Il cardinale George Pell è stato condannato in primo grado per abusi sessuali quando era vescovo di Melbourne. Ma un famoso sacerdote australiano, che ha seguito tutto il processo, sottolinea le contraddizioni dell’accusa e l’impossibilità che i fatti si siano svolti come descritti, ai quali però ha creduto la giuria.
di Frank Brennan*
*sacerdote e attivista per i diritti umani
da The Australian, 26/02/19
Il card. George Pell è stato condannato all’unanimità. A dicembre, una giuria di 12 suoi concittadini lo ha riconosciuto colpevole di cinque reati di abusi sessuali su minori. Il cardinale si è dichiarato innocente e ha fatto appello.
La giuria ha impiegato tre giorni per deliberare dopo un processo di quattro settimane. Il processo era, in effetti, una ripetizione. Al primo processo, la giuria non aveva trovato un accordo e riguardava due presunte vittime, una delle quali era morta. Il denunciante, che non può essere identificato, non ha fornito nuove prove per il nuovo processo.
Ecco per cosa è condannato il card. Pell.
I fatti risalgono ad eventi accaduti nel 1996 o nel 1997, quando il denunciante era un ragazzo di tredici anni nella cattedrale di St Patrick a Melbourne e Pell era da poco arcivescovo di Melbourne. Il denunciante ha affermato che il primo abuso si è verificato dopo una solenne Messa domenicale, celebrata da Pell, nella seconda metà del 1996, il 15 dicembre 1996 o il 22 dicembre 1996.
Il denunciante ha detto che lui ed un altro ragazzo del coro hanno lasciato la processione liturgica, si sono recati in sagrestia e hanno iniziato a bere il vino utilizzato durante la Messa. L’arcivescovo arrivò non accompagnato, li punì e poi, mentre indossava i suoi copiosi paramenti liturgici, li abusò sessualmente. Il denunciante ha riferito che la porta della sagrestia era spalancata e che vedeva passare i chierichetti lungo il corridoio. Il denunciante ha detto che lui e l’altro ragazzo sono poi tornati nei loro posti del coro, che in quel momento stava provando alcune canzoni natalizie.
Questi due ragazzi sono rimasti nel coro per un altro anno e mai hanno parlato della vicenda. Il denunciante ha sostenuto che circa un mese dopo i fatti, sempre in seguito ad una messa domenicale presieduta dall’arcivescovo, Pell arrivò lungo il corridoio fuori dalla sacrestia, dov’erano presenti anche molti coristi, afferrò il denunciante, lo mise contro il muro e strinse saldamente tra le mani i suoi genitali. Il denunciante ha riferito che Pell non conosceva nessuno dei due ragazzi e mai ebbe più rapporti con loro da lì in avanti.
Una ricostruzione impossibile, la difesa era riuscita a dimostrarlo.
L’accusa sostiene così che Pell, durante la sua prima o seconda Messa solenne domenicale come arcivescovo della città, decise per qualche sconosciuta ragione di abbandonare la processione e i suoi assistenti liturgici, affrettandosi all’ingresso della sacrestia senza essere accompagnato dal suo Maestro di cerimonie, monsignor Charles Portelli, mentre la processione liturgica non si era ancora conclusa. L’avvocato di Pell, Robert Richter, ha sottolineato le numerose contraddizioni e le improbabilità inerenti a molti dei dettagli di questa narrazione.
Mons. Portelli e il sacrestano della diocesi, Max Potter, hanno dichiarato che mai avrebbero potuto lasciare solo l’arcivescovo dopo una Messa solenne, oltretutto è noto che l’arcivescovo Pell si fermava abitualmente all’ingresso della cattedrale dopo la messa per salutare i parrocchiani, impiegando di solito da 10 a 20 minuti, prima di tornare in sacrestia per svestirsi dai paramenti in compagnia del suo maestro di cerimonie.
Ho ascoltato le prove pubblicamente disponibili e ho letto la maggior parte della trascrizione del processo, trovando molte delle critiche dell’avvocato della difesa, Richter, piuttosto convincenti. Chiunque abbia familiarità con lo svolgimento di una Messa solenne in Cattedrale, con tanto di coro, saprebbe che è davvero improbabile che il vescovo, senza gravi ragioni, possa lasciare la processione e ritirarsi in sacrestia senza essere accompagnato.
Sono inoltre stati chiamati testimoni con paramenti liturgici che hanno fornito prove convincenti sull’impossibilità di praticare un abuso sessuale indossando la lunga veste bianca (detta camice o l’alba). Il camice non può essere sbottonato, le uniche aperture sono piccole fessure sul lato che consentono l’accesso alle tasche dei pantaloni sottostanti. Inizialmente il denunciante ha riferito alla polizia che Pell aveva separato i suoi paramenti, ma il camice utilizzato durante le cerimonie non può essere separato, è come un vestito senza cuciture. In una seconda occasione, il denunciante ha detto che Pell aveva invece spostato i paramenti a lato, ma il camice è fissato con una fascia e non può essere spostato di lato.
Purtroppo la polizia non ha mai ispezionato i paramenti durante le indagini, né l’accusa ha dimostrato che i paramenti potevano essere separati o spostati di lato, come sostenuto dal denunciante. L’accusa secondo cui i reati erano stati commessi immediatamente dopo la Messa da un arcivescovo con ancora addosso la tunica, con una porta spalancata in piena vista del corridoio, mi sembra incredibile.
Le prove non condannano Pell, che però non è riuscito a dimostrare la sua innocenza.
Sono rimasto molto sorpreso dal verdetto. La mia unica conclusione è che la giuria deve aver ignorato molte delle critiche espressamente apportate da Richter e che, nonostante il denunciante fosse confuso su ogni genere di cose, la giuria deve comunque aver pensato – come effettivamente è avvenuto – che i bambini sessualmente violati non ricordano sempre i dettagli di tempo, luogo, abbigliamento e postura. Sebbene il denunciante avesse sbagliato ogni genere di descrizione, la giuria deve aver creduto che Pell avesse comunque commesso qualcosa di terribile. I giurati devono aver giudicato il denunciante onesto e affidabile, anche se molti dei dettagli che ha fornito sono improbabili se non impossibili.
L’accusato si è trovato nella situazione di dover provare la sua innocenza piuttosto che fosse l’accusa a dover provare la colpevolezza. Il verdetto sarebbe stato diverso se Pell avesse fornito prove a suo discapito? Chi può dirlo? Tutto ciò che si può dire è che, sebbene la difesa sembrasse avere un terreno solido nel sostenere che le circostanze hanno reso palesemente inconsistente la narrativa avanzata dall’accusa, non è riuscita ad ottenere l’assoluzione. Il verdetto è stato irragionevole?
Posso solo sperare e pregare affinché il denunciante sappia trovare un po’ di pace e sia in grado di andare avanti con la sua vita, a prescindere dall’appello. Se l’appello fallisse, spero e prego che il cardinale Pell, diretto verso la prigione, non diventi la vittima di una nazione ferita in cerca di un capro espiatorio. Se l’appello dovesse avere successo, la polizia dovrebbe rivedere l’adeguatezza dell’indagine su queste gravi accuse penali. Ci può essere verità e giustizia per tutti gli individui coinvolti in questi fatti. E questa è ancora la mia speranza.
AGGIORNAMENTO 27/02/19, ore 9
Sul quotidiano d’informazione australiano ABCnews sono stati sintetizzati gli argomenti dell’accusa e della difesa e chiunque si può fare un’idea della forte confutazione prodotta dall’avvocato difensore di George Pell rispetto alla debolezza degli argomenti dell’accusa. In particolare il maestro delle cerimonie della cattedrale, mons. Charles Portelli, ha testimoniato di aver sempre accompagnato l’arcivescovo Pell e di averlo aiutato, come da prassi, a vestirsi e spogliarsi nelle messe domenicali durante le quali sarebbero avvenuti gli abusi. Inoltre, la difesa ha constatato che nessun altro testimone ha corroborato le accuse del denunciante e l’altra presunta vittima aveva detto ai suoi genitori, poco prima di morire per overdose nel 2014, di non essere mai stato molestato mentre era un corista.
Consigliamo anche la lettura dell’articolo apparso oggi sul National Review, intitolato: “Perché la causa contro il cardinale George Pell non regge. Forti dubbi sulla sentenza sono apparsi sul New York Post e, questa mattina, su Il Foglio, a firma di Giuliano Ferrara.
AGGIORNAMENTO 27/02/19, ore 10
I feroci antipapisti, a partire da Lorenzo Bertocchi de La Verità, si sono immediatamente avventati sulla notizia. Gianluca Veneziani ha subito esultato su Libero: “Il tesoriere del Papa è un pedofilo. Amen!”. Peccato che il card. Pell sia sempre stato anche un prediletto di Benedetto XVI, lo scrisse Sandro Magister nel 2012, e Antonio Socci lo ha definito «un grande cardinale» perché ha sempre celebrato la Messa tridentina. L’agenzia catto-progressista Adista si allarmò quando Papa Ratzinger chiamò Pell in Vaticano e, rispondendo all’esultanza del blog tradizionalista messainlatino.it, criticò la scelta: «il suo nome ha mandato in fibrillazione gli ambienti tradizionalisti e lefebvriani, è infatti uno degli esponenti più conservatori dell’episcopato cattolico».
La redazione“