Ricordiamo la Shoah e l’impegno della Chiesa cattolica

OlocaustoIeri abbiamo celebrato la Giornata della Memoria. A rendere forse “unica” la Shoah rispetto agli altri genocidi avvenuti nella storia non è soltanto l’incredibile numero di vittime causate dalla follia nazista, ma anche il suo obiettivo di voler sradicare la razza ebraica dall’intero pianeta. Sei milioni furono gli ebrei che perirono a causa di questa folle ideologia, ma massacri subirono anche altri gruppi come gli zingari, gli omosessuali, le persone affette da malattie genetiche, i Testimoni di Geova, gli oppositori politici nonché le popolazioni dei paesi occupati.

Anche le chiese cristiane subirono persecuzioni in quanto i nazisti erano intenzionate ad eliminarle per sostituirle con una nuova fede basata sul mito della razza e del sangue come riconoscono i maggiori storici del Terzo Reich, come ad esempio William Shirer: «Sotto la guida di Rosenberg, Bormann e Himmler, sostenuti da Hitler, il regime nazista intendeva come fine ultimo, distruggere se possibile, il cristianesimo in Germania» (cfr. Storia del Terzo Reich, Torino 1972 p. 263).

Ci sono state delle polemiche sull’atteggiamento assunto dal papa dell’epoca, Pio XII, accusato di non aver fatto di più per evitare il massacro, denunciando ad alta voce le atrocità naziste. Queste accuse tengono in scarsa considerazione l’azione della Chiesa per salvare gli ebrei perseguitati (tra i 700.000 e gli 860.000 secondo i calcoli dello storico Pinchas Lapide) e, sopratutto, non tengono conto delle conseguenze negative che avrebbe potuto avere una pubblica protesta: il prelato lussemburghese Jean Bernard, che venne deportato durante la guerra nel campo di concentramento di Dachau, ricordò nelle sue memorie che «i preti detenuti tremavano ogni volta che venivano a sapere di una protesta fatta delle autorità religiose, e in particolare del Vaticano. Avevamo tutti l’impressione che i nostri guardiani ci facessero pagare cara la collera provocata da queste proteste… Ogni volta che venivamo trattati in modo più brutale senza alcun preavviso, i pastori protestanti che c’erano tra i prigionieri scaricavano la loro indignazione sui preti cattolici: “Quel vostro papa ingenuo e quei sempliciotti dei vostri vescovi hanno di nuovo aperto bocca… Ma perché non capiscono l’antifona una buona volta e non la chiudono? Loro fanno gli eroi e noi ne paghiamo le spese”» (A. Tornielli, Il papa degli ebrei, Bergamo 2002 p. 186).

Un grave errore di prospettiva che fanno i critici del papa è quello di sopravalutare l’effetto di una sua condanna. L’ex leader del partito popolare, don Luigi Sturzo, fece notare al segretario della World Jewish Congress, Leo A. Kubowitzki, che chiedeva di lanciare una scomunica contro Hitler, che questo mezzo non era riuscito a fermare né la regina Elisabetta I, né Napoleone Bonaparte dai loro propositi e che un simile atto avrebbe potuto persino avere l’effetto di accelerare ancora di più la furia nazista. Lo storico Matteo Luigi Napolitano ha sottolineato infatti che in quel periodo «L’Europa non era una Respublica sub Deo prona alla parola papale; il mondo politico era ancora figlio dei Lumi e della Rivoluzione francese, del Positivismo e del Razionalismo. Ogni Chiesa non era che un “ridotto” morale-religioso riservato ai soli fedeli. Dire pertanto che la scomunica di Hitler sarebbe bastata a fermare i massacri è affermare l’indimostrabile» (Matteo Luigi Napolitano, Su Pio XII e la Shoah errori di prospettiva?, Avvenire, 1 ottobre 2014).

Non mancarono però anche discorsi pubblici nella quale si trovano degli appelli di solidarietà con il mondo ebraico: nel 1940 Pio XII affermò che «è di conforto per noi l’essere stati in grado di consolare, con l’assistenza morale e spirituale dei nostri rappresentati e con l’obolo dei nostri sussidi, ingente numero di profughi, di espatriati e di emigrati, anche fra quelli di stirpe semitica»; nel discorso di Natale del 1942 invece deplorò la situazione di «quelle centinaia di migliaia di persone che, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità e di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento» e nel giugno del 1943 la Radio Vaticana trasmise un messaggio dello stesso pontefice che ribadiva: «Chi fa distinzione tra ebrei e gli altri uomini, commette un peccato d’infedeltà verso Dio ed è in conflitto con i suoi comandamenti» (cfr. M. Gilbert, I giusti. Gli eroi sconosciuti dell’Olocausto, p.348). Questi appelli sono stati criticati da alcuni studiosi perché considerati troppo vaghi per essere compresi. Tuttavia, i nazisti furono ben consapevoli che questo genere di discorsi erano rivolti contro di loro e, se si considera che la conoscenza dell’Olocausto da parte del popolo tedesco fu ben maggiore di quanto si era inizialmente disposti ad ammettere, forse quegli appelli non dovettero risultare così incomprensibili.

In quei terribili anni non mancarono persone che compirono atti di eroismo salvando gli ebrei a rischio della propria vita come Giorgio Perlasca o Giovanni Palatucci. Ricordiamo anche Karel Weirich, un dipendente vaticano di nazionalità ceca che fu molto attivo durante il conflitto nell’aiutare gli ebrei cecoslovacchi. La sua figura è stata analizzata dallo storico Pierluigi Guiducci in una conferenza su Pio XII tenutasi nell’ottobre del 2014. Nel 1925 iniziò a lavorare come segretario e contabile presso la direzione nazionale della Pontificia Opera di San Pietro Apostolo e, dal 1932, svolse analoga mansione negli uffici della direzione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie, e pochi anni dopo divenne corrispondente di una delle maggiori agenzie di stampa cecoslovacche, la Českolovenskà tisková kancelář (ČTK).

Nel marzo 1939 la Cecoslovacchia cessò di esistere in quanto venne invasa da Hitler e Weirich iniziò una progressiva resistenza al nazismo. Durante la guerra, fondò inoltre con la “copertura vaticana” e l’aiuto di alcuni suoi connazionali, l’Opera di San Venceslao, la cui attività servì per aiutare i profughi cecoslovacchi di origine ebraica distribuendo denaro, abiti, medicine e documenti falsi agli internati e ai clandestini. Il suo lavoro fu possibile grazie anche all’aiuto della Segreteria di Stato Vaticana e dal personale delle Pontificie Opere Missionarie.

L’antifascismo di Karel è mostrato anche dal fatto che egli, pur avendo ricevuti due solleciti per prestare giuramento di fedeltà al Reich essendo corrispondente a Roma della ČTK, rifiutò di farlo e venne licenziato dal suo lavoro nel 1941. La situazione degli ebrei italiani subì però un notevole peggioramento con l’occupazione tedesca del ’43. Le autorità fasciste considerarono l’Opera di San Venceslao legale, ma l’organizzazione rimase pericolosamente in bilico tra programmi leciti (invio di aiuti agli ebrei internati) e illegali (distribuzione di documenti falsi). Purtroppo però, molto probabilmente a causa di una delazione, i tedeschi nel 1944 scoprirono l’attività antifascista di Karel e lì tesero una trappola : un agente provocatore fattosi passare come “prigioniero inglese” giunse a chiedergli aiuto e, dopo qualche giorno, tre agenti della Gestapo lo arrestarono facendo appunto riferimento a quell’episodio. Werich fu rinchiuso nel carcere di “Regina Coeli” con l’accusa di “favoreggiamento del nemico”. Durante gli interrogatori il funzionario vaticano non fece i nomi dei suoi complici e il 18 aprile del 1944 un tribunale tedesco lo condannò a morte. Pena poi commutata in diciotto mesi di lavori forzati grazie all’intervento della Santa Sede. Weirich venne quindi deportato in Germania e venne liberato dai militari americani il 2 maggio del 1945. Il suo stato fisico all’epoca del rilascio era pietoso (pesava 35 chili) e dopo aver ripreso le energie ritorno dopo un po’ di tempo in Italia per incontrare sua madre.

Nel 1948 venne nuovamente licenziato dalla ČTK in quanto la Cecoslovacchia era passata sotto il dominio comunista e da allora affrontò la vita quotidiana svolgendo alcuni piccoli lavori. Ci si dimenticò presto dell’opera umanitaria svolta da questi durante la guerra, ma sono rimaste delle lettere di ringraziamento a lui indirizzate scritte da alcune persone che aveva aiutato, attualmente depositate nell’Archivio di Treviso. Ebbe la gioia di incontrare in un’udienza del 1973 papa Paolo VI che era stato uno dei sostenitori dell’Opera di San Venceslao e nel 1975 Ferruccio Parri, uno dei capi più noti della Resistenza, che all’epoca era diventato senatore. Karel Weirich morì nel 1981.

Dalla sua attività si può riscontare come i contatti con la Segretaria di Stato Vaticana furono molto significativi come significativa fu anche la sua iterazione con strutture e associazioni religiose. Ciò aiuta a smentire l’immagine di un Vaticano indifferente alla sorte degli ebrei. Stranamente, Karel Werich non ricevette alcun riconoscimento nel dopoguerra per la sua opera di salvataggio e la sua figura è poco nota. Si spera che in un futuro non troppo lontano possa ricevere la sua giusta retribuzione.

Mattia Ferrari

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10 commenti a Ricordiamo la Shoah e l’impegno della Chiesa cattolica

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  1. andrea g ha detto

    Giusto la scorsa settimana è stata consegnata la Medaglia dei “Giusti tra le Nazioni”
    alla memoria di don Antonio Borsotto, che salvò una famiglia di ebrei dai demoni
    nazisti.
    Uno dei tanti sacerdoti che compirono, a rischio della loro vita, un’opera
    meravigliosa.
    http://www.zenit.org/it/articles/don-antonio-borsotto-e-giusto-tra-le-nazioni

  2. Conan ha detto

    Pio XII. Per piacere leggetene le encicliche. Vi invito a farlo. Scoprirete un linguaggio oggi perduto a scapito di tante anime che si ritrovano sempre più confuse dal magistero fallibile (e fallato) dei tempi moderni.

  3. FREEZER75 ha detto

    La Chiesa non ha urlato la sua collera, ma ha operato salvando molte vite

  4. andrea g ha detto

    Fra i tanti, vorrei anche ricordare le luminose figure di
    don Pietro Bicego e don Michele Carlotto, che operarono
    nel Vicentino, testimoniando come il bene possa trionfare
    anche nella notte della follìa.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Michele_Carlotto_(presbitero)

  5. Fabrizia ha detto

    Non riuscirò mai a capire come i pochi Ebrei rimasti e i loro discendenti non abbiano mai preso le armi per fare una strage in mezzo alle nostre città, per vendicarsi. Anche oggi. Ne avrebbero tutte le ragioni. Altro che gli islamisti! Un motivo di più per ammirare questo popolo che , pur essendo lo 0,002 per cento della popolazione mondiale, rappresenta il 22 per cento dei Premi Nobel.

    • andrea g ha detto in risposta a Fabrizia

      Verissimo, Fabrizia. Bellissima osservazione.

    • Mattia ha detto in risposta a Fabrizia

      Aspetta però, posso capire che gli ebrei vogliano giustizia contro i criminali nazisti che hanno fatto quelle atrocità e che sia giusto catturarli come hanno fatto con Eichmann, ma perché dovrebbero fare delle stragi nelle nostre città per vendicarsi?

      • Fabrizia ha detto in risposta a Mattia

        Chissà. Forse perché nelle nostre città ci sono oggi certi che si vendicano mitragliando e mettendo bombe perché si sentono trattati male.

        • Mattia ha detto in risposta a Fabrizia

          Pensa che in certe città gli ebrei vengono ancora oggi uccisi solo perché sono ebrei…

          • Fabrizia ha detto in risposta a Mattia

            Veramente, posso solo pensare che davvero sono il popolo eletto e che in qualche modo devono accompagnarci fino alla fine dei tempi: testimoni? Impressionante al British Museum vedere i resti delle antiche civiltà, l’egiziana, l’assira, la babilonese…Tutte hanno incontrato gli Ebrei. Tutte sono sparite da secoli. E loro sono ancora qua, fedeli allo stesso Dio, lo li ammiro tantissimo. Non potevamo avere dei Fratelli Maggiori migliori.

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