Dal femminismo alla crisi demografica: parla Vegetti Finzi
- Ultimissime
- 16 Giu 2025
Le conseguenze del femminismo. La psicologa italiana Silvia Vegetti Finzi riflette sul Sessantotto e sulle rivendicazioni che hanno portato a “scordare la maternità” e all’inverno demografico. Non manca un filo di pentimento.
E’ sempre molto interessante ascoltare Silvia Vegetti Finzi, psicologa e a lungo docente presso l’Università di Pavia.
Di lei avevamo parlato in precedenza segnalando la sua presa di posizione pubblica a favore di mamma e papà, il cui corpo, scrisse, «non è irrilevante che sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale».
Recentemente abbiamo riletto un altro suo intervento sul Corriere della Sera (anche qui).
Vegetti Finzi ha parlato ancora di maternità, questa volta però legata alla tematica del femminismo.
Raccontando la sua storia personale, ha estrapolato riflessioni generali interessanti. Come moltissime donne che hanno creduto nella rivoluzione sessantottina emerge in lei un sapore malinconico e quasi un pentimento di quegli anni burrascosi quando, di fatto, iniziò a morire l’identità familiare in Italia, abbandonandoci lentamente all’attuale inverno demografico.
Dal moralismo al Sessantotto
La psicologa non risparmia una sottile critica verso l’immagine della «famiglia nucleare, quella che oggi diremmo del Mulino Bianco, che ha colonizzato il mio immaginario, e forse quello della mia generazione, grazie alla propaganda elettorale di un nuovo partito: la Democrazia cristiana».
Finita la guerra, racconta, comparvero ovunque manifesti «con un bambino stretto tra mamma e papà: erano allegri, si amavano, procedevano con lo sguardo rivolto a un domani luminoso e felice. Troppo bello per essere vero!».
Negli anni ’50 l’estremo moralismo e conformismo generò come reazione, identica e contraria, gli sconvolgimenti del ’68.
«La mia famiglia, benché laica e non conformista, non faceva eccezione», racconta Vegetti Finzi. Pur tuttavia, ha proseguito, «l’atmosfera sessuofobica a casa, a scuola, nelle istituzioni e per la città rendeva scalpitanti i giovani inducendoli a desiderare di fidanzarsi, sposarsi, vivere insieme e stabilire rapporti diversi rispetto a quelli dei loro genitori. Tutti si sposavano appena possibile».
Le conseguenze del femminismo e del ’68
Ed ecco gli anni Sessanta e le rivendicazioni estreme ed egoistiche, di cui abbiamo già parlato.
Il “voglio tutto” della generazione dell’Lsd minò le basi della famiglia, della Chiesa e della società e sfociò, come ultimo estremo, culturalmente nella pedofilia legittimata in nome della liberazione sessuale (vedi Sartre, Foucault e Cohn-Bendit) e politicamente nel terrorismo delle Brigate rosse.
Il giudizio di Vegetti Finzi sul ’68 è ambivalente, se da un lato riferisce di «un sogno realizzato», perlomeno nella memoria collettiva, dall’altro ammette che «il passato era, non senza residui, svanito. E il nuovo produceva un diffuso sconcerto».
La psicologa individua le conseguenze più pesanti nella famiglia e nelle donne:
«Dall’inizio del nuovo secolo, l’orizzonte del futuro è collassato e la voglia di impegnarsi in un progetto a lunga scadenza è ostaggio di un presente carico di minacce. Per la mia generazione il contatto con un neonato era una pratica quotidiana. Quel corpo a corpo suscitava un desiderio di maternità che, prima o poi, si sarebbe realizzato. Ora non accade più: conosco giovani donne cresciute senza aver mai stretto fra le braccia un piccino. Una mancanza che rende molto difficile desiderare ciò che non hanno provato, che nessuno ha detto loro. La cultura ha scordato la maternità. Non c’è passaggio di testimone. E il desiderio, se non è condiviso e rappresentato, si spegne».
Vegetti Finzi: “Urgente riattivare il desiderio di maternità”
E’ così che la rinomata psicologa italiana riflette sulle conseguenze moderne del femminismo sessantottino.
«Il posto del desiderio di maternità viene allora occupato da altro», osserva. «Il denaro, la carriera, il successo, la popolarità. Ciò che rappresenta la realizzazione di sé».
Eppure, sostiene, «si possono perseguire i due obiettivi, maternità e lavoro non devono essere inconciliabili. Forse, in quegli anni così turbolenti e insieme così fertili di conquiste, le donne per prime si sono dimenticate di sostenere la componente della genitorialità». Già dagli anni Novanta, ha notato ancora la psicologa, «parlare di maternità sembrava intralciare lo slancio delle donne, la loro corsa verso l’affermazione di sé. Il ruolo di madre fa paura».
Certamente Vegetti Finzi non arriva a rivendicare la messa al bando del femminismo «per salvare la famiglia», come da anni invoca invece Erin Pizzey, ex femminista inglese e la prima al mondo ad aver aperto un centro di accoglienza per donne vittime di violenza domestica.
Entrambe tuttavia condividono le conseguenze drammatiche che il femminismo radicale ha generato.
Ed oggi? Le cose non sono che peggiorate.
Un rapporto ha indicato che negli USA il tasso di natalità ha raggiunto il numero più basso di bambini nati dal 1979. Perfino le grandi sostenitrici del femminismo e dell’abortismo illimitato, come la sociologa Chiara Saraceno, sono arrivate a temere la denatalità.
«Eppure», ha obiettato Vegetti Finzi, «in molte interviste donne di successo riconoscono che la loro felicità è legata soprattutto alla maternità. Testimonianze che lasciano indifferenti le attuali adolescenti. Oggi preferiamo identità individualiste».
E’ urgente «riattivare il desiderio di maternità», conclude la psicologa italiana, innanzitutto «riprendendo la narrazione di madre in figlia interrotta con la modernità». L’inverno della natalità «reclama provvedimenti urgenti ma, se non cambiamo il mondo interno, rischiamo di mancare l’obiettivo».
1 commenti a Dal femminismo alla crisi demografica: parla Vegetti Finzi
La rottura femminista del ’68, come giustamente osserva Vegetti Finzi, non fu solo un fenomeno sociale, ma parte di un ciclo culturale più profondo, affine allo Sturm und Drang e ai successivi titanismi del XIX secolo. Dal Prometeo di Goethe a Marx e Nietzsche, la modernità ha spesso mitizzato la ribellione contro il Padre: una rivolta prometeica che cerca di detronizzare la divinità e riassegnarne le prerogative all’uomo. La famiglia, come l’Eucaristia, diventa un danno collaterale in questa guerra metafisica, tuttavia centrale nella mente di satana, che vuole sempre parassitare le due realtà più grandi inventate da Dio. Ma come scrisse Suor Lucia al Cardinale Caffarra, la battaglia finale sarà sulla famiglia, e la Madonna trionferà. Le radici delle attuali crisi culturali sono teologiche prima che politiche. Aggrappiamoci all’Eucaristia e all’Immacolata. Alleluia!