Caso Emanuela Orlandi, le cinque verifiche che chiarirebbero il mistero

Del caso di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno 1983, abbiamo iniziato ad occuparci diversi anni fa, consapevoli che pochi tra i nostri lettori erano e sono interessati alla vicenda. Eppure il dossier sul caso, che recentemente abbiamo pubblicato, si è rivelato un imprevisto successo in termini di visitatori.

In esso abbiamo analizzato tutte le principali ipotesi di spiegazione dei fatti emerse in questi anni, riconoscendo nella ricostruzione effettuata dal cosiddetto supertestimone Marco Fassoni Accetti la pista certamente più promettente. L’uomo si è presentato in Procura nel 2013 autoaccusandosi di essere stato uno dei responsabili e dei principali telefonisti (il cosiddetto Amerikano) della sparizione di Emanuela e di Mirella Gregori, un’altra ragazza scomparsa un mese prima.

Nonostante la presenza di diversi elementi determinanti nel ritenerlo una persona realmente informata e/o partecipe ai fatti, la Procura ha preferito archiviare il caso nel 2015 e indagare l’uomo per calunnia e autocalunnia. Nella lunga intervista che gli abbiamo fatto, Fassoni Accetti ha accusato i giudici di non aver voluto indagare davvero sulla sua persona, perché «c’era la volontà di chiudere le vicenda in un certo modo […]. C’è stata una serie di negligenze che io penso, in un certo senso, sempre manovrate dal Sisde», cioè i servizi segreti italiani.

Verso Fassoni Accetti c’è un certo scetticismo anche a livello mediatico, certamente ha contribuito l’incomprensibile campagna denigratoria nei suoi confronti da parte della trasmissione Chi l’ha visto?, dove è stato dipinto come pedofilo per numerose puntate. Un ruolo lo ha avuto anche il giornalista Pino Nicotri, strenuamente affezionato alla sua tesi (Emanuela uccisa a scopo di libidine o vendetta verso la famiglia, morte poi strumentalizzata da estranei: un’ipotesi carente e superficiale, come abbiamo mostrato nel nostro dossier) e non sempre molto tollerante verso chi la pensa diversamente. E’ arrivato, ad esempio, ad accusare un nostro collaboratore di avergli attribuito parole che, in realtà, si trovano e si trovavano palesemente scritte proprio nei suoi articoli e libri (si veda qui la questione della “perdizione” e quella di “Marinis”), oltre a diffondere informazioni imprecise (come l’utilizzo assiduo e prolungato di Accetti dei computer della biblioteca Villa Leopardi, smentito dall’impiegato della biblioteca) e attribuire virgolettati a persone che non hanno mai fatto quelle affermazioni (ci riferiamo ai virgolettati attribuiti da Nicotri al magistrato Severino Santiapichi, il quale ci ha telefonicamente smentito di aver pronunciato le frasi che gli sono state attribuite).

L’archiviazione del caso Orlandi, non firmata dal magistrato Giancarlo Capaldo -titolare delle indagini prima di essere estromesso dal procuratore Giuseppe Pignatone– si limita a ipotizzare che Fassoni Accetti abbia ricostruito i fatti senza esserne stato partecipe ma non indica dove abbia potuto apprendere gli elementi che ha fornito, di cui molti inediti, così come non ci sembra ragionevole liquidare velocemente tutte le coincidenze biografiche che effettivamente legano l’uomo alle vicende di cui ha detto di aver fatto parte (una persona a lui intimamente vicina che si recava a Boston proprio nel periodo in cui da lì partivano lettere dei presunti rapitori della Orlandi, la sua abitazione vicino a Mirella Gregori e Alessia Rosati, la sorprendente compatibilità di voce con quella dell’Amerikano, un’intercettazione del 1997 ecc.).

 

Basterebbe poco per arrivare ad avere idee, non definitive ma almeno più chiare sul ruolo avuto -se lo ha avuto- da Marco Fassoni Accetti. Le azioni da fare sono queste:

1) Fornetto di Kathy Skerl. Nel complesso scenario di cui ha parlato, Fassoni Accetti ha inserito anche il misterioso caso di Kathy Skerl, ragazza trovata morta il 21/01/84 a Grottaferrata. L’uomo ritiene essere stata uccisa da persone della “fazione vaticana” contrapposta alla sua e ha dichiarato che nel 2005 alcuni suoi sodali, avendo appreso la sua intenzione a presentarsi in Procura, avrebbero temuto l’emergere dei nomi dei responsabili dell’omicidio della Skerl, per questo -sempre secondo Fassoni Accetti-, simulando di essere operai del cimitero Verano, avrebbero smurato il fornetto della Skerl prelevando la bara come se si trattasse di una traslazione, lasciando all’interno della tomba a mo’ di codice la maniglia a forma di angelo svitata dalla cassa. Lo scopo sarebbe stato sopratutto «sottrarre uno degli elementi che poteva legare il caso della ragazza a quello delle Orlandi- Gregori», ovvero la camicia bianca, con l’etichetta “Frattina 1982”, con cui venne vestita la salma della Skerl, sigla che effettivamente comparve nel comunicato del 22/11/84 del “Fronte Turkesh”. Un particolare tuttavia non torna: se queste persone erano interessate a togliere di mezzo il collegamento tra la Skerl e la Orlandi, ovvero la camicetta con cui è stata vestita la salma della prima, perché non l’hanno direttamente distrutta ma nascosta in una scenografia a Cinecittà, come ci ha riferito Fassoni Accetti e come ha rivelato anche ai magistrati, indicando il luogo esatto dove andarla a recuperare? C’è qualcosa che non va.

Fassoni Accetti ha aggiunto che, saputo dell’omicidio della Skerl, nel 1984, si sarebbe recato al «liceo della Skerl, dove conobbi Ligeia Studer, una compagna di scuola. Tra noi nacque anche una storia d’amore, durata tre mesi. Volevamo far credere al gruppo contrapposto che Ligeia ci aveva rivelato notizie interessanti e sapevamo cosa fosse accaduto»(Il Ganglio, Fandango Libri 2014). Inoltre, tornando al fornetto di Kathy, ha affermato: c’è «un altro personaggio losco, molto losco, che tiene una pagina sulla Skerl, che fa di tutto per rendermi non credibile e che si è affrettato a dire “no, no, c’è stato un restauro”. Non è vero assolutamente, quando morì Wojtyla e quando mi dissero che era stata trafugata andai subito ed era così com’è. Va periziato il materiale con cui è stata chiusa e si vedrà che è di dieci anni fa». Abbiamo contattato l’uomo a cui si riferisce ma, rifiutando di accoglierci nel gruppo Facebook che gestisce, ci ha risposto a nome di tutti i membri del gruppo (tra cui diverse compagne di scuola di Kathy): «Per noi non esiste al momento nessuna connessione tra il caso Orlandi e quello della Skerl, anche se non è da escludere. Ma le affermazioni del testimone [Fassoni Accetti, NDA] sono non credibili e la magistratura ha chiarito bene la situazione di questo personaggio. Quindi la prima cosa che facciamo nel gruppo, in mancanza di riscontri e di elementi credibili, è non discutere nemmeno le cose che dice Accetti. Nessuno dei compagni di Kathy conosce o si ricorda di questa Ligeia e il loculo stesso non è mai stato profanato e non è mai stata portata via nessuna bara, tanto meno sarebbe stato possibile. Per noi quello che racconta Accetti non è credibile e quindi non è di nessun interesse parlarne, allontanerebbe solamente dalla strada, come ha fatto con Emanuela. Non siamo interessati, e non solo io, a parlare delle teorie di Accetti. Per quanto riguarda la sepoltura, non ci sembra assolutamente il caso entrare in questo argomento nel rispetto del riposo dovuto a Kathy».

Siamo sinceramente rimasti un po’ sorpresi da questa chiusura preventiva anche soltanto al parlare della vicenda, in fondo anche quello della Skerl è un caso mai risolto e oggi, per la prima volta dopo oltre trent’anni, qualcuno ne parla e racconta fatti inediti, comunque da verificare. Non sappiamo se tale persona sia in contatto con la famiglia Skerl e a che titolo gestisca la pagina della ragazza defunta. Curioso è stato apprendere che tale persona ha un curriculum biografico speculare a quello di Fassoni Accetti, con il quale è anche quasi coetaneo: anche lui appassionato di teatro e fotografia artistica (passione che lo ha portato «lungo i cimiteri di tutta l’Europa»), regista teatrale, sceneggiatore eclettico, si definisce «comunista per scelta ideologica», cresciuto a Reggio Calabria, nel 1983 si trova a Roma per una collaborazione annuale con il teatro Abraxa. «Non lo conosco», ci ha detto Fassoni Accetti e rispetto al fornetto e ai presunti lavori realizzati nel 2005, «non dice la verità».

Giovanni Luigi Guazzotti, l’avvocato di Marco Fassoni Accetti, ha comunque presentato un esposto-denuncia al capo della Procura di Roma sul loculo della Skerl, basterebbe semplicemente verificare se la cassa c’è oppure no, un’operazione semplice tramite gli strumenti tecnologici odierni, non servirebbe nemmeno rompere la lapide. Certo, è difficile credere che dei finti operai del cimitero si siano introdotti al Verano per smurare il fornetto e prelevare la cassa della ragazza con la scusa di una traslazione, producendo quindi finti documenti (certamente occorreva l’approvazione della famiglia Skerl) e superando i relativi controlli con l’alto rischio di essere scoperti, oltretutto senza che la famiglia Skerl venisse informata o avvertita dai responsabili del cimitero. Eppure, perché Fassoni Accetti -che pazzo non sembra essere- se sapesse di dire il falso dovrebbe spingersi a presentare addirittura un esposto in Procura rischiando che, in caso di accertamento, verrebbe immediatamente condannato per calunnia e passerebbe alla storia come il più grande “sciacallo del caso Orlandi”? Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ci ha riferito: «Riguardo alla bara, la richiesta la dovrebbero fare i parenti, ho provato a contattarli ma sembra che non siano interessati alla cosa». Perché non sono interessati? In caso di assenza della cassa saremmo di fronte ad un uomo che sapeva e che conosce chi l’ha sottratta, così come è a conoscenza dei responsabili dell’omicidio della giovane Skerl. La famiglia avrebbe tutto l’interesse, quindi, ad appurare le dichiarazioni dell’uomo. In alternativa, la famiglia potrebbe presentare i documenti dei lavori che la persona che gestisce la pagina Facebook di loro figlia sostiene siano stati fatti per giustificare i segni effettivamente presenti sulla lapide.

 

2) Claudia, l’amica di Alessia Rosati. Una seconda verifica che si potrebbe fare è verso Claudia, amica del cuore di Alessia Rosati, un’altra ragazza sparita nel nulla il 23 luglio 1994. Marco Fassoni Accetti, che abitava a pochi passi dalla Rosati, sostiene di averla indotta lui ad allontanarsi da casa, come per la Orlandi e per Mirella Gregori, per operare ricatti e minacce verso elementi del Sisde, coinvolto un anno prima nello scandalo dei fondi neri. Ma, anche in questo caso, Alessia poi scomparve davvero. Come per la Gregori, c’è un’amica che sembra nascondere dei segreti, sono gli stessi genitori della Rosati ad esserne convinti, sostenendo che tale Claudia abbia mentito per coprire qualcosa. Fassoni Accetti ha riferito che l’amica «fu presente nel momento in cui la Rosati non fece ritorno presso la sua famiglia». L’uomo ha invitato a verificare la testimonianza di Claudia, ha anche telefonato a casa Rosati lasciando un messaggio in segreteria telefonica ma i genitori di Alessia non lo hanno mai richiamato e si sono recati alla trasmissione televisiva di Chi l’ha visto?. Ha anche sostenuto che nell’agenda telefonica della Rosati sarebbe appuntato il suo numero telefonico. Si potrebbe verificare in questa direzione.

 

3) Perizie grafiche.  Marco Fassoni Accetti ha indicato alcune donne che dice essere state sue sodali. In particolare, ha sostenuto che una di esse, P.D.B., avrebbe scritto i comunicati che partirono da Boston nei mesi successivi alla sparizione di Emanuela Orlandi. La stessa donna, in un lungo colloquio avuto con noi, ha invitato a confrontare la calligrafia di tali comunicati con le lettere che lei inviò a Fassoni Accetti nel periodo durante il quale l’uomo si trovava agli arresti (1984-1985) in seguito all’investimento del piccolo José Garramon, avvenuto il 21 dicembre 1983. La calligrafia dei comunicati è ben individuabile e presenta caratteristiche particolari, basterebbe quindi fare una perizia grafica di confronto. Abbiamo chiesto a Fassoni Accetti di queste lettere ma ci ha risposto che gli risulta «difficile rintracciarle».

 

4) Testimonianze. Ci sono persone che Fassoni Accetti ha citato in quanto avrebbero avuto contatti con lui o potrebbero avvalorare o smentire alcuni particolari del complesso scenario che ha rivelato. Una di esse è  la già citata Ligeia Studer, compagna di liceo di Kathy Skerl la quale avrebbe avuto una relazione sentimentale con l’uomo qualche anno dopo l’omicidio di Kathy. La donna oggi vive con la sua famiglia in Africa, più volte abbiamo cercato di contattarla senza mai ricevere risposta. Fassoni Accetti ha aggiunto che la Studer «fu scelta per ulteriori somiglianze quali l’altezza, il colore dei capelli, simili alle “altre Catherine”. Inoltre frequentava una scuola di danza come la Catherina Gillespie». Se è vero sarebbe un’ennesima serie di coincidenze, se è falso perché la Studer non ha querelato Fassoni Accetti? Certamente è a conoscenza di quanto scritto su di lei perché ci siamo premurati di informarla. Un’altra donna che Fassoni Accetti ha citato tra le “complici” è la cecoslovacca Iva Skibovà«La agganciai in piazza San Pietro. Era bionda, aveva 18 anni, ma ne dimostrava molti meno. Pochi mesi dopo la morte di Oddi, la portai con me in Egitto, nel gennaio 2002, per fare alcune operazioni. Diciamo dei riscontri, delle conferme presso alcune persone residenti al Cairo, vicine al cardinale defunto, che lì era stato nunzio per anni» (Il Ganglio, Fandango Libri 2014). Abbiamo contattato e avvertito anche lei, senza ricevere risposta.

Una terza persona che potrebbe aiutare a chiarire un particolare è Arianna Santiapichi, figlia del giudice Severino, presidente della Corte d’Assise per l’attentato a Papa Wojtyla. Fassoni Accetti ne ha parlato a proposito della presenza di Emanuela Orlandi nell’83 in un camper nei pressi dell’abitazione del giudice Santiapichi, nella pineta tra Ostia e Castel Porziano (dove poi investì il Garramon nel dicembre ’83). «Il camper», ha affermato, «per noi era un elemento strategico, ci consentiva di agire senza destare sospetti. Alla Orlandi, senza spiegare il motivo, facemmo delle foto nelle quali si rendeva riconoscibile il luogo. Più che Santiapichi, ci interessavano i familiari, in particolare la figlia Arianna, con la quale io stesso scambiai qualche parola, senza farle intendere nulla» (Il Ganglio, Fandango Libri 2014). A questo proposito abbiamo contattato il fratello di Arianna, l’avvocato Xavier Santiapichi il quale, oltre ad essere fortemente scettico verso le dichiarazioni di Fassoni Accetti (dice però di essere informato soltanto da ciò che riportano i giornali), ci ha riferito: «mia sorella non si è mai interessata di queste cose, fra l’altro aveva un fidanzatino in Sicilia e stava sempre in Sicilia con il suo fidanzatino». Elemento confermato anche dal padre, Severino Santiapichi, in una telefonata avuta con noi il 27/02/16. Bisognerebbe tuttavia chiedere conferma diretta ad Arianna Santiapichi, appurando se si tratti proprio di quel periodo (agosto-dicembre 1983).

 

5) Filmato. Un quinto elemento che sarebbe utile chiarire è se venne ripresa dalle telecamere la persona che nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2012 ha lasciato una busta con all’interno un teschio sul colonnato di San Pietro. E’ lo stesso autore, hanno concluso i magistrati, di colui che ha spedito le due lettere nel marzo 2013 a Raffaella Monzi, ultima persona ad aver visto Emanuela Orlandi, e Antonietta Gregori, sorella di Mirella. Le lettere sono arrivate due giorni prima della comparsa di Marco Fassoni Accetti in Procura, in esse si leggono delle minacce: “non cantino le due belle more” per non finire uccise come Katy Skerl, oltre a diversi altri elementi (come la foto di un teschio fotografato in via Giulia con scritto Eleonora De Bernardi, stesso nome della ex moglie di Fassoni Accetti -colei che è stata accusata da quest’ultimo di aver spedito i comunicati da Boston-, la quale, ci ha riferito l’uomo, ha abitato proprio in via Giulia).

E’ stato lo stesso Fassoni Accetti ad aver fatto ritrovare il teschio e ad aver inviato le lettere, per prepararsi la scena? L’uso dei codici sembra proprio il suo modus operandi. Lui ha negato, sospettando che l’autore potrebbe essere la persona che lo avrebbe minacciato nel 1998, riconducibile agli ambienti di monsignor Bruno della diocesi di New York. Ha sostenuto che la sua imitazione di Roberto Benigni nel marzo 1999 a Domenica In, a cui seguì un viaggio negli USA in cui finse di essere il noto comico attirando la stampa americana (unico momento di apparizione pubblica di Fassoni Accetti in questi ultimi trent’anni),  fu una sorta risposta alle minacce subite. Si tratterebbe di un ecclesiastico in servizio negli Stati Uniti che «pretendeva la restituzione di materiale fotografico su azioni precedenti, seppellito nel 1982-83 nei pressi di Santa Maria di Galeria, un sito archeologico medievale. Ricordo che c’erano degli anfratti, delle cavernette, dove nascondemmo alcune scatole metalliche con documenti, atti, carte compromettenti su qualche prelato. Ma niente di speciale. Basta, c’è il riserbo istruttorio» (Il Ganglio, Fandango Libri 2014). Parla al plurale perché in quell’occasione sarebbe stato accompagnato da Musa Serdar Celebi, una delle persone indicate (poi assolte) dal terrorista turco Alì Agca come suoi complici nell’attentato al Papa. Fassoni Accetti ha invitato a interrogare Celebi per avere riscontri su quanto dichiarato.

Ci risulta davvero inverosimile che Fassoni Accetti possa essere l’autore delle due lettere e del teschio in piazza San Pietro: un mitomane ossessionato dal caso Orlandi fin dal 1983 (come testimoniato dai familiari), aspetterebbe 30 anni nell’anonimato costruendo un’intricata storia per poi apparire nel 2013, cadendo nella colossale ingenuità di anticiparsi proprio due giorni prima da due lettere in cui cita proprio i codici e i collegamenti che farà nel suo racconto in Procura. Uno che passa una vita a studiare ed inventare una storia simile non commette un errore tanto ingenuo proprio nel momento decisivo, cioè quello della sua comparsa. Se non è stato lui, esiste quindi qualcuno che conosce i fatti e teme il suo racconto, intimando ai testimoni di non parlare? Il teschio sul colonnato di San Pietro è una minaccia verso lo stesso Fassoni Accetti, depositato proprio nell’anniversario dell’incidente in cui fu coinvolto, dove perse la vita José Garramon. Fassoni Accetti ha sempre dichiarato di essersi deciso a presentare in Procura soltanto nel marzo 2013, dopo l’elezione pontificia del non curiale Papa Francesco. Il presunto minacciatore, quindi, come faceva a sapere nel dicembre 2012 -quando depositò il teschio sul colonnato di San Pietro- che Accetti si sarebbe presentato nel marzo 2013? Nessuno poteva certo sospettare che Benedetto XVI avrebbe rinunciato al ministero petrino nel febbraio 2013. E’ stata una coincidenza? Accetti voleva già presentarsi, anche prima del cambio di pontefice, e il minacciatore ne è venuto a conoscenza? Oppure, ipotesi inquietante (ma assurda), l’autore del gesto sapeva che Accetti era pronto a presentarsi già nel 2005 se non fosse stato eletto un pontefice curiale, è poi venuto a conoscenza delle intenzioni di Benedetto XVI di “dimettersi” di lì a poco (segreto pontificio rivelato soltanto a tre persone) e ha minacciato Accetti preventivamente, temendo l’elezione di un pontefice non curiale nel conseguente conclave? Oppure è proprio Fassoni Accetti lo sprovvedutissimo autore delle lettere e del teschio? Per chiarirlo sarebbe opportuno che i magistrati riferissero se esiste o meno il filmato in cui questo minacciatore lascia il teschio sul colonnato di San Pietro, luogo altamente monitorato dalle telecamere.

 

Siamo consapevoli che chi non conosce il caso non avrà capito molto di quanto scritto finora, tuttavia riteniamo che queste siano le necessarie verifiche che bisognerebbe fare per chiarire definitivamente le idee sul ruolo avuto da Marco Fassoni Accetti e, di conseguenza, per far luce sul caso di Emanuela Orlandi.

La redazione

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5 commenti a Caso Emanuela Orlandi, le cinque verifiche che chiarirebbero il mistero

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  1. Lalia76 ha detto

    Complimenti per il lavoro che svolgete per questa ragazza, su internet non ho trovato niente di meglio dal dossier che avete fatto e dagli articoli che pubblicate (ps non sono nemmeno cattolica)

  2. Raffaele Vargetto ha detto

    Su questa vicenda di Emanuela Orlandi, da trentatré anni si sono alzati polveroni da parte di forze interessate a nascondere la verità sull’attentato a Giovanni Paolo II. Ho provato a leggere i contenuti di questi dossier, ma provo stanchezza a seguire i dati ivi contenuti. Voglio solo manifestare una mia convinzione. L’attentato al Papa è stato voluto dal comunismo sovietico per eliminare un ostacolo formidabile al suo dominio dell’est europeo, in particolare della Polonia; alla sua forza ideologica ai fini del proselitismo in tutto il mondo. Ma l’interesse ad eliminare il Papa non ce l’aveva solo il comunismo, allora trionfante pure in Italia. Lo stesso occidente pervaso dall’ideologia massonica non vedeva di buon occhio il Papa venuto dall’est, che veniva a scombinare certi giochi di potere, anche dentro la Chiesa, reduce dal tempestoso periodo postconciliare. Io sono convinto che anche uomini dell’alta gerarchia ecclesiastica di quel tempo mal digerissero un Papa come Wojtyla, un Papa così mariano, così aperto verso Dio, che lo ha mandato per risollevare le sorti della Sua Chiesa, sconfiggere il comunismo e conservare la pace. Un Papa veramente mandato da Dio, e per questo, avversato da satana e dalle forze mondane a lui soggette.

    • Fabio ha detto in risposta a Raffaele Vargetto

      Sei sicuro che sia stato il comunismo sovietico?

      • Raffaele Vargetto ha detto in risposta a Fabio

        Il comunismo aveva interesse ad eliminarlo. Se si vuole escludere questo, allora non si capisce tutto quel che è accaduto in Europa e nel mondo dall’ultimo dopoguerra in poi. Ma non solo l’Unione Sovietica, anche forze massoniche che volevano stabilizzare la situazione venutasi a creare dopo l’ultimo conflitto mondiale, consideravano il Papa un potenziale pericolo per certi equilibri di potere; visione che era fatta propria, purtroppo, da influenti uomini di Chiesa, magari collaboratori del Successore di Pietro. Non dimentichiamo – anche se mi rendo conto che certe verità sono scomode – che gli eroici vescovi e cardinali dei paesi che gemevano sotto il giogo sovietico, vessati e perseguitati negli anni cinquanta e sessanta, come Mindzenty in Ungheria, Wizhinsky in Polonia e altri, costituivano un ostacolo per la politica di apertura verso l’est iniziata dalla diplomazia vaticana negli anni sessanta. Mindzenty era contrario a questa politica che, di fatto, favoriva quei regimi a tutto detrimento dei cristiani perseguitati. Ci voleva un uomo come Giovanni Paolo II, con l’aiuto di Dio, per ribaltare una tale prospettiva fallimentare e mettere in crisi quei regimi e, con essi, l’equilibrio di potere consolidatosi anche per l’apporto di potentati massonici. Per questo si è tentato di far fuori il Papa polacco. Ma la Madonna ha vinto e ha mandato a monte l’empio tentativo. Ora le stesse forze, a distanza di anni, stanno alzando nebbie e polveroni per disorientare l’opinione pubblica.

  3. Boomers ha detto

    Bellissima relazione, completa e ben documentata, non se ne trovano di questo livello su internet! I miei sinceri complimenti!

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