Le prove storiche della resurrezione di Gesù

Quali sono le prove a favore della risurrezione di Cristo? Cosa dicono i principali studiosi? Il sepolcro di Gesù era davvero vuoto? I discepoli videro davvero il Cristo risorto? Citando i maggiori storici degli ultimi 100 anni, in questo dossier rispondiamo a queste ed altre domande, considerando anche le obiezioni più comuni.

 
 

La resurrezione di Gesù può essere considerato un evento storico?

O è solo oggetto di fede? Oppure un mito inventato? I discepoli trovarono davvero il sepolcro vuoto? E se semplicemente inventarono tutto? Sono possibili spiegazioni naturalistiche? Le apparizioni di Gesù risorto furono allucinazioni o proiezioni psicologiche?

In questo dossier (che resterà costantemente aggiornato) abbiamo interrogato gran parte dei principali studiosi internazionali (credenti e non credenti) delle origini cristiane e citato innumerevoli pubblicazioni, giungendo ad elencare un pool di argomenti a favore della storicità della risurrezione. Inoltre, abbiamo considerato e contro-replicato alle principali obiezioni.

Precisiamo fin subito che è necessario considerare la forza cumulativa di tutti gli argomenti proposti (e non ogni argomento preso singolarmente). Consigliamo l’uso del seguente menù per muoversi agilmente tra le varie sezioni.

 

Indice

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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1. LA STORICITA’ DELLA SEPOLTURA DI GESU’.

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Il primo argomento che contribuisce a dar peso al giudizio finale sulla storicità della resurrezione è quello della storicità della sepoltura.

E’ evidente che se Gesù di Nazareth non venne sepolto sarebbe impossibile dare credito ai testi cristiani quando parlano del ritrovamento del sepolcro vuoto e sarebbe molto difficile ritenere affidabili, in generale, i racconti pasquali.

Ma cosa dice la comunità accademica a proposito della sepoltura di Gesù? E’ unanimemente attestata come storica allo stesso modo in cui sono considerati avvenuti il processo, la crocifissione e la morte in croce? Si, anche se in questo caso c’è una minoranza di specialisti che effettivamente non la accredita come storica per alcuni motivi (ai quali risponderemo).

Secondo il vangelo di Marco, fu Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del Sinedrio ebraico, a chiedere ed ottenere la concessione da parte di Ponzio Pilato del cadavere di Cristo, seppellendolo in un sepolcro (cfr. Mc 15,42-47), probabilmente di sua proprietà. Il racconto è confermato da altre tre fonti indipendenti, con l’aggiunta di qualche piccolo dettaglio: l’evangelista Matteo (Mt 27,57-66), Luca (Lc 23,50-53) e Giovanni (Gv 19,38-42).

Come mostreremo più dettagliatamente più avanti, il più importante studioso del testo marciano, Rudolf Pesch, ha datato la fonte pre-marciana su cui si basa l’evangelista per il racconto della passione all 37 d.C., quindi «a breve distanza dai fatti narrati nell’ambito della prima comunità di lingua aramaica in Gerusalemme»1R. Pesch, Il vangelo di Marco, Paideia 1982, Vol. 2, p. 46, 45.

Sono pochi i dubbi tra la maggioranza di studiosi e storici contemporanei che la sepoltura di Gesù di Nazareth sia un evento realmente accaduto. Jacob Kremer, docente di Studi biblici del Nuovo Testamento presso l’Università di Vienna ha certificato infatti che «la maggior parte degli esegeti considera saldamente affidabili le dichiarazioni bibliche relative al sepolcro vuoto»2J. Kremer, Die OsterevangelienGeschichten um Geschichte, Katholisches Bibelwerk 1977, p. 49-50.

L’eminente Raymond E. Brown, professore emerito presso l’Union Theological Seminary di New York, la ritiene una vicenda «molto probabilmente storica»3R.E. Brown, The Death of the Messiah, 2 vol., Garden City 1994, p. 1240, a partire dal fatto che il racconto soddisfa ben tre dei criteri storici attraverso i quali gli studiosi analizzano i racconti dell’antichità.

Il “criterio della molteplice attestazione” è soddisfatto in quanto il racconto è ripreso in maniera coerente da quattro fonti indipendenti, i quali citano sicuramente delle fonti a loro precedenti (pre-evangeliche); il “criterio della dissomiglianza” è a sua volta soddisfatto in quanto la figura di Giuseppe d’Arimatea è sorprendentemente dissimile dall’atteggiamento prevalente dei primi cristiani verso il Sinedrio; ed anche il “criterio dell’imbarazzo” trova compimento in quanto risulta imbarazzante per i membri della chiesa primitiva aver valorizzato tanto positivamente un esponente di rilievo delle autorità ebraiche, responsabili morali della morte di Gesù.

La presenza di Giuseppe d’Arimatea, confermata da tutte le fonti cristiane, è ciò che rende realmente plausibile tutto il racconto: se gli evangelisti avessero inventato la sepoltura di Gesù, non avrebbero mai inserito come protagonista una figura così specifica come un membro del Sinedrio giudaico, in quanto l’invenzione non avrebbe retto di fronte all’immediata smentita da parte delle autorità ebraiche.

«Sebbene l’alta probabilità non equivalga a certezza», ha concluso Raymond E. Brown, «non c’è nulla nel racconto di base pre-evangelico della sepoltura di Gesù da parte di Giuseppe che non possa essere plausibilmente considerato storico»4R.E. Brown, The Death of the Messiah, 2 vol., Garden City 1994, p. 1240-1241.

Considerando anche che il vangelo di Marco sta citando un’antichissima fonte pre-marciana che attesta la sepoltura (ne parleremo dopo), John At Robinson, decano emerito del Trinity College dell’Università di Cambridge, ha potuto addirittura concludere che si tratta di «uno dei fatti più antichi e meglio attestati su Gesù»5J.A. Robinson, The Human Face of God, Westminster 1973, p. 131.

Anche il teologo scettico Gerd Ludemann, uno dei maggiori teorizzatori di obiezioni alternative alla risurrezione, ammette che negare la storicità di Giuseppe d’Arimatea e la sepoltura di Gesù sarebbe «andare troppo oltre»6G. Ludemann, The Resurrection of Jesus, Fortress Press 1994, p. 207.

Molti studiosi, infine, hanno argomentato che il riferimento ad Arimatea, una città poco nota e priva di significato teologico o storico, conferisce ulteriore credibilità storica alla figura di Giuseppe.

Una delle conseguenze più importanti della storicità del racconto della sepoltura, oltre al fatto di rendere armonica e coerente tutta la storia successiva (a partire dal sepolcro vuoto), è anche che l’ubicazione della tomba di Gesù era nota agli ebrei ed ai cristiani di Gerusalemme. Sicuramente la presenza storica di un membro del Sinedrio, come Giuseppe d’Arimatea, rende plausibile che le autorità ebraiche avessero informazioni sul sepolcro.

 

1.1 Obiezione: non esisteva una sepoltura individuale per i condannati.

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Come accennato, non tutti gli studiosi concordano sulla storicità della sepoltura di Gesù.

L’obiezione più in voga, almeno fino alla metà del XIX secolo, era che parlando di una sepoltura individuale si manifestava ignoranza verso i costumi giudaici e quindi gli autori dei vangeli sarebbero stati dei greci della seconda o terza generazione cristiana.

Il più noto studioso a sostenere questo è stato lo storico John Dominic Crossan, il quale ha insistito sul fatto che Gesù probabilmente non fu mai sepolto poiché le vittime della crocifissione venivano tipicamente lasciate sulla croce per essere mangiate da animali selvatici o seppellite in tombe poco profonde7J.D. Crossan, Jesus, A Revolutionary Biography, HarperSanFrancisco 1994, p. 123-26.

Il riferimento è alle regole giudaiche secondo le quali ai condannati a morte spettava una sepoltura comune, come si legge effettivamente in Mishnah Sanhedrin (contenuto nella Mishnah e nel Talmud).

Gli scavi archeologici svolti a Gerusalemme nel 1968, tuttavia, hanno portato alla luce un ossario contenuto in una tomba ebraica, al cui interno sono emersi i resti di un uomo crocifisso contemporaneo a Gesù o databile ai primi anni del cristianesimo (probabilmente alla fine degli anni 20 d.C.).

José Miguel Garcia, direttore della Cattedra di Teologia all’Università Complutense, ha riferito che tale scoperta è una prova «che non sempre i condannati a morte erano sepolti nella fossa comune» e «se le loro famiglie o gli amici richiedevano i corpi, si poteva concedere loro una sepoltura dignitosa»8J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 278.

Da questa scoperta in poi non risulta che qualche specialista ha più avanzato obiezioni alla sepoltura individuale di Gesù come descritta dai vangeli.

N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College, dopo aver studiato la letteratura ebraica antica (come il Talmud di Babilonia) hanno anche messo direttamente in discussione il fatto che i costumi giudaici non prevedessero mai una sepoltura dignitosa anche per chi moriva crocifisso.

Per gli ebrei era, anzi, un dovere concedere ai morti un’appropriata sepoltura anche per quanto riguardava «gli ebrei giustiziati dalle autorità pagane»9C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 58, tradizione attestata in uno dei rotoli di Qumran1011QT 64,7-13a. In esso, scrivono i due studiosi, viene «posto in evidenza il requisito di seppellire il giustiziato nel giorno stesso della sua morte» per evitare la profanazione della terra, dal momento che l’uomo messo a morte è maledetto da Dio11C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 59. Non sempre le autorità romane, tuttavia, acconsentivano le usanze ebraiche.

In un altro testo ritrovato a Qumran, il Rotolo del tempio1211QT 48,10-14, si conferma che «anche nel caso del criminale messo a morte venisse prevista un’adeguata sepoltura»13C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 59. Così, i due studiosi hanno concluso: «Gli ordini della Scrittura, considerati insieme alle tradizioni concernenti la pietà (come esemplificato nel libro di Tobia), l’impurità corporea e l’obbligo di non profanare la terra, suggeriscono senz’ombra di dubbio che in circostanze normali (cioè in tempo di pace) nessun cadavere sarebbe dovuto rimanere insepolto: né giudeo, né pagano, né innocente né colpevole. Tutti sarebbero dovuti essere sepolti»14C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 61.

Anche Raymond E. Brown, professore emerito di Nuovo Testamento presso l’Union Theological Seminary di New York, ha chiarito che la politica romana si adeguava spesso a quella religiosa ebraica riguardo alla sepoltura e ammetteva la possibilità di una sepoltura personale di alcuni crocifissi15R.E. Brown, The Death of the Messiah, Doubleday 1994, Vol. II, p. 1205.

Infine, l’archeologa e biblista Jodi Magness, presidente dell’Archaeological Institute of America, è anch’essa intervenuta in merito confermando: «I racconti evangelici della sepoltura di Gesù sembrano essere in gran parte coerenti con le prove archeologiche»16Jodi Magness, Stone and Dung, Oil and Spit: Jewish Daily Life in the Time of Jesus, Eerdmans 2011, p. 170.

 

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2. LA STORICITA’ DEL RITROVAMENTO DELLA TOMBA VUOTA.

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Prima degli anni ’50, l’idea del sepolcro vuoto era considerata un’offesa per l’intelligenza ed un imbarazzo per la teologia cristiana.

A partire dalla metà del secolo scorso, tuttavia, seppellito il bultmannesimo e con l’inizio della moderna fase dell’indagine sul Gesù storico, lo storico tedesco Hans von Campenhausen fu uno dei primi a difenderne la credibilità storica, seguito da talmente tante pubblicazioni che l’orientamento accademico su questo tema venne letteramente capovolto.

Il racconto innanzitutto soddisfa il criterio storico della molteplice attestazione, essendo confermato in maniera sostanzialmente identica da ben sei fonti antiche ritenute indipendenti: i quattro vangeli canonici, gli Atti degli Apostoli (At 2,29; 13,36) e, implicitamente, la Prima lettera ai Corinzi di Paolo (1Cor 15,4). In particolare quest’ultima sarà analizzata come prova a sé stante nel capitolo successivo.

Il noto studioso del Nuovo Testamento, Klaus Berger, docente all’Università di Heidelberg, ha proprio sottolineato che «i resoconti sul sepolcro vuoto sono riferiti da tutti e quattro i vangeli (e altri scritti del primo cristianesimo) in una forma indipendente l’uno dall’altro […]. Abbiamo una grande abbondanza di resoconti»17K. Berger, Ostern fällt nicht aus! Zum Streit um das ‘kritischste Buch über die Auferstehung’, Idea Spektrum 1994, p. 21-22.

Sulla base di questo punto di partenza, non pochi studiosi nel corso degli ultimi decenni sono giunti a dimostrare in maniera indiretta l’attendibilità del racconto avanzando argomenti seri, oggi condivisi dalla maggior parte dei ricercatori.

Lo ha dimostrato Gary Habermas, presidente del dipartimento di Filosofia e Teologia della Liberty University, analizzando oltre 2.000 pubblicazioni specialistiche dei principali studiosi internazionali delle origini cristiane. Ha concluso: «La maggior parte degli studiosi critici (75%) concorda sul fatto che la tomba di Gesù sia stata trovata realmente vuota»18G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297. Impossibile citarli tutti, limitiamoci ad alcuni.

L’eminente James Dunn, professore emerito di studi sul Nuovo Testamento all’Università di Durham, a conclusione dei suoi studi e di quelli dei suoi colleghi, ha scritto, ad esempio: «Devo dirlo chiaramente: la probabilità è dalla parte che la tomba fosse vuota. Al netto della ricostruzione storica, il peso delle prove indica fermamente tale conclusione […]. Non sono possibili spiegazioni alternative»19J.D.G. Dunn, The Evidence for Jesus, Westminster 1985, p. 68.

Wolfhart Pannenberg, docente di Teologia all’Università di Monaco, ha scritto: «Si può immaginare come dei discepoli di Gesù avrebbero potuto annunciare la sua resurrezione a Gerusalemme se fosse stato possibile contraddirli continuamente guardando il sepolcro dove era stato deposto il corpo di Gesù? Il loro annuncio non sarebbe resistito nemmeno un giorno, nemmeno un’ora, se il sepolcro vuoto non fosse stato un dato certo»20citato in H. Staudinger, Credibilità storica dei Vangeli, EDB 1991, p. 115.

A sua volta, lo storico e classicista britannico Michael Grant ha concluso: «Lo storico […] non può negare in alcun modo giustificato il sepolcro vuoto». L’applicazione dei criteri storici normalmente usati dagli studiosi indicano infatti che «le prove sono abbastanza solide e plausibili da richiedere la conclusione che la tomba sia stata effettivamente trovata vuota»21M. Grant, Jesus: An Historian’s Review of the Gospels, Collier 1992, p. 176.

L’eminente biblista austriaco Jacob Kremer, docente di Studi biblici del Nuovo Testamento presso l’Università di Vienna, ha scritto: «Di gran lunga la maggior parte degli esegeti considera affidabili le dichiarazioni bibliche relative al sepolcro vuoto»22J. Kremer, Die Osterevangelien–Geschichten um Geschichte, Katholisches Bibelwerk 1977, pp. 49-50.

C’è chi ha fatto osservare, inoltre, che il sepolcro vuoto è stato confermato indirettamente dalle stesse autorità ebraiche quando iniziarono ad accusare i cristiani di aver trafugato il corpo di Cristo (pur senza spiegare come avessero fatto).

Questa polemica trovò spazio anche dalle opere ebraiche dissacranti verso i cristiani, come le Toledot Yesu, il cui primo strato aramaico potrebbe contenere un’antica tradizione orale risalente al I secolo. In esse c’è l’involontaria ammissione che «il corpo non si trovò dopo la sepoltura»23R. Calimani, Gesù ebreo, Mondadori 2001, p. 174, 175, come ha scritto lo storico dell’ebraismo Riccardo Calimani. La spiegazione che diedero è che il corpo fu sottratto da un giardiniere, ma questo sarebbe stato impossibile da scrivere se gli ebrei fossero stati a conoscenza che il sepolcro non era vuoto.

Anche lo specialista spagnolo José Miguel Garcia ha sottolineato che «per tutto il tempo in cui hanno cercato di impedire la diffusione del cristianesimo, i membri del Sinedrio non hanno negato il dato del sepolcro vuoto, semplicemente lo hanno spiegato appellandosi alle dicerie del furto del corpo di Gesù da parte degli apostoli»24J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 279-280.

In Mt. 28,11-15, infatti, viene riportato che i sommi sacerdoti pagarono i soldati perché dichiarassero che furono i discepoli a rubare il corpo mentre le guardie dormivano. C’è chi ritiene che quest’ultimo non sia un dettaglio storico ma un’aggiunta dell’evangelista Matteo25D.J. Harrington, The Gospel of Matthew, Liturgical Press 1991, p. 407, tuttavia è stato replicato che sarebbe servito agli scopi della propaganda apologetica solo se le guardie fossero rimaste sveglie.

L’accusa delle autorità ebraiche presuppone logicamente che il corpo di Cristo effettivamente non venne ritrovato nel sepolcro. Da nessuna parte nella letteratura ebraica o pagana contemporanea agli eventi accaduti a Gerusalemme vengono citate smentite al sepolcro vuoto (e neanche teorie esplicative alternative). Non esistono nemmeno altre tradizioni funerarie concorrenti.

Un’altra argomentazione è quella che ritiene con certezza il sepolcro era vuoto perché, altrimenti, la stessa predicazione cristiana non avrebbe avuto alcun successo. E. Earle Ellis, professore emerito di Teologia presso il Southwestern Baptist Theological Seminary di Fort Worth (Texas) e fondatore dell’Institute for Biblical Research, pur assumendo che i discepoli abbiano potuto inventare dal nulla una risurrezione corporale ha scritto che «è dubbio che avrebbero generato un seguito. Una risurrezione corporale senza una tomba vuota sarebbe stata significativa quanto un cerchio quadrato»26citato in W.L. Craig, Contemporary Scholarship and the Historical Evidence for the Resurrection of Jesus Christ, Truth 1985, Vol. 1, p. 89-95.

Se la prima comunità cristiana ebbe un seguito, sia verso gli ebrei che verso i pagani, ciò implica che nessuno poté dimostrare il cadavere di Cristo nel sepolcro o in qualunque altra parte.

Se avessero potuto, le autorità ebraiche o romane avrebbero certamente bloccato sul nascere quel fastidioso movimento cristiano che mise in subbuglio Gerusalemme, bastava indicare il corpo di Gesù nel sepolcro e i discepoli non avrebbero potuto testimoniare più nulla. Se non poterono farlo è perché la tomba era realmente vuota.

 

2.1 Obiezione: furono le autorità ebraiche a sbarazzarsi del corpo di Gesù.

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Anche gli studiosi più scettici hanno dovuto ammettere che il racconto evangelico del sepolcro vuoto è storicamente inattaccabile. Così, sono ricorsi a spiegazioni alternative senza provare a mettere in dubbio la storicità della tomba vuota.

Lo specialista Gerd Ludemann, docente di Teologia all’Università di Gottinga, è uno di coloro dei tanti studiosi laici ad aver confermato la mancanza di obiezioni sostanziali alla storicità del ritrovamento del sepolcro vuoto. Tuttavia sostiene che siano state le autorità ebraiche a sbarazzarsi del corpo di Gesù per evitare di alimentare una venerazione eccessiva verso i resti mortali di quello scomodo rivoluzionario del I secolo.

E’ facile contro-replicare (come hanno fatto numerosi suoi colleghi) che risulta francamente improbabile che i membri del Sinedrio e le autorità ebraiche soffrissero di amnesia collettiva. Quando la prima comunità cristiana inizio ad annunciare improvvisamente che Gesù era risorto corporalmente, perché semplicemente non li misero a tacere rivelando dove avevano deposto il cadavere?

Lo stesso Ludemann, d’altra parte, ha riconosciuto che «gli ebrei mostrarono interesse per il luogo in cui venne deposto il cadavere di Gesù e, naturalmente, per la proclamazione di Gesù come Risorto […]. Ciò ha provocato domande sulla destinazione del suo corpo da parte di avversari o non credenti»27G. Ludemann, The Resurrection of Jesus, Fortress Press 1994, p. 116. A maggior ragione, le autorità ebraiche e romane avrebbero avuto tutto il potere per smentire i cristiani risalendo al cadavere di Cristo o annunciando pubblicamente che cosa ne avessero fatto (magari citando testimoni oculari). Eppure accusarono i cristiani di averlo sottratto.

Se avesse potuto, il Sinedrio ebraico avrebbe fatto comparire il cadavere di Gesù in una delle tante occasioni in cui Gerusalemme fu messa in subbuglio dai sermoni degli apostoli sulla risurrezione di Cristo. Ma in alcuna fonte antica ebraica o pagana i primi cristiani vengono smentiti tramite l’indicazione del cadavere o del sepolcro occupato.

Dopo aver considerato in maniera complessiva e organica gli argomenti a favore e quelli contrari, José Miguel Garcia, direttore della Cattedra di Teologia all’Università Complutense di Madrid, ha concluso: «Tutte le caratteristiche segnalate ci obbligano a concludere che la critica storica non può negare l’autenticità del ritrovamento del sepolcro vuoto»28J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 281.

 

2.2 Obiezione: furono i discepoli a rubare il corpo di Gesù.

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Essendoci pochi dubbi sulla realtà storica del sepolcro vuoto ed essendo insostenibile che siano state le autorità ebraiche a sbarazzarsi del corpo di Gesù, rimane l’obiezione che a trafugare il corpo furono i discepoli, nascondendolo o sotterrandolo chissà dove.

Effettivamente è stata la prima ed immediata reazione dei membri del Sinedrio (e ciò, come detto, implica che il sepolcro era vuoto). La polemica ha lasciato traccia negli stessi vangeli, come in Mt. 28,11-15. Questa tesi è stata poi ripresa nella forma del complotto dai deisti del XVIII secolo.

Oggi gli studiosi contemporanei non hanno problemi a respingere tale obiezione, la quale sopravvive sostanzialmente nella stampa popolare e nei blog di divulgazione antireligiosa. «Non considero la frode deliberata una spiegazione utile. Molte delle persone che affermarono questo avrebbero passato il resto della loro vita a proclamare di aver visto il Signore risorto e molti di loro sarebbero morti a causa di questo»29E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Books, 1993, p. 279-280, ha ad esempio scritto E.P. Sanders, eminente studioso di Nuovo Testamento alla Duke University.

Solitamente gli specialisti respingono questa ipotesi con diverse considerazioni decisive, ne segnaliamo solo quattro.

1) Innanzitutto, a parte le semplici accuse non ci sono basi documentali o fonti storiche a supporto e non è sufficiente ipotizzare che i seguaci di Gesù (un piccolo gruppo di pescatori, pubblicani e qualche donna) sarebbero stati psicologicamente predisposti all’astuzia delittuosa richiesta per un tale stratagemma, talmente ben organizzati da ingannare i loro contemporanei, il potere ebraico e quello romano. Nel Nuovo Testamento non c’è alcun appiglio per avanzare una psico-biografia criminale dei discepoli.

Negli scritti cristiani è proprio raccontato l’opposto: al momento della crocifissione, infatti, i discepoli erano confusi, disorganizzati, timorosi, dubbiosi e gravati dal lutto, certamente non mentalmente motivati, coordinati ​o attrezzati per progettare un’operazione degna di un film thriller. Scapparono, rinnegarono (Pietro lo fece tre volte) ed abbandonarono Gesù. A vegliarlo sotto la croce rimasero solo due donne ed un discepolo.

2) In secondo luogo, anche assumendo il trafugamento del cadavere da una tomba sigillata e probabilmente custodita da guardie armate (cfr. Mt. 28,11-15 e Mt 27,62-66), cosa avrebbero fatto del corpo? Il loro Maestro non avrebbe potuto essere sotterrato in un’anonima fossa ma avrebbero trovato una sepoltura estremamente dignitosa, che però inevitabilmente sarebbe divenuta oggetto di visite, preghiere e venerazioni più o meno clandestine. Il tutto senza che nessuno tra gli ebrei e i pagani di Gerusalemme si accorgesse (compresi parenti e conoscenti dei discepoli). Inutile sottolineare che la tomba di Gesù, meta di inevitabili pellegrinaggi, avrebbe dovuto inevitabilmente lasciare anche delle tracce archeologiche.

Inoltre, se furono così abili ed organizzati da attuare un’operazione del genere, perché si dimenticarono di fabbricare anche un alibi per sfuggire all’ovvia accusa di essere gli autori della sparizione del corpo? Più si prende realmente sul serio questa obiezione e più crolla sotto il suo stesso peso.

3) La terza questione è l’impossibilità per un ebreo del I secolo di inventare una resurrezione corporale individuale e prima della fine dei tempi, totalmente estranea e ripugnante al loro credo (ne parleremo più sotto) . Così, dopo aver pianificato il furto ed il nascondimento del corpo avrebbero inventato una inconcepibile (per loro stessi, innanzitutto) resurrezione corporale del loro Maestro, contraria alle Scritture? Chi speravano di convincere?

Come ha scritto il biblista José Miguel Garcia, «se i discepoli hanno davvero rubato il corpo di Gesù, per spiegare la sua scomparsa non avrebbero dovuto ricorrere alla difficile ipotesi della resurrezione; avrebbero potuto avvalersi della concezione ebraica del rapimento corporale in cielo, come la tradizione ebraica afferma nel caso di alcuni suoi personaggi»30J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 280. Sarebbe stato più naturale sostenere che Gesù venne corporalmente rapito, come accadde a Enoc, Elia, Esdra e Baruc nell’Antico Testamento. «Ciò nonostante», ha proseguito l’esegeta spagnolo, «gli apostoli affermarono insistentemente che il corpo di Gesù era scomparso dal sepolcro a causa della risurrezione dai morti»31J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 280.

Se avessero voluto convincere qualcuno, perché si discostarono così pesantemente dalla tradizione ebraica? Se dopo aver rubato il corpo avessero voluto affermare che Gesù era il Messia, Colui che compiva le profezie bibliche, perché inventare una resurrezione totalmente ignota ed estranea all’Antico Testamento?

N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews, ha osservato che tale invenzione da parte dei discepoli «presuppone che si sarebbero aspettati che gli altri ebrei fossero stati aperti alla convinzione che un individuo avrebbe potuto risuscitare dai morti. Ma niente di tutto questo era possibile. La gente di quel tempo avrebbe considerato una risurrezione corporale impossibile, esattamente come la ritengono molte persone del nostro tempo, seppur per motivi diversi»32N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, p. 99.

4) Infine, manca il movente. Fecero tutto questo, inventarono cose assurde per la mentalità dell’epoca, a quale scopo? Non guadagnarono nulla, persero tutto, finirono perseguitati, fustigati, imprigionati per oltre dieci anni, infine martirizzati. Nessuno sottoposto a pressioni tali avrebbe continuato a sostenere una bugia, eppure non c’è traccia di arresa, confessione o tradimento dei compagni.

«Non è così che si inventa», scrisse perfino il filosofo illuminista Jean-Jacques Rousseau.

 

2.2 Obiezione: la morte apparente di Gesù.

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Incredibilmente diversi razionalisti tedeschi, tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo, sostennero l’ipotesi della morte apparente (o dello svenimento) in croce, tesi abbracciata anche dall’idealista Friedrich Schleiermacher.

Gesù non sarebbe morto sulla croce ma in qualche modo sopravvisse, fu deposto vivo nel sepolcro, dove si rianimò e scappò, convincendo i discepoli di essere risorto dai morti. Inutile dire che oggi è una tesi abbandonata da chiunque.

A parte l’inspiegabilità di una sopravvivenza alla tortura fisica ed alla crocifissione, si fatica davvero a pensare come un uomo in fin di vita abbia potuto aprire dall’interno la tomba in cui era sepolto, affrontare le guardie (sempre che ve ne fossero realmente), raggiungere i discepoli e convincerli in qualche modo di essere risorto corporalmente, suscitando l’adorazione e diventando colui che ha vinto la morte. L’unica cosa convincente in quello stato sarebbe stata la necessità di urgenti cure mediche.

E poi? Che fine avrebbe fatto? Si sarebbe sposato e avrebbe dato i diritti della sua biografa a Dan Brown? «Soltanto l’ignoranza o l’ignominia possono creare un’invenzione così lontana dalla realtà»33J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 280, ha commentato sdegnato J.M. Garcia, docente di Nuovo Testamento all’Università Complutense di Madrid.

La morte in croce di Gesù è fuori discussione per gli studiosi. «Il fatto della morte di Gesù come conseguenza della crocifissione è indiscutibile, nonostante le ipotesi di una pseudo-morte o di un inganno che talvolta vengono avanzate. Non è necessario discuterne ulteriormente»34G. Ludemann, The Resurrection of Jesus Christ: A Historical Inquiry, Prometheus 2004, p. 50, ha replicato perfino lo studioso tedesco Gerd Ludemann, uno dei pochi accademici avvezzo a tesi controverse.

Un altro studioso laico, l’eminente John Dominic Crossan, ha commentato: «La morte di Gesù per crocifissione sotto Ponzio Pilato è sicura più di qualsiasi altro fatto storico. Anche se nessun seguace di Gesù lo avesse scritto nei cento anni dopo la sua crocifissione, lo sapremmo comunque da due autori estranei ai suoi sostenitori. I loro nomi sono Flavio Giuseppe e Cornelio Tacito»35J.D. Crossan, Jesus: A Revolutionary Biography, HarperSanFrancisco 1994, p. 45, i quali riferirono come abbiamo dimostrato in un altro dossier della vita di Gesù di Nazareth.

 

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3. LE FONTI SULLA RESURREZIONE DATATE VICINO AGLI EVENTI.

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Il terzo argomento a favore dell’ipotesi storica della resurrezione è la datazione assolutamente precoce delle fonti storiche.

Se il principio vuole che più una fonte è vicina agli eventi narrati e più ha probabilità di raccontare la verità dei fatti storici, le fonti cristiane raggiungono il massimo delle probabilità di riferire il vero.

L’alta datazione delle fonti cristiane è un’evidenza è ormai acclarata dal mondo accademico e ha messo definitivamente fine alle speculazioni comuni nei secoli passati sulla creazione tardiva dei racconti pasquali.

Per decenni si sostenne che i racconti evangelici si fossero formati a seguito della sopraffazione psicologica della morte di Gesù e la contemporanea acquisizione di una graduale convinzione e consapevolezza spirituale che la sua missione non fosse terminata con la morte. Così, le comunità cristiane avrebbero iniziato progressivamente ad esplorare le Scritture ed utilizzare il linguaggio della risurrezione per articolare la propria esperienza. Verso la fine del I secolo, infine, alcuni avrebbero iniziato ad inventare storie circa un’effettiva risurrezione.

Questa interpretazione non è oggi più sostenibile. Il primo dei motivi è appunto la datazione quasi contemporaneità agli eventi delle prime fonti cristiane. Ecco quali sono:

 

3.1 L’antica fonte pre-paolina (32 d.C.).

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La prima fonte utile è quella scritta da Paolo di Tarso, un ebreo persecutore dei cristiani che si convertì improvvisamente nel 32 (o 33) d.C.36B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 132, si recò a Gerusalemme per incontrare gli apostoli Pietro e Giacomo nel 35 (o 36) d.C.37B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 132 e vi rimase quindici giorni (Gal 1,18-20). E’ qui che Paolo ricevette le informazioni che successivamente inserì nelle sue lettere, a partire dalla Prima lettera ai Corinzi (datata generalmente nel 50-55 d.C.).

All’interno di questa lettera gli storici (per primo fu Joachim Jeremias38J. Jeremias, Easter: The Earliest Tradition and the Earliest Interpretation, New Testament Theology 1971, p. 306) individuano ormai da decenni alcuni versetti (cfr. 1Cor 15,3-7) in cui Paolo utilizza parole non sue (tra cui i termini “apparizione”, “per i nostri peccati”, “secondo le Scritture”, “i Dodici” ecc) e che non ripeterà più nelle altre sue lunghe lettere, prova che sta citando qualcosa che gli è stato trasmesso e che lo precede.

Ecco cosa si legge in questo antichissimo brano pre-paolino:

«Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli» (1Cor 15,3-7).

L’autore condensa in poche righe i principali eventi che saranno poi raccontati dettagliatamente da tutti i vangeli, compresa la risurrezione di Cristo. Inoltre, informa di voler trasmettere ai lettori quel che lui stesso ha ricevuto (παραλαμβάνω) direttamente dai discepoli.

A quando risale la datazione di questa formula pre-paolina? B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina, ritiene che «risalga probabilmente ad un paio di anni circa dopo la morte di Gesù»39B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 132, ovvero al 32 d.C., cioè nella quasi contemporaneità degli eventi (solo 24 mesi dopo la crocifissione di Cristo).

Effettivamente Paolo dopo la conversione è realmente entrato in contatto con «informatori che parlavano per conoscenza diretta»40R. Bauckham, Jesus and the Eyewitnesses, William B. Eerdmans Publishing Company 2006 e, sempre secondo B.D Ehrman, «è una sfida al buon senso pensare che Paolo abbia trascorso più di due settimane insieme al compagno più intimo di Gesù senza apprendere nulla su di lui (per esempio, che era vissuto)»41B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 146, e che era risorto ed apparso a più persone (l’agnostico Ehrman è sempre comprensibilmente a disagio nel ricordare che in questa antica formula cristiana si parla anche della resurrezione e delle apparizioni di Gesù).

Ancora Bart D. Ehrman, ha precisato meglio: «Paolo deve aver incontrato Cefa e Giacomo tre anni dopo la sua conversione, ricevendo le tradizioni che riportò nelle sue lettere, verso la metà degli anni Trenta, diciamo nel 35 o nel 36. Le tradizioni che ereditò erano, ovviamente, più vecchie e risalivano probabilmente a 2 anni dopo, circa, la morte di Gesù […]. E’ la prova che la fede nel messia crocifisso risale a pochissimo tempo dopo la morte di Gesù»42B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 132, 166.

Ehrman, notoriamente agnostico, usa giustamente l’antica fonte pre-paolina come prova di un’immediata fede “nel messia crocifisso”. Il suo bias non-religioso lo porta però a trascurare che oltre alla morte in croce, questa antica fonte riferisce anche della resurrezione di Gesù e delle sue varie apparizioni post-mortem. Avrebbe infatti dovuto scrivere: “E’ la prova che la fede nel messia crocifisso e risorto risale a pochissimo tempo dopo la morte di Gesù”!

Più correttamente, in un passaggio successivo B.D. Ehrman conclude: «Non dobbiamo attendere il vangelo di Marco, datato attorno all’anno 70, per sentir parlare del Gesù storico. La prova, che traiamo dagli scritti di Paolo, combacia perfettamente con i dati forniti dalle tradizioni evangeliche, le cui fonti orali risalgono quasi certamente alla Palestina romana degli anni Trenta del I secolo. Paolo dimostra che, a pochi anni di distanza dal periodo in cui era vissuto Gesù, i suoi seguaci discutevano di quanto aveva detto, fatto e vissuto il maestro ebreo palestinese. E’ una straordinaria convergenza di prove: le fonti evangeliche e i resoconti del nostro primo autore cristiano»43B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 132, 133.

Anche un altro importante studioso non credente, Gerd Lüdemann, docente all’Università di Gottinga, ha riconosciuto: «Gli elementi della tradizione citati da Paolo devono essere datati ai primi 2 anni dopo la crocifissione di Gesù, non più tardi di 3 anni. La formazione delle tradizioni di apparizione menzionate in 1Cor. 15,3-8, cade tra il 30 e il 33 d.C.»44G. Ludemann, The Resurrection of Jesus Christ: A Historical Inquiry, Promethus 2004, p. 38. Come si osserva, Ludemann non ha le stesse remore personali di Ehrman a citare le apparizioni di Gesù (“dimenticandosi” però della resurrezione).

John Dominic Crossan, eminente studioso (anch’egli notoriamente scettico) del cristianesimo primitivo e co-fondatore del Jesus Seminary, afferma invece: «Paolo scrisse ai Corinzi da Efeso all’inizio degli anni ’50 d.C. Ma al momento la fonte più probabile per la ricezione dell’antica tradizione contenuta al suo interno deriva da Gerusalemme all’inizio degli anni ’30 quando andò a visitare Cefa (Pietro) e rimase con lui quindici giorni»45J.D. Crossan, J.L. Reed, Excavating Jesus: Beneath the Stones, Behind the Texts, HarperCollins Publishers 2001, p. 254.

La datazione al 32-33 d.C. della formula pre-paolina citata da Paolo è un’opinione condivisa da molteplici studiosi del calibro di E.P. Sanders46E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin 1993, p. 277, John Kloppenborg47J. Kloppenborg, An Analysis of the Pre-Pauline Formula in 1 Cor 15:3b-5 in Light of Some Recent Literature, Catholic Biblical Quarterly 1978, Vol. 40, p. 351, 360, Jerome Murphy-O’Connor48J.M. O’Connor, Tradition and Redaction in 1 Cor 15:3-7, Catholic Biblical Quarterly 1981, Vol. 43, p. 582-589, J.P Meier49J.P. Meier, A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus, Doubleday 2001, Vol. 2, p. 139, Peter Stuhlmacher50P. Stuhlmacher, Jesus of Nazareth: Christ of Faith, Hendrickson 1993, p. 8, C.E.B. Cranfield51C.E.B. Cranfield, The Resurrection of Jesus Christ, Expository Times 1990, Vol. 101, p. 169, James Dunn52J.D.G. Dunn, The Evidence for Jesus, Westminster 1985, p. 70 e Pinchas Lapide53P. Lapide, The Resurrection of Jesus: A Jewish Perspective, Augsberg 1983, p. 97-99.

Nel 2006 l’eminente studioso Gary Habermas, ha raccolto in un articolo peer-review le conclusioni dei principali studiosi (anche critici, agnostici o non credenti) sulla Prima lettera ai Corinzi. Ecco la conclusione:

«Gli studiosi contemporanei concordano che l’apostolo Paolo è il principale testimone delle prime esperienze di resurrezione. Un ex avversario, Paolo, afferma che Gesù risorto gli apparve personalmente. Il consenso accademico è piuttosto attestato e poche altre conclusioni sono più ampiamente riconosciute del fatto che in 1 Corinzi 15, 3-7 Paolo registra una tradizione orale antica. Questo resoconto pre-paolino riassume il contenuto centrale dei Vangeli, cioè che Cristo morì per il peccato degli uomini, fu sepolto, resuscitò dalla morte e poi apparve a molti testimoni, sia individui che gruppi»54G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297

Tra gli studiosi citati da Habermas, segnaliamo il papirologo Ulrich Wilckens, professore emerito di Nuovo Testamento all’Università di Berlino, per il quale «indubbiamente la prima lettera di Paolo risale alla fase in assoluto più antica nella storia del cristianesimo primitivo»55U. Wilckens, Biblical Testimony to the Resurrection: An Historical Examination and Explanation, St. Andrew 1977, p. 2. Se per Walter Kasper, rinomato studioso del cristianesimo primitivo, 1Cor 15,2-7 era (molto ottimisticamente!) già «in uso alla fine del 30 d.C.»56W. Kasper, Jesus the Christ, Paulist 1976, p. 125, per il biblista e umanista dell’Università di Birmingham, Michael Goulder, il brano «risale a ciò che Paolo ha ricevuto quando è stato convertito, un paio d’anni dopo la crocifissione»57M. Goulder, The Baseless Fabric of a Vision, Oneworld 1996, p. 48.

Come già detto, la quasi contemporaneità della prima fonte cristiana scritta agli eventi smentisce la tesi di una costruzione teologica successiva da parte della prima comunità cristiana. Non c’era il tempo per sviluppare leggende, bugie fantasiose o elaborare una giustificazione “a posteriori” della supposta divinità, come invece è stato sempre sostenuto dal teologo Rudolf Bultmann e dalla cosiddetta “critica delle forme”.

«La convinzione che Gesù fosse risorto dai morti», ha scritto infatti Robert Funk, biblista (non credente) e co-fondatore del Jesus Seminar e del Westar Institute, «aveva già messo radici nel momento in cui Paolo si convertì intorno al 33 d.C. Dato che Gesù morì verso il 30 d.C., il tempo per il loro sviluppo fu quindi di due o tre anni al massimo»58R. Funk, What Did Jesus Really Do?, Polebridge Press 1996, p. 466.

Quando Paolo mise per iscritto 1Cor 15,3-7, inoltre, tutti i protagonisti degli eventi (ebrei e cristiani, amici e nemici) erano ancora vivi, con possibilità di clamorosa smentita in caso di informazioni errate. Anche per questo egli volle assicurarsi delle veridicità del contenuto del suo messaggio compiendo un secondo viaggio a Gerusalemme (cfr. Gal 2, 1-10) per certificare più approfonditamente quanto gli venne riferito dai testimoni oculari (cfr. Gal 2,2) e assicurare la verità dottrinale nella chiesa primitiva.

Se la prima volta incontrò Pietro e Giacomo (cfr. Gal 1, 18-20), la seconda volta confrontò le sue informazioni anche con l’apostolo Giovanni (cfr. Gal 2,9). Paolo stava chiaramente facendo un’indagine storica, intervistando i partecipanti diretti agli eventi.

Come ha notato Martin Hengel, professore emerito di Nuovo Testamento all’Università di Tubinga, «evidentemente la tradizione di 1Cor 15, 3-7 è stata sottoposta a molte verifiche»59M. Hengel, The Atonement: The Origins of the Doctrine in the New Testament, Fortress 1981, p. 38 da parte di Paolo di Tarso.

Howard Clark Kee, professore emerito di Studi biblici alla Boston University School of Theology e alla Pennsylvania University, ha concluso a sua volta che l’indagine svolta da Paolo «può essere esaminata criticamente e confrontata con altre testimonianze oculari di Gesù, proprio come si valuterebbero le prove in un tribunale moderno o in un contesto accademico»60H.C. Kee, What Can We Know about Jesus?, Cambridge University Press 1990, p. 1-2.

Se Paolo avesse riferito il falso sarebbe stato subito smentito. M.R. Licona, docente di Teologia alla Houston Baptist University, ha anche osservato che Clemente Romano (morto nel 99 d.C.) e Policarpo (69 – 155) conoscevano probabilmente in maniera diretta gli apostoli Pietro e Giovanni e si riferiscono a Paolo (e Pietro) come «alle più grandi e giuste colonne» (1Clem V,1) e ai «buoni apostoli» (1Clem V,3), e riconoscono la «sapienza del beato e glorioso Paolo», il quale «insegnò con tanta esattezza e sicurezza la parola della verità» (Lettera ai Filippesi).

Questi, osserva Licona, «non sono i giudizi che ci aspetteremmo se Paolo avesse insegnato un messaggio essenzialmente diverso da quello di Pietro e Giovanni, invece non ci sorprenderebbero se Paolo fosse stato onesto nel dire che stava predicando lo stesso messaggio degli apostoli di Gerusalemme»61M.R. Licona, What are the Primary Sources for Jesus’ Resurrection?, HBU 03/06/2016.

«Le lettere di Paolo», ha concluso M.R. Licona, «sono la voce degli apostoli di Gerusalemme sull’argomento, sono fonti primarie per la risurrezione di Gesù»62M.R. Licona, What are the Primary Sources for Jesus’ Resurrection?, HBU 03/06/2016.

 

3.2 La fonte pre-marciana (37 d.C.).

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Oltre all’antichissima tradizione pre-paolina, gli storici identificano una fonte a lui precedente di cui si è servito l’evangelista Marco. Mentre il suo vangelo è datato al più tardi al 70 d.C., la fonte da lui utilizzata risale al 37 d.C., solo 7 anni dalla crocifissione di Gesù.

A sostenerlo è stato in particolare Rudolf Pesch, il principale studioso internazionale del testo marciano, il quale ad esempio ha sottolineato la presenza di «particolari di lingua e di contenuto» che risultano più «connessi alla situazione concreta che non adattate ad una cristologia post-pasquale» ed indicano «l’origine antica del testo»63R. Pesch, Il vangelo di Marco, Paideia 1982, Vol. 2, p. 649.

E’ complicato riportare qui tutti gli elementi raccolti da Pesch, ne citiamo solo un altro. L’evangelista Marco sorprendentemente non si riferisce mai al Sommo sacerdote chiamandolo per nome, presupponendo che «gli ascoltatori della storia della passione conoscessero la situazione locale e ci induce alla deduzione, pressoché inevitabile, che Caifa rivestisse ancora la funzione di sommo sacerdote quando la storia premarciana della passione venne composta e narrata per la prima volta». Considerando che Caifa esercitò dal 18 al 37 d.C., il limite massimo «per l’origine della storia premarciana della passione va indicato conseguentemente l’anno 37 d.C.»64R. Pesch, Il vangelo di Marco, Paideia 1982, Vol. 2, p. 44, 45.

Dopo aver trattato molti altri motivi, Pesch giunge così a concludere che «nel complesso, tutti questi indizi indicano chiaramente che la storia premarciana della passione ebbe origine a breve distanza dai fatti narrati nell’ambito della prima comunità di lingua aramaica in Gerusalemme»65R. Pesch, Il vangelo di Marco, Paideia 1982, Vol. 2, p. 46, 45.

Conferme sull’antichità della fonte pre-marciana sono giunte da diversi altri studiosi, per i quali, ad esempio, il testo degli altri vangeli canonici suggerisce che il racconto di Marco non fosse la loro unica fonte, ma che utilizzarono ulteriori fonti per i racconti della sepoltura e del ritrovamento della tomba vuota.

L’eminente studioso John P. Meier scrive a sua volta che «la maggior parte dei commentatori riconosce che dietro all’attuale racconto in Mc 16, 1-8, c’è una fonte precedente del racconto della tomba vuota»66J.P. Meier, Un ebreo marginale/i>, vol. 2, Queriniana 2003, p. 1071 citando, tra gli altri, Hans von Campenhausen, Edward Lynn Bode, Ludger Schenke, Reginald H. Fuller, Xavier Léon-Dufour, Pheme Perkins ecc.

Marcus Borg, docente di Nuovo Testamento all’Oregon State University, ha spiegato che questa molteplicità di fonti indipendenti è importante perché «se una tradizione compare in una fonte antica ed in un’altra fonte indipendente, allora non solo è certamente precoce, ma è anche improbabile che sia stata inventata»67M.J. Borg, N.T. Wright, The Meaning of Jesus, Harper Collins 1999, p. 12.

 

3.3 La tradizione inclusa in Atti degli Apostoli (30-35 d.C.).

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Una terza fonte molto antica in cui viene attestato il Gesù risorto si trova nella primitiva tradizione (At 13,29-31; At 13,36-37) contenuta negli Atti degli Apostoli, un altro libro del Nuovo Testamento.

Craig Keener, professore di Nuovo Testamento all’Asbury Theological Seminary ed autore di un’opera monumentale sulla storicità degli Atti degli Apostoli (4 volumi complessivi ed oltre 4.000 pagine), è giunto alla conclusione68C. Keener, Acts an Exegetical Commentary, Baker Academic 2012 che l’autore del libro degli Atti è lo stesso del vangelo di Luca e fu un compagno di viaggio di Paolo. Da ciò ne deduce che fu in grado di riferire come testimone oculare il contenuto della predicazione di Paolo, avendo così familiarità con la prima predicazione apostolica (pertanto anche gli Atti degli Apostoli sono considerati una fonte primaria).

Il libro degli Atti è datato verso l’80 d.C. ma alcuni studiosi chiedono una retrodatazione a poco dopo il 60 d.C., in particolare osservandone la brusca interruzione dopo aver a lungo raccontano la seconda prigionia di Paolo e quand’egli ancora attendeva la sua comparizione (verso il 63 d.C.) Se gli Atti degli Apostoli fossero stati composti successivamente non si sarebbero certamente astenuti dal raccontare l’esecuzione ed il martirio di Paolo (avvenuto nel 66 d.C.)69J. Carmignac, La nascita dei vangeli sinottici, Edizioni Paoline 1986, p. 71. La retrodatazione è stata sostenuta anche dal razionalista e storico del cristianesimo Adolf von Harnack70A. Harnack, Die Apostelgeschichte, Leipzig 1908, p. 72, nota 24.

Ma non è tanto la datazione del libro degli Atti che interessa qui, piuttosto l’antica formula al suo interno. La tradizione sui fatti pasquali contenuta negli Atti degli Apostoli, infatti, vanta anch’essa un’alta datazione.

Se Gerald O’Collins della Pontificia Università Gregoriana ritiene che il testo «incorpora formule di resurrezione che derivano dagli anni Trenta»71G. O’Collins, Interpreting Jesus, Chapman 1983, p. 109-110, il teologo scozzese John Drane conclude che questo materiale «quasi certamente risale al tempo immediatamente successivo alla presunta risurrezione»72J. Drane, Introducing the New Testament, Harper and Row 1986, p. 99.

Seppur in questo caso non si riscontri la stessa unanimità di giudizio tra gli specialisti, tuttavia «la maggioranza degli studiosi conclude che alcuni di questi brani riflettano la prima predicazione del messaggio del Vangelo»73G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297, ha riferito Gary Habermas.

B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina, riconosce innanzitutto che «il libro degli Atti rappresenta una tradizione indipendente»74B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 108, 109 dai vangeli, inoltre «registra tradizioni che provenivano come minimo da mezzo secolo prima, risalenti alla primitiva comunità cristiana della Palestina»75B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 108, addirittura «assai precedente a quello dei vangeli»76B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 124, soprattutto per quanto riguarda i racconti della Pasqua.

In linea generale, tutto il testo contenuto negli Atti degli Apostoli è stato oggetto di approfonditi studi nel corso degli anni. In particolare, la scuola anglosassone ha confrontato i dati storici, geografici, politici e religiosi descritti in questo testo con le fonti antiche conosciute e ha constatato che le informazioni che essi contengono sono coerenti. Inoltre, gli studi comparativi tra gli Atti e gli autori ellenistici dimostrano che Luca è fedele a tutti i parametri della storiografia del tempo e molte delle sue informazioni esclusive sono state avvalorate dai ritrovamenti archeologici e papirologi.

Per questo l’archeologo William M. Ramsay esclamò: «Luca è uno storico con i fiocchi!»77W.M. Ramsay, The Bearing of Recent Discovery on the Trustworthiness of the New Testament, Forgotten Books 2018, p. 222, mentre L.T. Johnson, docente di Cristianesimo antico alla Candler School of Theology, ha riferito che «Luca, secondo gli standard della storiografia ellenistica, è preciso in ciò che afferma»78L.T. Johnson, The Gospel of Luke: Sacra Pagina, Michael Glazier 2006, p. 406.

Per un approfondimento su questo consigliamo in particolare gli studi di A.N. Sherwin-White79A.N. Sherwin-White, Roman Society and Roman Law in the New Testament, Oxford University Press 1962, Edward Plumacher80E. Plumacher, Lukas als hellenisticher Schriftseller. Studien zur Apostelgeschichte, Vandenhoeck & Ruprecht 1972, Martin Hengel81M. Hengel, Acts and the History of Earliest Christianity, Wipf & Stock Pub 2003, Colin J Hemer82C.J. Hemer, The Book of Acts in the Setting of Hellenistic History, Coronet Books 1989 e William Mitchell Ramsay83W.M. Ramsay, The Bearing of Recent Discovery on the Trustworthiness of the New Testament, Forgotten Books 2018.

 

3.4 La Prima lettera ai Tessalonicesi (49 d.C.).

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Una quarta fonte molto antica è un’altra lettera di Paolo, la Prima lettera ai Tessalonicesi. In essa si parla chiaramente di Dio che «ha risuscitato dai morti, Gesù» (1Tess 1,10), definito anche «suo Figlio (1Tess 1,10).

Questo scritto non fa altro che confermare quanto contenuto nella fonte pre-paolina già citata più sopra, datata a soli 2 anni dai fatti narrati. Tuttavia, è bene citare comunque anche questa seconda lettera per completare l’organicità delle fonti più antiche.

Lo studioso B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento e direttore del dipartimento di Studi religiosi dell’Università del North Carolina, ha riferito che il brano paolino «è stato scritto attorno all’anno 49 d.C.»84B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 124, quindi a soli 19 anni dagli eventi narrati.

In una seconda opera ha sostenuto che la Prima lettera ai Tessalonicesi può «essere plausibilmente collocata nel movimento paleocristiano degli anni ’40 e ’50 dell’era volgare, quando Paolo era attivo come apostolo e missionario»85B.D. Ehrman, The New Testament: An Historical Introduction to the Early Christian Writings, Oxford University Press 2011, p. 288. Datazione confermata anche da J.M. Garcia86J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 396, teologo spagnolo all’Università Complutense di Madrid.

Lo studioso statunitense ha anche respinto, con buone argomentazioni, la tesi minoritaria di un’interpolazione successiva: «Ritengo che sia stato Paolo a scrivere quel paragrafo della lettera ai Tessalonicesi. E’ certamente di suo pugno fino al sedicesimo versetto»87B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 125.

 

3.5 Nessun altro evento antico vanta fonti storiche così vicine.

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Esistono quindi 4 fonti antichissime che riflettono in maniera coerente la predicazione della primissima comunità cristiana, immediatamente dopo la morte di Gesù. Il cuore di questa tradizione è la resurrezione di Gesù e le sue apparizioni ad alcuni discepoli.

Questo non dimostra direttamente che la resurrezione debba essere storicamente avvenuta, piuttosto che questo fu certamente ciò che dissero improvvisamente i primi apostoli dopo il ritrovamento del sepolcro vuoto, benché non si aspettassero nulla del genere e, come nessun altro ebreo loro contemporaneo, non lo ritenessero nemmeno concepibile (lo vedremo più avanti).

In secondo luogo, l’antichità delle fonti smentisce anche una costruzione teologica posteriore e tardiva degli eventi pasquali. Se esse contengono le stesse informazioni che saranno incluse successivamente dai vangeli, non esiste nessuna finzione leggendaria come invece sostennero David Friedrich Strauss e la teologia liberale dei secoli scorsi (guidata da Karl Barth e Rudolf Bultmann) fino alla seconda metà del XX secolo.

In terzo luogo, sottolineiamo che fonti storiche così vicine agli eventi sono una rarissima eccezione in tutta la letteratura antica. Qualche esempio: la prima menzione di Erodoto è di Aristotele 100 anni dopo la morte; le gesta di Augusto sono narrate 105 anni dopo la sua morte da Svetonio; la prima storia di Roma è stata scritta in greco dal senatore romano Fabio Pittore verso il 200 a.C., circa 300 anni dopo la nascita di una forma di governo repubblicano a Roma; le principali informazioni su Alessandro Magno provengono da Plutarco e sono scritte 260 anni dopo la sua morte, e la più fonte affidabile è a più di 370 anni di distanza. Eppure gli storici hanno pochi dubbi nel ritenere credibili e storici questi racconti.

Per questo, il celebre studioso John AT Robinson ha riferito che il Nuovo Testamento «è di gran lunga il libro meglio attestato di qualsiasi scrittura antica al mondo»88J.A.T. Robinson, Can we Trust the New Testament?, Eerdmans 1977, p. 36, confermato dallo scettico Helmut Koester della Harvard Divinity School quando attesta che «la critica testuale del Nuovo Testamento possieda una base molto più vantaggiosa di quella per la critica testuale degli autori classici»89H. Koester, History and Literature of Early Christianity, Fortress 1982, Vol. 2, p. 16-17.

E’ illuminante come A.N. Sherwin-White, presidente della Society for the Promotion of Roman Studies ed uno dei più importanti storici contemporanei dell’epoca romana e greca, ha spiegato che le fonti romane sono generalmente parziali e composte almeno una o due generazioni o addirittura a secoli di distanza dagli eventi che raccontano. Eppure, osserva, gli studiosi non si fanno problemi ad utilizzarle per ricostruire con sicurezza ciò che è realmente accaduto90A. N. Sherwin-White, Roman Law and Roman Society tn the New Testament, Oxford University Press 1963.

Così, nel suo famoso studio, l’eminente storico ha rimproverato i critici del Nuovo Testamento accusandoli di non capire quali inestimabili fonti storiche siano i vangeli, una molteplice attestazione indipendente scritta a poca distanza dagli eventi e contenente tradizioni risalenti alla quasi contemporaneità dai fatti. Se il “tasso di accumulazione leggendaria” viene invocato quando trascorrono più generazioni tra gli eventi ed il loro primo racconto, è esattamente l’opposto di quanto avvenne per il Nuovo Testamento. «Semplicemente non c’era tempo sufficiente per accumulare una leggenda significativa al momento della composizione dei vangeli»91A. N. Sherwin-White, Roman Law and Roman Society and the New Testament, Oxford University Press 1963, ha concluso.

 

3.6 Obiezione: San Paolo non cita la tomba vuota.

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Lo studioso Gary Habermas, presidente del dipartimento di Filosofia e Teologia della Liberty University, dopo aver svolto un’indagine su oltre 2.000 pubblicazioni accademiche che includono il tema della risurrezione di Gesù, pubblicate tra il 1975 ed il 2005 in lingua francese, tedesca ed inglese, ha concluso che una «posizione minoritaria» degli studiosi (il 25%) «accettava uno o più motivi contrari alla storicità del sepolcro vuoto»92G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297.

Tra gli argomenti contrari più citati c’è la mancata citazione del ritrovamento del sepolcro vuoto da parte dell’antichissima fonte pre-paolina (datata, come si è visto, 2-3 anni dopo gli eventi) contenuta nella Prima lettera ai Corinzi. Effettivamente, l’autore scrive: «…fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno» (1Cor 15,3-7).

Sembra però abbastanza implicito che la sepoltura in un sepolcro ed una successiva resurrezione corporale implichi qualcosa nel mezzo, ossia che tale sepolcro fosse stato ritrovato vuoto. Un ebreo del I secolo non avrebbe potuto pensare diversamente, pur ritenendola incomprensibile ed estranea al pensiero giudaico.

«Non c’è dubbio che sia Paolo che la formula paleocristiana da lui citata presuppongano l’esistenza della tomba vuota»93W.L. Craig, Contemporary Scholarship and the Historical Evidence for the Resurrection of Jesus Christ, Truth 1985, Vol. 1, p. 89-95, ha scritto il filosofo William Lane Craig, della Houston Baptist University di Houston.

Poiché Paolo scrisse lettere e non un racconto organico, comprensibilmente non entrò nei dettagli riguardanti la risurrezione di Gesù. La formula pre-paolina è una breve sintesi di ciò che verrà riferito più dettagliatamente in Atti degli Apostoli (cfr. At 13,28-31) e nel Vangelo di Marco (cfr. Mc 15,37-16) in maniera assolutamente coerente e corrispondente. Si veda il confronto che abbiamo graficamente creato.

Infine, la fonte pre-paolina riferisce che Gesù resuscitò “il terzo giorno”: dato che nessuno ha effettivamente assistito alla risurrezione di Gesù, come hanno fatto i cristiani a datarla “il terzo giorno?” Il terzo giorno coincise con il ritrovamento della tomba vuota da parte delle donne seguaci di Gesù, così la stessa risurrezione è stata datata a quel giorno. Ciò mostra che Paolo, riferendo l’antica formula cristiana diffusa dalla primitiva comunità di Gerusalemme, fosse a conoscenza del ritrovamento del sepolcro vuoto.

 

3.7 Obiezione: le fonti cristiane non sono imparziali.

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Un’obiezione proveniente quasi esclusivamente da ambienti antireligiosi e non accademici sostiene che le fonti cristiane non sarebbero attendibili in quanto cristiane, quindi di parte. “Non si può usare la Bibbia per provare la Bibbia!”, dicono.

Chi sostiene questa leggerezza semplicemente non conosce i metodi dell’analisi critica dei testi. Gli storici sanno bene che tutte le fonti sono “di parte” ed anche loro stessi hanno interessi ed opinioni personali non imparziali. Eppure, non hanno problemi a scindere la verità di un testo dall’apologetica, quando esse non coincidono.

Gli studiosi usano la stessa analisi critica (in molti casi perfino più severa) nell’affrontare le fonti cristiane, così come per tutti i testi antichi. E cercano di capire: chi sono gli autori? Qual è la data di composizione? Quali potrebbero essere state le loro fonti? Per chi sono stati scritti? Per quale motivo? In quale contesto? Qual era l’obiettivo dell’autore? Quali pregiudizi può avere avuto? Questo è l’esame critico e forense dei testi adottato anche per i vangeli.

Il fatto che altri cristiani, molto tempo dopo la morte degli autori, abbiano collocato i testi evangelici nel canone chiamato Nuovo Testamento non ha niente a che vedere con la veridicità dei racconti.

Gli evangelisti raccontarono e descrissero un fatto storico, pur inedito, complicato da credere e assolutamente inverosimile per i loro contemporanei, non vollero creare dei libri sacri di una religione, seppur fu ciò che avvenne in seguito. Questa “pretesa” è studiata seriamente in tutte le principali università del mondo nei corsi di studio del Nuovo Testamento.

Inoltre, se si dovessero realmente ritenere affidabili solo fonti imparziali, neutrali e disinteressate ai contenuti che raccontano, bisognerebbe eliminare tutte le opere dell’antichità. Ma anche tutti i testi che avversano il cristianesimo, antichi e moderni (i blog, gli articoli, i libri divulgativi), essendo anch’esse fonti di parte sarebbero inattendibili a priori. Le stesse persone che respingono come inaffidabili i vangeli sono soggetti per nulla imparziali. Siamo sicuri di voler procedere così?

Anche lo storico romano Tacito non fu imparziale quando scrisse l’Agricola nel 98 d.C., raccontando le gesta di suo suocero Giulio Agricola. Si tratta di un’opera di plateale favoritismo. La storia di Roma fu scritta da Tito Livio nel 9 d.C., il quale ammette di voler lodare le azioni gloriose del più grande popolo della terra, cioè i Romani. I resoconti bellici su cui lavorano gli studiosi sono scritti in prevalenza dai “vincitori” (come la Guerra d’indipendenza americana). Tutto inattendibile a priori perché imparziale?

«Per lo stesso motivo, si dovrebbe dubitare anche dei dati biografici di Socrate, trasmessi dai suoi discepoli Senofonte e Platone», ha commentato José Miguel Garcia, dell’Università Complutense di Madrid. «Che dire della veridicità delle gesta compiute da Cesare, narrate dall’imperatore stesso, giacché si tratta di informazioni che provengono da testimoni di parte? Nessuno studioso serio ha messo in discussione il valore di queste fonti per la ricostruzioni di tali avvenimenti storici»94J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 18.

Anche B.D. Ehrman, presidente del Dipartimento di Studi religiosi dell’Università della North Carolina, è intervenuto nel merito, commentando:

«Le storie su Gesù raccontate dagli evangelisti hanno peso né più né meno degli scritti di qualsiasi altro biografo antico (Svetonio, per esempio, o Plutarco) o forse, per fare un paragone più appropriato, di chiunque abbia scritto la biografia di una figura religiosa, per esempio Filostrato e il suo resoconto della vita di Apollonio di Tiana. Noi non accantoniamo i primi resoconti sulla Guerra di indipendenza perché sono stati scritti da americani. Teniamo conto della loro parzialità ma non ci rifiutiamo di utilizzarli come fonti storiche. Altrimenti significa sacrificare le nostre principali via di accesso al passato, e per ragioni meramente ideologiche, non storiche […]. Indipendentemente dal fatto che siano ritenuti o meno fonti storiche ispirate, i Vangeli possono essere considerati e utilizzati come fonti storiche importanti»95B.D. Ehrman, Did Jesus exist?, HarperCollins Publishers 2012, pp. 74, 75.

Con la sua proverbiale ironia, anche il filosofo francese Jean Guitton sottolineò l’assurdità di questa obiezione: «Gli increduli negano che i Vangeli siano documenti storici perché, dicono, sono scritti da credenti, cioè da uomini che prima degli avvenimenti non credevano, ma cambiarono opinione perché gli avvenimenti che raccontano li portò a modificare il loro primo stato d’animo […]. Gli increduli sono difficili, cosa richiedono perché risultiamo onesti davanti ai loro occhi? Esigono documenti scritti da testimoni che, avendo visti gli stessi avvenimenti, non concedano ad essi alcun significato. E’ contraddittorio»96J. Guitton, Gesù, Elledici 1997, p. 134.

Osserviamo inoltre che all’inizio del suo vangelo, Luca scrive di averlo pubblicato perché Teofilo (l’uomo a cui indirizza il suo testo) «possa conoscere la verità sulle cose su cui sei stato informato» (Lc 1,4). Qual è il problema? Era normale ed abituale dichiarare in maniera trasparente la tesi che si voleva difendere fin dall’inizio dell’opera, e l’evangelista era in buona compagnia con tutti gli storici antichi e romani.

Infine, ricordiamo ancora che la datazione delle fonti cristiane nell’imminenza degli eventi è un’eccezione unica rispetto a tutte le opere dell’antichità citate finora. Dal 48 d.C. al 70 d.C. (quindi dai 18 ai 40 anni dopo la morte di Cristo), Paolo di Tarso scrisse 13 lettere (di cui 6 certamente attribuibili a lui) che confermano totalmente il contenuto dei vangeli, e sia queste lettere che gli evangelisti includono tradizioni ancora più antiche, quasi contemporanee agli eventi. Nessun’altra biografia dell’antichità è meglio attestata di quella di Gesù di Nazareth.

Inoltre, abbiamo già sottolineato che nella Prima lettera ai Corinzi, Paolo cita un’antica formula (1Cor 15, 3-8) che gli storici datano a soli 2-3 anni dopo gli eventi (quindi 32 o 33 d.C.) e che include la resurrezione e le apparizioni post-mortem. Oltre a ciò, dal 70 al 90 d.C. (quindi dai 20 ai 70 anni dopo i fatti), gli evangelisti scrivono i loro racconti in perfetta coerenza con le lettere di Paolo, utilizzando fonti pre-evangeliche che vantano una datazione molto alta, risalenti ai primi vent’anni dagli eventi narrati.

Se il principio cardine dell’indagine storica è che più i testi sono vicini agli eventi narrati (e tanto meglio quanti più testi concordano l’un l’altro), più aumenta la probabilità che raccontino eventi realmente storici, i testi cristiani soddisfano in pieno questo principio. La loro datazione precoce impedisce qualunque possibilità di creazione teologica successiva e lo sviluppo di una leggenda inventata.

 

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4. LE DONNE COME TESTIMONI DELLA RESURREZIONE.

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Un quarto argomento utilizzato dagli studiosi rende fortemente poco plausibile la possibilità di una finzione letteraria degli eventi pasquali. La prima comunità cristiana infatti sostenne che furono alcune donne a trovare il sepolcro vuoto e ad assistere alla prima apparizione di Gesù risorto.

Maria Maddalena, in particolare, è indicata da tutti e quattro gli evangelisti come testimone principe della crocifissione e della sepoltura di Gesù (cfr. Mc 15, 40-41) e come una delle testimoni del sepolcro vuoto (cfr. Mc 16, 1-8). La tradizione matteana e giovannea arrivano a presentarla anche come destinataria di un’apparizione del Gesù risorto (cfr. Mt 28, 8-10; Gv 20, 11-18), prima che lo stesso Gesù si manifesti al gruppo dei maschi. L’importante ruolo delle donne è confermato anche negli Atti degli Apostoli (cfr. At 2,29 e 13,29).

Eppure, è risaputo che nel giudaismo dell’epoca le donne godevano di scarso valore. Lo storico ebreo Flavio Giuseppe scrisse che «la donna è inferiore a tutto. Perciò deve ubbidire, non al fine di essere umiliata, ma di essere guidata»97Flavio Giuseppe, AP 2, 199-203. Le donne non venivano nemmeno ammesse come testimoni nei tribunali ebraici, proprio perché la loro testimonianza non aveva peso, né valore.

«Che piaccia o no», scrivono N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College, «le donne nel mondo antico non erano affatto considerate validi testimoni oculari»98C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 105.

Chi mai poteva essere così sciocco da affidare il cuore del messaggio evangelico a delle testimoni che, per definizione, non si ritenevano credibili? Inoltre, se fosse stato possibile manipolare i testi evangelici in un secondo momento, questo dettaglio sarebbe stato subito cancellato o modificato (aggiungendo anche degli uomini come testimoni oculari). Anche ammettendo che gli apostoli fossero riusciti a trafugare il cadavere di Gesù, ingannando tutti, com’è possibile che rovinassero tutto affidando la testimonianza oculare a delle donne? Oltretutto una nota ex indemoniata come Maria Maddalena.

L’eminente biblista statunitense J.B. Meier, dopo aver sottolineato che il protagonismo delle donne negli eventi pasquali è inevitabilmente storico e soddisfa il criterio storico della molteplice attestazione (come già indicato), si è soffermato sul criterio dell’imbarazzo: «Sembra inverosimile che la tradizione cristiana primitiva abbia fatto di tutto per gettare dubbi» sui racconti della risurrezione e della prima apparizione di Gesù, affidando «senza nessuna ragione evidente» la testimonianza a una donna. «A quale scopo sarebbe servita una tale invenzione? La vulnerabilità di una testimone donna che era una ex indemoniata non è passata inosservata agli occhi dei critici maschi dei vangeli, da Celso nel II secolo a Ernest Renan nel XX»99J.P. Meier, Un ebreo marginale, Queriniana 2008, Vol. 2, p. 785.

Effettivamente il filosofo greco Celso scrisse un libello contro i cristiani deridendoli: «I Galilei credono a una risurrezione testimoniata soltanto da qualche femmina isterica»100Celso, Il discorso vero, Adelphi 1987.

Ben Witherington III, noto biblista e membro di spicco della Society for the Study of the New Testament, ha commentato a sua volta che «è difficile credere che i primi cristiani potessero inventarsi la storia che Gesù apparve per la prima volta ad alcune donne. Nel mondo patriarcale in cui vivevano quei cristiani, francamente, non è credibile che un gruppo con una tale mentalità potesse inventarsi una storia simile»101B. Witherington, Una reposicion de la resurreccion, in P. Copan, Un sepulcro vacio, Voz de Papel 2008, p. 183-184. Non c’è dubbio che se l’episodio fosse stato inventato, i testimoni sarebbero uomini.

Nel 2020 anche Gerhard Lohfink, docente di Nuovo Testamento all’Università di Tubinga, ha osservato: «Nella storia della tomba vuota c’è anche un’osservazione che si presenta come una sorta di “fiancheggiamento storico”: essa viene scoperta da donne i cui nomi sono citati. Se questa storia fosse fittizia, non avrebbe coinvolto le donne ma gli uomini. Infatti, le testimonianze delle donne non contavano molto nel mondo di allora. Per lo storico, questa è un’indicazione che il racconto non può essere semplicemente eliminato storicamente».

Lo studioso Raymund Schwager, preside della facoltà di Teologia all’Università di Innsbruck, ha confermato la consuetudine tra gli specialisti nel valutare positivamente per la storicità del racconto il ruolo delle donne alla crocifissione e alla mattina di Pasqua102R. Schwager, Die heutige Theologie and das leere Grab Jesu, Zeitschrift für Katholische Theologie 1993, p. 436. Ed anche lo specialista (scettico) Gerd Ludemann definisce «storicamente certo»103G. Ludemann, What Really Happened To Jesus: A Historical Approach to the Resurrection, Westminster John Knox Press 1995, p. 66 che furono le donne a trovare il sepolcro vuoto.

Un altro argomento collegato a questo è riferito da José Miguel Garcia, direttore della Cattedra di Teologia all’Università Complutense di Madrid. «E’ decisamente sorprendente il fatto che tali cristiani tentino di offrire come prova della resurrezione un fatto che di per sé non è una prova sufficiente nemmeno per loro stessi»104J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 277. Nei racconti evangelici, infatti, né le donne né gli apostoli interpretano il fenomeno del sepolcro vuoto come una “prova della risurrezione” (Maria di Magdala pensò infatti che il corpo di Gesù fosse stato rubato, cfr. Gv 20,2). «Se si afferma che sono state le donne a trovare il sepolcro vuoto, la mattina in cui sono state a visitarlo», ha concluso Garcia, «è perché realmente è stato così».

La prima comunità cristiana e gli evangelisti riportarono quanto effettivamente accadde, senza preoccuparsi degli aspetti più imbarazzanti e controproducenti del racconto. Ciò aggiunge plausibilità al fondamento storico degli eventi pasquali.

 

4.1 Obiezione: le donne si recarono alla tomba sbagliata.

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Lo studioso scettico Gerd Ludemann, sempre molto attivo nelle “proposte alternative”, pur riconoscendo che il ruolo femminile nei racconti della resurrezione smentisce l’ipotesi di un ipotetico falsario, ha sostenuto tuttavia che le donne avrebbero semplicemente sbagliato sepolcro105G. Ludemann, Die Auferstehung Jesu, in A. Bommarius, Fand die Auferstehung wirklich statt?, Parega Verlag 1995, p. 21. Si tratta, in realtà (come lo stesso Ludemann ammette), di una tesi già avanzata da Kirsopp Lake, eminente studioso di Nuovo Testamento alla Harvard Divinity School.

Secondo Lake, le donne trovarono effettivamente un sepolcro vuoto (non si può negare!), ma non era quello di Gesù di Nazareth. Inoltre, fraintesero pure molto maldestramente (forse agitate per lo shock?) le parole di un giovane all’interno che cercò di essere d’aiuto (cfr. Mc 16,5-7), corsero via e riferirono ai discepoli quella strana esperienza. Gli apostoli, in maniera ancor più sconclusionata, trassero da questo racconto la deduzione che Gesù fosse risorto dai morti.

E’ bene ricordare innanzitutto che lo stesso Lake non credette molto in questa ipotesi, riportandola solo una volta nei suoi numerosi libri sul Gesù storico. Inoltre non l’ha mai considerato un argomento per dubitare dei racconti pasquali. Infine, l’ipotesi di Lake non ha generato alcun seguito (o quasi, vedi Ludemann) tra gli specialisti della materia.

Questa obiezione soccombe al fatto che se davvero le donne avessero sbagliato sepolcro, le autorità ebraiche sarebbero state fin troppo felici di sottolinearlo pubblicamente quando i discepoli iniziarono a predicare la risurrezione. Sarebbe bastato indicare il vero sepolcro di Gesù, con il corpo all’interno.

Infine, l’ipotesi della tomba sbagliata ha bisogno di assumere per vere altre ipotesi non verificate: le donne non si accorsero dell’errore, non capirono le parole di Gesù risorto, i discepoli capirono male e tradussero il racconto delle donne in una (per loro inspiegabile) risurrezione corporale e le autorità ebraiche non sottolinearono pubblicamente l’errore. Più un’ipotesi richiede di adottare ipotesi aggiuntive, tanto meno è da ritenere credibile.

Quella della tomba sbagliata è un’obiezione goliardica, priva di un contesto argomentativo. Ha lo stesso valore di chi ipotizzasse che a far sparire il corpo di Gesù furono i soldati di guardia davanti al sepolcro come ripicca verso le autorità romane per il loro basso salario. Senza premurarsi la garanzia di appigli storici e documentali ognuno può sostenere le obiezioni più bizzarre.

 

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5. DETTAGLI RISCHIOSI ED ASSENZA DI ABBELLIMENTI TEOLOGICI.

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Se il ruolo centrale delle donne come testimoni oculari è stato considerato un argomento a sé stante, non si tratta dell’unico elemento fortemente “rischioso” del racconto in relazione alla sua credibilità.

Inoltre, legato a questo, consideriamo anche che i racconti pasquali sono (quasi) totalmente privi di teofanie ed abbellimenti teologici, come invece ci si aspetterebbe in un racconto tardivo per il quale ci fu il tempo di un’interpretazione teologica e scritturistica.

 

5.1 Dettagli rischiosi e nessun timore di smentite.

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Chi predicò la resurrezione di Gesù non ebbe paura di smentite, inserendo dettagli e riferimenti ben precisi. Al contrario, quando si crea una leggenda a posteriori, si evita di riferirsi troppo specificatamente a fatti, luoghi e persone per evitare di essere contraddetti.

Ricordiamo che le prime fonti della resurrezione sono vicinissime ai fatti narrati (datate dai 2 ai 19 anni dopo gli eventi). Quasi tutti i testimoni oculari erano ancora vivi, non solo i discepoli ma anche le autorità ebraiche e gli antagonisti pagani del primo cristianesimo. Impossibile inventare o aggiungere dettagli falsi.

L’esegeta spagnolo José Miguel Garcia ha osservato ad esempio che l’evangelista Marco cita il ruolo di Giuseppe d’Arimatea, «membro autorevole del Sinedrio» (Mc 15,42-47), nella sepoltura di Gesù. «Se si tratta di un racconto inventato in epoca più tarda, risulta sorprendente che venga offerto un dato così concreto. La finzione richiederebbe giocoforza un’informazione imprecisa, difficilmente contestabile da un punto di vista obbiettivo»106J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 277, 278. Se i Vangeli avessero inventato una figura così specifica come un membro del Sinedrio giudaico, non avrebbero potuto reggere contro l’immediata smentita.

Anche il riferimento alla sepoltura individuale di Gesù (come già visto) fu una mossa azzardata per un ipotetico falsario. Infatti, se pur fosse possibile per gli ebrei concedere tale privilegio ad un uomo crocifisso, raramente veniva concesso dalle autorità romane e tutti a quel tempo lo sapevano. Eppure gli evangelisti non temettero di includere la sepoltura individuale a Gesù nonostante fosse un’usanza praticata ma poco diffusa.

Un altro dettaglio riferito dagli evangelisti è il ritrovamento del sepolcro vuoto dopo tre giorni. Un pericoloso e preciso riferimento temporale che individua esattamente il giorno del ritrovamento (la domenica). Un falsario sarebbe rimasto sul vago. C’è chi ha provato a spiegarlo rifacendosi a formule dall’Antico Testamento, secondo le quali il popolo d’Israele sarebbe stato rigenerato e Dio, «dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza» (cfr. Os 6,2).

Ma i biblisti facilmente replicano che il brano allude alla rigenerazione spirituale d’Israele, non ad una resurrezione corporale che avverrà il terzo giorno: la stessa tradizione rabbinica interpreta così il brano107J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 279. Gli evangelisti parlano del “terzo giorno” semplicemente perché fu allora che le donne realmente trovarono il sepolcro vuoto.

Anche le 500 persone testimoni del Gesù risorto citate nell’antico credo pre-paolino (1Cor 15,3-7) possono essere viste come un dettaglio rischioso, soprattutto se siamo quasi nell’imminenza dei fatti. Furono forse gli uditori dei primi discorsi della chiesa primitiva? Alcuni sono conosciuti dallo stesso Paolo (che ha appreso l’informazione dei primi apostoli), in quanto sa che erano morti nel frattempo. Gli apostoli non temettero smentite da nessuno.

Il filosofo francese Jean Guitton osservò a tal proposito che «non si trattò di un mito raccontato in modo vago da cantori popolari, ma di una storia subito predicata in pubblico, nello stesso tempo, negli stessi luoghi, nelle medesime circostanze. Se tale predicazione ha potuto compiersi senza essere, fin dall’inizio, respinta e dimostrata falsa, questo avvenne perché si era davvero verificato in quegli stessi luoghi e sotto gli occhi dei contemporanei un qualche avvenimento strano e inspiegabile, ma innegabile che per la sua evidenza s’era imposto tanto agli amici quanto agli avversari»108J. Guitton, Gesù, Elledici 1996, p. 96.

 

5.2 Assenza di interpretazioni teologiche.

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Un’altra osservazione rilevante spesso riferita dai biblisti e dagli studiosi del cristianesimo antico riguarda l’assenza di qualunque abbellimento o colorazione teologica nei racconti pasquali.

Fin nei racconti precedenti dell’arresto, processo e crocifissione di Gesù sono presenti diversi richiami anticotestamentari, citazioni ed allusioni teologiche. Eppure, la comunità accademica non ha alcun dubbio che siano stati eventi certamente storici, sapendo scindere i fatti dalle interpretazioni teologiche degli autori.

A maggior ragione, ciò è ancor più vero nei racconti pasquali, laddove (sorprendentemente) sparisce ogni traccia di teofanie ed abbellimenti teologici lasciando spazio solo alla cruda sequenza cronologica dei fatti.

«Nei racconti pasquali notiamo la strana assenza della Scrittura. Che ne è di tutte quelle allusioni scritturistiche?», si sono domandati N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College. «Nessuna menzione di brani specifici né la benché minima eco dell’Antico Testamento»109C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 104.

La spiegazione più probabile per i due studiosi è che questi racconti, ancora una volta, «riflettano la primissima testimonianza oculare e si svilupparono in un momento in cui non ci si chiedeva ancora se quella insolita catena di eventi adempisse o meno qualcuna delle Scritture. Erano forse troppo impazienti di raccontare ai loro amici, vicini e familiari le cose straordinarie che avevano visto e udito. Consideriamo dunque l’assenza scritturistica in questione una sorta di argomento probante per indicare che le storie debbano essere ricondotte alla primissima tradizione orale»110C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, pp. 104, 105.

I tratti apologetici sono abbondanti nei racconti tardivi e leggendari della letteratura antica, mentre nei vangeli la risurrezione non è nemmeno descritta, nessun testimone diretto, nessuna riflessione teologica sul trionfo di Gesù sul peccato e sulla morte, alcun uso di titoli cristologici o profezie bibliche adempiute, nessuna descrizione del Signore risorto.

L’unico accenno di interpretazione teologica è quando due evangelisti su quattro (Matteo e Luca) citano una figura angelica (o due figure, per Luca) che comunica alle donne recatesi al sepolcro quanto è avvenuto (Marco cita invece la presenza di un “giovane”, cfr. Mc 16,5-7, mentre Giovanni non riferisce alcun messaggero, cfr. Gv 20,1-10). Alcuni studiosi lo ritengono un espediente letterario per fornire al destinatario degli scritti una minima interpretazione della tomba vuota. Ma in generale, la narrazione è decisamente disadorna, allontanando anche qui qualunque sospetto di una leggenda creata a posteriori.

C.A. Evans e N.T. Wright fanno anche notare l’assenza della futura speranza cristiana. «Quasi in qualunque altro punto del Nuovo Testamento», come negli scritti composti verso la fine del I secolo, «laddove si trovi gente che parla della risurrezione di Gesù, la si trova anche a parlare della futura risurrezione e della speranza finale che un giorno tutti risorgeranno come Gesù. I vangeli, però, non dicono niente del tipo: “Gesù è risorto, quindi c’è una vita dopo la morte”; oppure: “Gesù è risorto, quindi noi andremo in cielo quando saremo morti”. O ancora: “Gesù è risorto, quindi noi risorgere alla fine”. No, nella misura in cui si chiama in causa l’interpretazione di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, l’evento non ha altro significato che è un evento accaduto»111C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, pp. 109, 108.

E’ sufficiente confrontare questi asettici resoconti evangelici con quelli evidentemente leggendari contenuti nei vangeli apocrifi del II secolo. Ad esempio, nel vangelo di Pietro (datato per i più prudenti alla prima metà del II secolo112G. Barbaglio, Gesù ebreo di galilea, EDB 2002, p. 68) si legge:

«I soldati videro aprirsi i cieli e due uomini scenderne vestiti di grande splendore e avvicinarsi al sepolcro. La pietra che era stata addossata alla porta, rotolando via da sé, si scostò da una parte e il sepolcro si aprì ed entrambi i giovani vi entrarono. Come videro ciò, i soldati destarono il centurione e gli anziani, poiché anche questi stavano là di guardia. E mentre spiegavano loro quanto avevano visto, di nuovo vedono tre uomini uscire dal sepolcro, e i due sorreggevano l’altro e una croce li seguiva; e la testa dei primi due si spingeva fin al cielo, mentre quella di colui che conducevano per mano sorpassava i cieli» (VgPt 35-40).

E’ proprio rifacendosi all’evidente tratto leggendario di questi racconti (al contrario di quelli dei vangeli canonici) che il controverso ufologo italiano Mauro Biglino può sostenere le sue fanta-teorie del Gesù alieno!

J.P. Meier docente di Nuovo Testamento all’Università di Notre Dame, ha scritto: «L’evento di Gesù che risorge dai morti non è mai raccontato direttamente. In questo i vangeli canonici divergono marcatamente nella loro sobrietà dai tardivi vangeli apocrifi, come il Vangelo di Pietro, del secolo II d.C.»113J.P. Meier, Un ebreo marginale, Queriniana 2003, Vol. 2, p. 917.

 

5.3 Obiezione: i discepoli di Gesù si inventarono tutto.

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Al di fuori del mondo accademico molte persone nemmeno prendono in considerazione che i racconti evangelici dicano qualcosa di vero. Non importa l’antica datazione delle fonti primarie, non interessa che siano un’eccezione rispetto ai testi storici del passato. Pregiudizialmente sarebbe tutta un’invenzione leggendaria. Si tratta dell’ipotesi della frode deliberata.

Questa ipotesi non trova alcun credito tra gli storici e studiosi professionisti delle origini cristiane, che siano cristiani, atei, ebrei o agnostici. Offriamo comunque qualche breve risposta, pur consapevoli che chi avanza questa obiezione è già orientato a priori senza un impegno serio di approfondimento.

Anche chi è a digiuno di storia ed analisi critica concorda che si mente o si inventa per un interesse personale (guadagno economico, guadagno in relazioni, guadagno di potere). Nessuno è disposto a continuare a raccontare il falso se a causa di questo sta perdendo tutto, compresa la vita. Ebbene, i primi cristiani ebbero tutto da perdere (e persero tutto!) nel sostenere la risurrezione di Cristo.

Quasi tutti i membri delle prime comunità cristiane subirono per oltre dieci anni persecuzioni, lapidazioni, frustate in pubblico, umiliazioni, disonori sociali e prigionia. Vennero rifiutati dalle loro famiglie, dati in pasto ai leoni come divertimento pubblico (dato confermato nel 2018 per quanto riguarda il Colosseo di Roma), perdettero il loro status sociale, il loro lavoro, il loro salario ed infine vennero quasi tutti martirizzati, uno dopo l’altro.

Nonostante questo, non c’è notizia che qualcuno abbia alzato le braccia dicendo: “Ok, è tutto falso, ci siamo inventati tutto, ora lasciatemi in pace”. Non esiste nella storia antica un altro gruppo che, pur assolutamente pacifico, fu perseguitato così tanto e così a lungo per una persuasione tanto radicata. Impossibile credere che stessero mentendo su tutto.

«Non considero la frode deliberata una spiegazione utile», ha concluso E.P. Sanders, celebre docente di Nuovo Testamento alla Duke University. «Molte delle persone che affermarono questo avrebbero passato il resto della loro vita a proclamare di aver visto il Signore risorto e molte di loro sarebbero morte a causa di questo»114E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Books, 1993, p. 279-280.

In secondo luogo, nessun ebreo avrebbe mai inventato qualcosa di simile alla resurrezione di Gesù. Come vedremo, ciò che iniziò a dire quel piccolo gruppo di ebrei pescatori (probabilmente analfabeti) dopo la morte di Gesù era un’idea sconosciuta ed estranea alla cultura giudaica e anticotestamentaria. Da dove l’hanno presa? Se avessero voluto convincere i loro contemporanei perché inventare una leggenda simile, inserendo tra l’altro dettagli ancor più controproducenti ed altamente a rischio di smentite? Né la letteratura pagana, né le Scritture ebraiche poterono essere usate come fonte d’inspirazione.

C’erano altre cose che avrebbero potuto dire, in coerenza con le Scritture. Ecco come lo spiegano N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College:

«Ci si sarebbe potuto aspettare che immaginassero Gesù risorto risplendente come una stella: il che, dopo tutto, è ciò che il testo popolare di Dn 12 dice in merito al popolo che risorge dai morti. I cristiani però non fecero così, nessuno dei racconti della risurrezione ne fa cenno. Anzi, Gesù appare come un essere umano avente un corpo come tutti gli altri: può essere scambiato per un giardiniere (Gv 20,15) o per un compagno di viaggio lungo la via (Lc 24, 13-35). Nessuno avrebbe inventato in questo modo, un simile racconto è senza precedenti. Nessun testo biblico predisse che la risurrezione avrebbe avuto a che fare con una tale categoria di corpo. Nessuna teologia speculativa tracciò un simile sentiero, tale che gli evangelisti potessero seguirlo»115C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 107.

Secondo alcuni i vangeli di Luca e Giovanni sarebbero stati scritti alla fine del I secolo per contrastare il docetismo, l’eresia secondo la quale Gesù non era un vero essere umano ma vi somigliava solamente. Certamente includono descrizioni del Cristo molto “umano”, che mangia un pesce arrostito sulla spiaggia ed invita Tommaso a toccare le ferite dei chiodi, ma questi racconti «sono gli stessi in cui Gesù appare e scompare, trascende il materiale ed infine ascende al cielo. Quei racconti sono così estremamente peculiari ed il tipo di peculiarità che posseggono non è tale da poter essere inventata. Sembra quasi che gli autori dei vangeli si stessero sforzando di descrivere una realtà per la quale sentivano di non avere un linguaggio adeguato»116C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 107, 108.

Infine, i racconti evangelici degli eventi pasquali contengono numerose contraddizioni, come vedremo nell’apposito paragrafo. Se si fossero messi d’accordo per inventare una storia del genere, o si fossero copiati l’un l’altro, sicuramente non si sarebbero contraddetti, gettando ancora più dubbi sull’autenticità. La contraddizione è proprio ciò che bisogna evitare quando si inventa e, secondo aspetto, meglio stare sul vago senza arricchire il racconto da dettagli e riferimenti storici che possano essere facilmente smentiti. Anche in questo caso gli evangelisti fecero proprio l’opposto.

 

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6. NESSUNA VERSIONE ALTERNATIVA PLAUSIBILE.

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Nel corso della storia sono state offerte varie spiegazioni alternative degli eventi pasquali (le più plausibili sono citate in questo dossier): la teoria del complotto, la teoria della morte apparente, la teoria delle allucinazioni e così via. Ma tutte queste diverse versioni sono state respinte dagli studiosi contemporanei.

Questo può essere sostenuto come argomento a favore della storicità della versione originale degli eventi pasquali, seguendo il seguente principio: più un’opzione fallisce, più sono probabili le altre. E più è convincente un’opzione, più le altre lo sono meno.

Il criterio storico della “superiorità rispetto alle ipotesi rivali” è infatti preso molto seriamente dagli studiosi che indagano sulla storicità di un racconto rispetto alle versioni alternative. Nessuna delle tante spiegazioni alternative alla resurrezione proposte nel corso della storia ha mai raggiunto uno status di plausibilità accettabile ed al momento non esiste nessun’altra spiegazione realmente in competizione con quella esposta dalle fonti primarie.

Nonostante lo scetticismo, Stephen T. Davis, professore emerito di Filosofia al Claremont McKenna College, individua proprio nell’incapacità dei critici di fornire una possibile spiegazione naturalistica alla successione degli eventi pasquali una delle prove che la risurrezione di Gesù è «la spiegazione più plausibile di questi fatti»117S.T. Davis, Faith and Philosophy, Vol. 2, No.3, 06/1985, p. 152, 153.

Inoltre, non esistono nemmeno versioni cristiane alternative. Ovvero, fonti antiche scritte da cristiani in un periodo più o meno contemporaneo a quelle originali che contengano attestazioni alternative, diverse ed in competizione. Come ha ricordato William L. Craig, docente di Filosofia al Talbot School of Theology di Los Angeles, «da nessuna parte compaiono tradizioni in conflitto tra loro»118W.L. Craig, J.P. Moreland, Jesus Under Fire, Zondervan 1995, p. 149. Ad esempio, non esistono tradizioni funerarie concorrenti (né cristiane, né ebraiche, né pagane).

Eppure, tutti i racconti antichi riguardanti ad esempio le divinità pagane, oltre ad essere palesemente leggendarie e prive di fatti ritenuti storici (nemmeno dagli stessi autori), sono tramandate con molte versioni alternative le une dalle altre. Al contrario, non c’è alcun resoconto contrastante da parte di qualche discepolo di Gesù, qualche familiare, qualche testimone oculare (ma anche qualche antagonista, ebreo o pagano) sui racconti pasquali. Le uniche variazioni note sono i vangeli apocrifi, chiaramente dipendenti dai vangeli canonici, non contemporanei alle fonti primarie e senza dubbio leggendari.

Non esistettero nemmeno “cristianesimi diversi”, dove ogni comunità contraddiceva l’altra come ci si aspetterebbe se tutto fosse nato da favole o leggende inventate a Gerusalemme. Uno dei principali biblisti contemporanei, J.P. Meier docente di Nuovo Testamento all’Università di Notre Dame, ha spiegato infatti che «non ci fu un periodo in cui parti di tradizione su Gesù circolavano in una chiesa priva della più ampia griglia costituita dalla vita, morte e risurrezione di Gesù»119J.P. Meier, Un ebreo marginale, Queriniana 2008, Vol. 1, p. 118, fondata sui testi del Nuovo Testamento.

Infine, nemmeno il rifiuto del soprannaturale è una valida spiegazione alternativa. Questi racconti si trovano allo stesso livello del racconto della crocifissione, ad esempio. Qualsiasi storico, in quanto storico, può porre la domanda: “Che ne è stato fatto del corpo di Gesù di Nazareth?”, con la stessa semplicità con cui può chiedere: “Come è morto Gesù di Nazareth?”. Se si respinge la forza delle prove cumulative per la sepoltura di Gesù, il ritrovamento del sepolcro vuoto (e le attestazioni del Gesù risorto), occorre avere prove almeno altrettanto convincenti di teorie alternative.

 

6.1 Obiezione: i miracoli non possono accadere.

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Questa obiezione ha più a che fare con il naturalismo metodologico che con l’indagine storica. Gli eventi miracolosi non possono verificarsi, quindi ci dev’essere senz’altro una spiegazione naturale alternativa alla resurrezione di Gesù.

Si tratta di un’affermazione filosofica, sulla quale è parzialmente inciampato anche l’importante studioso (agnostico) B.D. Ehrman, quando ha scritto: «C’è un fraintendimento comune sul mio punto di vista. Ciò che affermo sulla risurrezione di Gesù o di altri suoi miracoli, o di qualunque altro miracolo (di Apollonio di Tiana o di Elia), è lo stesso che avevo quando ero un cristiano, quando credevo in Dio, quando credevo che i miracoli potevano accadere. Ora ho la stesso punto di vista di allora, quindi non è un punto di vista ateo. La mia visione è che anche se i miracoli sono accaduti in passato -diciamo semplicemente che concedo che siano accaduti- non c’è modo di stabilire se sono avvenuti utilizzando le discipline storiche»120B.D. Ehrman, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Pur essendo corretto quanto riferisce Ehrman, il problema di queste obiezioni ai miracoli è non cogliere che si sta valutando l’ipotesi che Gesù sia risorto dai morti in modo soprannaturale, non in modo naturale! Non c’è motivo di ritenere improbabile che Dio abbia potuto risuscitare Gesù dai morti, la vera obiezione non è l’impossibilità dei miracoli piuttosto l’impossibilità o l’improbabilità dell’esistenza di un Creatore dell’Universo. Se Dio esiste, esistono i miracoli.

Lo ha spiegato con maggior eleganza Richard Swinburne, professore emerito di Filosofia all’Università di Oxford:

«Se non c’è Dio, l’ultima determinante di ciò che accade nel mondo sono le leggi di natura, e che qualcuno morto da 36 ore ritorni in vita è una chiara violazione di quelle leggi, ed è quindi impossibile. Ma se c’è un Dio del tipo tradizionale, le leggi della natura operano solo perché lui le fa operare ed ha il potere di sospenderle per un momento o per sempre. Quindi, se Gesù è risorto dai morti, Dio lo ha risuscitato»121R. Swinburne, The Probability of the Resurrection of Jesus, Philosophia Christi 2013, Vol. 15, p. 11.

Considerando che l’ipotesi dell’esistenza di Dio non risulta essere né impossibile, né improbabile (ancora oggi desta curiosità chi sostiene graniticamente il contrario), conseguentemente non è possibile affermare che la risurrezione di Gesù sia impossibile o improbabile da un punto di vista strettamente filosofico.

Va poi considerato che il dibattito è focalizzato non sulla probabilità della resurrezione di per sé e senza alcun elemento di prova, ma solo in seguito ad una serie di fatti storici che implicano l’ipotesi della risurrezione come migliore spiegazione (quello che stiamo facendo in questo dossier).

Il noto teologo Michel R. Licona sostiene che anche dal punto di vista storico si può indagare la resurrezione come ipotesi, senza valicare i confini tra storia e teologia: «Se l’ipotesi della Resurrezione è migliore nel soddisfare i criteri storici rispetto alle ipotesi alternative, lo storico può affermare che Gesù è risorto dai morti, pur non essendo in grado di sostenere che Dio sia stata la causa della rinascita miracolosa di Gesù alla vita (anche se potrebbe comunque suggerire che l’ipotesi di Dio è la miglior candidata alla causa). Quindi, si è liberi di suggerire che non ci sono prove sufficienti per confermare che Gesù è risorto dai morti, oppure che c’è un’ipotesi migliore per spiegare la sua resurrezione. Ma, in linea di principio, non vi è alcuna buona ragione per cui gli storici non possono indagare su una pretesa di miracolo»122M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Chiaramente il dibattito tra filosofi e storici è aperto su questo tema. Presentiamo una terza posizione.

L’ha esposta J.P. Meier, uno dei maggiori biblisti contemporanei e docente di Nuovo Testamento all’Università di Notre Dame: «Simili questioni, come il fatto che i miracoli possano accadere, sono legittime in ambito filosofico e teologico, ma sono illegittime o quanto meno irrisolvibili all’interno di un’indagine storica che voglia limitarsi alla documentazione empirica e alle deduzioni razionali che da tale documentazione si possono trarre»123J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 600.

Secondo Meier, è sbagliato sia perseguire una finalità apologetica aprioristicamente a favore dei miracoli che «perseguire un approccio critico alla storia» assolutamente naturalistico, per il quale «i miracoli non possono accadere e quindi non accadono»124J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 600, 601. Infatti, «il giudizio dell’ateo è altrettanto filosofico e teologico come quello del credente, determinato da una particolare visione del mondo e non un giudizio derivato semplicemente, solamente e necessariamente dall’analisi della documentazione»125J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 607.

Fino a dove può spingersi uno storico? La risposta di J.P. Meier non è così distante da quella di Licona:

«Lo storico può accertare se un evento straordinario ha avuto luogo in un contesto religioso, se qualcuno ha sostenuto che si è trattato di un miracolo, e -ammesso che vi sia documentazione sufficiente- se una iniziativa umana, o forze fisiche dell’universo o l’errore di percezione, l’illusione o la frode possano spiegare l’episodio. Se tutte queste spiegazioni vengono escluse, lo storico può concludere che un evento di cui si sostiene da parte di alcuni che è un miracolo non ha una spiegazione ragionevole o causa adeguata in qualsivoglia attività umana o forza fisica. Andare oltre a tale giudizio e affermare o che Dio ha agito direttamente per realizzare questo evento sorprendente, o che Dio non l’ha fatto, vuol dire andare al di là di quello che ogni storico può affermare nella sua capacità di storico ed entrare nell’ambito della filosofia e della teologia»126J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 608.

Questi tre studiosi, le cui posizioni non sono per forza inconciliabili tra loro, sono comunque concordi nel sostenere che sia in ambito filosofico che in quello prettamente storico non si può aprioristicamente negare la possibilità dell’esistenza dei miracoli.

Un ulteriore problema con l’obiezione “anti-miracolistica” (già accennato da Meier) è che è estremamente dogmatica, non conciliabile con un’indagine storica libera da preconcetti. I naturalisti impediscono a priori che le spiegazioni soprannaturali possano anche esistere come ipotetiche nel pool delle varie opzioni da indagare, violando così i criteri standard di ricerca che chiedono di non scartare alcuna ipotesi a priori, indipendentemente da quanto sia scomoda o inaccettabile per la visione soggettiva del ricercatore e per l’orientamento culturale dominante in cui vive.

Innumerevoli filosofi, inoltre, hanno respinto in generale la negazione della possibilità dell’esistenza dei miracoli, ad esempio Rodney D. Holder127R.D. Holder, Hume on Miracles: Bayesian Interpretation, Multiple Testimony, and the Existence of God, British Journal for the Philosophy of Science 1998, Vol. 49, p. 60-62, direttore del Faraday Institute di Cambridge; George N. Schlesinger128G.N. Schlesinger, Miracles and Probabilities 1987, Vol. 21, p. 219-232, docente di Filosofia alla University of North Carolina; John Earman129J. Earman, Bayes, Hume, and Miracles, Faith and Philosophy 1993, Vol. 10, p. 293, 305-306, professore emerito di Filosofia all’Università di Pittsburgh; Richard Otte130R. Otte, Schlesinger and Miracles, Faith and Philosophy 1993, Vol. 10, p. 93, 97, professore emerito di Filosofia alla University of California at Santa Cruz.

Infine, osserviamo che solitamente chi si appella al naturalismo metodologico chiama in causa le antiche asserzioni di David Hume e Immanuel Kant. Ma, come spiegato da Thomas V. Morris, già docente all’Università di Notre Dame, «nei riferimenti che i teologi fanno a Kant o a Hume, il più delle volte troviamo questi filosofi semplicemente menzionati. Raramente, se non mai, vediamo un resoconto di quali argomenti si suppone abbiano usato per la presunta demolizione dei miracoli»131T.V. Morris, Philosophy and the Christian Faith, University of Notre Dame Press 1988, p. 34.

Stephen T. Davis, professore emerito di Filosofia al Claremont McKenna College, pur respingendo la resurrezione per motivi filosofici (mentre storicamente la ritiene «la spiegazione più plausibile»132S.T. Davis, Faith and Philosophy, Vol. 2, No.3, 06/1985, p. 152, 153), riconosce tuttavia che «è generalmente riconosciuto che Hume sopravvaluta la sua tesi. Non si può escludere a priori la possibilità dei miracoli»133S.T. Davis, Faith and Philosophy, Vol. 2, No.3, 06/1985, p. 148.

Ed effettivamente, nonostante sia ben nota la legge generale che i morti rimangano tali, questo non può escludere automaticamente un caso specifico se esistono prove convincenti in difesa di una tale eccezione.

Per inciso, l’argomento di Hume contro i miracoli è stato confutato già nel XVIII secolo da Gottfried Less e George Campbell, e numerosi filosofi contemporanei lo rifiutano come fallace, a partire da Richard Swinburne134R. Swinburne, The Concept of Miracle, Macmillan 1970, John Earman135J. Earman, Bayes, Hume, and Miracles, Faith and Philosophy 1993, George Mavrodes136G. Mavrodes, Miracles and the Laws of Nature, Faith and Philosophy 1985, Antony Flew137A. Flew, Did Jesus Rise from the Dead, Harper & Row 1987 e William Alston138W. Alston, God’s Action in the World, Cornell University Press 1989.

 

6.2 Obiezione: gli studiosi sono tutti cristiani.

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Un’obiezione ancor più superficiale viaggia solitamente sui social e sul web in generale: i docenti universitari ed i ricercatori specializzati nelle origini cristiane, nello studio biblico e del Nuovo Testamento e nelle fonti cristiane, sarebbero cristiani. Perciò, le loro conclusioni non avrebbero significato.

Chi avanza questa opinione dimostra di non conoscere il sistema di pubblicazione accademico, che aborrisce il principio d’autorità e si fonda sulla dimostrazione (o argomentazione) oggettiva e razionale delle tesi di fronte alla comunità scientifica. L’orientamento personale del singolo non conta nulla in ambito strettamente scientifico (altro sono le divulgazioni popolari), l’autorevolezza in ambito accademico è creata solo dalla validità tecnica del contenuto e dal consenso generale delle proprie tesi tra gli studiosi.

Inoltre, è falso che tutti gli storici del cristianesimo sono cristiani. Gary Habermas, autore di un imponente studio di revisione di migliaia di pubblicazioni specialistiche degli ultimi cinquant’anni, ha precisato che «i cristiani tradizionali costituiscono solo una piccola percentuale degli studiosi»139G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297.

Tra i maggiori specialisti dello studio delle prime fonti cristiane vi sono studiosi di ogni credo (e con varie sensibilità di credo): progressisti, protestanti, ebrei, evangelici, agnostici, cattolici, atei, scettici, cristiani nominali e iper-tradizionalisti. E, tuttavia, «anche la maggioranza degli studiosi non credenti»140G. Habermas, M.R. Licona, The Case for the Resurrection of Jesus, Kregel Publications 2004, p. 149, riferisce Habermas (citando nomi, cognomi e opere), accetta una buona parte delle conclusioni sulla storicità degli eventi pasquali, fermandosi chi molto, chi poco prima, dell’ipotesi soprannaturale. Alcuni di essi sono citati anche in questo dossier (Geza Vermes, Michael Goulder, Gerd Lüdemann, John Dominic Crossan, B.D. Ehrman, Pieter F. Craffert, Dale Allison ecc.).

A ben vedere, inoltre, lo stesso conflitto di interesse risulta allora presente anche negli studiosi dichiaratamente atei o scettici. Indipendentemente dalle loro pubblicazioni, infatti, si saprebbe già in anticipo che rifiutano l’ipotesi della resurrezione come reale. Lo stesso dicasi per gli studiosi ebrei, islamici o induisti. Chi rimarrebbe autorizzato a poter studiare il Gesù storico?

Se pensiamo a B.D. Ehrman, agnostico e docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina, abbiamo già sottolineato la sua ritrosia a ricordare che l’antica fonte pre-paolina (datata a 2 anni dopo gli eventi) includa anche la resurrezione di Gesù. In un’altra occasione ha scritto: «In tutte le tradizioni giunte a noi, Cefa e Giacomo sono sempre schierati dalla stessa parte. Sono due ebrei, credono nella risurrezione di Gesù, guidano attivamente la comunità ecclesiale della loro città»141B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 152. Poche pagine prima aveva riferito: «Simon Pietro e Giacomo sono due ottime persone da conoscere se si vuole sapere qualcosa del Gesù storico»142B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 145.

In quest’ultimo caso Ehrman ha riconosciuto Pietro e Giacomo come fonti attendibili per conoscere il Gesù storico, sottolinea che Pietro è proprio la fonte di Paolo, quando quest’ultimo riferisce della resurrezione di Gesù ma, nonostante questo, per motivi personali sceglie di sospendere il giudizio (o darne uno negativo) sulla realtà della storicità della resurrezione. Fino al ritrovamento del sepolcro vuoto, tuttavia, condivide le tesi degli studiosi cristiani.

 

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7. UN EBREO NON POTEVA INVENTARE LA RESURREZIONE DI GESU’.

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Uno degli argomenti ritenuti più “forti” e statisticamente più citati a favore della storicità della resurrezione emerge dallo studio del pensiero giudaico del I secolo.

Per un ebreo del I secolo sarebbe stato impossibile inventare la resurrezione di Gesù a causa del background giudaico, non l’avrebbe nemmeno compresa. Né loro, né le persone a cui si rivolgevano. Oltretutto, nessuno si aspettava nemmeno che il Messia atteso da Israele potesse essere crocifisso e maledetto da Dio in croce, tanto meno che potesse risorgere corporalmente prima della fine dei tempi.

A volte si dà per scontato che nel I secolo fosse familiare il concetto di resurrezione com’è per noi oggi e ci si dimentica che i primi cristiani non erano rabbini di Gerusalemme, teologi, esegeti dell’Antico Testamento o alte autorità ebraiche, ma un piccolo gruppo di umili pescatori ebrei, pubblicani e qualche donna, provenienti dai piccoli e poveri villaggi della Galilea. Probabilmente erano anche analfabeti.

Nessuno avrebbe inventato dal nulla qualcosa di così inedito per l’ebraismo e per le Scritture stesse come la resurrezione di Gesù. Ed anche se mai avessero anche potuto idearla, chi avrebbero sperato di convincere? Come se non bastasse, lo abbiamo visto, hanno anche aggiunto dettagli per accrescere ancora più dubbi (come il ruolo centrale delle donne).

«Per gli ebrei quella pretesa -al cuore della professione di fede cristiana- era assurda, offensiva e potenzialmente blasfema», ha scritto lo studioso americano B.D. Ehrman. «Eppure era proprio ciò che, poco prima dell’anno 32, andava dicendo di Gesù un gruppetto di cristiani. E’ quasi impossibile spiegare un’asserzione simile, in quel luogo, in quell’epoca, tra quella gente»143B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 172.

Joachim Jeremias, docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Gottinga, ha a lungo esaminato la letteratura ebraica antica, concludendo: «Nell’antico ebraismo non esisteva l’attesa di una risurrezione come un evento della storia. Certamente erano conosciute le risurrezioni dei morti, ma queste erano semplicemente rianimazioni per il ritorno alla vita terrena. Da nessuna parte nella letteratura giudaica si trova qualcosa di paragonabile alla risurrezione di Gesù»144J. Jeremias, Die älteste Schicht der Osterüberlieferungen, in Resurrexit, Libreria Editrice Vaticana 1974, p. 194.

Questo è stato confermato anche da N.T. Wright, eminente professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews ed uno tra i principali esperti del mondo anglosassone. Anch’egli è autore di una vasta indagine sul pensiero del popolo ebraico del I secolo:

«A differenza dei greci e dei romani la morte non era vista dai Giudei come la liberazione dal mondo materiale, ma come una tragedia. Secondo l’insegnamento ebraico ci sarebbe stata una risurrezione corporale di tutti i giusti nel momento in cui Dio avrebbe rinnovato il mondo intero e rimosso tutta la sofferenza e la morte. La risurrezione, tuttavia, era solo una parte del completo rinnovamento del mondo e l’idea di un individuo resuscitato, nel bel mezzo della storia, mentre il resto del mondo continuava ad essere gravato dalla malattia, dal decadimento e dalla morte, era inconcepibile. Se qualcuno avesse detto ad un ebreo del primo secolo: “E’ stato risuscitato dai morti!”, la risposta sarebbe: “Sei pazzo? Come può essere? La malattia e la morte sono scomparse? La vera giustizia è stata ristabilita in tutto il mondo? Il lupo si è riconciliato con l’agnello? Ridicolo!”. L’idea stessa di una resurrezione individuale sarebbe stata letteralmente impossibile da immaginare sia da un ebreo che da un greco»145N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, p. 99.

Per gli ebrei il Messia avrebbe sconfitto i nemici di Israele, ricostruito il tempio, restaurato il trono di Davide e compiuto le profezie ebraiche. Non sarebbe stato vergognosamente giustiziato come un “maledetto da Dio” dal tribunale ebraico.

L’ignominiosa esecuzione di Gesù fu una smentita clamorosa agli occhi degli ebrei sul fatto che fosse l’atteso Messia di Israele. Egli era semplicemente un altro pretendente fallito, non una novità per quei tempi (si pensi a Simone Bar Giora). Solitamente i seguaci avevano solo due alternative: rinunciare o trovare un nuovo Messia.

Alcuni gruppi del giudaismo, quando il loro leader veniva ucciso, semplicemente trovarono un nuovo Messia, «magari suo fratello, suo cugino, suo nipote o suo figlio», ha spiegato C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College. «Il più autorevole capo nella prima Chiesa era Giacomo, fratello del Signore. Era una figura assai rispettata dai cristiani e dalle autorità giudaiche, un uomo di preghiera, un eccellente maestro. Tutti sapevano che era uno dei familiari di Gesù, eppure nessuno si sognava di dire che fosse il Messia. Secondo l’usanza avrebbero dovuto farlo, ma se non lo fecero è per via di una buonissima ragione: credevano che Gesù fosse davvero il Messia, E l’unico motivo valido per credere una cosa del genere di qualcuno che era stato crocifisso era che egli fosse veramente risorto dai morti»146C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 102.

Il solo fatto di considerare Gesù crocifisso il Messia era assurdo. «Gesù fu talmente diverso dalle aspettative di tutti i Giudei riguardo al Figlio di Davide, che i suoi stessi discepoli trovarono quasi impossibile riferire a lui l’idea del Messia»147M. Burrows, More Light on the Dead Sea Scrolls, Viking Press 1958, p. 68, ha scritto Millar Burrows, una delle principali autorità sui rotoli del Mar Morto e professore emerito alla Yale Divinity School.

A sua volta Donald Juel, docente di Nuovo Testamento al Luther Seminary di Saint Paul e membro della Society for the Study of the New Testament, ha sottolineato che «l’idea di un Messia crocifisso non è solo senza precedenti nella tradizione ebraica; è così contrario all’intera narrazione biblica di una liberazione dalla linea di Davide, così poco in armonia con la costellazione dei testi biblici che termini come “scandalo” e “follia” sono le uniche risposte appropriate. L’ironia è l’unico mezzo per raccontare una storia del genere tanto risultò essere controintuitiva»148D.H. Juel, The Trial and Death of the Historical Jesus, Word and World Luther Seminary 1997, p. 105.

Lo stesso Paolo riconobbe che la predicazione del Messia atteso come Gesù, crocifisso e risorto, era «pietra d’inciampo per gli ebrei e stoltezza per i pagani» (1 Cor. 1,21-22). Anche i pagani, non solo gli ebrei, respingevano totalmente l’idea di una risurrezione corporale. «L’antico paganesimo racchiude ogni genere di teorie», ha dichiarato N.T. Wright, «ma quando viene menzionata la risurrezione la risposta è fermamente negativa: noi sappiamo che non succede»149N.T. Wright, Conferenza intitolata a James Gregory, Università di Durham 2007.

Su questo è intervenuto anche Ben Witherington III, docente di Nuovo Testamento all’Asbury Theological Seminary, sorpreso dal linguaggio usato dai primi cristiani: «Perché una comunità che cerca di attirare i gentili costituirebbe una storia della risurrezione, addirittura sottolineando una risurrezione corporale di Gesù? Questa nozione non era affatto parte del regolare lessico pagano dell’aldilà. In effetti, come suggerisce Atti 17, i pagani erano più propensi a ridicolizzare un’idea del genere»150B. Witherington, New Testament History, Baker Academic 2001, p. 165.

Gli storici sanno che quel gruppo di ebrei pescatori non avrebbe mai potuto creare dal nulla o attingere dalla letteratura precedente, pagana o ebraica uno spunto per la resurrezione di Gesù. Lo scrive B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento e direttore del dipartimento di Studi religiosi dell’Università del North Carolina:

«La morte e la resurrezione di Gesù sono un evento unico, tra le antiche divinità del Vicino Oriente non si riscontra nulla di simile. Chiunque pensi che Gesù si stato plasmato prendendo a modello tali divinità deve portare qualche prova -di qualunque genere- che gli ebrei palestinesi furono influenzati» da quei racconti. In ogni caso, «le differenze tra Gesù e gli dei di morte e rinascita dimostrano che Gesù non fu plasmato con le loro caratteristiche, persino nel caso che ai suoi tempi ci fossero persone che parlavano di quelle divinità […]. La morte e risurrezione di Gesù vanno considerate un evento unico. Inoltre, la morte è stata ritenuta un sostituto dell’espiazione dei peccati. Tra le antiche divinità del Vicino Oriente non si riscontra nulla di simile»151B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 228, 234.

Anche Mariano Herranz Marco, professore di Esegesi del Nuovo Testamento e di Lingue Semitiche e Orientali al Seminario di Madrid e noto esponente della Scuola esegetica spagnola, ha osservato che «nel giudaismo la resurrezione dai morti era attesa come un evento che avrebbe avuto luogo alla fine dei tempi; resurrezione dai morti e fine del mondo erano strettamente collegate tra loro».

Al contrario, poco dopo la morte di Gesù gli apostoli iniziano a proclamare qualcosa di radicalmente diverso, cioè che «il mondo va avanti come prima, e ciò nonostante questi uomini annunciano che è iniziata la resurrezione dai morti, che in Gesù risorto è già iniziata la fine del mondo e la nuova creazione»152M.H. Marco, Los evangelios y la critica historica, Ediciones Cristiandad 1978, p. 180-181. Nella letteratura antica «abbiamo, sì, racconti di risurrezioni di morti, in cui il defunto torna alla vita che la morte aveva interrotto, ma la resurrezione di Gesù predicata dagli apostoli è radicalmente diversa»153M.H. Marco, Los evangelios y la critica historica, Ediciones Cristiandad 1978, p. 180-181.

Se il biblista tedesco Ben Witherington III ritiene che «non vi sono motivi validi per pensare che questi racconti sulle apparizioni avessero la propria origine nell’Antico Testamento, che a stento menziona il concetto della resurrezione dai morti»154B. Witherington, Una reposicion de la resurreccion, in P. Copan, Un sepulcro vacio, Voz de Papel 2008, p. 294, anche il teologo (laico) Gerd Lüdemann riconosce che «l’analisi storica porta all’origine brusca della fede pasquale dei discepoli»155G. Lüdemann, Zwischen Karfreitag und Ostern in Osterglaube ohne Auferstehung?, Freiburg: Herder 1995, p. 27.

Qualche accenno anticotestamentario alla resurrezione è stato identificato da John Dominic Crossan, professore emerito di Studi religiosi alla DePaul University, nell’esaltazione ebraica: «All’interno della tradizione ebraica vi furono certamente persone sante che ascesero al cielo piuttosto che essere consegnate ad una tomba terrena, ad esempio Enoch tra i Patriarchi o Elia tra i profeti. L’equivalente greco-romano era l’apoteosi: le monete augustee mostravano lo spirito di Giulio Cesare ascendere come una stella verso l’alto, prendendo posto tra le divinità celesti. Quelli erano gli unici casi individuali, senza alcun rapporto con il destino di tutti gli altri. Se i discepoli avessero voluto dire questo di Gesù, avrebbero usato i termini propri di esaltazione, ascensione, apoteosi. Non di risurrezione»156J.D. Crossan, J.L. Reed, Excavating Jesus: Beneath the Stones, Behind the Texts, HarperCollins Publishers 2001, p. 259-260.

Citiamo inusualmente anche le parole di un importante matematico, John C. Lennox, professore emerito all’Università di Oxford. Dopo essersi a lungo documentato su questo, ha riferito che «i primi cristiani non erano un gruppo di creduloni, ignari delle leggi di natura e perciò pronti a credere a qualunque storia miracolosa. La prima opposizione al messaggio cristiano della risurrezione di Gesù Cristo provenne non dagli atei ma dai sommi sacerdoti sadducei dell’ebraismo». Questi devoti ebrei, ha proseguito Lennox, «quando per la prima volta udirono l’affermazione secondo cui Gesù era risorto non ci credettero. Avevano abbracciato una visione del mondo che negava la possibilità della risurrezione fisica di chiunque, tanto meno quella di Gesù Cristo»157J.C. Lennox, Fede e scienza, Arsenia 2009, p. 249.

Un’altra conferma arriva da Ulrich Wilckens, importante docente di Nuovo Testamento all’Università di Berlino: «Da nessuna parte i testi ebraici parlano della risurrezione di un individuo che avviene già prima della risurrezione finale dei giusti; da nessuna parte la partecipazione dei giusti alla salvezza dipende dalla loro appartenenza al Messia, che sarebbe resuscitato in anticipo “primizia di coloro che sono morti”(1Cor 15,20)»158citato in W.L Craig, Contemporary Scholarship and the Historical Evidence for the Resurrection of Jesus Christ, Truth 1985, Vol. 1, p. 89-95.

Per gli ebrei la resurrezione sarebbe stata spirituale e sarebbe avvenuta dopo la fine del mondo e per tutti i membri del popolo d’Israele. Dio avrebbe risuscitato i giusti dalla morte e li avrebbe ricevuti nel Suo Regno. Al contrario, la risurrezione di Gesù annunciata dai suoi seguaci ebrei è stata corporale, nella storia e ad una singola persona.

Uno degli studenti di Rudolf Bultmann, Heinrich Schlier, docente di Nuovo Testamento all’Università di Bonn, abbandonò le tesi scettiche del maestro per aderire convintamente alla divinità di Cristo. «Il racconto che fa il Nuovo Testamento della risurrezione», scrisse, «non ha alcun carattere mitologico, non può essere portato alcun valido parallelo tratto dalle religioni e dalla mitologia antica. Inoltre non viene in alcun modo presentata come un miracolo. E’ piuttosto […] descritta come un avvenimento reale sui generis di inusitata forza e portata»159H. Schlier, Breve rendiconto. Il racconto autobiografico della conversione al cattolicesimo di uno dei più grandi esegeti del XX secolo, 30 giorni 1999, p. 51, 52.

Qualcuno obietta che lo stesso Gesù di Nazareth fece risorgere dalla morte la figlia di Giairo (Mc 5,22-24), il figlio della vedova di Nain (Lc 7,11-15) e Lazzaro (Gv 11,1-44). Quindi non sarebbe stata una cosa sconosciuta. José Miguel Garcia, specialista del Nuovo Testamento, ha risposto che il racconto evangelico «esprime con chiarezza che si tratta di un ritorno alla vita temporale, quindi soggetta alla morte».

La stessa sorella di Lazzaro, Marta, infatti, rispose così quando Gesù le annunciò la resurrezione di suo fratello: «So che risusciterà nell’ultimo giorno» (Gv 11,24). Non aveva idea che il fratello stava per essere riportato in vita in quel momento. Quando Gesù annuncia ai suoi discepoli che sarebbe risorto dai morti, loro pensano che intenda alla fine del mondo (cfr. Mc 9,9-13). Questo è ciò che credevano gli ebrei.

Anche J.P. Meier, celebre biblista americano, ha sottolineato l’unicità del fenomeno: «La risurrezione specifica di Gesù è fondamentalmente diversa nel contenuto: non è pensata in termini di un “ritorno” alla vita terrena. In questo i vangeli concordano con Paolo: “Cristo, essendo stato risuscitato dai morti, non morrà mai più, la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6, 9-10) […]. Inoltre, durante il suo ministero pubblico, Gesù stesso è stato l’agente che ha risuscitato alcuni dalla morte. Invece, il Nuovo Testamento attribuisce la risurrezione di Gesù all’azione di Dio Padre»160J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 916. Ed anche la forma letteraria è diversa: «Sorprendentemente, non esiste in assoluto alcun racconto sulla risurrezione di Gesù, l’evento non è mai raccontato direttamente. In questo i vangeli canonici divergono marcatamente nella loro sobrietà dai tardivi vangeli apocrifi»161J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 2, Queriniana 2003, p. 917.

Lo studioso italiano Mauro Pesce, antropologo ed ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, ha inoltre osservato che «dal punto di vista storico, religioso o antropologico, è chiaro che il veggente “vede” solo ciò che gli consentono gli schemi culturali che possiede»162C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 58. Gli schemi culturali ebraici dei discepoli non poterono produrre ciò che annunciarono.

A distanza di un secolo dagli eventi, Tertulliano scrisse a proposito della resurrezione di Cristo: «Credo ciò, perché è un fatto assurdo». Egli impiegò una forma argomentativa classica dell’aristotelismo secondo la quale tanto più un evento è improbabile, quanto meno probabile è il fatto che qualcuno lo creda, senza l’intervento di una prova stringente.

Il filosofo della scienza David C. Lindberg, già presidente della History of Science Society, ha spiegato a tal proposito che «in altri termini, la resurrezione dei morti è un fatto così improbabile che gli apostoli non avrebbero prestato fede alla resurrezione di Cristo, se non si fossero trovati di fronte un’evidenza tanto incontestabile, che, nel caso in questione, l’improbabile doveva essere accaduto. Tale verità rende la Resurrezione di Cristo più probabile di qualche altro evento, la cui realtà sia stata accettata meramente sulla base di una generica plausibilità»163D.C. Lindberg, R.L. Numbers, Dio e natura. Saggi storici sul rapporto tra cristianesimo e scienza, La Nuova Italia 1994, p. 14.

In linea con questo, N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College, hanno spiegato:

«Dopo l’esecuzione di Gesù di Nazareth nessuno avrebbe mai affermato che egli fosse il Messia dopo due giorni, tre giorni, tre settimane o anche tre anni a meno che non accaduto qualcosa di straordinario: qualcosa capace di convincere del fatto che Dio lo avesse riscattato; qualcosa di più importante del semplice andare in cielo in qualche stato di esaltazione gloriosa. E’ questo che credevano succedesse ai martiri, e c’erano molte maniere diverse per parlarne. Avrebbero quindi quasi certamente detto che Gesù sarebbe risorto dai morti in futuro, ma mai che una tal cosa fosse già avvenuta»164C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 102.

Val la pena citare integralmente anche le parole del filosofo Wiliiam Lane Craig:

«Tra i fatti riguardanti Gesù generalmente accettati dagli studiosi storici, c’è l’improvvisa e sincera persuasione dei descipoli che Gesù era risorto dai morti nonostante avessero ogni predisposizione contraria e che le credenze ebraiche sull’aldilà impedivano a chiunque di risorgere nella gloria e nell’immortalità prima della risurrezione generale dei morti alla fine del mondo. E né la storia della trasfigurazione né la storia biblica della strega di Endor sono racconti di resurrezione dai morti. Poiché questo è esattamente ciò che i primi discepoli giunsero a credere, sorge la domanda su cosa li abbia indotti a credere a qualcosa di così poco ebreo e altamente stravagante. Perché non raccontare che apparve loro in gloria, proprio come Elia e Mosè?»165W.L. Craig, Resurrections prior to the World’s End?, Reasonable Faith 12/02/2017.

I discepoli dopo la morte di Gesù si apprestavano ad attendere il giorno finale in cui tutti i giusti d’Israele sarebbero stati innalzati da Dio alla gloria. Nel frattempo avrebbero probabilmente conservato con cura la tomba del loro Maestro come un santuario, dove far risiedere i suoi resti mortali. Nessuno aveva idea o poteva lontanamente immaginare che egli sarebbe risorto corporalmente dopo tre giorni.

 

7.1 Obiezione: i vangeli copiarono dagli dei pagani di morte e rinascita.

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E’ nota l’attività dei cosiddetti miticisti, i sostenitori del mito di Cristo, nel citare presunti parallelismi tra Gesù ed innumerevoli divinità pagane, egizie, greche e romane.

Nessun miticista è uno storico di professione, si tratta prevalentemente di scrittori, blogger, spiritualisti, atei militanti e autodidatti. Una delle più note degli ultimi decenni è stata Dorothy Murdock (nota anche con lo pseudonimo di Acharya S). Molti dei loro libri dipendono dagli scritti di uno spiritista del XIX secolo di nome Gerald Massey. La lontananza dei miticsti dagli studiosi seri è simile a quella tra i creazionisti biblici e la comunità scientifica.

Le divinità di “morte e rinascita” del Vicino Oriente antico più citate dai miticisti sono Horus, Mitra, Dioniso, Apollonio di Tiana, Krishna e Choni. Tutte sarebbero nate il 25 dicembre in una grotta da una madre vergine, fecero miracoli, insegnarono pubblicamente, ebbero dodici apostoli, morirono crocifisse e risorsero dai morti. Ogni miticista sostiene il proprio parallelismo tra Gesù ed una particolare divinità, criticando il parallelismo di un altro miticista con un’altra divnità.

A breve dedicheremo un dossier per ogni divinità pagana usata dai miticisti come fonte di inspirazione per la storia di Gesù. In questa sede ci limitiamo a citare qualche studioso serio che si è occupato di analizzare questi fantomatici parallelismi.

Ad esempio, Tryggve Mettinger, docente di Bibbia ebraica presso l’Università di Lund (Svezia), al termine del suo monumentale studio comparativo sulle divinità e i miti precristiani, ha scritto:

«Gli dei di morte e rinascita erano strettamente legati al ciclo stagionale, la loro morte e il loro ritorno furono visti come riflessi nei cambiamenti della vita vegetale. La morte e la risurrezione di Gesù è invece un evento unico, non ripetuto e non correlato ai cambiamenti stagionali. La morte di Gesù è presentata nelle fonti come atto di espiazione per i peccati mentre non ci sono prove di questo per gli dei morenti e risorgenti. Non c’è, per quanto ne so, nessuna prova che la morte e la risurrezione di Gesù siano un costrutto mitologico, che attinge ai miti e ai riti degli dei morenti e risorgenti del mondo antico. La fede nella morte e risurrezione di Gesù conserva il suo carattere unico nella storia delle religioni. L’enigma rimane»166T.N.D. Mettinger, The Riddle of Resurrection. Dying and Rising Gods in the Ancient Near East, Wiksell International 2001, p. 220, 221.

Uno dei principali studiosi che si è occupato più recentemente dei miticisti è Bart D. Ehrman, studioso (agnostico) delle origini del Cristianesimo e presidente del dipartimento di Studi religiosi dell’Università del North Caroline. Dopo aver replicato ai vari parallelismi tra Gesù di Nazareth e le innumerevoli divinità pagane, ha concluso:

«Una delle tesi più ricorrenti nella letteratura miticista vuole che Gesù sia stato inventato dai primi cristiani, che erano profondamente influenzati dalla concezione predominante del dio di morte e rinascita assai diffusa nelle religioni pagane del mondo antico. Gesù sarebbe la versione ebraica. Vi sono seri dubbi che nel mondo pagano vi fossero realmente divinità di morte e rinascita e, in caso affermativo, che avessero qualcosa in comune con la morte e la rinascita di Gesù. L’opinione un tempo condivisa che gli dei di morte e rinascita fossero diffusi nell’antico mondo pagano è caduta in disgrazia tra gli studiosi […]. Una delle ragioni per cui gli studiosi non credono che Gesù sia stato plasmato con le caratteristiche di una di quelle divinità è anche l’assenza di prove a testimonianza del fatto che qualche suo seguace fosse al corrente della loro esistenza nel tempo e nel luogo in cui Gesù sarebbe stato inventato. La morte e la resurrezione di Gesù sono un evento unico, tra le antiche divinità del Vicino Oriente non si riscontra nulla di simile. Chiunque pensi che Gesù si stato plasmato prendendo a modello tali divinità deve portare qualche prova -di qualunque genere- che gli ebrei palestinesi furono influenzati. Le differenze tra Gesù e gli dei di morte e rinascita dimostrano che Gesù non fu plasmato con le loro caratteristiche, persino nel caso che ai suoi tempi ci fossero persone che parlavano di quelle divinità»167B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 225-235.

 

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8. ATTESTAZIONE STORICA DELLE APPARIZIONI DI GESU’

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Il verdetto sostanzialmente unanime degli studiosi contemporanei delle origini cristiane, nonostante i vasti disaccordi in altre aree, è che risulta storicamente affidabile che i discepoli di Gesù furono assolutamente persuasi del fatto che Gesù fosse vivo, risorto dai morti ed apparso a loro (questo non significa automaticamente sostenere che realmente apparve a loro, non sarebbe infatti dimostrabile direttamente in quanto evento trascendente).

Ancora meglio, «tutti gli studiosi critici concordano sul fatto che queste convinzioni dei discepoli siano completamente storiche»168G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297, ha spiegato lo studioso americano Gary Habermas.

Una delle conclusioni più chiare in merito riteniamo sia quella di E.P. Sanders, celebre docente di Nuovo Testamento alla Duke University:

«Che i seguaci di Gesù (e poi lo stesso Paolo) abbiano avuto apparizioni del Risorto è, a mio giudizio, un dato di fatto. Quale sia stata la realtà che ha dato origine a tali esperienze non lo so. Non considero la frode deliberata una spiegazione utile. Molte delle persone che affermarono questo avrebbero passato il resto della loro vita a proclamare di aver visto il Signore risorto e molte di loro sarebbero morte a causa di questo. Inoltre, un inganno calcolato avrebbe dovuto produrre una grande unanimità. Invece, sembra che ci siano stati dei concorrenti: “L’ho visto per primo!”; “No! Io l’ho visto prima”. La tradizione di Paolo, secondo cui 500 persone hanno visto Gesù contemporaneamente, ha portato alcuni suggerire un’isteria di massa. Ma l’isteria di massa non spiega le altre tradizioni […]. Dopo la sua morte, i suoi seguaci hanno vissuto quella che hanno descritto come la “resurrezione”: l’aspetto di una persona viva ma trasformata dopo che era effettivamente morta. Lo credettero, lo vissero e morirono per questo»169E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Books, 1993, p. 279-280.

Anche l’agnostico Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina, ha ammesso:

«Perché alcuni discepoli affermarono di aver visto Gesù vivo dopo la sua crocifissione? Non dubito affatto che alcuni discepoli abbiano affermato questo. Non abbiamo nessuna delle loro testimonianze scritte, ma Paolo, scrivendo circa venticinque anni dopo, indica che questo è ciò che hanno affermato, e non credo che se lo stia inventando. E conosceva almeno un paio di loro, li incontrò solo tre anni dopo gli eventi (Gal. 1,18-19) […]. Così, per lo storico, il cristianesimo inizia dopo la morte di Gesù, non con la risurrezione stessa, ma con la fede nella risurrezione»170B.D. Ehrman, The New Testament: A Historical Introduction to the Early Christian Writings, Oxford University Press 2004, p. 276, 282.

In un’altra sua opera, sempre B.D. Ehrman (pur optando da agnostico per spiegazioni naturalistiche e non soprannaturali), ha riconosciuto: «Possiamo dire con assoluta certezza che alcuni dei suoi discepoli hanno insistito sul fatto che Gesù apparve loro molto presto, convincendoli che era stato risuscitato dai morti»171B.D. Ehrman, Jesus: Apocalyptic Prophet of the New Millennium, Oxford University Press 1999. p. 230. Ha quindi aggiunto: «Gli storici, ovviamente, non hanno alcuna difficoltà a parlare della fede nella risurrezione di Gesù, poiché questa è una questione di dominio pubblico»172B.D. Ehrman, Jesus: Apocalyptic Prophet of the New Millennium, Oxford University Press 1999. p. 231.

Infine, nel 2014, sempre B.D. Ehrman ha concluso che a livello personale crede che «furono le visioni, e nient’altro, a portare i primi discepoli a credere nella risurrezione»173B.D. Ehrman, How Jesus Became God: The Exaltation of a Jewish Preacher from Galilee, Harper One 2014, p. 183-184. In contemporanea al suo libro, un volume divulgativo scritto da alcuni suoi colleghi diretti174M.F. Bird, C.A. Evans, S. Gathercole, C.H. Hill, How God Bevened Jesus: The Real Origins of Belief in Jesus’ Divine Nature. A Response to Bart D. Ehrman, Zondervan Academic 2014, ha analizzato e replicato punto per punto alle sue conclusioni.

I resoconti delle apparizioni soddisfano alcuni dei criteri storici utilizzati dagli studiosi nell’analisi dei racconti, a partire dal “criterio della molteplice attestazione“: l’apparizione a Pietro è attestata indipendentemente da Paolo e Luca (1Cor 15,5; Lc. 24,34); quella ai dodici da Paolo, Luca e Giovanni (1Cor 15,5; Lc. 24,36-43; Gv. 20,19-20); l’apparizione alle discepole da Matteo e Giovanni (Mt. 28,9-10; Gv. 20,11-17); le apparizioni ai discepoli in Galilea da Marco, Matteo e Giovanni (Mc 16,7; Mt. 28,16-17; Gv. 21).

Del “criterio dell’imbarazzo” abbiamo già parlato osservando che le prime testimoni oculari furono le donne, la categoria di persone ritenuta meno credibile all’epoca.

Gli storici non possono concludere che l’origine di quelle attestazioni fu una manifestazione realmente soprannaturale di Gesù risorto, tuttavia la comunità accademica ritiene che storicamente qualcosa di importante, di improvviso e di totalmente inaspettato accadde realmente ai discepoli e li trasformò. Non ebbero dubbi sul fatto che avessero visto Gesù risorto, pur non potendo concepire una resurrezione corporale individuale nella storia (come abbiamo visto).

Come ha scritto Luke Johnson, importante studioso di Nuovo Testamento e Origini Cristiane presso la Candler School of Theology, «è necessaria una sorta di potente esperienza trasformativa per generare il tipo di movimento che fu il primo cristianesimo e quel tipo di letteratura che è il Nuovo Testamento»175L. Johnson, The Real Jesus, Harper San Francisco 1996, p. 136.

Allo stesso modo James Dunn, professore emerito di Studi sul Nuovo Testamento all’Università di Durham, ha scritto: «Oggi è quasi impossibile contestare che nelle radici storiche del cristianesimo risiedano alcune esperienze di visione dei primi cristiani, che essi intesero come apparizioni di Gesù, risuscitato da Dio dai morti»176citato in M.R. Licona, Paul Meets Muhammad: A Christian-muslim Debate on the Resurrection, Baker Pub Group 2006, p. 121.

Gary Habermas, presidente del dipartimento di Filosofia e Teologia della Liberty University, ha svolto un encomiabile lavoro raccogliendo oltre 2.000 contributi dei principali esegeti e storici del cristianesimo antico (credenti e non) sulle attestazioni delle apparizioni di Gesù177G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297.

Ne citiamo alcuni, i più significativi:

Reginald H. Fuller, professore emerito di Nuovo Testamento al Virginia Theological Seminary di Alexandria (Stati Uniti), si riferisce ad esempio alla fede dei discepoli nella risurrezione di Gesù come «uno dei fatti più indiscutibili della storia», convinto che i discepoli abbiano vissuto esperienze reali, caratterizzate come apparizioni o visioni di Gesù risorto, «indipendentemente che queste esperienze possano essere spiegate in modo naturale o soprannaturale»178R. Fuller, The Foundations of New Testament Christology, Scribner’s 1965, p. 142.

Nella sua importante opera, l’eminente teologo luterano Wolfhart Pannenberg ha esaminato i tentativi di fondare la cristologia del Nuovo Testamento nelle pretese di autorità pre-pasquali di Gesù, concludendo che l’unico fondamento della cristologia presentata dagli evangelisti è la risurrezione di Gesù. Essa dà anche un senso alla missione verso i Gentili come espressione dell’escatologia ebraica. Infine ha concluso che le attestazioni delle apparizioni di Gesù risorto e del sepolcro vuoto sorsero indipendentemente e si completano a vicenda, ritenendo la risurrezione «storicamente molto probabile, e […] da presupporre fino a quando non appariranno prove contrarie»179W. Pannenberg, Jesus. God and Man Priebe 1968, p. 105.

Dopo aver messo per iscritto l’antica formula pre-paolina (1Cor, 15,3-7), risalente al 32 d.C. circa, Paolo afferma che Gesù risorto apparve personalmente anche a lui (cfr. 1Cor. 9,1; 15:8; ripetuto anche in Gal. 1:16). Anche qui è ampio il consenso degli studiosi che l’ex persecutore dei cristiani ebbe realmente una visione (vera? Allucinogena?).

E’ stato riconosciuto perfino da Michael Martin, filosofo (ateo) della Boston University, quando scrive: «Abbiamo solo un resoconto contemporaneo di un testimone oculare di un’apparizione di Gesù dopo la risurrezione, vale a dire quella di Paolo»180M. Martin, The Case Against Christianity, Temple University 1991, p. 81.

Indipendentemente dalla natura di tali apparizioni (naturale, allucinogena, proiezioni soggettive o soprannaturale), il fatto che i discepoli riferiscano e fossero totalmente persuasi di aver visto il Gesù risorto «è qualcosa su cui sia il credente che il non credente possono essere d’accordo», ha scritto Reginald H. Fuller, professore emerito di Nuovo Testamento al Virginia Theological Seminary di Alexandria (Stati Uniti). «Lo storico più scettico può postulare una spiegazione diversa da quella data dagli stessi discepoli per rendere conto delle loro stesse esperienze e, naturalmente, sono state proposte sia opzioni naturali che soprannaturali»181R. Fuller, The Foundations of New Testament Christology, Scribner’s 1965, p. 142, 181.

La convinzione che Gesù sia stato visto vivo dopo la sua crocifissione si può ritenere storicamente accertata. Helmut Koester, docente di Nuovo Testamento e Cristianesimo primitivo all’Harvard Divinity School, ha scritto infatti che le apparizioni di Gesù «non possono essere messe in discussione in maniera convincente»182H. Koester, Introduction to the New Testament, Fortress 1982, Vol. 2, p. 84

Anche Traugott Holtz, studioso di Nuovo Testamento all’University di Halle-Wittenberg ha confermato a sua volta che «l’esperienza di risurrezione dei discepoli […] è in effetti un evento storico innegabile»183T. Holtz, Kenntnis von Jesus und Kenntnis Jesu: Eine Skizze zum Verhaltnis zwischen historisch-philologischer Erkenntnis und historisch-theologischem Verstandnis, Theologische Literaturzeitung 1979, Vol. 104, p. 10.

Perfino lo studioso scettico Gerd Ludemann, docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Göttingen, ha riconosciuto che «può essere considerato storicamente certo che Pietro ed i discepoli ebbero esperienze dopo la morte di Gesù in cui Gesù è apparso loro come il Cristo risorto»184G. Ludemann, What Really Happened to Jesus: A Historical Approach to the Resurrection, Westminster John Knox 1995, p. 80.

Sull’impossibilità di liquidare le apparizioni come leggendarie, anche Norman Perrin, rinomato studioso di Nuovo Testamento all’Università di Chicago, ha scritto: «Più studiamo la tradizione per quanto riguarda le apparizioni, più solida inizia ad apparire la roccia su cui esse si basano»185citato in W.L Craig, Contemporary Scholarship and the Historical Evidence for the Resurrection of Jesus Christ, Truth 1985, Vol. 1, p. 89-95.

Interessante il commento della studiosa ebrea Paula Fredriksen, professore emerito di Scritture presso la Boston University

«So che nei loro termini quello che videro fu Gesù risuscitato. Questo è quello che dicono i discepoli. Tutte le prove storiche che abbiamo in seguito attestano la loro convinzione che questo è ciò che hanno visto. Non sto dicendo che abbiano davvero visto Gesù risorto. Non c’ero, non so cosa abbiano visto. Ma come storica so che devono aver visto qualcosa. La convinzione dei discepoli di aver visto il Cristo risorto […] ha fondamenta storiche, fatti conosciuti indubitalmente della prima comunità dopo la morte di Gesù»186P. Fredriksen, Jesus of Nazareth: King of the Jewish, Vintage 2000.

Nel 2018 un altro studioso (laico), Giorgio Jossa, professore di Storia del Cristianesimo e Storia della Chiesa Antica presso l’Università degli Studi di Napoli, ha preso posizione riguardo le apparizioni post-mortem di Gesù, spingendosi fino al limite concesso dall’oggettività storica: «Per il credente, Gesù è resuscitato. Lo storico non può affermarlo. Può dire: i discepoli hanno avuto un’esperienza straordinaria; si è verificato un evento che ha ridato senso alla loro missione»187G. Jossa, Voi chi dite che io sia? Storia di un profeta ebreo di nome Gesù, Paideia 2018.

Un ultimo argomento segnalato dagli studiosi a favore della credibilità dei racconti delle apparizioni è la conversione dell’apostolo Giacomo, descritto come scettico verso lo stesso Gesù prima che morisse crocifisso (cfr. Mc. 3,21 31-35; Mc. 6,3, Gv. 7,5). Non molto tempo dopo Giacomo è uno dei capi della chiesa di Gerusalemme e viene incontrato da Paolo di Tarso durante le sue due visite (Gal 1,18-19; Gal 2,1-10; At 15,13-21). Morì martire a causa della sua fede in Cristo, come riferisce lo storico ebreo Flavio Giuseppe.

Come abbiamo spiegato nel paragrafo dedicato ai cambiamenti improvvisi che si verificarono, lo scetticismo di Giacomo è storicamente fondato andando a soddisfare i criteri storici della molteplice attestazione, quello dell’imbarazzo ed il criterio della coerenza. Come spiegare questa conversione se non con quanto citato nell’antichissima dichiarazione pre-paolina: «…poi apparve a Giacomo» (1Cor 15,7)?

Dopo aver analizzato le principali pubblicazioni storiche su Gesù, Gary Habermas ha scritto:

«Nessuno studioso critico dubita che le convinzioni dei discepoli riguardo al Gesù risorto abbiano causato la loro trasformazione radicale, arrivando ad essere disposti a morire per esse. Il loro cambiamento repentino non evidenzia di per sé la realtà delle apparizioni del Gesù risorto, ma è una chiara indicazione che i discepoli ritennero realmente aver avuto esperienza del Gesù risorto»188G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297.

Le spiegazioni alternative devono rendere conto di questa convinzione radicata, improvvisa e ben storicamente attestata.

 

8.1 Obiezione: l’evangelista Marco non parla delle apparizioni di Gesù.

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Questa è obiezione è vera, il vangelo di Marco (il più antico) non parla delle apparizioni di Gesù dopo la morte ed il ritrovamento del sepolcro vuoto. Lo abbiamo sottolineato anche nel paragrafo dedicato alle contraddizioni tra gli evangelisti.

Gli studiosi sono infatti convinti che l’autentico testo di Marco si concluda con il versetto 16,9 ed i brani successivi, in cui si riferiscono le apparizioni di Gesù risorto, siano un’aggiunta posteriore (da ciò si evince che gli specialisti sanno perfettamente individuare e scindere il testo autentico dalle interpolazioni successive!).

Tuttavia, nessuno afferma che Marco non fosse a conoscenza delle apparizioni, piuttosto l’opinione comune è che l’evangelista non aveva intenzione di terminare così bruscamente il suo racconto ma non fu in grado di portarlo a compimento, forse a causa di una malattia, della prigionia o della morte. Un’altra ipotesi molto accreditata è che il finale di Marco sia andato perduto.

Nelle note della Bibbia di Gerusalemme, infatti, si legge:

«Tra il versetto 8 ed il versetto 9 c’è nel racconto una soluzione di continuità. D’altronde, si fatica ad accettare che il secondo Vangelo nella prima redazione si arrestasse bruscamente al versetto 8. Da qui la supposizione che la fine originaria sia scomparsa per una causa a noi sconosciuta e che la fine attuale sia stata redatta per colmare la lacuna. Essa si presenta come un riassunto sommario delle apparizioni del Cristo risorto, la cui redazione è sensibilmente diversa dallo stile abituale di Marco, concreto e pittoresco. Tuttavia, l’attuale fine è stata conosciuta fin dal II secolo da Taziano e da Ireneo e ha trovato posto nella stragrande maggioranza dei manoscritti greci e traduzioni dei primi secoli. Se non si può provare che ha avuto Marco per autore, resta sempre, secondo l’espressione di Henry Barclay Swete, un’autentica reliquia della prima comunità cristiana».

Nel suo noto studio, N. Clayton Croy, docente di Nuovo Testamento al Trinity Lutheran Seminary, ha addirittura sostenuto che anche l’inizio, oltre che la fine, sia andato perduto del Vangelo originale di Marco189N.C. Croy, The Mutilation of Mark’s Gospel, Abingdon 2003.

Michael R. Licona, docente di Teologia presso la Houston Baptist University, ha comunque osservato190M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016 che nel testo sicuramente attribuibile all’evangelista Marco compare un accenno a quelle che saranno le successive apparizioni di Gesù, in particolare quando lo stesso Gesù risorto, nelle sembianze di un giovane, annuncia alle donne recatesi al sepolcro la resurrezione e le invita ad andare a riferirlo ai discepoli, perché «Là lo vedrete, come vi ha detto» (Mc. 16,7).

Anche se Marco non parla delle apparizioni, interrompendo bruscamente il racconto per qualche motivo, la fonte pre-paolina (1Cor 15,3-7) a lui antecedente già le riferisce a solo 2 anni di distanza dagli eventi.

Per questo lo studioso statunitense Michael R. Licona ha concluso:

«Le tradizioni sulle apparizioni compaiono molto presto nelle lettere di Paolo, e possono essere ricondotte ai discepoli i Gesù con un buon grado di certezza. Paolo probabilmente scrisse prima di Marco e se gli Atti degli Apostoli sono affidabili (cfr. capitoli 12 e 15)», e la maggior parte degli studiosi li considera affidabili191M.R. Licona, What are the Primary Sources for Jesus’ Resurrection?, HBU 03/06/2016, «Marco conosceva Paolo e aveva viaggiato con lui durante uno dei suoi viaggi missionari. E’ molto probabile quindi che avesse abbastanza familiarità con le tradizioni che Paolo menziona. Allora, perché non Marco non ne parla? E’ difficile dare una risposta, anche se ho il sospetto che la fine del suo vangelo sia andata persa. Non lo possiamo sapere. Ma affermare che Marco non fosse a conoscenza delle apparizioni è del tutto speculativo e, a mio parere, un’idea sbagliata»192M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

 

8.2 Obiezione: i discepoli ebbero delle allucinazioni.

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Se gli storici contemporanei ritengono storicamente affidabili i racconti sulle apparizioni di Gesù, quindi che il gruppo dei seguaci di Gesù realmente ne proclamò la resurrezione a partire dal 30 d.C., quale fu la natura di queste apparizioni?

Molti studiosi dicono: “Si, è vero che i racconti dei discepoli sulla apparizioni di Gesù sono autenticamente storici, ma questo non significa che ebbero realmente delle visioni soprannaturali”, nonostante essi furono convinti del contrario. Le ipotesi degli studiosi scettici, «i cui tentativi raggiunsero l’apice nel pensiero del XIX secolo»193G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297 vertono su una serie di teorie naturalistiche.

Prima accettano l’indubitabile storicità dei racconti delle apparizioni di Gesù e poi virano in una direzione naturale per spiegarne la natura, in alternativa alla resurrezione194H.C. Kee, What Can We Know about Jesus?, Cambridge University Press 1990, p. 1-2.

L’ipotesi naturale più citata è quella delle allucinazioni (singole o di gruppo) di cui sarebbero stati vittime i discepoli, una tesi popolare nel XIX secolo ma che si è progressivamente spenta nella prima metà del XX secolo. Oggi è un’opzione minoritaria in ambito accademico.

I più noti studiosi contemporanei a sostenere apertamente la strada naturalistica sono Gerd Ludemann195G, Ludemann, The Resurrection of Jesus, Fortress 1994, Michael Goulder196M. Goulder, The Baseless Fabric of a Vision, in G. D’Costa, Resurrection Reconsidered, Oneworld 1996, p. 48 e Jack Kent197J. Kent, The Psychological Origins of the Resurrection Myth, Open Gate Press 1999. Più agnosticamente B.D. Ehrman non ha preso una posizione netta, sostenendo genericamente l’improbabilità dei miracoli198B.D. Ehrman, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Il teologo non credente Gerd Ludemann, pur non dubitando della storicità dei racconti delle apparizioni, ritiene che tutto sarebbe iniziato dall’apostolo Pietro che, consumato dalla colpa del rinnegamento di Gesù, avrebbe trovato sollievo psicologico nel proiettare una visione di Gesù credendolo risorto dai morti ed al quale avrebbe chiesto perdono199G. Ludemann, Die Auferstehung Jesu, in A. Bommarius, Fand die Auferstehung wirklich statt?, Parega Verlag 1995, p. 25.

L’esperienza di Pietro avrebbe poi contagiato tutti gli altri discepoli i quali, pur non condividendo il suo trauma, ebbero a loro volta allucinazioni del Signore risorto. Solo quando le autorità ebraiche si opposero chiedendo dove fosse il corpo di Gesù «si sarebbe immediatamente riferito che le donne avevano trovato il sepolcro vuoto ed in seguito che Gesù era apparso anche a loro»200G. Ludemann, Die Auferstehung Jesu, in A. Bommarius, Fand die Auferstehung wirklich statt?, Parega Verlag 1995, p. 174, 175.

Nel frattempo, anche Paolo di Tarso avrebbe lottato interiormente con il rimorso del perseguitare i cristiani, che generò in lui una segreta attrazione per il messaggio cristiano. Secondo Lüdemann, «se si fosse stati in grado di visitare Paolo prima della sua apparizione vicino a Damasco, l’analista avrebbe probabilmente rilevato una forte inclinazione a Cristo nel suo subconscio; infatti, l’assunto che fosse inconsciamente cristiano non è così inverosimile»201G. Ludemann, Die Auferstehung Jesu, in A. Bommarius, Fand die Auferstehung wirklich statt?, Parega Verlag 1995, p. 26.

Sulla strada verso Damasco la lotta repressa sarebbe così esplosa in un’allucinazione di Gesù, portandolo alla conversione di quella fede che un tempo perseguitava. «Il complesso di colpa sorto con la persecuzione è stato risolto attraverso la certezza di essere in Cristo»202G. Ludemann, Die Auferstehung Jesu, in A. Bommarius, Fand die Auferstehung wirklich statt?, Parega Verlag 1995, p. 26, 27.

Occorre sottolineare il coraggio e la determinazione di Gerd Ludemann nel sostenere orgogliosamente, in solitudine, tesi di questo tipo. Questa ricostruzione era già in voga negli anni ’20 con Emmanuel Hirsch, Klaus Berger ha infatti commentato l’opera di Lüdemann sostenendo che contiene quasi esclusivamente antiche teorie riesumate e riscaldate, le stesse che dominarono la scuola di Bultmann per oltre 50 anni203K. Berger, Ostern fällt nicht aus! Zum Streit um das ‘kritischste Buch über die Auferstehung’, Idea Spektrum 1994, p. 21.

Analizzando questa obiezione, si osserva che non soddisfa i criteri usati dagli storici per valutare la credibilità di un’ipotesi. Non ha un sufficiente criterio esplicativo, in quanto obbliga a moltiplicare la formulazione di altre ipotesi, cercando un collegamento acritico tra esse, per giustificare l’assunto iniziale dell’allucinazione di Pietro. Una teoria è tanto più artificiosa in proporzione al numero di ipotesi aggiuntive che richiede di adottare. Inoltre non offre alcuna spiegazione per il ritrovamento del sepolcro vuoto.

La tesi non ha nemmeno potere esplicativo: sceglie arbitrariamente che Pietro sia stato il primo a vedere l’apparizione di Gesù (mentre per le fonti cristiane la cronologia inizia dalle donne). Assume che l’allucinazione di Pietro (e quella di Paolo) derivi da un complesso di colpa, ma non spiega come poterono “contagiarsi a catena” tutti gli altri discepoli (singoli, gruppi, in vari luoghi e circostanze diverse), privi di complessi di colpa. Tra essi anche lo scettico Giacomo, del quale ritiene comunque «certo»204G. Ludemann, The Resurrection of Jesus, Fortress Press 1994, p. 109 che sperimentò un’apparizione.

L’ipotesi non soddisfa nemmeno il criterio della plausibilità. Pur in assenza di dati sufficienti, Lüdemann si improvvisa psicoanalista (ma gli storici rifiutano la scrittura di psico-biografie!) e teorizza il presunto complesso di colpa di Pietro e Paolo. Se Paolo concede solo pochissimi passaggi autobiografici nelle sue lettere, le informazioni sulla psiche di Pietro sono, per ammissione dello stesso Lüdemann, «incomparabilmente peggiori».

Si tratta quindi di congetture fantasiose sulla loro psiche, criticate anche dallo storico del cristianesimo primitivo, Martin Hengel: «Lüdemann […] non riconosce i limiti dello storico»205M. Hengel, A.M. Schwemer, Paul between Damascus and Antioch, John Knox Press 1997, p. 342.

Un altro limite della tesi del complesso di colpa è che, stando ai testi, Pietro non sentiva di aver deluso il Signore, ma di essere stato deluso da lui! Ludemann fatica ad entrare nella mentalità di un ebreo del I secolo che ha visto fallire la pretesa messianica del suo leader, morto ignobilmente sulla croce e quindi maledetto da Dio.

Come ha scritto Hans Grass, teologo dell’Università di Marburg, «una delle maggiori debolezze dell’ipotesi della visione soggettiva delle allucinazioni è che non riesce a prendere sul serio quale catastrofe fu la crocifissione per la fede dei discepoli in Gesù»206H. Grasse, Ostergeschehen und Osterberichte, Vandenhoeck & Ruprecht 1970, pp. 233-243.

Pietro non lottava con la propria colpa ma con le aspettative messianiche deluse e, come già detto, non esisteva in lui in quanto ebreo alcuna speranza di una resurrezione corporale dopo la morte, né rispetto al Messia né rispetto ad un singolo individuo.

Rispetto a quanto scrive sulla “devozione cristiana inconscia” di Paolo di Tarso (classico accenno freudiano), Ludemann la percepisce in Romani 7,7-25. Tale interpretazione è stata sconfessata da tutti gli interpreti e commentatori paolini contemporanei e lo stesso teologo tedesco ha dovuto ammettere che la sua tesi «è respinta quasi ovunque»207G. Ludemann, The Resurrection of Jesus, Fortress Press 1994, p. 80. Infine, trascura radicalmente la testimonianza dello stesso Paolo quando riferisce di non aver avuto alcun rimorso quand’era un ebreo castigatore dei cristiani («per me era un guadagno», Fil 3:4-14).

Christopher Bryan, docente di Nuovo Testamento alla University of the South di Sewanee, ha scritto:

«Anche ammettendo che le visioni descritte da Lüdemann fossero comuni nell’antichità (e in un certo senso, più furono comuni, più forte diventa questa obiezione), né allora né nel presente sono normalmente considerate prove di risurrezione. Al contrario, sono considerate nel peggiore dei casi delle allucinazioni e nel migliore autentiche comunicazioni di conforto con i defunti dall’oltretomba. Ma in nessun caso sono e furono considerate dichiarazioni che il defunto è risorto dai morti»208C. Bryan, The Resurrection of the Messiah, Oxford University Press 2011, p. 163-164.

Anche Raymond Edward Brown, professore emerito presso l’Union Theological Seminary di New York, si riferisce a queste ipotesi come «accuse gratuite», sottolineandone la superficialità209R.E. Brown, An Introduction to New Testament Christology, Paulist, 1994, p. 163, mentre James Dunn, professore emerito di studi sul Nuovo Testamento all’Università di Durham, sostiene che queste «interpretazioni alternative non forniscono una spiegazione più soddisfacente»210J.D.G. Dunn, The Evidence for Jesus, Westminster 1985, p. 76.

Un altro argomento utile a respingere l’obiezione delle allucinazioni è far ricorso a quanto dice la letteratura scientifica in proposito. Le allucinazioni sono associate a malattie mentali o droghe, ma nel caso dei discepoli sembra mancare la precedente predisposizione psicobiologica. Inoltre, essendo proiezioni della propria mente non possono contenere nulla che non si conosca già, in qualche modo. E, come già detto, la risurrezione di Gesù differiva totalmente dalla concezione giudaica dei discepoli.

Considerando il loro background giudaico, avrebbero potuto proiettare psicologicamente un Gesù glorificato “nel seno di Abramo”, nel luogo in cui secondo l’Antico Testamento avrebbero riposato i giusti d’Israele fino alla loro risurrezione escatologica finale. Ma nessuno di loro riferì visioni del genere. L’inferenza “è risorto dai morti”, così naturale alle nostre orecchie, sarebbe stata del tutto innaturale per un ebreo del I secolo. Figuriamoci se avrebbe potuto essere oggetto di un’allucinazione. «Non è necessario dimostrare che questa fede e questa mentalità non erano la predisposizione adatta per la proclamazione fatta dagli apostoli»211J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 292, ha spiegato José Miguel Garcia.

Anche il biblista Ben Witherington III è intervenuto sull’obiezione delle allucinazioni:

«Le teorie secondo le quali gli apostoli ebbero delle allucinazioni o delle visioni presentano alcuni aspetti equivoci. In primo luogo, in tutte le narrazioni i discepoli dubitarono, abbandonarono e alla fine rinnegarono Gesù, ad eccezione probabilmente di alcune sue seguaci. E’ difficile credere che si trovassero in condizioni psicologiche tali da creare fantasie su un Gesù risorto. Le loro speranze erano svanite in meno di tre giorni a causa della sua crocifissione. In secondo luogo, non è necessario alludere ad un’allucinazione di massa poiché tutte le tradizioni in nostro possesso indicano che Gesù apparve in tempi e luoghi diversi, per ultimo San Paolo. Non conosco nessun elemento valido che possa far pensare a un’allucinazione contagiosa»212B. Witherington, Una reposicion de la resurreccion, in P. Copan, Un sepulcro vacio, Voz de Papel 2008, p. 181.

Nello studio realizzato da J.W. Bergeron e da G.R. Habermas, coadiuvati dagli psicologi e psichiatri C.J. Dietzen, S.L. Marlow e G.A. Sibcy, è stata direttamente confutata “l’ipotesi psichiatrica” come spiegazione delle apparizioni di Gesù.

Studiando i tratti comportamentali emergenti dai testi evangelici, gli autori hanno smentito l’ipotesi di allucinazioni, del disturbo di conversione e delle visioni relative al lutto. Queste tesi, hanno scritto i ricercatori, sono sostenute «principalmente da persone che non hanno competenze in ambito medico. Di conseguenza, l’analisi di possibili cause psicologiche per questi sintomi allucinatori è generalmente viziata e spesso assente. Da una ricerca completa su Pubmed della letteratura medica dal 1918 al 2012 per quanto questo argomento, non sono presenti articoli scientifici sulle ipotesi che avvalorerebbero i sintomi allucinatori per quanto riguarda le apparizioni».

La letteratura scientifica «non è in grado di spiegare gli incontri simultanei di gruppo dei discepoli con il risorto Gesù», ha scritto Gary A. Sibcy, psichiatra del Piedmont Psychiatric Center. «Ho esaminato la letteratura professionale (articoli di riviste e libri peer-reviewed) scritta da psicologi, psichiatri e altri professionisti del settore sanitario nel corso degli ultimi due decenni e non ho trovato un singolo caso documentato di un’allucinazione di gruppo». Infine, l’indagine ha respinto anche l’eziologia del dolore e del lutto, impossibili da conciliare, tra l’altro, con «il lancio di una diffusa campagna di proclamazione pubblica della resurrezione di Gesù sulla base di tali illusioni da lutto».

Gli autori dello studio hanno quindi concluso:

«I discepoli erano certi che Gesù fosse risorto dopo la sua morte per crocifissione. Le loro esperienze erano personali e hanno avuto un chiaro effetto sulla loro psiche, tuttavia queste esperienze del Gesù risorto non possono essere ridotte a puri fenomeni psicologici. Le ipotesi allucinatorie per il racconto biblico della resurrezione di Gesù sono incoerenti rispetto alle variegate patologie neuro-psichiatriche alla base dei sintomi allucinatori. Inoltre, è incompatibile con l’attuale comprensione psichiatrica che allucinazioni personali possano essere sperimentate in modo identico all’interno di un gruppo. Le ipotesi psichiatriche non offrono spiegazioni accettabili per i singoli o per i simultanei incontri di gruppo dei discepoli con il Gesù risorto. Dobbiamo concludere, quindi, che tentare di spiegare le relazioni dei discepoli con il Gesù risorto è un’azione clinicamente non plausibile e storicamente poco convincente».

La tipologia delle apparizioni è stata così molteplice, inoltre, che non può essere spiegata da un’unica causa naturale. «La tradizione di Paolo, secondo cui 500 persone hanno visto Gesù contemporaneamente, ha portato alcuni suggerire un’isteria di massa», ha commentato infatti E.P. Sanders, celebre docente di Nuovo Testamento alla Duke University. «Ma l’isteria di massa non spiega le altre tradizioni»213E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Books, 1993, p. 279-280.

Lo studioso e rabbino ebreo Pinchas Lipide ha dubitato fortemente delle ipotesi naturali, scrivendo: «Se quella banda spaventata di apostoli poteva improvvisamente cambiare da un giorno all’altro in un’impresa missionaria piena di baldanza… allora nessuna visione o allucinazione è sufficiente per spiegare una simile trasformazione rivoluzionaria»214P. Lapide, The Resurrection of Jesus: A Jewish Perspective, Fortress Press 1988, p. 125.

Anche N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College, hanno riflettuto su questa obiezione:

«Supponiamo, per ipotesi, che i discepoli abbiano visto -o pensino di aver visto- qualcuno che hanno scambiato per Gesù. La cosa in sé non avrebbe originato i racconti che oggi possediamo: nel mondo antico tutti davano per scontato che si potessero avere strane esperienze di incontro con i morti; ne sapevano almeno quanto noi in merito a visioni, fantasmi e sogni; sapevano inoltre che quando si piange una persona morta di recente si può, a volte, arrivare rapidamente a scorgere l’apparizione di una figura simile alla persona estinta. Non si tratta per nulla di una scoperta moderna: la letteratura antica ne è piena. Esisteva un linguaggio specifico per questa categoria di fenomeni, ed esso non menzionava la “resurrezione”: descriveva piuttosto queste situazioni come un tipo di esperienza angelica (cfr. At 12). Senza una tomba vuota la gente sarebbe stata pronta a dire che si trattasse del suo “angelo”. E invece non lo fece: disse anzi che egli sia risorto dai morti -non è più morto, ma vivo»215C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 109, 110.

 

8.3 Obiezione: fu il fervore religioso dei discepoli a produrre le visioni.

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Il lavoro maggiore di replica alle obiezioni naturali fornite dagli studiosi scettici del XIX secolo è stato svolto da altri studiosi scettici, in quanto ciascun sostenitore delle teorie naturalistiche criticò le tesi “alternative” altrui.

«Vi è una spiegazione naturalistica diversa per ogni scettico che cerca di spiegare le origini del cristianesimo»216D.B. Wallace, Fact Checking Dan Barker: From our Recent Debate on June 6, 2015, www.danielbwallace.com, 01/08/2015, ha commentato ironico D.B. Wallace, docente ordinario al Dallas Theological Seminary.

Diversi studiosi scettici rifiutano infatti la spiegazione della risurrezione di Cristo ma anche la tesi allucinatoria affermando che le apparizioni di Gesù risorto sarebbero piuttosto proiezioni soggettive del subconscio, scaturite dalla fede e dal desiderio dei discepoli irriducibili ad accettare di credere che tutto fosse finito con la morte del loro Maestro.

E’ la famosa testi sostenuta dallo storico francese Charles Guignebert217G. Guignebert, Jésus, Paris 1933 e, prima di lui, da Ernest Renan218E. Renan, Vita di Gesù, Feltrinelli 1989 a metà dell’XVIII secolo, convinto dell’autosuggestione dei discepoli provocata dall’affetto e dalla mitizzazione. E’ la fede che ha originato le apparizioni o sono le apparizioni che hanno fatto scaturire la fede dei dicepoli nel Cristo?

Anche in questo caso sono pochi i veri specialisti delle studio delle origini cristiane a sostenere ipotesi simili, d’altra parte le fonti primarie cristiane mostrano i discepoli, subito dopo la morte di Gesù, esattamente all’opposto di persone convinte nella sua vittoria sulla morte.

José Miguel Garcia, docente di Nuovo Testamento all’Università Complutense di Madrid, ha scritto: «I racconti evangelici descrivono i discepoli in preda allo sconforto e all’avvilimento per la condanna e la morte di Gesù; pieni di timore, si rinchiudono nella sala superiore dove celebrarono l’ultima cena. Sono le apparizioni di Gesù che hanno fatto nascere la fede nei suoi seguaci»219J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 291.

Anche l’eminente biblista tedesco Gerhard Lohfink, professore di Nuovo Testamento all’Università di Tubinga, ha osservato:

«Tutte queste ricostruzioni coincidono nell’affermare che nelle anime dei discepoli zampilla la fede, e la fede produce le visioni. Ma, invece, il Nuovo Testamento dice proprio il contrario: soltanto le apparizioni del Resuscitato fecero nascere la fede nella resurrezione. E’ inconcepibile che uno storico serio possa travisare un’affermazione così chiara delle fonti -soprattutto della testimonianza personale di san Paolo- per leggervi esattamente l’opposto»220G. Lohfink, Die Auferstehung Jesu und die historische Kritik, BibLeb 1968, p. 49.

Inoltre, come spiegare tramite la proiezione di fede la conversione e l’apparizione avuta da Paolo di Tarso, noto persecutore della prima comunità cristiana? Quale predisposizione alle visioni “generate dalla fede”? Formatosi alla scuola del rabbino Gamaliele, detestava Gesù ed i cristiani in quanto bestemmiatori pubblici eppure si convertì inspiegabilmente ed improvvisamente smise di combatterli, sacrificò tutto, sopportò le persecuzioni, predicò instancabilmente il Vangelo di città dopo città fino a Roma, quando venne imprigionato e morì come martire.

L’opinionista televisivo Corrado Augias, citando il pensiero del teologo viennese Adolf Holl, è arrivato addirittura a sostenere che l’«afflato religioso nella sua forma più estrema e meno istituzionale», si concentrerebbe in visioni molto vivide e collettive. Così, i discepoli si sarebbero convinti ed esaltati «gli uni con gli altri, in qualche caso aiutati da erbe o da fumi, e arrivano a materializzare una figura, umana o soprannaturale, riuscendo effettivamente a vederla lì fra loro. Potrebbe essere una spiegazione»221C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 57.

Il livello argomentativo si abbassa notevolmente, sottolineiamo solo che non c’è alcuna prova in letteratura scientifica che “l’afflato religioso” produrrebbe visioni soprannaturali, sia perché -ancora una volta- esse furono rivendicate da persone scettiche sulla divinità di Gesù (Giacomo), antagonisti ai cristiani (Paolo) ed in generale ad ebrei devoti per nulla predisposti nel vedere Gesù risorto in quel modo a causa del loro background giudaico (tutti i discepoli).

Lo studioso italiano Mauro Pesce, antropologo ed ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, solitamente sostenitore di tesi controverse, in questo caso si è limitato ad ammettere: «Si è ipotizzato che l’apparizione alla Maddalena possa essersi verificata come esito di una crisi o di un dolore intollerabile. Non ci sono elementi per ipotizzarlo»222C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 58. E ancora: «Dal punto di vista storico, religioso o antropologico, è chiaro che il veggente “vede” solo ciò che gli consentono gli schemi culturali che possiede»223C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 58. E’ effettivamente corretto, gli schemi culturali giudaici dei discepoli non poterono produrre le visioni di Gesù, inconcepibilmente (per loro e per tutti i loro contemporanei) risorto.

In un’intervista del 2020 lo studioso Gerhard Lohfink, docente all’Università di Tubinga, replicando all’obiezione delle visioni soggettive, ha risposto accettando fino in fondo la provocazione:

«Si sostengono elementi psicogeni nelle apparizioni pasquali? In altre parole, si ritiene che nell’anima, nel profondo dell’anima dei discepoli, siano sorte immagini e parole che hanno mostrato loro Gesù come il Risorto. Potrei non escluderlo affatto! I teologi dicono che quando Dio agisce lo sempre per “cause secondarie”, cioè attraverso la creazione, le forze e le strutture del mondo. Si potrebbe allora presumere che abbia rivelato il Gesù risorto attraverso i poteri interiori dell’anima dei testimoni pasquali, senza violare le leggi della creazione. Non ho alcun problema a considerare i processi interiori dell’anima nelle esperienze pasquali dei discepoli. Ciò che è decisivo è che Dio stesso agisce attraverso questi processi nell’anima e riveli il risorto».

Due altre autorità internazionali sulle origini del cristianesimo, N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews e C.A. Evans, docente di Nuovo Testamento all’Acadia Divinity College, hanno concluso:

«I discepoli sarebbero stati così disturbati dalla catastrofica sconfitta e dalla morte di Gesù che finirono per anelare alla resurrezione come ad un modo per fronteggiare la loro amarezza. L’ipotesi non è per nulla plausibile come racconto storico di qualcosa che accadde nel I secolo. Siamo a conoscenza di svariati altri movimenti il cui il leader -colui sul quale tutti avevano riposto le loro speranze- era stato ucciso: in nessuno caso tali movimenti si trovarono a soffrire di quella benedetta malattia del XX secolo chiamata “dissonanza cognitiva”, per la quale essi sarebbero stati indotti a proclamare storie su qualcosa di glorioso al solo scopo di fare i conti con la propria afflizione. Non è così che si fa la storia»224C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 111.

I due specialisti si riferiscono ai teologi liberali come Rudolf Bultmann e Edward Schillebeeckx, per i quali le menti dei discepoli davanti al sepolcro erano così piene di luce che non ebbe importanza se ci fosse stato un corpo o meno. «In quel momento Schillebeeckx smise di essere uno storico del I secolo e divenne uno scrittore fantasy del XX secolo», commentano C.A Evans e N.T. Wright. «La gente del I secolo sapeva un bel po’ di cose su menti riempite di luce, e così via. Aveva un linguaggio specifico per parlarne. Ma tutto questo non ha niente a che fare con il dire che qualcuno sia risorto dai morti»225C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 112.

Anche lo studioso (laico) John Dominic Crossan, professore emerito di Studi religiosi alla DePaul University e già presidente della Society of Biblical Literature, ha spiegato che anche ammettendo l’ipotesi di una visione soggettiva essa sarebbe comunque fortemente diversa dal concetto di resurrezione come la affermarono fin da subito i primi cristiani:

«La risurrezione non è la stessa cosa dell’apparizione. La domanda non è se capitino apparizioni o visioni, perché questo accadeva normalmente nel mondo antico; per esempio Ettore, appare da morto ad Anchise alla fine della guerra di Troia ed all’inizio dell’Eneide di Virgilio. Ed anche nel mondo moderno accade: il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders-IV non le ritiene dei disturbi mentali ma caratteristiche comuni del lutto. Ciò potrebbe accadere dopo la morte o la scomparsa improvvisa, tragica o terribile di una persona amata. Quindi, anche se nessun testo cristiano avesse menzionato apparizioni o visioni di Gesù dopo la sua crocifissione, avremmo potuto tranquillamente ipotizzarne il verificarsi. Ma, questo è il vero punto, l’apparizione non è la stessa cosa della risurrezione e nemmeno qualcosa di lontanamente simile»226J.D. Crossan, J.L. Reed, Excavating Jesus: Beneath the Stones, Behind the Texts, HarperCollins Publishers 2001, p. 259-260.

Stephen T. Davis, professore emerito di Filosofia al Claremont McKenna College, rispondendo alle tesi naturalistiche avanzate dal filosofo (ateo) Michael Martin, ha concluso che «tutte le ipotesi alternative che conosco sono storicamente deboli; alcune sono così deboli che crollano sotto il loro stesso peso una volta esplicitate […]. Le teorie alternative che sono state proposte non sono solo più deboli, ma molto più deboli nello spiegare le prove storiche disponibili»227S.T. Davis, Is Belief in the Resurrection Rational? A Response to Michael Martin, Philo 1999, Vol. 2, p. 57-58.

Sostenere con convinzione la tesi naturalistica, al contrario delle aspettative, si è rivelato molto più difficile del previsto e questo spiega anche il motivo per cui «la stragrande maggioranza degli studiosi critici rifiuta questa opzione»228G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297. Non pochi studiosi hanno concluso che ogni opzione naturalistica proposta genera più problemi di quanti ne voglia risolvere.

Così, il teologo Hans Küng, professore emerito all’Università di Tubinga, ha concluso: «Non fu la fede dei discepoli a risuscitare Gesù, ma fu il resuscitato a condurli alla fede»229H. Küng, Essere cristiani, Rizzoli 2012, p. 421. John A.T. Robinson, decano emerito del Trinity College dell’Università di Cambridge, ha scritto invece: «E’ davvero molto difficile ignorare le apparizioni di Gesù e trovare comunque una spiegazione credibile»230J.A.T. Robinson, Can We Trust the New Testament?, Eerdmans 1977, p. 124.

 

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9. INSPIEGABILI CAMBIAMENTI DOPO LA MORTE DI GESU’

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Un ulteriore argomento che induce a ritenere l’evento della resurrezione il più plausibile è l’altrimenti inspiegabilità degli improvvisi e radicali cambiamenti che si verificarono nel comportamento dei discepoli che seguirono Gesù fino all’arresto avvenuto nel giardino del Getsemani.

Le fonti primarie descrivono i seguaci di Gesù come disillusi, impauriti di essere a loro volta catturati e giustiziati, per questo si dileguano velocemente e nemmeno si presentano ai piedi della croce (a parte «il discepolo più amato», Gv 19,26 che, secondo la tradizione fu Giovanni). Addirittura l’apostolo più carismatico, Cefa (detto Pietro), rinnegò Gesù tre volte, dicendo di non averlo mai conosciuto.

E’ una descrizione che gli storici valutano come certamente storica in quanto imbarazzante per gli stessi discepoli essere così rappresentati. Se non fosse stato vero, non sarebbe mai stato scritto.

Soltanto pochi giorno dopo la sepoltura di Gesù, tuttavia, questi devoti ebrei mettono improvvisamente in discussione le secolari usanze ebraiche, sfidano il giudizio del Sinedrio (la voce di Dio, per gli ebrei), cambiano la dottrina ebraica fino a prima seguita, osano contraddire le leggi di Mosé sul giorno sacro (da sabato a domenica), il tutto pubblicamente, apertamente.

La resurrezione di Gesù ha cambiato il corso della storia, dicono, e lo ripetono senza ottenere nulla in cambio, subendo per decenni persecuzioni, lapidazioni, incarcerazioni ed infine il martirio. Come si può altrimenti spiegare una tale trasformazione?

 

9.1 Sfida al Sinedrio (cioè al giudizio di Dio).

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«Per ogni fedele ebreo», ha ricordato José Miguel Garcia, docente di Nuovo Testamento all’Università Complutense di Madrid, «la condanna del Sinedrio rappresentava il giudizio di Dio. E tale giudizio stabilì che Gesù era un bestemmiatore, un miscredente, un maledetto da Dio»231J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 274.

Ma allora, «com’è possibile che alcuni giudei non accettarono come definitivo il giudizio del Sinedrio?», si è chiesto lo studioso. «E poi, com’è possibile che quegli uomini, subito dopo la morte del loro Maestro, osarono predicare che la pienezza della vita umana viene concessa ai seguaci di Gesù? Ossia, come si spiega il fatto che riconoscano pubblicamente questo condannato dal tribunale supremo ebraico come il salvatore degli uomini?»232J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 274.

Per la legge dell’Antico Testamento (seguita dai giudei, compresi i discepoli) chiunque viene condannato ed appeso ad un albero è maledetto da Dio (cfr. Dt. 21.23) e gli ebrei applicarono questo verdetto anche ai condannati da crocifissione. Visto attraverso gli occhi di un seguace ebreo di Gesù del primo secolo, la crocifissione non era affatto la morte del proprio amato Maestro, ma una vera catastrofe. Significava che, lungi dall’essere l’Unto di Dio, Gesù di Nazareth era stato rinnegato da Dio. Avevano seguito l’uomo sbagliato che Dio stesso aveva rifiutato nei termini più inequivocabili.

«Oggi è difficile capire quanto fosse offensiva, per la maggioranza degli ebrei del I secolo, l’idea di un messia crocifisso», ha scritto B.D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento all’Università del North Carolina. «Se è difficile pensare che siano stati gli ebrei a inventare l’idea di un messia crocifisso, da dove spunta? Dalla realtà storica»233B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 165. E ancora: «La sua morte smentì, in modo radicale, tutto ciò che i suoi seguaci avevano pensato e sperato, poiché, evidentemente, Gesù era tutto fuorché il messia. Poi però accadde qualcos’altro»234B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 165.

Nel primo secolo vi furono molti altri “rivoluzionari” che finirono giustiziati e crocifissi, ma, ha scritto N.T. Wright, eminente professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews, «nonostante la delusione, i loro seguaci mai sostennero che il loro eroe era stato risuscitato dai morti. La risurrezione non era concepibile come evento privato. I rivoluzionari ebrei il cui leader era stato ucciso dalle autorità e che erano riusciti a fuggire all’arresto, avevano solo due opzioni: rinunciare alla rivoluzione o trovare un altro leader. Affermare che il leader era tornato in vita, semplicemente non era un’opzione ragionevole. A meno che, naturalmente, fosse accaduto davvero così»235N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, p. 100-108.

«Il fatto sorprendente della risurrezione», ha aggiunto l’esegeta spagnolo J.M. Garcia, risulta «l’unica ragione veramente esplicativa dell’esistenza della predicazione cristiana»236J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 275.

Il card. Joseph Ratzinger, anch’egli fine studioso del Gesù storico, ha osservato che «i discepoli si lasciarono travolgere da un fenomeno che si palesava loro, da una realtà inaspettata, inizialmente pure incomprensibile, e la fede nella risurrezione è scaturita da questo travolgimento e cioè da un avvenimento che precedeva il loro pensare e volere, che anzi lo rovesciava»237J. Ratzinger, in H. Schlier, Sulla risurrezione di Gesù Cristo, Morcelliana 1971. Questo li spinse a mettere in discussione perfino il giudizio del supremo tribunale ebraico.

 

9.2 Sfida al credo ebraico ed alla legge di Mosè.

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Un altro improvviso cambiamento, testimoniato dalle fonti primarie fin dai primi giorni dopo la morte di Gesù, è la sorprendente celebrazione della domenica come “giorno del Signore” da parte dei primi membri della Chiesa (cfr. At 20,7; 1Cor 16,2).

Se ancora oggi la riteniamo il giorno di riposo è perché improvvisamente alcuni ebrei del I secolo hanno sostenuto che Gesù era risorto di domenica, mentre «per gli ebrei il giorno sacro è il sabato, come stabilito dalla legge mosaica»238J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 276.

Volendo prescindere dall’evento della risurrezione, ha osservato lo studioso spagnolo José Miguel Garcia, «non avrebbe spiegazione il cambiamento della celebrazione del giorno sacro. E’ invece comprensibile se il cambiamento è dovuto al giorno in cui è avvenuto il ritrovamento del sepolcro vuoto e sono iniziate le apparizioni, cioè quando hanno avuto la prova tangibile della resurrezione di Gesù»239J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 277.

Richard Swinburne, professore emerito di Filosofia all’Università di Oxford, ha a sua volta sottolineato che le comunità cristiane si diffusero molto rapidamente oltre Gerusalemme, entro tre o quattro anni dagli eventi della Passione e «portarono con sé le loro usanze, inclusa la celebrazione dell’Eucaristia. Tutte le prove che abbiamo suggeriscono che c’era un’usanza universale di celebrare l’Eucaristia di domenica, il primo giorno della settimana. Questa dovette essere anteriore alla diffusione, altrimenti avremmo sentito parlare di controversie su quando celebrarla e istruzioni date dall’alto (analogamente al modo in cui vi furono controversie sulla circoncisione e sul consumo di carne, risolte dal Concilio di Gerusalemme descritto in At. 15)»240R. Swinburne, The Probability of the Resurrection of Jesus, Philosophia Christi 2013, Vol. 15, p. 21.

Se Gesù non fosse risorto e i discepoli avessero inventato tutto o aver voluto tenere memoria delle sue gesta, «ci sarebbero stati altri giorni in cui sarebbe stato più naturale celebrare l’Eucaristia, ad esempio nel giorno dell’originale Ultima cena, che fu probabilmente un giovedì e non certo una domenica», ha proseguito Swinburne. «Non esiste un’origine plausibile della sacralità della domenica al di fuori del cristianesimo. C’è solo una semplice spiegazione di questa usanza universale e deriva al più tardi dai primi due o tre anni dopo la Resurrezione. L’Eucaristia venne celebrata di domenica sin dai primi anni del cristianesimo perché i cristiani credevano che l’evento cristiano centrale della Resurrezione si fosse verificato di domenica»241R. Swinburne, The Probability of the Resurrection of Jesus, Philosophia Christi 2013, Vol. 15, p. 21.

I seguaci di Gesù non erano teologi, esegeti o alti esponenti dell’ebraismo. Improvvisamente e senza una ragione adeguata, questo gruppo di umili pescatori sfidò il Sinedrio (quindi il giudizio di Dio) e osò correggere la legge mosaica sul sabato. Gli stessi che poco prima scapparono impauriti, rinnegarono Gesù e si dispersero amareggiati e delusi. «L’analisi delle testimonianze e degli avvenimenti può portare a concludere che senza il fatto reale della resurrezione, molte cose rimarrebbero senza spiegazione»242J.M. Garcia, Il protagonista della storia, BUR 2008, p. 274, ha infatti concluso José Miguel Garcia dell’Università Complutense di Madrid.

L’eminente studioso Larry Hurtado, docente di Cristianesimo primitivo e docente emerito di Lingua letteratura e teologia del Nuovo Testamento presso l’Università di Edimburgo, ha osservato inoltre che «nei primi ambienti cristiani, Gesù è oggetto di espressioni di devozione che sono esclusivamente riservati solo a Dio e che, semplicemente, non hanno alcuna analogia nella tradizione ebraica del periodo del Secondo Tempio. In parole povere, questo culto del Gesù risorto fu una radicale innovazione nella religione monoteistica ebraica»243L. Hurtado, How on Earth Did Jesus Become a God? Historical Questions about Earliest Devotion to Jesus, Grand Rapids 2005, p. 47–48.

Gli specialisti Craig A. Evans, docente di Nuovo Testamento e direttore del programma di specializzazione presso l’Acadia Divinity College e N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews, hanno sottolineato anche l’improvvisa centralità della resurrezione nella predicazione apostolica al contrario della marginalità in cui è sempre stata considerata la resurrezione finale ed escatologica nel pensiero ebraico. Nei testi ebraici del giudaismo del Secondo Tempio (597 a.C. – 70 d.C), c’è infatti una certa credenza nella resurrezione finale del popolo di Dio (totalmente diversa da quella rivendicata dagli apostoli) ma non è comunque «una credenza così importante»244C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 93.

Gli autori dei rotoli di Qumran, nemmeno credevano a qualche tipo di risurrezione finale o comunque non era un tema significativo e lo spazio dedicato nei loro testi non è per nulla paragonabile «allo spazio assegnato ad altri temi»245C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 93. Al contrario, improvvisamente dal 30 d.C., per un piccolo gruppo di devoti ebrei la risurrezione di un uomo e nella storia, diventa incredibilmente il focus di tutto.

Questa mutazione è un mistero anche antropologico in quanto «le credenze circa la vita dopo la morte sono notoriamente tra le cose di una cultura che maggiormente resistono al cambiamento», riflettono i due studiosi. «La gente potrebbe cambiare idea sul proprio credo, ma ciò che essa crede sulla morte tende a mantenersi pressoché immutato»246C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 114.

«Se si prova a togliere dal Nuovo Testamento la risurrezione – la risurrezione corporea- ci si rende conto di come tutti gli altri argomenti, uno dopo l’altro, si trovino a collassare»247C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 94, hanno concluso i due studiosi. «La tomba vuota e gli incontri con Gesù risultano solidamente fondati come dati storici. Sono l’unica possibile spiegazione per i racconti pasquali e per quelle mutazioni del Credo ebraico che si svilupparono così rapidamente»248C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 114.

 

9.3 Il cambiamento del discepolo scettico Giacomo.

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Alcuni studiosi si sono soffermati a lungo anche sul cambiamento sorprendente di Giacomo, descritto dai vangeli fortemente scettico verso Gesù durante il suo ministero pubblico (cfr. Mc. 3,21 31-35; Mc. 6,3, Gv. 7,5). Eppure, non molto tempo dopo la crocifissione di Gesù, lo stesso Giacomo, fratello di Gesù, è uno dei leader della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme e viene incontrato da Paolo di Tarso durante le sue due visite (cfr. Gal 1,18-19; Gal 2,1-10; At 15,13-21). Lo storico ebreo Flavio Giuseppe riferisce infine che Giacomo morì martirizzato per la sua fede in Gesù Cristo.

Secondo il biblista americano John P. Meier l’incredulità di Giacomo è un dato storico poiché soddisfa sia il criterio della molteplice attestazione di fonti indipendenti che il criterio dell’imbarazzo, dal momento che era imbarazzante per la chiesa primitiva essere guidata da un familiare di Gesù autore di affermazioni «profondamente offensive» riguardanti lo stesso Gesù. In misura minore, conclude Meier, soddisfa anche il criterio della coerenza con la chiamata frequente di Gesù a porre Dio davanti alla propria famiglia249J.P. Meier, A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus, Doubleday 2001, Vol. 2, p. 68-71.

Nonostante Giacomo fosse uno stretto familiare di Gesù (“fratello” o “cugino” di Gesù, «non c’è una certezza assoluta […]», ma «l’opinione più probabile è che i fratelli e le sorelle di Gesù fossero veri fratelli», anche se «l’idea che fossero affini o parenti in senso largo certamente non è esclusa»250J.P. Meier, Un ebreo marginale, Queriniana 2008, p. 324-325 251J.A. Fitzmyer, A Christological Catechism. New Testament Answers, Paulist Press International 1981, p. 73), Giacomo non fu nemmeno presente ai piedi della croce.

Come spiegare questo radicale cambiamento se non con quanto riferito dall’antichissima formula pre-paolina: «…poi apparve a Giacomo» (1Cor 15,7)?

Sorprendentemente, Reginald H. Fuller, professore emerito di Nuovo Testamento al Virginia Theological Seminary di Alexandria (Stati Uniti), ha dichiarato che se gli scritti cristiani non avessero fatto riferimento all’apparizione della risurrezione avuta da Giacomo, «avremmo dovuto inventarne una noi»252R. Fuller, The Formation of the Resurrection Narratives, Macmillan 1980, p. 10 per rendere adeguatamente conto della sua improvvisa conversione e della sua promozione ad sua posizione di leadership nella chiesa di Gerusalemme!

«La maggior parte degli studiosi contemporanei», ha certificato infine Gary Habermas, «inclusi molti piuttosto scettici»253G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297, non ha dubbi sulla storicità della conversione di Giacomo e ritiene che l’apparizione personale di Gesù sia la spiegazione più plausibile. Si veda ad esempio Helmut Koester254H. Koester, Introduction to the New Testament, Fortress 1982, Vol. 2, p. 84, Robert Funk255R. Funk, Honest to Jesus, Harper Collins 1996, p. 33, Peter Stuhlmacher256P. Stuhlmacher, The Resurrection of Jesus and the Resurrection of the Dead, Ex Auditu 1993, Vol. 9, p. 49 e E.P. Sanders257E.P. Sanders, But Did it Happen?, The Spectator 1996, Vol. 276, p. 17.

 

9.4 Nessun guadagno personale, disposti al martirio.

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Anche ipotizzando che i discepoli in qualche modo inventarono la resurrezione di Gesù, avrebbero potuto reggere solo per qualche periodo. Ma perché farsi perseguire ed ammazzare per una menzogna? Senza alcun guadagno personale. Questo è un altro fatto privo di giustificazioni per chi vuole negare la storicità della risurrezione.

Perché lasciare la famiglia, il lavoro, i propri beni, la propria terra per andare in giro a raccontare “favole artificiosamente inventate”? Oltretutto, sostenendo tesi totalmente blasfeme ed assurde sia per loro stessi che per le persone a cui si rivolgevano, piene di dettagli che alimentavano solo i dubbi (come la testimonianza delle donne).

Perché continuare con queste predicazioni per decenni, le stesse menzogne ripetute e che causavano ai discepoli solo una vita d’inferno, clandestinità, persecuzioni, prigionia, lapidazioni, sdegno sociale, solitudine, atroci sofferenze ed infine il supplizio del martirio? Il «loro vero, umano e comodo interesse sarebbe stato il tacere»258G. Siri, La Rivelazione, Studium 1940, p. 91, scrisse giustamente il card. Giuseppe Siri.

Lo scrittore italiano Antonio Socci ha a sua volta giustamente osservato:

«Se Gesù era morto e basta -e la sua era stata la morte dei criminali, dei maledetti, una morte di cui vergognarsi- certo non poteva dare loro più nulla, se non dei guai: l’unica cosa sensata da fare era evitare di finire anch’essi nel mirino, voltare pagina, mettersi al sicuro. E, terrorizzati com’erano quel venerdì (per paura avevano lasciato solo Gesù dall’arresto fino al Calvario), in effetti pensavano solo a stare nascosti e aspettare il momento buono per fuggire da Gerusalemme e tornare in Galilea. Cosa accadde di così sconvolgente da trasforare dei poveri individui terrorizzati, che si sentivano braccati, in temerari che sfidano apertamente le autorità nelle piazze, senza più paura di nulla, pronti a tutto? Cosa vissero di così enorme da capovolgere il loro terrore in ardente coraggio? Cosa si verificò per produrre in loro un così clamoroso cambiamento, da renderli tutti pronti a subire, con semplicità e decisione, il martirio? L’unica ipotesi plausibile è che davvero Gesù sia tornato, vivo, risorto fra loro. Questo è l’unico fatto che può spiegare un così repentino e stupefacente cambiamento. Se non hanno mai voluto rinnegare ciò che affermavano di aver visto e toccato con mano, se non se lo sono rimangiato neanche di fronte ai tormenti degli aguzzini, significa che dovevano esserne ben certi e che doveva essere tutto vero»259A. Socci, Indagine su Gesù, Rizzoli 2008, p. 269.

Da impauriti discepoli di un Maestro fallito, crocifisso, umiliato e maledetto da Dio con la croce a leoni pronti al martirio per non rinnegare ciò che avevano visto i loro occhi. Si può spiegare senza ipotizzare l’avvenimento di qualcosa di imponente e travolgente?

E’ così che l’eminente studioso britannico NT Wright ha concluso: «Questo è il motivo per cui, come storico, non riesco a spiegare l’ascesa del cristianesimo primitivo a meno che Gesù sia risorto, lasciando una tomba vuota dietro di lui»260N.T. Wright, The New Unimproved Jesus, Christianity Today, 13/09/1993.

Il giurista americano Simon Greenleaf (convertitosi dallo scetticismo alla fede cristiana proprio studiando le fonti storiche della resurrezione), fondatore della Harvard Law School, ha sottolineato l’unicità nella storia di questi eventi:

«Propagandando questa nuova fede, anche nella maniera più pacifica e inoffensiva, [i primi cristiani ricevettero] scherni, opposizioni […] fino alla morte crudele. Eppure, propagandarono con zelo proprio questa fede, e sopportarono tutte quelle sofferenze senza esitazione, anzi con gioia. Mentre l’uno dopo l’altro venivano messi barbaramente a morte, i sopravvissuti [continuarono] semplicemente la loro opera con accresciuto vigore e determinazione […]. Le cronache delle guerre militari forniscono a mala pena un esempio di una simile costanza e pazienza eroica e di un tale coraggio invincibile […]. Anche se fosse moralmente possibile che essi si siano ingannati in merito, ogni motivazione umana cooperava per portarli a riflettere e a riconoscere il loro errore. Da queste [considerazioni] non c’è scampo se non nella perfetta convinzione e ammissione che erano uomini onesti, che testimoniavano ciò che avevano accuratamente osservato […] e che ben sapevano essere la verità»261S. Greenleaf, The Testimony of the Evangelists, Kregel 1995, p. 31, 32

«L’imprescindibile fondamento della comunità cristiana è Gesù risorto, la sua viva presenza»262J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 281, ha osservato J.M. Garcia.

A causa di questo, e senza ottenere nulla in cambio, subirono ogni sorta di persecuzione. «Gli scritti del Nuovo Testamento ci fanno vedere che la Chiesa nascente è un edificio sorretto dalla resurrezione come un principio imprescindibile»263M.H. Marco, Los evangelios y la critica historica, Ediciones Cristiandad 1978, p. 16, ha concluso l’importante esegeta della scuola di Madrid, Mariano Herranz Marco.

C.F.D. Moule, docente di Nuovo Testamento dell’Università di Cambridge, infine, ha osservato: «Se la nascita dei Nazareni, fenomeno innegabilmente attestato dal Nuovo Testamento, squarcia un grande buco nella storia, un buco delle dimensioni e della forma della Resurrezione, con cosa si propone spiegarlo lo storico laico? La nascita e la rapida ascesa della Chiesa cristiana resta un enigma irrisolto per qualsiasi storico che si rifiuti di prendere sul serio l’unica spiegazione offerta dalla Chiesa stessa»264citato in W.L. Craig, Contemporary Scholarship and the Historical Evidence for the Resurrection of Jesus Christ, Truth 1985, Vol. 1, p. 89-95.

 

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11. LE CONTRADDIZIONI TRA GLI EVANGELISTI.

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L’ultimo argomento a favore della storicità dei racconti pasquali dei vangeli è paradossalmente usato da molti studiosi contro l’attendibilità storica.

Esistono infatti differenze e contraddizioni tra i quattro evangelisti a proposito della narrazione dei fatti avvenuti dopo la morte di Gesù. «Lettore, tu che sei serio e amico della verità, dimmi davanti a Dio: potresti accettare come unanime e sincera una testimonianza, rispetto a un argomento così importante, che così spesso e con tanta chiarezza si contraddice in quanto a persone, tempo, luogo, modo, fine, parole, narrazione?»265citato in C.H.Talbert, Reimarus: Fragment, Wipf & Stock Pub 1971, p. 197, scrisse l’illuminista Hermann Samuel Reimarus, basandosi proprio sulle discrepanze tra i quattro vangeli.

Più recentemente, è stato Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento presso l’University of North Carolina ad assumere la leadership tra i principali studiosi che indicano tali discrepanze per dubitare dell’attendibilità storica.

Soprattutto nei brani che parlano del sepolcro vuoto e delle apparizioni di Gesù risorto (molto più che negli altri racconti della passione, i quali riflettono uno schema più fisso e coerente), gli evangelisti presentano dati e particolari discordanti tra loro, difficilmente armonizzabili. Li riassumiamo brevemente:

a) A scoprire la tomba vuota furono Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salomé come scrive Marco (Mc 16,1); oppure Maria di Magdala e l’altra Maria, secondo Matteo (Mt 28,1); oppure tre donne, secondo Luca (Lc 24,10); oppure solo Maria di Magdala, come riporta Giovanni (Gv 20,1-2)?

b) Chi apparve alle donne recatesi al sepolcro, annunciano la resurrezione? Un giovane, come scrive Marco (Mc 16,5), un angelo, come riporta Matteo (Mt 28,2-3) oppure due angeli, secondo Luca (Lc 24,4) e Giovanni (Gv 20,12)?

c) Le donne non dissero niente a nessuno, come scrive Marco (Mc 16,8), oppure no, come riferiscono gli altri evangelisti (Mt 28,8; Lc 24,22-24)? E’ evidente che secondo gli avvenimenti successivi gli apostoli vennero informati dalle stesse donne.

d) Il sepolcro era custodito da alcuni guardiani, come scrive Matteo (Mt 27,62-66)? Perché gli altri evangelisti non riportano nulla a proposito?

e) Vi sono poi divergenze minori, come l’ora del ritrovamento del sepolcro vuoto, lo scopo della visita delle donne, il modo in cui la pietra si è ribaltata dall’entrata del sepolcro.

f) Secondo l’antica fonte pre-paolina (1Cor 15,1-8), i destinatari delle apparizioni di Gesù dopo la risurrezione furono Pietro, i dodici apostoli, 500 fratelli assieme, Giacomo e Paolo; Marco invece conclude bruscamente il suo racconto senza citare alcuna apparizione (sono state formulate alcune alcune spiegazioni in proposito); Matteo racconta delle apparizioni alle donne al sepolcro (Mt 28,9-10) e agli undici apostoli (senza Giuda) su un monte della Galilea (Mt 28,16-20); Luca racconta l’apparizione ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), agli undici apostoli (senza Giuda) nel cenacolo (Lc 24,36-49) ed allude a un’apparizione concessa a Pietro (Lc 24,24-34); Giovanni riferisce un’apparizione a Maria di Magdala al sepolcro (Gv 20,11-18), una ai discepoli senza Tommaso (Gv 20,18-19), un’altra ai discepoli con Tommaso presente (Gv, 20,24-29) e un’apparizione ad alcuni discepoli sul lago di Tiberiade (Gv 21,1-14).

Di fronte a ciò alcuni critici affermano che queste discrepanze sono un chiaro segnale del fatto che siano testimonianze poco attendibili, sarebbero narrazioni di fede e non una storia realmente accaduta.

 

10.1 Proposte di soluzione alle contraddizioni.

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Esistono molte risposte che risolvono molte di queste contraddizioni e, soprattutto, argomentano che proprio la loro presenza andrebbe a favore della storicità degli eventi e contro l’ipotesi di un’invenzione da parte degli evangelisti.

Sono stati pubblicati interi libri sullo studio di queste discrepanze, ne citiamo solo una come esempio che risolve l’enigma di chi furono le donne che trovarono il sepolcro vuoto. Mentre Marco, Matteo e Luca parlano di due o tre donne (pur non concordando sempre sui nomi), Giovanni in controtendenza riferisce solo Maria di Magdala (Gv 20,1).

Il teologo americano M.R. Licona, docente presso la Houston Baptist University, ha risolto spiegando che probabilmente la scelta di Giovanni è un «dispositivo letterario utilizzato anche da Plutarco, cioè puntare il riflettore su un certo attore. Nel suo racconto sulla risurrezione, penso che Giovanni stia illuminando Maria di Magdala pur essendo comunque a conoscenza della presenza di altre donne»266M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Infatti, ha spiegato lo studioso, è sufficiente andare al versetto successivo (Gv 20,2) per leggere che Maria corre dai discepoli e riferisce: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». A chi si riferisce con quel “noi”? Molto probabilmente alle altre donne presenti assieme a lei non citate da Giovanni (ma citate dagli altri evangelisti).

Diversi anni fa è stata proposta anche un’ipotesi di soluzione radicale che ha diviso però la comunità scientifica. L’importante scuola esegetica di Madrid sostenne infatti il substrato semitico (aramaico) alla base dei vangeli, la lingua parlata da Gesù e dagli apostoli. Le contraddizioni sarebbero frutto di semplici errori di traduzione che svaniscono se riportati nel loro originale aramaico. Questo vale anche per alcune affermazioni incomprensibili contenute nei vangeli.

Gli esegeti spagnoli, correggendo gli errori della traduzione greca, hanno ad esempio risolto le (apparentemente) incomprensibili ingiunzioni di silenzio da parte di Gesù sulla sua realtà divina (cfr. Mc 5,40 e Mc, 8,30). Perché avrebbe dovuto intimare il silenzio? Sembra contraddittorio. Oppure al terrore delle donne che trovano il sepolcro vuoto ed escono fuggendo, come riferito dall’evangelista Marco. Da cosa scappano o di cosa avrebbero avuto paura?

E’ impossibile in questa sede riprendere dettagliatamente i contenuti delle loro pubblicazioni e le soluzioni (spesso illuminanti!) da loro offerte, rimandiamo direttamente ad esse consigliando in lingua italiana: La nascita dei Vangeli sinottici (San Paolo 2009) di J. Carmignac e La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli (Rizzoli 2005) di J.M. García.

Il teologo e storico ebreo Pinchas Lapide, ad esempio, applicando questa tesi pare aver risolto brillantemente l’enigma della metafora di Gesù sul “cammello” che passa in una “cruna di un ago” (Mt 19,24). Sembra apparentemente un’iperbole eccessiva: cosa c’entra il cammello con l’ago? Lapide scoprì che il testo semitico originale parlava di una gomena (un grosso cavo usato dai pescatori) e non di un cammello, ma, «a causa di una consonante sbagliata nel testo originale ebraico la gomena (gamta) della parabola diventa un cammello (gamal)»267P. Lapide, Bibbia tradotta, Bibbia tradita, EDB 1999.

«Per trovare una spiegazione di queste anomalie e incongruenze è necessario ricorrere al sostrato aramaico della tradizione evangelica»268J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 296, ha spiegato J.M. Garcia, uno degli esponenti della scuola esegetica di Madrid.

Questa tesi ha trovato molta opposizione nella comunità scientifica ed oggi la tendenza è di ritenerla un’ipotesi non verificata o contraddetta. Difficile però valutare la genuinità di opposizioni sorprendentemente così feroci verso una dignitosa ipotesi scientifica alternativa, il sospetto di molti è che un nutrito gruppo di oppositori (pochi sono quelli realmente esperti di lingua semitica) non sia a suo agio con una delle conseguenze dell’accettazione di questa tesi: la retrodatazione dei vangeli stessi, oggi comunemente indicata tra gli anni 60 e 90 d.C.

Il substrato semitico, infatti, li collocherebbe immediatamente a ridosso degli avvenimenti descritti, accreditando gli evangelisti come contemporanei ai protagonisti degli eventi o addirittura testimoni oculari. Secondo Stefano Alberto, docente di Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sarebbe proprio questa la ragione della veemente e pregiudiziale «ostilità» di una parte del mondo accademico verso questa ipotesi.

Secondo José Miguel Garcia, docente all’Università Complutense di Madrid, la scarsità delle pubblicazioni contemporanee sul substrato semitico rispetto al passato «si deve in parte alla decadenza degli studi umanistici e filologici, ma anche a ragioni ideologiche. Ammettere il substrato semitico dei Vangeli e di altri libri del Nuovo Testamento, mette in questione certi schemi esistenti sull’evoluzione e lo sviluppo della primitiva tradizione cristiana. Certamente la dimenticanza di questo dato favorisce il permanere di certi schemi e cliché di interpretazione esegetica, ma soprattutto ostacola la comprensione viva dei testi sacri. Perché le traduzioni sbagliate hanno introdotto in essi non solo oscurità o stranezze, ma a volte hanno occultato dati significativi e bellissimi della vita reale o della teologia, che rimasero sepolti sotto le macerie di traduzioni sbagliate»269J.M. Garcia, Per la storicità dei vangeli: Gesù Figlio di Dio nel Vangelo di Marco, Centro Culturale di Milano 03/10/2002.

Tanti esperti hanno invece aderito alla tesi del substrato semitico dei vangeli, ad esempio: Charles Cutler Torrey270C.C. Torrey, The Translations Made from the Original Aramaic Gospels, 1912, docente di Lingue semitiche alla Yale University; Maurice Casey271M. Casey, Aramaic Sources of Mark’s Gospel, Cambridge University Press 1999, professore emerito di Nuovo Testamento all’Università di Nottingham, Claude Tresmontant, filosofo della Sorbona di Parigi, Jean Héring, biblista della Facoltà Teologica a Strasburgo272J. Hering, Remarques sur les bases aramèennes et hébraiques des évangiles synoptoques, 1966; J. de Zwaan, autore di John Wrote in Aramaic pubblicato sul Journal of Biblical Literature; David Flusser, storico del primo cristianesimo all’Università ebraica di Gerusalemme ecc.

In Italia a schierarsi a favore è stato Paolo Sacchi, professore di Filologia biblica all’Università di Torino e luminare in studi giudaici, per il quale che «il testo greco derivi da una traduzione ebraica è semplicemente ovvio. Basta conoscere il greco e l’ebraico per accorgersene»273P. Sacchi, intervista a A. Socci, Vangeli, parla così la storia, Rizzoli 1995. A conferma vi sono anche numerose ricerche realizzate da studiosi ebrei, come Zwi Perez Chajes, biblista e rabbino a Vienna e Trieste274Z.H.P. Chajes, Judisches in den Evangelien Moritz Rosenfeld ed. 1919 ed il già citato Pinchas Lapide275P. Lapide, Bibbia tradotta, Bibbia tradita, EDB 1999.

Tanti altri studiosi ritengono invece che fossero le fonti pre-evangeliche (non i vangeli direttamente) ad essere scritte in aramaico e quindi tradotte (spesso con errori) in greco dagli evangelisti276Helmut Heinrich Koester, Ancient Christian Gospels: Their History and Development, Trinity Press 1990. Il principale biblista contemporaneo, J.P. Meier, docente di Nuovo Testamento all’Univeristà di Notre Dame, ha riconosciuto che il substrato aramaico è «riflesso nei quattro Vangeli», tanto che diversi detti «sono proprio estranei all’ebraico e al greco»277J.P. Meier, Un ebreo marginale, Queriniana 2006, vol. 1, p. 261-263.

 

10.2 Le contraddizioni non alterano il racconto.

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Non tutte le contraddizioni vengono risolte dagli studiosi e l’ipotesi del substrato semitico non risulta verificata pienamente. Ma qual è il vero “peso” delle contraddizioni all’interno del racconto? Alterano realmente il racconto?

No, le discordanze tra gli evangelisti si verificano su dettagli più o meno superficiali, senza compromettere l’organicità dei fatti. Al contrario, gli evangelisti sono assolutamente concordi sull’ossatura del racconto, sui fatti principali e salienti, anche se possono variare dei particolari a seconda delle testimonianze primarie a cui attinsero.

Lo stesso B.D. Ehrman, molto critico su questo, ammette che si tratta in gran parte di «piccole, piccole differenze […]. So che alcuni di voi stanno leggendo queste istanze di discrepanze e non ne sono affatto impressionati»278B.D. Ehrman, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016. Effettivamente le difficoltà del testo greco non rappresentano, in sé, un’obiezione sostanziale, piuttosto una provocazione ed una sfida intellettuale per i ricercatori.

Anche il teologo Michael R. Licona ha confermato:

«Vi sono effettivamente alcune discrepanze che non hanno spiegazione, ma anch’esse non alterano la sostanza complessiva delle storie in cui appaiono […]. Abbiamo ragione di credere che gli evangelisti presentano un ritratto simile di Gesù come Figlio unico e divino di Dio, che è venuto a portare il regno di Dio, offrire la salvezza, che fu crocifisso, e sconfisse la morte»279M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Nessuno per esempio mette in dubbio l’affondamento del Titanic, eppure i sopravvissuti si contraddissero l’un l’altro. C’è chi riferì di aver visto la nave rompersi in due prima di affondare e chi disse che fosse affondata intatta.

«Come avrebbero potuto sbagliarsi?», si è chiesto retoricamente Licona, imitando chi si stupisce delle discrepanze degli evangelisti sugli eventi pasquali. «E’ stata la notte più terrificante della loro vita, guardavano intensamente una nave lunga 800 piedi e sentivano le urla di chi era ancora a bordo, amici, familiari e colleghi. Non so come hanno fatto a sbagliarsi, ma nessuno ha citato le testimonianze contraddittorie concludendo che il Titanic non è affondato! La differenza riguardava un dettaglio periferico che non cambia l’essenza della storia e coloro che hanno ascoltato le loro testimonianze apprendevano il nocciolo accurato di ciò che era accaduto nel suo complesso. Allo stesso modo, praticamente tutte le differenze nei Vangeli riguardano dettagli periferici. Non ci sono vangeli che riferiscono che Gesù non è stato crocifisso o che la tomba era occupata dal cadavere di Gesù o che non è risorto»280M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

 

10.2 Errori e manomissioni sono comuni nelle testimonianze antiche.

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Se dovessimo considerare “storicamente affidabile” un documento solo se è privo di errori, allora dovremmo gettare via tutta la letteratura antica (e non solo).

Michael R. Licona, docente di Teologia presso la Houston Baptist University, ha osservato ad esempio che gli storici romani Sallustio e Tacito hanno «spostato gli eventi dal loro contesto originario, trapiantandoli in un altro al fine di evidenziare un particolare aspetto», ma senza «distorcere intenzionalmente la “verità” dei fatti».

Anche Svetonio, pur considerato uno dei migliori storici di Roma, nella sua storicamente affidabile Vita dei Cesari ha usato in modo a volte indiscriminato le fonti ed inserito, di tanto in tanto, storie leggendarie.

Sono operazioni letterarie comuni all’epoca, presenti anche nei vangeli. E’ nota ad esempio la manomissione volontaria dell’evangelista Giovanni sulla data e sull’ora della crocifissione per enfatizzare teologicamente che Gesù è l’agnello pasquale. Innanzitutto, questo dimostra che gli storici sanno riconoscere e sottolineare le interpolazioni nei testi evangelici e ne tengono conto nell’analisi sulla storicità.

In secondo luogo, quello di Giovanni è «uno degli espedienti letterari tra i più comuni all’epoca», riferisce Licona, «utilizzati anche da storici greci, romani ed ebrei»281M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

Uno simile è stato utilizzato anche dal regista del film Apollo 13 (1995), pellicola solitamente elogiata per la sua accuratezza storica. Per esigenze cinematografiche la vita degli astronauti è stata resa molto più difficile di quanto realmente accaduto, facendo anche pronunciare ai protagonisti parole mai dette realmente (come la famosa frase: “Il fallimento non è contemplato!”).

Chi pretende che i racconti evangelici siano privi di qualsiasi licenza compositiva che alteri i dettagli, dovrebbe allora «escludere non solo i Vangeli, ma tutta l’antica letteratura storica ma questo rende il termine “storicamente affidabile” privo di significato»282M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

M.R. Licona ha quindi concluso:

«Dato che tra 1.000 anni ci sarà un diverso modo di scrivere e raccontare, sarebbe ingiusto se gli storici del futuro considerassero inaffidabile la storia dei primi anni del XXI secolo, solo perché oggi non abbiamo gli stessi standard di scrittura che avranno loro. Per questo occorre pensare all’attendibilità storica alla luce delle convenzioni letterarie appartenenti al genere storico dell’epoca in cui è stato scritto, e non attraverso le moderne convenzioni che richiedono una precisione quasi forense. Ovviamente, questo non significa che l’autore non abbia incluso un piccolo numero di storie leggendarie ma che una larga maggioranza di ciò che viene riportato è vero. Naturalmente, la “licenza artistica” ha i suoi limiti ed alcuni autori sono andati così lontani che riteniamo inaffidabile ciò che hanno scritto. Se leggiamo i Vangeli dal punto di vista dei dispositivi compositivi utilizzati da alcuni dei più fini biografi storici di quel periodo, la maggior parte delle contraddizioni tra gli evangelisti si scioglie. La domanda non è se i Vangeli sono di “ispirazione divina”, “infallibili” o “senza alcun errore”, ma se risultano storicamente affidabili sulla vita, gli insegnamenti e la risurrezione di Gesù. L’attendibilità storica ​​non richiede che tutto quanto riportato dagli autori si è verificato esattamente come descritto, né che gli autori non debbano aver incluso un piccolo numero di storie leggendarie, teofanie, o errori. “Attendibilità storica” ​​significa che una grande maggioranza di ciò che viene riportato è vero nella misura in cui i lettori ottengono il nocciolo accurato di ciò che si è verificato. I Vangeli, essendo conformi a questo, sono storicamente affidabili»283M.R. Licona, in Ehrman–Licona Dialogue on the Historical Reliability of the New Testament, The Best Schools 2016.

 

10.2 Le contraddizioni sono indice di autenticità.

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Dopo aver indicato quali contraddizioni evangeliche creano problemi ai critici dell’autenticità e aver spiegato l’errore nel ritenere che alterino l’affidabilità del racconto, sottolineiamo perché, al contrario, la loro presenza è a favore della storicità degli eventi narrati.

Perché degli ipotetici falsari, così finemente organizzati da inventare i racconti pasquali senza ricevere smentite, sarebbero dovuti inciampare in un racconto con dettagli in contraddizione gli uni con gli altri?

«Un inganno calcolato avrebbe dovuto produrre una grande unanimità», ha scritto E.P. Sanders, celebre docente di Nuovo Testamento alla Duke University. «Invece, sembra che ci siano stati dei concorrenti: “L’ho visto per primo!”; “No! Io l’ho visto prima”»284E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin Books, 1993, p. 279-280.

In altre parole, se i discepoli di Gesù (o gli evangelisti che misero per iscritto la loro testimonianza oculare), avessero voluto inventare una leggenda comune sulla resurrezione di Cristo, non si sarebbero contraddetti. Tanto meno se un evangelista avesse inventato e gli altri avessero copiato.

Avrebbero innanzitutto raccontato un mito plausibile e comprensibile agli occhi dei loro interlocutori che speravano di convincere (non una resurrezione corporale estranea alle Scritture!), in secondo luogo il racconto sarebbe stato privo di dettagli controproducenti (vedi il ruolo delle donne), senza dettagli precisi e riferimenti storici facilmente smentitili ed infine in perfetta coerenza gli uni con gli altri, accompagnando il tutto da abbellimenti teologici e compimento delle profezie. Gli evangelisti fecero esattamente l’opposto!

Non sono pochi gli studiosi che per questo hanno sostenuto che proprio la presenza di contraddizioni (seppur superficiali e non impattanti sull’organicità del racconto) è un argomento a favore della genuinità e storicità dei fatti narrati.

Craig A. Evans, docente di Nuovo Testamento e direttore del programma di specializzazione presso l’Acadia Divinity College e N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews, hanno scritto, ad esempio: «Come ogni buon avvocato dovrebbe sapere, quando succedono spesso cose eccitanti e drammatiche, i testimoni oculari non si trovano d’accordo su di esse. Ciò non significa che non sia successo nulla: piuttosto è vero il contrario. A nostro avviso questo è quanto dovremmo concludere»285C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 89 di fronte alle varie discrepanze tra i racconti pasquali.

Anche Mauro Pesce, ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Bologna, ha osservato: «La mia opinione è che queste discordanze depongano piuttosto a favore della loro genuinità»286C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 58.


 

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11. QUANTO CONTA LA STORICITA’ PER LA FEDE CRISTIANA?

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Dopo aver presentato le dieci “prove” della resurrezione, sottolineiamo che anche tra i cristiani persiste il dubbio se la fede abbia necessità di basarsi su prove e argomenti razionali.

Riteniamo molto appropriata la risposta data da Ben Witherington III, docente di Nuovo Testamento all’Asbury Theological Seminary e membro di spicco della Society for the Study of the New Testament:

«Una persona che rinunci ai fondamenti storici della fede sta rinunciando alla possibilità di una reale continuità tra la propria fede e quella di Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni, Maria Maddalena o Priscilla. La prima comunità cristiana aveva un forte interesse per la realtà storica, in particolare la realtà storica di Gesù e della sua risurrezione. Era radicata in essa»287B. Witherington, New Testament History, Baker Academic 2001, p. 167.

Lo studio dell’autenticità delle fonti cristiane è davvero imprescindibile alla fede cristiana, in particolare per quanto riguarda i “racconti pasquali”, dove viene descritta la risurrezione di Gesù. E’ vero che i vangeli sono anche libri di fede, ma ciò non significa che la loro testimonianza non sia storica.

Anzi, la fede cristiana consiste principalmente nell’annuncio di un fatto singolare: l’incarnazione di Dio nell’umanità di Gesù, vale a dire una fede essenzialmente storica. Per questo lo studio della storicità dei Vangeli nasce proprio dall’esigenza della ragionevolezza della fede, per evitare di ridurla a credenza generica o sentimentalismo.

Come ha risposto Gerhard Lohfink, docente di Nuovo Testamento all’Università di Tubinga, «la fede ha sempre qualcosa a che fare con la ragione e con la cognizione ragionevole. Le prove della risurrezione di Gesù sono importanti affinché le mie convinzioni non diventino irrazionali».

 

11.1 Si può dimostrare storicamente la risurrezione di Gesù?

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Ma la risurrezione di Cristo può essere provata dagli storici? Nessun evento soprannaturale o trascendente per sua natura può essere oggetto diretto di ricerca storica (o scientifica), quello è il campo della filosofia e della teologia.

L’avvenimento della risurrezione, al contrario dell’esistenza di Gesù di Nazareth, non può essere comprovato con gli stessi strumenti, va oltre i mezzi comunemente utilizzati dagli storici. Per questo più che “prove” è opportuno parlare di “argomenti”.

L’eminente biblista J.P. Meier ha scritto in proposito: «Benché sia un avvenimento reale avvenuto a Gesù Cristo, l’evento della risurrezione non è avvenuto nel tempo e nello spazio e perciò non dovrebbe essere chiamato storico»288J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 1, Queriniana 2008, p. 186.

Eppure, poiché tale avvenimento sarebbe avvenuto ad un uomo, ha inevitabilmente anche lasciato delle tracce visibili ed accessibili dagli storici. Infatti, come ha scritto Mariano Herranz Marco, esponente di spicco della Scuola esegetica spagnola, «in un certo senso, lo storico può dimostrare l’evento della resurrezione di Gesù: la sua analisi delle testimonianze e degli avvenimenti può portare a concludere che senza il fatto reale della resurrezione molte cose rimarrebbero senza spiegazione»289M.H. Marco, Los evangelios y la critica historica, Ediciones Cristiandad 1978, p. 164.

Ovvero, l’ipotesi della resurrezione diventa storicamente plausibile tanto più riesce a giustificare adeguatamente quelle tracce storiche (accertate come storiche), molto più delle spiegazioni alternative.

 

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12. CONCLUSIONE E RIEPILOGO DELLE PROVE.

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Abbiamo presentato dieci argomenti, quelli che riteniamo più validi a favore della storicità della resurrezione. Inoltre, è stata offerta una replica dettagliata a tutte le principali obiezioni avanzate nella storia dagli studiosi scettici.

Come in un tribunale, è la forza cumulativa di tutte le prove, non di ogni singola prova, che è la base del risultato. Nessun singolo elemento di prova è sufficiente per raggiungere un verdetto, ma la forza complessiva di tutti gli argomenti può essere sufficiente a giustificare con sicurezza un giudizio ed al di là di ogni ragionevole dubbio.

Come ha sottolineato il filosofo William Lane Craig: «Queste prove in sé non sono inaccessibili allo storico, non sono miracolose, è la risurrezione di Gesù ad essere la più adeguata spiegazione di queste prove».

Il dibattito è focalizzato non sulla probabilità della resurrezione di per sé e senza alcun elemento di prova, ma solo in seguito ad una serie di fatti storici che implicano l’ipotesi della risurrezione come spiegazione migliore.

In questa chiave di lettura ci troviamo di fronte ad eventi che vantano una serie corposa di “prove” che non ha eguali per alcun altro evento storico avvenuto nell’antichità.

Le riassumiamo, raggruppandole:

– Le prime fonti storiche indipendenti degli eventi risalgono a 2-7 anni dopo i fatti narrati (1Cor 15,2-7, fonte pre-marciana e formula inclusa negli Atti degli Apostoli), escludendo una creazione tardiva: nessun altro fatto storico antico vanta un’attestazione migliore;

– Il ritrovamento del sepolcro vuoto vanta un’alta attendibilità storica determinata dagli studiosi contemporanei (e la non sostenibilità delle spiegazioni naturalistiche alternative);

– La convinzione dei discepoli di aver visto Gesù risorto è ritenuta storicamente reale: certamente videro qualcosa (le spiegazioni naturalistiche alternative non raggiungono la plausibilità);

– Lo studio del pensiero giudaico ha escluso ogni possibilità che la resurrezione di Cristo potesse essere inventata dagli ebrei, inspirata dalle Scritture o dalle divinità egizie o pagane;

– I racconti includono dettagli controproducenti (ruolo centrale delle donne), precisi riferimenti geografici-temporali e contraddizioni tra i vari evangelisti sui dettagli del racconto: nessun falsario avrebbe mai inventato qualcosa del genere;

– I racconti della resurrezione sono privi di abbellimenti teologici ed interpretazione bibliche, come invece avviene nella creazione di miti e leggende (vedi vangeli apocrifi);

– Non esiste al momento alcuna obiezione convincente o una spiegazione alternativa adeguata a spiegare la complessità degli eventi ritenuti storici, l’ipotesi della resurrezione è nettamente superiore rispetto alle ipotesi rivali;

– L’improvvisa conversione di Paolo di Tarso, noto persecutore dei cristiani e poi testimone oculare del Gesù risorto, è ritenuta certamente storica;

– La testimonianza di Paolo di Tarso sulla convinzione del Gesù risorto della prima comunità cristiana è ritenuta certamente storica, avendo intervistato per due volte i testimoni oculari degli eventi;

– Senza l’ipotesi della resurrezione restano inspiegabili improvvisi mutamenti avvenuti subito dopo la morte di Gesù: la repentina conversione dell’apostolo Giacomo, dall’incredulità alla leadership della chiesa primitiva; la sorprendente ed improvvisa trasformazione dei discepoli, da impauriti e rinnegatori di Gesù a promotori instancabili della risurrezione e delle apparizioni del Gesù risorto fino al martirio; l’autorità improvvisa dei discepoli nello sfidare le secolari usanze ebraiche, tra cui il giudizio divino del Sinedrio (fondato biblicamente), la legge biblica di Mosè sulla sacralità del sabato e l’aver posto al centro della loro fede la resurrezione (tema poco o per nulla considerato nel pensiero ebraico e comunque considerato in maniera totalmente diversa).

 

Di fronte a tutto questo, l’eminente studioso Gary Habermas ha inevitabilmente concluso che ciò «produce una linea di prove semplicemente sbalorditiva ed interconnessa quasi sconosciuta nei documenti antichi»290G. Habermas, Experiences of the Risen Jesus. The Foundational Historical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, Journal of Theology 2006, Vol. 45. p. 288-297.

«L’ipotesi che Gesù sia risorto corporalmente dai morti possiede un’ineguagliabile capacità di spiegare gli eventi che sono al cuore stesso del primo cristianesimo»291C.A. Evans, N.T. Wright, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p. 114, hanno scritto Craig A. Evans, docente di Nuovo Testamento e direttore del programma di specializzazione presso l’Acadia Divinity College e N.T. Wright, professore di Nuovo Testamento all’Università di St. Andrews.

A sua volta anche l’importante biblista statunitense Daniel B. Wallace, docente ordinario al Dallas Theological Seminary e fondatore del Center for the Study of New Testament Manuscripts, ha riconosciuto che «la risurrezione di Gesù di Nazareth è la sola spiegazione che adeguatamente spiega tutti i dati ed ogni spiegazione alternativa naturale è morta un migliaio di volte nel corso degli ultimi 200 anni. Non vedo alcuna spiegazione naturalistica alternativa»292D.B. Wallace, Fact Checking Dan Barker: From our Recent Debate on June 6, 2015, www.danielbwallace.com, 01/08/2015.

In aggiunta a questi “argomenti”, il teologo tedesco Wolfhart Pannenberg, docente all’Università di Monaco di Baviera, ha osservato: «La risurrezione di Gesù acquisisce un significato ulteriormente decisivo, non solo perché qualcuno è stato risuscitato dai morti, ma perché quel qualcuno fu Gesù di Nazareth, la cui esecuzione venne istigata dagli ebrei perché aveva bestemmiato contro Dio. La pretesa autoritaria di Gesù di essere Dio fu blasfema per le orecchie ebraiche»293W. Pannenberg, Jesus — God and Man, Priebe 1968, p. 67.

Ovvero, tutto quanto detto finora viene amplificato ulteriormente se si considera che il protagonista di questa resurrezione non fu un uomo qualunque, ma Gesù di Nazareth. Cioè l’unico uomo storicamente vissuto che pretese di essere figlio di Dio, le cui parole hanno sconvolto la storia ed i suoi insegnamenti (prima della resurrezione) rimangono misteriosamente attuali in ogni epoca per credenti e non.

 

Un’ultima riflessione. Se anche qualcuno avesse potuto immortalare in un video a prova di dubbio il momento della resurrezione di Gesù di Nazareth, questo non avrebbe cambiato la vita degli uomini che hanno creduto in Lui fino ad oggi. Non avrebbe persuaso, affascinato, attratto a sé e non avrebbe dissolto la tristezza nel mondo.

Per chi crede, infatti, è solo la Sua presenza permanente, misteriosa, nel corso della storia, che può entusiasmare e dare un senso ultimo alla vita degli uomini.

Ciò si evince dalla vita dello studioso ebreo Pinchas Lapide che, alla fine dei suoi studi, giunse alla conclusione che l’evidenza storica suggerisce fortemente la resurrezione di Gesù di Nazareth294P. Lapide, The Resurrection of Jesus. A Jewish Perspective, Augsburg 1983, p. 130. Tuttavia, questo non cambiò la sua visione del mondo, rimase scettico sull’incarnazione e sul fatto che Gesù fosse il Messia. Sebbene la conversione non avvenne, permise comunque alle prove storiche di alterare in qualche modo il suo orizzonte e di abbandonare la corrente ebraica sadducea (mentre i farisei credevano ad una resurrezione finale nel giorno del Giudizio). Scrisse infatti:

«Per quanto riguarda la futura risurrezione dei morti, io sono e rimango un fariseo. Per quanto riguarda la risurrezione di Gesù la domenica di Pasqua, sono stato per decenni un sadduceo. Ora, non lo sono più»295P. Lapide, The Resurrection of Jesus. A Jewish Perspective, Augsburg 1983, p. 125.

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