Mai confondere martirio cristiano e suicidio islamico

La differenza nel martirio tra cristiani e musulmani. Il card. Robert Sarah, prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, introduce così un libro-inchiesta sui martiri copti uccisi in Egitto nel 2015.

 
 
del card. Robert Sarah,

prefazione de I 21. Viaggio nella terra dei martiri copti (Cantagalli 2022).

 
 
 

Bisogna sapere che il termine “martire”, che in greco significa “testimone” (martus) è stato completamente stravolto dai fondamentalisti islamici.

Come spiega Annie Laurent, nell’Islam, il martire (chahid, testimone) è certamente colui che acconsente a sacrificare la propria vita, ma l’amore di Dio, il perdono e la gratuità sono estranei a questa realtà.

Il martire islamico non muore per testimoniare il proprio credo […], muore invece nel contesto del jihad, perché l’Islam possa trionfare, o per una causa affine, quale per esempio la «liberazione della Palestina» e per «guadagnare il paradiso».

Questa morte è considerata sacra anche quando assume la forma di un attentato suicida, con l’accesso al paradiso come ricompensa. Si noti inoltre che il significato delle due parole chahid e martus esprime la differenza essenziale e diametralmente opposta tra il martirio previsto nel Corano ed il martirio cristiano.

La parola chahid ha un significato attivo, il che significa che il martirio è ricercato per sé stesso nell’ambito di un combattimento da portare avanti fino alla morte, e che può essere assimilato anche al suicidio, poiché l’autore dell’assassinio acconsente volentieri al sacrificio supremo, soprattutto nel caso di attentato terroristico.

Dall’altra parte, il termine martus ha a prima vista un significato passivo: il martire cristiano non ricerca la morte; egli la accetta volontariamente quando si presenta questa terribile prova.

 

Il martire cristiano muore perdonando il proprio carnefice.

Aggiungo subito tuttavia che non bisogna ingannarsi circa il carattere apparentemente passivo del martirio cristiano. Ho fatto uso di tale aggettivo solo per distinguerlo dalla natura aggressiva e violenta dello chahid coranico.

“Attivo”, il martire cristiano lo è in senso pieno. Non è affatto seguace di quello che nel XVII secolo verrà chiamato “quietismo”, anzi egli lotta in mezzo alle prove. Si tratta, però, di un altro tipo di combattimento, di natura spirituale, il combattimento della fede, molto aspro, decisivo e dal quale dipende la salvezza della propria anima; un combattimento che non è altro che quello di Cristo sulla croce.

E’ una lotta spietata contro le forze del male, cioè contro Satana, che va in cerca della sua preda «come leone ruggente» (1Pt 5,8), contro la concupiscenza della carne e anche contro la nostra tendenza -naturale, dopo il peccato originale- a ritrarci con paura di fronte alla sofferenza che giudichiamo umanamente ingiusta, dovuta ai tormenti del martirio e della morte corporale.

Eppure, tutti i martiri, dalla fragile santa Blandina, data in pasto alle belve nell’anfiteatro delle Tre Gallie a Lione, a san Massimiliano Kolbe, nel bunker della fame di Auschwitz, hanno dato prova di un coraggio straordinario, di una forza che superava ogni umana comprensione e provocava stupore, persino l’ammirazione da parte dei loro carnefici…che essi hanno saputo perdonare con sincerità di cuore, come ha fatto Gesù in cima alla Croce gloriosa: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,24).

Il martire cristiano muore perdonando il proprio carnefice, a imitazione e in unione a Cristo sulla croce.

Se ne può trovare un esempio nelle parole di mons. Angaelos, vescovo dei copti ortodossi nel Regno Unito, che subito dopo la loro uccisione ha dichiarato di essere «pronto» a perdonare i terroristi, anche se ad alcuni la cosa poteva sembrare «incredibile»: «Non perdoniamo l’azione, che è atroce. Ma perdoniamo veramente gli assassini dal profondo del nostro cuore. Altrimenti, saremmo consumati dalla rabbia e dall’odio e alimenteremmo una spirale di violenza che in questo mondo non deve esistere».

 

Il martirio cristiano non è ricercato.

Infine, ecco l’ultima caratteristica del martirio cristiano: non va ricercato per sé stesso, perché in un certo senso ciò sarebbe come provocare Dio per ottenere il premio del paradiso e fare di Lui ciò che Egli non è.

Dio non è una sorta di idolo pagano con il quale mercanteggiare per conseguire determinati vantaggi: successo, potere, ricchezza e…salvezza eterna; bisogna invece lasciare che sia come Egli è, ossia un Padre molto amorevole […].

Il martirio implica, pertanto, una totale gratuità.

A mò di conclusione vorrei citare la madre dei due fratelli martiri Samuel e Beshoy: «Sono madre di martiri e sono orgogliosa di loro. In Cielo intercedono per me e per loro padre». E aggiunge, inoltre, che prega per i seguaci dello Stato islamico e che chiede a Dio «che li illumini e apra i loro cuori alla verità e al bene».

Si, questo famoso apoftegma di Tertulliano è proprio vero: «Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani» (Sanguis Martyrum, semen Christianorum).

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