Il falso mito di Ipazia: la morte ed il vescovo Cirillo

Ipazia martire della libertà di pensiero? La verità sulla morte e l’assassinio della filosofa Ipazia di Alessandria. Davvero fu uccisa dal vescovo Cirillo e dai cristiani? Era una scienziata pericolosa per il cristianesimo? Una femminista? Ecco cosa emerge analizzando le fonti storiche e gli studi di storici accreditati..

 
 

La morte di Ipazia d’Alessandria, filosofa e matematica vissuta nel V secolo d.C., ha iniziato ad essere usata come argomento anti-cristiano a partire dal XVIII secolo quando John Toland, filosofo razionalista irlandese, pubblicò il libro intitolato Ipazia. Dopo ben 13 secoli dal drammatico fatto, dunque, durante i quali fu scarsissimo l’interesse verso la filosofa.

Ipazia venne dipinta come libera pensatrice deista, campionessa del razionalismo illuminista, uccisa da stupidi cristiani. La strumentalizzazione ideologica della sua persona entusiasmò tutti gli avversari del cattolicesimo, come Diderot, Voltaire, Gibbon, Charles Kingsley, Bertrand Russell e Carl Sagan.

Proprio quest’ultimo, in una serie televisiva trasmessa nel 1980, sostenne addirittura che Ipazia fu l’ultima studiosa a lavorare nella Grande Biblioteca di Alessandria, suggerendo che i suoi assassini avrebbero subito dopo preso d’assalto anche tale edificio. Inutile ricordare che quando nacque Ipazia, la Biblioteca di Alessandria a cui Sagan si riferisce non esisteva da oltre un secolo.

Oggi l’uccisione di Ipazia è un immancabile granello del rosario anticlericale, sgranato assieme alle crociate, l’inquisizione, Giordano Bruno, Galileo ed il nazismo di Pio XII.

In questo dossier (in continuo aggiornamento) analizziamo le fonti ed il loro racconto della tragica morte a cui la filosofa greca andò incontro, citando il contributo di diversi storici per chiarire cosa realmente accadde.
Al di là della leggenda.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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1. CHI ERA IPAZIA?

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Ipazia di Alessandria nacque fra il 355 e il 370 d.C. ad Alessandria d’Egitto. Le notizie che abbiamo su di lei sono alquanto scarse.

Poche notizie arrivano dall’unica fonte contemporanea, la Historia ecclesiastica, di Socrate Scolastico, avvocato presso la corte di Costantinopoli e contemporaneo di Ipazia.

Una seconda fonte, molto più tardiva, è la Vita di Isidoro (conservata in parte attraverso una citazione in Souda, un’enciclopedia bizantina scritta nel X secolo d.C.) scritta da Damascio, filosofo neoplatonico vissuto un secolo più tardi (tra il 458 e il 538 d.C.

Lo storico Moreno Morani, direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Medioevo all’Università degli Sudi di Genova, ha spiegato infatti: «Le notizie su Ipazia sono scarsissime. Abbiamo un’unica fonte storica contemporanea, Socrate Scolastico [teologo cristiano], e pochi altri riferimenti giungono da autori contemporanei o di poco posteriori».

Proprio a causa della scarsità delle fonti Edward Gibbon nel suo celebre (quanto storicamente screditato) Declino e caduta dell’Impero romano (1776) poté inventare l’agiografia di Ipazia “martire della scienza”.

Il mito di Ipazia, infatti, vuole che la celebre astronoma e matematica razionalista, l’ultimo filosofo secolare dell’antichità, fu brutalmente assassinata dai cristiani fanatici che, con tale morte violenta segnarono la fine dell’illuminato e tollerante mondo classico e avviarono la storia nella discesa verso la superstizione e l’ignoranza medievale.

Più che per la sua vita, Ipazia è nota, purtroppo, per la sua tragica morte. Da allora questa storia sarà ripetuta con poco o nessun sforzo per verificare quanto di ciò sia vero.

 

1.1 Ipazia e la scienza: una mediocre matematica.

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Ipazia venne avviata dal padre, Teone di Alessandria (ca. 335-405 ca.), allo studio della matematica, della geometria e dell’astronomia. Proveniva infatti da una ricca famiglia che faceva parte dell’élite civica di Alessandria. Accanto a queste discipline affiancò l’interesse per la filosofia ed ebbe un ruolo attivo nella vita civile e nella politica di Alessandria.

Le sue opere sono andate tutte perdute: si dice che, pur non avendo elaborato un vero e proprio sistema filosofico, si interessò al neoplatonismo, studiando Platone e Plotino. Alcuni blogger moderni le attribuiscono invenzioni scientifiche come l’astrolabio, il densimetro in ottone graduato e l’idroscopio. Sono assurdità palesi (gli astrolabi e l’idroscopio precedono Ipazia di centinaia di anni!).

Ipazia era certamente una studiosa ma non inventò nulla e non scrisse nessuna opera originale, come tutti gli intellettuali suoi contemporanei si limitò a commenti sugli scritti di pensatori precedenti. A questo proposito occorre anche rivalutare la sua reputazione in matematica: il suo commentario sull’Arithmetica di Diofanto di Alessandria, infatti, fu così banale che lo storico della matematica dell’Università di Stanford, Wilbur Knorr, lo definisce «di così basso livello da non richiedere alcuna vera comprensione matematica»1W. Knorr, Textual Studies in Ancient and Medieval Geometry, Birkhauser 1990.

Ancora più campato per aria è il mito lanciato nel film Agora (2009), secondo cui Ipazia respinse il geocentrismo, scoprì le prove del modello eliocentrico (circa 1.128 anni prima di Copernico!) e le orbite ellittiche dei pianeti. La devozione greca verso la nobiltà del cerchio era così forte che perfino i contemporanei di Keplero non poterono accettare l’immagine “poco elegante” presentata dal suo modello: l’idea che Ipazia, figlia di un uomo che dedicò la vita allo studio del cosmo geocentrico di Tolomeo, avesse potuto pensare all’eliocentrismo è del tutto insostenibile.

L’esagerata enfatizzazione della visione scientifica di Ipazia ha un unico scopo: accreditare ancor di più il mito storico della “razionalista assassinata dall’ignoranza religiosa”.

 

1.2 Ipazia e la filosofia: una buona insegnante.

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Anche in questo caso la leggenda anticristiana enfatizza enormemente le capacità filosofiche di Ipazia. Spesso viene ripetuto che era “a capo della scuola neoplatonica di Alessandria”, creando l’immagine di un’istituzione moderna e prestigiosa con Ipazia nel ruolo di rettore.

Non si trattò di nulla del genere: la scuola di allora era semplicemente la casa dell’insegnante, frequentata su invito da un gruppo molto affiatato di studenti. Alessandria aveva numerosi filosofi neoplatonici che istruivano i loro discepoli in casa (o anche in spazi aperti).

E’ possibile che Ipazia ereditò gli studenti dal padre e Socrate Scolastico scrive che «molti [studenti] arrivavano ​​da lontano per ricevere i suoi insegnamenti» ( Historia ecclesiastica, VII 15), suggerendo che era nota oltre la città di Alessandria. Certamente fu un’ottima insegnante, nulla più.

 

1.3 Ipazia razionalista atea? Credeva nella divinazione

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Il regista Alejandro Amenábar, nel film Agora (2009), si sforza di presentare Ipazia come una libera pensatrice, probabilmente atea. Di fronte all’accusa di essere senza alcuna religione, Rachel Weisz, l’attrice che la interpreta, risponde: «Credo nella filosofia». Più avanti nel film, il vescovo Cirillo la descriverà come «una donna che ha dichiarato, in pubblico, il suo ateismo».

Ovviamente è un’invenzione totale degli sceneggiatori cinematrografici. Non è esattamente chiaro quali fossero le convinzioni di Ipazia se non che abbracciò la tradizionale e più conservatrice visione neoplatonica di Plotino (respingendo quella di Giamblico), il quale sviluppò la teoria di Platone sulle forme eterne teorizzando un complesso sistema metafisico/mistico formato da tre principi cosmici eterni: l’Uno, l’Intelletto e l’Anima.

I pensatori cristiani trovarono i principi cosmici neoplatonici molto compatibili con la loro visione trinitaria (e sul contrasto tra mondo materiale e spirituale) ed è noto che Sant’Agostino si rifece ampiamente a Plotino, soprattutto sul tema della libertà. Ma è anche vero il contrario: il filosofo greco Ammonio Sacca (175-242 d.C. circa), maestro di Plotino, era cristiano ed è considerato il fondatore del neoplatonismo. I padri della Chiesa orientale come Origene di Alessandria, Gregorio di Nissa e Gregorio Nazianzeno, che vissero tutti prima del tempo di Ipazia, sposarono idee molto vicine al neoplatonismo.

Questo è il motivo per cui troviamo diversi cristiani tra gli studenti di Ipazia, ed almeno uno di essi fu un futuro vescovo (Sinesio di Cirene), anche se non c’è alcuna fonte che sostenga che lei stessa fosse cristiana.

Certamente è da escludere l’idea che fosse una specie di razionalista in stile moderno o addirittura atea. I neoplatonisti consideravano la matematica sacra e la ritenevano una chiave per svelare i segreti del Divino. Suo padre Teone, oltre che matematico, era un poeta e scrisse sulla divinazione e sui presagi leggibili dal comportamento degli uccelli, tra cui un’opera (perduta) intitolata Sui segni e l’esame degli uccelli e il gracidio dei corvi.

Sappiamo anche che Ipazia discusse degli Oracoli caldei, collegati alla sapienza egizia, con Sinesio di Cirene ed è noto che ha commentato il testo Almagesto di Tolomeo, dove si affronta sostanzialmente il tema dell’astrologia.

Come i neoplatonisti di allora, anche Ipazia probabilmente credeva in un gran numero di divinità ed esseri angelici. La corrente filosofica di Ipazia sosteneva l’idea di una divinità onnipotente, monistica ed incorporea. La filosofa di Alessandria aveva pochissimo in comune con i razionalisti moderni che spesso la strumentalizzano, qualunque anti-teista odierno troverebbe alquanto bizzarri i suoi insegnamenti.

 

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2. FU UNA FILOSOFA PERICOLOSA PER I CRISTIANI?

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Il mito di Ipazia sostiene che fosse una filosofa “pericolosa” per i cristiani a causa delle sue idee. Per questo, si afferma, il vescovo Cirillo sarebbe intervenuto per toglierla di mezzo. Altri sottolineano anche il ruolo decisivo che avrebbe avuto la presunta gelosia maschilista verso una donna di cultura.

Il classicista Luciano Canfora, ad esempio, scrive: «Il tema è certo imbarazzante. I cattolici sono di fronte a una scienziata alessandrina trucidata dai monaci cristiani perché non incline a conversioni di comodo ed un vescovo molto potente e ormai soverchiante rispetto al potere statale che si fa mandante morale della uccisione, plateale e sadicamente feroce, di una donna, che è anche una notevole scienziata, colpevole di non voler essere cristiana ma assertrice della filosofia e della scienza greca»2L. Canfora, Cirillo e Ipazia nella storiografia cattolica, OpenEdition Journals 2010.

Eppure nessuna fonte storica individua in questo il movente dell’uccisione di Ipazia, è una invenzione deliberata di Canfora. Anzi, è facilmente dimostrabile il contrario.

Ipazia si ispirava alla dottrina neoplatonica che influenzò notevolmente proprio lo sviluppo della filosofia cristiana. Quale colpa? Quale pericolosità? Erano più le convinzioni in comune con i cristiani che quelle distanti.

Il discepolo di Ipazia, Sinesio di Cirene, divenne vescovo di Tolemaide ed anche dopo la sua elezione all’episcopato continuò a considerare la filosofa alessandrina un punto di riferimentoTu, madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant’altri mai onorato», scrisse). Socrate Scolastico nella sua Historia ecclesiastica descrisse la stima per Ipazia da parte dei pagani e dei cristiani (aveva studenti di entrambe le parti) e tale lode per il suo sapere è coerente in tutte le fonti, cristiane o meno.

Socrate Scolastico afferma esplicitamente che fu uccisa nonostante la fama della sua saggezza, non a causa di essa. Solo il breve e tardivo resoconto di Hesychius di Miletus afferma che il suo omicidio sarebbe «a causa della gelosia e della sua superiore saggezza e, soprattutto, della sua conoscenza dell’astronomia» (citazione preservata in Suda Y.166 1-11). Tuttavia, incolpa anche «l’innata volgarità e la tendenza alla sedizione degli alessandrini», quindi il riferimento alla sua saggezza sembra più mettere in evidenza la sua superiorità rispetto all’ignoranza tipica del popolo alessandrino e non un problema specifico nato nella comunità cristiana.

Lo status di Ipazia come studiosa e filosofa è spesso forzatamente enfatizzato, con affermazioni del tipo “la prima donna matematica”. Sebbene l’istruzione avanzata di Ipazia fosse insolita, era tutt’altro che unica per una donna: secoli prima della sua nascita vissero studiose come Aspasia, Diotima, Arete, Ipparchia e Panfila di Epidauro. Più vicino a lei, si può citare Sosipatra.

Ipazia non fu né la prima né l’ultima studiosa donna. Subito dopo il suo tempo, la neoplatonista Asclepigenia studiò e insegnò ad Atene e ad Alessandria ed Edesia fece lo stesso, non turbando nessuno, tanto meno il popolo cristiano, pur avendo una reputazione intellettuale simile a quella di Ipazia.

Nessuno uccise queste donne sapienti per gelosia o si lamentò che fossero donne pagane e studiose. Il motivo principale per cui così tante persone hanno sentito parlare di Ipazia e non delle altre filosofie che hanno vissuto nello stesso periodo di tempo non è perché queste altre donne erano insignificanti, piuttosto per il fatto che Ipazia è l’unica che è stata consacrata come leggenda da autori e scrittori romantici successivi.

Si dimentica infine che anche nella comunità cristiana vi erano donne di elevata cultura e di grande operosità. Non sorprende che nessuno storico serio sostenga simili argomentazioni.

 

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3. CONTESTO POLITICO E GLI EVENTI PRIMA DELLA MORTE.

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Non si possono inquadrare gli eventi che portarono alla tragica morte di Ipazia d’Alessandria senza considerare il complesso contesto sociale della sua città.

Alcune fonti storiche descrivono l’abitudine dei cittadini di Alessandria di risolvere per strada le questioni spinose, spesso con la violenza. Lo storico siriano Evagrio Scolastico, ad esempio, scrivendo dell’omicidio del patriarca cristiano Proterio nel 457 d.C., osserva: «Il popolo [di Alessandria] in generale è facilmente infiammabile e lascia che pretesti molto banali fomentino la fiamma del conflitto» (Historia ecclesiastica, II.8).

Alessandria ebbe il triste primato di essere il luogo di uno dei primi pogrom contro gli ebrei: le truppe romane li massacrarono quando questi protestarono nell’anfiteatro della città nel 66 d.C. I disordini tra ebrei e greci scoppiarono già nel 39 d.C., e poi di nuovo nel 40 d.C., portando alla morte centinaia di persone. Il patriarca cristiano ariano Giorgio di Alessandria, decimo Papa della Chiesa copta, fu ucciso da una folla inferocita nel 361 d.C. Come già accennato, stessa sorte toccò al patriarca Proterio nel 457 d.C.

Lo storico dell’Università Villanova, Christopher Haas, ha scritto che «la società urbana nella tarda antica Alessandria sembra essere stata fondamentalmente a due livelli», con un netta divisione tra la piccola élite e la classe povera che costituiva la maggioranza della popolazione3C. Haas, Alexandria in Late Antichity: Topography and Social Conflict, John Hopkins 1997, p. 51. La classe elitaria governava la città, era ben istruita e molto ricca (ad essa apparteneva la famiglia di Ipazia), alla fine del IV secolo era per lo più cristiana, sebbene alcuni continuassero a praticare riti pagani. Fuori dalle mura viveva la classe povera, principalmente operai e artigiani uniti in corporazioni commerciali.

Il cristianesimo giunse ad Alessandria molto presto, tradizionalmente fu portato dall’evangelista, Marco. Il Patriarca era la figura religiosa più significativa e assieme ai vescovi guadagnarono potere ed autorità dalla fine della persecuzione romana e con la conversione di Costantino. Dal 381 d.C. Alessandria divenne la capitale amministrativa della diocesi d’Egitto ed i patriarchi si inserirono nella gerarchia sociale e politica della città.

Il patriarca Teofilo conobbe una certa popolarità, seppe gestire i tumulti politici della città e intrattenne buoni rapporti con l’élite al potere. Sembra aver avuto anche buoni rapporti con Ipazia, sostenne l’elevazione al vescovado di Tolemaide del suo ex studente Sinesio di Cirene e alla fine del suo mandato era divenuto un personaggio di spicco della città. Suo nipote, Cirillo (futuro santo), divenne suo successore alla morte verso la fine del 412 d.C. (a seguito di una faida con il rivale Timoteo).

Mentre Sinesio di Cirene nelle sue lettere tesse lodi del patriarca Teofilo, il tono nei confronti del successore Cirillo è molto più freddo. È sopravvissuta una sola breve lettera di Sinesio a Cirillo, e la frase di apertura è esemplificativa: «Vai, fratello mio Cirillo, da tua madre Chiesa, la quale non ti ha scomunicato ma separato solo per un periodo che si misura in base a ciò che i tuoi difetti meritano» (Sinesio di Cirene, Lettera 12, 413 d.C.).

>Nel 414 d.C. avvenne qualcosa che aizzò gli animi tra il vescovo Cirillo e la comunità ebraica di Alessandria. La danza pubblica era un intrattenimento popolare ad Alessandria e la comunità ebraica ne era particolarmente affezionata. Il prefetto della città e rappresentante di Costantinopoli, il cristiano Oreste, decise di regolamentarne la pratica e lesse un editto nel teatro cittadino.

Cirillo inviò in segreto un suo sostenitore, Hierax, a scoprire il contenuto dell’editto ma gli ebrei si accorsero di lui e si lamentarono accusandolo di volerli provocare, ben sapendo che era un fedele di Cirillo (con il quale si erano scontrati in precedenza). Oreste, secondo Socrate Scolastico, «sottopose pubblicamente alla tortura in teatro» Hierax, sia per sedare la rivolta che per marcare la sua autorità nei confronti di Cirillo.

Quest’ultimo reagì redarguendo la comunità ebraica, la quale rispose «attuando un attacco notturno ai cristiani. Perciò mandarono persone nelle strade per allarmare che la chiesa intitolata ad Alessandro era in fiamme, molti cristiani, sentendo questo, si agitarono e si direzionarono verso la chiesa per salvarla. Gli ebrei li intercettarono e li uccisero» (Historia ecclesiastica VII.13).

A sua volta il vescovo Cirillo, sempre secondo Socrate Scolastico, «accompagnato da una grande folla di persone» reagì saccheggiando le sinagoghe ed espulse con forza l’intera popolazione ebraica dalla città (questo evento certamente non può essere vero in quanto vi sono notizie di molti ebrei in città da riferimenti successivi). In ogni caso l’episodio acuì il dissapore tra il prefetto Oreste e il vescovo Cirillo.

L’unica fonte contemporanea, Socrate Scolastico, scrive infine che «Oreste aveva a lungo considerato con gelosia il potere crescente dei vescovi perché avevano invaso la giurisdizione delle autorità nominate dall’imperatore». Sia Oreste che Cirillo inviarono una petizione all’imperatore e ne seguì uno scontro politico. Cirillo cercò però una riconciliazione: «Estese verso Oreste il libro dei Vangeli, credendo che il rispetto per la religione lo avrebbe indotto a mettere da parte il suo risentimento […], tuttavia anche questo non ebbe alcun effetto pacifico sul prefetto». In ballo c’era la gerarchia politica della città e come membro dell’élite al potere, Oreste non voleva compromessi con un esponente della classe povera.

 

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4. L’ASSASSINIO: MOVENTE POLITICO, NON RELIGIOSO

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Ipazia finì drammaticamente coinvolta nella disputa politica tra il prefetto Oreste ed il vescovo Cirillo, spiegata nel precedente paragrafo, sostenuti l’uno dall’élitè cittadina e l’altro dal popolo. La fonte più affidabile sulla morte di Ipazia è l’unica contemporanea, quella di Socrate Scolastico, e senz’ombra di dubbio sostiene il movente politico.

Essendo una figura di spicco della città, Ipazia venne ritenuta una voce neutrale e moderatrice nella vita civile. Socrate Scolastico annota che «tutti gli uomini l’ammiravano per la sua straordinaria dignità e virtù» (Historia ecclesiastica, VII.13), mentre il filosofo pagano Damascio (scrivendo un secolo dopo Socrate Scolastico ed i fatti raccontati), concorda sul fatto che Ipazia «era abile e articolata nei suoi discorsi, saggia e politicamente virtuosa nelle sue azioni, la città apparentemente l’amava e si prostrava particolarmente di fronte a lei, e i governatori la salutavano sempre per primi quando venivano in città» (Vita di Isidoro, 43E).

Ipazia, tuttavia, apparteneva alla stessa classe sociale e politica del prefetto Oreste e Socrate Scolastico scrive che ne era una sorta di consigliera, tanto da avere «incontri frequenti con Oreste». Non sorprende quindi che la classe povera, rivale di Oreste, la associò al prefetto negli scontri che divisero Alessandria.

L’eminente studioso Edward J. Watts, docente di Storia alla University of California, ha sottolienato: «Gli storici che scrivono su Ipazia hanno avuto la tendenza a concentrarsi sulle dinamiche religiose alessandrine del IV e V secolo, ma le divisioni spaziali e socioeconomiche contavano molto più delle differenze religiose per i contemporanei di Ipazia. La maggior parte degli alessandrini e dei pagani del IV e V secolo non comprendevano le differenze religiose allo stesso modo delle moderne comunità religiose. Non vedevano forti divisioni tra cristiani e pagani e non sarebbero stati naturalmente ostili verso le persone con credenze diverse»4E.J. Watts, Hypatia: The Life and Legend of an Ancient Philosopher, Oxford University Press 2017, p. 17, 18.

La stessa Ipazia, pur essendo pagana, intratteneva come già detto buone relazioni con la comunità cristiana. Numerosi dei suoi discepoli erano cristiani, il predecessore del vescovo Cirillo, Teofilo, nominò uno degli studenti di Ipazia, Sinesio di Cirene, vescovo di Tolemaide, una delle principali città del Nord Africa. Sinesio rimase amico di Ipazia fino alla sua morte (sette delle sue lettere indirizzate a lei sono ancora esistenti).

La situazione politica era in stallo in quanto si attendeva una risposta da parte dell’imperatore di Costantinopoli alle petizioni del prefetto Oreste e del vescovo. Cirillo, tuttavia, decise di agire rafforzando la sua posizione: chiamò alleati da fuori città. Li trovò nei monaci ascetici (parabolani?) che vivevano nel deserto di Nitria, a sud-ovest di Alessandria.

Erano cristiani severi e ben poco contemplativi e «circa cinquecento di loro», scrive Socrate Scolastico, entrarono in città con il sostegno rumoroso del patriarca. Incontrarono Oreste, lo accusarono di essere pagano e la manifestazione si trasformò in rivolta. Il prefetto ne uscì ferito. Oreste fece torturare il monaco che lo ferì, Ammonio, tanto da ucciderlo. Questo generò ulteriori tensioni.

Cirillo decise allora di appoggiare le azioni dei monaci, inviò una seconda petizione all’imperatore e dal pulpito dichiarò Ammonio martire per la fede. Una mossa che fallì in quanto «i cristiani non accettavano la stima prevenuta di Cirillo nei suoi confronti poiché sapevano bene che aveva subito la punizione a causa della sua volgarità e che non aveva perso la vita per aver negato Cristo» (Historia ecclesiastica, VII.14). Questa annotazione di Socrate Scolastico illumina il fatto che tutti i soggetti coinvolti nel conflitto politico generatosi ad Alessandria erano cristiani. Lo era il prefetto Oreste, battezzato dal Patriarca di Costantinopoli, e lo era la folla che lo sosteneva, così come lo erano gli “avversari”: il vescovo Cirillo e i monaci dei monti di Nitria.

Fallito il tentativo del martirio di Ammonio, i sostenitori di Cirillo chiesero una riconciliazione tra il vescovo ed il prefetto, ma diverse voci iniziarono ad indicare nella consigliera di Oreste, Ipazia, colei che impediva tale riconciliazione.

Ecco come l’unica fonte contemporanea ai fatti, quella di Socrate Scolastico, descrive l’assassinio di Ipazia nel 415 d.C.:

«Cadde vittima della gelosia [φθόνος], politica che a quel tempo prevaleva. Ipazia aveva avuto frequenti incontri con Oreste. Questo fatto fu interpretato calunniosamente dal popolino cristiano che pensò fosse lei ad impedire ad Oreste di riconciliarsi con il vescovo. Alcuni di loro, perciò, spinti da uno zelo fiero e bigotto, sotto la guida di un lettore chiamato Pietro, le tesero un’imboscata mentre ritornava a casa. La trassero fuori dalla sua carrozza e la portarono nella chiesa chiamata Caesareum, dove la spogliarono completamente e poi l’assassinarono con delle tegole. Dopo avere fatto il suo corpo a pezzi, portarono i lembi strappati in un luogo chiamato Cinaron, e là li bruciarono. Questo affare portò non poco sdegno contro Cirillo e contro alla chiesa di Alessandria: infatti, nulla può essere più estraneo dai seguaci degli (insegnamenti) di Cristo che uccisioni, lotte e cose del genere» (Socrate Scolastico, Historia ecclesiastica,, VII 15)

 

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5. IL VESCOVO CIRILLO COLPEVOLE DELLA MORTE DI IPAZIA?

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Il racconto di Socrate Scolastico, qui sopra citato, è il più vicino agli eventi e afferma chiaramente che nel 415 d.C. Ipazia “cadde vittima della gelosia politica che a quel tempo prevalse”. Nonostante l’autore non sia affatto dalla parte del vescovo Cirillo ma, anzi, un forte sostenitore di Oreste, non attribuisce a lui l’assassinio della filosofa, sebbene chiarisca che il dramma avvenne in seguito al suo conflitto politico con il prefetto Oreste.

Non c’è nella fonte primaria alcuna condanna diretta nei confronti di Cirillo. La colpa ricade invece sul gruppo di cristiani guidati da Pietro “il lettore”, attribuendo loro tutte le responsabilità dell’accaduto. Socrate Scolastico sottolinea solamente che l’iniziativa di questi fanatici ebbe -come è comprensibile- ripercussioni sulla chiesa stessa e sul suo rappresentante, Cirillo. Ma questo non significa certo che lui approvasse o fosse coinvolto.

La storica del cristianesimo Ilaria Ramelli, Senior Research Fellow presso l’Università di Durham e ordinario di Storia del Vicino Oriente romano, ha spiegato che Socrate Scolastico rappresenta «la fonte più antica relativa alla drammatica vicenda di Ipazia, risalente appunto a vent’anni dopo i fatti. Ha anche fatto notare che l’autore è un ammiratore di Ipazia e accusa degli “uomini esaltati” del popolino (non parla di monaci). «Socrate non incolpa direttamente Cirillo dell’assassinio», riporta Ramelli, ma cita «il lettore Pietro», e se anche quest’ultimo dovesse essere l’omonimo collaboratore di Cirillo, Pietro Anagnoste, «Socrate non istituisce questo legame».

Al contrario, lo scrittore pagano Damascio (ostile verso Cirillo), attribuisce la colpa direttamente al vescovo Cirillo nel suo resoconto tardivo, scritto un secolo dopo i fatti:

«Cirillo, vescovo della setta dell’opposizione, passava accanto alla casa di Ipazia e vide una grande folla di persone davanti alla sua porta. Alcuni arrivando, altri uscivano, altri ancora stavano in piedi. Quando chiese perché c’era una folla lì radunata e cosa fosse tutto quel caos, i suoi seguaci gli dissero che era la casa della filosofa Ipazia e che erano lì per salutarla. Così si rose a tal punto nell’anima che tramò la sua uccisione, in modo che avvenisse il più presto possibile, un’uccisione che fu tra tutte la più empia. Quando Ipazia uscì da casa sua, una folla di uomini spietati e feroci che non temevano né la punizione divina né la vendetta umana, la attaccarono e la uccisero, commettendo così un’azione scandalosa e vergognosa contro la loro città» (Vita di Isidoro, 43E).

Tra le due fonti, quella di Socrate Scolastico e quella di Damascio, emerge una forte differenza nella narrazione dei fatti. L’accusa di Damascio nei confronti del vescovo Cirillo è esplicita, dichiarandolo mandante diretto dell’omicidio. Scrivendo dopo un secolo non si sa da quali fonti lo abbia dedotto, in ogni caso ha una scarsa attendibilità storica.

Oltre alla grande distanza dagli avvenimenti, Damascio scrive esplicitamente in un’ottica fortemente anticristiana (i seguaci di Cristo, ad esempio, vengono definiti “setta di opposizione”), certamente lontano dalla neutralità di Socrate Scolastico.

Damascio, inoltre, sostiene che il movente dell’assassinio fu “l’invidia” provata da Cirillo nei confronti di Ipazia. Anche questo appare piuttosto inverosimile poiché il vescovo era uno dei teologi e filosofi più stimati e potenti dell’epoca e non vi era alcun motivo plausibile che lo potesse portare ad invidiare la filosofa.

Il classicista Luciano Canfora, dal noto bias anticristiano, ritiene incredibilmente sarebbe Socrate Scolastico la «fonte che più disturba gli studiosi cattolici», in quanto «chiama in causa apertamente Cirillo, ed è quanto mai limpido». L’attribuzione della colpa a Cirillo, secondo Canfora, sarebbe in queste parole finali di Socrate Scolastico: «Questo misfatto procurò non poco biasimo (οὐ μικρὸν μῶμον) a Cirillo e alla chiesa di Alessandria». Per lo studioso italiano, «va da sé che, solo in quanto considerato mandante o ispiratore, Cirillo poté essere oggetto di “grande biasimo”, di “macchia”»5L. Canfora, Cirillo e Ipazia nella storiografia cattolica, OpenEdition Journals 2010.

E’ un ragionamento assai debole. Innanzitutto, Socrate Scolastico attribuisce il “grande biasimo” anche alla chiesa di Alessandria: difficilmente intende sostenere che tutta la comunità ecclesiale della città sia mandante o ispiratrice dell’omicidio, più probabilmente intende sottolineare la ripercussione negativa per l’immagine del vescovo della città, Cirillo, e della chiesa di Alessandria nel fatto che un gruppo di fanatici cristiani sostenitori di Cirillo nella disputa politica, avesse commesso tale omicidio.

Inoltre, il cristiano Socrate Scolastico sa che il vescovo di una comunità ecclesiale, in quanto autorità morale di un corpo organico seppur locale, è sempre “macchiato”, “screditato” e oggetto di “grande biasimo” quando un prete della sua diocesi commette un abuso. Questo spiega, per fare un esempio moderno, le scuse del vescovo di Anversa, don Michele Barone, pronunciate pubblicamente -pur non avendo alcuna responsabilità!- per le lesioni sessuali provocate da un parroco della sua diocesi. Allo stesso modo, il vescovo di Como, mons. Diego Coletti, ha chiesto perdono alle vittime, alle famiglie e alla parrocchia di San Giuliano, dopo che un prete della sua diocesi ha abusato di cinque ragazzine.

Canfora ironizza, infine, sul fatto che diversi studiosi non ritengono attendibile la ricostruzione di Damascio: «Argomentare che, vissuto un secolo dopo i fatti, Damascio non poteva sapere è stupido: è come dire che quanto Polibio narra della prima guerra punica, rispetto alla quale egli vive per l’appunto un secolo più tardi, non ha valore!».

Il classicista italiano non coglie il punto: non esistono relazioni contemporanee alla prima guerra punica. Al contrario, rispetto all’uccisione di Ipazia esiste una fonte coeva dei fatti, quella di Socrate Scolastico, il quale oltretutto è notoriamente una fonte ostile a Cirillo e avrebbe avuto buone ragioni per addossare la colpa al vescovo, ma non lo fa. Non c’è motivo per preferire una fonte tardiva di un secolo quando è disponibile una neutrale fonte contemporanea ai fatti, la quale contraddice il resoconto tardivo.

Lo spiega approfonditamente lo storico della University of California, Edward J. Watts, nel suo studio su Ipazia. Lo storico sottoliena inoltre che spesso la plebe era usata per intimidire e manifestare rumorosamente nelle antiche polemiche di strada, anche se omicidi deliberati erano rari anche nella tumultuosa Alessandria e accadevano solo quando le cose sfuggivano di mano, raramente erano oggetto deliberato di un piano6E.J. Watts, Hypatia: The Life and Legend of an Ancient Philosopher, Oxford University Press 2017 p. 115, 116.

Ancora più distante dai fatti -200 anni dopo!- è il resoconto del vescovo Giovanni di Nikiû, che descrive Ipazia come l’archetipo della malvagità pagana.

«A quei tempi apparve ad Alessandria una filosofa femmina, una pagana di nome Ipazia, dedita alla magia, agli astrolabi e agli strumenti della musica. Seduceva molte persone attraverso le sue astuzie sataniche. E il governatore della città la onorò moltissimo, poiché lo aveva sedotto con la sua magia. E cessò di frequentare la chiesa come era sua abitudine. […] E in seguito una moltitudine di credenti in Dio sorse sotto la guida di Pietro il magistrato […] e procedettero a cercare la donna pagana che aveva sedotto il popolo della città ed il prefetto attraverso i suoi incantesimi […] e la trascinarono finché non la portarono nella grande chiesa, chiamata Cesarione […]. E le strapparono le vesti e la trascinarono [….] per le strade della città fino alla sua morte. E la portarono in un posto chiamato Cinarone, e la bruciarono sul fuoco. E tutto il popolo circondò il patriarca Cirillo e lo nominò “il nuovo Teofilo”; poiché aveva distrutto gli ultimi resti di idolatria in città».

I parallelismi con il racconto di Socrate Scolastico sono evidenti, sappiamo infatti che Giovanni di Nikiû usò la Historia ecclesiastica di Socrate come fonte principale di questa sezione della sua Cronaca. Ma anche Nikiû (come Damascio) ha deliberatamente cambiato la storia, aggiungendo alcuni ricami: Ipazia diventa una strega pagana e malvagia che porta fuori strada Oreste, facendogli abbandonare la sua fede.

Niente di tutto ciò si rifletterà in altre fonti cristiane successive, come il bizantino Suda, Teofane Confessore e Niceforo Callisto Xanthopoulos: tutti riflettono essenzialmente il racconto di Socrate Scolastico. Questo porta a concludere che questi nuovi elementi siano stati un’invenzione di Nikiû. Al tempo in cui egli visse, verso la fine del VII secolo d.C., il paganesimo era quasi completamente sparito in Egitto ed i pochi pagani rimasti vivevano per lo più ai margini della società. In assenza di un contatto diretto tra cristiani e pagani, perciò, le rappresentazioni popolari cristiane del paganesimo erano spesso ridotte a stereotipi di stregoni e malfattori.

Per lo stesso motivo per cui non si può ritenere storicamente attendibile la fonte Damascio (a favore di Ipazia), nemmeno Giovanni di Nikiù (contro Ipazia) scrive un resoconto affidabile. L’unica fonte attendibile è quella coeva ai fatti, Socrate Scolastico.

La storica Maria Dzielska, ordinario all’Università Jagellonica (Polonia) e autrice di una biografa su Ipazia, ha respinto anche l’idea che siano stati i monaci di Nitria, chiamati da Cirillo, gli autori dell’omicidio. Innanzitutto, Socrate Scolastico non lo sostiene, inoltre, scrive la storica, i monaci «terrorizzati dalla reazione popolare alla loro aggressione contro il prefetto Oreste, scapparono a gambe levate»7M. Dzielska, Hypatia of Alexandria, Harvard University Press 1995, p. 97. Che la folla che l’ha uccisa fosse sostenitrice di Cirillo è evidente, ma non sembrano essere stati monaci.

Anche l’Enciclopedia Treccani italiana riferisce a proposito del vescovo Cirillo: «A torto egli venne accusato di avere ordinato l’uccisione di Ipazia; ma non è improbabile che i promotori della sommossa in cui ella perì abbiano creduto di far cosa a lui grata».

Moreno Morani, direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Medioevo all’Università degli Sudi di Genova, ha concluso:

«Se si esaminano i fatti storici reali, basandoci unicamente sui documenti, si conclude che non vi è nessuna prova» del coinvolgimento diretto del vescovo Cirillo. «La morte di Ipazia si colloca nel quadro di un’età e di una zona in cui la confusione e le turbolenze sono al massimo grado e investono tanto l’autorità civile quanto la comunità cristiana. È un mondo di grandi contrasti l’Egitto di quell’epoca. Un mondo in cui si hanno documenti di sincretismo religioso quasi impensabili per noi e tensioni al limite dell’esplosione, fra ortodossi ed eretici, fra cristiani e pagani, fra cristiani e gnostici. Più ancora che i testi degli storici, sono gli atti delle vita quotidiana (iscrizioni, papiri) a darci un quadro realistico di questa confusione. A ciò si aggiunga, come ricordano le fonti antiche, il temperamento naturalmente appassionato e veemente della popolazione in quel microcosmo multietnico e multiculturale che era la Alessandria dell’epoca».

Se l’analisi delle fonti assolve Cirillo dalla responsabilità diretta dell’omicidio di Ipazia (neanche come mandante morale), le fonti storiche non riportano neppure alcun intervento del vescovo di Alessandria per fermare i suoi sostenitori mentre diffondevano false voci su Ipazia ed, infine, alcuni di essi l’hanno uccisa. In mancanza di prove contrarie, San Cirillo d’Alessandria può essere incolpato di tale silenzio.

 

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6. COME FU UCCISA? LE OSTRICHE ED ALTRE LEGGENDE.

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Molti resoconti moderni si soffermano a lungo sui raccapriccianti dettagli della sua morte: Ipazia viene sequestrata, spogliata, smembrata, trascinata per le strade e poi bruciata.

L’uso della parola ὄστρακα da parte di Socrate Scolastico per indicare l’arma con cui fu uccisa indusse Edward Gibbon a scrivere che «la sua carne venne raschiata dalle ossa con gusci di ostriche affilati». Tale parola significa effettivamente “conchiglie” ma, allo stesso tempo, può anche significare “cocci” ed era un termine usato per riferirsi alle tegole dei tetti, il che è molto probabilmente ciò che Socrate Scolastico intendeva.

Le tegole, al contrario delle ostriche, erano disponibili in abbondanza in una strada della città di Alessandria. Questa superficialità da parte dello storico inglese -e di tutti coloro che hanno acriticamente ripreso le sue parole- descrive bene l’atteggiamento con cui ha svolto il suo lavoro.

Anche l’immagine di una donna bellissima “completamente spogliata” ha suscitato l’immaginazione febbrile di alcuni scrittori illuministi, come Voltaire, i quali non poterono fare a meno di aggiungere che fosse stata anche violentata al momento della morte.

Il primo a parlarne fu Damascio, nella Vita di Isidoro (conservata in parte attraverso una citazione in Souda, un’enciclopedia bizantina scritta nel X secolo d.C.). scrivendo che Ipazia sarebbe stata «estremamente bella e bella di forma», pur senza averla mai potuta vedere (Damascio visse tra il 458 e il 538 d.C ed Ipazia morì nel 415 d.C.).

Non vi sono prove dell’esistenza di un ritratto di Ipazia e nemmeno che Damascio abbia mai avuto accesso a qualcuno che l’avesse conosciuta mentre era in vita, è probabile che anche questo sia frutto della sua fantasia (confermando ulteriormente la scarsa attendibilità del suo resoconto sulla morte). Damascio aggiunge anche che Ipazia era vergine e avrebbe respinto tutti i suoi numerosi pretendenti. Nonostante non vi sia alcune fonte contemporanea a sostenerlo potrebbe essere in questo caso un’affermazione vera in quanto compatibile con gli insegnamenti neoplatonici, i quali valorizzavano il celibato maschile e femminile.

L’invenzione di Damascio sulla bellezza di Ipazia hanno dato origine a rappresentazioni fantasiose di un’affascinante donna nuda e giovane, in balia dei suoi aggressori criminali. Non hanno riflettuto sul fatto che Ipazia avesse probabilmente circa sessant’anni al momento della sua morte. Oltre a sciverlo cento anni dopo l’evento il cronista Giovanni Malalas (491-578 d.C. circa), è un dato facilmente deducibile: se Ipazia era davvero nota come insegnante anche al di fuori di Alessandria (come scrive Socrate Scolastico), per costruire una tale reputazione le sarebbe servito molto tempo e questo contrasta fortemente con l’idea che fosse in giovane età al momento del suo assassinio.

Anche la storia della sua grande bellezza e giovinezza è servita ad enfatizzarne il mito, e questo dice molto di più dei propugnatori di tali leggende che della storia di Ipazia.

Infine, va notato che il trascinamento del corpo per le strade, lo smembramento e quindi il rogo di qualcuno che era stato linciato o giustiziato si ritrova in molti altri resoconti relativi ad Alessandria. L’omicidio di Giorgio di Alessandria e dei suoi due compatrioti avvenne in maniera simile e lo stesso accadde ai corpi di alcuni ebrei nel pogrom del 39 d.C. e nell’omicidio di Proterio di Alessandria nel 457 d.C.

Lo storico Christopher Haas sostiene che tali parallelismi non sono coincidenze, definendoli un «rituale alessandrino di espiazione civile»8C. Haas, Alexandria in Late Antichity: Topography and Social Conflict, John Hopkins 1997, pp. 87.89. Questi elementi della storia risultano storicamente attendibili ma, allo stesso tempo, dimostrano che non si tratta della prova di un particolare animus contro le donne istruite, ma – ancora una volta – era un rituale usuale nella politica di strada della città di Alessandria.

Il destino di Ipazia fu certamente piuttosto orribile. Ugualmente lo fu quello delle vergini cristiane d Eliopoli che nel regno dell’imperatore pagano Giuliano si rifiutarono di arrendersi alla sacra prostituzione prima delle loro nozze. Di conseguenza, furono pubblicamente spogliate, derise e maltrattate, poi date in pasto ai maiali. E che dire del vescovo Marco di Aretusa, picchiato da una folla pagana, la barba strappata, le orecchie tagliate, pugnalato ripetutamente, quindi imbrattato con del miele e lasciato appeso al sole per essere divorato da mosche e vespe.

Pochi conoscono queste e molte altre storie. Quella della filosofa Ipazia è l’unica che è stata universalmente divulgata per meri scopi ideologici.

 

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7. LE FALSE CITAZIONI ATTRIBUITE AD IPAZIA.

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Il solo fatto che qualcuno riporti una citazione di Ipazia, di qualunque tipo, significa che sta dicendo il falso. Nessuna nessuna fonte a noi sopravvissuta sulla vita di Ipazia riporta mai direttamente alcuna sua frase.

Di seguito una sorta di debunking della frasi più frequentemente attribuite a Ipazia.

 

«Le favole dovrebbero essere insegnate come favole, i miti come miti e i miracoli come fantasie poetiche. Insegnare le superstizioni come verità è una cosa terribile. La mente del bambino le accetta e vi crede, e solo attraverso un grande dolore e forse una tragedia potrà, negli anni a venire, liberarsene»

Questa citazione è frequentemente ripresa da atei e anticlericali perché coincide con la loro valutazione della religione e piace l’idea che ciò sia stata detta da una “scienziata” assassinata da una folla di cristiani.

Ma questa citazione è totalmente falsa, Ipazia non ha mai detto niente del genere.

La frase proviene dalla pagina 275 di una pseudo-biografia di Ipazia scritta dall’artista americano, anarchico e socialista, Elbert Hubbard (1856-1915), inserita all’interno della sua serie Little Journeys to the Homes of Great Teachers. L’opera fu pubblicata nel 1908 ed era originariamente destinata ai bambini. Nonostante si tratti di apparenti biografie (oltre a Ipazia, parlò di Confucio, Mosé, Pitagora, Platone ecc.), il libro è quasi completamente un’opera di fantasia. Hubbard inventò storie fantasiose che non si trovavano in alcuna fonte antica e attribuì molte citazioni a Ipazia e a suo padre Teone, semplicemente inventandole.

 

«Il neoplatonismo è una filosofia progressista e non si aspetta di stabilire condizioni finali per gli uomini le cui menti sono limitate. La vita è un sviluppo e più procediamo, più verità possiamo comprendere. Comprendere le cose che sono alla nostra porta è la migliore preparazione per comprendere quelle che stanno oltre»

Ipazia non disse neppure questo, nessuna fonte antica che la riguarda riporta tale citazione (e nessun’altra sua citazione). È un’altra delle frasi inventate dall’anarchico Elbert Hubbard, appare all’inizio del capitolo riguardante la filosofa di Alessandria, subito dopo il frontespizio. Non stupisce che questa citazione descriva il concetto di progressismo come inteso nel primo Novecento, più che nel neoplatonismo antico e autentico.

 

«Difendi il tuo diritto di pensare, perché anche solo pensare in modo sbagliato è meglio che non pensare affatto»

Ancora una volta siamo di fronte ad una citazione che valorizza una visione razionale e moderna del mondo. Essa appare nei gruppi Facebook e nei blog femministi dedicati ad Ipazia, è stata ripresa dal socialista uruguayano Eduardo Galeano nel suo libro Donne e viene usata come frase di buon anno dal dipartimento di Medicina molecolare dell’Università Federico II di Napoli.

Anche questa citazione proviene però dalla fantasia di Elbert Hubbard e dalla pseudo-biografia. Ironia del caso, l’artista americano nemmeno attribuisce questa citazione ad Ipazia, ma a suo padre Teone di Alessandria (335-405 d.C.). Un falso nel falso.

 

«Tutte le religioni dogmatiche formali sono fallaci e non devono mai essere accettate dalle persone che si definiscono rispettabili»

Ebbene si, anche questa citazione proviene dalla biografia immaginaria su Ipazia del 1908 scritta da Elbert Hubbard e, anche in questo caso, lo scrittore la attribuisce a Teone, non a sua figlia Ipazia. Da una rapida ricerca pare che stranamente nessuno abbia (ancora) ripreso questa frase nel web in lingua italiana.

 

Molte di queste false citazioni sono critiche al cristianesimo ma -come già osservato in precedenza- tutte le prove indicano che Ipazia ebbe ottimi rapporti con i cristiani suoi contemporanei, avendone parecchi come studenti ed essendo stata consigliera prediletta del prefetto cristiano Oreste (fu proprio questo il motivo politico del suo assassinio). Difficilmente Socrate Scolastico avrebbe scritto che Ipazia era ampiamente amata e ammirata dai cristiani (Libro 7, capitolo 15) se tali citazioni a lei attribuite in epoca moderna fossero vere.

 

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8. CONCLUSIONE.

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La storia di Ipazia usata e strumentalizzata dai polemisti anticristiani è essenzialmente una favola morale pseudo-storica.

La filosofa di Alessandria non fu assassinata perché i cristiani erano infastiditi dal suo sapere, la sua morte non segnò la fine della filosofia antica e l’inizio dell'”epoca buia”. Non era l’unica donna studiosa, non fu né razionalista, né atea, non innovò il pensiero scientifico e non inventò nulla.

Al contrario, Ipazia era certamente colta, un’ottima insegnante, e piuttosto conservatrice nella sua visione filosofica (seguace di Plotino). Fu coinvolta in un comune tumulto politico in una città famosa per la sua violenta “politica di strada” e la sua tragica morte fu dovuta ad una disputa politica che non riguardava la religione o la sua visione filosofica.

Rispetto alla responsabilità diretta del vescovo Cirillo, Moreno Morani, direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Medioevo all’Università degli Sudi di Genova, conclude che «non vi è nessuna prova», secondo le fonti attendibili.

Socrate Scolastico, l’unica fonte contemporanea ai fatti, indica la causa della morte di Ipazia nel movente politico. La donna venne identificata (a ragione o torto, non lo sappiamo) come la causa principale dell’attrito tra l’autorità religiosa (il cristiano Cirillo) e l’autorità politica (il cristiano Oreste), così dei fanatici della classe sociale povera (quella di Cirillo) pensarono di eliminare alla radice la causa del dissidio.

C’è chi chiama in causa i parabolani, una confraternita di infermieri-becchini con l’abitudine di intervenire in controverse ecclesiastiche con modi violenti, ma un loro coinvolgimento non ha fonti storiche e non sembrano coincidere con i monaci di Nitria.

La vicenda di Ipazia è riemersa solamente nel XVIII -assieme a molte altre “leggende nere”-, all’interno del contesto illuminista, noto per l’immenso lo sforzo di discredito sul passato cristiano per illuminare il presente, emancipatosi dal “fanatismo religioso”. Non sorprende che anche la morte di Ipazia di Alessandria sia stata rielaborata e strumentalizzata in ottica anticristiana.

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