Fine vita, la Corte Costituzionale frena il suicidio assistito
- Ultimissime
- 21 Mag 2025
Con la sentenza di ieri la Corte Costituzionale ha frenato il suicidio assistito, dando priorità al diritto alla vita. Ha infatti respinto l’estensibilità del suicidio legale, mantenendolo come eccezione legittima solo in alcuni casi.
La Corte Costituzionale si è espressa ieri sul fine vita con un importante pronunciamento.
Abbiamo perciò chiesto ai giuristi Daniele Trabucco e Aldo Vitale di spiegare i termini della sentenza in maniera chiara e comprensibile a tutti i lettori di UCCR, esperti e meno esperti del tema.
di Daniele Trabucco*
*docente di Diritto costituzionale
e Aldo Rocco Vitale*
*docente di Filosofia del diritto
Con la sentenza n. 66/2025 del 20 maggio 2025 la Corte Costituzionale si è espressa sul fine vita.
Interpellata dal GIP del Tribunale di Milano per pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice Penale che sanziona l’assistenza al suicidio, ha respinto i dubbi di costituzionalità sollevati dalla toga meneghina.
Le precedenti sentenze della Corte Costituzionale
La predetta sentenza si inserisce all’interno di una serie di pronunce che negli ultimi anni la Consulta ha emanato in tema di fine vita e assistenza al suicidio, cominciando dalla celebre sentenza n. 242/2019 sul caso Fabo-Cappato, fino alla più recente statuizione n. 135/2024.
Il problema sostanziale – così da semplificare la vicenda giuridica a favore di quanti giuristi non sono – consiste nell’estensione della legittimità dell’assistenza al suicidio dopo la sua parziale ammissione con la sentenza del 2019.
Con la sentenza n. 242/2019, infatti, la Corte Costituzionale aveva stabilito la parziale illegittimità costituzionale del divieto assoluto di assistenza al suicidio che era contemplata dal Codice Penale italiano, dovendosi invece prevedere, secondo il giudizio della Consulta, una flessibilità all’interno di quattro criteri che la stessa Corte Costituzionale si è premurata di fornire.
Per il giudice di costituzionalità, infatti, l’assistenza al suicidio diventa costituzionalmente legittimo – fuoriuscendo dal divieto previsto dall’articolo del Codice Penale – qualora ricorrano le seguenti quattro condizioni in una persona:
(a) affetta da una patologia irreversibile;
(b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili;
(c) la quale sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale;
(d) ma resti capace di prendere decisioni libere e consapevoli;
Cos’ha deciso ieri la Corte Costituzionale
Dopo la suddetta statuizione sono aumentati i tentativi di estendere la portata degli spazi aperti dalla Corte Costituzionale, giungendo così alla sentenza di ieri, n. 66/2025.
I dubbi di legittimità costituzionale, in questa occasione, si sono focalizzati proprio sulla possibilità di estendere in via interpretativa la possibilità di ricorrere all’assistenza al suicidio anche per pazienti che non sono ancora sottoposti ai trattamenti di sostegno vitale.
Si è, insomma, tentato di allargare la portata del terzo criterio originariamente contemplato dalla stessa Corte Costituzionale, chiedendole se sia legittima una tale estensione.
Ma la Corte Costituzionale ha respinto in modo categorico e indiscutibile una tale possibilità, ritenendo che non vi è alcuna violazione del principio di uguaglianza, e quindi nessuna discriminazione tra malati che versano in differenti condizioni, e che nessuna violazione della Costituzione rappresenta l’impossibilità di accedere all’assistenza al suicidio per i pazienti non ancora sottoposti ai trattamenti di sostegno vitale, poiché è sempre possibile rinunciare ai trattamenti intrapresi o rifiutarsi di intraprendere nuovi trattamenti terapeutici.
La Corte peraltro – richiamando esplicitamente la sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo Karsai vs Ungheria del 13 giugno 2024 – ha reputato che esiste un ampio margine di discrezionalità per il legislatore che può dunque prevedere gradazioni di disciplina distinte nel disciplinare l’accesso alle procedure di assistenza al suicidio.
Infine, la Consulta ha ribadito l’importanza dell’esistenza di una “cintura di protezione” del diritto alla vita all’interno dell’ordinamento giuridico italiano che è volta ad assicurare la tutela dei diritti fondamentali dei soggetti più deboli come anziani, malati, minori, pazienti terminali che potrebbero essere indotti al suicidio, per cui è bene che non vi sia un accesso illimitato all’assistenza al suicidio.
La sentenza n. 66/2025 della Corte Costituzionale, in definitiva, ribadisce che l’assistenza al suicidio possa e anzi debba rimanere l’eccezione, che non può diventare la regola, e che, in sostanza, c’è un rilevante e prevalente interesse di tutela del diritto alla vita all’interno del sistema giuridico e costituzionale italiano.
4 commenti a Fine vita, la Corte Costituzionale frena il suicidio assistito
Non ho comunque mai capito perché siete contrari al suicidio assistito, chi me lo spiega?
In sintesi, la giustificazione di eutanasia e suicidio assistito avviene sulla base di alcuni presupposti: che la vita sia una nostra proprietà oppure rivendicando l’autodeterminazione. La contrarietà quindi deve applicarsi a monte sulle basi giustificatorie dell’eutanasia e del suicidio (assistito o meno).
Sulla prima tesi si deve dire la categoria di proprietà è inapplicabile alla vita: non possiamo venderla né acquistarla; se viene distrutta, il suo proprietario sparisce con lei necessariamente e non può sostituirla con un’altra; e se vogliamo essere pignoli, nel nostro ordinamento la proprietà ha una funzione sociale e ciò già elimina in partenza la possibilità che della vita uno possa farne quel che vuole.
Reclamare l’autodeterminazione per legittimare l’eutanasia è poi contraddittorio: per autodeterminarmi devo essere vivo, se scelgo di autodeterminarmi in ordine alla morte elimino la mia stessa autodeterminazione. Equivale a ridursi volontariamente in schiavitù.
Infine, poiché chi giustifica queste pratiche lo fa solo in specifici casi di asserita sofferenza, va detto che questa è soggettiva per cui diventa quantomeno arduo porre limiti stringenti alla pratica.
Se invece si propende per criteri oggettivi (quali quelli indicati dalla Consulta), oltre a quanto già rilevato per l’autodeterminazione, si crea una discriminazione tra due categorie di malati: quelli la cui vita viene ritenuta meno degna e quindi che possono accedere al suicidio/eutanasia, e coloro per i quali l’autodeterminazione non conta perché la dignità della loro vita è ancora troppo “alta”.
@Michele ti ringrazio della risposta ma credo che ci sia una visione inconciliabile tra noi sul concetto di autodeterminazione. Tu dici che non può includere la scelta di morire e io dico che dicendo così stabilisci un confine arbitrario alla libertà personale. Da questa inconciliabilità di base ognuno va per la sua strada
Dire che l’autodeterminazione nega se stessa quando annulla la condizione (la vita) su cui può esercitarsi non ha nulla di arbitrario, è solo una deduzione, che ritengo impossibile da confutare.
Sono anzi i fautori dell’autodeterminazione a porre limiti arbitrari. Anche per loro si impone il problema della convivenza delle libertà individuali, ed infatti ritengono che ognuno sia libero di fare ciò che vuole senza nuocere a nessuno.
Poiché il loro concetto di libertà implica che ognuno possa decidere della sua vita, dei suoi valori, delle sue aspirazioni come gli pare diventa impossibile trovare un fondamento comune alla convivenza: i criteri con cui uno giudica dannose le proprie azioni o quelle altrui sono esclusivamente soggettivi, anzi più si insiste sull’autodeterminazione e sul pluralismo, più l’area dei presunti valori condivisi si assottiglia.
L’unica via per la convivenza è che ci sia un soggetto (in un regime democratico la maggioranza) che impone anche ai dissenzienti il criterio da lui scelto. Imposto perché chi lo subisce ha scelto legittimamente (secondo la dottrina liberaldemocratica) altri criteri. Ed arbitrario, perché è solo una “verità” tra le altre, che oggi c’è e domani può cambiare, in base al sentire sociale o al costume.