Le ragioni della Chiesa sui divorziati risposati

SposiDopo l’annuncio di un sinodo straordinario che si terrà nell’ottobre del 2014 sulla pastorale della famiglia, l’arcivescovo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Gerhard Ludwig Müller ha voluto pubblicare un contributo sull’Osservatore Romano per spiegare le ragioni della posizione della Chiesa cattolica, rispondendo alle questioni avanzate da gruppi di fedeli e dalla società in generale. Pubblichiamo qui sotto alcune parti.

 
di Gerhard Ludwig Müller*
*prefetto della Congregazione per la dottrina della fede

 

La dottrina sulla indissolubilità del matrimonio incontra spesso incomprensione in un ambiente secolarizzato. Laddove si sono smarrite le ragioni fondamentali della fede cristiana, una mera appartenenza convenzionale alla Chiesa non è più in grado di guidare a scelte di vita importanti e di offrire alcun supporto nelle crisi dello stato matrimoniale — come anche del sacerdozio e della vita consacrata. Molti si chiedono: come posso io legarmi per tutta la vita a una sola donna / a un solo uomo? Chi può dirmi come sarà tra dieci, venti, trenta, quaranta anni di matrimonio? È poi effettivamente possibile un legame definitivo con una sola persona? Le molte esperienze di comunione matrimoniale che oggi si spezzano rafforzano lo scetticismo dei giovani nei confronti delle decisioni definitive della vita.

D’altra parte, l’ideale della fedeltà tra un uomo e una donna, fondato sull’ordine della creazione, non ha perso alcunché del suo fascino, come evidenziano le recenti inchieste tra i giovani. La maggior parte di loro aspira a una relazione stabile e duratura, in quanto ciò corrisponderebbe anche alla natura spirituale e morale dell’uomo. Inoltre va ricordato il valore antropologico del matrimonio indissolubile: esso sottrae i coniugi dall’arbitrio e dalla tirannia dei sentimenti e degli stati d’animo; li aiuta ad affrontare le difficoltà personali e a superare le esperienze dolorose; protegge soprattutto i figli, che patiscono la maggior sofferenza dalla rottura dei matrimoni.

Per i cristiani vale il fatto che il matrimonio dei battezzati, incorporati nel Corpo di Cristo, ha un carattere sacramentale e rappresenta, quindi, una realtà soprannaturale. Uno dei più gravi problemi pastorali consiste nel fatto che molti, oggi, giudicano il matrimonio esclusivamente secondo criteri mondani e pragmatici. Chi pensa secondo lo «spirito del mondo» (1 Corinzi, 2, 12) non può comprendere la sacramentalità del matrimonio. L’amore coniugale viene purificato, rafforzato e accresciuto dalla grazia sacramentale: «Questo amore, ratificato da un impegno mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di Cristo, resta indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito; di conseguenza esclude ogni adulterio e ogni divorzio» (Gaudium et spes, n. 49). Certo, ci sono situazioni — ogni pastore lo sa — in cui la convivenza matrimoniale diventa praticamente impossibile a causa di gravi motivi, come ad esempio in caso di violenza fisica o psichica. In queste dolorose situazioni la Chiesa ha sempre permesso che i coniugi si potessero separare e non vivessero più insieme. Va precisato, tuttavia, che il vincolo coniugale di un matrimonio validamente celebrato rimane stabile davanti a Dio e le singole parti non sono libere di contrarre un nuovo matrimonio finché l’altro coniuge è in vita. I pastori e le comunità cristiane si devono perciò adoperare nel promuovere in ogni modo la riconciliazione anche in questi casi oppure, quando ciò non è possibile, nell’aiutare le persone coinvolte ad affrontare nella fede la propria difficile situazione.

 

LE RAGIONI CHE SI TROVANO NELLA SCRITTURA
Non è scevro di problematicità il fatto di porre immediatamente la nostra questione nell’ambito dell’Antico Testamento, in quanto il matrimonio non era ancora considerato allora come un sacramento. La Parola di Dio nell’Antico Testamento è tuttavia significativa rispetto a ciò anche per noi, dal momento che Gesù si colloca in questa tradizione e argomenta a partire da essa. Nel Decalogo si trova il comandamento “Non commettere adulterio” (Esodo, 20, 14), ma altrove il divorzio è considerato possibile. Secondo Deuteronomio, 24, 1-4, Mosè stabilisce che un uomo può rilasciare alla moglie un libello di ripudio e la può mandar via dalla sua casa se questa non trova più grazia ai suoi occhi. In conseguenza di ciò, l’uomo e la donna possono risposarsi. Accanto alla concessione del divorzio, tuttavia, nell’Antico Testamento si trova anche un certo disagio verso questa prassi. Come l’ideale della monogamia, così anche l’ideale della indissolubilità viene compreso nel confronto che i profeti istituiscono tra l’alleanza di Jahwè con Israele e il legame matrimoniale. Il profeta Malachia esprime con chiarezza tutto ciò: «Nessuno tradisca la donna della sua giovinezza (…) la donna legata a te da un patto» (Malachia, 2, 14-15).

Furono soprattutto le controversie con i farisei a dare a Gesù l’occasione di occuparsi del tema. Egli prese espressamente le distanze dalla prassi veterotestamentaria del divorzio, che Mosè aveva permesso a causa della «durezza del cuore» degli uomini, e rinviò invece alla volontà originaria di Dio: «Ma all’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola (…) Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Marco, 10, 5-9; cfr. Matteo, 19, 4-9; Luca, 16, 18). La Chiesa cattolica, nel suo insegnamento e nella sua prassi, si è costantemente riferita alle parole di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio. Il patto che unisce intimamente e reciprocamente i due coniugi è istituito da Dio stesso. Si tratta quindi di una realtà che viene da Dio e non è più nella disponibilità degli uomini.

Oggi, alcuni esegeti affermano che questi detti del Signore avrebbero riscontrato già nei tempi apostolici una certa flessibilità nell’applicazione: e precisamente, nel caso della pornèia (fornicazione, cfr. Matteo, 5, 32; 19, 9) e nel caso della separazione tra un partner cristiano e uno non cristiano (cfr. 1 Corinzi, 7, 12-15). Le clausole sulla fornicazione sono state oggetto di controversa discussione fin da subito in campo esegetico. Molti sono convinti che non si tratti di eccezioni rispetto all’indissolubilità del matrimonio, ma piuttosto di legami matrimoniali invalidi. In ogni caso, la Chiesa non può basare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche controverse. Essa si deve attenere al chiaro insegnamento di Cristo. Paolo stabilisce che il divieto di divorzio è un’espressa volontà di Cristo: «Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi rimanga senza sposarsi o si riconcili col marito — e il marito non ripudi la moglie» (1 Corinzi, 7, 10-11). Allo stesso tempo, basandosi sulla propria autorità, Paolo concede che un non cristiano possa separarsi dal suo partner diventato cristiano. In questo caso il cristiano non è più «soggetto a schiavitù», non è più costretto cioè a rimanere non-sposato (1 Corinzi, 7, 12-16).

A partire da questa posizione, la Chiesa ha riconosciuto che solo il matrimonio tra un uomo e una donna battezzati è sacramento in senso proprio e solo per questi vale l’indissolubilità incondizionata. Il matrimonio dei non battezzati è infatti ordinato all’indissolubilità, ma può comunque essere sciolto in determinate circostanze — a causa di un maggior bene (privilegium Paulinum). Non si tratta dunque di una eccezione al detto del Signore: l’indissolubilità del matrimonio sacramentale, del matrimonio nell’ambito del mistero di Cristo, rimane. Di grande significato per il fondamento biblico della comprensione sacramentale del matrimonio è la Lettera agli Efesini, in cui si afferma: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (5, 25). E un po’ oltre l’Apostolo scrive: «Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una carne sola. Questo è un grande mistero; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (5, 31-32). Il matrimonio cristiano è un segno efficace dell’alleanza di Cristo e della Chiesa. Il matrimonio tra battezzati è un sacramento perché contrassegna e media la grazia di questo patto.

 

LE RAGIONI CHE DELLA TRADIZIONE DELLA CHIESA
I Padri della Chiesa e i concili costituiscono successivamente una importante testimonianza per lo sviluppo della posizione ecclesiastica. Secondo i Padri le istruzioni bibliche sono vincolanti. Essi ricusano le leggi civili sul divorzio ritenendole incompatibili con la richiesta di Gesù. La Chiesa dei Padri, in obbedienza al Vangelo, ha respinto il divorzio e il secondo matrimonio; rispetto a tale questione la testimonianza dei Padri è inequivocabile. Nell’epoca patristica i credenti separati che si erano risposati civilmente non venivano riammessi ai sacramenti nemmeno dopo un periodo di penitenza. Alcuni testi patristici lasciano intendere che gli abusi non venivano sempre rigorosamente respinti e che a volte sono state cercate soluzioni pastorali per rarissimi casi limite.

Più tardi e in alcune zone, soprattutto a causa della crescente interdipendenza tra Chiesa e Stato, si pervenne a più grandi compromessi. In oriente questo sviluppo ha proseguito il suo corso e ha portato, soprattutto dopo la separazione dalla cattedra di Pietro, a una prassi sempre più liberale. Oggi nelle Chiese ortodosse esiste una varietà di cause per il divorzio, che sono solitamente giustificate con riferimento alla oikonomìa, la clemenza pastorale per i singoli casi difficili, e aprono la strada a un secondo o terzo matrimonio con carattere penitenziale. Questa prassi non è coerente con la volontà di Dio, chiaramente espressa dalle parole di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio, e ciò rappresenta certamente una questione ecumenica da non sottovalutare. In occidente, la riforma gregoriana ha contrastato le tendenze di liberalizzazione e ha riproposto l’originaria concezione delle Scritture e dei Padri. La Chiesa cattolica ha difeso l’assoluta indissolubilità del matrimonio anche a costo di grandi sacrifici e sofferenze. Lo scisma della “Chiesa di Inghilterra”, separatasi dal successore di Pietro, è avvenuto non a causa di differenze dottrinali, ma perché il Papa, in obbedienza alla parola di Gesù, non poteva assecondare la richiesta del re Enrico VIII circa lo scioglimento del suo matrimonio.

Il concilio di Trento ha confermato la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale e ha chiarito che essa corrisponde all’insegnamento del Vangelo (cfr. Denzinger-Hünermann, 1807). Talvolta si sostiene che la Chiesa abbia di fatto tollerato la pratica orientale, ma ciò non corrisponde al vero. I canonisti hanno sempre parlato di una prassi abusiva, e vi sono testimonianze circa alcuni gruppi di cristiani ortodossi che, divenuti cattolici, dovettero firmare una confessione di fede in cui si faceva esplicito riferimento alla impossibilità della celebrazione di seconde o terze nozze. Il concilio Vaticano II ha riproposto una dottrina teologicamente e spiritualmente profonda del matrimonio nella costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, esponendo con chiarezza anche il principio della sua indissolubilità. Il matrimonio è inteso come una completa comunione corporale e spirituale di vita e di amore tra uomo e donna, che si donano e si accolgono l’un l’altro in quanto persone. Attraverso l’atto personale e libero del reciproco consenso viene fondata per diritto divino un’istituzione stabile, ordinata al bene dei coniugi e della prole, e non dipendente dall’arbitrio dell’uomo: «Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità» (n. 48).

Per mezzo del sacramento Dio concede ai coniugi una grazia speciale: «Infatti, come un tempo Dio ha preso l’iniziativa di un’alleanza di amore e fedeltà con il suo popolo così ora il salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa, così anche i coniugi possano amarsi l’un l’altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione» (ibidem). Mediante il sacramento l’indissolubilità del matrimonio racchiude un nuovo, più profondo significato: essa diventa l’immagine dell’amore di Dio per il suo popolo e della fedeltà irrevocabile di Cristo alla sua Chiesa. È possibile comprendere e vivere il matrimonio come sacramento solo nell’ambito del mistero di Cristo. Se si secolarizza il matrimonio o se lo si considera come realtà puramente naturale rimane come impedito l’accesso alla sua sacramentalità.

 

LE RAGIONI DEL MAGISTERO IN EPOCA RECENTE
Con il testo tutt’oggi fondamentale dell’esortazione apostolica Familiaris consortio, pubblicata da Giovanni Paolo II il 22 novembre 1981 il Papa ha dimostrato un’alta misura di premura e di attenzione.

Al n. 84 («I divorziati risposati») vengono esposti i seguenti principi:
1. I pastori in cura d’anime sono obbligati per amore della verità «a ben discernere le diverse situazioni». Non è possibile valutare tutto e tutti allo stesso modo.
2. I pastori e le comunità sono tenuti ad aiutare «con sollecita carità» i fedeli interessati; anch’essi infatti appartengono alla Chiesa, hanno il diritto alla cura pastorale e devono poter partecipare alla vita della Chiesa.
3. L’ammissione all’eucaristia non può tuttavia essere loro concessa. In relazione a questo viene addotto un duplice motivo: a) «il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’eucaristia»; b) «se si ammettessero queste persone all’eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio». Una riconciliazione mediante il sacramento della penitenza — che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico — può essere accordata solo sulla base del pentimento rispetto a quanto accaduto, e sulla disponibilità «a una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio». Ciò comporta, in concreto, che quando la nuova unione non può essere sciolta per seri motivi — quali, ad esempio, l’educazione dei figli — entrambi i partner «assumono l’impegno di vivere in piena continenza».
4. Per motivi teologico-sacramentali, e non per una costrizione legalistica, al clero è espressamente fatto divieto, fintanto che sussiste la validità del primo matrimonio, di porre in atto «cerimonie di qualsiasi genere» a favore dei divorziati che si risposano civilmente.

La Lettera della Congregazione per la dottrina della fede circa la recezione della comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati del 14 settembre 1994 ha confermato che la prassi della Chiesa su questo tema «non può essere modificata in base alle differenti situazioni» (n. 5). Si chiarisce, inoltre, che i credenti interessati non devono accostarsi alla santa Comunione sulla base del loro giudizio di coscienza: «Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori (…) hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa» (n. 6). In caso di dubbi circa la validità di un matrimonio fallito, questi devono essere verificati dagli organi giudiziari competenti in materia matrimoniale (cfr. n. 9). Rimane di fondamentale importanza fare «con sollecita carità tutto quanto può fortificare nell’amore di Cristo e della Chiesa i fedeli che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. Solo così sarà possibile per loro accogliere pienamente il messaggio del matrimonio cristiano e sopportare nella fede la sofferenza della loro situazione. Nell’azione pastorale si dovrà compiere ogni sforzo perché venga compreso bene che non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l’indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore» (n. 10).

Nell’esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis del 22 febbraio 2007 Benedetto XVI riprende e rilancia il lavoro del precedente sinodo dei vescovi sull’eucaristia. Egli giunge a parlare della situazione dei fedeli divorziati risposati al n. 29, ove non esita a definirla «un problema pastorale spinoso e complesso». Benedetto XVI ribadisce «la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr. Marco, 10, 2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati», ma scongiura addirittura i pastori a dedicare «speciale attenzione» nei confronti delle persone interessate «nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa messa, pur senza ricevere la comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli». Viene ribadito che, in caso di dubbi circa la validità della comunione di vita matrimoniale che si è interrotta, questi devono essere esaminati attentamente dai tribunali competenti in materia matrimoniale.

La mentalità contemporanea si pone piuttosto in contrasto con la comprensione cristiana del matrimonio, specialmente rispetto alla sua indissolubilità e all’apertura alla vita. Poiché molti cristiani sono influenzati da tale contesto culturale, i matrimoni sono probabilmente più spesso invalidi ai nostri giorni di quanto non lo fossero in passato, perché è mancante la volontà di sposarsi secondo il senso della dottrina matrimoniale cattolica e anche l’appartenenza a un contesto vitale di fede è molto ridotta. Pertanto, una verifica della validità del matrimonio è importante e può portare a una soluzione dei problemi.
Laddove non è possibile riscontrare una nullità del matrimonio, è possibile l’assoluzione e la comunione eucaristica se si segue l’approvata prassi ecclesiale che stabilisce di vivere insieme «come amici, come fratello e sorella». Le benedizioni di legami irregolari sono «da evitare in ogni caso (…) perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del matrimonio». La benedizione (bene-dictio: approvazione da parte di Dio) di un rapporto che si contrappone alla volontà divina è da ritenersi una contraddizione in sé. Nell’omelia pronunciata a Milano il 3 giugno 2012, in occasione del settimo Incontro mondiale delle famiglie, Benedetto XVI è tornato a parlare di questo doloroso problema: «Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità, mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza». L’ultimo sinodo dei vescovi sul tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana» (7-28 ottobre 2012) si è nuovamente occupato della situazione dei fedeli che, in seguito al fallimento della comunione di vita matrimoniale — non il fallimento del matrimonio, che sussiste in quanto sacramento — hanno iniziato una nuova unione e convivono senza il vincolo sacramentale del matrimonio. Nel messaggio finale i Padri sinodali si sono rivolti con queste parole ai fedeli coinvolti: «A tutti costoro vogliamo dire che l’amore del Signore non abbandona nessuno, che anche la Chiesa li ama ed è casa accogliente per tutti, che essi rimangono membra della Chiesa anche se non possono ricevere l’assoluzione sacramentale e l’eucaristia. Le comunità cattoliche siano accoglienti verso quanti vivono in tali situazioni e sostengano cammini di conversione e di riconciliazione».

 

RISPOSTA ALLE OBIEZIONI PIU’ COMUNI
Sempre più spesso viene suggerito che la decisione di accostarsi o meno alla comunione eucaristica dovrebbe essere lasciata alla coscienza personale dei divorziati risposati. Questo argomento, che si basa su un concetto problematico di “coscienza”, è già stato respinto nella lettera della Congregazione del 1994. Certo, in ogni celebrazione della messa i fedeli sono tenuti a verificare nella loro coscienza se è possibile ricevere la comunione, possibilità a cui l’esistenza di un peccato grave non confessato sempre si oppone. Essi hanno pertanto l’obbligo di formare la propria coscienza e di tendere alla verità; a tal fine possono ascoltare nell’obbedienza il magistero della Chiesa, che li aiuta «a non sviarsi dalla verità circa il bene dell’uomo, ma, specialmente nelle questioni più difficili, a raggiungere con sicurezza la verità e a rimanere in essa» (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor, n. 64).

Se i divorziati risposati sono soggettivamente nella convinzione di coscienza che il precedente matrimonio non era valido, ciò deve essere oggettivamente dimostrato dalla competente autorità giudiziaria in materia matrimoniale. Il matrimonio non riguarda solo il rapporto tra due persone e Dio, ma è anche una realtà della Chiesa, un sacramento, sulla cui validità non solamente il singolo per se stesso, ma la Chiesa, in cui egli mediante la fede e il Battesimo è incorporato, è tenuta a decidere. «Se il matrimonio precedente di fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione non può essere considerata lecita in alcun caso, per il fatto che la recezione dei Sacramenti non si può basare su ragioni interiori. La coscienza del singolo è vincolata senza eccezioni a questa norma» (cardinale Joseph Ratzinger, La pastorale del matrimonio deve fondarsi sulla verità, «L’Osservatore Romano», 30 novembre 2011, pagine 4-5). Anche la dottrina dell’epichèia, secondo la quale una legge vale sì in termini generali, ma non sempre l’azione umana vi può corrispondere totalmente, non può essere applicata in questo caso, perché l’indissolubilità del matrimonio sacramentale è una norma di diritto divino, che non è dunque nella disponibilità autoritativa della Chiesa. Questa ha, tuttavia, il pieno potere — sulla linea del privilegio paolino — di chiarire quali condizioni devono essere soddisfatte prima che un matrimonio possa definirsi indissolubile secondo il senso attribuitogli da Gesù. Su questa base, la Chiesa ha stabilito gli impedimenti al matrimonio che sono motivo di nullità matrimoniale e ha messo a punto una dettagliata procedura processuale.

Un’ulteriore tendenza a favore dell’ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti è quella che invoca l’argomento della misericordia. Poiché Gesù stesso ha solidarizzato con i sofferenti donando loro il suo amore misericordioso, la misericordia sarebbe quindi un segno speciale dell’autentica sequela. Questo è vero, ma è un argomento debole in materia teologico-sacramentaria, anche perché tutto l’ordine sacramentale è esattamente opera della misericordia divina e non può essere revocato richiamandosi allo stesso principio che lo sostiene. Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia. Gesù ha incontrato la donna adultera con grande compassione, ma le ha anche detto: «Va’, e non peccare più» (Giovanni, 8, 11). La misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della Chiesa; anzi, essa concede la forza della grazia per la loro piena realizzazione, per il rialzarsi dopo la caduta e per una vita di perfezione a immagine del Padre celeste.

 

L’ATTENZIONE E LA CURA PASTORALE VERSO I DIVORZIATI RISPOSATI
Anche se, per l’intima natura dei sacramenti, l’ammissione a essi dei divorziati risposati non è possibile, a favore di questi fedeli si devono rivolgere ancora di più gli sforzi pastorali, per quanto questi debbano rimanere in dipendenza dalle norme derivanti dalla Rivelazione e dalla dottrina della Chiesa. Il percorso indicato dalla Chiesa per le persone direttamente interessate non è semplice, ma queste devono sapere e sentire che la Chiesa accompagna il loro cammino come una comunità di guarigione e di salvezza. Con il loro impegno a comprendere la prassi ecclesiale e a non accostarsi alla comunione, i partner si pongono a loro modo quali testimoni della indissolubilità del matrimonio. La cura per i divorziati risposati non dovrebbe certamente ridursi alla questione della recezione dell’eucaristia. Si tratta di una pastorale globale che cerca di soddisfare il più possibile le esigenze delle diverse situazioni. È importante ricordare, in proposito, che oltre alla comunione sacramentale ci sono altri modi di entrare in comunione con Dio.

L’unione con Dio si raggiunge quando ci si rivolge a lui nella fede, nella speranza e nella carità, nel pentimento e nella preghiera. Dio può donare la sua vicinanza e la sua salvezza alle persone attraverso diverse strade, anche se esse si trovano a vivere in situazioni contraddittorie. Come rimarcano costantemente i recenti documenti del Magistero, i pastori e le comunità cristiane sono chiamate ad accogliere con apertura e cordialità le persone che vivono in situazioni irregolari, per essere loro accanto con empatia, con l’aiuto fattivo e per far loro sentire l’amore del Buon Pastore. Una cura pastorale fondata sulla verità e sull’amore troverà sempre e nuovamente in questo campo le strade da percorrere e le forme più giuste.

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40 commenti a Le ragioni della Chiesa sui divorziati risposati

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  1. Fabrizia ha detto

    D’accordo con l’articolo. Ma ho un problema. Se io sono sposata in Chiesa, ma mi accorgo che purtroppo mi sono proprio sbagliata, e divorzio e trovo un bravo uomo con il quale ho finalmente una vita famigliare felice…non posso accostarmi all’Eucaristia.
    Se invece di divorziare prendo il fucile e faccio fuori mio marito, e magari anche i suoceri, e magari anche i cognati…e vado in galera, e poi mi pento, mi posso sposare nella chiesa del carcere con un codetenuto e posso ricevere l’Eucaristia. Perché mi sembra che ci sia qualcosa che non va?

    • Ottavio ha detto in risposta a Fabrizia

      Essendo un caso estremo bisogna accertare che tu possa davvero sposarti in chiesa e ricevere l’Eucarestia dopo aver ucciso tuo marito come ipotizzi, facendo avverare con la forza l’indicazione del “finché morte non vi separi”. Certamente è un caso previsto e a cui è stata data risposta, ma ci vorrebbe un teologo che chiarisse.

    • manuzzo ha detto in risposta a Fabrizia

      già ha risposto l’articolo: se anche per te la felicità non dipende dal sesso, vale che:
      “3. L’ammissione all’eucaristia non può tuttavia essere loro concessa. In relazione a questo viene addotto un duplice motivo: a) «il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’eucaristia»; b) «se si ammettessero queste persone all’eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio». Una riconciliazione mediante il sacramento della penitenza — che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico — può essere accordata solo sulla base del pentimento rispetto a quanto accaduto, e sulla disponibilità «a una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio». Ciò comporta, in concreto, che quando la nuova unione non può essere sciolta per seri motivi — quali, ad esempio, l’educazione dei figli — entrambi i partner «assumono l’impegno di vivere in piena continenza». Se poi la felicità dipende dal numero medio di rapporti sessuali/unità di tempo, allora significa che già hai trovata una religione più consona alle tue esigenze (non entro nel merito di dire se è una religione vera o sbagliata)”

      Io il fucile lo lascerei ai neonazisti e (soprattutto) ai neocomunisti che spopolano ormai. Anche perché se uccidi in base a ragionamenti religiosi(= non atei, anche se quello che hai fatto non capisco quale religione te lo possa consentire, ateismo a parte) difficilmente troverai un magistrato che sia accondiscendente a una tua richiesta di pietà…

      Mi permetto inoltre di dare un consiglio: visto che ad aumentare il numero di rapporti sessali/unità di tempo sono tutti bravi e concordanti(quanto si f**** sono tutti d’accordo, scusa la volgarità ma mi è necessaria per farmi capire), è meglio che ci sia un periodo in cui i partner, almeno inizialmente, evitino tale pratica e si dedichino alla vera conoscenza reciproca e totale. Tanto far concordare i partner nell’intimità già ci ha pensato “la natura”.

      Mi scuso per la lunghezza del commento. Saluti

      • Fabrizia ha detto in risposta a manuzzo

        Caro Manuzzo, la mia domanda è semplice. Perché un omicida (mettiamo che ha ucciso la moglie) pentito e vedovo può risposarsi e accedere all’Eucarestia, e uno che non uccide la moglie ma divorzia, no? È certo gravissimo il divorzio. Ma a me pare più grave l’omicidio.

        • profundo martinez ha detto in risposta a Fabrizia

          Dura lex sed lex.
          Non sempre un Cristiano devo capire tutto per filo e per segno. A volte l’obbedienza è più importante della comprensione. Altrimenti si finirebbe nelle grinfie di quella dittatura della curiosità mondana di cui parla magistralmente Papa Francesco.
          Dio ha un disegno anche per i concubini divorziati. Purché confessino i propri peccati e vivano il senso di colpa in maniera sinceramente Cristiana.
          Dio è infinitamente misericordioso ma come ha scritto perfettamente il grande Mueller “la misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della Chiesa; anzi, essa concede la forza della grazia per la loro piena realizzazione, per il rialzarsi dopo la caduta e per una vita di perfezione a immagine del Padre celeste.”

          • manuzzo ha detto in risposta a profundo martinez

            Allora, mi scuso perché non ho centrato in pieno la domanda, ora cerco di essere sintetico: egli (l’uxoricida) può accedere al sacramento dopo la confessione. Ma se si confessa e sa che invece continua a uccidere, che confessione è? E questo vale per qualsiasi peccato mortale (furto, falso, e non da ultimo adulterio…). Così, se per forza di cose l’intrattenere rapporti sessuali al di fuori del matrimonio sacramentale (cosa diversa dal semplice divorzio, esso non implica infatti che si deve per forza avere relazioni sessuali con una persona che non sia l’ex moglie/marito), è chiamato adulterio, e il risposato confessa l’adulterio con l’intenzione di continuare a praticarlo, a cosa serve tale confessione? Se fosse onesto con se stesso eviterebbe comunque di confessarsi e quindi di comunicarsi (si segue un solo padrone, mi dispiace); la Chiesa nello svolgere il suo ruolo, pur incontrando malcontento popolare, invita semplicemente alla coerenza.. Si tratta solo di aggiungere un parametro al ragionamento (pertinente, per l’amor del Cielo) effettuato da te, tutto qui; nessuno che sia sano di mente dice che uccidere (un non innocente) è meglio (o meno peggio) di risposarsi.

            • profundo martinez ha detto in risposta a manuzzo

              Al netto di alcuni passaggi quasi neognostici si può concordare col succo della vostra argomentazione.
              Non ritiene che si rischi di sottovalutare il Sacramento della Penitenza. Ricordiamoci che per La Chiesa Cattolica Confessione è prima di tutto Conversione.

        • manuzzo ha detto in risposta a Fabrizia

          ho risposto a profundo, ma la risposta andava posta qui. Chiedo venia.

        • Ottavio ha detto in risposta a Fabrizia

          Ma chi ha detto che è come dice Fabrizia?

        • lorenzo ha detto in risposta a Fabrizia

          Hai perfettamente ragione quando affermi che “un omicida (mettiamo che ha ucciso la moglie) pentito e vedovo può risposarsi e accedere all’Eucarestia, e uno che non uccide la moglie ma divorzia, no”, anche se ritengo sarebbe molto più ‘pulito’, per potersi risposare, pagare dei falsi testimoni per ottenere l’annullamento del matrimonio.

          Tuttavia dimentichi che: “chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.(1Cor 11.27-29)”

          Io, come cattolico, preferisco mille volte stare lontano dalla S. Eucaristia che rendermi responsabile di uno dei quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio come lo è l’omicidio volontario.

    • Lorenz ha detto in risposta a Fabrizia

      Be, innanzitutto quando facciamo ragionamenti coi “se” ci poniamo sempre su di un livello di dubbia solidità e ci si dovrebbe prima interrogare della legittimità di tali ragionamenti. Ma al ogni modo…

      Il tuo ragionamento può sembrare lineare, ma -a mio parere- presenta due “limiti”:
      1) Quando si entra nella comunità cristiana e si celebrano i suoi Sacramenti, e ripeto Sacramenti, si deve essere consapevoli del loro pieno valore e significato, quindi se si sceglie di divorziare si deve essere consapevoli delle conseguenze gravose a cui si va incontro (fatta eccezione per i casi particolari);
      2) Ma più significativo è il secondo “limite”; lei dice: “uccido mio marito, mi pento di quello che ho fatto e posso sposare quell’altro uomo”. Certo, sembrerebbe teoricamente possibile, pur fortemente cinico. Tuttavia quando si parla di vero pentimento si parla di piena contrizione, non di sola attrizione; e la prima è molto più difficile da raggiungere della seconda. Per di più se si progetta di uccidere il proprio marito per poter sposarne un altro, si potrà magari essere “a posto” dal punto di vista della casistica, ma di fronte a Dio, e questo è quello che conta per un vero cristiano, si sarà sempre colpevoli, poiché si sarà uccisa un persona per raggiungere un preciso obiettivo.

      Non so se mi sono bene spiegato, ma io la vedo così.

      • Lorenz ha detto in risposta a Lorenz

        In poche parole, un po’ come ha detto indirettamente alla fine del suo commento il mio omonimo, è difficile conciliare un amore così egoistico e cinico -come quello che hai descritto- con il vero pentimento di contrizione ed il vero Amore, quello che proviene direttamente da Dio.

    • Emanuele ha detto in risposta a Fabrizia

      …capisco la tua perplessità e provo a rispondere.

      Nel caso dell’omicidio tu hai commesso peccato una sola volta. Se il tuo pentimento è sincero puoi accostarti ai sacramenti

      Se tu divorzi e vivi more uxorio con il nuovo compagno, ogni giorno reiteri il peccato di adulterio. Il problema, come spiegato nell’articolo, non è tanto la separazione (che in certi casi non solo è legettima ma doverosa, es. compagno violento), ma il fatto che vivi con il nuovo compagno come se fosse tuo marito.

      Se invece vivi con il tuo nuovo compagno in amicizia e continenza (del resto non credo che la vita di coppia si possa ridurre al solo atto sessuale) non c’è nulla di male.

      Purtroppo, come ha spiegato anche qualcun altro, queste regole ce le ha date proprio Gesù. Infatti, la morale matrimoniale è uno degli argomenti più chiari di tutto il Vangelo. Lo stesso Gesù ammise che era molto difficile da comprendere:

      Gli dissero i discepoli: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”.
      Egli rispose loro: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso.
      ” (Mt 19, 10-11)

      • Fabrizia ha detto in risposta a Emanuele

        Seguo il tuo ragionamento. Rimane però la sproporzione. Altro esempio: un medico abortista. Mettiamo che compia migliaia di aborti. Poi, finalmente, si pente sinceramente, viene assolto e può ricevere la comunione. Un uomo ( o donna) che si è sbagliato in buona fede nella scelta del coniuge, o anche che viene lasciato senza sua colpa dal coniuge e che si risposa, invece no. È vero che l’omicida ha peccato una volta o migliaia di volte e poi non più, mentre il divorziato risposato pecca ogni giorno, ma mi sembra che ci sia una sproporzione nella gravità dei peccati. E comunque, le vittime dell’omicida, non otterranno mai riparazione: l’omicidio è irreparabile. Il pentimento è sincero sia nel caso dell’omicida, sia nel caso della persona che si pente sinceramente dell’errore fatto nello sposare la persona sbagliata. Non posso pensare che si consideri più grave l’errore di chi sceglie la persona sbagliata dell’errore di chi le persone le uccide. Penso che la soluzione sia nel considerare che le persone possono sbagliarsi. Si sbagliano nella scelta degli amici, di un lavoro, e anche del coniuge. Probabilmente tante unioni che chiamiamo matrimoni, non sono dei matrimoni. Forse ci vuole più misericordia alla Sacra Rota.

        • Emanuele ha detto in risposta a Fabrizia

          Cara Fabrizia,

          devo fare alcune precisazioni.

          1. Prima di tutto, un omicida o soprattutto una medico che ha praticato aborti, su cui pende la scomunica automatica, dovrà intraprendere un serio itinerario di conversione, prima di poter ottenere l’assoluzione.

          La vulgata laicista, vorrebbe che ad un mafioso pluriomicida basta un “Pater, Ave e Gloria” per riabilitarsi… nulla di più falso. Non solo il pentimento deve essere sincero, ma la persona deve aver dimostrato con atti concreti, il suo pentimento.

          Ad esempio, non si dovrebbe dare l’assoluzione ad un omicida, se prima non si è costituito alle pubbliche autorità. Oppure, per l’aborto è necessario il Vescovo oppure un penitenziere da lui nominato appositamente.

          Va tenuto anche conto che si può ingannare l’uomo, ma non Dio. La confessione senza reale pentimento e conversione è nulla. Inoltre, tentare la Misericordia Divina è un grave peccato. Purtroppo ci sono sacerdoti che impartiscono l’assoluzione con troppa facilità. Essi illudono i fedeli e sarà chiesto loro conto nel giorno del Giudizio.

          Per chi vive more uxorio con il nuovo compagno non ci può essere assoluzione, perché il penitente non intende smettere di peccare.

          3. Su divorzio, il problema non ammettere lo sbaglio. Purtroppo è vero che molte persone si avvicinano al matrimonio superficialmente (spesso a causa anche di parroci e prelati, impegnati in tante attività, ma poco nella pastorale matrimoniale), ma ciò non riduce la loro responsabilità, dato che ci si sposa da adulti.

          Purtroppo (o per fortuna, per meglio dire), l’inscindibilità del matrimonio l’ha stabilita Dio, non l’uomo.

          Venendo alla Sacra Rota… anche qui c’è molta disinformazione. Prima di tutto non è vero che è accessibile solo ai ricchi (esiste il gratuito patrocinio ed una dichiarazione di nullità costa molto meno di una separazione consensuale). Secondo, non è vero che è difficilissimo ottenere la dichiarazione di nullità

          Basta infatti un testimone che dichiari che uno degli sposi aveva dubbi prima del matrimonio e che si è sposato solo per “fare contento il fidanzato/a” o “per pressioni da parte delle famigle”. Spesso il costo elevato della Sacra Rota è dovuto proprio al “prezzo” dei falsi testimoni, forniti da avvocati senza scrupoli… Anch’essi risponderanno a loro tempo.

          Quindi, chi desidera l’annullamento basta che trovi un amico disposto a testimoniare le sue perplessità… vere o false che siano. Non mi pare così difficile… Ovviamente, anche in questo caso si può ingannare l’uomo, non Dio.

          • Fabrizia ha detto in risposta a Emanuele

            Ritengo scontato che il pentimento sia sincero. Ho ucciso, sono in galera dove sconto la pena, mi converto, mi pento e sono ammesso all’Eucaristia. Non ho ucciso nessuno, mi sono sbagliato di coniuge, divorzio perché non voglio ucciderlo, mi innamoro e mi risposo e non sono ammesso all’Eucaristia.

            • lorenzo ha detto in risposta a Fabrizia

              Puo essere assolta una persona che non ha intenzione di recedere dal peccato in cui vive?
              Ti suggerisce nulla la storia di Giuda?

            • Lorenz ha detto in risposta a Fabrizia

              Bisogna precisare che ci sono “2 gradi” di pentimento:
              1) Quello immediato è l’attrizione, ovvero il pentimento per paura di essere condannati per il male fatto;
              2) Il pentimento “vero”, più elevato, ovvero la contrizione, il pentimento per la consapevolezza di aver offeso, coi propri atti, Dio stesso. Tecnicamente il fedele potrebbe riceve l’assoluzione solo se si trova in questo secondo caso, ma le norme sono ora più “leggere”.

              Ora è difficile conciliare, come già detto sopra, questo stato alto e difficile da raggiungere con un progetto così cinico ed egoistico come quello da noi ipotizzato ora.

              Per il resto allora anche un bestemmiatore, ladro, adultero, bugiardo, violento, iracondo, invidioso, geloso, apostata può ricevere l’Eucarestia, e un divorziato risposato no, ma egli deve essere consapevole che egli non sta ricevendo il Corpo di Cristo semplicemente di fronte a quel prete (che non può conoscere la sua condizione interna) ma di fronte a Dio, che conosce esattamente la sua condizione.

            • Emanuele ha detto in risposta a Fabrizia

              Cara Fabrizia,

              Il punto è questo. Se ti sei sposata per amore, l’amore non accetta ripensamenti… Perché l’amore coniugale è specchio di quello divino: Dio è fedele, non cambia idea.

              Per questo il sacramento (ogni sacramento) è indissolubile. Se ti sei sposata dicendo di amare il tuo coniuge e non era vero, hai ingannato lui, la Chiesa e soprattutto te stessa.

              Se nessuno ti ha obbligata, il matrimonio è una tua scelta e le scelte hanno conseguenze. Sposarsi è come avere un figlio, non si può dire “non lo amo più”.

              • Fabrizia ha detto in risposta a Emanuele

                Forse allora è anche per questo che diminuiscono i matrimoni in Chiesa. Perché molti si sentono incapaci di promettere un impegno per tutta la vita, perché conoscono i propri limiti.

                • lorenzo ha detto in risposta a Fabrizia

                  Se le persone imparassero a conoscerei propri limiti ed agissero di conseguenza, i matrimoni non fallirebbero.

                • Emanuele ha detto in risposta a Fabrizia

                  Esatto, conoscono i propri limiti, ma disperano della Grazia di Dio. Il sacramento del matrimonio serve per dispensare le Grazie necessarie a superare i limiti umani.

                  Molti, invece che fidarsi di Dio, pensano di fare tutto da se: “io scelgo la persona giusta”, “io gestisco il mio rapporto”, io, sempre io…

                  Il fallimento è dietro l’angolo… Infatti è lo stesso peccato di superbia commesso da Adamo ed Eva. Invece di fidarsi di Dio, decisero di fare da se, pensando di essere più bravi di Dio.

                  • Marco ha detto in risposta a Emanuele

                    Molte persone non hanno disperato della grazia di Dio.

                    Né superbamente si sono sostituite a Dio.

                    Sono state VERAMENTE SFORTUNATE.

                    Da cristiano mi sembri un po’ troppo “spietato”.

                    E “superbamente” fin troppo sicuro di te nel giudicare

              • Marco ha detto in risposta a Emanuele

                Lo ripeterò per l’ultima volta.

                Il sacramento matrimoniale è dissolubile in tutti i casi stabiliti dal diritto canonico. Non da me. Non da te. Dalla Chiesa. A partire dal medioevo.

                Almeno tre casi (Rato non consumato, violenza, rapporti sessuali costantemente non rispettosi di tutta la morale cattolica – se vuoi approfondire libero di farlo).

                Capisco che sbagli in buona fede. Ma la dottrina non può essere cambiata perché non ti piace.

                Negare la dissolubilità del sacramento del matrimonio equivale a negare la vicaria potestà divina del papa.

                Ho capito che lo fai in buona fede. Ma ho il dovere fraterno di correggerti e di evitare che continui a diffondere inesattezze

                • lorenzo ha detto in risposta a Marco

                  Il sacramento matrimoniale è INDISSOLUBILE: può essere invalido o nullo ma non dissolubile.

                  • Marco ha detto in risposta a lorenzo

                    Poiché non hai letto il mio intervento mi vedo costretto a ripostarlo

                    Ti do un consiglio : studia il diritto canonico

                    Lo ripeterò per l’ultima volta.

                    Il sacramento matrimoniale è dissolubile in tutti i casi stabiliti dal diritto canonico. Non da me. Non da te. Dalla Chiesa. A partire dal medioevo.

                    Almeno tre casi (Rato non consumato, violenza, rapporti sessuali costantemente non rispettosi di tutta la morale cattolica – se vuoi approfondire libero di farlo).

                    Capisco che sbagli in buona fede. Ma la dottrina non può essere cambiata perché non ti piace.

                    Negare la dissolubilità del sacramento del matrimonio equivale a negare la vicaria potestà divina del papa.

                    Ho capito che lo fai in buona fede. Ma ho il dovere fraterno di correggerti e di evitare che continui a diffondere inesattezze

  2. Antony ha detto

    Perchè è pentito, mentre due divorziati risposati, se non vivono la castità, non sono pentiti di nulla, tutta qui la differenza!!!

    • profundo martinez ha detto in risposta a Antony

      In realtà possono vivere nello stesso letto purché non procreino.

      • MALTA1991 ha detto in risposta a profundo martinez

        si ma se è quasi impossibile rimanere casti tra due fidanzati , figurati tra divorziati e poi risposati….
        Io stimo il Cristianesimo , ma due anni fa votai a favore dell introduzione del divorzio a Malta , proprio per permettere alle persone di avere una seconda chance ….
        Chi si sposa con Rito Cattolico LE DIVORZJU (No divorzio) , in modo che la Sacralità della Chiesa non venga toccata , ma chi sceglie il Rito Civile avrebbe tutto il diritto di divorziare , visto che dinanzi a Dio non ce stato giuramento .
        La questione è spinosa , atimo la Chiesa ma rispetto anche chi vuole rifarsi una nuova vita.

        • Sophie ha detto in risposta a MALTA1991

          “ma chi sceglie il Rito Civile avrebbe tutto il diritto di divorziare , visto che dinanzi a Dio non ce stato giuramento .”

          Tu non hai capito che il giudizio divino c’è anche per chi si sposa con rito civile. La base del cristianesimo è quella di preoccuparsi pure degli e di non essere egoisti.

        • Emanuele ha detto in risposta a MALTA1991

          Il divorzio danneggia la società, indipendentemente da Dio.

          1. Se ci sono i figli, essi subiscono gravi traumi. Si troveranno nella spiecevole situazione se vivere con il padre o con la madre. Dovranno inoltre subire il dramma di vedere la propria madre (o padre) convivere con un altro uomo (donna).

          Spesso subiscono dure pressionei psicologiche da parte dei nuovi compagni dei genitori che, anche involontariamente, intralciano il “lavoro” dei genitori naturali.

          Se i nuovi compagni hanno già figli, scatteranno facili rivalità tra fratellastri per contendersi l’attenzione dei genitori e compagni.

          2. Anche se non ci sono figli, le cose non andrebbero meglio. La vita coniugale richiede un grande sacrificio di entrambi i coniugi. In caso di separazione, la parte più debole (solitamente la donna) subisce i maggiori disagi economici e psicologici.

          A poco valgono i risarcimenti (alimenti, mantenimento, etc.); infatti, o non sono sufficienti, poiché il coniuge più abbiente farà di tutto per non pagare, oppure il coniuge “debole”, solitamente la moglie, fruttando leggi inique diventerà una specie di sanguisuga costringendo l’ex alla bancarotta.

          Non è dunque questione di giuramento né di dare seconde possibilità. La seconda possibilità già c’è: separazione per giusta causa (che spero si contemplata anche a Malta).

          Chi però si è dimostrato immaturo per una vita coniugale, abbia il buon senso di non ripetere l’errore… Il divorzio è nato con uno scopo preciso: dare legittimità alle unioni adultere tra potenti ed amanti di turno.

      • EquesFidus ha detto in risposta a profundo martinez

        No, basta che non abbiano rapporti sessuali di alcun genere.

        Per quanto riguarda i loop ideologici di Malta1991, ho già risposto in abbondanza qui ed altrove.

      • manuzzo ha detto in risposta a profundo martinez

        Il punto è che purtroppo la gente è convinta che non può vivere senza sesso. E tale superstizione è destinata a incrementare, oltre a sfociare sempre più spesso nei comodi culti pagani e/o atei

  3. Antony ha detto

    I peccati contro i 10 Comandamenti hanno tutti la stessa gravità.

    • profundo martinez ha detto in risposta a Antony

      Forse il primo e il terzo sono quelli che hanno gravità maggiore

    • EquesFidus ha detto in risposta a Antony

      No, hanno gravità crescente man mano che ci si allontana dall’amore e dalla grazia di Dio, ovverosia i primi sono ben più gravi degli ultimi. Poi chiaramente entrano in gioco i concetti di peccato veniale e di peccato mortale, per cui anche un peccato contro il Primo Comandamento può non condurre alla morte dell’anima comeinvece, per esempio, uno contro l’ottavo.

  4. Daniele ha detto

    Comunque per gli ortodossi ottenere il divorzio ecclesiastico non è così scontato come potrebbe sembrare: ogni richiesta deve, infatti, essere vagliata da un Vescovo, esattamente come nella Chiesa Cattolica l’annullamento del Matrimonio viene sancito da un’Autorità (la Sacra Rota). Però è vero che i Vescovi ortodossi concedono l’annullamento del Matrimonio in un maggior numero di casi rispetto a quelli in cui la Sacra Rota lo concede, e quindi quella dell’indissolubilità del Matrimonio è un’importante questione ecumenica da affrontare, visto che il Matrimonio è un Sacramento.

    • Emanuele ha detto in risposta a Daniele

      Certamente le esigente spirituali dei divorziati non dovrebbero essere trascurate. Va anche tenuto conto che un numero non indifferente di persone subisce il divorzio senza volerlo.

      Il problema principale sembra essere la possbilitià di comunicarsi. Una sana pastorale per i divorziati dovrebbe indicare la possibilità della comunione spirituale, un vero tesoro di grazie, che renderà piena la partecipazione alla Santa Messa per tutti.

      http://www.preghiereperlafamiglia.it/comunione-spirituale.htm

      …purtroppo non tutti i parroci comprendono questo grande dono di grazia…

  5. J.B. ha detto

    Gli piace scrivere a Müller eh? 🙂

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