Politici bipartisan si esprimono sul crocifisso nelle scuole e nei luoghi pubblici

Ecco cosa ne pensano i politici di ogni ruolo, schieramento e posizione esistenzialie circa l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici e nelle aule scolastiche. La pagina è in aggiornamento costante (le dichiarazioni antecedenti il 2011 si riferiscono ovviamente alla prima sentenza, cioè quella del 3/11/09, con la quale si condannava l’esposizione del crocifisso). Si può notare che tutti -indipendentemente dal partito politico a cui aderiscono e dalla fede religiosa- abbracciano una sana idea di laicità, cioè quella definita “positiva” o “cooperativa”.


JACQUES BARROT. Il Commissario europeo alla Giustizia ha fatto sapere rispetto alla presenza di simboli religiosi in edifici pubblici, che «vige il principio di sussidiarietà, e dunque ricade interamente nelle competenze degli Stati membri. La Corte Europea per i diritti dell’uomo non è un’istituzione europea. Inoltre non vi è alcuna normativa Ue che regoli la materia e anche le norme comunitarie contro la discriminazione escludono il riferimento ai simboli religiosi attribuendone la competenza agli Stati membri» (cfr. Informati Subito.it).

JOSE’ MANUEL BARROSO. Il Presidente della Commissione Europea, attraverso il portavoce Pia Ahrenkilde, ha spiegato che «resta valido sottolineare l’importanza delle radici cristiane dell’Europa» (cfr. InformaSubito.it).

ANGELA MERKEL. La Cancelliera tedesca ha dichiarato: «Il crocefisso nelle scuole costituisce in Germania una tradizione cristiana vecchia di secoli e la croce è l’espressione della nostra tradizione e del nostro sistema di valori» (cfr. Il Giornale 26/4/10).

GIORGIO NAPOLITANO. Il Presidente della Repubblica ha dichiarato: «La laicita dell’Europa non può essere concepita in termini tali da ferire sentimenti popolari e profondi, bensì come disponibilità ad accogliere e amalgamare le tradizioni più diverse, senza escluderne alcuna, in una logica non già di indifferenza ed esclusione, ma di inclusione e arricchimento reciproco. Nella laicità dello Stato bisogna riconoscere la rilevanza pubblica e sociale del fatto religioso. Su questioni quale l’esposizione del crocifisso negli uffici e nelle scuole pubbliche sarebbe meglio che decidessero i singoli Stati e non le corti europee» (cfr. Ansa 23/6/10).

SILVIO BERLUSCONI. Il Presidente del Consiglio ha detto: «Qualunque sia l’esito del ricorso presentato dal governo italiano non ci sarà capacità coercitiva che ci impedisca di tenere i crocefissi nelle aule. La Corte dei diritti dell’uomo non è rispettosa della realtà: l’Europa tutta e in particolare l’Italia non può non dirsi cristiana. Se c’è una cosa su cui anche un ateo può convenire è che questa è la nostra storia. Ci sono 8 paesi d’Europa che hanno la croce nella loro bandiera. Cosa dovrebbero fare, cambiare la loro bandiera?» (cfr. Il Corriere della Sera 6/11/09).

GIANNI LETTA. Il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha dichiarato: «Il governo sta facendo il possibile per contrastare gli effetti della sentenza della Corte Europea sul crocifisso. E ha deciso di chiedere il rinvio della sentenza alla Grande Camera della Corte stessa» (cfr. Libero 21/1/10)

GIANFRANCO FINI. Il Presidente della Camera ha detto: «Mi auguro din d’ora che la sentenza non venga salutata come giusta affermazione della laicità delle istituzioni che è valore ben diverso dalla negazione, propria del laicismo più deteriore, del ruolo del cristianesimo nella società e nell’identità italiana». (cfr. Il Corriere della Sera 3/11/09).

RENATO SCHIFANI. Il Presidente del Senato ha dichiarato: «Sarebbe un errore drammatico fare dell’Europa uno spazio vuoto di simboli, di tradizioni, di cultura. Il valore simbolico del Crocifisso non comprime alcuna libertà ed è espressione di una apertura alla storia, alla cultura, ad una identità arricchita dal rispetto reciproco» (cfr. La Stampa 3/11/09 e Lapoliticaitaliana 18/3/11).

PIERLUIGI BERSANI. Il leader del Partito Democratico ha affermato: «Su questioni delicate qualche volta il buon senso finisce di essere vittima del diritto. Antiche tradizioni come quella del crocifisso non possono essere offensive per nessuno» (cfr. Il Corriere della Sera 3/11/09 e Romagna Oggi 4/11/09).

ANTONIO DI PIETRO. Il leader dell’Italia dei Valori ha dichiarato: «Qualora tecnicamente e giuridicamente ci sia la possibilità di sospendere l’esecutività della sentenza della Corte di Giustizia ben venga tale soluzione. Ciò in attesa di una rivisitazione della decisione, che non ha nè capo nè coda giacchè la figura di Cristo in croce e’ un segno di pace, amore, e rispetto della vita umana, valido per chi pratica qualsiasi religione o è semplicemente ateo» (cfr. Quotidiano.net 6/12/09).

PIER FERDINANDO CASINI. Il leader dell’Udc ha affermato: «La sentenza della Corte Europea  contro i crocefissi è la conseguenza della pavidità dei governanti europei, che si sono rifiutati di menzionare le radici cristiane nella Costituzione europea. Il crocefisso è il segno dell’identità cristiana dell’Italia e dell’Europa» (cfr. Il Corriere della Sera 3/11/09).

ROSY BINDI. La Presidente del Partito Democratico e Vicepresidente della Camera dei deputati ha dichiarato: «Rispetto la decisione della Corte contro i crocefissi, non la condivido. Come ho scritto in un mio libro, citando un commento di Natalia Ginzburg apparso sull’Unità, il crocifisso ci ricorda la prima persona che ha parlato di fratellanza, di capacità di dare la vita per i proprio amici. Non immagino come un simbolo così positivo e radicato nella cultura del nostro Paese possa dare fastidio a qualcuno. La libertà religiosa è uno dei fondamenti della cittadinanza. Il nostro problema non è togliere il crocifisso dalle scuole; non sarebbe rispettoso della nostra storia e della nostra cultura. Bisogna piuttosto dare spazio anche alle altre sensibilità religiose e non temere mai chi prega» (cfr. Leiweb 12/11/09 e Bersanisegretario 3/11/09).

UMBERTO BOSSI. Il leader della Lega Nord ha dichiarato: “La sentenza della Corte Europea contro i crocefissi è una stronzata. L’Europa va forse bene per l’economia, ma non per molte altre cose” (cfr. La Repubblica 4/11/09).

ANNA FINOCCHIARO. Il Capogruppo del Partito Democratico al Senato della Repubblica ha dichiarato: «Vedere un crocifisso in una scuola non mi ha mai dato fastidio. La crocifissione rappresenta non solo Cristo, ma chiunque ha sofferto e soffre ogni giorno per i suoi ideali: è per questo un monito universale al rispetto dell’ identità di ciascuno» (cfr. Il Corriere della Sera 20/9/02)

ANTONIO DE POLI. Il portavoce nazionale dell’UDC ha dichiarato: «Nessun crocifisso nelle aule scolastiche ha mai violato la nostra libertà religiosa, e nemmeno la crescita e la libera professione delle fedi religiose. E’ un patrimonio civile di tutti gli italiani, perchè è il segno dell’identità cristiana dell’Italia e anche dell’Europa. Il rischio era che si affermasse un’Europa laicista che non lascia spazio nè a Dio nè alla religione. Noi siamo infatti per una Europa sì laica, ma che riconosca le proprie origini cristiane. La sentenza ha evitato di alimentare l’integralismo antieuropeo che c’è anche nel nostro Paese e riafferma il diritto che abbiamo di esporre uno dei simboli fondanti della nostra religione, e quindi della nostra cultura» (cfr. Lapoliticaitaliana 18/3/11)

LEOLUCA ORLANDO.  Il portavoce dell’Italia dei Valori ha dichiarato: «Il crocifisso, oltre ad essere molto importante per tutti i cattolici, è anche un fondamentale simbolo per i non credenti e rappresenta le radici storiche e culturali del nostro Paese. E’ la sintesi della tolleranza, del rispetto e dell’amore universale. Bene ha fatto la Grande Camera della Corte europea a dare ragione all’Italia. Chiunque combatte contro il Crocifisso combatte contro se stesso, la propria storia e diffonde odio e intolleranza» (cfr. Asca 18/3/11).

PAOLO FERRERO. Il leader di Rifondazione Comunista ha dichiarato: «Esprimo un plauso per la sentenza: uno Stato laico deve rispettare le diverse religioni, ma non identificarsi con nessuna». (cfr. Il Corriere della Sera 3/11/09).

ROCCO BUTTIGLIONE. Il Presidente dell’Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro, ha dichiarato: «Quella della Corte Europea è una sentenza aberrante e da respingere con fermezza. L’Italia ha una sua cultura, una sua tradizione e una sua storia. Chi viene fra noi deve comprendere ed accettare questa cultura e questa storia. La stessa cosa vale per le altre nazioni d’Europa. Dietro questo pronunciamento della Corte di Strasburgo c’è una visione contrattualistica della società che non ha storia, cultura e tradizioni; è semplicemente il risultato del convivere sul territorio di individui profondamente estranei l’uno all’altro. Non solo si viola il diritto della maggioranza ad esprimere la propria identità culturale, ma non si creano nemmeno le condizioni per una vera integrazione. Non si integra nel nulla ed in uno spazio vuoto di valori» (cfr. Avvenire 3/11/09)

FRANCO FRATTINI. Il Ministro degli Esteri (PDL) ha dichiarato: «La Corte europea di Strasburgo ha dato un colpo mortale all’Europa dei valori e dei diritti. L’identità cristiana è la radice dell’Europa: così si dà un colpo mortale alla possibilità che l’Europa cresca e non sia solo un’Europa dei mercati» (cfr. TGcom 3/11/09).

VANNINO CHITI. Il vicepresidente del Senato della Repubblica (PD), ha dichiarato: «Il crocifisso rappresenta un simbolo religioso che è presente nella radice storica e culturale dell’Italia e di molti altri Paesi. Non contrasta in nessun modo con la libertà di religione o di educazione. Il crocifisso non può rappresentare per nessuno ragione di oppressione, costrizione o intolleranza. Per i cristiani è un simbolo di fede. Per tutti è motivo di solidarietà e amore. Ora, grazie alla Corte europea è stata finalmente fatta giustizia su questa materia» (cfr. Lapoliticaitaliana 18/3/11).

CARLO AZEGLIO CIAMPI. Il Senatore a vita ha dichiarato: «A mio giudizio, il crocifisso nelle scuole è sempre stato considerato non solo come segno distintivo di un determinato credo religioso, ma soprattutto come simbolo di valori che stanno alla base della nostra identità. Non a caso il filosofo laico Benedetto Croce intitolò un suo saggio Perché non possiamo non dirci cristiani» (cfr. L’opinionista 23/11/09)

ANGIOLINO ALFANO. Il Ministro della Giustizia (PDL) ha dichiarato: «La Corte di Strasburgo restituisce dignità alle nostre solide e irrinunciabili radici cristiane, nella consapevolezza che il simbolo della cristianità è universalmente riconosciuto come simbolo di solidarietà e di rispetto dei valori assoluti. E questo non lede il principio della libertà religiosa, ma lo esalta poiché chi celebra la propria identità, rispetta la storia degli altri. Pertanto, accolgo con grande soddisfazione questa decisione che non é solo una vittoria dell’Italia, ma di tutti quei Paesi che si riconoscono nell’appartenenza cristiana, senza che questa sia mai stata considerata una minaccia alla laicità dello Stato. Con la sentenza odierna, quindi, viene consacrato il principio di reciprocità alla base dei rapporti fra le diverse culture e viene scritta la parola fine a un’accusa ingiustificata che non rendeva giustizia ai principi di solidarietà e accoglienza fra i popoli di cui il simbolo del crocefisso é custode» (cfr. Lapoliticaitaliana 18/3/11)

WALTER VELTRONI. L’ex segretario del PD, ha dichiarato: «Togliere i crocifissi dalle aule scolastiche? Il mio giudizio è che si tratta di una forzatura del tutto sbagliata» (cfr. IlTirreno 27/10/03)

ROBERTO MARONI. Il Ministro degli Interni (Lega) ha dichiarato: «La sentenza della Corte Europea è un atto di stupidità, un errore e un atto di insensibilità e incapacità di comprensione dell’argomento su cui hanno deciso» (cfr. TGcom 3/11/09).

FRANCESCO RUTELLI. Il Presidente di Alleanza per l’Italia ha dichiarato: «Il crocifisso non offende nessuno, se non gli intolleranti» (cfr. Avvenire 3/11/09)

MAURIZIO SACCONI. Il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali (PDL) ha affermato: «Togliere il crocifisso dalle aule scolastiche significa azzerare la nostra identità. La coabitazione europea non può significare eliminare le radici dalle quali proveniamo. La croce non è un simbolo solo per i credenti, si iscrive nelle nostre radici, è un simbolo di sacrificio per la promozione umana riconosciuto anche dai non credenti. La parete bianca significa cercare di azzerare la nostra identità, azzerare le nostre radici. E la nostra identità è ancor più importante nel momento in cui giustamente ci apriamo ogni giorno di più al confronto e al dialogo anche con culture diverse» (cfr. Avvenire 3/11/09).

LIVIA TURCO. La responsabile immigrazione del PD ed ex ministro, ha dichiarato: «Togliere il crocifisso dalle aule scolastiche costituisce una forzatura che non aiuterà certo a fare amare l’Islam dagli italiani. Non so quanto questa sentenza sia fondata sul piano costituzionale, non entro nel merito. Quello che mi pare certo è che rispetto alla cultura e alla storia del nostro Paese ciò è una forzatura che non serve a far crescere un processo di convivenza. Anche da un punto di vista laico non si può dimenticare la peculiare storia del nostro Paese e l’influenza che ha nella cultura e nel sentimento diffuso la religione cattolica. Credo che il problema del dialogo e del rispetto delle religioni non sia nella battaglia sul mettere o togliere il crocifisso nelle aule» (cfr. Ilnuovo 26/10/03)

MARA CARFAGNA. Il Ministro delle pari opportunità (PDL) ha detto: «Il crocefisso non è soltanto un simbolo religioso, ma testimonia una tradizione millenaria, dei valori condivisi dall’intera società italiana» (cfr. GuidaSicilia.it 4/11/09).

MARCO FOLLINI. Il senatore del Partito Democratico ha dichiarato: «Chi immagina di promuovere la laicità rimuovendo i crocifissi dalle scuole sbaglia due volte. Infatti, colpisce i sentimenti delle persone senza aggiungere nulla alla piena autonomia delle istituzioni» (cfr. Adnkroinos 27/10/03).

ROBERTO CALDEROLI. Il Ministro della semplificazione normativa (Lega) ha dichiarato: «la Corte europea ha calpestato i nostri diritti, la nostra cultura, la nostra storia, le nostre tradizioni e i nostri valori. In ogni caso i crocifissi da noi resteranno sulle pareti delle nostre scuole» (cfr. GuidaSicilia.it 4/11/09).

MASSIMO DONADI. Il capogruppo dell’Italia dei valori alla Camera ha detto: «la sentenza di Strasburgo non è una buona risposta alla domanda di laicità dello Stato, che pure è legittima e condivisibile» (cfr. Il Corriere della Sera 3/11/09).

MARIASTELLA GELMINI. Il Ministro dell’Istruzione (PDL) ha dichiarato: «Il crocifisso non significa adesione al Cattolicesimo ma è un simbolo della nostra tradizione. La storia d’Italia passa anche attraverso simboli, cancellando i quali si cancella una parte di noi stessi. In esso si riconosce la gran parte del popolo italiano. Il Crocifisso sintetizza i valori del Cristianesimo, i principi sui cui poggia la cultura europea e la stessa civiltà occidentale: il rispetto della dignità della persona umana e della sua libertà. E’ un simbolo dunque che non divide ma unisce e la sua presenza, anche nelle aule scolastiche, non rappresenta una minaccia né alla laicità dello Stato, né alla libertà religiosa» (cfr. NotizieFresche 4/11/09 e Lapoliticaitaliana 18/3/11).

MERCEDES BRESSO. La presidente del Comitato delle Regioni dell’Unione Europea ed ex governatrice della regione Piemonte (PD), ha dichiarato: «A me, che sono laica, la presenza del crocifisso in classe non ha mai creato particolari problemi, non mi sono sentita violata nel diritto di scegliere. Credo piuttosto, si tratti di una tradizione culturale consolidata e non offensiva. Penso sia molto piu’ importante essere attenti ai diritti delle persone in concreto, nella quotidianità, nelle scelte più difficili e sensibili, che non accanirsi in discussioni infinite e laceranti sui simboli» (cfr. La Repubblica 3/11/09)

SANDRO BONDI. Il Ministro dei Beni culturali (PDL) ha dichiarato: «queste decisioni ci allontanano dall’idea di Europa di De Gasperi, Adenauer e Schuman. Di questo passo il fallimento politico è inevitabile». (cfr. Il Corriere della Sera 3/11/09).

GERO GRASSI. Il Vicepresidente della commissione Affari Sociali Camera dei Deputati (PD) ha dichiarato: «Esprimo soddisfazione per la sentenza della ‘Grande Camera’ della Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, che ha dato ragione al Governo italiano. Il Crocifisso non viene considerato dai giudici di Strasburgo un elemento di ‘indottrinamento’. I cattolici italiani, pur nel rispetto delle altre religioni, hanno il diritto di difendere i propri simboli e la propria fede religiosa o finiranno per vivere un vuoto assoluto, lasciandosi fagocitare da chi difende strenuamente il suo credo religioso. I cattolici non devono aver paura di difendere la propria identita’ culturale e religiosa. Nel rispetto reciproco di tutti e’ possibile una pacifica convivenza tra i popoli» (cfr. Asca 18/3/11)

ANDREA RONCHI. Il Ministro per le Politiche Europee (FLI) ha dichiarato: «Il crocefisso non si toccherà mai e poi mai da nessun luogo, laico o non, della nostra Italia. Il crocefisso è un patrimonio culturale della nostra Europa e queste sentenze ci fanno capire che l’Europa ancora non si è fatta. Come si può pensare di costruire un Europa con la ‘E’ maiuscola se non si parte da radici e identità valoriali comuni?» (cfr. TGcom 4/11/09).

FELICE BELISARIO. Il capogruppo dell’Italia dei Valori in Senato ha dichiarato: «La decisione della Corte di Stasburgo e’ equilibrata e ragionevole, perche’ tutela la liberta’ di religione e di pensiero ravvisando giustamente nel crocifisso il simbolo che rappresenta le radici culturali dell’Italia, senza per questo influenzare o imporre a nessuno convinzioni personali. Solidarieta’ e tolleranza reciproca, speranza di realizzare un’esistenza compiuta, giustizia sociale e uguaglianza fra gli uomini sono valori che non possono essere ne’ imposti ne’ cancellati, ma e’ giusto che vengano simbolicamente rappresentanti essendo fondanti dell’etica della comunita’ civile occidentale. La Corte europea dei diritti dell’uomo, riconoscendo il rispetto dell’obbligo di garantire una formazione scolastica non indottrinante, ha preso una decisione profondamente saggia, che bilanciando gli interessi dei diversi principi personali, ha escluso ogni estremismo fondamentalista e intollerante» (cfr. Asca 18/3/11)

CARLO GIOVANARDI. Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (PDL) ha detto: «E’ una sentenza totalmente inaccettabile, da non applicare nel nostro Paese. La presenza del crocifisso nelle aule scolastiche stabilirebbe una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni. Se questo è ciò che viene dall’Europa, è una sorta di tradimento delle ispirazioni dei grandi padri di questo progetto, come De Gasperi e Adenauer» (cfr. Gazzetta di Modena 3/11/09).

STEFANO GRAZIANO. Il deputato del PD ha dichiarato: «L’unione Europea riconquista credibilità dando una sconfitta alla cultura laicista e ideologica che rischia di minare le basi della nostra identità culturale. La sentenza sull’esposizione obbligatoria del crocifisso nelle aule delle scuole e’ una piccolo grande segnale di speranza nella battaglia per la vera laicita’ e per la doverosa difesa dei valori dei cattolici» (cfr. Asca 18/3/11).

FABRIZIO CICCHITTO. Il capogruppo alla Camera del PDL ha dichiarato: «la sentenza suscita anche da chi è laico fortissime perplessità. L’Europa non può andare dietro ai fanatici e, per soddisfarli, annullare uno dei punti di riferimento che nel loro complesso costituiscono la nostra identità» (cfr. GuidaSicilia.it 4/11/09).

CARLO COSTALLI. Il presidente del Movimento cristiano lavoratori (Mcl) ha dichiarato: «La Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo oggi ‘ha finalmente assolto l’Italia dall’accusa di violazione dei diritti umani. Si trattava di un’accusa veramente ridicola. Il crocifisso restera’ nelle aule scolastiche, come è giusto che sia, a sottolineare l’orgoglio per le nostre radici cristiane. Con buona pace di quanti vorrebbero rinnegare la nostra identità religiosa, storica e culturale» (cfr. Asca 18/3/11).

MARIO BORGHEZIO. Il deputato al Parlamento Europeo (Lega) ha dichiarato: «la sentenza della Corte è la fulminea e sinistra risposta dell’Europa al richiamo solennemente pronunciato il 31 ottobre, nel rievocare la caduta del muro di Berlino da Sua Santità Benedetto XVI, il quale auspicava che in questo processo della costruzione europea ciascun popolo non sacrifichi la propria identità culturale» (cfr. GuidaSicilia.it 4/11/09).

ENRICO FARINONE. Il vicepresidente della Commissione Affari Europei per il PD ha dichiarato: «Con la sentenza sul Crocifisso si mette fine a una battaglia caratterizzatasi per troppi eccessi. Una cosa e’ la laicita’, un’altra e’ pretendere che dalla nostra vita scompaiano i simboli religiosi, che ci richiamano alle nostre origini. Ora mi auguro che questa sentenza sia accettata senza ulteriori strascichi. Il crocifisso -continua Farinone- e’ un simbolo di riconciliazione, dispiace che qualcuno invece lo abbia visto come un simbolo di divisione» (cfr. Asca 18/3/11).

ROBERTO CASTELLI. Il viceministro presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Lega) ha detto che: «la Lega Nord possa e debba nel prossimo disegno di legge di riforma costituzionale chiedere l’inserimento della croce nella bandiera italiana» (cfr. Il Corriere della Sera 29/11/09).

ROBERTO FORMIGONI. Il governatore della Lombardia (PDL) ha dichiarato: «i ‘soloni o presunti tali della Corte di Strasburgo dovrebbero tornare sui banchi di scuola elementare per capire cosa è la storia dell’Europa in nome della quale pontificano» (cfr. La Repubblica 4/11/09).

LUCA ZAIA. L’ex Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (Lega) e ora Governatore del Veneto, ha dichiarato: «è vergognosa la sentenza della Corte, perché offende i sentimenti dei popoli europei nati dal cristianesimo. Senza identita non ci sono popoli, e senza cristianesimo non ci sarebbe l’Europa. Mi schiero con tutti coloro, credenti e non, religiosi e non, cristiani e non, che si sentono offesi da una sentenza astratta e fintamente democratica» (cfr. NotizieFresche 4/11/09).

RENATA POLVERINI. il presidente della Regione Lazio (PDL) ha dichiarato: «Siamo soddisfatti della sentenza emanata dalla Corte di Strasburgo sull’affissione del crocifisso nelle aule delle nostre scuole pubbliche. Si vince una battaglia di valori che riconosce il crocifisso quale simbolo della nostra identità e delle nostre radici cristiane. Un riconoscimento che rafforza anche l’impegno per affermare il principio della tolleranza e della libertà religiosa come presupposto per la pace e il dialogo tra i popoli» (cfr. Asca 18/3/11)

SERGIO CHIAMPARINO. Il sindaco di Torino (PD) ha dichiarato: «In Italia il crocifisso appartiene ad una storia che lo fa essere parte integrante dei fondamenti della nostra cultura e della nostra tradizione. Si tratta di una sentenza europea. L’Italia è l’Italia gli altri Paesi europei sono un’altra cosa» (cfr. Anci 3/11/09).

GIANNI ALEMANNO. Il sindaco di Roma (PDL) ha dichiarato: «Sono veramente esterrefatto di questa sentenza che considero folle. La considero una sentenza che offende la tradizione culturale e storica del nostro popolo e della nostra nazione. In questi giorni stiamo celebrando la caduta del Muro di Berlino. E la fine del comunismo. Pensiamo per un solo attimo questi avvenimenti non sarebbero stati possibili senza Papa Wojtyla. Pensiamo a che cosa ha rappresentato e che cosa rappresenta il cristianesimo non solo in Italia, ma anche in Europa» (cfr. Libero 3/11/09).

MATTEO RENZI. Il sindaco di Firenze (PD) ha dichiarato: «Eliminare i crocifissi perchè non tutti sono cattolici mi pare un ragionamento di basso profilo. Per quanto riguarda il riferimento alla Costituzione è quello lo spirito che ci fa affiggere negli uffici pubblici le foto del Capo dello Stato. Comunque il crocifisso rappresenta la storia condivisa e la tradizione di questo popolo. Se fossi un uomo di chiesa mi preoccuperei piuttosto di appurare quanto, del messaggio di Cristo, arriva alla nostra società» (cfr. Regione Toscana 3/6/08).

LETIZIA MORATTI. Il sindaco di Milano (PDL) ha dichiarato: «Mi sembra doveroso assicurare che il crocifisso venga esposto nelle aule scolastiche a testimonianza della profonda radice cristiana del nostro Paese e di tutta l’Europa. Ecco perché, nei prossimi mesi il ministero disciplinerà in maniera chiara e certa l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche» (cfr. La Repubblica 2/9/02).

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Austria, la Corte costituzionale: «i crocifissi restano nell’asilo»

Dopo la storica sentenza della Cassazione italiana -che ha radiato il giudice anticrocifisso Luigi Tosti, ribadendo la legittimità della presenza del crocifisso negli uffici pubblici (cfr. Ultimissima 14/3/11)- e prima dell’altrettanto storico verdetto di ieri della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo -che praticamente ha rafforzato per sempre la norma giuridica decisiva sulla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche (cfr. Ultimissima 18/3/11)- segnaliamo un’altrettanta storica sentenza della Corte Costituzionale austriaca.

Infatti è passato totalmente inosservato il verdetto emesso il 16/3/11 con il quale è stato respinto il ricorso presentato da un invasateo austriaco che chiedeva la rimozione dei crocifissi dalle aule degli asili infantili. Si chiedeva la cancellazione di una legge dello Stato che prevede che in ogni aula della scuola materna statale sia presente un crocifisso.

Per la Corte austriaca, si legge su Il Sussidiario, il caso di un crocifisso presente in un’aula dove la maggioranza dei bambini è aderente alla religione cristiana non significa un tentativo dello Stato di promuovere una singola religione a discapito di altre. La Corte austriaca ha poi emesso un comunicato ufficiale dove si dice che qualunque possa essere la decisione della Corte europea sul caso italiano, essa non avrà alcuna conseguenza su quanto deciso in Austria in quanto le argomentazioni costituzionali in merito sono differenti da quelle italiane. Ma dato che la Corte Europea ha emesso lo stesso parere della Corte austriaca, la norma giuridica diventa doppiamente rinforzata.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Puglia: il consiglio regionale acquista crocifissi per gli uffici

Il presidente del Consiglio della Regione Puglia, Onofrio Introna (Sinistra ecologia e libertà),  ha annunciato l’acquisto di icone di San Pio e San Nicola, nonché di crocifissi, da esporre negli uffici pubblici della stessa regione che ne facessero richiesta.

Il presidente -si legge su AgoraVox– lo ha dichiarato rispondendo alla richiesta del consigliere regionale Pdl Massimo Cassano, firmatario di una mozione per imporre l’esposizione dei crocifissi negli uffici regionali. Cassano aveva presentato la sua mozione il 10 febbraio, chiedendo in particolare di esporre il crocifisso nell’Aula Consiliare e nella Sala Giunta. Secondo il consigliere, il crocifisso rappresenta “importanti valori religiosi” e può essere simbolo anche per i non credenti perché “contiene in sé anche altri valori come l’identità storica e culturale, il concetto di fratellanza, di pace e di giustizia”.

Subito dopo la sentenza della Corte Europea del 3 novembre 2009, in cui si vietava l’esposizione dei crocifissi nelle aule scolastiche, si è potuto osservare un interessante fenomeno di riappropriazione dei simboli e dei valori delle nostre radici cattoliche. Grazie alla campagna “scrocifiggiamo l’Italia” promossa dai razionalisti dell’UAAR, la presenza dei crocifissi in Italia è triplicata. Negli uffici comunali, nei giardini delle città, per non parlare delle aule scolastiche. L’UCCR ha fatto una piccola indagine sul web e i risultati sono stati raccolti nell’articolo: Grazie all’UAAR, migliaia di crocifissi in più nelle scuole e nei comuni italiani“.


Cogliamo l’occasione per pubblicare una delle tantissime email che ci sono arrivate in cui viene raccontata una di queste vicessitudini capitate nelle scuole della nostra Italia.

«Sono un giovane di Napoli, ho 25 anni e mi sto incamminando verso il sacerdozio. Quest’anno ho ripreso gli studi interrotti un po’ di tempo fa per dedicarmi al lavoro e frequento l’istituto Verga della mia città. Le classi sono piuttosto piccole: 7/8 ragazzi/e ma c’è un buon clima, i professori preparati e aperti, una Preside molto efficiente che fa girare le cose bene (e questo non è poco!). Vi scrivo per raccontarvi un piccolo-grande fatto successo in classe questa settimana che a mio giudizio segnala un fuoco sotto la cenere circa i giovani e la religione e il modo con cui si pilota l’opinione comune che poi non è molto comune ma imposta: forse possiamo ancora recuperare qualcosa se vogliano e se i cattolici la smettono col complesso di inferiorità. Il crocifisso non era in classe. Motivazione: hanno dato il bianco e non l’hanno più rimesso, anzi è proprio sparito (forse è rimasto nascosto sotto la tinta…) nessuno ci ha dato peso. Io si. Ho serenamente fatto notare la mancanza, si è acceso un piccolo dibattito qualcuno ha fatto notare che lo stato è laico, che la fede sta nel cuore, etc. solite storie insipide. La motivazione più bella per giustificare questa dimissione della croce è stata. “Ma siamo in un paese democratico bisogna rispettare tutte le coscienze”. Confesso che ho un po’ gioito di fronte a questa goffa mossa che lasciava il fianco scoperto, e ho tirato la stoccata: ho detto, “Giusto! E…qual’è il metodo per cui in democrazia si approva una decisione?”. Mi hanno risposto: “La maggioranza!”. Ho ribattuto: “Bene, in Italia la maggioranza non è forse cattolica? Voi non siete cattolici? La vostra coscienza non accetta i principi cristiani rappresentati dalla croce?”. La risposta è stata corale: “Si siamo cristiani e cattolici”. Successivamente è iniziato un confronto con una professoressa che giustamente sosteneva il contraddittorio e abbiamo portato l’esempio di altri paesi e religioni: se noi andiamo dove la maggioranza non è cristiana dobbiamo adeguarci alla loro cultura, ma questo non offende la nostra coscienza anzi ci aiuta ad avere maggior rispetto per i valori nei quali crediamo. A questo punto gli studenti erano piuttosto infervorati: “Si siamo cattolici e siamo orgogliosi di quello in cui crediamo. Vogliamo il crocifisso in classe e senza storie come fanno gli altri paesi”, dicevano. Ammetto che un po’ avevo timore di polemiche e antipatie o di essere etichettato, poi però ho pensato: intanto è una giusta causa e poi desidero riconoscere il Signore di fronte agli uomini. Se la veda un po’ Lui, io il “sasso” l’ho tirato. Succede così che la professoressa anticrocifisso decide di andare dalla Preside per esporre la questione. La Preside arriva in classe (incute sempre un sacro timore) ci guarda e dice: “Volete il crocifisso? Bene son d’accordo, c’era prima di voi, starà con voi. Dove lo volete mettere?” Tutti “Bene in vista sulla parete accanto alla lavagna”. La Preside: “Domani chiederò anche alle altre classi. In fin dei conti siamo ancora cristiani e in un paese democratico”. Il giorno dopo arrivo la mattina in classe alle 8.15 e il crocifisso era li. Mi è sembrato solenne, nulla da invidiare a quello sull’altare nella cattedrale di Napoli».  Francesco S.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Sconfitto il fondamentalismo ateo: il crocifisso resta nelle scuole!

La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha preso una decisione storica: è giusto che il crocefisso rimanga in classe, prevale dunque il concetto di laicità positiva.

Grazie dunque all’UAAR e all’ateismo organizzato dato che, per merito loro, si è creato un punto di riferimento imprescindibile sulla questione della presenza dei simboli religiosi negli spazi pubblici in tutta Europa ed è stata rafforzata per sempre una norma giuridica decisiva che stabilisce un principio di civiltà onorevole per l’intera Europea nonché valida per tutti gli Stati che lo compongono.

L’Italia e il popolo italiano (l’84% degli intervistati in un sondaggio di qualche giorno fa, si diceva favorevole alla presenza del crocefisso nelle scuole) hanno infatti vinto la loro battaglia a Strasburgo: la Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo ha “assolto” la nostra Nazione dall’assurda accusa di violazione dei diritti umani per l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche. La decisione della Corte è stata approvata con 15 voti favorevoli e due contrari. I giudici hanno accettato la tesi in base alla quale non sussistono elementi che provino l’eventuale influenza sugli alunni dell’esposizione del crocefisso nella aule scolastiche.

Chiuso definitivamente il dossier “Lautsi contro Italia”. L’atea Lautsi, ricordiamolo, spalleggiata dall’associazione Uaar, ha sostenuto che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane costituiva una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo coscienza e senza interferenze da parte dello Stato, nonchè una violazione della libertà di pensiero, coscienza e religione degli alunni. La prima sentenza della Corte aveva dato sostanzialmente ragione alla signora Lautsi, scatenando un’ondata d’indignazione tra il popolo italiano e quello europeo, che aveva preso anche la forma di decine e decine di lettere di protesta inviate a Strasburgo da singoli cittadini.

Una sentenza contro la quale il governo italiano aveva subito fatto ricorso trovando tra l’altro il sostegno di altri diciannove Paesi membri del Consiglio d’Europa: Armenia, Albania, Austria, Bulgaria, Croazia, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Moldavia, Principato di Monaco, Polonia, Romania, Russia, San Marino, Serbia, Slovacchia, Ungheria e Ucraina (cfr. Ultimissima 3/6/10 e Ultimissima 27/7/10) esplicitato il 30 giugno scorso in occasione della prima e unica udienza pubblica svoltasi nell’ambito del processo d’appello. Notizie prese da La Stampa.

L’UCCR ha creato un dossier apposito: “La Corte Europea vieta l’esposizione dei crocifissi nelle aule scolastiche“.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

La bandiera e l’Inno d’Italia hanno origine cattolica

In questa giornata di festa per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia come non notare appese alle finestre migliaia e migliaia di bandiere tricolori? Come non sentire continuamente le note dell’Inno di Mameli? Entrambi simboli protagonisti d’onore di questa giornata. Simboli ovviamente di espressione di autori e testimoni cattolici. Ne parla Antonio Gaspari, docente dell’Università Europea di Roma, su L’Ottimista.

INNO “FRATELLI D’ITALIA”. Come ha dimostrato lo storico Aldo Alessandro Mola nel volume “Storia della monarchia in Italia” (Bompiani 2002), l’inno Fratelli d’Italia fu scritto nel 1846 dal padre Atanasio Canata, sacerdote dell’ordine degli Scolopi e maestro di Goffredo Mameli. Il giovane Mameli ricopiò il testo di Canata e lo inviò nel novembre 1847 all’amico Michele Novaro che lo mise in musica. Il professor Mola, già docente di storia contemporanea all’Università degli Studi di Milano, autore di numerosi volumi sulla storia d’Italia, premiato per i suoi studi con la medaglia d’oro di benemerito della scuola, della cultura e dell’arte, ha raccontato che padre Canata era un patriota, sostenitore dell’unità d’Italia, seguace di Vincenzo Gioberti, di Antonio Rosmini e del Pontefice Pio IX. In una poesia anticipò alcune strofe, poi utilizzate nell’Inno d’Italia e non rese pubblico il furto del suo testo solo perchè non voleva smascherare Mameli.
D’altro canto l’Inno è chiaramente ispirato a Dio. Nella terza strofa si legge: «Uniamoci, amiamoci, l’Unione, e l’amore / Rivelano ai Popoli / Le vie del Signore / Giuriamo far libero / Il suolo natìo / Uniti per Dio Chi vincer ci può?».

BANDIERA TRICOLORE. Come ha raccontato anche Antonio Socci il 13 febbraio, sulle pagine del quotidiano Libero, con un articolo dal titolo “Quando la Madonna indossò il Tricolore” i colori della bandiera italiana sono l’espressione delle tre virtù teologali e cioè fede, speranza e carità, Verde è la speranza, bianca la fede e rossa la carità. Seppure affascinati dall’arrivo di Napoleone, Luigi Zamboni e Giovanni Battista De Rolandis, al bianco ed al rosso che venivano dallo stemma di Bologna (croce rossa in campo bianco), aggiunsero “il verde”, che, secondo Zamboni, era “segno della speranza”. Non sappiamo se Zamboni ne era a conoscenza, ma il primo “bianco, rosso e verde” si trova nella Divina Commedia, sono i colori del vestito di Beatrice e simboleggiano appunto le virtù teologali (Purg. XXX, 30-33).  Lo stesso Giosuè Carducci che pure era mangiapreti e anticattolico, nel commemorare a Reggio Emilia il primo centenario della nascita del Tricolore, ricordò la Divina Commedia e spiegò il significato con “fede, speranza e amore”. Lo ha ricordato anche Roberto Benigni nel suo recente show sul palco del Teatro Ariston, quando ha attribuito -erroneamente- a Giuseppe Mazzini nel 1830, su ispirazione della Divina Commedia, la scelta del bianco, rosso e verde come colori della bandiera nazionale. Un accenno è anche presente -stranamente- su Wikipedia.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

L’azzurro, il colore ufficiale d’Italia, viene dall’iconografia mariana

Per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, il noto giornalista e scrittore Antonio Socci si sofferma sulle colonne di Libero, a ricordare un altro anniversario. Quest’anno infatti, «si festeggiano anche i 100 anni dell’ “azzurro” come colore nazionale. Viene dall’iconografia mariana e la dinastia sabauda ne fece un suo simbolo». Citando Luigi Cibrario, storico della monarchia, continua: «quel colore di cielo consacrato a Maria è l’origine del nostro color nazionale».

Il 21 giugno 1366, Amedeo VI di Savoia salpa da Venezia per la Terra Santa con la crociata voluta da papa Urbano V e sulla sua nave ammiraglia – accanto al vessillo dei Savoia – fa sventolare uno stendardo azzurro con una corona di stelle attorno all’immagine della Madonna, per invocare “Maria Santissima, aiuto dei cristiani”. Da lì una tradizione, e quindi «l’azzurro entrò a far parte dei simboli dinastici e il 10 gennaio 1572, con Emanuele Filiberto, la sciarpa azzurra diventò ufficialmente parte dell’uniforme. E poi dell’araldica del Regno d’Italia». Nello sport, l’azzurro fa la sua comparsa per la prima volta il 6 gennaio 1911, per la partita di calcio Italia-Ungheria. Tutto questo ci fa capire come la storia d’Italia sia impregnata di tradizione cattolica. Anche Gran Bretagna, Svezia, Finlandia, Malta, Portogallo, Slovacchia, Grecia e tante altre bandiere nazionali presentano legami con il cristianesimo e la croce cristiana.

Il vice presidente dell’UE, Mario Mauro, ha tempo fa ricordato che perfino la bandiera dell’Unione Europea porta al suo interno un riferimento cattolico. Le dodici stelle, come scrisse l’autore del disegno, il francese Arsène Heitz, hanno un significato cristiano, il blu infatti è il manto del colore della notte di Maria e le 12 stelle sono la corona dell’apocalisse (cfr. Libero 30/3/07).

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Chi fu veramente l’anticlericale Giuseppe Garibaldi?

Un fantoccio di Giuseppe Garibaldi è stato recentemente bruciato nel Veneto. Il gesto è da condannare senz’altro, ma crediamo sia frutto anche di una frustrazione derivante dallo spietato revisionismo che diversi organi di stampa vogliono fare su questo inquietante personaggio storico, descrivendolo come il principe azzurro italiano, l’eroe e l’orgoglio della penisola. Per decenni la sua figura è stata celebrata, osannata, sino a farne una sorta di santo laico. Il poeta Carducci scrisse di lui: «Nacque da un antico dio della patria, mescolatosi in amore con una fata del settentrione» e il Times dopo la sua morte lo ricordò così: «il più sincero, il più disinteressato e il meno dubbioso degli uomini…» (più o meno l’elogio commovente che fece l’Unità alla morte di Stalin…cfr. Polyarchy.com). Lo scrittore Francesco Agnoli su Libertà e Persona porta alla luce il profilo più nascosto dell’eroe nazionale. Ne preleviamo alcune parti.

1) PIRATA, SCHIAVISTA E LADRO. «Da giovane – scrive lo storico Massimo Viglione, nel suo “L’identità ferita” (Ares)- dopo aver partecipato al tentativo mazziniano di invasione del Regno di Sardegna, Garibaldi si mise dapprima a fare il pirata al seguito del bey di Tunisi e poi fu costretto a fuggire in Sudamerica per non finire impiccato. Quindi si coinvolse prima nel furto di cavalli in Perù (dove gli vennero tagliati i padiglioni degli orecchi), e poi praticò la pirateria per il commercio degli schiavi asiatici». Pirata, negriero e ladro. Conferme arrivano da altri storici, come L. Leoni, O. Calabrese, A. Pellicciari, e persino da un agiografo di Garibaldi come Giovanni Spadolini che ne accenna ne “Gli uomini che fecero l’Italia” (TEA 1999). Più esplicito lo storico del Risorgimento, Giorgio Candeloro, che, intervistato su “La Repubblica” del 20/1/1982, fornisce dettagli maggiori: «Comunque Garibaldi, un po’ avventuriero, un po’ uomo d’azione, non era tipo da lavorare troppo a lungo in una fabbrica di candele. Va in Perù, e, come capitano di mare, prende un comando per dei viaggi in Cina. All’andata trasportava guano, al ritorno trasportava cinesi per lavorare il guano: la schiavitù in Perù era stata abolita e il guano non voleva lavorarlo più nessuno. Insomma un lavoretto un po’ da negriero. Era un avventuriero, un uomo contraddittorio, fantasioso, un personaggio da romanzo».

2) NESSUN MERITO PERSONALE. Ma fu l’impresa dei Mille a riabilitarlo, si dice. Innazitutto, sottolinea Agnoli, «Garibaldi non fu affatto il conquistatore straordinario di cui si è a lungo parlato e che il mito della sua invincibilità fu creato ad arte ancora prima che egli ritornasse, dall’America, in Italia. Nella sua spedizione al sud, Garibaldi contò anzitutto sull’appoggio inglese, senza il quale non avrebbe potuto far nulla». Lo conferma anche Gilberto Oneto nel suo “La strana unità” (il Cerchio 2011): oltre ad una flotta inglese che seguì la spedizione garibaldina, si coinvolse anche una legione di “volontari” inglesi, senza contare l’importanza dei grandi finanziamenti ottenuti dall’Inghilterra. Pier Giusto Jaeger, nel suo “L’Ultimo re di Napoli” (Mondadori 1997), ricorda che Garibaldi non affrontò una sola battaglia di consistenza vera, sino a quella del Volturno, dove ebbe l’appoggio, oltre che degli inglesi, anche dei piemontesi guidati dall’ammiraglio Persano, scesi dal nord più per evitare che le sue incerte e traballanti conquiste sfumassero, che per impedire la sua marcia su Roma. E’ proprio Persano, nel suo “Diario” (Studio Tesi 1990), a fornirci ulteriori testimonianze sulla corruzione e il tradimento come i mezzi principali con cui il Nizzardo ottenne la vittoria. Persano era stato inviato da Cavour in Meridione, come ricorda Angela Pellicciari, proprio con lo scopo di «proteggere-tallonare-controllare Garibaldi, organizzare l’invio di uomini e armi che affianchino i Mille, corrompere i quadri della marina e dell’esercito borbonici» (“I panni sporchi dei Mille”, Liberal 2003). Non dovette neppure affrontare una vera resistenza, dal momento che il re Francesco II, cugino del sovrano sabaudo, era stato convinto a lasciare il paese, rinunciando quindi ad una strenua difesa, anche su consiglio del suo ministro dell’Interno, il traditore Liborio Romano, al fine di evitare lo spargimento del sangue dei suoi sudditi.

3) LIBERO’ ERGASTOLANI ED ASSASSINI. La vittoria di Garibaldi fu ottenuta anche grazie ai suoi proclami, in cui prometteva libertà e terre. Sappiamo bene cosa ne ebbe il Meridione. Come raccontano gli storici, Giovanni Verga, già garibaldino, nella novella “Libertà”, in cui descrive le stragi indiscriminate del luogotenente garibaldino Nino Bixio, e Luigi Pirandello, anch’egli di famiglia antiborbonica e risorgimentale, che però nella sua novella “L’altro figlio”, fa dire ad una protagonista che Garibaldi asseriva sì di portare “la libertà”, ma si limitò a liberare dalle carceri tutti i delinquenti e i criminali, per destabilizzare il regno dei Borboni. Afferma la protagonista della novella di Pirandello: «…vossignoria deve sapere che questo Cunebardo (storpiatura popolare di Garibaldi, ndr) diede ordine, quando venne, che fossero aperte tutte le carceri di tutti i paesi. Ora, si figuri vossignoria che ira di Dio si scatenò allora per le nostre campagne. I peggiori ladri, i peggiori assassini, bestie selvagge, sanguinarie, arrabbiate da tanti anni di catena…». Scriverà qualche decennio più tardi un altro scrittore siciliano, Carlo Alianello, nel suo “La conquista del sud” (Il cerchio 1994): «Lo stesso giorno 20 ottobre (1860) il Dittatore, il quale esiliava vescovi, arcivescovi e cardinali, fece grazia a tutti i condannati all’ergastolo e alla galera per delitti comuni. Garibaldi sbarazzava le carceri di quei malfattori, per mettervi ufficiali, magistrati, aristocratici, preti e frati. E così si faceva l’Italia».

4) DITTATORE ODIATO DAL MERIDIONE. Le terre promesse da Garibaldi finirono non certo nelle mani dei contadini, verso cui dimostrava disprezzo (li considerava “servi dei preti”, perché non si associavano alle sue scalmanate camice rosse), ma dello Stato piemontese, dell’aristocrazia e della borghesia fondiaria meridionale, che capirono subito, come ci dice Tommasi di Lampedusa nel suo “Il gattopardo”, che si poteva benissimo cambiare tutto, anche mettendo la camicia rossa, senza cambiare nulla, o forse, guadagnandoci ancora di più (Tommasi di Lampedusa accenna infatti allo spartizione, da parte dei nuovi vincitori, delle terre comuni e di quelle della Chiesa, che sino ad allora servivano invece, molto spesso, al sostentamento delle classi più povere). Non è un caso che dopo la conquista della Sicilia, Garibaldi abbia trovato più amici a Torino e a Londra che in Meridione. Qui infatti, come testimonia Giuseppe La Farina, braccio destro di Cavour nella organizzazione della spedizione dei Mille, le cui lettere sono state pubblicate sempre da Angela Pellicciari nel testo citato, Garibaldi e i suoi avventurieri si erano subito rivelati per quello che erano: saccheggiatori di ogni ricchezza, pubblica e privata, nelle orge e nel dispotismo. Lo stesso Garibaldi, nelle sue “Memorie” (Bur 1998), affermava: «Si cominciò a parlare di dittatura, ch’io accettai senza replica, poiché l’ho sempre creduta la tavola di salvezza nei casi d’urgenza e nei grandi frangenti in cui sogliono trovarsi i popoli». Dittatore, senza il sostegno della popolazione, deciso ad imporre ovunque la legislazione piemontese e la leva militare obbligatoria, dai 17 ai 50 anni, ad un popolo che non la conosceva, e che non aveva nessuna intenzione di arruolarsi in massa per guerre che non condivideva e non capiva. Questa è l’origine dell’emigrazione di massa, fenomeno prima pressoché inesistente, le rivolte contro l’occupazione piemontese, e i moti anti-sabaudi come quello di Palermo (1866) repressi nel sangue dai prefetti e dall’esercito piemontesi. Garibaldi sempre più spesso lanciava improperi contro l’Italia che aveva contribuito a costruire, e di cui fu anche, più volte, parlamentare ultra-assenteista. Dopo essere passato dalla fede repubblicana mazziniana al ruolo di dittatore in Meridione alla fede monarchica, per cambiare ancora, scriveva: “Potendolo, e padrona di se stessa, l’Italia deve proclamarsi Repubblica, ma non affidare la sua sorte a cinquecento dottori (cioè ad un parlamento, ndr), che dopo averla assordata con ciarle, la condurranno a rovina. Invece, scegliere il più onesto degli italiani e nominarlo dittatore temporaneo…Il sistema dittatoriale durerà sinchè la Nazione sia più educata a libertà… Allora la dittatura cederà il posto a regolare governo repubblicano”. Come nota lo storico Mario Isnenghi, infatti, proprio l’opposizione alla unificazione del Meridione al Regno di Sardegna, che cominciò già nel 1860 e che va sotto il nome di “brigantaggio”, «può considerarsi pressoché l’unica manifestazione reale, per estensione geografica, partecipazione numerica e durata, di presenza attiva delle masse subalterne negli anni del Risorgimento». Fu Garibaldi stesso a riconoscere, in una lettera ad Adelaide Cairoli: «Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Ho la coscienza di non aver fatto del male. Nonostante ciò, non rifarei la via dell’Italia Meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi là cagionato solo squallore e suscitato solo odio».

5) SUPERFICIALE E ROZZO. La popolarità dell’eroe dei due mondi sbiadì comuque presto, anche al di fuori del Meridione. Racconta un agiografo come Alfonso Scirocco, nel suo “Giuseppe Garibaldi” (Laterza 2005), che molto presto per la storia dei Mille, narrata da Nizzardo stesso, «è difficile trovare un editore disposto a garantire le 30.000 lire richieste dall’autore». Dovette scendere in campo la Massoneria. Negli ultimi vent’anni della sua vita Garibaldi, per mantenere vivo il suo mito, si diede alla scrittura. E’ proprio leggendo quest’ultimi, infatti, con la loro “traballante macchina narrativa”, la “lutulenza alternata all’improvvisa secchezza”, l’ “invadenza e la ripetitività degli squarci polemici”, il “carattere macchiettistico dei personaggi”, le “filippiche antigovernative e le prediche anticlericali” (in Mario Isnenghi, “Garibaldi fu ferito” Donzelli 2007), che il lettore contemporaneo capisce di trovarsi di fronte ad un personaggio imbarazzante, quasi una caricatura. Un avventuriero senza alcuna profondità né di dottrina né di pensiero, ma fanatico, ripetitivo ed intollerante, nel quale -scrisse il The Times di quegli anni, «ha rozze nozioni di democrazia, comunismo, cosmopolitismo e positivismo che si mescolano nel suo cervello».

6) DONNAIOLO E PUTTANIERE. Strapazzò allegramente donne e figli – infatti ebbe «tre mogli ufficiali e un numero imprecisato di amanti che gli sfornano un bel po’ di figli», come nota Gilberto Oneto. Mentre Alfonso Scirocco allude alle “facili occasioni” che “da vecchio marinaio” amava cogliere con le donne, numerose, che incontrava nei suoi viaggi, e Luca Goldoni dedica un intero libro alle sue numerose avventure, ribattezzandolo “L’amante dei Due Mondi”-, con la stessa superficialità con cui aveva combattuto e ucciso o con cui aveva elogiato gli omicidi carbonari come quello di Pellegrino Rossi, che avevano contribuito ad impedire che l’Italia conoscesse un’unificazione pacifica e federalista.

7) PERVERSO VERSO LA CHIESA. Dalla lettura degli scritti di Garibaldi, si evince anche il suo odio inverecondo e ossessivo per la Chiesa cattolica: «In ogni mio scritto io ho sempre attaccato il pretismo, perché in esso ho sempre creduto di trovare il puntello d’ogni dispotismo, d’ogni vizio, d’ogni corruzione. Il prete è la personificazione della menzogna. Il mentitore è ladro. Il ladro è assassino: e potrei trovare al prete una serie di infimi corollari. Molta gente, ed io con questa, ci figuriamo di poter sanare il mondo dalla lebbra pretina coll’istruzione…Quindi libertà per i ladri, per gli assassini, le zanzare, le vipere, i preti! E cotesta ultima nera genìa, gramigna contagiosa dell’umanità, cariatide dei troni, puzzolenta ancora di carne umana bruciata, ove signoreggia la tirannide, si siede tra i servi, e conta nella loro affamata turba. Amanti della pace, del diritto, della giustizia. La guerra es la verdadera vida del ombre!», scriveva nella prefazione delle sue “Memorie” (Gaspari 2004). Nelle sue lettere definiva Pio IX «quel metro cubo di letame», invitava a rompere i confessionali, «resi utili a far bollire i maccheroni della povera gente», e a schiacciare il «verme sacerdotale». Mario Isnenghi considera gli scritti di Garibaldi il modello che userà Mussolini nel suo romanzo anticlericale: “Claudia Particella, l’amante del cardinale”. Garibaldi conclude la sua opera parlando di se stesso: «Odia i preti come istituzione menzognera e nociva… Professa idee di tolleranza universale e vi si uniforma, ma i preti, come preti non li accetta perché egli non intende siano tollerati malfattori, ladri, assassini. Egli è d’avviso che la libertà di un popolo consiste nella facoltà di eleggersi il proprio governo, che secondo lui deve essere dittatoriale, cioè di un uomo solo».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Il biologo darwinista Francisco J. Ayala: «Dio crea attraverso le leggi naturali»

Due anni fa, nel marzo del 2009, il quotidiano Avvenire ha intervistato il biologo darwinista Franci­sco J. Ayala, punta di diamante della comu­nità scientifica mondiale. Docente all’University of California, presidente del Consiglio dell’American Association for the Advancement of Science e membro delle principali Università del mondo: l’United States National Academy of Sciences, l’American Academy of Arts and Sciences, l’American Philosophical Society, la Russian Academy of Sciences, l’Accademia Nazionale dei Lincei di Roma, la Spanish Royal Academy of Sciences, la Mexican Academy of Sciences ecc. Ha vinto un’infinità di premi scientifici, su tutti la National Medal of Science e il prestigioso premio Templeton, assegnato per lavori riguardanti tematiche religiose e spirituali. Riportiamo solo alcuni spunti della bella intervista.

NON C’E’ BISOGNO DELL’IDEOLOGIA DEL DARWINISMO O NEODARWINISMO. Lo scienziato mette subito in chiaro le cose: «Noi scien­ziati parliamo di Darwin, non di darwinismo né di neodarwinismo. Queste ideologie sono fuori della scienza». Parlando del grande naturalista, dice: «Darwin ha scoperto la selezione naturale. Per lui l’evoluzione era un fatto evidente ma occorreva tro­vare la legge naturale che la spiegasse. Nel 1938 scrive nel suo diario: ‘Ho trovato la chiave: è la selezione na­turale’». Accennando alle critiche alla selezione naturale circa la capacità di spiegare la formazione di alcuni organi, Ayala risponde: «Noi dimostriamo che si può spie­gare benissimo. Un organismo, quando trova beneficio a disporre di un occhio più completo, si mi­gliora, riceve mutazioni favorevoli che vanno a vantaggio della specie. Al tempo di Darwin molti scienzia­ti accettavano l’evoluzione, come processo graduale di autoformazio­ne, di cambiamento generale. Ma Darwin dimostra che il cambia­mento avviene in modo diverso: al­cune cose cambiano e altre no, una cambia prima e una cambia dopo. Il processo non è graduale, la sele­zione naturale dipende dalle varia­zioni ereditarie e dall’ambiente».

«SCIENZA E FEDE SONO CONCILIABILI». Essendo un biologo cattolico (ha anche intrapreso per un periodo la carriera religiosa), l’argomento si sposta inetivabilmente sul dialogo tra scienza e fede. «Si deve fare distin­zione fra cose che non sappiamo e cose che come scienziati non sapremo mai. Per esempio, scienza e fede trattano di cose distinte. La scienza spiega i processi naturali con leggi naturali. La religione trat­ta invece del significato della vita e del nostro rapporto con Dio. La scienza non ha nulla da dire sulla creazione del mondo. Come non pochi scienziati, riten­go conciliabili scienza e fede».

«DIO CREA CONTINUAMENTE». Non è comunque d’accordo con il movimento dell’I.D.: «Al “di­segno intelligente”, muovo un’obiezione: i seguaci di questo movimento considerano la crea­zione come un evento completo e già concluso, e con ciò finiscono per attribuire al Creatore i difetti del cor­po umano. La mandibola non è suf­ficientemente grande per i nostri denti, il canale attraverso il quale deve passare il bambino, nel mo­mento in cui nasce, è troppo stret­to per la sua testa; il sistema ripro­duttivo umano non è perfetto, al punto che il 20% delle gravidanze si conclude in un aborto spontaneo nei primi due mesi». Conclude infine citando i teologi quando parlando di «creatio continua»: «Dio sta creando continuamente, ma attraverso le leggi naturali. E Darwin e la teoria della selezione naturale non implicano materiali­mo metafisico, non negano l’esi­stenza di Dio, né i valori spirituali e morali».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Nuovo volume storico: «la lingua italiana? Diffusa grazie alla Chiesa»

«L’italiano è anche, grazie alla Chiesa, una lingua internazionale». Con queste parole inizia l’articolo su Il Tempo di Lucio D’Arcangelo, importante linguista italiano, responsabile tecnico-scientifico del disegno di legge n. 993 del 21/12/2001 per l’istituzione del Consiglio Superiore della Lingua Italiana, docente dell’Università di Torino e poi presso la Facoltà di Lingue dell’Università degli Studi “G. D’Annunzio”.

Continua lo studioso: «Il contributo ecclesiastico alla formazione ed alla diffusione della nostra lingua è stato rilevante in passato non meno di oggi». Tanto più che la conferma arriva in questi giorni dal volume «L’italiano nella Chiesa fra passato e presente» (Allemandi 2011), curato da Massimo Arcangeli, collaboratore con l’Istituto della Enciclopedia Italiana, docente di linguistica ed ex-preside della facoltà di lingue e letterature straniere presso l’Università degli Studi di Cagliari.

Nel testo la storia dell’italiano viene ripercorsa attraverso la presenza religiosa, che, strada facendo, si scopre decisiva in non pochi momenti di oblio della coscienza nazionale. Il libro comprende un articolato excursus che va dalla lingua ecclesiastica di età medievale alle “molte lingue” dei catechismi fra ‘500 e ‘700 ed all”acculturazione femminile” delle congregazioni religiose nel XIX secolo fino ad arrivare ai temi odierni: la diffusione dell’italiano nel mondo attraverso la religione, la politica linguistica della Santa Sede e gli “stili” comunicativi degli ultimi due Pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Sin dal Medioevo si profila la funzione mediatrice svolta dalla Chiesa tra latino e volgare, tra liturgia e popolo dei fedeli.

«Soprattutto l’insegnamento catechistico -continua D’Arcengelo- permise ai fedeli un’esposizione costante all’italiano ed il dialetto, pur non rifiutato, non sostituì mai la lingua comune. La Chiesa, quindi, seguitò a svolgere un ruolo preminente anche se, ovviamente, strumentale, nella diffusione di quella che sarà la lingua nazionale, e ciò avverrà fino ad Ottocento inoltrato attraverso i Seminari e le congregazioni religiose». Ma anche dopo l’Unità d’Italia, «la Chiesa ha seguitato a sostenere in modi diversi ma non meno efficaci la nostra lingua. Inoltre la Santa Sede contribuisce alla diffusione della lingua italiana nel mondo attraverso il clero, l’attività missionaria e i discorsi ufficiali dei Pontefici, universalizzando la lingua di Dante anche attraverso i media».

Sempre nel libro di Arcangeli, si conclude che «i temi affrontati da papa Wojtyla e papa Ratzinger sono universali e interessano gli uomini, indipendentemente dalla loro fede. Le parole-chiave dei loro discorsi alle folle sono termini di uso comunissimo: amore, bene (e male), comunione, dialogo, fede (e fiducia), gioia, giustizia, libertà, luce, misericordia, pace, peccato, riconciliazione, speranza, unità, verità, certo connotati in un senso fortemente religioso, ma trasparenti e pronunciati in una lingua viva che è la nostra».

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Il ginecologo Oriente: da super abortista a paladino pro-life

Per i medici obiettori è più difficile fare carriera. E’ il campanello di allarme che lancia ad Avvenire Salvatore Oriente, 53 anni, ginecologo responsabile di due Consultori Asl a Messina. La sua fermezza è forte come la sua storia, che lo ha portato da medico super abortista a divenire uno dei più grandi ginecologi pro-life in Italia. Non a caso molti lo definisco il Bernard Nathanson italiano (cfr. Ultimissima 24/2/11 ). Racconta: «All’inizio della mia professione effettuavo Ivg pensando di fare il bene delle persone.  Ascoltavo le loro storie, spesso pietose, e mi dicevo che, effettivamente, l’operazione era la soluzione giusta. Aiutavo la ragazza non sposata che aveva avuto un ‘disavventura’ e voleva disfarsi del bambino, oppure il padre di famiglia con tre figli che, dopo essersi invaghito di una ragazza più giovane della moglie, l’aveva messa incinta e poi voleva farla abortire per non creare scandali. Agivo con leggerezza anche se lasciavo sempre che fosse l’infermiera a ricomporre i resti del corpo del bambino e a gettarli nei rifiuti speciali».

Poi il cambiamento, contestuale ad una rinnovata esperienza di fede. «Con gli occhi di oggi vedo quanto il Signore abbia lottato per tirarmi fuori dal fango – prosegue Oriente -. Mi ha guidato perché finalmente prendessi coscienza della mia vita. Il punto da cui è partito è stato il dolore per la mancanza di un figlio che mia moglie ed io non riuscivamo a concepire. Soffrivo tanto e porre fine alle gravidanze altrui mi pareva una contraddizione grandissima. Mi confidai con due coniugi che avevo seguito per infertilità: m’invitarono ad un’incontro del Rinnovamento nello Spirito. Lì per lì rifiutai, ma ci finii pochi giorni dopo. Avvenne la mia conversione. Ho incontrato l’amore di Dio e formulato un nuovo progetto di vita, a partire dalla mia professione. “Mai più morte fino alla morte”, mi sono detto». Quindici giorni dopo la moglie scopre di aspettare il suo primo figlio. Dopo nove mesi nasce Domenico. Due anni dopo arriva Luigi.

Oriente passa da una posizione di semplice obiezione ad una decisa azione a favore della vita. Da quel giorno Oriente lascia la cultura della morte per spendersi in favore della vita. Dal 1991 è responsabile del consultorio pubblico di Santo Stefano di Camastra, nel Messinese, e ha appena aperto un consultorio di ispirazione cattolica nella diocesi di Patti. «A sconcertare è il fatto che si voglia tenere sotto silenzio cosa sia un’interruzione di gravidanza. Avere una piena coscienza di ciò che si fa dovrebbe essere un diritto per le donne, e invece l’informazione è vista come un tentativo di condizionamento psicologico. In Consultorio, per esempio, cerco sempre di far sentire il cuore del bimbo durante l’ecografia. C’è; non si capisce perché lo si debba nascondere». Un impegno che si riflette anche nei confronti dei medici perché, conclude il ginecologo, persino loro non sanno cosa accada nell’utero di una donna durante l’operazione. «A questo scopo mi sono procurato un filmato che mostro sempre ai colleghi – afferma – Molti rimangono inorriditi e diventano obiettori».

Da quel giorno Oriente lascia la cultura della morte per spendersi in favore della vita.
Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace