Papa Bergoglio sui migranti: i discorsi “censurati”

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Bergoglio e l’immigrazione incontrollata. Una delle accuse rivolta a Papa Francesco è di sponsorizzare l’agenda globalista e l’arrivo incontrollato dei migranti, in questo dossier raccogliamo tutti i suoi interventi originali (non filtrati dai media) su questi temi, dai quali emergono ben altri concetti.


 

Un’accusa frequente rivolta a Papa Francesco è di essere sponsor dei migranti e dell’immigrazione incontrollata in nome di un vago buonismo o, addirittura, della sostituzione di civiltà.

Molta della confusione è generata dai media che raramente riportano i discorsi integrali di Bergoglio ed i lettori difficilmente vanno oltre ai titoli sparati in prima pagina, tuttavia il pensiero di Francesco sul tema immigratorio è ben diverso da quello rappresentato e coincide perfettamente con quello dei suoi predecessori.

Oltre ad aver riaffermato il “diritto a non emigrare”, solo il Pontefice argentino si è spinto ad affermare che «un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga. Lì c’è il problema della prudenza».

Nessuno prima di lui aveva consigliato addirittura di “non accogliere” se c’è impossibilità a integrare, al massimo (lo disse Benedetto XVI), si richiamò il «diritto di regolare i flussi migratori».

Prima di analizzare i discorsi di Francesco, osserviamo cosa dissero alcuni suoi predecessori: Pio XII, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

 


 

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1. Pio XII: discorsi sull’immigrazione

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Lo storico Andrea Riccardi ha ripercorso sull’Osservatore Romano nel 2020 il pensiero sui migranti di Papa Pio XII.

Nell’enciclica Exsul familia (1952), Papa Pacelli spera che «gli esuli e i profughi possano finalmente tornare alle loro case, e i bisognosi, impossibilitati a trovare in patria il necessario per vivere possano emigrare in altre nazioni».

Nel Radio-messaggio in occasione del cinquantesimo della “Rerum novarum” (01/06/1941), Pio XII ricordava che «la terra è stata creata e preparata per uso di tutti». Grazie all’emigrazione, «le terre di densi abitanti resteranno alleggerite e i loro popoli si creeranno nuovi amici in territori stranieri».

L’emigrazione è ritenuta da Pio XII un fenomeno naturale nella storia dell’umanità, vantaggioso per i paesi di partenza e per quelli di approdo: «Se le due parti, quella che concede di lasciare il luogo natio e quella che ammette i nuovi venuti, rimarranno lealmente sollecite di eliminare quanto potrebbe essere d’impedimento al nascere e allo svolgersi di una verace fiducia tra il paese di emigrazione e il paese d’immigrazione, tutti i partecipanti a tale tramutamento di luoghi e di persone ne avranno vantaggio. Così le nazioni che danno e gli Stati che ricevono, in pari gara, contribuiranno all’incremento del benessere umano e al progresso dell’umana cultura».

Lo storico italiano, Andrea Riccardi, osserva a conclusione che i discorsi di Papa Pio XII mostrano quanto «il mondo dei rifugiati e dei migranti sia un precipuo campo d’azione della Chiesa da sempre». Secondo Pacelli, spiega Riccardi, «l’emigrazione, vista dal Papa come un fenomeno costante nella storia umana, ha uno “scopo naturale”: una più positiva distribuzione della popolazione sulla terra».


 

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2. Giovanni Paolo II: discorsi sull’immigrazione

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Anche il pensiero di San Giovanni Paolo II sull’immigrazione non risulta essere poi così distante da quello di Papa Francesco.

Papa Wojtyla, infatti, ricordò che «i Paesi ricchi non possono disinteressarsi del problema migratorio e ancor meno chiudere le frontiere o inasprire le leggi», spiegò che «la tutela delle famiglie e in particolare di quelle dei migranti e dei rifugiati aggravate da ulteriori difficoltà, costituisce un progetto prioritario inderogabile» e si prodigò spesso perché si «eserciti l’accoglienza cristiana verso i rifugiati e i migranti».

Giovanni Paolo II pronunciò parole che oggi sarebbero ritenute scandalose e non sarebbero affatto perdonate a Papa Francesco, ad esempio quando disse che «con la propria sollecitudine i cristiani testimoniano che la comunità, presso la quale i migranti arrivano, è una comunità che ama e accoglie anche lo straniero con l’atteggiamento gioioso di chi sa riconoscere in lui il volto di Cristo».

Ancor più “scioccante” (per qualche critico di Bergoglio) quando il Papa polacco si rivolse direttamente ai migranti con queste parole: «La vostra presenza, carissimi migranti, ricorda che lo stesso Figlio di Dio, venendo ad abitare in mezzo a noi si è fatto migrante: si è fatto pellegrino nel mondo e nella storia».

Nel 2001 parlò anch’egli del nazionalismo, dicendo: «Il bene comune universale abbraccia l’intera famiglia dei popoli, al di sopra di ogni egoismo nazionalista. È in questo contesto che va considerato il diritto ad emigrare».


 

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3. Benedetto XVI: discorsi sull’immigrazione

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In coerenza con il suo predecessore, anche Benedetto XVI si occupò spesso e con parole simili del tema immigratorio.

Papa Ratzinger, ad esempio, intravide «nel dramma della Famiglia di Nazaret, obbligata a rifugiarsi in Egitto, la dolorosa condizione di tutti i migranti [… ]. La Famiglia di Nazaret riflette l’immagine di Dio custodita nel cuore di ogni umana famiglia, anche se sfigurata e debilitata dall’emigrazione».

Inoltre, Benedetto XVI spiegò che «la Chiesa è a favore non solo dell’individuo migrante, ma anche della sua famiglia», invocando il ricongiungimento familiare. Ai rifugiati va «assicurato un alloggio consono alle loro esigenze» ed occorre sensibilizzare la società «sulle potenzialità positive delle famiglie migranti».

I critici di Bergoglio ignorano probabilmente che più volte Papa Ratzinger fece affermazioni simili a Papa Francesco e che risulterebbero a loro “inaccettabile”, in particolare il suo sforzo nell’«evidenziare gli aspetti positivi, le buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici». Sottolineò inoltre il diritto alla gestione regolata dei flussi migratori, «ma non si riduca alla chiusura ermetica delle frontiere».

Benedetto XVI ricordò anche che «tutti fanno parte di una sola famiglia, migranti e popolazioni locali che li accolgono, e tutti hanno lo stesso diritto ad usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale, come insegna la dottrina sociale della Chiesa».

Nello stesso discorso del 2010, citò Giovanni Paolo II ed avvalorò la critica all’«egoismo nazionalista», sottolineando come l’emigrazione «costituisce un segno eloquente dei nostri tempi, che porta in maggiore evidenza la vocazione dell’umanità a formare una sola famiglia».

Un altro esempio eloquente del pensiero di Benedetto XVI sui migranti è l’omelia in occasione del Natale del 2012, quando Papa Ratzinger fece un parallelismo ritenuto “scandaloso” se a pronunciarlo fosse stato Francesco: «Ci viene in mente che questa notizia, apparentemente casuale, della mancanza di posto nell’alloggio che spinge la Santa Famiglia nella stalla. Così la grande questione morale su come stiano le cose da noi riguardo ai profughi, ai rifugiati, ai migranti ottiene un senso ancora più fondamentale: abbiamo veramente posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi? Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi?».

 

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4. Papa Bergoglio su migranti e immigrazione

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E’ venuto ora il momento di visionare i discorsi, spesso riportati parzialmente o tagliati, di Papa Francesco sui migranti.

Di seguito, in ordine cronologico, gli interventi più chiari di Papa Bergoglio (e dei suoi più stretti collaboratori) sul tema immigratorio.

L’elenco è in costante aggiornamento:

 

Il 01 novembre 2016 durante una conferenza stampa, Francesco ha detto:

«In teoria non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare. E se un Paese ha una capacità di venti, diciamo così, di integrazione, faccia fino a questo. Un altro di più, faccia di più. Ma sempre il cuore aperto: non è umano chiudere le porte, non è umano chiudere il cuore, e alla lunga questo si paga. Qui, si paga politicamente; come anche si può pagare politicamente una imprudenza nei calcoli, nel ricevere più di quelli che si possono integrare. Perché, qual è il pericolo quando un rifugiato o un migrante – questo vale per tutti e due – non viene integrato, non è integrato? Mi permetto la parola – forse è un neologismo – si ghettizza, ossia entra in un ghetto. E una cultura che non si sviluppa in rapporto con l’altra cultura, questo è pericoloso. Io credo che il più cattivo consigliere per i Paesi che tendono a chiudere le frontiere sia la paura, e il miglior consigliere sia la prudenza».

 

Il 17 maggio 2016 in una intervista a La Croix, Francesco ha detto:

«Non siamo in grado di aprire le porte in modo irrazionale. La domanda fondamentale da porsi è perché ci sono così tanti migranti oggi e il problema sono le guerre in Medio Oriente e Africa e il sottosviluppo del continente africano. Se c’è la guerra è perché ci sono produttori di armi -produzione giustificata in caso di difesa-, in particolare i trafficanti di armi».

 

Il 09 gennaio 2017 nel discorso al Corpo diplomatico, Francesco ha detto:

«Occorre un impegno comune nei confronti di migranti, profughi e rifugiati, che consenta di dare loro un’accoglienza dignitosa. Ciò implica saper coniugare il diritto di “ogni essere umano […] di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse”, e nello stesso tempo garantire la possibilità di un’integrazione dei migranti nei tessuti sociali in cui si inseriscono, senza che questi sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali. D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti. Un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti, ma implica valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione».

 

Il 22 gennaio 2017 nell’intervista a El Pais, Francesco ha affermato:

«Grazie a Dio la risposta in generale è buona. È molto buona. Ad esempio, quando ho chiesto alle parrocchie di Roma e agli istituti, c’è stato chi ha detto: “questo è stato un fallimento”. Bugia! Non c’è stato alcun fallimento! In un’alta percentuale delle parrocchie di Roma, quando non c’è una casa grande a disposizione o la canonica è piccola, i fedeli affittano un appartamento per una famiglia di migranti. Negli istituti di suore, quando avanza spazio, hanno preparato un luogo per famiglie di migranti… La risposta è maggiore di quanto si crede, e non viene data pubblicità. Il Vaticano ha due parrocchie e ogni parrocchia ha una famiglia di migranti. Un appartamento per ognuna. Si è risposto in continuazione. Il 100 per cento no. Quale percentuale non lo so, però direi il cinquanta per cento. Poi c’è il problema dell’integrazione. Ogni migrante rappresenta un problema molto serio. Loro fuggono dai loro Paesi, per la fame o la guerra. Allora la soluzione bisogna trovarla là. Sono sfruttati per fame o per la guerra».

 

Il 29 gennaio 2017 il nostro sito web ha pubblicato una serie di dichiarazioni di san Giovanni Paolo II che ricalcano fedelmente le parole che utilizzate da Papa Francesco quando parla del fenomeno immigratorio.

 

Il 17 febbraio 2017 sul quotidiano americano Cruxnow è apparso un articolo in cui si legge: «Quando Papa Francesco parla di immigrazione e di costruzione di ponti e non di muri, molti reagiscono ironici chiedendo: “Va bene, ma cosa sta facendo lui in proposito?” Ecco un campionario di alcune delle più recenti iniziative» intraprese dal Vaticano su ordine di Francesco. Segue un’inchiesta documentata su tutto ciò che il Papa ha fatto, attivandosi in prima persona nell’accoglienza cristiana che predica.

 

Il 21 febbraio 2017 Papa Francesco ha detto:

«Di fronte a questa indole del rifiuto, radicata in ultima analisi nell’egoismo e amplificata da demagogie populistiche, urge un cambio di atteggiamento, per superare l’indifferenza e anteporre ai timori un generoso atteggiamento di accoglienza verso coloro che bussano alle nostre porte. […]. La promozione umana dei migranti e delle loro famiglie comincia dalle comunità di origine, là dove deve essere garantito, assieme al diritto di poter emigrare, anche il diritto di non dover emigrare, ossia il diritto di trovare in patria condizioni che permettano una dignitosa realizzazione dell’esistenza. A tal fine vanno incoraggiati gli sforzi che portano all’attuazione di programmi di cooperazione internazionale svincolati da interessi di parte e di sviluppo transnazionale in cui i migranti sono coinvolti come protagonisti. […]. L’integrazione, che non è né assimilazione né incorporazione, è un processo bidirezionale, che si fonda essenzialmente sul mutuo riconoscimento della ricchezza culturale dell’altro: non è appiattimento di una cultura sull’altra, e nemmeno isolamento reciproco, con il rischio di nefaste quanto pericolose “ghettizzazioni”. Per quanto concerne chi arriva ed è tenuto a non chiudersi alla cultura e alle tradizioni del Paese ospitante, rispettandone anzitutto le leggi».

 

Il 28 febbraio 2017 Papa Francesco, nell’intervista alla rivista Scarp de tennis, ha spiegato:

«Hanno il diritto di emigrare e hanno diritto ad essere accolti e aiutati. Questo però si deve fare con quella virtù cristiana che è la virtù che dovrebbe essere propria dei governanti, ovvero la prudenza. Cosa significa? Significa accogliere tutti coloro che si “possono” accogliere. E questo per quanto riguarda i numeri. Ma è altrettanto importante una riflessione su “come” accogliere. Perché accogliere significa integrare. Questa è la cosa più difficile perché se i migranti non si integrano, vengono ghettizzati. Integrare allora vuol dire entrare nella vita del Paese, rispettare la legge del Paese, rispettare la cultura del Paese ma anche far rispettare la propria cultura e le proprie ricchezze culturali».

 

Il 21 febbraio 2017 il corrispondente vaticano Inés San Martín di CruxNow ha sottolineato che la posizione sui migranti di Francesco è in linea con i suoi predecessori, tanto che li cita apertamente.

 

Il 22 marzo 2017 il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha commentato:

«La questione migratoria è un fenomeno molto complesso che non può essere ridotto semplicemente ad una problema di cifre e di quote. Mette alla prova l’Europa nella sua capacità di essere fedele allo spirito di solidarietà e di sussidiarietà che l’ha animata fin dall’inizio. Certamente, con i grandi flussi degli ultimi anni, si pone un problema di sicurezza di cui bisogna tenere conto. Se da un lato non si può ignorare chi è nel bisogno, dall’altro vi è anche la necessità che i migranti osservino e rispettino le leggi e le tradizioni dei popoli che li accolgono. Tuttavia è evidente che l’immigrazione pone anche una sfida culturale, che rimanda al patrimonio spirituale e culturale dell’Europa».

 

Il 23 marzo 2017 sul quotidiano Libero è comparso un elogio al Papa per aver contribuito a trasferire un centinaio di extracomunitari dall’Italia all’Argentina: «Francesco fa il suo mestiere di Papa», si legge. «Si è recato a Lampedusa, ha gridato alla vergogna per i dispersi in mare nel tentativo di raggiungere le nostre coste e si oppone ad ogni ostacolo all’arrivo in Europa di chi è alla ricerca d’una vita migliore. Nei suoi molti discorsi sull’argomento, ha tuttavia ripetuto che l’accoglienza trova un limite nella concreta possibilità di assicurare ai migranti condizioni di vita decorose. Ne ha appena dato esempio: il numero è piccolo, cento persone, ma il valore simbolico e l’indirizzo è grande».

 

Il 14 marzo 2018 alla domanda se Papa Francesco non sia il portabandiera del pensiero unico, il vescovo definito “tradizionalista” e “conservatore”, mons. Luigi Negri, ha risposto: «Il Papa ha la funzione importante e straordinariamente efficace di farci superare la paura del diverso e farci considerare l’ apertura come dimensione necessaria della vita cristiana. Ritengo che, come ci ha insegnato in maniera efficace il grande Cardinale Biffi, competa alle istituzioni mettere le condizioni per impedire l’esilio della civiltà cristiana in casa propria».

 

Il 21 giugno 2018, durante una conferenza stampa, Papa Francesco ha spiegato:

«Ho parlato tanto sui rifugiati e i criteri sono in quello che ho detto: “accogliere, proteggere, promuovere, integrare”. Sono criteri per tutti i rifugiati. Poi ho detto che ogni Paese deve fare questo con la virtù del governo che è la prudenza, perché un Paese deve accogliere tanti rifugiati quanti può e quanti può integrare: integrare, cioè educare, dare lavoro… Questo, direi, è il piano tranquillo, sereno dei rifugiati. C’è il problema del traffico dei migranti […] in cui i trafficanti si sono avvicinati a una nave che aveva accolto dei profughi dai barconi e hanno detto: “Dateci le donne e i bambini e portate via i maschi”. Questo fanno i trafficanti. E le carceri dei trafficanti, per quelli che sono tornati, sono terribili, sono terribili. Nei lager della II guerra mondiale si vedevano queste cose».

 

Il 23 agosto 2018 il card. Anders Arborelius, vescovo di Stoccolma, <em>ha riferito la situazione in Svezia:

«La Chiesa cattolica è tornata a svilupparsi grazie alle migrazioni. L’80% dei cattolici sono immigrati di prima o seconda generazione. Sono venuti con una fede in un Paese secolarizzato. Grazie a loro anche gli svedesi hanno scoperto che la religione è oggi una realtà. Dopo 100 anni di secolarizzazione c’è uno spiraglio aperto al mistero, alla religione, a Dio grazie alla migrazione. Allo stesso tempo vediamo che in tanti Paesi c’è una politica contro la migrazione. Anche in Svezia la politica è cambiata e sta chiudendo le sue porte ai migranti. Molti vedono la migrazione come una minaccia, ma possiamo fare la constatazione che grazie alla migrazione la Chiesa cattolica si è potuta sviluppare, grazie soprattutto alle persone giunte dal Medio Oriente».

 

Il 26 agosto 2018 nella conferenza stampa durante il volo di ritorno dall’Irlanda, Papa Francesco ha affermato:

«Accogliere il migrante, “lo straniero” è nello spirito della rivelazione divina e anche nello spirito del cristianesimo. E’ un principio morale. Su questo ho parlato, e poi ho visto che dovevo esplicitare un po’ di più, perché non si tratta di accogliere “alla belle étoile”, no, ma un accogliere ragionevole. E questo vale in tutta l’Europa […]. Ho parlato qui, in una conferenza stampa fra voi, della virtù della prudenza che è la virtù del governante, e ho parlato della prudenza dei popoli sul numero o sulle possibilità: un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga. Lì c’è il problema della prudenza. E credo che proprio questa sia la nota dolente del dialogo oggi nell’Unione Europea. Si deve continuare a parlare: le soluzioni si trovano».

 

Il 02 novembre 2018 nel messaggio al Forum Sociale Mondiale sulle Migrazioni, Papa Francesco ha invitato a «impegnarsi a promuovere una più equa ripartizione delle responsabilità nell’assistenza ai richiedenti asilo e ai rifugiati.».

 

Il 29 gennaio 2019 durante la conferenza stampa nel volo di ritorno da Panama, Francesco ha detto:

«Il governante deve usare la prudenza, perché la prudenza è la virtù di chi governa. È una equazione difficile. A me viene in mente l’esempio svedese, che negli anni ‘70, con le dittature in America Latina ha ricevuto tanti immigrati, ma tutti sono stati integrati. Anche vedo che cosa fa sant’Egidio, ad esempio: integra subito. Ma gli svedesi l’anno scorso hanno detto: fermatevi un po’ perché non riusciamo a finire il percorso di integrazione. E questa è la prudenza del governante. È un problema di carità, di amore, di solidarietà. Ribadisco che le nazioni più generose nel ricevere sono state l’Italia e la Grecia e anche un po’ la Turchia. La Grecia è stata generosissima e anche l’Italia, tanto. È vero che si deve pensare con realismo. Poi c’è un’altra cosa: il modo di risolvere il problema delle migrazioni è aiutare i Paesi da dove vengono i migranti. Vengono per fame o per guerra. Investire dove c’è la fame, l’Europa è capace di farlo, e questo è un modo per aiutare a crescere quei Paesi. Ma sempre c’è quell’immaginario collettivo che abbiamo nell’inconscio: l’Africa va sfruttata! Questo appartiene alla storia, e fa male! I migranti del Medio Oriente hanno trovato altre vie d’uscita. Il Libano è una meraviglia di generosità, ospita più di un milione di siriani. La Giordania, lo stesso. E fanno quello che possono, sperando di reintegrare. Anche la Turchia ha ricevuto qualcuno. E anche noi in Italia abbiamo accolto qualcuno. È un problema complesso sul quale si deve parlare senza pregiudizi».

 

Il 26 febbraio 2019 don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio nazionale per gli interventi caritativi della CEI a favore del Terzo mondo, ha spiegato che il progetto “Liberi di partire, liberi di restare” spazia dall’educazione alla formazione, anche professionale, all’informazione e alla sensibilizzazione in loco sui rischi della migrazione, al settore sanitario fino a quello socio-economico con la promozione di opportunità lavorative e di accompagnamento di chi sceglie di rientrare nella propria patria. Senza dimenticare i percorsi di riconciliazione e di gestione dei conflitti. Oltre ai progetti finalizzati all’integrazione, il più possibile ottimale, degli immigrati sul suolo italiano, sono 12 i progetti intrapresi nei Paesi di partenza, come Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Gambia, Guinea, a fronte di uno stanziamento di 8.166.000 euro. Altri 3.884.600 euro sono invece stati destinati per aiutare i cosiddetti “paesi di transito”, come Niger, Tunisia, Algeria, Albania, Turchia e Marocco.

 

Il 22 marzo 2019 Papa Francesco ricevendo in udienza una delegazione di parlamentari della Repubblica Ceca e della Repubblica Slovacca, ha invitato gli esponenti dei due governi a non guardare al Vangelo come amplificatore delle diversità culturale. E ha detto:

«La vostra storia insegna che il Cristianesimo ha sempre rappresentato la fonte della speranza e la forza della ripresa, specialmente nei periodi più bui e difficili. Come rappresentanti del popolo nelle istituzioni, siete chiamati a riscoprire l’intrinseco legame esistente tra il Vangelo e la vostra identità culturale, rivalutando le vostre radici cristiane per costruire una società in cui possa attuarsi la mutua accoglienza e la solidarietà reciproca. San Cirillo ha saputo tessere rapporti di conoscenza e di cordialità tra i popoli, diventando anello di congiunzione tra diverse culture e tradizioni ecclesiali», auspicando -ha concluso il Papa- che «una così significativa eredità spirituale e culturale susciti in tutti i vostri concittadini il desiderio dell’incontro e dell’apertura all’altro».