messaggio che viene inviato va più in profondità: Chiesa e cristianesimo appaiono come un fastidio che potrebbe offendere. Questo è devastante».

Anche l’ex sindaco, Fritz Schramma, si è mobilitato contro la cancellazione, invitando gli abitanti della città a mobilitarsi.

L’attuale sindaco, Henriette Reker, sommersa dalle critiche, ha comunque comunicato che «il cambiamento è qualcosa di definitivo, non ci saranno ulteriori modifiche» seppur abbia rincuorato che la cattedrale resterà visibile su manifesti, opuscoli, avvisi e post sui social media come “caratteristica di comunicazione ricorrente”.

 

Il “rispetto” ed il sano concetto di laicità.

Curioso però che questa cancellazione avvenga mentre il consiglio comunale abbia da poco autorizzato le 35 moschee della città ad utilizzare gli altoparlanti esterni per invitare alla preghiera musulmana tra le 12:00 e le 15:00.

Il sindaco di Colonia ha dichiarato su Twitter che questo sarebbe un «segno di rispetto», sottolineando che suonano anche le campane del duomo di Colonia.

Certo, ma come spiegato dal rabbino Joseph Weiler quando difese il crocifisso davanti alla Corte Europea, il giusto principio di laicità non richiede la stessa preferenza a tutte le espressioni religiose ma solo a quelle che hanno rilevanza storica, religiosa e culturale all’interno di un determinato Paese.

Per fare un esempio concreto, nessuno si sognerebbe di imporre le guglie della cattedrale della città di Rabat (Marocco) nel logo cittadino, sarebbe un’ingiustizia verso la storia e la cultura non cristiana di quel paese. Per lo stesso motivo, è un’ingiustizia ideologica cancellarle dal logo di Colonia.

Inoltre, bisognerebbe osservare che dai campanili di Colonia non si odono proclami come “Allahu akbar (Allah è grande) e «non c’è dio all’infuori di Allah», come invece annuncia il muezzin dagli altoparlanti tedeschi.

 

La cancel culture, nuova moda progressista.

E’ curioso poi sentir parlare di “rispetto” da un sindaco in preda all’ideologia woke e che per primo non rispetta la storia e la cultura del suo paese.

E’ sbagliato anche solo cercare una logica nella cancel culture, bollata perfino dall’Economist come arma della “illiberal left” (sinistra illiberale).

Quell’ansia di abbattere statue, chiese e monumenti in nome di un bene supremo indistinto e politicamente corretto. «Un pensiero unico, pericoloso, costretto a rinnegare la storia e riscriverla in base a categorie contemporanee», ha denunciato Papa Francesco.

Siamo fiduciosi, comunque. La cattedrale saprà sopravvivere anche alle illiberali mode contemporanee ed ai prossimi dieci loghi della città.

La redazione

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Denzel Washington a Will Smith: «Lo schiaffo? Meglio la preghiera»

Dopo la notte degli Oscar 2022 si parla solo dello schiaffo di Will Smith a Chris Rock. Ma quel che salviamo sono le parole di Denzel Washington, una bella interpretazione della preghiera che ha avuto risonanza mondiale grazie alla fama dell’attore e regista.

 
 
 

Cosa salvare della recente Notte degli Oscar dello scorso 27 marzo?

Probabilmente nulla, non ce ne saremmo accorti se non fosse stato per lo schiaffo in diretta internazionale rifilato da Will Smith al comico Chris Rock dopo un’infelice battuta sulla moglie.

La reazione violenta dell’attore statunitense ha animato per giorni i social, tra favorevoli e contrari. Pare abbiano vinto questi ultimi, l’attore infatti è stato costretto ad abbandonare l’Academy e ha perso la sponsorizzazione di Netflix ed Apple+ per il suo nuovo film.

Eppure, forse qualcosa di interessante è rimasto.

 

Denzel Washington tra film e devozione cristiana.

Ci riferiamo ad un terzo personaggio celebre, anch’egli presente quella notte e che ha provato a calmare gli animi di Will Smith. Si tratta di Denzel Washington, attore e regista e tra i massimi interpreti del cinema americano.

Da tempo Denzel ha da tempo rivelato la sua profonda devozione cristiana, membro del Cultural Christian Center di New York ed anche il semplice fatto che sia sposato da 40 anni con la stessa moglie lo rende più unico che raro ad Hollywood. Nel 1995 i coniugi hanno rinnovato i voti nuziali in Sud Africa davanti all’arcivescovo anglicano Desmond Tutu.

Nel 2015 promise: «Attraverso il mio lavoro, ho parlato con milioni di persone. Da quest’anno non parlerò più solo attraverso il mio lavoro, farò uno sforzo consapevole per alzarmi e parlare di ciò che Dio ha fatto per me».

Siamo sempre scettici su questo tipo di dichiarazioni da parte di vip, attori e calciatori, certamente fa piacere che in questo episodio, così effimero e discusso, come l’incidente tra Smith e Chris Rock, siano rimaste anche le parole di Washington.

 

Il consiglio di Denzel Washington, tra diavolo e preghiera.

Durante la pausa pubblicitaria, Denzel si è infatti avvicinato per parlare con Will Smith, trovandolo in lacrime (consapevole di giocarsi la carriera). Lo stesso Smith, in preda ad una forte crisi di rabbia ed emozione, lo ha detto durante il suo discorso di accettazione dell’Oscar per il miglior attore: «Denzel mi ha detto pochi minuti fa: “Nel tuo momento più alto, stai attento, è allora che il diavolo viene per te“. In questo momento sono sopraffatto da ciò che Dio mi chiama a fare ed essere in questo mondo».

Non si capisce bene cosa si siano detti e cosa abbia voluto dire riguardo al diavolo, probabilmente riecheggiava le parole di Pietro nel Nuovo Testamento: «Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare» (1Pt 5,8).

Sicuramente sono chiare le parole che Washington ha rilasciato qualche giorno dopo a proposito di quanto avvenuto.

«Non voglio dire di cosa abbiamo parlato», ha spiegato il celebre regista al vescovo T.D. Jakes (qui sotto il video). «Dico solo che c’è la grazia di Dio per ognuno di noi – sai? – chi dobbiamo condannare? Non conosco tutti i dettagli di quella situazione, ma so che l’unica soluzione era la preghiera».

 

A cosa serve la preghiera nel cristianesimo?

E’ una bella interpretazione del significato della preghiera, come recentemente ci ha detto don Andrea Barbero, padre spirituale della Fraternità San Carlo di Roma: «Quando preghiamo, non suggeriamo a Dio cosa è meglio fare per noi ma chiediamo a Lui di darci la forza di fare ciò che gli stiamo chiedendo».

Effettivamente la preghiera cristiana è il gesto massimo di umiltà, l’uomo che domanda perché si riconosce bisognoso, disponendosi ad accogliere l’aiuto di Dio, secondo i Suoi pensieri (e non i nostri).

Soren Kierkegaard diceva che «la preghiera non cambia Dio, ma cambia colui che prega. Prega non fino a che Dio ti ascolti, ma fino a che tu ascolti Dio».

La redazione

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La prova del cristianesimo in Arabia, un secolo prima dell’Islam

La scoperta archeologia in Giordania di un’iscrizione commemorativa è la prima prova della presenza del cristianesimo nell’Arabia preislamica. Nella scritta Gesù viene chiamato “Isa”, lo stesso termine che verrà usato più tardi dagli autori del Corano. Una riflessione anche sulla storicità delle fonti islamiche.

 
 
 

Il cristianesimo era già presente in Arabia, prima dell’Islam?

Fino ad oggi la presenza antica del cristianesimo era nota solo tramite fonti letterarie, come gli scritti di San Girolamo, ma una recente scoperta archeologica proverebbe concretamente l’esistenza di tribù cristiane nell’Arabia preislamica.

Nelle vaste distese del deserto a est del fiume Giordano, infatti, sono state rivenute antiche iscrizioni che recano croci ed utilizzano una terminologia inconfondibilmente cristiana.

 

L’inscrizione cristiana in Giordania risalente al IV secolo

Lo ha spiegato Ahmad Al-Jallad, filologo, epigrafo e storico del linguaggio della Ohio State University, specializzato in storia dell’Arabia.

Scrivendo su Biblical Archaeology Review del nuovo trimestre, lo studioso ha infatti presentato gli affascinanti risultati della sua missione del 2019 nel Wadi al-Khudari, a nord-est della Giordania quando ha rinvenuto centinaia di antiche iscrizioni risalenti a nomadi che vagavano in queste regioni quasi due millenni fa.

I luoghi di ritrovamento e la distribuzione di queste iscrizioni indicano le rotte ed i siti temporanei che le tribù arabe usavano per cacciare animali selvatici e pascolare il bestiame e sono ricche di informazioni storiche e culturali. «Le tribù che dimoravano in questo ambiente marginale», ha spiegato Al-Jallad, «lasciarono resti archeologici, dal Neolitico ai tempi moderni».

«I nomadi dell’Arabia settentrionale iniziarono ad usare la scrittura già all’inizio del I millennio a.C.», ha proseguito, «scolpendo decine di migliaia di iscrizioni rupestri nel loro dialetto locale, uno dei primi dialetti arabi, che gli studiosi moderni hanno chiamato safaitico».

Una tra queste, in particolare, documenta la primissima penetrazione del cristianesimo e risale probabilmente al IV secolo d.C.

Si tratta di un’iscrizione commemorativa, cioè in memoria di una persona deceduta. Si compone di tre parti (evidenziata nel cerchio rosso della foto): il nome dello scrivente (Wahb-El) e la sua genealogia, la commemorazione dello zio defunto e un’invocazione religiosa: «O Īsay (‘sy), aiutalo contro coloro che ti negano».

Non ci sono dubbi sul fatto che lo scrittore (e forse anche suo zio) fosse cristiano.

Un’altra cosa interessante è l’uso di Isay come nome di Gesù, lo stesso che utilizzeranno in seguito gli autori del Corano.

 

Il Corano antecede Maometto e l’Islam?

Mentre questa iscrizione “cristiana” è datata al IV secolo (300-400 d.C.), l’analisi al radiocarbonio del più antico frammento del Corano, il cosiddetto Corano di Birmingham, condotta dagli scienziati della University of Oxford nel 2015, lo ha datato tra il 568 ed il 645 d.C.

La presenza cristiana in Arabia precede quindi il Corano di oltre un secolo e conferma l’uso cristiano (e non solo musulmano) del nome Isa per indicare Gesù.

A tal proposito ricordiamo che il responso della datazione del Corano di Birmingham riscrive e complica enormemente la storicità delle fonti islamiche in quanto il manoscritto ritrovato antecede, seppur non di molto, la vita del profeta Maometto (vissuto tra il 570 d.C. e il 632 d.C.) e la fondazione stessa dell’Islam (intorno al 610 d.C.).

Mentre per i musulmani il Corano sarebbe stato dettato direttamente da Dio al profeta Maometto, «la scoperta rinforza teorie attualmente considerate molto controverse riguardo alla scrittura del Corano», spiegò Keith Small della Bodleian Library di Oxford. «Secondo queste teorie Maometto e i suoi seguaci usarono un testo già esistente e lo modificarono per adattarlo alla propria agenda politica e teologica».

 

«Il Corano prese spunto da testi cristiani precedenti»

Secondo Massimo Campanini, docente di Studi islamici all’università di Trento, il manoscritto di Birmingham confermerebbe invece l’autenticità del Corano e la bontà della tradizione islamica sulla sua genesi, «da anni si sa che gli estensori materiali del libro sacro hanno tratto spunto anche da scritti antecedenti, ebraici e cristiani. Non a caso Maometto ha sempre considerato l’islam come un aggiornamento del cristianesimo e dell’ebraismo».

Effettivamente la presenza di testi evangelici nel Corano è un fatto piuttosto accertato, ne parlavamo su UCCR nel 2016.

In linea generale, però, non essendoci però una vera e proprio analisi critica delle fonti islamiche (come invece è da secoli attuata per quelle cristiane) è difficile capire chi ha ragione.

Probabilmente Campanini la risolve fin troppo facilmente, è noto infatti che l’autentica tradizione islamica afferma invece la Asbab al Nuzul, la discesa diretta (dettatura) del Corano da parte di Allah.

Il fatto che potesse anticipare lo stesso Maometto e contenere testi cristiani ed ebraici ne mette inevitabilmente a dura prova l’originalità (quindi indirettamente l’autenticità), considerando che si tratta del fondamento della religione islamica.

La redazione

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Hitchens pensò alla conversione, la testimonianza degli amici

Nella fase terminale della vita, il saggista Christopher Hitchens cambiò e contemplò seriamente la conversione cristiana (che però non avvenne). Lo racconta l’amico Larry Taunton, confermato dal teologo Douglas Wilson e dal fratello Peter Hitchens.

 
 
 

Qualcuno ricorderà Christopher Hitchens, saggista britannico e uno dei cosiddetti “cavalieri dell’ateismo”.

Per quasi dieci anni si unì alla agguerrita truppa di intellettuali, capitanati da Richard Dawkins, cercando di diffondere nel mondo una radicale forma di anti-teologia scientifica a suon di documentari, articoli, blog e libri.

Gli argomenti “forti” di Hitchens erano che il declino del cristianesimo avrebbe «migliorato radicalmente la civiltà moderna» e che i regimi regimi totalitari di Hitler e Stalin sarebbero stati “religiosi” proprio perché totalitari, ovvero avrebbero rispecchiato quel che lui riteneva fosse la religione: controllo totale della vita delle persone e sottomissione radicale ad un leader.

 

Le frasi di Hitchens contro Dio ed il fratello cristiano.

Ovviamente Hitchens non ci capì mai nulla ed il primo a dirglielo fu suo fratello Peter, un ex ateo che però ha sperimentato l’incontro cristiano e si è convertito, capendo l’errore della predicazione del fratello: la religione non era il veleno che lui predicava.

Dopo che Christopher scrisse il suo celebre “Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa” (Einaudi 2007), il fratello Peter rispose con il libro “La rabbia contro Dio. Come l’ateismo mi ha portato alla fede” (Continuum 2011), raccontando che fu proprio il disprezzo di suo fratello e degli atei militanti verso chi ha fede a mettere in dubbio le sue certezze, aprendo la ragione alla possibilità del Mistero.

Bisogna ammettere però che Hitchens era un libero pensatore, lo si capì quando affrontò l’odio mediatico pur di opporsi all‘aborto, schierandosi contro il voto di Margaret Thatcher a favore della legalizzazione. Difese spesso la posizione pro-life nei dibattiti pubblici e paragonò l’interruzione di gravidanza alla schiavitù.

 

La morte di Hitchens e gli insulti di Giorello e Odifreddi.

Il 15 dicembre 2011 Christopher Hitchens morì dopo una lunga malattia dovuta al cancro all’esofago, era notoriamente un edonista, alcolizzato e fumatore incallito.

Il matematico italiano Piergiorgio Odifreddi (invidioso per la strabiliante carriera del suo correligionario inglese) pubblicò quel giorno un post di insulti verso Hitchens, definendolo un «violento ed irrazionale fondamentalista reazionario».

Anche il laicissimo Giulio Giorello non ebbe parole di cristiana umanità verso Hitchens, ironizzando sul fatto che «ora tocca al Signore dichiarare che infine è proprio Hitchens a non essere così grande» e rimarcando che somigliasse «lui stesso un fondamentalista dell’ateismo».

I cristiani, invece, nonostante fossero da sempre vittime dei suoi improperi, lo supportarono a lungo e pregarono per lui. Hitchens lo sapeva e disse: «Devo dire che ci sono persone estremamente buone che hanno dichiarato che pregano per me. Posso solo dire che io sono toccato da questo pensiero».

 

Hitchens e la conversione: l’amico Larry Taunton

Non deve stupire questo addolcimento di Hitchens nell’ultimo periodo della sua tormentata vita, tra i suoi amici più stretti annoverava molti cristiani.

Nel 2016 l’editorialista cristiano Larry Taunton raccontò in un libro la sua amicizia con Hitchens, facendo infuriare la comunità ateista.

Tauton non solo dibatté pubblicamente con Hitchens ma ne divenne amico e lo accompagnò in numerosi viaggi nei quali conversarono fittamente e quanto racconta Taunton contraddice le dichiarazioni pubbliche di disprezzo di Hitchens per i cristiani.

«Christopher ed io siamo andati subito d’accordo, ci piacevamo», ha raccontato nel decimo anniversario della morte dello scrittore britannico. Dopo l’ennesima notte che rientrava ubriaco a casa, ricorda anche di averlo aiutato a mettersi a letto.

Larry Taunton non ha mai affermato che Hitchens si sia convertito sul letto di morte ma racconta un notevole cambio di atteggiamento dopo la diagnosi di cancro, che sapeva essere una condanna a morte. La questione di Dio divenne improvvisamente più pressante e le discussioni assunsero un tono più serio.

Un pomeriggio, mentre commentavano alcuni passi della Bibbia insieme viaggiando nella Valle dello Shenandoah, Hitchens smise improvvisamente di leggere e iniziò a citare a memoria Giovanni 11,25-26 («Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?».

«E’ un grande verso», commentò stupito Taunton. «Sì, anche Dickens la pensava così», rispose Hitchens. E poi, togliendosi gli occhiali da lettura e girandosi verso l’amico, chiese: «Credi tu questo, Larry Taunton?». Il suo sarcasmo era evidente, ricorda oggi Taunton, ma mancava della sua forza consueta.

«Si, io lo credo. Ma sapevi già che ti avrei risposto così. La domanda è: “Ci credi tu”, Christopher Hitchens?». Cercando una risposta intelligente, Hitchens esitò e con trasparenza disse: «Ammetto che non è una questione senza appello per un moribondo».

Nell’ultima fase della sua vita, quelle di Hitchens non erano più battute intellettuali. «C’era un senso di urgenza con lui. Christopher stava riflettendo profondamente sulla questione di Dio e che Egli ci avrebbe giudicato nella prossima vita. Viaggiammo spesso dopo la sua diagnosi, ad esempio dalla sua casa a Washington a casa mia a Birmingham, in Alabama, a 751 miglia di distanza e con 13 ore di macchina».

Se la conversione non avvenne, certamente rivelò di non credere più alla sua stessa affermazione, spesso ripetuta, secondo cui il cristianesimo «non può essere creduto da una persona pensante».

Non c’è nessuna intenzione in Taunton di rivendicare una conversione postuma di Hitchens, però «l’ha contemplata, e mi baso su ciò che ho visto. Ma gli atei hanno bisogno di Hitchens come una sorta di dio, l’uomo che ha dato loro coraggio e rafforzato la loro fede guardando l’eternità in faccia e dicendo che non avrebbe ceduto».

 

Hitchens e Dio, la conferma del teologo Douglas Wilson

Hitchens ebbe anche l’occasione di dibattere pubblicamente con il teologo evangelico Douglas Wilson, con il quale scrisse anche un libro e parteciparono assieme al documentario Collision nel 2009, raccontando dei loro viaggi insieme.

Dopo la pubblicazione del libro di Taunton, ha confermato di aver anch’egli avuto conversazioni simili con Hitchens.

Wilson sostenne che Hitchens non odiava i cristiani, odiava gli ipocriti: «Christopher sarebbe stato un ottimo puritano!».

Quando qualche giornalista gli chiedeva se avesse avuto qualche ripensamento su Dio, la risposta di Hitchens non era un semplice “no, nessun ripensamento”. Douglas Wilson spiega, invece, che «lui rispondeva che se Christopher Hitchens avesse gridato a Dio sul letto di morte, allora potevamo essere certi che il cancro era arrivato al cervello. Stava dicendo che se questo sarebbe accaduto, quella era la storia i suoi fan avrebbero dovuto usare».

«Lo diceva perché era preoccupato», spiega Wilson. «Non c’è motivo di dire questo genere di cose a meno che tu non sia preoccupato di poter deludere la squadra di casa: aveva preparato una storia in anticipo. Non sto affermando che Cristopher abbia gridato a Dio, sostengo che era preoccupato che l’avrebbe potuto fare».

Nel 2011 anche su UCCR avevamo ripreso alcune sorprendenti frasi di Hitchens a favore della Bibbia, allora non potevamo sapere che erano parte di un profondo cambiamento interiore del celebre scrittore.

 

La moglie di Hitchens, Carol Blue, chiese al fratello (cristiano) Peter di leggere il brano di Filippesi 4,8 al funerale, lo stesso che Cristopher lesse al funerale del padre, 25 anni prima.

Il fratello Peter ha spiegato che «il motivo per cui le mura di Christopher erano così pesantemente armate era che se mai si fossero superate quelle mura, non c’erano difese da lì al centro della città».

Christopher Hitchens è ricordato dagli empi come un uomo che odiava veramente i cristiani e voleva distruggere completamente il cristianesimo. In pubblico, davanti ai suoi ammiratori, mantenne quella posizione.

Ma, come sempre è stato nel caso di Christopher Hitchens, c’è qualcosa in più da dire in questa storia.

La redazione

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Se Buddha era un nichilista, proprio come Nietzsche

Il pensiero di Buddha accomunato a quello di Nietzsche. Il filosofo Sossio Giametta confronta le due filosofie scoprendo affinità per quanto riguarda l’avversione all’identità umana ed al concetto di “io”.

 
 
 

Un parallelismo tra Friedrich Nietzsche e Buddha.

E’ quanto sostiene il massimo studioso internazionale di Nietzsche, il filosofo Sossio Giametta.

Le affinità tratteggiate sono numerose perché il fondatore del Buddhismo, vissuto nel VI secolo a.C., era di fatto un indomito nichilista.

Giametta si rifà alle parole scritte da Walpola Rahula, il primo monaco buddhista a divenire titolare di una cattedra universitaria in Occidente, autore de L’insegnamento del Buddha (Adelphi 2020).

 

Sossio Giametta: «Il nichilismo di Buddha e di Nietzsche»

Per Buddha, scrive il filosofo italiano Giametta, «l’esistenza dell’uomo è come un fiume di montagna che scorre via veloce portando tutto con sé».

Per il fondatore del buddhismo, «non c’è una sostanza immutabile, non c’è nulla dietro le cose che possa definirsi un io permanente, che possa chiamarsi io». L’io e l’essere sono solo «una combinazione di aggregati fisici e mentali che funzionano in modo indipendente».

Così, sia per Nietzsche che per Buddha, prosegue Giametta, «c’è il pensiero e non il pensatore, l’azione senza l’agente».

Più recentemente, sempre a proposito di Nietzsche e buddhismo, Sossio Giametta ha ritenuto che la dottrina dell’eterno ritorno non è la base di Così parlò Zarathustra, il celebre libro del pensatore tedesco, «ma la più grande gaffe di Nietzsche».

Sia il buddhismo che Nietzsche ritenevano infatti la ciclicità del tempo: tutto ciò che è stato si ripresenterà nuovamente allo stesso modo. Una tesi che «puzza di stupidaggine da lontano», scrive il filosofo italiano.

Nietzsche si abbandonò tuttavia a questa idea, sostiene Giametta, per «placare la sua profonda e tormentosa spinta religiosa».

 

Perché i diritti umani nascono in Occidente?

Le considerazioni sul nichilismo buddhista contrastano apertamente l’unicità e la sostanzialità dell’uomo, aiutando forse a capire perché i diritti umani e l’attenzione all’individuo si sono sviluppati solamente in Occidente (cristiano).

Minimizzando l’individualismo e ponendo l’accento solo sui doveri collettivi, infatti, è impossibile dare un fondamento ontologico -oltre che ai diritti- anche al concetto di libertà personale e di responsabilità individuale (in quasi tutte le lingue non europee non esiste neanche la parola “libertà”).

Come scrisse Joseph Ratzinger, «se viene a mancare il concetto di unicità delle persone, non è più possibile fondare e difendere l’inviolabilità della dignità di ogni singola persona»1Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana 2005, p. 19.

Il mondo diventa così una valle di lacrime e la religione, osserva ancora Ratzinger, «anziché fornire dei criteri per poter vivere nel mondo, dei modelli di responsabilità sociale a cui ispirarsi, suggerisce la via per travalicare il mondo terreno, la via della liberazione dal fardello delle apparenze» 2Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana 2005, p. 19.

L’obbiettivo primario del buddhismo, infatti, è eliminare il dolore e, tramite la ricerca del Nirvana, sopprimere (o estinguere) il desiderio di essere e di avere, fonte di ogni dolore. Il male vince sull’uomo per Buddha, l’unica cosa che si può fare è attutirne la forza devastante, cercare di esserne feriti il meno possibile tramite l’indifferenza.

 

La dignità umana, un’invenzione del cristianesimo

Pensiamo invece alla famosa considerazione di Boris Leonidovič Pasternak, Nobel per la letteratura: «Nell’abbraccio di Cristo, nasce l’uomo».

Il concetto di uomo, in quanto essere padrone del suo destino, è infatti un’invenzione esclusivamente cristiana. Fu il cristianesimo a spazzare via il fatalismo pagano, affermando l’individualismo ed il libero arbitrio.

Il Dio cristiano premia la “virtù” e punisce il “peccato” («Va’ e non peccare più», Gv 8,11) proprio perché l’uomo è responsabile delle sue azioni, padrone di se stesso e non un “pensiero senza pensatore”.

I grandi padri del liberalismo classico -da Locke a Kant ai fondatori dell’America, come Tocqueville- sapevano e scrivevano che «il cristianesimo -con quella sua idea dell’uomo creato a immagine del Dio che si è fatto uomo per soffrire con gli uomini- è la religione che ha introdotto il valore della dignità umana personale, senza il quale non c’è né libertà, né uguaglianza, né solidarietà, né giustizia»3Marcello Pera, Perché dobbiamo dirci cristiani, Mondadori 2008, p. 6.

Lo stesso Hegel, scrisse: «Sono già ben millecinquecento anni che, mediante il cristianesimo, la libertà della persona ha iniziato a fiorire ed è divenuta, in una parte peraltro piccola del genere umano, principio universale»4Heghel, Lineamenti di filosofia del diritto, Bompiani 2006, p. 161.

La redazione

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Lo schwa spacca i progressisti: «Abuso linguistico inaccettabile»

La nuova invenzione del progressismo è la schwa, vocale no gender ed inclusiva. Ma è battaglia con linguisti ed accademici, i quali scendono in campo in difesa degli abusi linguistici creati per perseguire ciò che definiscono una deriva ideologica. Tra essi l’Accademica della Crusca.

 
 
 

Il linguaggio inclusivo è la nuova deriva omologante del progressismo.

Se solitamente le loro campagne “inclusive” finiscono per escludere puntualmente l’esistenza delle donne (si pensi a questi due casi recenti), con il linguaggio inclusivo l’obbiettivo da colpire è la lingua italiana.

Negli ultimi anni è infatti in corso una vera battaglia tra “inclusivisti” radicali e linguisti accademici.

Se il primo tentativo fu far terminare le parole con entrambe le forme maschili e femminili, come bambini/e e geometra/o, nel tempo si è arrivati all’asterisco, così da cancellare direttamente l’ultima lettera: bambin*, geometr* ecc.

La forma che sembra però andare per la maggiore in certi ambienti è la schwa (ə): bambinə e geometrə. Un vocale indistinta, fluida, no gender.

 

Michela Murgia e Saviano, paladini dello schwa

Michela Murgia, macchietta antifascista de L’Espresso (che sugli ebrei dice di pensarla «come Hamas»), è stata tra le prime in Italia ad usarlo.

La giornalista di La7, Flavia Fratello, ha provato a leggere il brano di Murgia trovando non poca difficoltà (video pubblicato anche sul nostro canale YouTube):

Pochi giorni fa anche Roberto Saviano ha esordito con la neo-lingua per definire le identità “non binarie”: «Per la prima volta sono felice di utilizzare la vocale schwa: come molto rispettosamente suggerito dalla mia amica e collega scrittrice Michela Murgia», ha scritto.

Saviano ha quindi iniziato ad usare la terza persona plurale (“loro”) per riferirsi ai singoli, partorendo un testo al limite del ridicolo.

 

Linguisti ed accademici scendono in campo contro schwa

Dopo che anche il ministero dell’Istruzione ha usato la schwa (ə) in un documento ufficiale, però, numerosi intellettuali italiani hanno deciso di intervenire con una petizione (“Pro lingua nostra”), preoccupati di questa ennesima colonizzazione ideologica.

I primi firmatari sono tutti esponenti della sinistra progressista, come Alessandro Barbero, Paolo Flores d’Arcais, Massimo Cacciari e Angelo D’Orsi.

E poi ancora, conduttori radiofonici come Alberto Crespi (Rai Radio 3) e Michele Mirabella, Cristina Comencini, Edith Bruck, Ascanio Celestini, Piergiorgio Odifreddi, Ettore Boffano, ex vicedirettore de Il Fatto Quotidiano, i linguisti Francesco Sabatini e Luca Serianni.

Coadiuvati da Massimo Arcangeli, ordinario di Linguistica italiana all’Università di Cagliari e direttore artistico del Festival della lingua italiana, hanno invitato a firmare contro «una pericolosa deriva, spacciata per anelito d’inclusività da incompetenti in materia linguistica, che vorrebbe riformare l’italiano». «Promotori dell’ennesima follia, bandita sotto le insegne del politicamente corretto; pur consapevoli che l’uso della “e” rovesciata non si potrebbe mai applicare alla lingua italiana in modo sistematico».

Secondo i firmatari la schwa è un artificio «frutto di un perbenismo, superficiale e modaiolo; intenzionato ad azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica». L’obbiettivo è vietare l’uso del “linguaggio inclusivo” in documenti ufficiali.

Lo stesso linguista Arcangeli ha spiegato che «una certa sinistra ingannatrice, opportunista e finto-progressista mi ha convito della necessità di lanciare una petizione contro lo schwa non più rinviabile».

Anche Cecilia Robustelli, ordinario di Linguistica italiana presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, ha preso posizione sostenendo che «se si eliminano le desinenze scompaiono tutti i collegamenti morfologici, e il testo diventa un mucchietto di parole delle quali non si capisce più la relazione». Il genere grammaticale, infatti, «viene assegnato ai termini che si riferiscono agli esseri umani in base al sesso».

Robustelli in alternativa ripropone un binarismo sessuale forzato, ovvero attribuire sempre a donne l’utilizzo di termini femminili. Ad esempio, spiega, «non è opportuno né permesso chiedere alla persona con cui si parla come vuole essere chiamata. Se è donna, è ministra, avvocata, direttrice di orchestra». E se qualcuna dice di voler essere chiamata al maschile? «La risposta deve essere ‘no’. Non lo chiedo io ma la lingua italiana».

Sorprende che una linguista cada in un errore così banale, la lingua italiana non prevede nemmeno queste forzature. Infatti, un geometra non potrebbe mai pretendere di essere chiamato al maschile (“geometro”), così come sarebbe un abuso linguistico farlo con la guardia medica, la sentinella ecc.

Mariangela De Luca, giovane insegnante di lettere, ha spiegato che «l’italiano è una lingua binaria, non conosce il neutro che è il genere, tra l’altro, delle cose. Non è giusto adottare lo schwa, un’invenzione posticcia, un qualcosa di creato a tavolino e nato in seno alla lingua scritta».

Gli accademici hanno anche sottolineato che gli “inclusivisti radicali”, promotori della schwa, con la scrittura inclusiva escludono i disabili in quanto l’uso della e rovesciata porta con sé anche «il rischio di arrecare seri danni a carico di chi soffre di dislessia e di altre patologie neuroatipiche».

 

Il “no” alla schwa dell’Accademia della Crusca

Tra i firmatari della petizione anche il presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini.

In un’intervista, il linguista Marazzini ha dichiarato:

«Questi segni grafici rispondono, evidentemente, a una battaglia ideologica. Non siamo in grado di dire come andrà a finire la partita, ma faccio notare che in Italia le “riforme grafiche”, quelle poche che ci sono state, non hanno mai avuto successo. L’unica precedente riforma imposta in modo autoritario che mi viene in mente è il “voi” al posto del “lei” imposto in epoca fascista. Ovviamente la riforma fallì. Fra l’altro, c’è incoerenza: si usa lo schwa per il sostantivo, ma l’aggettivo e l’articolo restano identici, con la marca del maschile. Allora la domanda è: ma costoro stanno progettando una riforma della lingua, oppure giocano con la lingua, cambiando qualcosina qua e là, tanto per mandare un segnale? Voglio vedere chi avrà il coraggio di imporre un obbligo in queste cose, anche se in alcuni tra gli innovatori cova un certo gusto autoritario. Per ora non è quindi una questione di omologazione, ma di conformismo. Alcuni abbracciano la soluzione dello schwa o dell’asterisco non perché ci credano o abbiano capito il problema, ma per quieto vivere: di fronte a minoranze aggressive, molti preferiscono vivere tranquilli».

Nel 2021 la Crusca è intervenuta anche con il linguista Paolo D’Achille, decretando la totale bocciatura dello schwa, mentre sul sito web della Treccani, la linguista Cristiana De Santis (Università di Bologna) ha definito «impercorribile» la via dello schwa.

 

Questo dibattito è una riprova dell’eterna e misteriosa ossessione psicologica dei progressisti di apparire tra i buoni ed i giusti della storia.

Una perversione morale che ha prodotto la cancel culture, definita da Francesco Magni, docente di Pedagogia Generale all’Università di Bergamo, una «operazione di igiene e purificazione» del mondo tramite la censura di libri, il divieto di citare pensatori celebri del passato, l’abbattimento di statue. Ed ora anche tramite il linguaggio-.

La redazione

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Medioevo e terra sferica, un libro sulla fake news illuminista

Il falso mito della terra sferica. Due storiche francesi parlano di “manipolazione della storia e delle coscienze” attuata durante l’illuminismo, quando nacque la leggenda del terrapiattismo medievale per screditare il passato.

 
 
 

La convinzione radicata che gli uomini abbiano vissuto per secoli nell’illusione oscurantista della Terra piatta è semplicemente un’invenzione recente.

Ogni menzogna di questo tipo nasce nel secolo (buio?) illuminista, quando un gruppo di filosofi ed intellettuali fu così pregiudizialmente accecato da convincere i posteri che la civiltà fosse nata con loro ed alle loro spalle si trovasse solo barbarie e miseria.

Poco tempo dopo l’arroganza ideologica si trasformò nel Terrore della ghigliottina.

 

«Nessuno nel Medioevo credeva alla terra sferica»

Due ricercatrici francesi, Violaine Giacomotto-Charra della Université Bordeaux Montaigne e Sylvie Nony, medievalista e docente di Scienze fisiche all’Università Paris VII, sono le autrici di un recente saggio intitolato Les Belles Lettres: La Terre plate. Généalogie d’une idée fausse (Les Belles Lettres 2021).

Inseriscono il mito della Terra piatta nel grande quadro delle false testimonianze contro il mondo medievale ed instancabilmente ripreso (almeno fino a pochi anni fa) dai libri di testo scolastici e dai programmi televisivi. Il grande racconto del Rinascimento e della Riforma protestante come liberatori dell’uomo dal gioco intellettuale e religioso dell’era cattolica medievale è ancora duro a morire al di fuori dell’ambito accademico.

«Non solo l’idea che il Medioevo credesse che la Terra fosse piatta è storicamente falsa», scrivono, «ma è anche il risultato di una manipolazione della storia della scienza, e soprattutto delle coscienze».

Il povero uomo medievale credeva che la Terra fosse piatta perché non si poteva camminare a testa in giù. Questo luogo comune disonora il genio di questi uomini che costruirono università e cattedrali, che inventarono gli ospedali, le dighe, i ponti, i mulini a vento, che bonificarono vaste porzioni di terra (facendo emergere, ad esempio, gli attuali Belgio e Olanda), che posero le basi per, che salvarono la letteratura greca.

Tanto che l’eminente storico americano Warren Hollister, fondatore del dipartimento di Storia dell’Università Santa Barbara in California, scrisse:

«A mio giudizio, chiunque creda che l’epoca che vide la costruzione della cattedrale Notre-Dame di Chartres e l’invenzione del parlamento e dell’università sia stata “buia” deve essere mentalmente ritardato o, nel migliore dei casi, molto, molto ignorante»1C.W. Hollister, The Phases of European History and the Nonexistence of the Middle Ages, Pacific Historic Review 1992, p. 8.

I medievali sapevano benissimo che la terra era rotonda, hanno spiegato le autrici, ed avevano familiarità con gli scritti di Eratostene, il quale stabilì la rotondità terrestre due secoli prima di Cristo.

Sono innumerevoli i testi medievali sulla rotondità della Terra, lo stesso Sant’Agostino nella sua Citta di Dio si riferì alla virtù divina, che è «causa della rotondità della Terra e del Sole» (libro XII, capitolo XXV).

L’ultimo dei Padri della Chiesa, Isidoro di Siviglia, fondatore dell’enciclopedismo medievale, descrisse esplicitamente la Terra come un “globo” nel VI secolo. Più tardi, il cardinale Pierre d’Ailly (1351-1420), studioso di Tolomeo, produsse l’Imago mundi (1410) ed il Tractatus de concordantia theologie et astronomie (1414) provando che la sfericità della Terra era perfettamente accettata nel Medioevo.

 

Lo storico Barbero: «I primi terrapiattisti? Nel 1800».

Su questo tema è più volte intervenuto anche Alessandro Barbero, ordinario di Storia all’Università del Piemonte Orientale:
«Non è vero niente, nel Medioevo lo sapevano benissimo che la terra è rotonda».

Uno degli esempi più immediati è che «ogni imperatore medievale veniva raffigurato con in mano il simbolo del suo potere sul mondo, un globo, a volte sormontato dalla croce».

Ironia della sorte, la prima volta in assoluto che venne scritto un libro sulla terra piatta fu proprio nel XIX secolo, in pieno positivismo comtiano, quando l’americano William Carpenter pubblicò il suo libro intitolato: Le cento prove che la terra non è una sfera.

Poco dopo nacque la Flat Earth Society (Società della Terra piatta), ancora esistente. «Oggi, per la prima volta nella storia, esiste gente che crede che la Terra è piatta», ha concluso ironico lo storico italiano.

Qui sotto un estratto dell’intervento di Alessandro Barbero:

 

La redazione

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Cercasi liberi pensatori, la denuncia di Luca Ricolfi

Una lucida analisi dell’eminente sociologo italiano Luca Ricolfi, presidente della Fondazione David Hume, sulla mancanza di coraggio degli intellettuali moderni di sfidare l’ortodossia del pensiero e la cappa ideologica del politicamente corretto.

 
 

di Luca Ricolfi*
* docente ordinario di Psicometria all’Università degli Studi di Torino

da Repubblica 22/03/22

 

Su quale sia, di fronte all’invasione dell’Ucraina, la linea di condotta più adeguata, non ho convinzioni forti.

Quello su cui ho invece un’opinione è il destino delle nostre menti in tempo di guerra.

Quel che mi colpisce, come studioso di scienze sociali, è il clima di illibertà che governa i nostri scambi di idee.

Un clima in cui nessuno si sente completamente libero di dire come vede le cose, perché sa che, qualsiasi cosa dica, sarà aggredito da chi vede le cose in modo opposto, o anche semplicemente diverso.

 

Luca Ricolfi e la sfida al politicamente corretto.

L’indizio più rivelatore di questo clima è la “premessite”: prima di dire qualcosa di sostanziale, si passa un tempo notevole a fare premesse autodifensive per tutelarsi dal rischio di essere crocefissi per quel che si sta per dire.

Mi impressiona molto ascoltare in tv autorevoli giornalisti e studiosi avvilupparsi in lunghissime serie di auto-certificazioni di anti-putinismo per sentirsi in diritto di dire quel che pensano, ad esempio che li ha colpiti l’ammissione di Biden di aver passato l’ultimo anno a rifornire l’Ucraina di armamenti.

È un meccanismo che avevamo già sperimentato nella pandemia, quando — se si aveva da dire qualcosa di non perfettamente ortodosso sui vaccini — si esordiva dicendosi plurivaccinati, sottoposti alla terza dose, equipaggiati con Green Pass, eccetera.

 

Come funziona la nostra mente: Leon Festinger.

Si potrebbe pensare che è normale che tutto ciò accada quando è in gioco una questione importante, e inoltre sussiste un’ortodossia, ossia un pensiero prevalente e ritenuto più giusto. In realtà non è così. O meglio non è solo così. Il meccanismo che non ci lascia discutere liberamente, senza accusarci reciprocamente di stare dalla parte sbagliata, è più universale e profondo.

Fu scoperto e studiato nei primi anni ’50 dallo psicologo sociale americano Leon Festinger, viene chiamato “riduzione della dissonanza cognitiva”, e costituisce probabilmente la più importante scoperta delle scienze sociali del Novecento.

Quel che Festinger scoperse è che non solo la mente umana non sopporta i conflitti interni, ma il suo bisogno di coerenza interna è così forte da generare meccanismi di correzione radicali, come l’autoinganno, l’adozione di credenze irrazionali, l’incapacità di prendere atto dei dati di realtà, anche di fronte a clamorose smentite delle proprie convinzioni.

La mente umana, si potrebbe dire riprendendo una lucida considerazione di Walter Siti, funziona in modo opposto a come funziona la grande letteratura. La nostra mente ha bisogno di coerenza, la grande letteratura si nutre delle contraddizioni, dei drammi e delle ambiguità della vita reale. Soprattutto, la nostra mente è incapace di passare da un piano all’altro del discorso senza esigere che fra i vari piani vi sia coerenza.

Se l’empatia ti porta da una parte, non ce la fai ad accettare che qualche notizia, o ragionamento, o fatto storico ti possa portare dall’altra. E se il ragionamento ti porta dalla parte opposta, la tua empatia ne risente, o gli altri ti percepiscono come privo di empatia. Vale oggi per la guerra in Ucraina, ma valeva anche ieri per le “guerre umanitarie”, o per quelle contro il terrorismo.

Noi, per come funziona la nostra mente, non siamo capaci di sopportare quel che invece nutre la grande letteratura, ossia l’imperfezione del bene e la complessità del male.

 

La tendenza a dividere tutto in buoni e cattivi.

Abbiamo bisogno di pensare che il mondo delle vittime sia senza ombre, e quello dei carnefici sia del tutto privo di umanità. Ogni spiegazione del male ci appare un’offesa al bene, e il bisogno di sentirci dalla parte del bene ci impedisce di vedere i nostri limiti.

È un vero peccato, anche se —dopo Festinger — sappiamo che è connaturato al modo di funzionare del nostro cervello. È un peccato perché, se può essere vero, come scrisse Primo Levi, che “comprendere è quasi giustificare”, è altrettanto vero che spiegare il male (che è cosa ben diversa dal comprenderlo) è essenziale per evitare il suo ripetersi, ed è ancora più essenziale adesso, quando una maggiore lucidità potrebbe guidarci a prendere le decisioni giuste.

La pietà e la solidarietà per le vittime non dovrebbero mai essere scalfite dalla ricostruzione dei torti e delle ragioni delle parti in gioco, che — nella storia — sono sempre entità collettive, ovvero partiti, nazioni, imperi, potenze che agiscono sopra le teste della gente comune.

 
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Consigliamo vivamente l’acquisto dell’ultimo libro di Luca Ricolfi, scritto assieme alla moglie Paola Mastrocola: Manifesto del libero pensiero (La Nave di Teseo 2021).

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