La schiavitù, come il cristianesimo portò all’abolizione

Quando venne davvero abolita la schiavitù? Fu merito del cristianesimo? La Chiesa si oppose allo schiavismo o lo sfruttò? In questo dossier storico sulla schiavitù risponderemo a queste ed altre domande, interrogando i principali studiosi e specialisti sul tema.

[Dossier aggiornato al 19 luglio 2024].

 
 

La schiavitù in Europa terminò grazie al cristianesimo?

Oppure la cristianità sfruttò gli schiavi, senza mai promuovere alcun progresso etico? Cosa dicono in merito i principali storici dello schiavismo?

«E’ nel corso dell’Alto Medioevo», scrivono gli specialisti francesi J. Andreau e R. Descat, «che si sono prodotti i cambiamenti più importanti e che si è definitivamente usciti, in Europa occidentale, dalla società schiavista»1J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 222.

A sua volta, O. Pétré-Grenouilleau, ordinario di Storia all’Università della Bretagna, aggiunto che solo «il principio cristiano — l’idea secondo la quale tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio — ha potuto aiutare a minare le fondamenta del sistema schiavistico»2O. Pétré-Grenouilleau, La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, Il Mulino 2006, pp- 212-213.

Tramite questo dossier (costantemente aggiornato) analizziamo le ragioni per questi e altri studiosi sono giunti a tali conclusioni.

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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1. LA SCHIAVITU’ E LE ACCUSE AL CRISTIANESIMO

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Iniziamo considerando brevemente quali accuse vengono rivolte solitamente al cristianesimo e alla Chiesa sul tema della schiavitù.

Ad essi si rimprovera generalmente di non aver saputo impedire lo schiavismo, tradendo il messaggio evangelico dell’eguaglianza tra gli esseri umani. Versioni più estreme rinfacciano addirittura alla Chiesa di aver teorizzato la diseguaglianza tra le razze, legittimando così l’istituto dello schiavismo.

Più raramente sotto accusa finiscono anche il comportamento di Gesù Cristo, le parole di San Paolo, dei Padri della Chiesa e di Tommaso d’Aquino, l’esistenza della schiavitù nel Medioevo cristiano, le parole dei Pontefici durante il Colonialismo e infine alcune affermazioni di Papa Pio IX.

Infine, alcuni storici pur riconoscendo che la schiavitù scomparve effettivamente nel X secolo, in pieno Medioevo, sostengono che ciò avvenne in maniera indipendente dagli sforzi della Chiesa cattolica.

«Il cristianesimo non condannò la schiavitù, le diede un buffetto»3Duby G., Le origini dell’economia europea, Laterza 1978, p. 32, scrisse, ad esempio, George Duby, docente di Storia del Medioevo al Collège de France.

 

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2. LA SCHIAVITU’ PRIMA DEL CRISTIANESIMO.

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Per analizzare il fenomeno dello schiavismo osserviamo in quali forme era presente prima del cristianesimo, concentrandoci in particolare sulla legge mosaica presente nell’Antico Testamento e sul mondo greco-romano.

 

2.1 La schiavitù nell’Antico Israele

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Ovviamente l’istituzione della schiavitù precede di gran lunga il popolo d’Israele ed è stata presente in tutti gli imperi antichi e le società sufficientemente ricche da potersela permettere.

Se ci concentriamo specificamente sugli ebrei, osserviamo che in diversi casi l’Antico Testamento sembra effettivamente tollerare la pratica della schiavitù umana, per lo meno la presuppone, accettandola socialmente.

Tuttavia, uno dei maggiori profeti, Isaia, afferma chiaramente: «Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri» (Is 61,1).

Un messaggio, quello di Isaia, particolarmente dirompente in un periodo storico in cui era inconcepibile non possedere schiavi.


 

Tipologia e concetto di schiavitù nell’Antico Israele

Occorre comunque ricordare che ai tempi dell’Antico Testamento, il concetto di schiavitù era differente, non si basava sulla razza, sull’etnia, sulla nazionalità o sul colore della pelle, ma aveva più a che fare con una condizione sociale.

Le persone, ad esempio, si vendevano come schiave quando non riuscivano a pagare i loro debiti o a provvedere alla propria famiglia, alcuni sceglievano effettivamente di essere schiavi in modo che tutti i loro bisogni fossero soddisfatti dal loro padrone.

Nel popolo ebraico non c’è mai un concezione dello schiavo come “essere inferiore”, anzi vi fu la condanna esplicita della schiavitù razziale, ad esempio quella sperimentata dagli Ebrei in Egitto, subita proprio per essere ebrei (Esodo 13:14).


 

La schiavitù nell’Antico Testamento

In generale, quando l’Antico Testamento tratta della schiavitù vengono fornite delle istruzioni sul trattamento umano degli schiavi, senza però bandirne la pratica. Ecco alcuni esempi:

  • Si insegna ad offrire agli schiavi dei privilegi e che i sacerdoti lascino gli schiavi mangiare il loro stesso cibo (Lv 22, 10-11);
  • Se uno schiavo scappa dal padrone e si rifugia in una casa, i proprietari dovranno accoglierlo senza opprimerlo (Dt 23,16);
  • Il sabato, in onore al Signore, anche lo schiavo e la schiava si devono riposare (Dt 5, 14);
  • Le stesse promesse rivolte a tutti gli uomini, sono rivolte anche agli schiavi: «Anche sopra gli schiavi e sulle schiave in quei giorni effonderò il mio spirito» (Gl 2,3);

 

Nell’Antico Israele, come si è detto, era ammessa la schiavitù, però a determinate condizioni e, per la prima volta nella storia, apparve un principio di difesa dei diritti degli schiavi.

 

Ecco cosa si legge, ad esempio, nel Libro del Deuteronomio (1200 a.C., circa): «Se un tuo fratello ebreo o una ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo lascerai andare via da te, libero. Quando lo lascerai andare via da te libero, non lo rimanderai a mani vuote. Gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio. Gli darai ciò di cui il Signore, tuo Dio, ti avrà benedetto» (Dt 15, 12-14).

Ecco, invece, cos’è scritto nel Libro dell’Esodo (550 a.C. circa):

«Quando tu avrai acquistato uno schiavo ebreo, egli ti servirà per sei anni e nel settimo potrà andarsene libero, senza riscatto […]. Quando un uomo colpisce l’occhio del suo schiavo o della sua schiava e lo acceca, darà loro la libertà in compenso dell’occhio. Se fa cadere il dente del suo schiavo o della sua schiava, darà loro la libertà in compenso del dente […]. Se il bue colpisce con le corna uno schiavo o una schiava, si darà al suo padrone del denaro, trenta sicli, e il bue sarà lapidato» (Es 21, 1-37).

 

L’Antico Testamento, pertanto, contiene condanne alla schiavitù, proclamazioni di nuovi diritti per gli schiavi, istruzioni per il loro benessere ma anche tolleranza verso tale istituzione, in quanto struttura sociale ed economica già esistente.

 
 

2.2 La schiavitù nell’Antica Grecia

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Pur con tutto lo splendore della loro filosofia, i greci non superarono i limiti morali del mondo antico.

Le prime notizie di schiavi nel mondo greco risalgono al XIV e XIII secolo a.C.4Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 27 mentre a partire dal VII secolo a.C. iniziò la loro compravendita tramite denaro5Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 37. I greci si rifornivano soprattutto in Asia Minore e gli schiavi entrarono a far parte del carico delle navi, non dell’equipaggio6Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 39.

L’economia di tutte le città-stato greche si basava su una massiccia presenza di schiavi e l’apogeo del loro splendore coincise con il periodo in cui gli schiavi superarono i cittadini liberi.


 

Quanti schiavi nell’Antica Grecia?

In generale è stato dedotto che nelle grandi città greche vi fosse un totale di 200-250 mila schiavi, poco più della metà della popolazione7Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 59, «in alcune città della Grecia classica ha toccato il 50% della popolazione, forse anche di più»8Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 84, scrivono gli specialisti Jean Andreau e Raymond Descat.

Lo storico americano William Linn Westermann ha infatti sottolineato che «in molte città, Atene compresa, probabilmente gli schiavi erano più numerosi dei cittadini liberi. Persone le famiglie di condizione modesta spesso ne possedevano due o tre»9Westermann W.L., Athenaeus and the Slaves of Athens, Harvard Studies in Classical Philology 1941, p. 451.


 

La condizione degli schiavi nell’Antica Grecia.

Per gli Antichi Greci si era schiavi per nascita, per marcato acquisto di stato civile o per perdita della libertà (a causa della guerra)10Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, pp. 71-76.

Gli schiavi erano uomini, donne e bambini e verso questi ultimi il padrone poteva deciderne la vita o meno quando si consentiva la vita sessuale tra i propri schiavi11Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 75.

I bambini schiavi potevano anche essere venduti (definiti threptoi) e ciò avveniva soprattutto in Frigia, in Pisidia e in Lidia12Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 75.

Il traffico di schiavi era regolamentato da alcune regole, ad esempio esisteva un diritto di restituzione (anagōgē) qualora si manifestassero malattie dissimulate dal venditore dello schiavo13Platone, Leggi, 11, 916.

Gli schiavi, non potendo partecipare alla vita della polis, a causa della loro stessa condizione, non erano propriamente uomini, non erano soggetti, ma oggetti di diritti. Il padrone aveva sullo schiavo autorità di sovrano e di giudice e poteva infliggergli punizioni corporali anche gravi (anche un marchio a fuoco sulla fronte in caso di furto o fuga)14Enciclopedia Treccani, Schiavitù.

Lo schiavo era socialmente “invisibile” poiché in linea di principio non era che un oggetto, un bene appartenuto al suo proprietario, al pari di una casa o di un capo di bestiame15Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 12.

Nessuna legge greca tutelava gli schiavi o imponeva obblighi ai padroni, essi avevano «una vita adeguata solo se il padrone lo voleva»16Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 122. Essi non hanno diritto né al matrimonio, né alla proprietà17Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 127.

Lo schiavo non aveva un’identità propria. Lo scrittore greco Filostrato si domandò addirittura se un bambino «che non ha nome né famiglia, non patria né terra, non va annoverato, per gli dèi, tra gli schiavi?»18Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, VIII, 7, 12; p. 372.

I poemi omerici d’altra parte testimoniano l’ampio uso di schiavi bambini (Eumeo nell’Odissea), mentre le donne catturate diventavano le compagne di letto (alochos) del loro nuovo padrone (nell’Iliade Briseide si vide così assegnata ad Achille).


 

Antica Grecia, società schiavista.

L’eminente storico e specialista della schiavitù, Moses Israel Finley, ha scritto che «i greci e i romani costituirono le prime vere società schiaviste, diventando pesantemente dipendenti dall’impiego su larga scala del lavoro degli schiavi sia nelle campagne che nelle città»19Finley M.I., Economia e società nel mondo antico, Laterza 1984, p. 67.

Jean Andreau, direttore della Scuola di studi superiori in scienze sociali di Parigi e Raymond Descat, professore di Storia greca all’Università di Bordeaux, hanno scritto a loro volta che «è esistita una società in cui la schiavitù era del tutto ordinaria e in cui nessuno ne ha reclamato l’abolizione: l’antichità greca e romana. E, in effetti, essa non fu mai abolita»20Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 10.

In linea generale, hanno aggiunto i due specialisti, è «utile e illuminante
definire la società greco-romana come “schiavistica”»
, una nozione sociale riguardante «il posto occupato dagli schiavi nella società e l’influenza che l’esistenza della schiavitù esercita sulla mentalità e sulle pratiche della società nel suo insieme»21Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 115.


 

Aristotele e la schiavitù.

Il celebre Aristotele riteneva notoriamente lo schiavo un “oggetto con l’anima” (“instrumenti genus vocale”), confutando22Aristotele, Politica, Libro I, 1253 a/1255 coloro che ritenevano ingiusta la schiavitù e cercando di dimostrarne la necessità e l’utilità della schiavitù agli stessi schiavi .

In Politica, Aristotele scrive:

«Il termine “oggetto di proprietà” si usa allo stesso modo che il termine “parte”: la parte non è solo parte d’un’altra cosa, ma appartiene interamente a un’altra cosa: così pure l’oggetto di proprietà. Per ciò, mentre il padrone è solo padrone dello schiavo e non appartiene allo schiavo, lo schiavo non è solo schiavo del padrone, ma appartiene interamente a lui […]. Dunque, quale sia la natura dello schiavo e quali le sue capacità, è chiaro da queste considerazioni: un essere che per natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo uomo, questo è per natura schiavo: e appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà: e oggetto di proprietà è uno strumento ordinato all’azione e separato»23Aristotele, Politica, I, 1254a 14 ss..

 

La schiavitù fa parte per Aristotele dello stato perfetto: lo stato si compone di case e la casa perfetta è formata di liberi e di schiavi, la schiavitù è secondo natura24Sordi M., Paolo a Filemone o della schiavitù, Jaca Book 1987, p. 28.

Alla sua morte, le proprietà personali di Aristotele comprendevano quattordici schiavi25Freeman C., The Greek Achievement: The Foundation of the Western World, Penguin Books 1999, p. 121, di cui 8 uomini26Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 74.


 

Platone e la schiavitù.

Al contrario di Aristotele, Platone era contrario al porre in schiavitù i suoi compagni “elleni” (greci) ma nella sua repubblica ideale gli schiavi “barbari” (stranieri) giocavano un ruolo essenziale, compivano infatti tutto il lavoro produttivo.

Le sue regole sul trattamento degli schiavi erano brutali perché riteneva che la natura crea “persone servili” che non possiedono le capacità mentali per far proprie la virtù o la cultura, adatte solo a servire. Platone arrivò alla giustificazione della schiavitù muovendo dalla schiavitù spirituale: come è giusto sottomettere alla parte divina che è nell’uomo il bestiale che è dentro di lui, così è giusto che colui che non riesce a comandare all’animale che è nel suo interno sia schiavo di colui nel quale comanda la parte divina27Platone, Repubblica, ix, 589 d/590 c/d.

Il celebre pensatore greco affermò inoltre che non era un danno per lo schiavo sottostare al comando, lo schiavo lo era per natura e la schiavitù un fatto etnico e naturale28Sordi M., Paolo a Filemone o della schiavitù, Jaca Book 1987, p. 26.

Lo stesso Platone possedeva cinque schiavi, come si evince dal suo testamento29Schalaifer R., Greek Theories of Slavery from Homer to Aristotle, Harvard Studies in Classical Philology, n. 47, 1936, pp- 165-204 30Davis D.B., Il problema della schiavitù nella cultura occidentale, Società Editrice Internazionale 1975, p. 96.

 

In generale non risulta che mai nessun filosofo greco si sia mai levato contro la schiavitù.

Lo ha osservato il sociologo statunitense Rodney Stark: «Nessun filosofo greco fu abbastanza “illuminato” da condannare la schiavitù. La condanna dovette attendere la nascita del cristianesimo: a quanto si sa, la prima presa di posizione per una generale abolizione della schiavitù in qualsiasi parte del mondo sarebbe avvenuta dopo un millennio, nell’Europa medievale»31Stark R., La vittoria dell’Occidente, Lindau 2014, p. 49.

Nemmeno Epitteto, filosofo ed ex schiavo, criticò tale istituzione come ingiusta. Anche lui la vide come uno sviluppo del destino ed un risultato della cieca e grande catena di causa ed effetto. La schiavitù, per Epitteto e gli Stoici, apparteneva alla categoria del “non dipende da noi”.

 
 

2.2 La schiavitù nell’Antica Roma.

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Anche nel mondo antico romano la schiavitù fu ampiamente praticata, almeno a partire dal IV secolo a.C.. Esisteva a Roma e tra i latini fin dall’epoca regia e almeno dalla fondazione della città32Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 48. Soprattutto aumentò col procedere delle conquiste in guerra.


 

Quanti schiavi nell’Antica Roma?

Tra la metà del I secolo a.C. e la metà del I secolo d.C. si calcola un sesto di schiavi, cioè 10 milioni su 60 milioni di abitanti in tutto l’impero romano33Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 77.

Si stima invece che nell’Italia peninsulare e in Sicilia nella seconda metà del II secolo a.C. il numero degli schiavi abbia superato quello degli uomini liberi, e che sia in seguito diminuito, a partire dal I secolo a.C. fino a costituire il 30-40% della popolazione complessiva (quindi circa 2,5 milioni di schiavi su una popolazione totale di 7,5 milioni di abitanti)34Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, pp. 23, 67, 68, 77 35Bloch M., La servitù nella società medievale, La Nuova Italia 1993, p. 3.

Grazie allo storico romano Tacito sappiamo, ad esempio, che il prefetto di Roma nel 61 d.C. possedeva circa 400 schiavi36Tacito, Annali, 14, 43, 4.


 

Antica Roma, società schiavista.

Anche la società dell’Antica Roma, scrivono gli storici francesi Andreau e Descat, «merita di essere definita “schiavistica”» in quanto «proibiva chiaramente ed efficacemente allo schiavo di accedere a uno statuto superiore, e faceva tutto il possibile per impedirgli di giungervi»37Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, pp. 23, 25, 115.

Anche a Roma, come in Grecia, la schiavitù appariva addirittura come «contemporanea del progresso e della civilizzazione», scrivono Andreau e Descat38Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 15.


 

La condizione degli schiavi nell’Antica Roma.

A Roma, rispetto che all’Antica Grecia, la situazione degli schiavi appariva in qualche modo migliore.

Innanzitutto, non si era schiavi per natura ma per diritto positivo, si potevano liberare gli schiavi a determinate condizioni e c’era un freno sociale verso la crudeltà dei padroni nei loro confronti (orientato verso l’utile che potevano dare e verso il controllo sociale) anche se i padroni mantenevano il diritto di vita e di morte sugli schiavi39Sordi M., Paolo a Filemone o della schiavitù, Jaca Book 1987, p. 29-35 40Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 52.

Il diritto romano considerava lo schiavo come oggetto di diritto ma anche homo dotato di intelligenza e di volontà, da distinguersi così dalle cose materiali. Ciò non comportò cambiamenti pratici sostanziali, tanto che Tacito racconta che quando uno schiavo assassinava un padrone, trecento o quattrocento schiavi venivano massacrati41Tacito, Annali, libro 14,34.

Questi miglioramenti etici avvennero, tuttavia, per motivi differenti da una riflessione morale sulla schiavitù42Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 160.

Ad esempio, è vero che dopo il I secolo d.C. fu favorita la riproduzione servile ma solo perché si verificarono minori possibilità di procurarsi schiavi dall’esterno dell’impero43Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 76.

E’ vero che Seneca -possessore di moltissimi schiavi grazie alla sua immensa ricchezza- consigliava un trattamento umano degli schiavi, ma principalmente per il bene morale del padrone, non per il valore intrinseco dello schiavo44Agnoli F., Un Dio senza schiavi, Il Foglio 07/07/2011.

Ne La tranquillità dell’animo (8, 8-9), ad esempio, Seneca consigliò ai suoi lettori di limitare il numero dei loro schiavi, cosa che permetterebbe loro di ridurre le spese e le preoccupazioni di gestione45Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 166.

Infatti, la compravendita di schiavi rimase presente, in particolare il traffico si intensificò nel porto di Delo, luogo d’acquisto privilegiato dei romani seguito dall’Asia Minore (in Frigia, in particolare)46Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 83.

L’esposizione dei neonati (le bambine in particolare), cioè l’abbandono, costituiva la fonte più importante della schiavitù, dopo la riproduzione naturale47Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 80.

Lo schiavo rimase ultimamente un oggetto anche a Roma, non un essere umano alla pari di coloro che erano liberi48Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 119. Il poeta romano Orazio, ad esempio, scrive di avere «l’abitudine di passeggiare da solo», anche se si trovava abitualmente accompagnato dai suoi schiavi49Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 119.

A Roma, come ad Atene, gli schiavi erano esclusi dalla vita religiosa e non era ammissibile che svolgessero essi stessi un atto sacro50Andreau J. e Descat R., Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2009, p. 144, in particolare perché lo avrebbero contaminato51Cicerone, Ottavio, XXIV.

 

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3. GESU’ E LA SCHIAVITU’

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Quei pochi polemisti che nella storia hanno accusato qualcosa a Gesù Cristo, lo hanno fatto riferendosi alla sua non condanna diretta della schiavitù.

Si ricorda, ad esempio, l’episodio del servo malato del Centurione (Lc 7,2), quando Gesù guarì il servo senza liberarlo o senza ammonire il padrone per l’averlo messo in schiavitù.

 

3.1 Gesù non modificò direttamente alcuna istituzione sociale

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Effettivamente non vi sono parole di Gesù di Nazareth contro la condizione morale della schiavitù, ma d’altra parte non si è mai nemmeno soffermato sulla condizione etico-morale della prostituzione o degli uomini che ne usufruivano, né ha mai condannato chi maltrattava gli anziani o gli animali, e così via.

Chi volesse proseguire, potrà rivendicare che nemmeno ha guarito tutti i malati di Gerusalemme, lasciando che molti suoi concittadini perissero nella fame e nella miseria.

Se si guardano i suoi tre anni di vita pubblica, Gesù non ha mai inteso modificare direttamente le istituzioni sociali e nemmeno fondare un codice civile, ma ha semplicemente mostrato agli uomini se stesso: si è fatto accompagnare da prostitute, ha mangiato assieme a ladri e peccatori, si è avvicinato ai lebbrosi, ha trattato gli schiavi allo stesso modo dei padroni (guarendoli, per l’appunto), ha rispettato le donne e i bambini (tutte cose per nulla scontate allora) ecc.

Chiunque ascolti il messaggio di Gesù ne intuisce subito l’attualità, ancora oggi, questo perché Egli si rivolse agli uomini di allora come si sarebbe rivolto a noi. Intese comunicare un messaggio eterno, il senso della vita, non tanto delle norme morali o dei consigli di vita validi solo in un contesto temporale circoscritto.

 

3.2 L’insegnamento di Gesù per un uomo nuovo, non una società nuova

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E’ vero dunque, non ha mai accennato alla condizione specifica della schiavitù ma, tuttavia, ha cambiato la storia invitando gli uomini a imitarlo:

«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15; 12-17).

 

Gesù, inoltre, ha insegnato l’uguaglianza tra gli uomini: fratelli perché figli di Dio. L’altro va considerato uguale a se stessi, perciò, dato che nessuno vorrebbe essere schiavo, non dovrebbe ritenere nessuno uno schiavo: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mc 12;31).

Ha poi valorizzato e innalzato più volte la condizione umile del servitore, usandola come analogia di sé stesso: «Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 43-45).

Analogamente, non si può condannare Gesù perché non ha parlato mai della guerra e della pace.

Anche in questo caso, Egli diede un insegnamento ben più grande:

«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra […]. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli […]. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?» (Mt 5; 38-47).

 

Il messaggio di Gesù di Nazareth non fu, anzitutto, la proposta di una società nuova, ma di un uomo nuovo, di una coscienza nuova, di una nuova concezione di Dio e dell’umanità da cui può sorgere una civiltà nuova: nessuna volontà di prendere il potere con il fine utopico di eliminare il male dalla terra, nessuna similitudine alla rivoluzione francese e comunista.

Il biblista Mauro Pesce, storico del cristianesimo, ha riconosciuto: «Gesù non è un fondatore di società come sarà Maometto, non affronta tutti i problemi della società, individua soltanto dei punti su cui fare leva attraverso i quali l’intera società può essere ripensata e, forse, riorganizzata»52M. Pesce & C. Augias, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, p. 22.

Infine, come spiegato dalla storica Marta Sordi, ordinario di Storia greca e Storia romana all’Università Cattolica, la novità radicale del Nuovo Testamento è sul piano religioso: «Per l’uomo che serve Dio e fa la sua volontà, sia egli libero o schiavo, si apre una prospettiva nuova, al di là di ogni speranza umana: egli non è più servo, ma amico»53M. Sordi, Paolo a Filemone o della schiavitù, Jaca Book 1987, pp. 49.

 

3.3 Gli abolizionisti della schiavitù si inspirarono a Gesù

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E’ evidente che la profondità del messaggio di Gesù andò ben oltre i limiti temporali in cui venne pronunciato, tanto che i principali abolizionisti dell’epoca moderna si giustificano con il messaggio evangelico, a partire dal devoto cristiano Gerrit Smith.

Ad esempio, nei suoi epici sermoni, Martin L. King si riferì costantemente al messaggio evangelico di uguaglianza tra gli uomini fino al suo ultimo epico discorso, I Have a Dream in cui confessò di voler «solo fare la volontà di Dio. E Lui mi ha permesso di salire sulla montagna. E ho guardato oltre, e ho visto la Terra Promessa. Potrei non arrivarci con voi. Ma voglio che sappiate, stasera, che noi, come popolo, arriveremo alla terra promessa. E sono così felice stasera; non mi preoccupo di nulla; non temo nessun uomo. I miei occhi hanno visto la gloria della venuta del Signore»M.L. King, I Have a Dream, Washington 28/08/1963.

Analogamente, l’abolizionista e pastore cristiano Jonathan Blanchard, fondatore di alcuni centri di attività antischiavista, dichiarò che «gli abolizionisti si inspirano alla dottrina del Nuovo Testamento dell’equità naturale dell’uomo e sull’unigenito sangue del genere umano [da Atti 17,26]. Quei grandi principi dei diritti umani, tratti dal Nuovo Testamento e annunciati nella Dichiarazione d’indipendenza americana, dichiarano che tutti gli uomini hanno diritti naturali e inalienabili alla persona, alla proprietà e alla ricerca della felicità»54J. Blanchard, Confronto con Nathan L. Rice, Cincinnati 10/1845, in The Christian Century, 02/05/2006 pp. 20-25.

Frederick Douglass, nato schiavo e poi divenuto un importante leader abolizionista (da schiavo insegnò ad altri schiavi a leggere il Nuovo Testamento), criticò aspramente l’ipocrisia di una parte del cristianesimo americano pro-schiavista, accusandolo di dimenticare gli insegnamenti cristiani e spiegò loro che «mentre Cristo comandava ai suoi seguaci di “nutrire gli affamati, vestire gli ignudi e accogliere gli stranieri», il Fugitive Slave Act (una legge schiavista del 1850) rendeva «reato penale obbedire a Cristo»F. Douglass, citato in DH Dilbeck, America’s Prophet, Tantor and Blackstone Publishing 2021, p. 84.

Uno dei romanzi antischiavisti più famosi della storia, La capanna dello zio Tom, ebbe un impatto enorme sull’opinione pubblica riguardo alla schiavitù e fu un’opera profondamente radicata nei principi cristiani di amore e compassione. L’autrice, Harriet Beecher Stowe, affermò infatti che era possibile «distruggere la schiavitù attraverso il potere salvifico dell’amore cristiano»55citata in J. Tompkins, Sentimental Power: Uncle Tom’s Cabin and the Politics of Literary History, Oxford University Press 1985, p. 141.

Lo storico Mark A. Noll, docente al Regent College, ha osservato giustamente che i più famosi abolizionisti della schiavitù «fecero appello alla vasta portata della Scrittura, inspirandosi alla “lettera” di sanzione della schiavitù nella Bibbia e al suo “spirito” di liberazione universale»56M.A. Noll, The Civil War as a Theological Crisis, The University of North Carolina Press 2006.

Prendendo sul serio il suo insegnamento, chiunque -dal contadino al politico- ha potuto dedurne e trarne un insegnamento di comportamento sociale e capire che la schiavitù è ed era incompatibile con il pensiero cristiano.

Questo è tanto vero che anche gran parte dei non credenti riconosce, comunque, il valore del suo messaggio.

La scrittrice Natalia Ginzburg, ad esempio, scrisse: «Il crocifisso rappresenta tutti perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono eguali e fratelli di tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi»57N. Ginzburg, L’Unità, 22/10/1988.

 

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4. LA SCHIAVITU’ E IL CRISTIANESIMO PRIMITIVO

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Gran parte degli storici è ormai concorde nel sostenere che la divulgazione del messaggio cristiano contribuì notevolmente alla sparizione di tale pratica.

 

4.1 L’impossibilità di una rivoluzione sociale

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Tuttavia, dopo Gesù, la schiavitù certamente non cessò di colpo.

Non sarebbe nemmeno stato possibile: gran parte del sistema economico romano, come abbiamo visto, si basava sullo schiavismo, ed anche dal punto di vista strettamente psicosociale la sua eliminazione avrebbe causato una ribellione violenta.

Non lo fecero gli esseni e nemmeno i terapeuti, pur anche loro opponendosi all’istituzione dello schiavismo58J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 169.

Lo scrittore Francesco Agnoli, ha giustamente spiegato:

«Non si dovrebbe imputare» ai primi cristiani «la “colpa” di non essere stati un Marx, un Lenin, un Stalin, un Pol Pot, convinti che la società si ricrei con la “lotta di classe”, la “violenza levatrice della storia”, i gulag per chi non comprende e la dittatura di chi ha “ragione”. Gli uomini di Chiesa comprendevano bene che una società in cui una persona su tre è schiava, e senza diritti, non può mutare pelle completamente, in poco tempo, senza contraccolpi sociali devastanti. Instillare negli schiavi un senso di ribellione violenta e urgente avrebbe portato solo fiumi di sangue e forse al peggioramento della loro stessa condizione!»59F. Agnoli, Inchiesta sul cristianesimo, Piemme 2010, p. 83.

 

4.2 L’impegno del primo cristianesimo contro la schiavitù

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Il cristianesimo inizialmente accettò la società così com’era, determinando la sua trasformazione attraverso, e solo attraverso, le singole anime60Catholic Encyclopedia, Slavery and Christianity.

Almeno inizialmente, hanno scritto gli storici francesi Jean Andreau e Raymond Descat, «la Chiesa non ha sconvolto ogni cosa, ma ha attenuato alcuni degli aspetti più negativi della schiavitù, ha combattuto gli abusi più palesi. Si è interessata particolarmente al riscatto dei prigionieri e si è opposta alla riduzione in schiavitù, con l’inganno o con la forza, di uomini e donne liberi»61J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 149.

Diffondendosi via via, il cristianesimo poté cominciare, attraverso i suoi valori morali, ad attenuare le dure leggi e le abitudini severe del mondo romano per migliorare le condizioni degli schiavi.

Ad esempio, in seguito alle invasioni barbariche, i documenti dal V al VII secolo sono pieni di casi di prigionieri delle città conquistate e destinati alla schiavitù, che la Chiesa ha redento e rimandato a migliaia, in libertà, nei rispettivi paesi62E. Lesne, Hist de la propriété ecclésiastique en France, 1910, pp. 357-369.

Tutto questo senza “colpi di stato” o manifestazioni di piazza, ma dimostrando quanto fosse più umano imitare l’esempio del comportamento di Gesù Cristo.

Secondo l’archeologo italiano Andrea Carandini, e non solo lui63si veda M. Morabito, Les Réalités de l’esclavage d’après le «Digeste», Les Belles Lettres 1981 64G. Giliberti, La crisi della società schiavistica, Labe 23, 1977, pp. 225-231, il periodo schiavista poté già dirsi concluso nel II secolo d.C. o, al più tardi, all’inizio del III65A. Carandini, Settefinestre, una villa schiavistica nell’Etruria romana, 3 voll., Panini 1985 66A. Carandini, Schiavi in Italia. Gli strumenti pensanti dei Romani fra tarda repubblica e medio impero, Roma, Nuova Italia Scientifica 1988.

Non è però un’idea condivisa nella comunità scientifica, Jean Andreau e Raymond Descat ritengono infatti che «è nei secoli seguenti che si è prodotto il cambiamento»67J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 194. Certamente, tuttavia, la frattura allo schiavismo si innescò nel III e IV secolo per poi subire «un’accelerazione dopo la fine dell’impero romano d’Occidente, ma ben prima del IX-X secolo»68J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 194.

 

4.3 Le invenzioni cristiane di “libertà” e “persona”

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L’Enciclopedia Treccani, ad esempio, riassume la visione della ricerca contemporanea, affermando: «A determinare la decadenza della schiavitù contribuirono le idee morali dello stoicismo e del cristianesimo, diffondendo il concetto che anche lo schiavo è un uomo», anche se «accettarono tuttavia pienamente la schiavitù come istituto sociale e come elemento indispensabile dell’economia del lavoro».

Ed è effettivamente stato così: i primi cristiani, nonostante predicassero e vivessero l’uguaglianza tra gli uomini imparata da Gesù, non avevano ancora il potere di stravolgere l’ordine sociale vigente e poterono limitarsi solo a raccomandare il buon trattamento degli schiavi.

Il cristianesimo primitivo, pur non mettendo subito in discussione la struttura della società, pose lentamente e gradualmente dentro di essa una società diversa.


 

La dottrina del libero arbitrio e la schiavitù.

Fu in particolare la dottrina del libero arbitrio insegnata da Gesù (ma anche dall’Antico Testamento, come Dt 30,19-20) a produrre un cambiamento di mentalità: ognuno è libero e responsabile delle proprie azioni ed in base ad esse sarà giudicato, il Dio cristiano (al contrario degli dèi greci) premia la virtù e punisce il peccato. L’ammonizione di Gesù: “Và e non peccare più”, sarebbe impossibile se l’uomo fosse prigioniero del fato, come ritenevano esserlo gli antichi greci.

Il libero arbitrio fu al centro del pensiero di Sant’Agostino (354-430 d.C.), per il quale «chiunque desidera vivere con giustizia e onorabilità, può farlo»69Agostino, De libero arbitrio, libro III, cap. 1, il quale lo spiegò in termini di compatibilità con l’onniscienza divina in pieno contrasto con la filosofia greca70Agostino, La città di Dio, libro V, cap. 9.

Fu così che il principio di libertà, alla base del pensiero cristiano, chiamò in causa per la prima volta la legittimità di tutte le strutture e usanze sociali che la limitavano, in particolar modo la schiavitù.

L’insegnamento del libero arbitrio e di un Dio cristiano che salva tutti, schiavi compresi, portò all’opera di conversione degli schiavi e spinse la Chiesa primitiva, quando possibile, ad acquistare la loro libertà (papa Callisto, morto nel 223, fu uno schiavo).


 

Il concetto di “persona” e la schiavitù.

Lo storico francese Pierre Bonnassie espose così la questione: «Uno schiavo veniva battezzato e aveva un’anima. Era dunque indiscutibilmente un uomo»71P. Bonnassie, From Slavery to Feudalism in South-Western Europe, Cambridge University Press 1991, p. 30.

Una volta battezzati gli schiavi, il clero cominciò a fare pressioni sui padroni perché dessero loro la libertà in quanto «azione estremamente lodevole»72M. Bloch, La servitù nella società medievale, La Nuova Italia 1993, p. 14.

Ha spiegato lo scrittore cattolico Vittorio Messori: «Il concetto di “persona” fu il grimaldello evangelico che pian piano scardinò la tranquilla sicurezza del mondo classico che fosse “naturale” la distinzione tra uomini “veri” (i cittadini liberi) e quelli che chiamavano “strumenti parlanti” (gli schiavi)»73V. Messori, Qualche ragione per credere, Ares 2008, pag. 101.

L’eminente storico francese Marc Bloch, ha confermato: «Non era poco l’avere detto allo “strumento provvisorio di voce” (instrumentum vocale) dei vecchi agronomi romani: “Tu sei un uomo” e “Tu sei un cristiano”». Questo principio ispirò anche «la legislazione filantropica» di alcuni imperatori74M. Bloch, La servitù nella società medievale, La Nuova Italia 1993, p. 19.

 

4.4 I protagonisti del cristianesimo primitivo contro la schiavitù

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Entriamo maggiormente nel dettaglio e vediamo cosa dissero e cosa fecero i principali esponenti del cristianesimo primitivo nei confronti degli schiavi e della schiavitù.


 

San Paolo e la schiavitù.

Leggendo le lettere di San Paolo, si capisce che egli dà precedenza alla libertà dal peccato piuttosto che alla libertà fisica. A che vale, infatti, essere uomini liberi, ma schiavi del peccato? Molto meglio essere schiavi, ma liberi dal peccato.

Non era in potere di San Paolo sovvertire fisicamente la società, non aveva la forza per una rivolta, perciò si rivolge direttamente agli schiavi stessi (già questa una cosa inedita), invitandoli a vivere con dignità la loro condizione, chiedendo di non odiare i loro padroni, di rispettarli, poiché anch’essi figli di Dio e in questo modo, praticando l’insegnamento cristiano, diventare più “liberi” dei padroni.

Ecco due famosi discorsi di Paolo agli schiavi:

«Schiavi, obbedite ai vostri padroni terreni con rispetto e timore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo, non servendo per farvi vedere, come fa chi vuole piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo di cuore la volontà di Dio, prestando servizio volentieri, come chi serve il Signore e non gli uomini. Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo che libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene. Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che il Signore, loro e vostro, è nei cieli e in lui non vi è preferenza di persone» (Ef 6, 5-7).

 

«Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; anche se puoi diventare libero, approfitta piuttosto della tua condizione! Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore è un uomo libero, a servizio del Signore! Allo stesso modo chi è stato chiamato da libero è schiavo di Cristo. Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini! Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato» (1Cor 7, 21-22).

 

Lo storico della Chiesa Norbert Brox ha osservato che questo continuo rivolgersi agli schiavi da parte di San Paolo è per comunicare il messaggio che anch’essi «sono idonei per conformarsi all’ideale evangelico più puro, ma capaci inoltre di contribuire allo splendore della vita cristiana collettiva. Nessun cristiano è così spregevole che non possa in questa maniera onorare Dio» (N. Brox, Le Lettere Pastorali, Morcelliana 1970).

Paolo non si occupò di stravolgere la società e non si propone, con coscienza moderna, la revisione critica dei rapporti sociali, ma si rivolse ai singoli uomini, ai padroni e agli schiavi perché ognuno si impegnasse ad essere un vero cristiano. Mentre la società del suo tempo ancora considerava gli schiavi alla stregua degli oggetti, la sua è una lenta pedagogia perché il cambiamento avvenga all’interno dell’uomo: solo così tutta la società saprà mutare capendo che tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio.

Infatti, scrisse l’Apostolo delle genti, «noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito» (1Cor 12,13). E ancora: «Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 26-28).

Inoltre, si rivolse agli schiavi stessi, insegnando il concetto cristiano di libertà: gli schiavi chiamati “nel Signore” sono liberti del Signore (1 Cor 7,22), così le distinzioni sociali esterne perdono di importanza.

E infatti, scrisse ancora San Paolo, «quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù, stimino i loro padroni degni di ogni rispetto, perché non vengano bestemmiati il nome di Dio e la dottrina. Quelli invece che hanno padroni credenti, non manchino loro di riguardo, perché sono fratelli, ma li servano ancora meglio, proprio perché quelli che ricevono i loro servizi sono credenti e amati da Dio. Questo devi insegnare e raccomandare» (1Tm 6,1).

Il senso di questa affermazione è la richiesta al servo di non ribellarsi al padrone non cristiano perché questi non abbia un cattivo concetto della dottrina cristiana; chi poi ha padroni credenti li serva con più dedizione essendo essi fratelli e cari a Dio.

Allo stesso modo San Paolo si rivolse anche ai padroni: «Voi, padroni, date ai vostri schiavi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo» (Col 4,1).

Così la fratellanza condivisa dai cristiani appare di fatto incompatibile con la schiavitù, lo si capisce nel caso dello schiavo fuggitivo Onesimo. Paolo chiese a Filemone, padrone dello schiavo, di riaccogliere Onesimo «non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo» (Fm 1,16).

La storica del cristianesimo Marta Sordi, ha osservato: «Se la libertà e la vera nobiltà sono solo quelle dell’anima, ogni distinzione tra gli uomini è destinata a cadere […]. E’ questa la profonda distinzione tra il pensiero paolino e quello stoico […]. La vera novità, giova ripeterlo, è nel rapporto nuovo che schiavo e padrone hanno con Dio, e che trasforma la comune schiavitù della condizione umana davanti alla Fortuna nel razionale ossequio ad un Dio che libera chi lo serve per amore»75M. Sordi, Paolo a Filemone o della schiavitù, Jaca Book 1987, pp. 51-55.


 

San Gregorio di Nissa e la schiavitù.

San Gregorio, vissuto nel IV secolo, fu uno dei Padri della Chiesa che denunciò apertamente la schiavitù come contraria alla legge di Dio76Gregorio di Nissa, Omelie sull’Ecclesiaste, 4, 2, 7.

Gregorio si scagliò con forza contro i possessori di schiavi denunciando l’appropriazione di creature di Dio e ciò, scrivono gli storici francesi J. Andreau e R. Descat, «equivale per lui a sfidare l’ordine divino e a rivendicare un diritto che può essere soltanto quello di Dio»77J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 169.

Ecco uno dei discorsi più famosi di San Gregorio:

«”Ebbi in dominio schiavi e schiave, con molta famiglia”, dice. Vedi l’ostentazione arrogante! Quelle parole sono una ribellione a Dio; noi sappiamo, infatti, dalla Scrittura che tutte le cose servono unicamente a quel potere che è al di sopra di tutto. Pertanto, colui che si arroga ciò che appartiene a Dio, e attribuisce a creature della propria specie il potere di credersi padroni di uomini e di donne, che cosa fa se non insolentire contro la natura, considerandosi creatura diversa da quelle che gli sono soggette? “Ebbi in dominio schiavi e schiave”. Così tu condanni alla schiavitù l’uomo che è dotato di natura libera e indipendente, e fai una legge contraria a Dio, perché sconvolgi la legge di natura che procede da lui. Perché tu sottoponi al giogo della schiavitù chi è stato plasmato dal suo creatore per signoreggiare la terra e per esercitare il comando; in questo modo tu resisti e contraddici all’ordinamento divino […]. Ebbi in dominio schiavi e schiave!”. Ma dimmi, ti prego, a quale prezzo li hai comprati? Dove hai potuto trovare nelle cose un valore corrispondente al prezzo dell’umana natura? Quanto hai speso per l’acquisto di una creatura che è immagine di Dio? Con quali bilance hai pesato una natura che fu creata da Dio? Poiché Dio disse: “Facciamo l’uomo ad immagine e similitudine nostra”. L’uomo che è fatto a somiglianza di Dio e che ha ricevuta da Dio il dominio su tutta la terra e su tutte le cose che sono sopra la terra, chi è che lo vende, e chi è che lo compra? Soltanto Dio potrebbe fare questo, anzi, sarei per dire, non lo potrebbe neppure Dio, perché “Dio non si pente dei suoi doni”. Dio dunque non ridurrebbe mai in schiavitù la natura umana, egli che, spontaneamente, quando eravamo già caduti in schiavitù, ci rivendicò alla libertà. E se Dio non riduce in schiavitù chi è libero, chi sarà mai che pretende un potere superiore a quello di Dio? [ …]. Ti inganni, se credi che un libello e una convenzione scritta ti facciano padrone di una creatura che è immagine di Dio. O stoltezza! Se il contratto perirà, se lo scritto sarà corroso dai tarli o cancellato dall’umidità, donde trarrai le prove del tuo dominio? Da quanto è sotto la natura umana non vedo aggiungersi a te altro che il nome di padrone. Infatti, il tuo potere che cosa ha aggiunto alla tua persona? Non il potere sul tempo, né alcun altro privilegio. Tu e lo schiavo siete nati ugualmente da una natura umana, vivete allo stesso modo, siete dominati dalle stesse passioni dell’anima e del corpo, come la mestizia e l’allegrezza, la gioia e la tristezza, il piacere e il dolore, l’ira e lo sdegno, l’infermità e la morte. In tutte queste cose c’è forse qualche differenza fra schiavo e padrone? Non traggono essi il respiro alla stessa maniera? Non guardano il sole ad un modo? Non si conservano parimenti in vita alla condizione di nutrirsi? Non è simile in entrambi la struttura dei visceri? Dopo la morte, non diventano cenere entrambi? Non è ad essi comune il giudizio, il premio, la pena? E poiché sei in tutto simile agli altri uomini, dove poggi, di grazia, la tua superiorità, ti che, essendo uomo, presumi di avere dominio sull’uomo?»78Gregorio di Nissa, In Eccl. homil IV, citato in G. Barbero, Il pensiero politico cristiano, Torinese 1962, pp. 351-352.

 

Gli storici francesi J. Andreau e R. Descat, hanno aggiunto che Gregorio di Nissa «non soltanto riteneva che, dinnanzi a Dio, gli schiavi fossero uguali agli uomini liberi, ma considerava il possesso di schiavi un peccato, e un peccato molto grave»79J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 177.

Il classicista Peter Garnsey, docente alla Cambridge University, ha sottolineato a lungo la forza e il carattere radicale della critica di Gregorio all’interno del suo imponente studio sulla storia della schiavitù, presentandolo come «l’eroe della mia esposizione»80Ideas of Slavery from Aristotle to Augustine, Cambridge University Press 1996, pp. 111-123, 321.


 

Sant’Ambrogio e la schiavitù.

Un altro Padre della Chiesa che diede il suo contributo alla causa fu Sant’Ambrogio il quale, prendendo atto del diffuso uso della schiavitù, ne svuotò il contenuto suggerendo ai credenti come riscattarsi.

Inneggiò inoltre alla bellezza della liberazione degli schiavi e alla libertà degli uomini, non negoziabile nemmeno con l’oro.

Ecco un celebre discorso di Sant’Ambrogio:

«Non ci dirà forse il Signore: “Perché hai permesso che tanti poveri morissero di fame? Certamente tu avevi dell’oro, dovevi quindi procurare gli alimenti. Perché tanti schiavi furono messi in vendita e, non riscattati, furono uccisi dal nemico? Sarebbe stato meglio per te conservare corpi di creature viventi piuttosto che vasi di metallo”. A questi argomenti non si può dare risposta. Che cosa potresti infatti obiettare? […]. Come è bello quando da parte della Chiesa si liberano moltitudini di schiavi e quando si può dire: “questi li ha redenti Cristo!”. Ecco l’oro che può essere oggetto di onore, ecco l’oro di Cristo che libera dalla morte, ecco l’oro che redime il pudore e conserva la castità! Io dunque preferirei consegnarvi degli uomini liberi piuttosto che consegnarvi l’oro»81Ambrogio, De officiis ministrorum II, 8, pp. 136-142, citato in G. Barbero, Il pensiero politico cristiano, Torinese 1962, pp. 425-427.


 

San Giovanni Crisostomo e la schiavitù.

San Giovanni Crisostomo diede il suo contributo assumendo una posizione del tutto rivoluzionaria.

Egli infatti negò la base economica della schiavitù ed esortò i padroni a insegnare agli schiavi un mestiere, per renderli così economicamente autosufficiente e poi renderli liberi.

Famosa in particolare una sua semplice argomentazione anti-schiavista: «Dio ci ha dato mani e piedi affinché non avessimo bisogno di servi!»82G. Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Corinzi 40, 5.

Ecco le rivoluzionarie parole di Sant Giovanni Crisostomo:

«Perché (i ricchi) hanno molti servi? Come bisogna guardare soltanto al bisogno per quanto si riferisce al vestire e al mangiare, così bisogna comportarsi anche per quanto concerne i servi. Quale bisogno ne abbiamo? Nessuno! Un solo padrone non dovrebbe avere più di un servo: o meglio, due o anche tre padroni, dovrebbero avere un solo servo. Se questo ti sembra pesante, guarda a coloro che non ne hanno alcuno, e tuttavia fruiscono di un servizio più facile e più spedito. Poiché Dio ci fece in modo che ciascuno bastasse a curare sé stesso, anzi, a prendersi cura anche del prossimo. Se tu non credi, ascolta le parole di Paolo: “Alle mie necessità e a quelle di coloro che sono con me hanno provveduto queste mie mani”. Egli, che fu maestro di tutte le genti e fu degno dei cieli, non arrossiva di provvedere a innumerevoli servizi; ma tu stimi indecoroso, se non ti muovi circondato da una turba di schiavi, e non pensi che proprio questo, massimamente, ti disonora. Dio ci ha dato mani e piedi affinché non avessimo bisogno di servi. E non è certo il bisogno che introdusse nel mondo gli schiavi, altrimenti insieme con Adamo sarebbe stato creato anche uno schiavo. La schiavitù è la pena del peccato e il presso della disobbedienza, ma la venuta di Cristo ha sciolto anche questo. Infatti in Cristo “non c’è né schiavo né libero. Perciò non è necessario avere uno schiavo: e, se fosse necessario, ne basterebbe uno solo, al massimo due. Che cosa vogliono significare questi sciami di servi? Giacché i ricchi procedono alle terme e nel foro a guisa di mercanti di pecore o di commercianti di schiavi. Ma io non intendo imbastire una discussione minuta. Tienti, se vuoi, anche un secondo servo. Se però ne aduni un gran numero, non venirmi a dire che tu fai questo per motivi di filantropia: tu lo fai per servire ai tuoi piaceri. Se tu agisci davvero per prenderti cura di loro, non occuparli al tuo servizio, ma, dopo averli comprati ed avere insegnato loro un mestiere, affinché possano bastare a se stessi, affrancali. Quando tu li fai battere con la verga, quando li fai mettere in carcere, non è certo un’opera di pietà la tua. So bene che io sono molesto ai miei uditori, ma che debbo fare? Questo è il compito che mi è stato affidato, e non cesserò di parlare, sia che le mie parole ottengano un qualche risultato, sia che non lo ottengano»83G. Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Corinzi 40, 5, citato in G. Barbero, Il pensiero politico cristiano, Torinese 1962, 514-515.


 

Sant’Agostino e la schiavitù.

Gli storici francesi Jean Andreau e Raymond Descat ritengono senza mezzi termini che «la cura manifestata dal vescovo Agostino nel lottare contro simili abusi (la riduzione in schiavitù dei bambini rapiti, N.d.A.) che lo scandalizzano e nel far rispettare la legalità, è molto rappresentativa dell’intervento attivo della gerarchia ecclesiastica in tale ambito. Occorre tenerne conto quando ci si interroga sugli atteggiamenti della Chiesa di fronte alla schiavitù»84J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 216.

Effettivamente il peso che ebbe la visione di Agostino sulla schiavitù fu molto importante, soprattutto il suo intervento nella Lettera 10, promemoria di Agostino al Santo Fratello Alipio, nella quale si oppose fermamente alla schiavitù e alla tratta degli schiavi.

Ecco il duro intervento di Sant’Agostino contro la schiavitù:

«Le autorità o i funzionari pubblici, con l’impegno dei quali potrebbe essere fatta osservare questa legge o qualunque altra promulgata su quest’argomento, hanno il dovere di provvedere che l’Africa non venga più oltre svuotata dei suoi abitanti indigeni e che una sì gran folla di gente d’ambo i sessi, trascinata via a truppe e a frotte come da un fiume che scorre senza tregua, non perda la propria libertà personale peggio che divenendo prigioniera dei barbari. In effetti dalla schiavitù, in cui sono tenuti dai barbari, viene riscattato un gran numero di prigionieri, mentre quelli che sono deportati nelle province d’oltremare non trovano nemmeno l’aiuto per venir riscattati; eppure si resiste ai barbari quando una spedizione militare romana è condotta valorosamente e con successo affinché i romani non restino prigionieri dei barbari. Chi mai, al contrario, resiste a codesti mercanti non di animali quali che siano ma di uomini, non di barbari di qualunque specie ma di cittadini romani delle province? A cotesti mercanti, sparsi dappertutto affinché nelle mani di coloro, che promettono ricompense in danaro, siano condotte, in ogni dove e da ogni dove, persone rapite con la forza o ingannate con tranelli, chi mai resiste in nome della libertà romana, non dico della libertà comune, ma della stessa libertà personale? Tocca ora alla tua santa Prudenza pensare a qual punto imperversi siffatta deportazione di sventurati lungo il restante litorale [dell’Africa], se così ardente l’avidità, così mostruosa è l’audacia dei Galati qui a Ippona ove, per la misericordia di Dio, sta in guardia, per quel poco che vale, la vigilanza della Chiesa, grazie alla quale vengono liberati degli sventurati da tale schiavitù e i mercanti di simili merci vengono puniti assai meno gravemente – è vero – che non dalla severità della suddetta legge, ma tuttavia vengono colpiti con la perdita dei soldi sborsati per acquistarli. In nome della carità cristiana ti supplico di far sì che io non abbia scritto invano alla Carità tua. I Galati infatti hanno i loro patroni, per mezzo dei quali reclamano come loro proprietà coloro che il Signore ha liberato per opera della Chiesa anche quando sono stati già restituiti ai loro familiari, che li ricercavano e a questo scopo erano venuti da noi con lettere dei loro vescovi. Al momento in cui dettiamo queste righe quei tali hanno cominciato a molestare alcuni fedeli, nostri figli, presso i quali erano rimasti alcuni di essi, dato che la Chiesa non è in grado di sostentare tutti coloro ch’essa libera; e sebbene sia giunta una lettera di un’autorità, di cui essi avrebbero potuto aver paura, non hanno cessato per nulla di reclamare»85Agostino d’Ippona, Lettera a Alipio, 10.

 

Sempre Agostino, nel suo De Civitate Dei spiegò che i padroni, in verità, «sono a servizio di coloro ai quali apparentemente comandano. Lo prescrive l’ordine naturale perché in questa forma ha Dio ha creato l’uomo: l’essere ragionevole, creato a Sua immagine, fosse il padrone soltanto degli esseri irragionevoli, non l’uomo dell’uomo, ma l’uomo del bestiame»86Agostino, De Civitate Dei, libro 19, parr. 14-15.


 

San Tommaso d’Aquino e la schiavitù.

Tommaso d’Aquino nelle sue alte riflessioni analizzò la morale nei rapporti umani, sostenendo che la schiavitù è in opposizione al diritto naturale e deducendo che tutte le “creature razionali” hanno diritto alla giustizia.

Come ben spiegato dal sociologo della religione Rodney Stark, Tommaso non trovò alcuna base naturale per la riduzione in schiavitù di una persona piuttosto che un’altra, rimuovendo ogni possibile giustificazione per la schiavitù in base alla razza o religione87R. Stark, The truth about the Catholic Church and Slavery, Christianity Today 01/07/2003.

Egli distinse anche due forme di “sudditanza” o autorità, giuste e ingiuste. La prima si verifica quando il padrone produce un vantaggio e beneficio ai suoi sudditi, la forma ingiusta di soggezione, invece, è quella della schiavitù, in cui il sovrano gestisce il soggetto per il suo vantaggio88R. Stark, The truth about the Catholic Church and Slavery, Christianity Today 01/07/2003.

Per approfondire ulteriormente il pensiero di Tommaso sulla schiavitù invitiamo l’importante studio del filosofo Hector Zagal: Aquinas on Slavery: An Aristotelian Puzzle (Universidad Santo Tomás 2003).


 

Santa Batilde e la schiavitù.

A dimostrazione dell’impegno della Chiesa primitiva nel delegittimare moralmente la schiavitù, nel VII secolo Papa Niccolò I proclamò santa la schiava britannica Batilde, divenuta sposa e poi vedova di Clodoveo II, re dei Franchi.

Fu apprezzata la sua attività contro lo schiavismo, ella infatti sfruttò la sua posizione reale per organizzare una campagna che ponesse fine alla tratta degli schiavi e riscattasse coloro che si trovavano in schiavitù89M. Liut, Batilde. Una regina «schiava» che lottò per la libertà, Avvenire 30/01/2013.


 

Lattanzio e la schiavitù.

L’apologeta romano di fede cristiana, Lattanzio, fra i più celebri del suo tempo, visse tra la fine del III e gli inizi del IV secolo.

Jean Andreau, direttore del dipartimento di Storia presso la Scuola di studi superiori in scienze sociali di Parigi, e Raymond Descat, professore di storia all’Università di Bordeaux, hanno scritto che «lungi dal limitarsi a condannare la schiavitù», Lattanzio «insiste sul fatto che eccessive disuguaglianze di ricchezza e di statuto sono altrettanti ostacoli all’esercizio di una giustizia, e critica a questo proposito l’insieme della tradizione greco-romana»90J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 169.

Effettivamente, inspirandosi al cristianesimo chiarì che ai suoi occhi gli schiavi erano a lui fratelli e eguali. Tuttavia, malgrado egli rifiutò categoricamente la schiavitù, non ne contemplò la scomparsa91Lattanzio, Istituzioni divine, 5-15.

 

4.5 Pontefici nati e cresciuti come schiavi

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Il cristianesimo valorizzò così tanto gli schiavi, li sentì talmente uguali a tutti gli altri uomini che il clero non ebbe alcun problema a nominare con pontefici della Chiesa cattolica persone nate e cresciute come schiave.

Eppure, secondo Tacito «gli schiavi non avevano religione, o avevano solo religioni straniere»92Tacito, Annali, XIV e, come abbiamo visto, certamente erano esclusi dalle funzioni religiose perché le avrebbero contaminate93Cicerone, Ottavio, XXIV.

Al contrario il cristianesimo non guardò alla condizione sociale dei propri fedeli, offrendo a tutti gli stessi sacramenti.

Così numerosi chierici ebbero un’origine servile e, come già detto, la stessa Cattedra di San Pietro venne occupata da uomini che erano stati schiavi, come Pio I (100-150 d.C.) e Papa Callisto I (180-222 d.C.).

 

4.6 Le tombe degli schiavi cristiani

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Un altro aspetto interessante, che rende bene l’idea dell’approccio del primo cristianesimo alla schiavitù, è che nemmeno nei cimiteri cristiani vi fu alcuna differenza tra le tombe degli schiavi e quelli dei liberi.

Un inedito se si considera che da sempre nei sepolcri pagani veniva sottolineata la condizione servile con un’iscrizione (e le tombe erano isolate).

L’archeologia ha permesso di individuare che addirittura alcune tombe di schiavi cristiani risultavano onorate con un sepolcro più pretenzioso di altri fedeli liberi, un esempio è quello di Ampliatus ritrovato nel cimitero di Domitilla94Bulletin of Christian Archaeology, 1881, pp. 57-54.

Ciò fu particolarmente vero nel caso di schiavi martiri, è il caso, ad esempio, di Protus e Hyacinthus, bruciati vivi durante la persecuzione di Valeriano. Le loro ceneri furono avvolte da un sudario di tessuto oro95Bulletin of Christian Archaeology, 1894, p. 28.

 

4.7 Gli imperatori cristiani e la schiavitù

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Quale fu la situazione della schiavitù durante i regni degli imperatori cristiani?

Pur ricordando che su questo tema il diritto civile rimase indietro rispetto alle novità introdotte dal cristianesimo («Le leggi di Cesare sono una cosa, le leggi di Cristo un’altra», scrisse S. Girolamo96S. Girolamo, Epistole, LXXVII), tuttavia si può notare un forte progresso in questo senso e la condanna al maltrattamento degli schiavi divenne sempre più marcata.

L’eliminazione improvvisa della schiavitù, come detto sopra, non era possibile poiché gran parte del sistema economico romano si basava sulla schiavitù e la sua condanna avrebbe causato seri problemi di ordine sociale per qualsiasi imperatore.

Vediamo cosa fecero più dettagliatamente due dei più famosi imperatori cristiani.


 

Costantino e la schiavitù.

Come indicato dallo storico Giovanni Pellegrino, l’imperatore Costantino cercò di raggiungere due obiettivi molto importanti: favorire la liberazione del maggior numero di schiavi possibile da parte dei padroni, tramite quello che viene definito “favor libertatis”, e migliorare la condizione esistenziale degli schiavi che non ottenevano la libertà97G. Pellegrino, La condizione degli schiavi a Roma dall’impero di Costantino a quello di Giustiniano, www.storiaromanaebizantina.it 16/06/2020.

Effettivamente, durante il suo regno (306-337 d.C.) Costantino diede molto risalto nella sua attività legislativa alla cosiddetta “libertà per ricompensa” che prevedeva la liberazione dello schiavo che denunciava all’autorità pubblica delitti quali la coniazione di monete false oppure gli omicidi, i rapimenti, diede inoltre impulso ai processi di affrancamento per motivi religiosi emanando una legge che imponeva ai padroni ebrei di vendere gli schiavi cristiani alla Chiesa98G. Pellegrino, La condizione degli schiavi a Roma dall’impero di Costantino a quello di Giustiniano, www.storiaromanaebizantina.it 16/06/2020.

Infine, Costantino stabilì in sedici anni (a differenza dei venti previsti da Diocleziano) il periodo necessario all’acquisto della libertà da parte dello schiavo99G. Pellegrino, La condizione degli schiavi a Roma dall’impero di Costantino a quello di Giustiniano, www.storiaromanaebizantina.it 16/06/2020.

Per quanto riguarda i provvedimenti adottati da Costantino per migliorare la condizione servile ed eliminare abitudini molto crudeli, egli abolì la loro crocifissione, ribadì il divieto di castrazione imponendo altrimenti la confisca dello schiavo, eliminò il marchio a fuoco impresso sulla fronte degli schiavi condannati a combattere nelle arene come gladiatori o ai lavori forzati nelle miniere. Inoltre, impedì che le famiglie costituite da schiavi venissero separate riconoscendo il valore morale, materiale e religioso di tali famiglie come richiesto dalla Chiesa cattolica100G. Pellegrino, La condizione degli schiavi a Roma dall’impero di Costantino a quello di Giustiniano, www.storiaromanaebizantina.it 16/06/2020.

Nel 325 d.C. ordinò di mantenere gli schiavi nel grande fondo che coltivano (Codice teodosiano, 2,25)101A. Puglisi, Servi, coloni, veterani e la terra in alcuni testi di Costantino, in «Labeo» 23, 1977, pp. 305-317, ciò ebbe come «effetto il rafforzamento del legame tra lo schiavo e la terra, a dispetto di chi continua
a vederlo collegato al suo padrone»
102J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 196.

Sempre Costantino, nel 326 d.C. vietò la vendita degli schiavi (Codice giustinianeo, 11, 48, 7)103J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 196.

Occorre tuttavia precisare che J. Andreau e R. Descat si mostrano dubbiosi sui motivi alla base degli interventi di Costantino, concludendo che «più che la volontà di elaborare una legislazione d’ispirazione cristiana, il regno di Costantino rivela forse lo sforzo di ristabilire un ordine sociale più rigido»104J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 197.


 

Giustiniano e la schiavitù.

Sotto il regno di Giustiniano (527-565 d.C.), la legislazione imperiale cristiana raggiunse il suo più alto livello programmatico in quanto l’imperatore affermò più volte che la schiavitù era contraria al diritto naturale105G. Pellegrino, La condizione degli schiavi a Roma dall’impero di Costantino a quello di Giustiniano, www.storiaromanaebizantina.it 16/06/2020.

Giustiniano si rese conto che, non potendo abolire la schiavitù, era necessario perlomeno limitare il numero degli schiavi e rendere sempre più umana la loro condizione esistenziale applicando i principi etici del cristianesimo106G. Pellegrino, La condizione degli schiavi a Roma dall’impero di Costantino a quello di Giustiniano, www.storiaromanaebizantina.it 16/06/2020.

Riconobbe infatti che la dottrina cristiana era incompatibile con l’esistenza della schiavitù, ma d’altra parte si rese anche conto che i tempi non erano maturi per un’abolizione definitiva, secondo il diritto naturale richiedeva107G. Pellegrino, La condizione degli schiavi a Roma dall’impero di Costantino a quello di Giustiniano, www.storiaromanaebizantina.it 16/06/2020.

Fu così che, come spiegato dal prof. Marco Melluso dell’Università di Bologna, «Giustiniano cercò sicuramente di dare una dimensione più “umana” alla schiavitù, continuando nell’opera di erosione dell’istituto quale si era radicato nella società di epoca classica»108M. Melluso, La schiavitù nell’età giustinianea, Institut des Sciences et Techniques de l’Antiquité Année 2000, p. 296.

 

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5. LA SCHIAVITU’ NEL MEDIOEVO

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L’impegno dei cristiani contro la schiavitù divenne più organico con il progredire dei secoli.

Il filosofo Cornelio Fabro ha spiegato infatti:

«La Chiesa si adoperò in tutti i tempi per emancipare coloro che per diritto di guerra o per altri motivi erano divenuti schiavi. Non meno efficace fu l’influsso della morale e della spiritualità cristiana sulla cause prossime della schiavitù […]. Il movimento di liberazione continuò in tutto il Medioevo e si estese alle genti barbariche del Nord che accettavano l’influsso della Chiesa e del diritto romano fino a far scomparire in pratica la schiavitù antica e a concepire nuove forme di dipendenza più consone alla crescente consapevolezze della dignità dell’uomo»109C. Fabro, Studi cattolici, n.66, settembre 1966.

 

Non sono opinioni di parte di un filosofo cattolico, ma la realtà storica confermata gli storici e specialisti francesi J. Andreau e R. Descat, per i quali «è nel corso dell’Alto Medioevo che si sono prodotti i cambiamenti più importanti e che si è definitivamente usciti, in Europa occidentale, dalla società schiavista»110J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 222.

Nell’Europa ormai definitivamente cristiana la schiavitù cessò gradualmente di essere praticata (ricomparve solo nel 1600), importante fu l’opera ecclesiale di trasformare gradualmente lo schiavo in servo, e, quando possibile, in uomo completamente libero.

 

5.1 La schiavitù scomparve nel Medioevo grazie al cristianesimo?

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Secondo il celebre medievalista Marc Bloch fu in pieno alto medioevo, verso l’VIII o il IX secolo, che la schiavitù perse gran parte della sua importanza111M. Bloch, Comment et pourquoi finit l’esclavage antique, in Annales Economies, Sociétés, Civilisations, 2, 1947, pp. 30-45 e 161-170.

Sebbene tutti gli storici concordino sul fatto che alla fine del X secolo la schiavitù era, di fatto scomparsa dall’Europa, alcuni hanno negato che ciò fosse dipeso dal cristianesimo (ad esempio Robert Fossier o Gorges Duby), sostenendo che lo schiavismo divenne semplicemente poco remunerativo rispetto al progresso tecnologico.

E’ una tesi in linea con il marxismo ma non con la realtà economica, tanto da essere smentita e capovolta da innumerevoli studi di economisti come The Economics of Slavery and Other Studies112A.H. Conrad & J.R. Meyer, in Econometric History, Aldine 1958 e Time on the Cross: The Economics of American Negro Slavery113R.W. Fogel & S.L. Engerman, 2° vol., Little Brown 1974.

La falsità della tesi marxista fu evidenziata anche da Richard Ainley Easterlin, eminente professore di Economia all’Università della California del sud, il quale fece notare che perfino quando scoppiò la guerra di Secessione americana (1861-1865), negli stati del Sud la schiavitù «era la più remunerativa modalità di produzione»114R.A. Eastrerli, Regional Income Trends 1840-1850, MCGraw-Hill 1961, p. 525-547.

La storia dimostra infatti che la schiavitù è sempre stata conveniente per i padroni, anche se non lo fu per la società in generale, la quale ottenne maggiori benefici dalla manodopera libera. Per questo, il superamento dello schiavismo diede all’Europa un vantaggio immenso sul resto del mondo.

Olivier Pétré-Grenouilleau, ordinario di Storia all’Università della Bretagna e dell’Istituto di Scienze politiche di Parigi, ha chiaramente spiegato nel suo celebre saggio sulla storia della schiavitù che soltanto «il principio cristiano — l’idea secondo la quale tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio — ha potuto aiutare a minare le fondamenta del sistema schiavistico»115O. Pétré-Grenouilleau, La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, Il Mulino 2006, pp- 212-213.

La schiavitù comunemente intesa finì «solo perché la Chiesa estese i suoi sacramenti a tutti gli schiavi e poi riuscì a proibire la schiavitù per i cristiani (e gli ebrei)», ha scritto invece il sociologo (non cattolico) Rodney Stark. «Nel contesto dell’Europa medioevale, quella proibizione divenne effettivamente un’abolizione universale»116R. Stark, La Vittoria della Ragione, Lindau 2008, p. 57.

Alla fine del VIII secolo Carlo Magno, incoronato da papa Leone III, si oppose infatti frontalmente alla schiavitù, seguendo l’esempio delle autorità ecclesiastiche e pontificie.

E’ nota l’opera Via Regia dell’abate Smaragdo di Sain-Mihiel, dedicata proprio a Carlo Magno, in cui si legge: «Clementissimo re, vieta che possa esserci anche un solo schiavo nel tuo regno».

All’inizio del IX secolo, il vescovo Agobardo di Lione tuonava: «Tutti gli uomini sono fratelli, tutti invocano lo stesso Padre, Dio: lo schiavo e il padrone, il ricco e il povero, l’ignorante e il dotto, il debole e il forte. Nessuno è stato innalzato al di sopra dell’altro. Non c’è schiavo o libero, ma in ogni cosa e sempre c’è solo Cristo»117citato in P. Bonnassie, From Slavery to Feudalism in South-Western Europe, Cambridge University Press 1991, p. 54.

Allo stesso modo, nel XI secolo sia San Vulstano di Worcester che Sant’Anselmo d’Aosta si batterono per eliminare le ultime vestigia della schiavitù.

Grazie a queste sempre più frequenti prese di posizione, ha commentato il noto storico Marc Bloch, ben presto «nessuno più dubitò che la schiavitù fosse di per sé contraria alla legge divina», così «da quel momento in poi, nessun uomo, nessun vero cristiano in nessun caso poté più legittimamente essere considerato proprietà di un altro uomo»118M. Bloch, La servitù nella società medievale, La Nuova Italia 1993, pp. 11, 30.

 

5.2 I Concili cattolici e le norme a favore degli schiavi

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Nel corso del Medioevo, i padri della Chiesa estesero i sacramenti agli schiavi e diversi Concili chiesero di migliorare notevolmente le condizioni del loro benessere, proseguendo il lavoro di erosione dello schiavismo.

Più concretamente, ecco cosa ottennero i vescovi in ordine cronologico:

  • Introdussero penitenze per il padrone che avesse picchiato lo schiavo/a provocandogli/le un danno (Concilio di Elvira, 305 d.C.);
  • Validarono la vendita di vasi sacri e di beni della Chiesa per la redenzione e il riscatto degli schiavi (Concilio Agatense, 506 d.C., Concilio Matisconense, 585 d.C.);
  • Invocarono la protezione dello schiavo maltrattato se rifugiatosi in una chiesa o a cui fosse stata data la libertà in chiesa (Concilio di Orange119canone 7, Orléans, 511 d.C., 538 d.C., 549 d.C. e Concilio di Epone, 517 d.C.);
  • Vietarono agli ebrei di possedere schiavi cristiani (Concilio di Orléans, 541 d.C., Concilio di Mâcon, 581 d.C., Concilio di Clichy, 625 d.C., Concilio di Toledo, 589 d.C., 633 d.C., 656 d.C.);
  • Introdussero il riposo per gli schiavi nella domenica, giorno del Signore, e durante le festività cristiane (Concilio di Auxerre, 578 d.C., Concilio di Ruen, 650 d.C.; Concilio del Wessex, 691 d.C., Concilio di Berghamsted, 697 d.C.);
  • Invocarono il divieto di riduzione di un uomo libero in schiavitù (Concilio di Clichy, 625 d.C.);
  • Invocarono la soppressione del traffico di schiavi (Concilio di Chalon-sur-Saône, tra il 644 e il 650 d.C.);
  • Introdussero la scomunica per chiunque attentasse alla libertà delle persone (Concilio Lugdunense, 566 d.C.);
  • Resero valido il matrimonio contratto con piena conoscenza tra persone libere e schiavi (Concilio di Verberie, 752 d.C. e Concilio di Compiègne, 759 d.C.);
  • Fu vietato severamente il traffico di schiavi definendolo “nefarium negotium”, cioè “traffico infame” (Concilio di Londra, 1102 d.C.120La Civiltà cattolica, Anno secondo, Volume VII, edizioni La Civiltà cattolica, 1851, p. 67.

 

Il risultato più determinante della Chiesa medievale fu soprattutto l’introduzione della validità del matrimonio misto (tra uomini liberi e schiavi), tanto che già nel VII secolo le unioni miste (soprattutto uomo libero e donna schiava) divennero molto comuni.

L’esempio più noto furono le nozze celebrate nel 649 d.C. tra il re dei Franchi Clodoveo II e la schiava cristiana Batilde, la quale ereditò il regno e –come già detto– promosse una campagna contro il commercio di schiavi. Dopo la morte (nel 680 d.C. circa), Papa Niccolò I la canonizzò come santa.

Ma furono diversi altri i miglioramenti che il clero cristiano riuscì lentamente a introdurre nella società.

Molto chiaro, a tal proposito, il giudizio di Harold J. Barman, storico del diritto e professore emerito alla Harvard Law School:

«Sotto l’influenza del cristianesimo, a anche in virtù delle idee stoica e neoplatonica recepite dalla filosofia cristiana […], nel diritto relativo agli schiavi fu dato loro il potere di ricorrere a un magistrato in caso di abuso dei poteri da parte del padrone e addirittura, in alcuni casi, di rivendicare il diritto di libertà se il padrone si comportasse crudelmente, moltiplicando le forme di manomissione degli schiavi e permettendo loro di acquisire diritti alla parentela con uomini liberi»121H.J. Barman, Diritto e rivoluzione. Le origini della tradizione giuridica occidentale, Il Mulino 2006, p. 179.

 

Della medesima opinione anche Guido Clemente, docente di Storia romana all’Università di Firenze:

«Fu dunque assai importante la pratica e l’incidenza di alcuni movimenti culturali, come stoicismo e cristianesimo, per introdurre mitigazioni in aspetti particolari del trattamento degli schiavi […], la pratica dell’affrancamento fu favorita dall’ampliamento delle procedure consentite (ad esempio l’affrancamento davanti al vescovo), ma rimasero gli obblighi verso il padrone anche se i vincoli giuridici certamente si attenuarono»122G. Clemente, Guida alla storia romana, Mondadori 2008, pp. 362-363.

 

5.3 Nel Medioevo, da schiavitù a servitù della gleba

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Nel corso del Medioevo, lentamente, la schiavitù si trasformò nella cosiddetta “servitù della gleba” (cioè “della terra”).

Gli schiavi divennero contadini a cui un proprietario terriero forniva un appezzamento e un’abitazione in cambio di lavoro nei suoi campi: smisero di fatto di essere considerati degli “oggetti” e dei “beni”.

Fu un cambiamento vantaggioso per gli schiavi? Si, l’eminente storico francese André Piganiol ha rilevato che «è un grande progresso la costruzione della casa individuale del contadino, che succede alla caserma di schiavi»123A. Piganiol, L’Empire chrétien, PUF 1947 p. 415.

Ottennero per la prima volta nuovi diritti ereditari, legati alla terra, i quali non potevano essere espropriati, furono protetti dai signori o feudatari (così venivano chiamati i proprietari terrieri), potevano sposare chi volevano e le loro famiglie non erano più soggette a vendita o dispersione. Pagavano degli affitti che permettevano loro di poter controllare tempi e ritmi del lavoro, mentre gli obblighi lavorativi divennero quelli legati al lavoro dipendente, piuttosto che alla schiavitù.

Il feudatario non aveva alcuna potestà sulla vita del contadino, poteva invece comandarlo durante il lavoro nei campi come servo della gleba.

La Chiesa non condannò la servitù della gleba, contribuì però in modo determinante a umanizzarla: essa divenne un contratto che garantiva al servo una serie di sicurezze, tanto che nell’Alto Medioevo furono frequentissime le richieste di divenire servo. Secondo il Domesday Book, alla fine del XI secolo il 12% della popolazione dell’Inghilterra era costituito da contadini liberi, mentre il 35% erano servi124D. McGarry, Medieval History and Civilization, Macmillan 1976, p. 242.

Tale forma di servitù poteva essere anche volontaria, nel senso che le persone potevano “vendere” il loro lavoro per un periodo di tempo (servitù a contratto).

Anche monasteri e abbazie usufruirono spesso dei servizi dei servi della gleba, rappresentando una vera garanzia di sopravvivenza per i contadini in quanto assicurò loro una rendita e una sicurezza di vita.

La specialista francese Régine Pernoud, curatrice del Musée des Archives nationales ha spiegato tutto questo in maniera più dettagliata:

«Il servo medievale è una persona, trattata come tale; il suo padrone non ha su di lui il diritto di vita e di morte che gli riconosceva il diritto romano. D’altronde, molto più che una categoria giuridica precisa, la servitù è una condizione, legata a un modo di vita essenzialmente rurale e terriero; ubbidisce a imperativi agricoli, e prima di tutto alla necessaria stabilità che implica e abbisogna la coltivazione d’una terra. Nella società che i secoli VI-VII vedono nascere, la vita va organizzandosi intorno al suolo che nutre e il servo è colui da cui si esige la stabilità: è tenuto ad abitare nel feudo e a coltivarlo, perché se è vero che gli è vietato lasciare que­sta terra, però egli sa che ne riceverà anche la sua parte di messe. In altri termini, il signore del fondo non lo può espellere, non più di quanto il servo possa “svignarsela”. È questo vincolo intimo dell’uomo con la terra di cui vive, che costituisce il servaggio, perché, per il resto, il servo della gleba ha tutti i diritti dell’uomo libero: può sposare, fondare una famiglia, e la sua terra, dopo la sua morte, passerà ai figli, come pure tutti i beni che egli avrà potuto acquistare. Il signore, notiamo bene, per quanto su una scala del tutto diversa, evidentemente, ha tuttavia gli stessi obblighi del servo, infatti non può né vendere, né alienare, né disertare la sua terra. La situazione del servo, come vediamo, è radicalmentente diversa, e senza comune misura con quella dello schiavo»125R. Pernoud, Medioevo, un secolare pregiudizio, Bompiani 2001, pp. 88-90.


 

Il ruolo svolto dall’arrivo della peste nera.

Con l’inizio del XIV secolo aumentò la proporzione tra contadini liberi e servi della gleba, i quali sparirono definitivamente con l’arrivo della peste nera. In questo periodo, infatti, il lavoro dei contadini divenne preziosissimo e i contratti d’affitto furono sempre più a loro vantaggiosi. Come spiegato dal sociologo Rodney Stark, «i proprietari accettarono di fornire sementi, buoi o cavalli e migliori abitazioni, il tutto ad affitti più bassi»126R. Stark, La vittoria dell’Occidente, Lindau 2014, p. 242.

Lo storico medievista Jim Bolton, ha sottolineato che «il cambiamento arrivò, quasi inesorabilmente, e arrivò perché gli eventi economici dell’ultimo quarto del XIV secolo, soprattutto quelli risultanti da un’improvvisa diminuzione della popolazione, diedero ai contadini affittuari un irresistibile potere contrattuale. Verso il 1380 gli sforzi dell’aristocrazia di riproporre la servitù della gleba fallirono ampiamente di fronte alla resistenza degli affittuari e al realismo economico»127J. Bolton, “The World Upside Down”: Plague as an Agent of Economic and Social Change, Stamford 1996, p. 49.

 

5.4 La schiavitù: nessun cambiamento nelle società non cristiane

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L’abolizione della schiavitù nell’Europa cristiana comportò, inoltre, un conseguente progresso industriale, dato che gli uomini furono costretti a procurarsi energia tramite le macchine.

Questo non si verificò nelle civiltà orientali e islamiche dove, secondo alcune fonti, tra il 650 d.C. ed il 1905 si ridussero in schiavitù circa 18 milioni di abitanti dell’Africa, di cui 5 milioni nel periodo tra il 1500 e il 1900.

A tal proposito, lo storico e specialista francese Olivier Pétré-Grenouilleau, ordinario di Storia all’Università della Bretagna e dell’Istituto di Scienze politiche di Parigi, ha indicato l’inizio della schiavitù nera con l’espansione islamica del VII secolo128O. Pétré-Grenouilleau, La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, Il Mulino 2006.

Ecco quanto scritto da Pétré-Grenouilleau nel suo celebre studio sulla storia della schiavitù:

«È un dato di fatto, nessuno può dire se la tratta si sarebbe potuta sviluppare anche in seguito, senza questo avvio. Il mondo musulmano, d’altra parte, non reclutava certo soltanto schiavi neri. Per tutta la sua storia, esso attinse ampiamente anche dai Paesi slavi, dal Caucaso e dall’Asia centrale». A partire dal VII secolo, «il jihad e la costituzione di un impero musulmano sempre più vasto portarono all’aumento considerevole di manodopera servile»129O. Pétré-Grenouilleau, La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, Il Mulino 2006.

 

In India, invece, le leggi sanscrite di Manu trattano della schiavitù nel I secolo a.C. e non si è mai verificato alcun progresso etico, morale o religioso di tale istituzione, tanto che nel 1841 si contavano 8-9 milioni di schiavi, mentre nel Malabar la percentuale raggiungeva il 15% della popolazione130O. Pétré-Grenouilleau, La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, Il Mulino 2006.

Olivier Pétré-Grenouilleau ha quindi concluso che soltanto «il principio cristiano — l’idea secondo la quale tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio — ha potuto aiutare a minare le fondamenta del sistema schiavistico»131O. Pétré-Grenouilleau, La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, Il Mulino 2006, pp- 212-213, individuando le vere origini dell’abolizionismo nella tradizione cristiana a partire dal 1462, grazie alla condanna da parte di Papa Pio II della schiavitù dei neri con la nota lettera Rubicensem.

 

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6. SCHIAVITU’, CHIESA E COLONIALISMO

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Come già detto, l’istituzione della schiavitù sparì a partire dall’Alto Medioevo per poi ricomparire con l’epoca colonialista.

Non è corretto sostenere che il colonialismo introdusse la schiavitù nel Nuovo Mondo, infatti lo storico John Thornton, ordinario di Storia romana presso La Sapienza di Roma, ha osservato correttamente che la schiavitù era già presente «in molte, se non in tutte, società pre-coloniali»132J. Thornton, L’Africa e gli africani nella formazione del mondo atlantico, 1400-1800, Il Mulino 2010, p. 27.

Dagli Incas, nel sud del continente, agli indiani della costa nord-occidentale del Pacifico, fino all’Africa: la schiavitù era a vita, ma anche ereditaria. «I padroni avevano un potere fisico assoluto sui loro schiavi, e se volevano potevano anche ucciderli» scrive l’antropologo Leonald Donald dell’University of Victoria133L. Donald, Aboriginal Slavery on the Northwest Coast of North America, University of California Press 1997, p. 33-34.

 

6.1 La schiavitù ricomparve quando la Chiesa si indebolì

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Finché la fede cristiana fu un fattore incidente nella vita pubblica, la Chiesa ebbe sufficiente voce in capitolo per incidere in senso umanizzante sulla legislazione e i comportamenti degli europei. Tuttavia, tale incidenza diminuì a partire dal tardo Medioevo e, progressivamente, attraverso il Rinascimento, la Riforma protestante e infine l’Illuminismo.

Sempre più la società si regolò in opposizione al cristianesimo o basandosi su altri principi, spesso quelli naturalistici.

Fu così, infatti, che riemerse drammaticamente il problema della schiavitù, soprattutto legata alle conquiste coloniali.

Ecco quanto scritto, ad esempio, dall’eminente Kenneth Scott Latourette, presidente dell’American Historical Association, sul poco “peso” della Chiesa cattolica nell’era coloniale:

«In questo periodo i papi godevano di ben poco potere tra spagnoli e portoghesi. Gli spagnoli comandavano su gran parte dell’Italia e nel 1527 avevano persino saccheggiato Roma […]. Fu dichiarato illegale persino pubblicare i decreti papali in Spagna o nei possedimenti spagnoli senza l’approvazione del re, e il re di spagna nominava tutti i vescovi spagnoli. Quando, a Rio de Janeiro, i gesuiti lessero pubblicamente una bolla papale contro la schiavitù, una folla inferocita attaccò il locale collegio dei gesuiti e ferì molti sacerdoti. Quando poi un tentativo analogo di pubblicizzare la condanna papale della schiavitù venne fatta a Santos, i gesuiti furono espulsi dal Brasile. Infine, tutti i gesuiti furono violentemente cacciati dall’America Latina e successivamente dalla Spagna»134K.S. Lotourette, A History of Christianity, vol. 2, HarperSanFrancisco 1975, p. 944.

 

La società occidentale ricominciò così a praticare lo schiavismo non appena si allentò il legame dei popoli con la religione cattolica, tanto che il sociologo e storico Rodney Stark afferma: «Lo spirito dei tempi era -con l’eccezione della Chiesa cattolica- favorevole alla tratta degli schiavi»135R. Stark, For the Glory of God, Princeton University Press 2003, p. 359.

Come già dettagliatamente analizzato nel nostro dossier sul colonialismo, ancora una volta la Chiesa cattolica fu una delle uniche voci a levarsi contro la schiavitù nel Nuovo Mondo attraverso una serie di bolle pontefice, purtroppo ben poco ascoltate.

In ogni caso, «anche se nel Nuovo Mondo le bolle contro la schiavitù furono ignorate», ha precisato lo studioso americano Rodney Stark, «gli sforzi della Chiesa cattolica portarono ad un trattamento degli schiavi meno brutale nei Paesi cattolici che in quelli protestanti»136R. Stark, Il trionfo dell’Occidente, Lindau 2014, p. 353.

Fidel González Fernández, storico della Chiesa, ha osservato infatti che i Paesi protestanti, contrariamente a quanto si pensa, furono i maggiori organizzatori della tratta degli schiavi.

 

6.2 L’Illuminismo scientista riportò razzismo e schiavitù

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Con il sorgere dell’Illuminismo, l’ancora più debole voce della Chiesa e lo sprofondamento della società nelle tenebre dello scientismo e del riduzionismo biologico, le cose andarono ancora peggio.

Lo scrittore cattolico Vittorio Messori ha scritto:

«Il razzismo biologico -sconosciuto e incomprensibile nella tradizione cristiana- riappare puntualmente proprio quando l’Occidente rifiuta il vangelo e passa a nuovi culti, come quello della Scienza. E, con il razzismo, nella cultura post-cristiana ritorna pure la schiavitù: mi è sempre sembrato significativo che Voltaire abbia investito buona parte dei suoi lauti redditi come intellettuale di corte proprio in una società di navigazione negriera, che assicurava cioè il trasporto degli schiavi africani verso l’America»137V. Messori, Qualche ragione per credere, Ares 2008, p. 101.

 

Anche l’eminente storico del razzismo, Léon Poliakov, ha osservato infatti che «Voltaire non esitò a diventare azionista di un’impresa di Nantes per la tratta dei negri, investimento eminentemente remunerativo»138L. Poliakov, Storia dell’antisemitismo, La Nuova Italia 1976, vol III, p. 122.

E’ stata però la storica francese Régine Pernoud, specialista del Medioevo e curatrice del Musée des Archives nationales, a spiegare meglio le dinamiche storiche:

«In Francia è una donna, la regina cattolica Batilde, a chiudere l’ultimo mercato di schiavi nel 650 d.C.. Il superamento della schiavitù è un fatto dì importanza capitale, che non viene sottolineato adeguatamente da nessun libro di testo scolastico. Forse perché qualcuno potrebbe trovarsi in imbarazzo se gli si chiedesse di spiegare perché l”’oscuro” Medioevo ha abolito la schiavitù e il 1500 l’ha introdotta di nuovo […] ed essa assume il massimo spessore sociale e politico nel 1700, cioè proprio nel secolo dei Lumi!»139R. Pernoud, intervista a cura di M. Introvigne, Il Medioevo: l’unica epoca di sottosviluppo che ci abbia lasciato delle cattedrali, Cristianità, Anno XIII, n. 117, dicembre 1984, p. 11.

 

Avendo già approfondito il rapporto tra cattolicesimo e schiavitù in questo periodo storico, rinviamo per maggiori dettagli al già citato dossier sul colonialismo, nel quale citiamo i Pontefici e le direttive della Chiesa contro la schiavitù e in difesa dei popoli conquistati.

 

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7. PIO XI E LA SCHIAVITU’

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Come già accennato nel paragrafo dedicato alle accuse rivolte al cristianesimo sul tema della schiavitù, alcuni polemisti anticristiani citano a loro sostegno il documento “Instructio 1293” (Collectanea, Vol. 1, pp. 715-720) di papa Pio IX.

Il documento fu scritto nel 1866 e il passaggio “incriminato”, per come viene riportato, è questo: «La schiavitù in quanto tale, considerata nella sua natura fondamentale, non è del tutto contraria alla legge naturale e divina. Possono esserci molti giusti diritti alla schiavitù e sia i teologi che i commentatori dei canoni sacri vi hanno fatto riferimento. Non è contrario alla legge naturale e divina che uno schiavo possa essere venduto, acquistato, scambiato o regalato».


 

Il vero testo di Pio XI.

Eppure il testo è volutamente estrapolato e tradotto male dal latino.

Ecco la versione originale delle parole di Pio XI:

«La servitù in quanto tale, considerata nella sua natura fondamentale, non è del tutto contraria alla legge naturale e divina. Possono esserci molti giusti diritti alla servitù e sia i teologi che i commentatori dei canoni sacri vi hanno fatto riferimento […]. Non è contrario alla legge naturale e divina che un servo possa essere venduto, acquistato, scambiato o regalato. Il venditore dovrebbe chiaramente esaminare se il servo messo in vendita sia stato giustamente o ingiustamente privato della sua libertà e che il compratore non possa fare nulla che potrebbe danneggiare la vita, la virtù o la fede cattolica del servo»140Pio XI, Instructio 1293, 1866.

 

Il termine “servitù”, al posto di “schiavitù” dopo l’esperienza della servitù della gleba nel Medioevo, indicava ovviamente coloro i quali si trovano in servitù penale (ad esempio in quanto carcerati costretti al lavoro) o in servitù volontaria, contrattata per motivi economici.

Anche nella Summa Theologica, Tommaso d’Aquino utilizza il termine servus indicando il “servo della gleba” e non lo schiavo. Lo stesso fece Francesco Petrarca utilizzando il termine italiano servitude (proveniente dal latino servitudo) in un contesto che non riguardava la schiavitù ma i servigi, anche di natura artistica, resi ad un signore (in questo caso la sua dipendenza dal card. Colonna).

Il testo dell’istruzione di Pio IX è datato nel secolo XIX, non può quindi trattarsi di un latino classico ma di un latino che ha ereditato i significati acquisiti in età medioevale e moderna.


 

Le parole del predecessore e del successore di Pio XI contro la schiavitù.

Sia il suo predecessore, che il suo successore sul soglio pontificio, infatti, si scagliarono duramente contro l’istituzione della schiavitù.

Il predecessore di Pio IX, Gregorio XVI, si occupò invece proprio della schiavitù nella bolla In Supremo (1839), scrivendo:

«Elevati al supremo fastigio dell’Apostolato, ed esercitando senza alcun Nostro merito le veci di Gesù Cristo, Figlio di Dio, che per la sua eccelsa carità si è fatto uomo e si è degnato di morire per la redenzione del mondo, abbiamo ritenuto essere compito della Nostra pastorale sollecitudine adoperarci per distogliere completamente i fedeli dall’indegno mercato dei Neri e di qualsiasi altro essere umano […]. Col trascorrere del tempo, essendosi dissipata più ampiamente la caligine delle superstizioni barbariche ed essendosi mitigati i costumi anche dei popoli più selvaggi sotto l’influsso della carità cristiana, si arrivò al punto che da diversi secoli non ci sono più schiavi presso moltissimi popoli cristiani. Ma poi, e lo diciamo con immenso dolore, sono sorti, nello stesso ambiente dei fedeli cristiani, alcuni che, accecati dalla bramosia di uno sporco guadagno, in lontane e inaccessibili regioni ridussero in schiavitù Indiani, Negri e altre miserabili creature, oppure, con un sempre maggiore e organizzato commercio, non esitarono ad alimentare l’indegna compravendita di coloro che erano stati catturati da altri […]. Noi, ritenendo indegne del nome cristiano queste atrocità, le condanniamo con la Nostra Apostolica autorità: proibiamo e vietiamo con la stessa autorità a qualsiasi ecclesiastico o laico di difendere come lecita la tratta dei Negri, per qualsiasi scopo o pretesto camuffato, e di presumere d’insegnare altrimenti in qualsiasi modo, pubblicamente o privatamente, contro ciò che con questa Nostra lettera apostolica abbiamo dichiarato»141Gregorio XVI, In Supremo, 1839.

 

Allo stesso modo, il successore di Pio IX, Leone XIII condannò anch’egli «il giogo della schiavitù», scrivendo:

«I Brasiliani intendono eliminare ed estirpare completamente la vergogna della schiavitù. Tale volontà popolare fu assecondata con lodevole impegno sia dall’Imperatore, sia dall’augusta sua figlia, nonché da coloro che governano lo Stato, con salde leggi promulgate e sancite a tal fine. Quanta consolazione Ci arrecasse tale evento, fu da Noi esternato nello scorso gennaio all’ambasciatore imperiale presso di Noi: aggiungemmo inoltre che avremmo Noi stessi indirizzato una lettera ai Vescovi del Brasile in favore degli infelici schiavi […]. Ora, fra tante miserie, è da deplorare duramente la schiavitù a cui da molti secoli è sottoposta una parte non esigua della famiglia umana, riversa nello squallore e nella lordura, contrariamente a quanto in principio era stato stabilito da Dio e dalla Natura»142Leone XIII, In Plurimis, 1888.

 

Nonostante questi duri pronunciamenti pontifici, nel 1857 la Corte Suprema americana stabilì nella sentenza del caso Dred-Scott che «i neri, a norma delle leggi civili, non sono persone»143A. Socci, La Guerra contro Gesù, Rizzoli 2011, p. 56.

 

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8. CONCLUSIONE

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Siamo partiti indicando le conclusioni a cui sono giunti tre celebri studiosi della storia della schiavitù, i francesi Jean Andreau, direttore del dipartimento di Storia presso la Scuola di studi superiori in scienze sociali di Parigi, Raymond Descat, professore di storia all’Università di Bordeaux e Olivier Pétré-Grenouilleau, ordinario di Storia all’Università della Bretagna e dell’Istituto di Scienze politiche di Parigi.

Se i primi due indicarono che fu «nel corso dell’Alto Medioevo che si sono prodotti i cambiamenti più importanti e che si è definitivamente usciti, in Europa occidentale, dalla società schiavista»144J. Andreau & R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p. 222, Pétré-Grenouilleau sottolineò quanto «il principio cristiano — l’idea secondo la quale tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio — ha potuto aiutare a minare le fondamenta del sistema schiavistico»145O. Pétré-Grenouilleau, La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, Il Mulino 2006, pp- 212-213.

Come promesso, il dossier ha analizzato le ragioni di queste conclusioni, alle quali si può aggiungere il pensiero del filosofo ebreo Karl Lowith, secondo il quale «il mondo storico in cui si è potuto formare il “pregiudizio” che chiunque abbia un volto umano possieda come tale la “dignità” e il “destino” di essere uomo, non è originariamente il mondo avente le sue origini nel Rinascimento, ma il mondo del Cristianesimo, in cui l’uomo ha ritrovato attraverso l’Uomo-Dio, Cristo, la sua posizione di fronte a sé e al prossimo»146K. Lowith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, Einaudi 1949.

Dopo aver osservato la situazione degli schiavi nell’Antico Israele, nell’Antica Grecia e nell’Antica Roma, abbiamo percorso la storia dal cristianesimo primitivo all’era coloniale, indicando dettagliatamente gli enormi contributi che il pensiero cristiano diede alla sparizione della schiavitù. Senza rivoluzioni sociali, senza propaganda ma con una lenta pedagogia, facendo penetrare negli uomini il giudizio nuovo sulla realtà portato da Cristo e attendendo che esso maturasse.

Coincidenza volle che la ricomparsa della schiavitù coincise, come abbiamo visto, con la debolezza della Chiesa a partire dal Rinascimento fino all’Illuminismo.

Tutto ciò non toglie e non nasconde che molti cristiani, sacerdoti, vescovi (e anche un paio di pontefici, come Papa Innocenzo VIII, il quale -padre di 16 figli dopo aver violato il voto di castità- nel 1488 accettò un dono di un centinaio di schiavi mori da re Ferdinando d’Aragona) disattesero il messaggio cristiano approvando e legittimando in vari modi l’istituzione della schiavitù.

Su questo vale ciò che magistralmente scrisse il card. Joseph Ratzinger, ovvero che «tutti i peccati dei cristiani nella storia non derivano dalla loro fede nel Cielo, ma dal fatto che non credono abbastanza nel Cielo».

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