La proposta di abolire il quorum è un’idea sbagliata

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Dopo l’esito dei referendum abrogativi è nata una campagna per abolire il quorum. Abbiamo chiesto a due giuristi di esporre i motivi per cui è un’iniziativa sbagliata e delicata per la democrazia.


 

Daniele Trabucco*
*docente di Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML San Domenico

Aldo Vitale*
*docente di Filosofia del Diritto presso l’Università Europea di Roma

 

A seguito del mancato raggiungimento del quorum partecipativo nei referendum abrogativi promossi dalla CGIL e svoltisi nei giorni 8 e 9 giugno 2025, il dibattito pubblico e politico ha riacceso i riflettori sull’istituto del referendum disciplinato dall’art. 75 della Costituzione repubblicana vigente.

In particolare, hanno cominciato a circolare proposte di riforma costituzionale volte, da un lato, all’innalzamento del numero di sottoscrizioni richieste per la presentazione del quesito referendario, attualmente fissato in cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali, e, dall’altro, alla riduzione o addirittura alla soppressione del quorum partecipativo del 50% degli aventi diritto al voto.

 

Abolizione del quorum, perché no

Tali ipotesi, per quanto presentate come strumenti di razionalizzazione dell’istituto o di stimolo alla sua effettività, si prestano ad una valutazione critica sotto il profilo giuridico-costituzionale, poiché incidono in modo rilevante su un presidio essenziale della democrazia partecipativa, ponendo a rischio l’equilibrio tra rappresentanza e sovranità popolare.

Sul piano strettamente costituzionale, la soglia delle cinquecentomila firme per l’attivazione del procedimento referendario abrogativo non rappresenta una mera condizione quantitativa, bensì un’espressione sostanziale del principio di partecipazione, che bilancia l’accessibilità democratica con l’esigenza di evitare un uso inflazionato dello strumento.

Aumentare tale soglia equivarrebbe a frapporre ulteriori ostacoli alla già complessa attivazione del referendum, restringendo de facto l’area della cittadinanza attiva e rafforzando una visione elitistica della funzione legislativa, in contraddizione con l’art. 1 della Costituzione, che affida la sovranità al popolo anche nelle forme di democrazia diretta.

Non si può, infatti, dimenticare che il referendum, ancorché limitato alla funzione abrogativa, non è istituto secondario o marginale, ma costituisce uno dei modi attraverso i quali il principio democratico si concretizza, come del resto ribadito dalla giurisprudenza costituzionale in più occasioni.

 

I referendum in “ostaggio” di minoranze attive

D’altro canto, la proposta di ridurre o eliminare il quorum partecipativo presenta ancor più delicate implicazioni.

Il quorum, lungi dall’essere un retaggio burocratico o un impedimento alla volontà popolare, è garanzia della sua autenticità e generalità. Rappresenta, in termini assiologici, una soglia di legittimazione democratica minima, a tutela della normatività del risultato.

Abolirlo significherebbe legittimare l’abrogazione di leggi o atti aventi valore di legge in forza della volontà di minoranze attive, potenzialmente ben organizzate e motivate, ma numericamente marginali rispetto al corpo elettorale complessivo.

Una simile soluzione determinerebbe, in questo modo, una grave alterazione del principio maggioritario sostanziale, aprendo alla possibilità che scelte normative di impatto generale siano assunte senza un’effettiva convergenza della comunità politica e, dunque, senza quel consenso implicito che il quorum intende presupporre.

 

La crisi del referendum è crisi di partecipazione

L’affluenza alle urne ferma al 30,6% (inferiore addirittura a quella sulle trivelle del 2016) non può, però, essere letta come prova dell’inutilità dell’istituto, bensì come sintomo, oltre ad alcune motivazioni ideologiche soprattutto con riferimento al quesito sulla cittadinanza, di un malessere più profondo che attraversa la democrazia rappresentativa e la coscienza civica.

La crisi del referendum è crisi della partecipazione, della fiducia nelle istituzioni, dell’efficacia della mediazione politica.

Intervenire sui meccanismi formali dell’istituto senza affrontare tali questioni significa operare un aggiustamento cosmetico che, lungi dal risolvere le criticità, rischia di svuotare ulteriormente il contenuto sostanziale della sovranità popolare.

In questo senso, ogni ipotesi di riforma dell’art. 75 Cost. dovrebbe muoversi in coerenza con l’impianto assiologico del Testo fondamentale del 1948, che assegna alla partecipazione popolare un ruolo non ancillare, ma integrativo/correttivo della funzione rappresentativa.

In definitiva, il fallimento dei referendum del 2025 non può essere invocato come giustificazione per misure che minano alla radice la partecipazione popolare, ma deve costituire l’occasione per un ripensamento più profondo del rapporto tra cittadini e istituzioni. La strada della limitazione quantitativa e della semplificazione procedurale è apparentemente efficiente, ma profondamente miope sul piano costituzionale e disordinata sul piano filosofico.

La democrazia, per essere reale, deve fondarsi sulla responsabilità e sulla deliberazione, non sulla mera reattività numerica. In tal senso, l’art. 75 Cost. non va modificato nella sua struttura garantista, ma potenziato nella sua capacità di incarnare una forma di partecipazione politica autentica.

Autore

Daniele Trabucco, Aldo Vitale

3 commenti a La proposta di abolire il quorum è un’idea sbagliata

  • G.B. ha detto:

    Un referendum è diverso da un’elezione perché non si tratta di nominare dei rappresentanti ma di prendere una decisione che ha immediatamente forza di legge, quindi è giusto che ci sia il quorum per impedire che una minoranza possa decidere per tutti. Anche il Parlamento non può deliberare se non è presente il 50%+1 dei deputati o dei senatori, lo stesso vale per gli enti locali a tutti i livelli, vale persino per le assemblee di condominio.

  • Giacomo Camilli ha detto:

    Secondo me un buon compromesso che potrebbe far tornare il referendum utile sarebbe di abbassare il quorum al 30% ed alzare il numero di firme per indirlo a 1 milione, altrimenti rendere obbligatoria in Parlamento la discussione di leggi di iniziativa parlamentare che ottengano un certo numero di firme

    • G.B. ha detto:

      La Costituzione prevede già i disegni di legge di iniziativa popolare, ci vogliono 50mila firme (art. 71). Il problema è che il disegno di legge arriva in Parlamento e lì, se non c’è nessuno che lo sostiene, si arena.