Nuove ricerche: le cellule staminali del midollo osseo sono sicure e efficaci

L’utilizzo di cellule staminali adulte provenienti dal proprio corpo non presenta alcun problema dal punto di vista etico e giuridico (un interessante approfondimento sul sito del Vaticano). Questo tipo di cellule staminali sono già utilizzate nella sperimentazione clinica e sono sempre più giudicate decisamente efficaci e sicure.

Un recente studio infatti dichiara che le cellule staminali derivate dal midollo osseo del paziente possono essere utilizzate con sicurezza in chi ha subito un danno cerebrale traumatico (TBI). Lo stabilisce la ricerca svolta dall’Università del Texas Health Science Center a Houston. I risultati sono stati pubblicati nel numero di marzo 2011 del Neurosurgery , la rivista del Congress of Neurological Surgeons.  I dati dimostrano che l’efficacia del trattamento appare sia su bambini che su adulti.

Sul sito del MedicalNewsToday si legge che in uno studio separato gli scienziati hanno testato la sicurezza anche per l’utilizzo delle cellule staminali derivanti dal sangue del cordone ombelicale del paziente per curare le lesioni cerebrali traumatiche.  Questo studio non ha però valutato l’efficacia, tuttavia dopo sei mesi tutti i bambini avevano un miglioramento significativo e su sette dei 10 bambini valutati si è osservato un “buon risultato”, cioè nessuna o solo leggera disabilità. I bambini infatti che sopravvivono ad un grave trauma cranico presentano spesso gravi complicazioni e disabilità. Attualmente non esistono trattamenti efficaci per tutelare o promuovere la riparazione del cervello in questo genere di cerebrolesioni.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Il chimico Fringuelli: «la Chiesa sostiene la ragione e la scienza sostiene la fede»

Lo scienziato Francesco Fringuelli, ordinario di Chimica organica dal 1975, già Direttore del Dipartimento di Chimica di Perugia e dal 2003 al 2009 Preside della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università di Perugia, ha scritto un interessante articolo sul rapporto tra scienza e fede. Riprendiamo ampie parti.

Ha introdotto specificando che tratterà la relazione tra ricerca scientifica di tipo galileiano e la fede nel Dio rivelato da Gesù Cristo e dal magistero della Chiesa. Questo dibattito «non può essere solo culturale, perché al centro c’è l’uomo come singolo e come comunità di individui con i suoi dubbi, i suoi interrogativi, i suoi problemi personali ed esistenziali, le sue scelte e le sue paure»,. Continua: «Lo scienziato galileiano ha verso la natura un atteggiamento di grande umiltà, “sa di non sapere”, non è quindi uno scientista perché non pretende che la scienza sia arrivata o arrivi a capire tutto. La scienza galileiana ha quattrocento anni ma ancora non è entrata a far parte del patrimonio culturale dell’uomo. Lo dimostra la confusione che c’è nell’opinione pubblica fra scienza e tecnologia scientifica. La mancanza di cultura scientifica, unitamente alla confusione tra scienza e tecnologia scientifica, sono tra le cause principali del convincimento che scienza e fede cristiana siano in antitesi».

La scienza nasce dal cristianesimo. Il chimico ha poi continuato: «La scienza è il motore del progresso sociale e civile, studia la logica della natura, e se questa è opera di un Dio creatore, è un mezzo privilegiato per avvicinarsi a Lui. Gestendo in modo eticamente cristiano le applicazioni tecnologiche della scienza, si ottiene pace, progresso, democrazia, uguaglianza. Il principale obiettivo dello scienziato è capire la logica che è alla base della costituzione della natura. La Fisica oggi insegna che tutto ciò che esiste si basa su tre forze fondamentali. Il cammino per arrivare a queste conclusioni è stato lungo ed è frutto della ragione». Anche lui arriva alla conclusione a cui sono arrivati grandi scienziati e storici della scienza: «La Chiesa cattolica ha da sempre insegnato che la ragione è il dono più grande che Dio abbia fatto agli uomini, ed è in virtù di questo insegnamento che la scienza si è sviluppata nell’Occidente cristiano e non dove erano operanti altre filosofie e altre teologie» (per un particolare approfondimento su questa tematica, si veda L’origine della scienza è nel cristianesimo).

L’ateismo non ha base scientifica, la scienza sembra aiutare la fede. Ampliando il discorso al cosiddetto “ateismo scientifico” promosso dall’ateocomunismo sovietico e dal razionalismo moderno, ha specificato: «Usando come strumento della ragione il rigore della logica matematica, che è alla base della ricerca scientifica, non è possibile dimostrare l’esistenza di Dio, ma non è possibile neppure negarla. L’ateismo non ha un fondamento scientifico, è semplicemente un atto di fede in qualcosa non ben definibile e non dimostrabile. Sia il credente che l’ateo e l’agnostico non possono dire di usare la logica matematica come base del loro convincimento in merito al trascendente, e quindi nessuno di loro può dire di essere più logico dell’altro». Lo scienziato non si è però fermato qui, ma: «La scienza non può portare a perdere la fede perché nessuna scoperta scientifica può mettere in dubbio o negare l’esistenza di Dio. È vero invece il contrario: molti sono gli scienziati atei che si sono convertiti, ma a mia conoscenza non esiste un esempio contrario».

Scienza e fede cristiana si basano sulla ragione. Fringuelli torna sulla relazione tra scienza e fede: «Se, dunque, scienza e fede hanno in comune l’uso della ragione, come è possibile che siano tra loro in antitesi? Come è possibile che la Chiesa cattolica, paladina della ragione, contrasti o abbia paura della scienza? Scienza e fede in un Dio creatore-amore non possono essere in contrasto sul piano della ragione, a meno che la scienza non degeneri in scientismo e la fede diventi fideismo. La Chiesa non può opporsi alla ricerca scientifica perché nella Bibbia (Gn 2,15) è scritto: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse”. Dio che ha creato l’immanente secondo una logica, lo ha quindi affidato all’uomo perché con la ragione indagasse questa logica e si avvicinasse alla conoscenza del trascendente». Cita poi un discorso che Giovanni Paolo II rivolse agli scienziati della World Federation of Scientists: «Scienza e fede sono entrambi dono di Dio […] L’uomo può perire per effetto della tecnica che egli stesso sviluppa, non per effetto della verità che egli scopre mediante la ricerca scientifica, perché la scienza ha radici nell’immanente, ma porta l’uomo verso il trascendente».

La Chiesa considera la scienza una via per arrivare alla conoscenza di Dio. Galilei diceva che “la Bibbia è la parola di Dio e la natura la sua scrittura”, e ancora: “La Bibbia ci dice come andare in cielo, non come è fatto il cielo”. La Bibbia non è un testo scientifico, ci ricorda Fringuelli: «la Chiesa non si oppone e non ha paura della scienza, ma si oppone al determinismo, al materialismo, al positivismo, al relativismo, a ogni forma di pensiero e filosofia assoluta e ad ogni azione che danneggia l’uomo nel suo essere, nella sua dignità o la sua stessa vita. Per la Chiesa cattolica l’uomo è la più alta espressione dell’amore di Dio, che lo ha dotato di ragione per studiare quel “briciolo” di materia chiamato Terra sulla quale l’uomo vive un istante di tempo. La scienza in quanto ricerca della verità non è guidata dall’etica. Le scoperte scientifiche non sono mai in contrasto con la morale cattolica.

Conclude ponendo delle domande scomode: «Organismi come la World Federation of Scientists e la Pontificia accademia delle scienze, che annoverano insigni scienziati a livello mondiale, alcuni anche non credenti, sono voluti e supportati dalla Chiesa cattolica. Perché la Chiesa farebbe questo se credesse che fede e scienza siano tra loro in contrasto o che la scienza possa “oscurare” la fede cristiana? Scienza e fede cristiana non sono, quindi, in antitesi e questo tipo di fede non contrasta lo sviluppo della scienza. Scienza e fede cristiana hanno in comune gli stessi valori per affrontare i grandi problemi di oggi e delle generazioni future, quali la libertà, la democrazia, la pace, lo sviluppo demografico, l’ambiente, il bisogno di acqua e di cibo».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Giuseppe Mussari, presidente Abi: «i valori cristiani ci hanno salvato dalla crisi»

Il libro Paradiso ed economia (Piemme 2004), scritto da Rino Camilleri e dal presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, è stato presentato a Roma il 1 marzo 2011. Tra gli intervenuti, il presidente dell’Associazione bancaria italiana (Abi) Giuseppe Mussari, il direttore dell’Osservatore Romano Gian Maria Vian e lo stesso Gotti Tedeschi.Vian ha ricordato il valore dell’economia nella tradizione cristiana: «Ad esempio i francescani, da sempre simbolo di povertà, hanno dato un grande contributo su questo piano con la fondazione del Monti di pietà». Non è il solo caso visto che la Dottrina cattolica, da Clemente Alessandrino in poi, riconosce nella ricchezza uno strumento per la realizzazione dell’uomo, che «di per sé non è né buono né cattivo», chiarisce Gotti Tedeschi, «perché come per ogni strumento, dipende dall’uso che se ne fa».

Mussari ha continuato sottolineando che «senza la produzione di ricchezza il mondo sarebbe infatti meno equo e meno giusto nei confronti degli ultimi. Nella logica del mercato invece c’è anche la risposta per gli ultimi. Altri modelli economici, invece, pur partendo da buone intenzioni hanno portato le distruzioni alle quali abbiamo assistito nel ventesimo secolo». Il Presidenti dei Abi ha sottolineato che «le banche italiane, rispetto a quelle che sono in giro per il mondo, si sono salvate dalla crisi del 2002 grazie alla fedeltà ai valori che sono all’origine della loro storia. Tradizione cristiana e banche sono legate».

L’origine del sistema creditizio del nostro Paese vanta una cultura cristiana piuttosto profonda. «Talmente profonda che è stato proprio grazie ad essa che gli istituti italiani sono riusciti a scongiurare le speculazioni che altrove hanno invece indebolito le strutture finanziarie». Gotti Tedeschi ha poi dettagliato: «La legge della domanda e dell’offerta, la liceità del denaro e anche del prestito a interesse sono state elaborate dai monaci di Salamanca. In particolare, le banche nostrane sono nate con l’intento di sintetizzare in maniera efficace finanza e contrasto all’usura, visto che inizialmente erano proprio gli enti ecclesiastici a promuovere la loro istituzione. Ecco allora che denaro e cristianesimo non sono l’uno l’antitesi dell’altro, a patto che l’uso della ricchezza sia giusto e che il denaro non condizioni l’individuo», ha concluso l’economista del Vaticano.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

USA, la Corte Suprema respinge ricorso contro il motto «In God we trust»

La Suprema Corte degli Stati Uniti ha deciso di non ascoltare il ricorso in appello di Micheal Newdow, un invasateo famoso negli USA per aver perso finora tutti gli attacchi alla chiesa e ai simboli cristiani. Questa volta se l’è presa con il motto In God We Trust (“noi confidiamo in Dio“) presente su tutte le banconote e monete americane. Lo riporta il sito del Washington Post.

Il ricorso alla Corte Suprema era stato intentato contro il precedente pronunciamento della Corte di San Francisco, la quale aveva stabilito che “la frase è cerimoniale e patriottica e nulla ha a che fare con le istituzioni religiose”. Newdow non è comuque il primo ad intentare una causa contro il famoso motto, ufficiale dal 1956, sebbene i sondaggi dicano che il 90% della popolazione è favorevole a quell’iscrizione sulle monete. Tutti i precedenti ricorsi sono però stati bocciati con motivazioni analoghe a quelle del caso di Newdow.

L’ateo Micheal Newdow, oltre ad essere lo zimbello del gruppo, è anche attivo ministro della Universal Life Church, un’associazione religiosa americana.

Aggiornamento 23/3/11
Micheal Newdow ha dichiarato che la sua battaglia contro il Pledge of Allegiance, il motto americano in cui è contenuta la frase “sotto Dio”, dopo la durata di dieci anni (in cui ha ovviamente sempre perso) è ufficialmente “terminata” (cfr. The Christian Post)

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Virginia: regole più severe e maggiori costi per le cliniche abortive

La Virginia sarà il primo stato americano ad imporre alle cliniche abortive le stesse norme e regole previste per gli ospedali. L’Assemblea Generale della Virginia ha infatti approvato una legge il 24/2/11 con la quale richiede una regolamentazione più severa per queste cliniche e la costante sorveglianza da parte del governo. Questi enti diventeranno così molto più costosi da gestire e -si legge sul sito della CBNnews– ciò potrebbe costringere molte cliniche alla chiusura. I gruppi pro-vita hanno definito questa decisione una «grande vittoria».

Victoria Cobb, presidente della Family’s Fondation, ha continuato: «stiamo parlando di controlli, stiamo parlando di licenze, stiamo parlando di idonea attrezzatura di rianimazione. Infatti, come abbiamo visto da recenti notizie, ci sono cliniche che operano in condizioni terribili». La Cobb si riferisce probabilmente anche a queste notizie: Ultimissima 10/2/10 e Ultimissima 4/2/10.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Eutanasia: dai “casi limite” si passa inevitabilmente a chi è “stanco di vivere”

I fautori dell’eutanasia e dell’autodeterminazione, da Saviano a Englaro, ci assicurano che il “diritto di morire” riguarda solo i “casi limite”. Legalizzandola non sconfinarebbe mai in abusi. Eppure, fa notare Giuliano Guzzo dal sito Libertà e Persona, la realtà dice ben altro.

Nella civilissima Olanda, il Rapporto Remmelink, primo rapporto ufficiale commissionato dal Governo sulla “dolce morte”, ha rivelato che almeno un terzo dei 5.000 pazienti ai quali è stata somministrata la “dolce morte”, non aveva dato alcun esplicito consenso e ben 400 ammalati non avevano neppure accennato alla questione con il loro medico personale. E l’autodeterminazione dov’è finita?

Sempre in Olanda, la legalizzazione della “dolce morte” ha scatenato una vera e propria cultura della morte. Ad esempio nel St Pieters en Bloklands, un centro anziani di Amerfott, si è deliberatamente deciso di non rianimare i pazienti al di sopra di 70 anni. Un movimento, chiamato “Per volontà propria“, si batte per ottenere il “suicidio assistito” per quanti, superati i 70 anni, si sentissero “stanchi di vivere”.

Nella vicina Svizzera, dove il suicidio assistito è legale e dove, giusto poche settimane fa, Andrè Rieder, uomo di 56 anni afflitto da sindrome depressiva, è stato ucciso e pure ripreso, mentre spirava, per un documentario in programma alla televisione svizzera tedesca. Morte in diretta per i depressi, insomma. Sono anni che comunque si recano in Svizzera persone che, pur non essendo affatto incurabili, vengono aiutate a morire. Un paio di anni fa il quotidiano The Guardian ottenne un elenco di 114 persone inglesi recatesi in terra elvetica per morire: tra queste, alcune erano malate all’addome, altre al fegato, altre ancora di artrite. Di malati terminali, insomma, neppure l’ombra. E il “caso limite”, dov’è finito?

La tendenza è talmente grave e crescente che Lucien Israël, medico e luminare francese non credente, osservando gli scenari contemporanei, pochi anni fa, nel corso di un’intervista, ebbe ad avvertire: «Se questa tendenza continua […] gli anziani dovranno difendersi dai giovani. Ma non solo: dovranno anche difendersi da medici e infermieri. Forse si comporteranno come gli anziani olandesi che, oggi, vengono a cercare protezione in Francia e in Italia. Può darsi che un giorno i nostri anziani saranno costretti a cercare rifugio nel Benin» (Contro l’eutanasia, Lindau, Torino 2007, p.86).

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

L’astronomo Owen Gingerich parla di “scienza e fede” in una chiesa americana

Uno dei più importanti astronomi inglesi, Owen Gingerich, ha tenuto un discorso in una chiesa cristiana di Charlotte, nel Nord Carolina. Una lezione che probabilmente ha infastidito sia i fondamentalisti atei che quelli religiosi. Gingerich è docente di Astronomia e di Storia della Science ad Harvard e senior astronomer emeritus presso il Smithsonian Astrophysical Observatory. In passato ha ricoperto anche il ruolo di presidente dell’American Philosophical Society.

Innanzitutto -si legge su Charlotteobserver– ha spiegato che la Bibbia non è il posto dove andare a capire il funzionamento dell’universo e gli atei che insistono a sostenere di avere tutte le risposte si basano sulla fede come coloro verso cui rivolgono le loro critiche. Si è soffermato a lungo sul noto “caso Galileo“, per poi giungere a questo invito: «Non blocchiamoci su una lettura letterale della Bibbia, almeno quando si tratta di cose scientifiche. Come ha detto lo stesso Galileo -citato anche da Papa Giovanni Paolo- “la Bibbia insegna come andare in cielo, non come va il cielo”». In risposta alle domande del pubblico, lo scienziato ha criticato il mondo ateo, che insiste sul fatto che -per esempio- l’evoluzione sia una conferma della loro posizione. «Questa è una posizione di fede da parte loro», ha dichiarato, aggiungendo poi che il biologo inglese Richard Dawkins -il più famoso scientista ateo contemporaneo- e altri atei che hanno respinto la religione sono «atei evangelici».

Gingerich è poi passato al suo rapporto con Dio, ritenendo la sua fede religiosa e le sue opinioni scientifiche, (tra cui ovviamente l’evoluzione biologica) – pienamente «compatibili e complementari». Nonostante abbia più volte criticato il movimento dell’Intelligent Design, ritenendola una forma di creazionismo, Gingerich ha sostenuto di credere «nel disegno intelligente, con una minuscola “i” e una minuscola “d”. Perché credo in un Creatore intelligente». Lo scienziato ha comunque avuto modo di affrontare tutti questi argomenti nel suo prestigioso volume: “Cercando Dio nell’universo. Un grande astronomo tra scienza e fede” (Lindau 2007)

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

«Sono Luca, ero gay, ne sono veramente uscito e sono veramente discriminato»

Mica tutti i “coming out” sono graditi. Sulla pubblica confessione del 39enne Luca di Tolve (a cui pare si sia ispirata la canzone di Povia, durante Sanremo 2009 e vincitrice del “Premio Mogol”) di essere tornato eterosessuale, si è scatenato un finimondo, a confermare la violenza culturale che la lobby omosessuale ha creato. Coronato Mister Gay nel 1990, manager di successo, andava alle feste di Versace, era ospite a bordo dello yacht di Puff Daddy, organizzava crociere animate da drag queen e transessuali, versione omosex della Nave dell’amore. Guadagnava bene, viveva nel centro di Milano, girava con l’autista ed era anche un noto dirigente dell’Arcigay. Il Giornale aggiunge che fino ai 27 anni Luca viveva di «festini», di rapporti occasionali, consumati anche all’aperto, o come si dice in gergo di «cruising». Party notturni, alcol, sesso facile e promiscuo. Poi è arrivata la malattia, la sieropositività al virus Hiv, che ha fatto strage di omosessuali (Il Centers Disease Control ha mostrato che le diagnosi di HIV tra gli omosessuali attivi negli Stati Uniti sono 44 volte superiori a quelle degli altri uomini, Ultimissima 18/10/10).

SCOPRE LA TERAPIA DELLO PSICOLOGO NICOLOSI. Questo fatto drammatico lo porta a riflettere: «Si, credevo di essere io lo sfortunato che non trovava l’anima gemella. Poi mi sono reso conto che attorno a me tutto era impostato in modo frivolo, superficiale, che ero circondato da infelici, molti dei quali ossessionati dalla pornografia e dal sesso. E poi la morte: l’ho vista consumarsi negli amici attorno a me e alla fine ho dovuto farci i conti anch’io dopo aver scoperto di essere sieropositivo. Altro che gaiezza tra gli omosessuali – dice ricordando gli anni della trasgressione -. Dopo quelle nottate estreme, tra cocaina e popper, torni a casa con un carico emozionale enorme ma con un senso di solitudine infinito. E oggi pago con la mia salute il peso enorme di quei comportamenti». Dopo un ennesimo festino, «un amico stava preparando un esame di psicologia e ha dimenticato un mucchio di appunti sulla scrivania della mia stanza. Ho cominciato a leggere e ho scoperto della terapia riparativa dello psicologo Joseph Nicolosi. Gli appunti lasciati quella sera da un amico parlavano delle teorie di Nicolosi, del fatto che le pulsioni nei confronti dell’altro sesso spariscono se smetti di idolatrare gli uomini perché tu non riesci ad essere come loro, che l’omosessualità può nascere da un senso di rivalsa di un bimbo che vorrebbe avere più attenzioni da un padre assente».

CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO. Così Luca si presenta alla libreria Babele di Milano, specializzata nelle tematiche gay: «Sono entrato in libreria ma il libro di Nicolosi non l’ho trovato. E lì ho capito che c’era una realtà che il mio mondo omosessuale cercava di tenere nascosta». Si incuriosisce e si indispone anche di fronte a queste teorie («insisto, ero un gay convinto, non è stato facile mettermi in discussione»), fino a che non decide di provare la terapia riparativa. Da quel momento l’inzio di una vita nuova e lentamente la ricostruzione di un’identità maschile ferita, negata, ma non scomparsa del tutto. Arriva anche la conversione al cattolicesimo a Medjugorje. Nel misterioso paesino jugoslavo, Luca incontra Teresa, che dal 2008 è sua moglie, «il dono più bello che la Madonna abbia voluto concedermi».

PERSEGUITATO DALL’ARCIGAY. Ma l’Aricgay non ci sta e ha avviato da due anni una campagna diffamatoria contro di lui. Tant’è vero che lo stesso Luca si è chiesto: «Perché se uno da etero passa a gay viene salutato come un eroe e se un omosessuale compie il percorso inverso viene tacciato di falsità e ipocrisia?» Anzi, «da quando ho dichiarato di aver chiuso con l’omosessualità mi sono trovato tutti contro. L’Arcigay e le altre associazioni di categoria mi guardano come a un rinnegato; gli opinion leaders che ne sostengono la causa mi ritengono un pericoloso grimaldello nelle mani degli atavici sostenitori della vecchia cultura retrograda e omofoba. Ho ricevuto minacce di morte, mi hanno denigrato pubblicamente giornalisti che non ho mai incontrato…». Minacce di morte, come quelle arrivate alla giornalista del Dailymail, Melanie Phillips, rea di aver avanzato una riflessione sull’iniziativa della lobby di aver inserito la cultura omosessuale in ogni materia scolastica affrontata nelle scuole inglesi (cfr. Ultimissima 4/3/11). Si difende dalle accuse: «Sono una persona in grado di intendere e di volere come lo ero quando ero un gay. La vera violenza è dire che è impossibile uscire dall’omosessualità. Basta con questa accusa di omofobia. Chi discrimina è chi pensa che gay si nasce. Non esiste certo un gene. La mia scelta ha richiesto coraggio, anche perché non ho dovuto lottare solamente contro le mie abitudini, praticare l’astinenza per un periodo, ma ho dovuto rinunciare anche ai privilegi di una società in cui essere gay è trendy, ti serve a trovare un lavoro più facilmente e a fare soldi più in fretta».

CHIEDE LA LIBERTA’ DI SCELTA. In questo clima oscurantista, a Luca non rimane che invocare la libertà di scelta, in un appello alla reciprocità che però non potrà mai essere preso in considerazione. Cadrebbe altrimenti «il dogma degli “omosessualisti” militanti», che suona «omosessuali si nasce e si rimane» e, per controbattere la definizione di “malati” riferita a chi prova tendenze omosessuali, postula una condizione nativa e genetica, quasi a creare un terzo sesso. Tutte distinzioni artificiose che -leggiamo in un articolo su Libero– ormai godono di una certa ufficialità anche nei consessi internazionali, dopo essere state accolte da qualche anno nel vocabolario politicamente ipercorretto delle Nazioni Unite. Al Palazzo di vetro di New York non si può più nemmeno parlare di due soli sessi, il maschile e il femminile, se non vi si aggiungono cinque generi, racchiusi nella sigla LGBTQ, che sta per lesbica, gay, bisessuale, transgender e queer. L’ultimo, il meno noto, coincide con l’identità di genere di chi cambia orientamento a seconda del desiderio del momento. Siccome si tende a riconoscere diritti a chiunque, si finisce per scambiare per una discriminazione la libertà di tornare all’eterosessualità abbandonando una delle altre categorie. Per questo Di Tolve lamenta che «il ministro della Salute e il ministro delle Pari Opportunità non sprecano una parola in questa direzione». Anzi, spendono il denaro pubblico per campagne di sensibilizzazione dalle quali sono esclusi i veri emarginati, gli omosessuali non gay, cioè coloro che non inalberano il vessillo arcobaleno per le loro rivendicazioni politiche.

NUOVO LIBRO IN USCITA. Luca ha fondato la onlus Lot, «per spronare i ragazzi dubbiosi a essere maschi fino in fondo». E spiega: «Odio gli omofobici, ma non sopporto nemmeno il messianesimo dell’Arcigay. Per loro l’omosessualità è quasi una conquista. Invece è una tendenza che si sviluppa a causa di traumi subiti durante l’età della crescita. Chi nasce maschio deve fare cose da maschio. Deve seguire la sua natura. I veri maschi entrano in una comunione profonda tra di loro, senza per questo avere rapporti sessuali. È l’amicizia virile che unisce. Io invece avevo solo legami superficiali, la passione erotica mi abbagliava, pensavo fosse quello il cameratismo che cercavo. Credevo che quella fosse la mia condizione, irreversibile. Ero un egocentrico, palestrato, schiavo dei locali notturni, ossessionato dai soldi, convinto di provare attrazione unicamente per i maschi e finito nel vortice del sesso compulsivo» (cfr. Adnkronos). E’ esplosa anche l’idea di scrivere un’autobiografia e la convinzione che come lui molti potrebbero «riscoprire la loro parte maschile, ma soprattutto smetterla di soffrire». In questi giorni è infatti uscito: “Ero gay. A Medjugorje ho ritrovato me stesso” (Piemme 2011).

In questi video (girati in uno studio abbastanza improponibile e in un contesto eccessivamente mellifluo e denso di sacerdoti, come putroppo la maggioranza delle trasmissioni televisive cattoliche) Luca racconta la sua testimonianza. Ospite anche la psicologa Elena Spada, terapista della riabilitazione cognitiva ed esperta di disturbi specifici dell’apprendimento.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Il sociologo americano Stark: «il cristianesimo motore della civiltà»

«I grandi monoteismi sono stati i motori del progresso, nel loro nome sono state fatte conquiste, scoperte e invenzioni». Questo è quanto sostiene Rodney Stark, statunitense, fra i principali sociologi della religione viventi e docente di Scienze sociali presso la Baylon University in Texas. Affronta il tema nel suo libro: “Un unico vero Dio. Le conseguenze storiche del monoteismo” (Lindau 2009). Secondo l’autore, «nessun’altra innovazione come il monoteismo ha avuto un impatto così vasto sulla storia e il progresso scientifico e tecnologico è infatti semmai conseguenza di questo processo di adesione popolare al monoteismo, come dimostra la stessa storia dell’Europa continentale. Il motivo è che, da sempre, le idee degli uomini riguardo al divino plasmano una civiltà e ne determinano i contorni, hanno insomma ‘effetti sociali’». Per mostrare la correttezza della sua tesi il docente americano analizza la storia religiosa dell’umanità, dagli egizi fino ad oggi. Una particolare attenzione è dedicata però al monoteismo ebraico e cristiano e all’efficacia delle loro missioni. In merito ai missionari cristiani, Stark nota che insieme all’accettazione della fede in un Dio onnipotente e cosciente, tali missionari portano con sé «servizi medici, scuole, salute pubblica di base e tecniche sanitarie» anche se «non sono questi i motivi per cui partono». I missionari cristiani partono per terre e luoghi diversi lasciando parenti, amici, perchè «la loro concezione di Dio giustifica e motiva il loro impegno missionario». La recensione del libro è apparsa su Zenit.it

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Pennsylvania, chiuse cliniche abortiste per squallide condizioni igeniche

In seguito allea accuse di omicidio nei confronti di un abortista della Pennsylvania, Kermit Gosnell (cfr. Ultimissima 10/2/11), diverse clinche abortive hanno subito molte ispezioni. Sono così venute alla luce numerose condizioni igeniche squallide che hanno indotto le autorità sanitarie statali a sospendere le attività abortive.

Il sito di Ewtnnews rivela anche che l’abortista M. Soli, 73 anni, ha annunciato -in seguito a queste ispezioni- che chiuderà la sua clinica per ritirarsi in pensione. In particolare, nelle cliniche abortiste di Bensalem e Germantown i funzionari hanno trovato decine di farmaci scaduti, attrezzature inadeguate o non funzionanti e male conservate, e maltrattamenti del tessuto fetale. Questo è un ottimo indice del valore che viene dato dai promotori dell’aborto alla salute della donna e del feto materno. Nella clinica Bensalem i resti dei bambini non nati venivano lasciati fuori dall’edificio, in contenitori non garantiti per la raccolta e potenzialmente esposti al pubblico. Gli strumenti non erano sterilizzati adeguatamente, le maschere del serbatoio di ossigeno erano coperte di polvere.

Il governatore della Pennsylvania, Tom Corbett, ha quindi annunciato che vi sarà una maggiore vigilanza su queste clinche della morte Intanto in questi giorni si è saputo che l’abortista Gosnell, accusato di omicidio di primo grado per la morte di una donna e di sette bambini nati vivi e massacrati a forbiciate, sta rischiando la pena di morte (cfr. La Bussola Quotidiana).

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace