«Poligamia? Ingiustizia per le donne». L’imam “convertito” da Bergoglio

poligamia imamUn mese fa l’incontro storico con Papa Francesco e l’impegno sui diritti delle donne. Il grande imam Ahmad al-Tayyeb, massima autorità dell’Islam sunnita, si scaglia contro la poligamia e dichiara “in errore” chiunque la sostenga.

 

Autorevoli osservatori, come mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, hanno calorosamente apprezzato la recente visita di Papa Francesco ad Abu Dhabi, in particolare l’incontro storico con l’imam Ahmad al-Tayyeb, la massima autorità dell’Islam sunnita.

«Mentre per noi cattolici è una delle tante visite del Papa», ha spiegato mons. Pizzaballa, «in Medio Oriente è considerata qualcosa di storico perché si è svolta vicino al cuore del mondo islamico. Ha avuto un impatto molto forte sull’intera società islamica e sulla mentalità della gente in Medio Oriente. Inoltre, la dichiarazione che ha firmato con l’imam di Al-Azhar è stata molto importante perché quest’ultimo rappresenta un’autorità molto influente nel mondo islamico. Penso che questa visita sia stata estremamente necessaria e che abbia cambiato radicalmente i rapporti tra cristiani e musulmani».

 

“Chi sostiene la poligamia è in errore”, parla l’imam di Al-Azhar.

Un primo, piccolo ma non trascurabile segno di cambiamento, è stato possibile apprezzarlo in questi giorni quando lo stesso imam Ahmad al-Tayyeb ha sorprendentemente affermato che la pratica della poligamia è il risultato di «una mancanza di comprensione del Corano e della tradizione del Profeta». La poligamia, ha proseguito in un programma televisivo, «è spesso un’ingiustizia per le donne e per i figli. Coloro che sostengono che il matrimonio debba essere poligamo, sono tutti in errore». Il Corano, ha aggiunto l’imam, prescrive che per fare in modo che un musulmano abbia più mogli «debba obbedire alle condizioni di equità» e «se c’è ingiustizia è proibito avere più mogli».

Le dichiarazioni hanno suscitato molte polemiche nel mondo islamico, tanto che l’imam ha dovuto precisare in seguito che non ha chiesto la messa al bando della poligamia. Hanno trovato invece ampio sostegno dal Consiglio nazionale egiziano per le donne.

 

Un mese fa lo storico incontro con Papa Francesco e l’impegno sui diritti delle donne.

Il sorprendente intervento del grande imam di Al-Azhar è arrivato poche settimane dopo l’incontro con Papa Francesco, durante il quale la Santa Sede aveva “strappato” al leader islamico un accordo storico in protezione dei cristiani perseguitati. Per la prima volta un imam ha parlato a nome di tutti i musulmani, impegnandosi in loro nome nel proteggere le minoranze religiose e a considerare i cristiani ‘cittadini’ di pari livello. Ma non solo.

Nel Documento sulla fratellanza umana, firmato assieme a Papa Bergoglio, c’è un paragrafo dedicato interamente ai diritti della donna, impegnandosi a «proteggerla dallo sfruttamento sessuale e dal trattarla come merce o mezzo di piacere o di guadagno economico. Per questo si devono interrompere tutte le pratiche disumane e i costumi volgari che umiliano la dignità della donna e lavorare per modificare le leggi che impediscono alle donne di godere pienamente dei propri diritti». La poligamia non è citata espressamente, ma è sottintesa.

Le recenti dichiarazioni contro la poligamia di Ahmad al-Tayyeb vanno lette all’interno di questo impegno che l’imam ha pubblicamente preso con Francesco ed il mondo cattolico.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

La Cei stanzia 12 milioni per aiutare i migranti “a casa loro”

cei migranti“Liberi di partire, liberi di restare”. E’ il progetto dei vescovi italiani iniziato nel 2017 a favore dell’integrazione dei migranti, ma anche dell’aiuto nei paesi di transito e di origine, perché “l’aiuto ai migranti comincia nei paesi di origine, dove va tutelato anche il diritto a non dover emigrare”. Lo ha detto Papa Francesco.

 

“I preti vogliono le frontiere aperte? Allora portino i migranti a casa loro!”. Così ripetono i saggi abitanti dei social network. Mai che sorga il dubbio che già lo stiano facendo. Il 60% delle diocesi italiane ha infatti aperto le sue porte, a proprie spese, per accogliere 25mila persone immigrate nell’anno 2017 (l’ultimo monitoraggio CEI), senza mai trascurare il loro quotidiano impegno per gli indigenti di nazionalità italiana.

E che dire del Vaticano? Perché nessuno riporta che all’interno delle Mura leonine sono da anni ospitati 10 migranti (su 605 persone che vivono nel territorio vaticano)?

Come si evince da una lettura non preconcetta dei discorsi sul tema di Papa Francesco, la posizione della Chiesa è come sempre equilibrata. Da una parte, dal tempo di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, c’è sempre una premurosa attenzione morale ed evangelica alle famiglie migranti e al loro diritto di cercare e chiedere accoglienza, così come c’è il dovere morale dei paesi più ricchi di concedere loro ospitalità, salvaguardati a loro volta dal diritto di ogni Stato di regolare i flussi a seconda delle proprie possibilità.

 

L’impegno della CEI nei paesi di origine e di transito.

Ma dall’altra, è anche grande l’impegno dei vescovi italiani nell’aiutare i migranti “a casa loro”, perché possano essere messi nella condizione di non dover lasciare la propria terra. “Liberi di partire, liberi di restare”, si chiama infatti la campagna della Conferenza Episcopale Italiana, iniziata due anni fa. Oltre ai progetti finalizzati all’integrazione, il più possibile ottimale, degli immigrati sul suolo italiano, sono 12 i progetti intrapresi nei Paesi di partenza, come Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Gambia, Guinea, a fronte di uno stanziamento di 8.166.000 euro. Altri 3.884.600 euro sono invece stati destinati per aiutare i cosiddetti “paesi di transito”, come Niger, Tunisia, Algeria, Albania, Turchia e Marocco.

 

Aiuto ai migranti che vogliono rientrare nella loro patria.

Don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio nazionale per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo, ha spiegato che si tratta di iniziative che spaziano dall’educazione alla formazione, anche professionale, all’informazione e alla sensibilizzazione in loco sui rischi della migrazione, al settore sanitario fino a quello socio-economico con la promozione di opportunità lavorative e di accompagnamento di chi sceglie di rientrare nella propria patria. Senza dimenticare i percorsi di riconciliazione e di gestione dei conflitti.

 

Papa Francesco: “tutelare il diritto a non dover emigrare”.

Così, senza grandi pubblicità o dirette su Facebook, la CEI ha investito 12 milioni di euro per tentare di risolvere i problemi che spingono i migranti ad arrivare sulle coste italiane e dei paesi europei. Questo perché, ha spiegato Papa Francesco, «la promozione umana dei migranti e delle loro famiglie comincia dalle comunità di origine, là dove deve essere garantito, assieme al diritto di poter emigrare, anche il diritto di non dover emigrare, ossia il diritto di trovare in patria condizioni che permettano una dignitosa realizzazione dell’esistenza. A tal fine vanno incoraggiati gli sforzi che portano all’attuazione di programmi di cooperazione internazionale svincolati da interessi di parte e di sviluppo transnazionale in cui i migranti sono coinvolti come protagonisti».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Nausica Della Valle. Puoi diventare gay, guai il contrario.

lesbicaNausicaa Della Valle, giornalista di Mediaset e inviata di “Quinta Colonna”. Non è più lesbica ed è il nuovo bersaglio dell’associazionismo Lgbt: “Cecchi Paone è diventato gay e tutti lo accolgono bene. Io invece sono passata da essere lesbica a come mi ha creato Dio, allora è scandalo, non si può dire, non si può più parlare”.

 

Ha colto il punto, Nausicaa Della Valle. Giornalista di Mediaset e inviata del programma televisivo Quinta Colonna, in onda su Rete 4. Una delle migliaia di ex omosessuali che si sono riappropriate della loro eterosessualità e soltanto le bigotte associazioni arcobaleno, nel 2019, possono ancora tentare di censurare questa realtà così diffusa.

 

Cecchi Paone può diventare gay, ma nessuno può uscirne.

A raggiungere il cuore della questione sono le parole della giornalista dopo la persecuzione mediatica che ha subito, a partire dall’ex etero Alessandro Cecchi Paone: «Ho detto a Cecchi Paone se si rendeva conto di una cosa: eri sposato e poi sei diventato gay e ti sei innamorato di un uomo e adesso tutti ti accolgono bene. Io invece, grazie a Dio, sono passata da essere lesbica all’origine, come mi ha creato Dio, allora è scandalo e non si può dire e non si può parlare».

Come dar torto a Della Valle? Si pensi ai tentativi dell’Arcigay di bloccare addirittura il Festival di Sanremo, nel 2008, per impedire a tutti i costi al cantante Giuseppe Povia di cantare il suo successo: “Luca era gay”.

 

“Se torni indietro ti dicono che hai rinnegato la tua natura”.

Alla trasmissione radiofonica La Zanzara, la giornalista ha continuato: «Quando da etero passi a gay ti dicono: “hai trovato la tua natura”. Invece, se torni indietro, ti dicono che hai rinnegato la tua natura. E nel lavoro la mia situazione è peggiorata, sono un po’ criminalizzata». Una situazione di discriminazione già denunciata nei mesi scorsi dall’attore Fabio Testi, il quale ha denunciato di essere stato costretto a lavorare all’esterno perché «devo fare un tesserino da gay per lavorare in Rai, ormai in Italia il lavoro artistico si è limitato a certi gruppi, dove io son tagliato fuori perché sono troppo quadrato. Io non ho tesserino e allora mi lasciano a casa così non gli rompo i coglioni».

A proposito di censura e persecuzione, ancora una volta l’Arcigay non ha nascosto l’omo-fascismo che caratterizza tutto l’associazionismo arcobaleno: «L’Arcigay non vuole farmi parlare. E altre associazioni», ha denunciato Nausicaa Della Valle, che avrebbe dovuto intervenire in un convegno a Biella il 2 marzo scorso (poi annullato). «Sono loro che fanno pressioni per impedire i convegni dove voglio spiegare la mia posizione e perché non sono più lesbica. Con le lobby gay che predominano, sei massacrato. Una vita normale da etero, come Dio ha creato, non la puoi fare. C’è eterofobia, molta eterofobia. E’ più facile aggregarsi alla massa che essere controcorrente da sola, anche se ci sono moltissime persone che sono uscite dall’omosessualità».

 

Il trucco del mondo Lgbt per censurare i dissidenti.

I circoli Lgbt giustificano la repressione sostenendo che vogliono censurare coloro che affermano che l’omosessualità è una malattia, strumentalizzando chi parla di “guarigione”. Ma l’aspetto medico non è mai sfiorato né dalla giornalista di Mediaset, né dai tanti ex-gay che tentano di rivendicare il loro diritto di parola. Si riferiscono, semmai, ad una “guarigione interiore“, ovvero un cambiamento morale per il quale -in base alla loro esperienza- si sentono rinati. Tanto che la canzone di Povia dice espressamente: «nessuna malattia, nessuna guarigione»  (e comunque non lo ha messo al riparo dalla censura) e lo stesso ripete Della Valle: «Non ho mai detto che l’omosessualità è una malattia. E’ una ferita dell’anima». E ancora: «Vado in giro per le parrocchie per dire che bisogna accoglierli, amarli e curarli. Parlo dei gay: curare le ferite dell’anima», non certo sottoporli a terapie obbligatorie di elettroshock.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

L’aiuto dei laici e chiese aperte tutto il giorno. La bella proposta di un vescovo.

porte aperte chieseIl vescovo di Minorca, mons. Francisco Simon Conesa, ha suggerito la soluzione per permettere alla comunità cittadina di poter trovare sempre porte aperte ed accoglienza nelle parrocchie della città. A Madrid un caso esemplare: una comunità viva dove l’evangelizzazione è costante.

 

«La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte. Così che, se qualcuno vuole seguire una mozione dello Spirito e si avvicina cercando Dio, non si incontrerà con la freddezza di una porta chiusa». E’ bella la proposta lanciata da Papa Francesco nell’esortazione Evangelii gaudium.

Tenere aperte le chiese il più possibile, renderle una comunità viva, di costante incontro, preghiera, confessione. Molti sacerdoti si sono già organizzati per farlo.

 

Il vescovo di Minorca: “Porte aperte il più possibile, è necessario l’aiuto dei laici”.

Dalla Spagna è arrivata in queste ore una bella proposta da parte del vescovo di Minorca, Francisco Simon Conesa. Data la scarsità dei sacerdoti e i loro molti impegni, l’invito è quello di formare gruppi di parrocchiani disponibili ad essere presenti tutto il giorno così da permettere l’ingresso dei fedeli ed, eventualmente, accogliere con discrezione e fraternità anche turisti, visitatori o semplici curiosi.

«Un segno che siamo davvero una Chiesa a porte aperte è quello di mantenere aperte le porte dei nostri templi il più a lungo possibile», ha scritto mons. Conesa. «E’ triste scoprire che molte chiese sono aperte solo il tempo necessario per celebrare gli atti di culto. Durante il resto della giornata, i parrocchiani non hanno l’opportunità di entrare per pregare o inginocchiarsi al Tabernacolo. Una chiesa che ha le porte chiuse dà l’impressione di qualcosa che è morto».

Il vescovo di Minorca non nasconde le inevitabili difficoltà a custodire l’apertura delle chiese per tutto il giorno, citando l’aumento della manutenzione, il rischio di rapine e la necessità dei sacerdoti di occuparsi anche di altro. «Pertanto», ha proposto il vescovo spagnolo, «per mantenere le porte aperte, è necessario l’aiuto dei laici. So con soddisfazione che ci sono parrocchie che hanno costituito un gruppo di laici che si alternano per tenerle aperte»

«Nei tempi antichi», ha proseguito il vescovo di Minorca, «vi era un unico ufficio all’interno della comunità che si chiamava “ostiary” (dal latino “ostium”, che significa “porta”). Apriva le porte e accoglieva la gente, questo fino alla riforma del Concilio Vaticano II fu uno degli ordini minori prima del presbiterio. Oggi sarebbe necessario rivitalizzare questo servizio ecclesiale». Laici organizzati che sappiano accogliere, «salutando a nome della comunità le persone che vengono alle nostre celebrazioni. Le porte aperte dei nostri templi sono un segno prezioso di ciò che la nostra Chiesa vuole essere. Spero che troveremo delle soluzioni per tenerle aperte!».

 

A Madrid è rinata una comunità grazie alla parrocchia accogliente tutto il giorno.

A Madrid c’è una parrocchia nel quartiere più povero della città, il Puente de Vallecas. E’ guidata da don José Manuel Horcajo ed era completamente deserta prima del suo arrivo, oggi invece fiorisce di attività caritatevoli con oltre 300 volontari e i parrocchiani hanno cominciato nuovamente a frequentare la Messa, ogni domenica la chiesa è gremita. Don Horcajo ha spiegato che una delle prime cose che fece una volta arrivato alla parrocchia di San Ramón Nonato fu proprio quella di spalancare le porte della chiesa il più tempo possibile.

«Il primo punto della pastorale missionaria è di aprire la chiesa tutto il giorno», ha detto il parroco spagnolo in un’intervista. «Lo facciamo dalle 7.30 alle 21.30 e il giovedì fino alle 24.00. Il Signore farà il resto. Quello che ho visto è che se apri la chiesa, le persone entrano a piangere, a sfogarsi, a pregare, anche solo a riposare, perché qui possono farlo tranquillamente. Molti dormono sulle terrazze, sul divano nella sala da pranzo, o non possono stare a casa perché ci sono litigi, qui in chiesa invece sono tranquilli. Si sentono molto felici. I parrocchiano sono abituati a parlare con coloro che vedono tristi o piangenti, tutto finisce per diventare evangelizzazione. Devi aprire la chiesa e poi Dio farà il resto».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

L’Unione Sovietica e i musei per il “catechismo ateo”

Ex luoghi di culto trasformati in luoghi di indottrinamento obbligatorio all’ateismo scientifico. Ecco la scoperta degli storici su quanto avvenne durante la dittatura sovietica.

 

Pochi di coloro che oggi visitano la bellissima Cattedrale di Kazan, a San Pietroburgo, sanno che per 60 anni tale edificio è stato usato per ridere dell’esistenza di Dio e catechizzare studenti e lavoratori russi sull’assurdità e sulla malvagità della religione (nella foto una vignetta sovietica). Il Museo dell’ateismo San Pietroburgo (o Leningrado, come si chiamò durante la dittatura) aprì i battenti nel novembre 1932.

 

Musei di indottrinamento obbligatorio all’ateismo scientifico.

Ce n’erano molti di questi luoghi di indottrinamento, come segnala questo vecchio articolo del New York Times, quasi sempre ex luoghi di culto (comprese sinagoghe, moschee e templi buddisti), riconvertiti per una “migliore causa”. Victoria Smolkin, docente di Storia russa presso la Wesleyan University, ha pubblicato recentemente il libro Uno spazio sacro non è mai vuoto: storia dell’ateismo sovietico (Princeton Press 2018), arrivando ad elencarne centinaia.

I bolscevichi, ha spiegato la Smolkin, avevano capito che tali luoghi non servivano solo per depositare i beni confiscati ai religiosi, ma potevano essere anche un ottimo metodo di “catechesi”. Lo storico dell’University College London, Crispin Paine, ha a sua volta osservato nel suo lungo articolo che in tali edifici si insegnava come la religione era serva del capitalismo e della borghesia, si promuoveva l’adorazione della scienza come risposta a tutto, il completo sostituto della fede e mezzo per giungere alla felicità. Venivano inoltre svelati i “trucchi” che i sacerdoti usavano per ingannare il popolo. Almeno secondo le convinzioni del partito comunista. Charles Seely, un ufficiale della marina americana che visitò il Museo ateo di Mosca alla fine degli anni ’30, ha raccontato che una guida gli mostrò un’icona che sembrava piangere, per poi svelargli il meccanismo a contagocce usato per la finta lacrimazione. Scacco matto, cari creduloni!

In un altro reparto erano stati costruiti mostruosi strumenti di tortura, che si diceva fossero quelli usati dall’Inquisizione spagnola, così da convincere di quanto fosse orribile la cristianità. E detto dai seguaci di Stalin, suona rassicurante. Quasi tutte le scuole sovietiche avevano l’obbligo di recarsi ai Musei dell’ateismo: quello di Leningrado, ad esempio, ricevette 257.000 visitatori nel 1956 e 700.000 nel 1963. Paine stima che almeno un terzo fossero classi di studenti con i loro insegnanti. Secondo un articolo del New York Times del 1976, uno studio su 1.737 bambini di Leningrado mostrò che il 61% aveva un “atteggiamento positivo” verso l’ateismo; solo il 9% aveva un “atteggiamento negativo”; il restante era indifferente.

 

Cos’è rimasto oggi di questo immenso sforzo di proselitismo?

Il ‘900 è stato definito il “secolo senza Dio”, dove uomini malvagi si imposero come dèi a comando delle più sanguinarie dittature della storia dell’umanità. Ma cos’è rimasto, oggi, di tutto questo impressionante sforzo di proselitismo? Secondo i dati del 2012, la percentuale di credenti oggi in Russia è addirittura superiore a quella nel periodo precedente la rivoluzione bolscevica: l’88% della popolazione crede in Dio ed il 79% fa parte della Chiesa Ortodossa. Negli ultimi vent’anni, dunque, più di un russo su due ha riscoperto la fede cristiana, abbandonando l’indottrinamento ricevuto. Nemmeno in questo caso l’ateismo ha saputo dire qualcosa di affascinante al cuore dell’uomo.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Il card. Sarah: «Bergoglio? Dio ci parla attraverso il Papa»

sarah cardinaleIl card. Sarah e Papa Bergoglio. In un messaggio del porporato guineano, spesso contrapposto dai tradizionalisti a Papa Francesco, parole che indicano continuità tra gli ultimi tre pontificati. Una stima per Francesco che conferma sue precedenti dichiarazioni.

 

Mentre il rumoroso movimento antipapista mette quotidianamente in discussione l’elezione di Papa Francesco, l’applicabilità del dogma dell’infallibilità papale e l’inspirazione dello Spirito Santo durante il Conclave, da uno dei pastori più idolatrati (suo malgrado) del mondo conservatore arriva un messaggio molto significativo e in direzione completamente opposta.

Nei suoi (deliranti) articoli, il giornalista Antonio Socci ritrae il card. Robert Sarah come una sorta di “anti-Papa” rispetto a Papa Bergoglio, uno strumento attraverso il quale il Papa emerito Benedetto XVI avrebbe «messo un macigno sulla strada di quell’establishment bergogliano che sta progettando la “rivoluzione” della liturgia e dell’Eucaristia, che sarebbe un colpo mortale alla sopravvivenza della Chiesa cattolica». C’è sempre, immancabile, un complotto catastrofista.

 

Fu Papa Francesco a nominare il card. Sarah prefetto per il Culto divino.

Ma il castello di fantasia crolla quando si ricorda che è stato proprio Papa Francesco, nel 2014, a nominare come nuovo prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, il cardinale guineano. Tanto che il vaticanista Matteo Matzuzzi scrisse allora: «il mondo tradizionalista può tirare un sospiro di sollievo, ricordando come Sarah sia uno dei porporati che più sostengono l’applicazione del motu proprio Summorum Pontificium», ovvero la lettera apostolica di Benedetto XVI con la quale ha approvato la celebrazione della cosiddetta messa tridentina per tentare di riportare nella piena comunione con Roma quei fedeli che se ne erano distaccati non accettando le riforme del Concilio Vaticano II.

 

“Francesco ha posto nelle mie mani una grande responsabilità”.

Pochi giorni fa il card. Sarah ha colto l’occasione del 20° anniversario della rivista spagnola El taller del orfebre, che mira a diffondere la dottrina della Chiesa e la fedeltà al Santo Padre, per inviare ai responsabili un messaggio di elogio ed apprezzamento. Il nome della rivista è quello di una commedia scritta nel 1956 dall’allora Karol Wojtyla, quand’era professore presso l’Università di Lublino. Il porporato ha ricordato tutto questo, attraverso tali parole:

«Nel corso di questi venti anni, come si può vedere lungo i numeri pubblicati, questa rivista ha servito la missione di portare ai fedeli l’insegnamento della Chiesa, che Dio ci ha dato attraverso i pontefici romani. Dio ci parla attraverso il Papa, come ho sentito durante tutta la mia vita.

San Giovanni Paolo II mi ha chiamato a collaborare con lui come Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, dove ho potuto vedere che la bellezza della Chiesa non risiede nel numero dei fedeli, ma nella misura in cui sono santi. Benedetto XVI, chiamandomi a presiedere il Pontificio Consiglio Cor Unum, mi ha permesso di sperimentare la compassione e la vicinanza della Chiesa ai poveri. Francesco, mettendomi a capo della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha posto nelle mie mani la responsabilità di realizzare il desiderio della Sacrosanctum Concilium: la partecipazione piena, consapevole e attiva dell’intero popolo di Dio nelle celebrazioni liturgiche. Usate quindi questo anniversario per fare grata memoria di coloro che hanno reso possibile il raggiungimento di questo ventesimo anniversario con sforzo e dedizione, e, in secondo luogo, per riaccendere l’amore per la Chiesa e per il Successore di Pietro».

Parole molto belle e pienamente cattoliche, che collegano naturalmente gli ultimi tre pontificati. Così distanti dalle acide polemiche in cui si ritrovano incastrati i gruppi tradizionalisti, con conseguenze letali sulla loro serenità spirituale.

 

Il card. Sarah: “Francesco è un dono di Dio, sbagliato criticarlo”.

Lo stesso card. Sarah aveva già preso posizione contro i blogger polemisti nei confronti di Francesco: «Cosa pensare di un figlio o di una figlia che critica pubblicamente il padre o la madre? Come potrebbe la gente rispettare quella persona? Il Papa è nostro padre. Gli dobbiamo rispetto, affetto e fiducia (anche se le critiche non sembrano dargli fastidio). Per via di certi scritti o di certe dichiarazioni, alcuni potrebbero avere l’impressione che egli potrebbe non rispettare la dottrina. Personalmente, ho piena fiducia in lui ed esorto ogni cristiano a fare lo stesso».

E ancora: «Bisogna stare tranquilli perché nella barca che il Papa guida, c’è anche Gesù, Colui che ha detto a Pietro: “Ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32). Un conclave è un’azione di Dio, è Dio che dà un papa alla Chiesa. Dio ci ha dato Francesco per guidare la Chiesa oggi».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Vietare aborto peggiora salute della donna. E’ falso, ritirato lo studio.

aborto moralità donnaAborto e mortalità materna. La rivista Contraception ha pubblicato uno studio falso cercando di smentire le ricerche che dimostrano che limitare l’aborto non aumenta la mortalità materna. Ma ha falsificato i risultati ed è stata costretta a ritirare la ricerca, con tanto di scuse.

 

Il ricercatore Blair Darney, della Oregon Health & Science University, voleva a tutti i costi dimostrare che le leggi restrittive sull’aborto aumentavano la mortalità materna, così che i media avrebbero finalmente potuto utilizzare dati scientifici a sostegno della loro campagna di liberalizzazione dell’interruzione di gravidanza in nome della “salute riproduttiva” delle donne.

 

Limitare l’aborto non aumenta la mortalità materna, lo dice la letteratura scientifica.

Eppure, gli studi dedicati all’argomento contraddicono fortemente la tesi mediatica. Un’indagine del 2012, pubblicata su BMJ Open e realizzata da ricercatori americani e cileni guidata dall’epidemiologo cileno Elard S. Koch (Melisa Institute), ha dimostrato che in Cile, da quando l’aborto è stato vietato dal 1989, non si è verificato alcun aumento della mortalità materna e, anzi, è ancora oggi uno dei Paesi con il tasso più basso di mortalità materna nel mondo.

Un secondo studio, realizzato nel 2013 in Irlanda (quando ancora l’aborto era illegale) da ricercatori della West Virginia University-Charleston e della University of North Carolina, ha dimostrato la presenza di una minor mortalità materna rispetto all’Inghilterra, paesi in cui l’aborto è invece ampiamente liberalizzato. E i tassi di ottima salute delle donne si verificano anche in Polonia, dove l’aborto è fortemente limitato.

 

Il tentativo di smentire l’evidenza.

Darney, consapevole di questa situazione e per nulla contento del panorama scientifico, ha tentato di smentire il primo studio citato, quello realizzato dal dott. Koch. Si è fatto sovvenzionare per 250mila dollari dalla Society of Family Planning (ente pro-aborto) e nel 2016 ha realizzato a sua volta uno studio, pubblicato su Contraception, per dimostrare che vietare l’aborto significa aumentare la mortalità delle donne (tecnicamente chiamata MMR, Maternal mortality ratio). Fin dall’inizio il modus operandi di Darney rivela quindi che studi del genere vengono realizzati sulla spinta di un pregiudizio, forzando le conclusioni perché aderiscano all’ideologia iniziale del loro autore.

Ma il meglio deve ancora venire. Nonostante le sue intenzioni, anche la ricerca di Darney confermerà effettivamente una diminuzione della mortalità materna (MMR) in 31 stati dell’America latina che limitano l’aborto rispetto a quelli relativi a Città del Messico, dove non vi sono restrizioni. Incredibilmente, tuttavia, nelle conclusioni si legge l’esatto opposto, cioè che «Città del Messico (l’unico stato con accesso all’aborto su richiesta) è associato a una diminuzione di 22,5 unità in MMR rispetto ai 31 stati con accesso limitato».

 

Il conflitto di interessi della rivista abortista “Contraception”.

Com’è possibile che l’editore della rivista Contraception e i relativi revisori non si siano accorti di nulla? Occorre premettere che Contraception è la rivista interna della Society of Family Planning (SFP), ovvero la finanziatrice dello studio in questione, la cui ideologia è chiaramente a favore della liberalizzazione dell’interruzione di gravidanza. Il conflitto di interessi è piuttosto evidente, senza contare che il capo redattore di Contraception, Carolyn Westhoff, è anche membro fondatore della SFP. Si è anche scoperto che il padre di Blair Darney, il dottor Philip Darney, oltre ad essere a sua volta un membro del comitato editoriale di Contraception, è anche uno dei principali finanziatori della Society of Family Planning (SFP).

 

La ritrattazione dello studio: cattiva condotta scientifica e false conclusioni.

Basandosi su queste premesse, il team scientifico dell’epidemiologo Elard S. Koch, autore dello studio che sarebbe stato confutato da parte di Darney, ha approfondito la metodologia utilizzata nella ricerca pubblicata su Contraception, scoprendo un’interpretazione grossolanamente errata di risultati statistici corretti, oltre a numerose omissioni metodologiche. Così nel 2008 è stata inviata una documentata risposta a Contraception, con l’accusa di «cattiva condotta scientifica e false conclusioni». La rivista ha subito ammesso alcuni errori presenti nell’indagine di Darney, ma in seguito all’esplodere del caso -legato sopratutto all’enorme conflitto di interessi- è arrivata a fine 2018 a ritirare totalmente lo studio e a ritrattarne le conclusioni, tentando di salvaguardare la reputazione.

Questo non ha però completamente soddisfatto l’epidemiologo Koch e i co-autori del suo studio, i quali hanno assunto un avvocato per ottenere una ritrattazione più completa da parte della rivista Contraception. La causa è ancora in corso e il dott. Koch ha dichiarato: «L’articolo ha messo a rischio non solo la mia reputazione e quella dei miei colleghi, ma anche il giusto riconoscimento della nostra ricerca. Che sia finita con la ritrattazione è per noi un sollievo».

La ritrattazione di uno studio è la cosa peggiore che può accadere ad uno scienziato e avviene quando l’errore è talmente grave da invalidarne totalmente il contenuto. Nel caso di Darney, il risultato chiave è stato capovolto e utilizzato per screditare uno studio scientificamente valido ma ideologicamente scomodo. La conclusione è che si può scientificamente affermare che le leggi che restringono l’accesso di aborto non aumentano affatto la mortalità materna, dire il contrario significa mentire. Il prof. Darney ora lo sa bene, è improbabile che voglia riprovarci.

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Il card. George Pell, una condanna piena di dubbi

george pell abusiIl cardinale George Pell è stato condannato in primo grado per abusi sessuali quando era vescovo di Melbourne. Ma un famoso sacerdote australiano, che ha seguito tutto il processo, sottolinea le contraddizioni dell’accusa e l’impossibilità che i fatti si siano svolti come descritti, ai quali però ha creduto la giuria.

 
di Frank Brennan*
*sacerdote e attivista per i diritti umani

da The Australian, 26/02/19
 
 

Il card. George Pell è stato condannato all’unanimità. A dicembre, una giuria di 12 suoi concittadini lo ha riconosciuto colpevole di cinque reati di abusi sessuali su minori. Il cardinale si è dichiarato innocente e ha fatto appello.

La giuria ha impiegato tre giorni per deliberare dopo un processo di quattro settimane. Il processo era, in effetti, una ripetizione. Al primo processo, la giuria non aveva trovato un accordo e riguardava due presunte vittime, una delle quali era morta. Il denunciante, che non può essere identificato, non ha fornito nuove prove per il nuovo processo.

 

Ecco per cosa è condannato il card. Pell.

I fatti risalgono ad eventi accaduti nel 1996 o nel 1997, quando il denunciante era un ragazzo di tredici anni nella cattedrale di St Patrick a Melbourne e Pell era da poco arcivescovo di Melbourne. Il denunciante ha affermato che il primo abuso si è verificato dopo una solenne Messa domenicale, celebrata da Pell, nella seconda metà del 1996, il 15 dicembre 1996 o il 22 dicembre 1996.

Il denunciante ha detto che lui ed un altro ragazzo del coro hanno lasciato la processione liturgica, si sono recati in sagrestia e hanno iniziato a bere il vino utilizzato durante la Messa. L’arcivescovo arrivò non accompagnato, li punì e poi, mentre indossava i suoi copiosi paramenti liturgici, li abusò sessualmente. Il denunciante ha riferito che la porta della sagrestia era spalancata e che vedeva passare i chierichetti lungo il corridoio. Il denunciante ha detto che lui e l’altro ragazzo sono poi tornati nei loro posti del coro, che in quel momento stava provando alcune canzoni natalizie.

Questi due ragazzi sono rimasti nel coro per un altro anno e mai hanno parlato della vicenda. Il denunciante ha sostenuto che circa un mese dopo i fatti, sempre in seguito ad una messa domenicale presieduta dall’arcivescovo, Pell arrivò lungo il corridoio fuori dalla sacrestia, dov’erano presenti anche molti coristi, afferrò il denunciante, lo mise contro il muro e strinse saldamente tra le mani i suoi genitali. Il denunciante ha riferito che Pell non conosceva nessuno dei due ragazzi e mai ebbe più rapporti con loro da lì in avanti.

 

Una ricostruzione impossibile, la difesa era riuscita a dimostrarlo.

L’accusa sostiene così che Pell, durante la sua prima o seconda Messa solenne domenicale come arcivescovo della città, decise per qualche sconosciuta ragione di abbandonare la processione e i suoi assistenti liturgici, affrettandosi all’ingresso della sacrestia senza essere accompagnato dal suo Maestro di cerimonie, monsignor Charles Portelli, mentre la processione liturgica non si era ancora conclusa. L’avvocato di Pell, Robert Richter, ha sottolineato le numerose contraddizioni e le improbabilità inerenti a molti dei dettagli di questa narrazione.

Mons. Portelli e il sacrestano della diocesi, Max Potter, hanno dichiarato che mai avrebbero potuto lasciare solo l’arcivescovo dopo una Messa solenne, oltretutto è noto che l’arcivescovo Pell si fermava abitualmente all’ingresso della cattedrale dopo la messa per salutare i parrocchiani, impiegando di solito da 10 a 20 minuti, prima di tornare in sacrestia per svestirsi dai paramenti in compagnia del suo maestro di cerimonie.

Ho ascoltato le prove pubblicamente disponibili e ho letto la maggior parte della trascrizione del processo, trovando molte delle critiche dell’avvocato della difesa, Richter, piuttosto convincenti. Chiunque abbia familiarità con lo svolgimento di una Messa solenne in Cattedrale, con tanto di coro, saprebbe che è davvero improbabile che il vescovo, senza gravi ragioni, possa lasciare la processione e ritirarsi in sacrestia senza essere accompagnato.

Sono inoltre stati chiamati testimoni con paramenti liturgici che hanno fornito prove convincenti sull’impossibilità di praticare un abuso sessuale indossando la lunga veste bianca (detta camice o l’alba). Il camice non può essere sbottonato, le uniche aperture sono piccole fessure sul lato che consentono l’accesso alle tasche dei pantaloni sottostanti. Inizialmente il denunciante ha riferito alla polizia che Pell aveva separato i suoi paramenti, ma il camice utilizzato durante le cerimonie non può essere separato, è come un vestito senza cuciture. In una seconda occasione, il denunciante ha detto che Pell aveva invece spostato i paramenti a lato, ma il camice è fissato con una fascia e non può essere spostato di lato.

Purtroppo la polizia non ha mai ispezionato i paramenti durante le indagini, né l’accusa ha dimostrato che i paramenti potevano essere separati o spostati di lato, come sostenuto dal denunciante. L’accusa secondo cui i reati erano stati commessi immediatamente dopo la Messa da un arcivescovo con ancora addosso la tunica, con una porta spalancata in piena vista del corridoio, mi sembra incredibile.

 

Le prove non condannano Pell, che però non è riuscito a dimostrare la sua innocenza.

Sono rimasto molto sorpreso dal verdetto. La mia unica conclusione è che la giuria deve aver ignorato molte delle critiche espressamente apportate da Richter e che, nonostante il denunciante fosse confuso su ogni genere di cose, la giuria deve comunque aver pensato – come effettivamente è avvenuto – che i bambini sessualmente violati non ricordano sempre i dettagli di tempo, luogo, abbigliamento e postura. Sebbene il denunciante avesse sbagliato ogni genere di descrizione, la giuria deve aver creduto che Pell avesse comunque commesso qualcosa di terribile. I giurati devono aver giudicato il denunciante onesto e affidabile, anche se molti dei dettagli che ha fornito sono improbabili se non impossibili.

L’accusato si è trovato nella situazione di dover provare la sua innocenza piuttosto che fosse l’accusa a dover provare la colpevolezza. Il verdetto sarebbe stato diverso se Pell avesse fornito prove a suo discapito? Chi può dirlo? Tutto ciò che si può dire è che, sebbene la difesa sembrasse avere un terreno solido nel sostenere che le circostanze hanno reso palesemente inconsistente la narrativa avanzata dall’accusa, non è riuscita ad ottenere l’assoluzione. Il verdetto è stato irragionevole?

Posso solo sperare e pregare affinché il denunciante sappia trovare un po’ di pace e sia in grado di andare avanti con la sua vita, a prescindere dall’appello. Se l’appello fallisse, spero e prego che il cardinale Pell, diretto verso la prigione, non diventi la vittima di una nazione ferita in cerca di un capro espiatorio. Se l’appello dovesse avere successo, la polizia dovrebbe rivedere l’adeguatezza dell’indagine su queste gravi accuse penali. Ci può essere verità e giustizia per tutti gli individui coinvolti in questi fatti. E questa è ancora la mia speranza.

 

AGGIORNAMENTO 27/02/19, ore 9
Sul quotidiano d’informazione australiano ABCnews sono stati sintetizzati gli argomenti dell’accusa e della difesa e chiunque si può fare un’idea della forte confutazione prodotta dall’avvocato difensore di George Pell rispetto alla debolezza degli argomenti dell’accusa. In particolare il maestro delle cerimonie della cattedrale, mons. Charles Portelli, ha testimoniato di aver sempre accompagnato l’arcivescovo Pell e di averlo aiutato, come da prassi, a vestirsi e spogliarsi nelle messe domenicali durante le quali sarebbero avvenuti gli abusi. Inoltre, la difesa ha constatato che nessun altro testimone ha corroborato le accuse del denunciante e l’altra presunta vittima aveva detto ai suoi genitori, poco prima di morire per overdose nel 2014, di non essere mai stato molestato mentre era un corista.

Consigliamo anche la lettura dell’articolo apparso oggi sul National Review, intitolato: “Perché la causa contro il cardinale George Pell non regge. Forti dubbi sulla sentenza sono apparsi sul New York Post e, questa mattina, su Il Foglio, a firma di Giuliano Ferrara.

 

AGGIORNAMENTO 27/02/19, ore 10
I feroci antipapisti, a partire da Lorenzo Bertocchi de La Verità, si sono immediatamente avventati sulla notizia. Gianluca Veneziani ha subito esultato su Libero: “Il tesoriere del Papa è un pedofilo. Amen!”. Peccato che il card. Pell sia sempre stato anche un prediletto di Benedetto XVI, lo scrisse Sandro Magister nel 2012, e Antonio Socci lo ha definito «un grande cardinale» perché ha sempre celebrato la Messa tridentina. L’agenzia catto-progressista Adista si allarmò quando Papa Ratzinger chiamò Pell in Vaticano e, rispondendo all’esultanza del blog tradizionalista messainlatino.it, criticò la scelta: «il suo nome ha mandato in fibrillazione gli ambienti tradizionalisti e lefebvriani, è infatti uno degli esponenti più conservatori dell’episcopato cattolico».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Lei è un pastore protestante, lesbica e probabilmente atea

pastore protestanteLa decadenza del luteranesimo, totalmente appiattito alla modernità, simboleggiata dalla “pastora” Lgbt Nadia Bolz-Weber. Le sagge parole di mons. Luigi Negri: “il protestantesimo è incapace di creare un’alternativa alla situazione attuale, che viene sempre giustificata”.

 

Cinque anni fa il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontifico consiglio della Cultura, disse: «E’ necessario ribadire che i principi permangono e le frontiere possono essere spostate, ma non cancellate. La Chiesa cattolica ha sfidato i secoli perché ha mantenuto questi capisaldi, mentre alcune confessioni, anche cristiane, hanno scelto troppo liberamente l’adattamento fino a cadere nel soggettivismo, hanno allargato talmente i confini fino a far cadere i principi».

Parole che tornano alla mente nell’apprendere la nuova iniziativa del pastore Nadia Bolz-Weber, teologa femminista a capo di una enorme congregazione della Chiesa Evangelica Luterana di Denver (Colorado), chiamata House for All Sinners and Saints. Viene definita “liberale” ma è il simbolo della decadenza morale del luteranesimo e l’esempio più eclatante di quale snaturamento etico sia avvenuto quando il protestantesimo cristiano ha abbracciato l’autocefalia rispetto a Roma.

 

Nadia Bolz-Weber, modello del cristianesimo progressista.

Nadia Bolz-Weber, tatuata talmente tanto da sembrare la sorella di Fedez, ha ovviamente rinnegato qualunque insegnamento morale del cristianesimo, sopratutto in ambito sessuale. I suoi sermoni domenicali sono dedicati al libertinismo e, chiaramente, alla pesante militanza a favore dell’ideologia Lgbt, tanto che un terzo dei suoi fedeli sono membri della comunità Lgbt locale ed ha anche eretto un “ministero della favolosità” (“Minister of Fabulousness”) di cui è presidente il transessuale chiamato Stuart.

Con un passato di forte depressione, tra droga e alcool, la “pastora” oggi si è reinventata, veste attillato ed in modo provocante, con eccessivo trucco e rossetto, trascorre molte ore in palestra per scolpire i muscoli che esibisce nei servizi fotografici delle riviste patinate, per le quali è una celebrità. Celebra il consumo di materiale pornografico, a patto che sia di “origine etica” ed è amata dai media progressisti.

 

La sua missione: abbattere la visione del cristianesimo sulla sessualità.

Qualche settimana ha escogitato una nuova iniziativa per smantellare la visione del cristianesimo rispetto alla sessualità. Ha infatti realizzato una scultura a forma di vulva realizzata interamente fondendo tra loro vecchi “anelli della purezza”, ovvero il simbolo della promessa che alcune giovani di preservare la loro sessualità fino al matrimonio, così da donarsi completamente soltanto all’uomo con il quale avrebbero condiviso il resto dell’esistenza.

Nadia Bolz-Weber ha convinto queste giovani a tradire la loro promessa di castità, facendosi consegnare gli anelli per la sua scultura (in cambio di una copia del suo ultimo libro, Shameless: A Sexual Reformation) così da trasformarli in una protesta contro i valori del cristianesimo. Le congregazioni protestanti sono spesso impregnate di un oppressivo e, a volte isterico, moralismo, dove il “non si fa” è l’unico (debole, ma perentorio) argomento su cui viene impostato l’insegnamento morale. Non stupisce che nascano, per reazione, forme reattive estreme.

 

Mons. Negri: “Il protestantesimo non riesce ad essere alternativa al mondo”.

Nel pensiero della “pastora” luterana è completamente assente l’esperienza di incontro con un Dio trascendente, la direzione verticale della fede e non solo quella orizzontale e sociologica. E’ talmente secolarizzata che è difficile, addirittura, che parli di Lui, tanto che molti osservatori la ritengono totalmente atea.

Il vescovo emerito di Ferrara, mons. Luigi Negri, ha giustamente scritto che questo è un problema comune a tutte le denominazioni protestanti: «Quando si dice “sola Scriptura” è già avvenuto il rovesciamento. Mentre la Chiesa cattolica ha continuato la sua battaglia contro la modernità, dimostrando in tutti i suoi interventi che la modernità non salva l’uomo, il protestantesimo ha accettato di essere l’avvallo ecclesiastico di un uomo, che, però, se è moderno fino in fono, non può, presto o tardi, non diventare ateo».

Mons. Negri ha quindi proseguito: «Contro l’ateismo, il protestantesimo non ha ragioni, perché la fede non ha ragioni, e dunque non ha la possibilità di giudicare nulla, non è capace di creare nessuna alternativa alla situazione attuale, che viene sempre giustificata. Il protestantesimo non è un evento in cui l’uomo entra e viene cambiato, ma solo uno spunto per una mozione individualistica, che lascia però assolutamente incapaci di giudizio e ultimamente impotenti di fronte al mondo» (L. Negri. False accuse alla Chiesa, Piemme 2002, p. 144).

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Jordan Peterson, un libro non cristiano dove il cristianesimo è il cuore

Jordan Peterson“12 regole per la vita” (My Life 2018). Il nuovo libro del celebre psicologo canadese, Jordan Peterson, uno dei più influenti intellettuali dell’America del Nord. Agnostico ma in cammino verso il cristianesimo, come dimostra anche il suo ultimo lavoro, divenuto bestseller internazionale.

 

Abbiamo già parlato di un intellettuale emergente, davvero interessante, nel panorama internazionale, il cui nome è Jordan B. Peterson. E’ ritenuto il più importante e influente opinionista in Canada, psicologo clinico e docente presso l’Università di Toronto, i cui podcast su Youtube vengono seguiti da milioni di persone. E’ divenuto noto nel 2016 per essersi rifiutato di utilizzare i pronomi neutrali per chiamare le persone transessuali.

 

“12 regole per la vita”, un libro che conferma il cammino cristiano di Peterson.

Anche in Italia è arrivato il suo ultimo libro, intitolato 12 regole per la vita. Un antidoto al caos (My Life 2018), subito divenuto bestseller internazionale. E’ un buon strumento per comprendere il pensiero di Peterson, basato su storie concrete e idee utili per la vita ma, al di là del titolo molto commerciale, è una profonda riflessione antropologica su questioni importanti per l’esistenza come l’atteggiamento morale verso il bene o il male, il destino personale, l’educazione dei figli ed altri argomenti, come l’utopismo egualitario, il femminismo, l’ecologia ecc.

Avevamo già rivelato che l’eminente psicologo sta percorrendo un cammino molto vicino al cristianesimo, le sue ultime conferenze sono dedicate alla Bibbia, allo studio sul cristianesimo antico e più volte ha riflettuto sulla responsabilità di dichiararsi cristiani, che forse ancora non sente di potersi assumere: «Se sei un cristiano hai una responsabilità etica: imitare Cristo, hai bisogno di assumerti la responsabilità del male nel mondo come se ne fossi responsabile, prendere i peccati del mondo su te stesso. E devi capire che tu determini la direzione del mondo, che sia verso il paradiso o l’inferno, con le tue azioni verbali, e devi assumerti la responsabilità di questo».

Anche il suo ultimo libro è pregno di cristianesimo, il Nuovo Testamento è continuamente citato, così come abbondano i riferimenti a Gesù Cristo e alla Vergine Maria, verso i quali c’è ammirazione e rispetto, anche se vengono ritenuti più come “archetipi”. Peterson si riferisce alle storie bibliche (il peccato originale, Caino e Abele, il Diluvio, Abramo) come chiavi di interpretazione del presente e non sorprende che tra i suoi ispiratori vi sia Carl Gustav Jung.

 

Il giudizio del mondo cattolico.

Il mondo cattolico si è diviso sul lavoro di Jordan Peterson, il cattolico conservatore John Horvat si è mostrato scettico sul fatto che un autore non cristiano possa portare le persone ad interessarsi al cristianesimo, seppur sappia sfidare la società politicamente corretta e tenti di farlo usando nozioni cristiane. Molto più duro il teologo Adam AJ DeVille, per il quale il libro dell’intellettuale canadese non è solo banale e superficiale, ma pericoloso in quanto è un’apologia verso il darwinismo sociale e l’individualismo borghese.

Per quanto ci riguarda siamo più concordi con il teologo americano Scott Ventureyra, il quale ha valorizzato l’enorme potenzialità di Peterson nel portare una visione cristiana della realtà in una società che ha cessato di esserlo, considerando oltretutto il grande seguito che riscuote nei cosiddetti millennial. Sam Guzman ha a sua volta spiegato che sebbene non sia un esempio di cattolico, la sua difesa dell’eredità cristiana occidentale nel mondo postmoderno può risultare molto utile nell’evangelizzazione.

 

Ottimo strumento per respingere i “vizi laici” della società contemporanea.

Ciò che va salvato dell’opera di Peterson è certamente il suo riuscito tentativo di offrire ottimi argomenti per respingere la filosofia postmodernista, il relativismo nichilista, l’individualismo sfrenato, l’egoismo narcisista ed il pensiero utopico, quattro grandi vizi “laici” dei nostri contemporanei. Ad essi lo psicologo canadese risponde invitando il lettore a diventare protagonista della sua vita, a riconoscere le proprie colpe piuttosto che quelle altrui, a sfuggire al vittimismo ed il risentimento che immobilizzano l’esistenza, all’aprirsi al sacrificio per gli altri.

«Non solo appartieni a te stesso», scrive ad esempio Jordan Peterson, nei suoi “consigli sulla vita”. «Hai in te una scintilla di divinità che non ti appartiene, appartiene a Dio». E ancora: «Abbi cura di te oggi, mira al bene supremo, la traiettoria del tuo destino indica il cielo e questo riempie la tua vita di speranza». Un altro esempio: «L’idea del sacrificio virtuoso è profondamente radicata nella cultura occidentale (almeno nella misura in cui l’Occidente è stato influenzato dal cristianesimo, che si basa sull’imitazione di qualcuno che ha compiuto l’atto supremo di sacrificio)».

 

Il cristianesimo è la spina dorsale dell’Occidente.

Si confessa personalmente agnostico, ma riconosce che la spina dorsale dell’etica occidentale è il cristianesimo, verso il quale ha parole di grande apprezzamento: «Il cristianesimo ha raggiunto quello che era quasi impossibile. La dottrina cristiana ha sollevato l’anima individuale, ponendo lo schiavo, il padrone, l’uomo comune e il nobile, in una posizione di uguaglianza metafisica, rendendoli uguali davanti a Dio e alla legge. In questo modo la concezione metafisica del valore implicito trascendentale di ogni anima finì per essere imposta contro tutte le aspettative come presupposto fondamentale della legge e delle società occidentali, contrariamente all’antichità e contrariamente a quanto accade nella maggior parte del mondo di oggi». 

Infine, nel libro di Peterson, c’è spazio anche per alcune valutazioni di tipo morale. Come sul divorzio, si chiede infatti: «È stata una buona decisione liberalizzare così apertamente le leggi sul divorzio negli anni ’60? Non mi sembra che i bambini, le cui vite sono state destabilizzate dall’ipotetica libertà che questo tentativo di liberazione ha introdotto, siano in accordo con l’affermazione».

Lo psicologo canadese ha invitato a «non fingere che tutte le composizioni familiari siano ugualmente valide, perché non lo sono», e ha argomentato contro l’ideologia gender: «Le persone sono spesso disposte a produrre danni collaterali se possono aggrapparsi alla loro teoria. Alcuni insistono, con crescente forza, sul fatto che il genere sarebbe un costrutto sociale, ma non lo è, e non è un dibattito: ci sono dati che lo dimostrano. Studi scientifici inconfutabili e multidisciplinari indicano che le differenze sessuali sono fortemente influenzate da fattori biologici. Non insegniamo ai nostri figli che la Terra è piatta, né dovremmo insegnare loro teorie basate sull’ideologia e prive di supporto sulla natura di uomini e donne».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace