Pandita Ramabai, l’eroina cristiana per la liberazione delle donne indù

La paladina del movimento di liberazione della donna in India non è un fedele indù, come ci si potrebbe aspettare, ma una donna cristiana. Il suo nome è  Pandita Rababaj e tutto il continente asiatico è riconoscente per il suo immenso contributo all’istruzione e all’emancipazione delle donne, largamente dovuto però alla sua fede in Gesù, il suo “principale liberatore”, per usare le parole di Pandita stessa.

Su AsiaNews si legge che nacque da devoti indù e acquisterà presto fama e riconoscimenti per le sue poesie. Ebbe modo di attraversare l’India entrando in contatto con la triste condizione delle vedove e degli orfani. Cominciò così per prima a ribellarsi della condizione inumana a cui erano sono soggette queste donne. Nel 1887 scrive “Le donne indiane di alta casta”, mettendo in luce il loro deplorevole stato e poi passò all’azione creando centri per vedove e orfani dove le donne potevano ricevere un’istruzione di base e una formazione al lavoro.

Il suo lavoro la portò in contatto con i missionari cristiani. Nel 1883 accetta un invito da parte di una congregazione di suore anglicane a visitare l’Inghilterra. Ramabai sentiva da tempo sente di essere sempre più distante dalla sua formazione indù, sia da un punto di vista spirituale che sulla base della sua percezione della condizione delle donne in India. Si applicò ad uno studio approfondito della Bibbia, intensificando molto i rapporti con le religiose. Chiederà infine di essere battezzata, riconoscendo in Gesù il più grande liberatore delle donne. Il Vangelo rappresentò per lei la forma più pura delle sue intuizioni spirituali, e in particolare il convincimento crescente che servire donne e poveri non è solo lavoro sociale. Continuò il suo lavoro caritativo fondando un centro per madri nubili, un programma di aiuto per le vittime della carestia e una serie di scuole per ragazze povere. Tradurrà la Bibbia dal greco e dall’ebraico in marathi e la pubblicarà in una stamperia fondata da lei stessa nel 1924 a Pune. Nel 1919 il sovrano inglese la premierà con il Kaiser-i-Hind, uno dei riconoscimenti più alti che un indiano possa ricevere durante il regime coloniale.

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Regno Unito: l’80% dei medici contro eutanasia e suicidio assistito

Una rassegna delle ricerche effettuate per più di 20 anni suggerisce che i medici del Regno Unito sembrano opporsi decisamente all’eutanasia (AVE) e al suicidio medico-assistito (PAS).  I risultati – che appaiono nell’ultimo numero della rivista Palliative Medicine pubblicato da SAGE – evidenziano un netto divario tra gli ‘atteggiamenti dei medici e quelli del pubblico britannico.

Lo studio, effettuato dal dottor Ruaidhri McCormack e i colleghi dott. M. Clifford e dott.  M Conroy presso il Dipartimento di Medicina Palliativa del Milford Care Centre in Irlanda, ha valutato la letteratura scientifica tra il 1990 e il 2010, trovando 16 studi chiave. Gli autori,  guidati dall’ European Association for Palliative Care (EAPC) , hanno cominciato delineando le definizio di eutanasia e suicidio assistico che emergevano da questi documenti. L’eutanasia è definita:  «l’intenzionale uccisione da parte del medico di una persona attraverso la somministrazione di farmaci, su richiesta volontaria e competente di quella persona».  Il suicidio assitito (PAS) è stato ulteriormente definito come «un aiuto intenzionale da parte del medico verso il suicidio di una persona attraverso farmaci auto-somministrati, su richiesta volontaria e competente di quella persona».

I ricercatori mostrano che la maggioranza dei medici si oppone all’eutanasia (in tutti gli studi esaminati tranne uno) e al suicidio assistito (in tutti tranne 2). Inoltre gli studiosi hanno domandato ai medici se praticherebbero queste azioni se venissero legalizzate. Solo un quarto di loro sarebbe disposto: il 25% per il suicidio assistito e il 23% per l’eutanasia. Uno dei maggiori fattori motivanti questa scelta è la religiosità, con i più religiosi meno inclini a considerare opportuna la morte assistenza o il supporto verso una sua introduzione nel Regno Unito. Altri fattori costantemente evidenziati sono l’efficacia delle cure palliative, capaci di ridurre notevolmente la sofferenza, limitando così la necessità di una morte assistita, la necessità di maggiori e più adeguate garanzie verso la morte assistita e l’idea che una professione che facilita questa pratiche non deve includere i medici. Lo studio -i cui risultati sono divulgati dal sito di ScienceDaily– è la prima revisione sistematica che studia specificamente l’atteggiamento dei medici del Regno Unito.

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Il premio Nobel Carlo Rubbia all’inaugurazione dell’ateneo cattolico Lumsa

Domani il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia sarà ospite dell’inaugurazione dell’anno accademico della Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta), Ateneo non statale d’ispirazione cattolica di Roma. Rubbia, professore al Cern di Ginevra e membro della Pontificia Accademia delle Scienze, terrà l’intervento “Responsabilità e doveri della scienza nella società moderna”. Prima della cerimonia lo scienziato incontrerà i giornalisti in una conferenza stampa-dibattito. Lo apprendiamo dalla locandina promozionale della Lumsa.

Su l’Agenzia Sir troviamo le parole usate del rettore della Lumsa, Giuseppe Dalla Torre, per presentare l’evento: «I saperi scientifici non possono assolutamente essere ignorati da una Università che vuol essere luogo di convergenza dei vari rami delle conoscenze umane. Ed in effetti in più ambiti di sapere coltivati nel nostro Ateneo il confronto con le conquiste della scienza e della tecnologia è quotidianamente presente. C’è poi la grande ed affascinante provocazione intellettuale che oggi, ancora più che ieri, nasce dal confronto tra fede e scienza in un luogo di studio qual è la Lumsa, istituzione universitaria di ispirazione cattolica». Dopo il saluto del card. Attilio Nicora, presidente CdA Lumsa, la relazione del rettore sull’attività d’Ateneo nell’anno accademico 2009-2010. A seguire l’intervento di Rubbia e la prolusione della sociologa Consuelo Corradi “Un vuoto d’uomini. Lo sguardo della modernità sulla bellezza”.

In varie occasioni il fisico Rubbia ha offeto riflessioni interessanti sul contibuto che il suo impegno scientifico ha impresso nella sua visione esistenziale. Ad esempio: «La più grande forma di libertà è quella di potersi domandare da dove veniamo e dove andiamo. Non esiste forma di vita umana che non si sia posta questa domanda. E non c’è forma di società umana che non abbia cercato in qualche modo di darvi risposta. Il mancare a questo appuntamento è una perdita, una disumanizzazione, un meccanismo interno di autopunizione. Quello che impressiona di più, della domanda, è la sua universalità. È comune a tutti. […] Credo che tutto ciò faccia parte di un nostro bagaglio etico, e penso che quello che conta sia il rispetto del nostro umanesimo, del nostro essere uomini. E poiché tutti noi pensiamo che il nostro essere uomini sia qualcosa che ci mette al di sopra di tutti gli altri esseri viventi sulla terra, per forza dobbiamo anche pensare che siamo stati fatti ad immagine di qualcosa ancora più importante di noi. È difficile non crederci, quasi impossibile. È addirittura inevitabile. Talmente inevitabile che penso sia scritto dentro di noi. […] La natura è costruita in maniera tale che non c’è dubbio che sia costruita così per un caso. Più uno studia i fenomeni della natura, più si convince profondamente di ciò. Esistono delle leggi naturali di una profondità e di una bellezza incredibili. Non si può pensare che tutto ciò si riduca ad un accumulo di molecole. Lo scienziato in particolare, riconosce fondamentalmente l’esistenza di una legge che trascende, qualcosa che è al di fuori e che è immanente al meccanismo naturale. Riconosce che questo “qualcosa” ne è la causa, che tira le fila del sistema. È un “qualcosa” che ci sfugge. Più ci guardi dentro, più capisci che non ha a che fare col caso». (C. Rubbia in E. Ferri, “La tentazione di credere“, Rizzoli, Milano, 1987, pag. 205)

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Censimento 2010: l’84% dei messicani si ritiene cattolico

I risultati del censimento svolto in Messico nel 2010, e pubblicato il 3/3/11, mostrano che l’83,9% dei messicani si identifica come cattolico. I risultati si possono visionare sul sito dell’Instituto nacional de estadistica y geografia.

La CEI messicana si definisce “particolarmente contenta” della crescita del numero dei cattolici, che attualmente ammontano a 92.942.489 persone (su circa 113 milioni messicani). Il censimento, condotto dal 31 maggio al 25 Giugno, 2010, ha inoltre rivelato che il 7,6% è protestante ed evangelico, il 2,5% appartiene ad altre religioni e il 4,6% non professa alcun credo religioso.

Putroppo sono aumenta anche la violenza contro i sacerdoti per la loro importante funzione pubblica disturbatrice per l’agire della delinquenza in generale, un rapporto recente del CCM lo troviamo su AgenziaFides.

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La conversione dell’abortista Bruchalski, ora ginecologo per la vita

Non ci si stanca mai di notare che i più agguerriti paladini della vita siano quasi tutti ex abortisti. E’ il caso del dr. John Bruchalski, ex pro-choice ormai diventato un punto di riferimento nel campo della medicina pro-life. Attraverso il suo Tepeyac Family Center, il team di Bruchalski offre un rifugio sicuro per le donne in gravidanza che sono in crisi, diffondendo speranza attraverso un’autentica assistenza sanitaria, rispettando i processi naturali del corpo della donna e il diritto alla vita del nascituro. Una sua intervista è apparsa su LifeNewSite.

Anche se cresciuto in una famiglia cattolica ha iniziato ad abbandonare la fede dopo l’università. Nel 1983 diventò docente di medicina presso l’University of South Alabama, e la contraccezione e l’aborto gli sembravano ormai «il modo migliore per promuovere la salute, la felicità e la pienezza della vita riproduttiva di una donna». Eppure cominciò lentamente ad essere assillato dai dubbi. «Non vedevo la felicità o la gioia nelle mie cliniche. Più praticavo aborti, più era diffuso la contraccezione e più i rapporti spezzati, più infezioni, più distruzione, più fratture. Non sapevo cosa fare perché i miei colleghi dicevano: ‘Beh, abbiamo solo bisogno di più istruzione, di più contraccezione e più aborto». Un giorno sua madre gli ha chiesto di accompagnarla a Medjugorje, paesino in Bosnia Erzegovina, dove molti cattolici credono che Maria, la madre di Gesù Cristo, si stia manifestando dal 1981 attraverso sei veggenti. E’ stata la svolta decisiva, poiché ha permesso il riemergere della fede della sua infanzia. «E’ stata la semplicità dei messaggi che mi ha portato alla conversione», ha spiegato il ginecologo. Tornato a casa si è rifiutato di procurare altri aborti o sterilizzazioni, anche se ci volle un anno per riuscire a districarsi da queste procedure contro la vita. «Tornato a casa dal pellegrinaggio, mi è stata data la grazia non solo di vedere me stesso come ero veramente ma anche di capire che c’era un modo migliore per esercitare la professione medica».

Nel 1994 ha fondato il Tepeyac Family Center. Sulla base della visione cattolica della sanità, il Centro promuove pratiche sanitarie che rispettano il ritmo naturale del ciclo della donna e la santità della vita umana. Sostengono la pianificazione naturale al posto dei contraccettivi e nei casi di infertilità si concentrano sulla cura delle cause piuttosto che utilizzare tecniche di riproduzione assistita come la fecondazione in vitro. Il Centro rivolge una particolare attenzione alla teologia che Giovanni Paolo II ha fatto sul corpo umano, che è -dice il dottor Bruchalski- «rivoluzionario per i rapporti, per la medicina, e per le famiglie». Il centro medico accoglie anche numerosi universitari organizzando diversi stage.

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Idratazione e alimentazione non sono terapia, parola agli esperti e ai famigliari

Il disegno di legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) continua a scatenare polemiche soprattutto per quanto riguarda l’articolo 3: l’idratazione e la nutrizione assistita, si legge, «non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento». Chi si oppone invece ribatte: l’alimentazione assistita è assimilabile a una terapia, quindi si deve poter interrompere se si dichiara di volerlo fare. Senza entrare nel merito della giustezza o meno di una legge che regolamenti il fine vita, non possiamo che opporci a queste obiezioni. Il quotidiano Avvenire è andato ad intervistare i genitori dei malati in Stato Vegetativo e anche i medici dell’Associazione «Risveglio».

Rolando Ciacci, papà di Chiara, 34enne e in stato vegetativo da 22 anni è incredulo: «Idratazione e nutrizione sono essenziali per il corpo umano, sono basilari. Le terapie sono gli sciroppi, le pillole. Una persona nella condizione di mia figlia si nutre con il sondino nello stomaco. È lo stesso che viene messo anche a persone che non possono deglutire per un breve periodo o per sempre. Non è una terapia. Si dovrebbero vergognare quelli che sostengono il contrario. Chi non è toccato da queste vicende le tratta con una certa superficialità. Fate venire i politici da noi che vedano le persone come mia figlia». In moltri drammatizzano la situazione rappresentando questi malati attaccati alle macchine. Il padre risponde: «Lei non ha nessuna macchina attaccata. È una cosa scandalosa voler fare apparire una cosa che non è».

La mamma di Oscar Calì, da 15 anni in stato vegetativo sostiene: «Noi siamo dei corpi che esprimono la sete e la fame. Loro si esprimono con gli occhi. Nutrizione e idratazione sono un dovere per garantire il massimo della dignità della vita». La signora Granero è anche presidente dell’associazione «Amici di Oscar».

Claudio Taliento, vice presidente dell’associazione «Risveglio», oltre che membro del direttivo della Fnatc (Federazione nazionale associazioni trauma cranico) e del Seminario permanente sullo stato vegetativo istituito dal ministero della Salute, sostiene: «Un punto focale non può essere messo in discussione: l’alimentazione e l’idratazione non sono terapia, ma un atto dovuto nei confronti di una persona non autosufficiente. Una delle peggiori torture di un uomo è morire di sete. Il posizionamento della peg nella prima settimana è un atto che consente di salvare la vita di tantissime persone, lo si fa ancora quando non si ha la prognosi. Si punta a salvare la vita a persone diversamente destinate a morire. Promulgare una legge in cui si accetta di morire anche di sete è incivile, atroce. Eppure pur di arrivare a decidere l’autodeterminazione siamo disposti a morire di fame e di sete».

Francesco Napolitano, presidente di «Risveglio», rimarca ancora: «Idratazione e alimentazione, non c’è dubbio, sono un fatto naturale che non ha nulla di terapeutico. E’ una necessità di assistenza al malato e quindi va sicuramente garantita in ogni situazione. E comunque siamo stati i primi a proporre un’integrazione al ddl: un’unica eccezione è possibile laddove c’è una situazione clinica in cui il paziente non può assorbire neanche nutrizione e idratazione».

Fausto Quaresmini, papà di Moira da 11 in stato vegetativo: «Io a mia figlia do da mangiare e da bere con un sondino naso gastrico, con una siringa, né più né meno. Noi le mettiamo acqua nel sondino e quel sondino la porta all’interno dello stomaco. Non è una medicina. Non usiamo macchine per tenere in vita nostra figlia. Si tratta solo di darle da bere e da mangiare. Ci sono persone che pensano che le persone con la sindrome della veglia a relazionale stiano in vita solo perché mangiano e bevono. Ma tutti mangiano e bevono per stare in vita! Anche i legislatori che sono chiamati a votare la legge dovrebbero informarsi. Non si tratta di persone che vivono attaccate ai macchinari. Che vengano a vedere, casa mia è aperta!».

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La sociologa Kadlecová: «in Russia l’ateismo ha perso e la Chiesa ha vinto»

La sociologa russa Erika Kadlecová (1924), direttrice del Segretariato per gli affari delle Chiese presso il ministero della Cultura durante la Primavera di Praga, faceva parte di un gruppetto di sociologi marxisti, ricercatori presso l’Accademia cecoslovacca delle scienze, che dall’inizio degli anni ’60 cercavano un approccio meno ideologizzato al problema religioso, tentando di analizzarlo dal punto di vista sociologico. Ma dopo il colpo di Stato del ’48 che portò al potere i comunisti a Praga, la sociologia venne espulsa dalle università e sostituita dall’«ateismo scientifico».

La stessa Kadlecová fu sostituita e il suo nome comparve solo nei rapporti della polizia (la sorvegliavano agli incontri degli ex-comunisti) e nei canali del samizdat. Questo perché la Kadlecová -racconta su Il Sussidiario Angelo Bonaguro, esperto di cultura e storia della Russia-, giunse a conclusioni sconfortanti circa il comunismo ateo in cui era inglobata. Scrisse infatti: «Scomparso il feudalesimo, il colonialismo, il capitalismo, sono andati al potere coloro che promettevano libertà, uguaglianza, fraternità e la rivoluzione dei proletari di tutto il mondo. I sogni però si sono infranti nel momento in cui venivano realizzati, e il risultato è la disillusione, la confusione, la paura del futuro, la perdita di prospettiva.  Il marx-leninismo atrofizza la mente e la induce a pensare paradossalmente in modo religioso: siamo i primi ad imporre alla società, in maniera grossolana e ridicola, gran parte di quello che rinfacciamo alla religione come inaccettabile. Diamo la caccia all’uomo delle nevi, fotografiamo i dischi volanti, cerchiamo tracce di visite degli extraterrestri, meditiamo sulla parapsicologia».

LA CHIESA HA VINTO SENZA COERCIZIONE. Interrogandosi sulla rinascita del fenomeno religioso negli anni ’80 dopo anni di ateismo, arrivò a scrivere: «se si elimina la premessa di Dio non esiste una risposta soddisfacente». Tirando le somme, concluse: «Le Chiese non hanno nessun mezzo coercitivo: la compattezza, la disciplina interna e l’ubbidienza possono fondarsi esclusivamente sull’autorità. E proprio in questa debolezza sta la sua forza e il suo carattere eccezionale. La loro dottrina, il loro modo di vita sono assolutamente diversi da quelli che inculchiamo: indicano la via di uscita e la speranza là dove gli altri non vedono nulla.  Diventare cristiano non è certo un modo per far carriera, lo sappiamo bene. Il contatto con i cristiani dà la sensazione di una comunità di persone generose e di una particolare positività. L’aiuto e il sostegno reciproco, l’ambiente di amicizia che nella società atomizzata è in grado di supplire alla mancanza di rapporti, nelle società religiose sono resi ancor più forti da un aspetto metafisico: l’incontro con Dio nel prossimo». Osservando la Polonia e Papa Wojtyla dedusse che il Pontefice non solo agisce conoscendo perfettamente i problemi dei paesi socialisti, ma comprende altrettanto bene la politica e la neolingua del Partito. E in questo contesto la Chiesa interviene come difensore dei diritti umani, salvaguardia dell’identità e dell’integrità nazionale, protettore degli interessi degli operai e dei contadini, e come tale è riconosciuta: «Dove siamo finiti – si chiede la Kadlecová – se la Chiesa cattolica lotta per la libertà di parola contro la censura introdotta dai marxisti, e per il diritto dei lavoratori ad unirsi in sindacati di cui si fidano?».

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Regno Unito: le scuole cattoliche hanno più qualità delle altre

È stato verificato che le scuole cattoliche di Inghilterra e Galles offrono una migliore istruzione rispetto ad altre istituzioni a tutti i livelli, soprattutto nello sviluppo personale degli studenti.

Sono alcune delle conclusioni di due rapporti pubblicati recentemente sull’Office for Standards in Education, Children’s Services and Skills (OFSTED), appartenente al Governo in cui si sottolinea che «le scuole cattoliche raggiungono costantemente un miglior punteggio rispetto alla media». Anche il Catholic Education Service for England and Wales (CESEW) ha diffuso quasi contemporaneamente una “Relazione di Dati del Censimento del 2009 per Scuole e Collegi” e un rapporto intitolato “Valore Aggiunto: il contributo distintivo dei Collegi e delle Scuole cattolici in Inghilterra” in cui si afferma che questo e il rapporto del OFSTED «ratificano chiaramente che l’educazione cattolica fornisce un importante contributo al futuro della nostra società (…) Confermano inoltre che il denaro dei contribuenti destinato alle scuole cattoliche è ben impiegato».

Oona Stannard, responsabile esecutivo e direttrice del CESEW, si è detta lieta di «verificare che i nostri sforzi sono valutati con punteggi visibilmente più alti nello sviluppo personale (…) Ottenere risultati positivi non va solo a beneficio degli alunni, dei quali il 30% circa non è cattolico, ma mostra anche che la Chiesa realizza un investimento sul futuro benessere della società attraverso le scuole cattoliche». Nell’area dello sviluppo personale e del benessere, sottolinea il rapporto, «la differenza maggiore si è registrata nella valutazione dello sviluppo spirituale, morale, sociale e culturale degli allievi, anche se le scuole cattoliche hanno ricevuto un miglior punteggio nel criterio relativo al godimento dell’istruzione da parte degli alunni, al loro comportamento e al contributo positivo che danno alla comunità locale». Questa categoria, in cui le scuole cattoliche mostrano un grande vantaggio rispetto alla concorrenza, influisce su altri elementi come uno stile di vita salutare, pratiche di sicurezza, assistenza, comportamento e benessere economico. In termini di efficacia generale, il 73% delle scuole secondarie è considerato eccellente o buono, rispetto al 60% delle scuole pubbliche. Nelle scuole primarie, il 74% di quelle cattoliche è stato considerato di spicco o buono, contro il 66% di quelle pubbliche. La notizia è riportata dall’Agenzia Zenit.

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L’abortista Kustermann: «So di uccidere futuri bambini»

In Francia è stato fatto nascere un bambino con un corredo genetico selezionato ad hoc, attraverso la fecondazione assistita, perché possa aiutare i fratelli maggiori a guarire da una malattia rara. E’ venuto alla luce nell’ospedale Antoine-Be’cle’re (Clamart) il 26 gennaio scorso, dopo aver scartato moltissimi altri embrioni malati e sani. Si è arrivati quindi a generare esseri umani per guarirne altri, uomini usati come farmaci.

La faccenda è tanto grave che perfino Alessandra Kustermann, storica ginecologa abortista e primario di ostetricia e ginecologia della Mangiagalli di Milano, donna di sinistra, 30 anni di lotte per la difesa della legge sull´aborto ha dichiarato a Tempi: «solo la disperazione e la solitudine porta a fare cose del genere. Sicuramente qualcuno avrà consigliato quella donna, promettendogli mari e monti per quei figli malati». Oggi esistono importanti cure che permettono ai soggetti colpiti da beta-talassemia una vita regolare fino ai cinquant’anni e la ricerca è in continua evoluzione. Continua la Kustermann: «I dottori hanno il dovere di parlare delle alternative. Però la scienza può cadere nella logica della mamme disperata che vuole a tutti i costi salvare i figli anche a discapito di altri esseri umani. La scienza non è onnipotente, non sconfiggerà la morte. Mai. Perciò credo che il punto sia un altro: bisogna tornare ad accettare la morte. Ossia la vita per quella che è». Si immedesima in quelle mamme: «Queste persone sono così in preda al dolore che sono disposte a fare di tutto senza interrogarsi troppo. Se mi chiede: “Si sarebbe sottoposta alla fecondazione assistita? Avrebbe fatto un figlio per salvarne un altro? Sarebbe stata disponibile a selezionare e scartare embrioni sani o malati?”, risponderei che non lo avrei mai fatto. Ma chi può dire se in quella condizione, disperata e mal consigliata, non mi sarei illusa anch’io, come quella madre, che tutto ciò che è possibile è anche lecito? Credo che Dio non la giudichi». Sarebbe «terribile, da madre, sopprimere la vita di un figlio, anche se questo fosse malato. Sono cresciuta nella cultura cattolica che mi ha trasmesso il valore della Vita».

«SO BENISSIMO CHE STO SOPPRIMENDO UNA VITA». Da questo momento inizia una riflessione molto interessante che la ginecologa fa sul suo lavoro di medico. La giornalista le fa presente infatti che lei però pratica aborti. Sopprimere una vita non è terribile anche per le altre donne? «È terribile, sì, per questo faccio di tutto per dissuaderle, per aiutarle ad avere speranza e fiducia nel futuro. Cerco di appoggiarmi al Centro di aiuto alla vita dell’ospedale. Parlo loro degli aiuti economici. Se sono sole dico loro che noi donne siamo in grado di allevare i nostri figli anche senza un uomo accanto. Ma se alla fine in loro vince la paura, io non riesco a giudicarle». Non giudicarle è un conto, farsi complice è un altro. «Lo so. In quel momento so benissimo che sto sopprimendo una vita. E non un feto, bensì un futuro bambino. Ogni volta provo un rammarico e un disagio indicibili. Sento che avremmo tutti potuto fare di più». La ginecologa ripete che le manca qualcosa, che invidia chi riesce a giudicare: «So che a me manca la fede per farlo, così quando sono lì penso che la vita della madre, che soffre davanti ai miei occhi, valga più di quella di suo figlio che non vedo ancora».

AVEVA SMESSO DI PRATICARE ABORTI. C’è stato un periodo della vita, però, in cui Alessandra Kustermann ha smesso di «sopprimere vite». Un momento segnato da una serenità e una pace che la dottoressa non sentiva più da quando aveva incominciato a praticare aborti. «Fu nei due mesi successivi alla morte di mio padre. Lui era cattolico per fede, diversamente da me che lo ero solo per tradizione. Non approvò mai quello che facevo, anche se mi voleva bene. Per questo, quando mori, smisi. Lo feci per lui. Stavo benissimo», ricorda la Kustermann con voce rotta e nostalgica. Allora perché ha ricominciato? «Perché poi ho pensato che avrei scaricato il peso sui miei colleghi. Non è che non facendone io, avrei fermato la pratica. E poi l’idea di un ritorno dell’aborto clandestino mi fa rabbrividire».

«IN PENSIONE TORNERO’ DA DIO, SPERO IN UN CONFESSORE MISERICORDIOSO». Non sarebbe più utile smettere per fare solo prevenzione? «Non cambio certo il mondo io, ma posso fare il possibile per rispondere a chi mi chiede aiuto, senza sottrarmi per quieto vivere». Ma se una “paladina” della legge 194 si ravvedesse, farebbe riflettere molti, specialmente i colleghi. «Non so. Non penso che il problema dell’aborto si risolva diminuendo il numero dei ginecologi non obiettori di coscienza. Gli aiuti di cui hanno bisogno queste donne sono innumerevoli e su diversi piani sociali, economici, affettivi. Amo il mio lavoro, quando non è concentrato sugli aborti, ma so che quando andrò in pensione mi potrò permettere di pensare di nuovo a Dio. Quando finirò di lavorare, spero solo di trovare un confessore misericordioso». Non ha la fede ma cerca perdono. Sa che l’aborto è sbagliato ma lo pratica. Perché non risolve la sua contraddizione smettendo di fare aborti? «Perché amo le donne e pensare che vivano da sole questo dramma mi angoscerebbe comunque. Ripeto: faccio di tutto prima che scelgano, credo di aver salvato più bambini di alcuni obiettori che si limitano a non fare nulla. Certo, loro non hanno fatto aborti come me, ma non basta se si vuole arginare la piaga. So di vivere un conflitto che chi ha la fede non prova. Ne ho incontrati di medici qui alla Mangiagalli, gente tutta d’un pezzo con cui ora mi alleo nella ricerca di soluzioni e con cui prima non riuscivo a trovare punti di incontro. Penso per esempio a Leandro Aletti, un pro-life con cui ho litigato aspramente per anni, ma che ora stimo e rispetto. Anzi, che invidio. Perché ha quella fede e quelle certezze che mi consentirebbero di smettere senza sensi di colpa»

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Fort Bragg: i militari non vogliono Richard Dawkins, annullato festival ateo

E’ stato annullato il “The Rock Beyond Belief”, evento culturale e musicale previsto per il 2 aprile nel Fort Bragg, l’importante installazione dell’esercito degli Stati Uniti nella Carolina del Nord, che ha una popolazione di 29.183 abitanti.

L’evento -si legge su Fox10tv, era organizzato dalla Freedom From Religion Foundation, la più grande parrocchia di atei americani. Si sarebbe esibito il cantante Roy Zimmerman e il clou sarebbe stato raggiunto con la partecipazione -dell’unico, solo e onnipresente- Richard Dawkins. Peccato che i militari non siano però intenzionati a finanziare questa manifestazione. Ma la cosa che ha mandato su tutte le furie la parrocchia atea, è che solo pochi mesi fa, proprio nel Fort Brant, si era svolto il “Rock the Fort festival“, organizzato dalla Billy Graham Evangelistic Association, durante il quale era stata suonata della musica frammentata a letture del Vangelo. E i militari avevano aderito con entusiasmo, investendo ben $ 52.000. Oltre il danno, la beffa quindi. La Freedom From Religion Foundation ha sbraitato: «rifiutando di annullare l’evento cristiano evangelico, la base militare ha creato un precedente, ora chiediamo che ci sia la stessa attenzione anche ad un evento non religioso». Gli atei hanno cercato di persuadere la base militare sostenendo che la loro non è solo una contro-manifestazione, ma sarebbe «una giornata di svago e divertimento per una parte degli Stati Uniti». Ma non c’è stato nulla da fare, i militari non parteciperanno e Richard Dawkins dovrà organizzarsi il suo weekend da pensionato in un altro modo.

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