Si allunga la lista di donne morte a causa della Ru486

Ancora due donne morte dopo aver abortito con la Ru486: ce ne danno notizia tre esperti dei Cdc («Centres for Disease Control and Prevention») di Atlanta, nell’ultimo numero della prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine. I decessi sono per shock settico da «Clostridium sordellii», la fatale infezione che ha già ucciso sei donne finora, mentre per una settima lo shock era dovuto a un altro tipo di Clostridium, il «Perfringes». Tutte dopo aborto medico. Una triste contabilità, continua Avvenire, ci dice che in generale dopo la somministrazione di Ru486 sono morte 19 donne che avevano abortito, e 12 persone che avevano preso il farmaco per “uso compassionevole”, cioè al di fuori di protocolli stabiliti, per un totale di 31 vittime. Vanno poi ricordate altre due donne morte dopo aborto farmacologico, per il quale però era stato somministrato solo il secondo farmaco, le prostaglandine. Purtroppo queste notizie confermano il parere del presidente dell’Associazione mondiale di medicina riproduttiva, il laico Severino Antinori, che qualche mese fa a Il Giornale dichiarò: «Basta bugie, quel farmaco è una intollerabile tortura. Basta con questa ipocrisia. Basta con le informazioni false. Smettiamola di dire che la pillola Ru486 aumenta la libertà della donna. Aumenta soltanto la sua libertà a farsi del male. La RU486 alza il rischio di mortalità per le madri e aumenta i casi di infertibiltà. E’ come un cappio al collo del feto e ci mette cinque giorni ad asfissiarlo» (vedi Ultimissima 4/4/10). Ma è l’aborto in generale ad aumentare la mortalità della donna. Lo dimostra ad esempio l’Unicef in un Rapporto del 2005. In Paesi dove l’aborto è limitato muoiono meno donne, a differenza in quelli dove, invece, l’interruzione volontaria di gravidanza risulta più de-regolamentata e accessibile (vedi anche Ultimissima 30/5/2010).

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Cuba: forte rinascita religiosa dopo l’ateismo di stato

Da quando il presidente cubano Raul Castro ha cominciato a liberare decine di prigionieri politici dopo l’incontro di quest’estate con il Santo Padre, l’isola cubana ha registrato un ulteriore impulso di adesione religiosa. Lo rivela la National Public Radio degli Stati Uniti. Si legge: «L’isola ha subito una rinascita spirituale, da quando il governo comunista ha interrotto le persecuzioni religiose togliendo l’ateismo di stato. Ma oggi la rapida crescita di fedeli cristiani è anche dovuta dall’arrivo di missionari americani». Si ricorda anche come «al culmine dell’ateismo militante verso la fine del 1960 e primi anni ’70, i credenti venivano licenziati dai loro posti di lavoro e inviati in campi di “ri-educazione”. Questo tipo di discriminazione è ufficialmente terminato più di 20 anni fa. Da allora, il numero di cristiani (soprattutto evangelici) a Cuba è passato da circa 70.000 a oltre 800.000 di oggi, su una popolazione di 11 milioni».

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Il filosofo ateo Pietro Barcellona si è finalmente convertito

Pietro Barcellona, incontro con Gesù. Il celebre filosofo marxista esprime per la prima volta la sua conversione al cattolicesimo.

Segnaliamo il memorabile articolo di Pietro Barcellona. Docente di Filosofia del Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania, ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura e già deputato PCI, ha raccontato la sua conversione su Avvenire. Da tempo si è avvicinato al cattolicesimo, senza però mai annunciarlo pubblicamente come questa volta.

Crollo e fallimento dell’ateismo comunista.
«Dopo il crollo del muro di Berlino, nel 1989, una depressione devastante si impadronì dei miei pensieri, costringendomi per quasi due anni ad una sorta di assenza vegetativa. Incontrai il mostro contro il quale avevo per tanti anni combattuto inutilmente: il nichilismo. Le alternative razionalizzanti non davano nessuna risposta, come non la davano i nuovi saperi emergenti, che attraverso lo studio della mente ripropongono l’evoluzionismo come unica spiegazione possibile delle metamorfosi della vita».

Ribellione dal materialismo.
Il filosofo si addentra così nella dimostrazione di come l’esistenza stessa si ribelli all’evoluzionismo materialista. «Ci sono molte cose convincenti nell’evoluzionismo, ma c’è un’obiezione dell’esistenza che si ribella alla doppia contingenza del nascere per caso e del vivere per funzionare come parti di un processo che, però, può fare anche a meno di te. Evoluzionismo, casualità e funzionalismo non consentono di attribuire alcun valore in sé a nessun evento della nostra esistenza quotidiana; tutto ciò che facciamo e siamo finisce per essere il mero risultato di una sequenza di fatti casuali e funzionali, senza alcuna dignità. Il venire al mondo di un essere umano non ha nessun significato nella sequenza dell’evoluzione».

Approdo a Dio.
Nichilismo, evoluzionismo e relativismo conducono tutti allo stesso risultato: la vita non vale niente, è un puro funzionale equivalente a qualsiasi altro fattore che si inserisca nella catena evolutiva ai fini della riproduzione della vita materiale. Così Barcellona è introdotto a Dio, al rapporto «fra l’umano e il divino, poiché solo la presenza del divino nell’umano potrebbe gettare un ponte tra la nostra dolorosa finitezza e la gioiosa giostra delle galassie e delle stelle. L’ineludibile questione di Dio si è presentata, così, alla mia mente sotto l’aspetto apparentemente innocuo dei preti che ho incontrato e di uno in particolare che mi ha chiesto di cercare insieme, senza dare nulla per scontato» (vedi Ultimissima 15/6/10).

Religione è rifugio psicologico? Vero, tranne che per il cristianesimo.
Da sempre gli esseri umani hanno immaginato di essere salvati dal pericolo della morte da un dio che, dall’alto del proprio trono, ogni tanto volgesse lo sguardo a ciò che accadeva sulla terra. E questa non può che apparire come -sottolinea giustamente il filosofo-, «una pura proiezione psicologica». Solo il cristianesimo è la grande eccezione. Per questo -continua Barcellona- «sono stato affettivamente colpito dal Vangelo di Gesù Cristo. La nascita di Cristo è, infatti, una rottura epocale rispetto al tradizionale modo di vedere il rapporto fra Dio e mondo, fra divino e umano, una discontinuità assoluta rispetto a tutte le ipotesi di configurazione del Dio delle religioni. Il Verbo incarnato, l’essere Figlio dell’uomo e figlio di Dio, che assume i connotati di una persona fisica, in un tempo determinato, in un luogo preciso e assolutamente fuori anche dalla stessa attesa messianica delle scritture bibliche, è una rottura totale della continuità del tempo storico. La nascita di Cristo, come evento impensabile e impensato nelle sue caratteristiche concrete, ci immerge in una temporalità che non è il flusso ordinato degli avvenimenti, ma una dimensione di contestualità di presenza e pienezza che, non a caso, dà origine a un nuovo calcolo dei giorni e degli anni. Cristo è come il punto zero che a lungo i matematici hanno cercato di rintracciare e che non può essere ricondotto allo schema dell’inizio e della fine. Eppure, questa trascendenza incarnata appare profondamente mischiata alla carne e al sangue dell’uomo».

Altro che proiezione psicologia, altro che religione come rifugio psicologico. Il cristianesimo è un fatto storico e un fatto attuale, che sconquassa e divarica la storia tra un “prima” e un “dopo”. Barcellona conclude: «Quando mi capita di assistere alla proiezione dello straordinario film di Pasolini “Il Vangelo secondo Matteo”, ho la sensazione che quella figura biancovestita pronunci frasi e parole che vanno oltre la filosofia greca e la sapienza orientale, per arrivare fin dentro al cuore delle persone, e non ci si può stupire più che quell’uomo sia Dio e che Dio sia un uomo».

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Golf, Rugby e fede religiosa

Lo sport è per molti un’attività professionistica. E come per gli scienziati, i muratori o gli insegnanti, non è possibile separare la sfera lavorativa da quella personale. Per questo la religione è spesso parte importante nell’attività sportiva. La Stampa riporta ad esempio che la squadra americana di golf, che il 1° ottobre si presenterà ai nastri della Ryder Cup a Celtic Manor, in Galles, si distingue per essere un team di seguaci delle Chiese Evangeliche. L’identità di gruppo ruota attorno alla persona di Corey Pavin, il capitano nato e cresciuto in una famiglia ebraica ma convertito al cristianesimo nel 1991, quando aveva già iniziato la carriera di golfista professionista. A chi gli chiede il perché di quella scelta, è solito rispondere che volle rimediare a «un vuoto nella vita». Con l’assistente personale e le loro mogli, frequentano assieme corsi sulla Bibbia molto simili a quelli che consentirono a George W. Bush di abbandonare la dipendenza dal bere dopo aver compiuto il quarantesimo compleanno. Lo stesso vale per gli altri giocatori: Stewart Cink, Zach Johnson e Rickie Fowler, come anche Bubba Watson e Matt Kuchar, tra i migliori golfisti d’America.

Cosa simile accade nel Rugby italiano. Il Corriere del Veneto riporta che il Benetton Treviso, dominatore nel campionato italiano e ora approdato nella Celtic League, è stato trasformato da Franco Smith, ex giocatore e devoto cattolico. Prima delle partite la squadra si raccoglie in preghiera. Ha dichiarato: «In Sud Africa è parte della nostra cultura rugbistica, lo fanno da sempre squadre come i Bulls e i Cheetahs. A Treviso cominciai a farlo per conto mio, poi si unirono alcuni giocatori, infine è divenuto un gesto abituale per tutta la squadra. Nessuno è obbligato a pregare, ci sono diverse culture tra di noi e le rispettiamo. Si tratta di un momento di raccoglimento che aiuta il gruppo a consolidare il senso di appartenenza, ci fa sentire uniti contro le avversità».

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    Nasce l’Osservatorio sulla discriminazione dei cristiani in Europa

    Recentemente il filosofo ateo Bernard-Henri Lévy ha dichiarato che «il cattolicesimo è la religione in assoluto più perseguitata» (vedi ABC.com).

    E’ nato anche per questo l’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione dei cristiani in Europa e a darne l’annuncio è stato il card. Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest e Presidente del Ccee, aprendo a Zagabria, l’assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE). Il cardinale ha spiegato che la decisione di istituire questo Osservatorio nasce con l’obiettivo di «promuovere una maggiore presa di coscienza delle forme d’intolleranza e di discriminazione che alcuni cristiani in Europa subiscono. Questo osservatorio vuole essere un aiuto per creare una società più rispettosa della libertà religiosa, più capace anche di capire e di accettare sia le proprie radici sia la realtà plurale attraverso una sana laicità. In definitiva, si tratta, da una parte, di un aiuto all’evangelizzazione moderna, e dall’altra, di un aiuto allo sviluppo per un’autentica democrazia basata sull’uguaglianza nel nostro continente. La vera libertà religiosa – come dice Giovanni Paolo II – è un diritto centrale, è un indicatore per la condivisione di tutti gli altri diritti. Dove sono possibili campagne di odio collettivo contro una comunità religiosa o un gruppo etnico, domani saranno possibili anche contro altri gruppi».

    L’agenzia Fides ha riportato che il 75% delle morti collegate a crimini a sfondo religioso riguarda i cristiani. E’ nato anche un sito internet che trovate qui. La notizia è apparsa su Toscana oggi online.

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    Archeologia biblica: trovate le miniere di re Salomone

    Re Salomone e le miniere. L’archeologia biblica fa un passo in avanti grazie a due fratelli italiani. Ecco la loro scoperta.

     

    Due archeologi italiani, Alfredo e Angelo Castiglioni, hanno localizzato le miniere di re Salomone dalle quali proveniva l’oro regalatogli dalla regina di Saba.

    «Abbiamo compiuto cinque missioni, tra il 2004 e il 2008, per cercare le antiche zone di estrazione dell’oro di Salomone», hanno detto. «L’Africa è una zona aurifera che fu probabilmente rivelata al sovrano ebraico dalla regina di Saba, quando si recò a Gerusalemme portando in dono 120 talenti d’oro».

    Secondo l’Antico Testamento la quantità d’oro che affluiva ogni anno nelle casse di Salomone era di 666 talenti, e ogni talento corrispondeva a circa 30 kg di oro. I due archeologi italiani pensano di avere individuato le mitiche miniere sulle montagne dell’Etiopia sud-occidentale, nel Paese di Beni Shangul, lungo l’itinerario percorso dalla regina di Saba nel suo viaggio verso Gerusalemme.

    L’unico punto su cui c’è disaccordo con l’Antico Testamento è la motivazione della visita. Probabilmente -continuano gli archeologi- la sovrana venne a Gerusalemme per una missione commerciale (più che per mettere alla prova la sapienza di Salomone). I fratelli Castiglioni, insieme ad altri studiosi, ipotizzano anche che la biblica regina di Saba fosse un’antenata delle Candaci, le fortissime sovrane-guerriere del regno di Kush (corrispondente all’odierna Nubia sudanese, l’Etiopia dell’antichita’), il paese della dinastia dei Faraoni neri.

    La scoperta è stata rivelata durante l’ultima giornata della XXI Rassegna internazionale del Cinema Archeologico e la notizia è ripresa da Libero e dal TG1online. In febbraio altri archeologi trovarono a Gerusalemme anche la muraglia di re Salomone.

    La redazione

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    L’ateo Chiaberge: «gli insulti dell’UAAR dimostrano la vittoria della religione»

    L’ateo de Il Fatto Quotidiano, Riccardo Chiaberge, ha già avuto modo di prendere in giro gli squilibrAtei dell’UAAR e le loro infantili iniziative (vedi Ultimissima 24/9/10). Aveva avuto parole di scherno anche per gli scientisti italiani: «confesso che quando sento parlare Odifreddi o Margherita Hack, mi viene immediatamente una crisi mistica e corro alla più vicina parrocchia». Ovviamente i militanti uaarini (circa 4000, meno delle Murciélago prodotte dalla Lamborghini), hanno fatto girare la voce e si sono dati appuntamento sul suo blog per ricoprirlo di insulti. E lui ringrazia e ironizza: «non posso che ringraziare di cuore tutti gli intervenuti, compresi i tantissimi (forse la maggioranza) che mi hanno ricoperto di contumelie. E poi dicono che la religione non interessa a nessuno, che viviamo in un’epoca di nichilismo e di aridità spirituale. Altro che. Il nome di Dio, per chi crede come per chi non crede, è ancora capace di scatenare grandi passioni. Devo dire, con un certo rammarico, che alcuni dei commenti più acuti sono venuti proprio da lettori credenti, mentre alcune delle castronerie più sesquipedali sono state scritte da sedicenti razionalisti, che pretendono di saper usare il cervello meglio degli altri».

    Veder scannarsi fra di loro i fondamentalisti atei ricorda molto le liti fra il fondamentalismo protestante e quello musulmano. Nel nuovo articolo (preso anch’esso da Il Fatto Quotidiano), c’è l’occasione per ridicolizzare il leader dell’ateismo idiota, Richard Dawkins: «Dawkins definisce la religione una “malattia mentale” , un virus, un “vizio” di cui bisogna liberarsi, si considera investito della missione di aprire gli occhi a chi è stato “imbottito” di false credenze. Per conto mio, non è un laico razionalista, ma un integralista fanatico come quelli che dice di voler combattere. E quelli tra voi che paragonano i sacerdoti, di qualunque fede, a Wanna Marchi o agli aguzzini della Santa Inquisizione, sono accecati dal pregiudizio, avrebbero bisogno loro, forse, di un bravo strizzacervelli. La fede in Dio non è sempre un segno di stupidità o di ignoranza, così come l’ateismo non è di per sé sinonimo di intelligenza. La storia è piena di grandi geni credenti, da Pascal a Galileo e Newton, e di grandi imbecilli, o di grandi criminali atei, a cominciare da Stalin. E chi sostiene, come Dawkins, che tutte le guerre che insanguinano il mondo siano conflitti religiosi, non sa (o finge di non sapere) nulla di geopolitica».

    La religione è un’ossessione per i razionalisti moderni: «I figli e nipoti dei sessantottini sono stati allevati in famiglie dove la religione era un argomento proibito o rimosso, proprio come il sesso nelle famiglie degli anni Cinquanta. C’è un bigottismo, un puritanesimo laico, che respinge la problematica religiosa come pura superstizione, come un’eredità medievale. Datemi retta, bisogna rompere il tabù».

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    Regno Unito: la visita del Santo Padre ha dato una svolta al cristianesimo

    La visita di Benedetto XVI nel Regno Unito ha scatenato un’ovazione di successi. Ma ha anche dato l’avvio alla riscossa del cristianesimo e non solo per i cattolici. Da tempo la laicissima Inghilterra sta discriminando i cristiani nelle scuole e nei luoghi di lavoro. L’umiltà e la saggezza del Santo Padre ha dato il via ad una serie di iniziative da parte di anglicani, evangelici, protestanti e cattolici. Addirittura è stata promossa una campagna a livello nazionale chiamata “Non Ashamed”, invitando tutti i cristiani del Paese a restare uniti e a mostrare la propria fede in pubblico senza temere boicottaggi. La campagna è organizzata dal Christian Concern for our Nation, associazione di avvocati in prima linea nella difesa della libertà cristiana nel lavoro e nella società. La testimonial è Shirley Chaplin, l’infermiera licenziata dal suo posto di lavoro per aver indossato una catenina con una croce. In una nota del fondatore della Christian Concern, Andrea Minichiello Williams, pubblicato da Religion En Libertad, si legge: «Come evidenziato dalla recente visita di Papa Benedetto XVI, c’è grande consapevolezza del tentativo di eliminare Cristo dalla vita pubblica, relegandolo al regno del “privato e personale”, con effetti disastrosi sia per gli individui che per la comunità. Questa campagna mira a incoraggiare tutti i cristiani a non vergognarsi di ciò che sono e ciò in cui credono. E’ ora che la Chiesa ritorni alla sua voce e al suo ruolo nella vita pubblica». Williams ha continuato: «Molti cristiani si sono sentiti in grado di parlare e vivere la loro fede pubblicamente. La campagna incoraggia ad indossare un simbolo cristiano in modo vistoso, ma anche a donarlo alle famiglie, amici, vicini e colleghi di lavoro. E’ tempo per la Chiesa di trovare di nuovo la voce». La notizia è anche riportata da Avvenire, qui invece c’è il sito internet dell’associazione.

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    Autogol degli abortisti: l’Europa riconosce l’obiezione di coscienza

    Obiezione di coscienza in Europa. Volevano limitare il diritto d’obiezione ed invece il Consiglio d’Europa lo ha tutelato, un autogol.

     

    Clamoroso autogol degli abortisti al Consiglio d’Europa: una risoluzione che era entrata nell’emiciclo del Palazzo d’Europa per restringere l’obiezione di coscienza, diviene un documento che la tutela fin nel titolo.

    Hanno provato a limitare il diritto alla libertà di coscienza dei medici, obbligandoli a praticare gli aborti, ma in Assemblea parlamentare sono andati in minoranza. Così il documento che avrebbe dovuto sancire il “diritto della donna ad abortiresi è trasformato in quello che certifica la sacrosanta libertà dei medici a non partecipare ad aborti. Per la prima volta una istituzione europea ha affermato la negatività dell’aborto, il diritto-dovere di mettere al primo posto la persona, affermando uno di quei principi non-negoziabili che Benedetto XVI invoca continuamente, non in nome di una etica cattolica, ma sulla base di un amore semplice alla verità del nostro essere uomini. I giornaloni italiani (al contrario di quelli esteri) hanno snobbato la notizia, che eppure dimostra di essere di portata storica.

    Renato Farina, uno dei protagonisti, la racconta su Il Sussidiario. Dichiara: «Questa è una storia bellissima e impossibile. Ha una forza simbolica eccezionale. Oppure può essere un punto di partenza». Il 7 ottobre 2010 il Consiglio d’Europa, in cui risiede un’assemblea parlamentare che raccoglie la volontà popolare di 47 Paesi d’Europa e da cui dipende la Corte europea dei diritti umani, ha discusso sull’obiezione di coscienza di medici e operatori sanitari in tema di aborto. Presenti per l’Italia un gruppo Pdl: Farina, Bergamini, Tofani, Nessa. Uno dell’Api di Rutelli, Giacinto Russo. Oltre a Volontè dell’Udc, il capogruppo Ppe (il quale su un altro articolo di Avvenire dice: «Tutte le agenzie e istituzioni abortiste europee erano pronte a basare le loro decisioni future sulla risoluzione»). Nessuno dei democratici cattolici del Pd».

    Il documento che è stato adottato in sede parlamentare dopo la discussione e il voto in aula titola: «Il diritto all’obiezione di coscienza nelle cure mediche legali». Si ribadisce così il rispetto dei medici «per le loro convinzioni di coscienza» e si garantisce loro di «non essere discriminati sulla base delle loro idee».

    Un sondaggio recente ha stabilito che in Italia, l’80% dei medici è obiettore di coscienza (vedi Ultimissima 2/9/10). Cioè, l’80% dei medici riconosce di non trovarsi di fronte ad un ammasso di cellule, ma ad un essere umano. Una piccola creatura, indesiderata e indifesa, tanto che qualcuno si permette di scegliere se deve vivere o morire. Vincenzo Saraceni, presidente nazionale dell’Amci (Associazione medici cattolici italiani) ha infatti dichiarato ad Avvenire: «Come medici cattolici vogliamo esprimere la nostra soddisfazione per un provvedimento che conferma e tutela un diritto inalienabile, quello all’obiezione di coscienza, di fronte a eventi come aborto o eutanasia che riteniamo profondamente ingiusti. La cultura europea, con questa decisione, assume questo valore al proprio interno, mostrando come quel fattore di grande civilizzazione che è stato il cristianesimo, continua a rappresentare un baluardo contro il relativismo etico e la disumanizzazione».

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    L’ateismo interessante di Giulio Giorello

    Giulio Giorello esprime un ateismo ormai in estinzione, minato costantemente dall’idiozia razionalistica di sette fondamentaliste e folkloristiche. Un ateismo teorico, drammatico, che non strumentalizza la scienza e con cui è piacevolissimo confrontarsi (molto più che con fondamentalisti religiosi). E’ docente di Filosofia della scienza all’Università di Milano e ha appena pubblicato “Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo”. Si definisce non credente, ma ama leggere e rileggere la Bibbia (e assicura: «mi spiace non sapere l’ebraico»). Al positivismo di Auguste Comte preferisce la mistica di Giovanni della Croce. Ha scritto opere come “Di nessuna chiesa” e “Lo scimmione intelligente“, ma non sopporta gli anticlericali e da ragazzo non ha voluto essere esonerato dall’ora di religione. Tracce.it riporta che l’intento di Giorello nel suo libro non è dimostrare che Dio non esiste, ma che l’uomo può farne a meno. È un ateismo pratico e non dogmatico. È il rifiuto di qualsiasi autorità sopra di sé perché il dramma della dipendenza è oggetto della battaglia del “nuovo Illuminismo”.

    Intervistato dalla rivista citata, risponde fra l’altro: «Io non ho nessuna intenzione di inginocchiarmi di fronte a Dio. E nemmeno di fronte al progresso, alla lotta di classe, alla scienza, a un capo di partito… Questa è l’idea di autonomia e indipendenza che permea tutto il libro. Mi riconosco pienamente nella componente anti-idolatrica del cristianesimo. La ritrovo molto nei Vangeli, in alcuni passi di san Paolo e nel Vecchio Testamento. Per questo, non vorrei essere confuso con gli atei che pensano che ci si possa liberare di questa grande tradizione nata con Abramo: il loro è l’ateismo di Stato alla sovietica, una delle peggiori caricature che si possano fare della religione».

    E ancora specifica: «Il mio ateismo è il rifiuto di mettermi in ginocchio. Ho passione per la fisica, la matematica e la biologia. Non mi sognerei mai, però, di dire che sono tre dèi di una religione della scienza». L’intervistatore gli pone però un quesito ineludibile: se si vuole dimostrare che l’uomo può fare a meno di Dio, perché, allora, ogni uomo, in qualunque epoca, nasce con questo bisogno di Dio (addirittura il celebre antropologo Coppens ha dichiarato che «l’uomo religioso coincide con il primo uomo» (vedi Ultimissima 22/9/10). Lui risponde: «Bella domanda. In effetti, è l’obiezione più seria a quel che ho scritto. Io ho preferito non addentrarmi nell’argomento».

    Giorello rivela anche di essere stato allievo al liceo di don Luigi Giussani (fondatore di Comunione e Liberazione): «Con don Giussani facevamo delle litigate epiche. Lì per lì mi arrabbiavo, veniva fuori una contrapposizione. Oggi, coi capelli quasi bianchi, posso dire che ne ho nostalgia. Perché la cosa più bella è discutere con gente certa, appassionata. E, in questo, Giussani era un vero maestro».

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