Evoluzione e riproduzione: indizi di un ordine finalizzato?

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La selezione naturale non può spiegare la riproduzione in quanto la presuppone. E’ questa la tesi del filosofo Edward Feser che, basandosi su altri studiosi e biologi, intravede in tale paradosso l’evidenza di un finalismo nell’evoluzione biologica.


 

Che rapporto c’è tra riproduzione e selezione naturale?

Sembra una domanda strana, e se invece la questione contribuisse a mettere ulteriormente in discussione l’idea che l’evoluzione biologica possa essere spiegata interamente con cause cieche e impersonali?

Si è parlato di questo in un saggio pubblicato recentemente su BioCosmos e firmato da Edward Feser, filosofo neotomista (Pasadena City College), sulla base delle tesi di filosofi come Peter Geach1P. Geach, “Providence and evil”, Cambridge University Press 1977, John Haldane2J. Haldane, JJC Smart, “Atheism and theism”, Blackwell 2003, e, dal punto di vista biologico, da Stephen Rothman3S. Rothman, The paradox of evolution: the strange relationship between natural selection and reproduction Prometheus Books 2015.

In particolare Rothman, emerito di Biologia cellulare e fisiologia presso l’Università della California, è autore de “Il paradosso dell’evoluzione” (Prometheus Books 2015) in cui, per l’appunto, sostiene che l’evoluzione dei complessi e diversi meccanismi riproduttivi della vita non sarebbe conseguenza della selezione naturale.

La conclusione? In un universo apparentemente privo di scopo, in qualche modo si è evoluta una vita con uno scopo.

 

La selezione naturale non spiega la riproduzione

Il filosofo americano Edward Feser si inserisce nel dibattito e osserva a sua volta che la selezione naturale, da sola, non può spiegare l’origine della riproduzione, perché essa stessa presuppone la riproduzione per potersi attivare.

La selezione naturale, infatti, agisce su organismi già esistenti e già capaci di riprodursi: non può quindi spiegare come la riproduzione sia sorta in primo luogo, perché non esisterebbe alcuna trasmissione di tratti senza una struttura riproduttiva già operativa. In termini logici, si tratta di un ragionamento circolare: si usa un meccanismo (selezione) per spiegare qualcosa (riproduzione) che è a sua volta condizione necessaria perché quel meccanismo possa funzionare.

L’evidenza di tale contraddizione sembra simile a ciò che argomenta da tempo Stephen C. Meyer (massimo intellettuale dell’Intelligent Desing), ma nel caso di Feser non c’è fortunatamente alcun discostamento dall’adesione piena dell’evoluzionismo verso improbabili spiegazioni creazioniste.

Lo stesso biologo evolutivo Rothman, come già accennato, nota che la riproduzione, in molti casi, non favorisce affatto la sopravvivenza dell’individuo, anzi può danneggiarla gravemente (insetti che muoiono dopo l’accoppiamento, madri che rischiano la vita nel parto, energie biologiche sottratte alla conservazione dell’organismo per essere investite nella procreazione ecc.).

Questo sembra in contraddizione con il principio darwiniano secondo cui la selezione premia ciò che aiuta a sopravvivere. Rothman conclude così che l’impulso alla riproduzione è troppo costante, troppo universale, troppo centrale per essere spiegato in termini di selezione, e suggerisce che esso sia una proprietà intrinseca e misteriosa della vita stessa.

Alcuni biologi evoluzionisti rispondono sostenendo che la selezione agisce non sull’individuo ma sui geni: ciò che importa è che un certo patrimonio genetico si trasmetta, non che il singolo sopravviva.

Ma anche questa obiezione, fa notare il filosofo Feser, resta interna a un paradigma che dà per scontato un meccanismo di riproduzione funzionante. In altre parole, si torna al punto di partenza: come si è generata la capacità di trasmettere informazioni genetiche, se non c’era alcun organismo che la possedeva inizialmente?

 

Finalismo e teleologia nell’evoluzione biologica

Secondo Feser, per sciogliere questo nodo occorre recuperare una prospettiva teleologica, cioè orientata al fine, propria della tradizione aristotelico-tomista.

Nella visione classica, la riproduzione non è un tratto accidentale o un sottoprodotto dell’adattamento, ma una funzione essenziale della vita stessa. Un essere vivente, per essere tale, tende naturalmente a generare altri esseri della stessa specie, ed è proprio questa dinamica che rivela un ordine, una finalità. Si tratta di una “causa finale” che non si può ridurre a pura meccanica o casualità.

Se la vita è intrinsecamente teleologica, allora anche l’evoluzione stessa potrebbe essere orientata a un fine, o almeno strutturata in modo da permettere l’emergere ordinato di forme sempre più complesse.

Pensatori come Massimo Piattelli Palmarini, Jerry Fodor e Thomas Nagel, pur non condividendo la metafisica tomista, hanno anch’essi evidenziato i limiti del darwinismo come teoria totale.

Piattelli Palmarini e Fodor, ad esempio, hanno mostrato come la selezione naturale fallisca nel distinguere tra tratti biologici selezionati per una funzione e quelli selezionati insieme ad altri, senza un fine specifico4M. Piattelli Palmarini, J. Fodor, Gli errori di Darwin, Feltrinelli 2012.

Nagel, nel suo celebre Mente e cosmo (Raffaele Cortina 2015), si spinge oltre, affermando che una spiegazione puramente materialistica dell’evoluzione è inadeguata per spiegare l’emergere della coscienza, della razionalità e della teleologia stessa.

Se la riproduzione è il segno distintivo della vita, e se essa è irriducibile a una mera combinazione fortuita di molecole, allora la vita ha una struttura che sfugge al riduzionismo scientifico.

 

Edward Feser non conclude con una (forzata) dichiarazione teologica, ma con un invito filosofico.

Il darwinismo, pur ovviamente valido come modello biologico, non può essere trasformato in una visione del mondo capace di rispondere alle domande più profonde sulla natura, la vita e il senso dell’esistenza.

Ed è proprio il paradosso della riproduzione a ricordarci questo limite.

Autore

La Redazione

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