L’eccezionalità umana difesa da un umanista laico

eccezionalità umana

Più ci si sforza di negare l’eccezionalità umana e più essa riemerge. E’ quanto avvenuto in un dibattito su una rivista scientifica, dove lo psicologo clinico Gregg Henriques, pur essendo laico, ha difeso l’unicità eccezionale dell’uomo.


 

Negli ultimi decenni in numerosi ambienti accademici si è fatto strada un certo rifiuto del concetto di “eccezionalità umana”.

L’idea che siamo in qualche modo speciali nell’universo viene vista come una forma di arrogante “specismo”, etichettata come pregiudizio antropocentrico.

Abbiamo raccolto alcune citazioni “riduzioniste” in un articolo di qualche tempo fa, mostrando il pensiero di Voltaire, Nietzsche e Stephen Hawking.

Un recente dibattito avvenuto su “Psychology Today” ha fatto emergere il tema quando lo psicologo clinico Gregg Henriques, umanista laico, ha difeso l’eccezionalismo umano.

 

Telmo Pievani e l’uomo come passeggero momentaneo

Quello tra riduzionisti e anti-riduzionisti è un dibattito affascinante che mette a nudo le profonde convinzioni delle persone.

Per fare un esempio recente, si leggano le parole del filosofo Telmo Pievani usate per presentare il suo ultimo libro:

«Non siamo i padroni del mondo e nemmeno i suoi custodi: siamo passeggeri momentanei e dovremmo rispettare di più la bellissima occasione contingente che abbiamo avuto di aprire gli occhi in questo universo».

Salta all’occhio la scelta del termine “custodi”, un chiaro contro-canto alla tradizione cristiana. Il termine infatti è rintracciabile nella Genesi (2,15) e nei pronunciamenti ecclesiali sulla salvaguardia del creato.

Il catechismo nichilista si sforza di dimostrare che siamo un “nient’altro che”, degli accidenti casuali, dei “passeggeri momentanei”. La negazione del Creatore esige il ridimensionamento della creatura perché, come scrisse Stanley Jaki, «i materialisti stessi negano il fine con un fine. Il loro fine è quello di promuovere il materialismo, che non è assolutamente una scienza bensì un’antimetafisica»1S. Jaki, The Road of Science and the Way to God, University of Chicago Press 1978, p. 281.

Dall’altra parte, la tradizione cristiana (e religiosa in generale) richiama costantemente all’eccezionalità umana, al fatto che siamo antropologicamente irriducibili ai nostri antecedenti chimici e biologici e a cui dovrebbe essere attribuito un valore morale fondamentale in base a tali peculiarità.

Da questo punto di vista, di ben altro respiro rispetto alla visione di Pievani è il saggio di Angelo Campodonico, ordinario di Filosofia morale presso l’Università di Genova, proprio sull’eccezionalità umana e sul fatto che «esplicitare questa dimensione di eccedenza, trascendenza dell’uomo, è il compito della filosofia e in particolare dell’antropologia filosofica».

 

L’eccezionalità umana difesa dallo psicologo laico

Come abbiamo accennato, un riflesso di queste visioni del mondo si è osservato su “Psychology Today” a partire dall’articolo (piuttosto datato) del biologo evoluzionista Marc Bekoff (Università del Colorado), secondo cui la mente e i comportamenti animali, soprattutto tra i mammiferi, mostrerebbero una complessità tale da rendere l’idea di eccezionalità umana un pregiudizio ingiustificato.

Per Bekoff, animalista convinto, continuare a proclamare la nostra superiorità rischia di minare il rispetto nei confronti degli altri esseri viventi.

A questa visione ha risposto sullo stesso sito web Gregg Henriques, psicologo clinico alla James Madison University, che ha invece difeso l’idea che l’essere umano sia effettivamente “eccezionale” tramite l’uso di dati empirici e riflessioni filosofiche.

Henriques ha iniziato da un esempio molto banale: immaginate un cane che corre improvvisamente sulla strada e, per evitare di investirlo, sterziamo. Ma ci accorgiamo che stiamo andando verso una bambina sul ciglio della strada. Chi scegliamo di proteggere?

La scelta più comune sarà di salvare la bambina e non il cane, non per questo, commenta Henriques, «sono solo un essere umano prevenuto e specie-centrico».

Per Henriques, la ragione ultima di questa scelta è il riconoscimento intuitivo che la vita umana ha una dignità e un valore che trascendono quella animale. Lo afferma a partire dal sistema che ha sviluppato per unificare la psicologia, condensato nel suo “A new unified theory of psychology” (Springer 2011)

Nessuno mette in dubbio che gli animali possiedano forme di coscienza o emozioni, ma lo psicologo sottolinea una differenza fondamentale: solo gli esseri umani possiedono una meta-coscienza, ovvero la capacità di riflettere sulla propria coscienza, sui motivi delle proprie azioni, giustificarle razionalmente e trasmettere valori culturali.

L’aspetto più curioso è che Henriques si definisce un umanista secolare, ma la sua visione risuona con concetti classici, radicati nel pensiero aristotelico e tomista. Questi filosofi distinguevano tra facoltà sensoriali (condivise con gli animali) e razionali, che richiamavano la differenza ontologica degli umani.

 

Senza eccezionalismo perché tutelare gli animali?

Se non riconosciamo la nostra eccezionalità, riflette correttamente Gregg Henriques, come possiamo giustificare il rispetto dei diritti umani, la dignità della vita, la pratica medica, la conservazione della natura?

Inoltre, perché preoccuparci della tutela degli animali se loro non si preoccupano minimamente della nostra? Queste iniziative nei confronti del creato si fondano sul presupposto che l’uomo abbia una responsabilità verso il mondo (sia “custode del creato”!) e non l’inverso.

Il dibattito tra Bekoff e Henriques ci riporta alle grandi domande: possiamo trattare l’uomo semplicemente come un animale evoluto casualmente, come un accidentale e inutile ospite? Oppure dobbiamo riconoscerne una vocazione più alta?

E’ interessante che la seconda visione trovi terreno fertile anche tra gli umanisti laici.

Autore

La Redazione

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