Le accuse a Prevost? Casi già archiviati dalla magistratura
- Ultimissime
- 10 Mag 2025
Papa Prevost e le accuse di mancata gestione su casi di abusi. Viene taciuto un dato fondamentale: anche la magistratura peruviana indagò e archiviò per mancanza di prove. Le stesse emersero solo nel 2024, quando il futuro Leone XIV non era più alla guida della diocesi di Chiclayo.
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L’elezione di Robert Francis Prevost ha portato alcuni media ad occuparsi delle accuse di cattiva gestione di un caso di presunti abusi sessuali avvenuti anni fa nella diocesi di Chiclayo (Perù).
Prevost ha guidato la diocesi dal 2015 al 2023 (dal novembre 2014 ricopriva invece il ruolo di amministratore apostolico) e i presunti abusi sarebbero avvenuti nel 2007 (8 anni prima), commessi dai sacerdoti Eleuterio Vásquez Gonzáles e Ricardo Yesquén Paiva.
Ana María Quispe Díaz è l’unica presunta vittima ad aver diffuso pubblicamente le sue accuse, dichiarato di avere avuto nove anni all’epoca dei fatti, quando i due preti l’avrebbero baciata sulla bocca e palpeggiata.
Ciò che non viene detto su questa vicenda è che la denuncia della vittima ha prodotto un’indagine diocesana ma anche una civile, e proprio il tribunale civile ha deciso per primo di archiviare il caso per mancanza di prove.
Di seguito sintetizziamo i fatti come ben ricostruiti dal portale di giornalismo d’inchiesta The Pillar.
Nel 2022 la denuncia della vittima
La vicenda emerge ufficialmente nell’aprile 2022 quando la presunta vittima decise di rivolgersi alla diocesi di Chiclayo (Perù) per denunciare due sacerdoti che l’avrebbero molestata 15 anni prima (baci e palpeggiamenti).
Viene aperta un’indagine solo su uno di loro, padre Gonzáles, il quale viene rimosso dal ministero attivo in attesa della conclusione dell’indagine. L’altro sacerdote, Ricardo Yesquen, era già ricoverato in una casa di riposo per problemi di salute e non era impegnato nel ministero attivo.
Secondo la dichiarazione della diocesi, il 21 luglio 2022 viene inviato un primo rapporto sul caso al Dicastero per la Dottrina della Fede del Vaticano.
Indaga la magistratura e dispone l’archiviazione
Come già anticipato, parallelamente all’indagine aperta dalla diocesi di Chiclayo anche le autorità civili iniziano ad indagare nel dicembre 2022, allertate sempre dalla vittima che riteneva non vi fossero progressi nel procedimento canonico.
Nel gennaio 2023 la magistratura civile peruviana decide però di archiviare il caso per mancanza di elementi probatori e per la prescrizione.
Il 4 gennaio 2023, la diocesi di Chiclayo invia la decisione dei procuratori civili al Dicastero per la Dottrina della Fede.
Il 30 gennaio 2023 Papa Francesco nomina Prevost prefetto del Dicastero per i Vescovi, il quale assume formalmente l’incarico nell’aprile 2023.
Il 10 agosto 2023, anche sulla base della decisione delle autorità civili in Perù, il Dicastero vaticano chiude il procedimento canonico.
Il caso si riapre: nel 2024 arriva la prima prova
Nel novembre 2023, la vittima Ana María Quispe Díaz, insoddisfatta della doppia chiusura dei casi (civile e religiosa), decide di rivolgersi ai social network e ai media (in particolare al programma televisivo “Cuarto Poder”), catturando l’attenzione in Perù e all’estero., sensibilizzando l’opinione pubblica e portando alla luce altre due vittime (Lucia e Ruth).
La diocesi di Chiclayo, non più guidata da Prevost, riapre l’indagine: allontana Vásquez, intimandogli di astenersi dal ministero, e convoca le tre vittime. Ana María Quispe non si presenta adducendo motivi di sicurezza.
Questa volta Ricardo Yesquén Paiva ammette l’abuso commesso 26 anni prima.
Soltanto nel 2024 compare quindi la prima ammissione di colpa, questo spiega perché le precedenti indagini, quella canonica e quella del procuratore civile, vennero archiviate per mancanza di prove.
Nessuna accusa concreta contro Prevost
Questi sono i fatti e, come riporta sempre “The Pillar”, non vi sono accuse dirette verso Robert Francis Prevost in quanto durante la sua gestione non vi erano prove a sostegno delle accuse. Tanto che perfino le autorità civili peruviane scelsero l’archiviazione.
L’unico aspetto critico è capire i motivi per cui la diocesi di Chiclayo (Perù) non abbia direttamente informato le autorità civili, come invece suggerito nel Vademecum allora in voga della Congregazione per la Dottrina della Fede. Le stesse sono state invece allertate dalle vittime.
In queste ore, tuttavia, il quotidiano peruviano La Republica ha ripubblicato un’intervista a Prevost in cui l’allora vescovo esortava apertamente le persone a denunciare pubblicamente i molestatori.
Il caso contro padre Vásquez è ancora aperto a Roma dov’è in attesa di revisione.
L’intervento di SNAP: un ente inaffidabile
Nel marzo 2025 sul caso si è fiondata la Survivors Network of those Abused by Priest (SNAP), l’organizzazione statunitense a supporto dei sopravvissuti agli abusi sessuali da parte del clero.
In Italia è stata “La Nuova Bussola Quotidiana” a sponsorizzare ed esaltare mediaticamente la lettera di SNAP contente accuse dirette al card. Prevost. In generale, come abbiamo scritto, sembra vi sia stato un attacco coordinato da parte di alcune testate conservatrici già durante il Conclave.
L’intento (inutile) di questi canali digitali psudo-cattolici è stato quello di ostacolare un candidato al soglio pontificio considerato progressista e troppo vicino all’odiato Papa Bergoglio.
Per questa controversa missione hanno valorizzato acriticamente la versione di SNAP, nella quale però si censura totalmente quanto scritto da noi finora. In particolare l’archiviazione del caso da parte delle autorità civili.
D’altra parte su SNAP versano diverse ombre, almeno a partire dal 2016 quando un giudice americano ha sanzionato l’organizzazione stabilendo una cospirazione nei confronti di un sacerdote falsamente accusato di abusi sessuali. SNAP è stata costretta a pagare le spese legali.
Un anno dopo, Gretchen Rachel Hammond, dipendente di SNAP ed addetta alla raccolta fondi, ha querelato l’organizzazione per collusione con gli avvocati difensori. La donna ha accusato SNAP di non essere davvero interessata alla protezione delle vittime di abusi ma di sfruttarle per obbiettivi economici.
Hammond ha accusato SNAP di accettare regolarmente ingenti tangenti dagli avvocati sotto forma di “donazioni”, in cambio SNAP indirizza le vittime agli avvocati in qualità di potenziali clienti per procedere alle cause legali contro membri della Chiesa cattolica.
La causa citava dettagliatamente nomi e cognomi degli avvocati e comprendeva anche e-mail inviate dai responsabili di SNAP, David Clohessy e Barbara Blaine (oggi deceduta), alle vittime e ai loro avvocati.
In alcune di queste email, i capi di SNAP incitavano le vittime a presentare causa contro le diocesi cattoliche augurandosi la bancarotta: «Ogni centesimo che non hanno è un centesimo che non possono spendere in avvocati difensori, personale addetto alle pubbliche relazioni, denigrazione degli omosessuali, odio per le donne, lotta contro i contraccettivi, ecc.».
Questo, per intenderci, è l’ente il cui operato è stato recentemente valorizzato dalla galassia antipapista per i suoi intenti. Vale evidentemente il motto: il nemico del mio nemico è mio amico.
Ovviamente SNAP ha negato le accuse ma non ha saputo smentire le email prodotte da Hammond. Il procedimento penale tuttavia si è arrestato bruscamente in quanto, nel 2018, la causa si è improvvisamente “risolta”.
Hammond ha affermato che i termini dell’accordo tra le parti le impediscono di rilasciare dichiarazioni in merito al motivo di questa improvvisa “risoluzione”.
In molti sospettano che SNAP abbia volgarmente comprato il silenzio della donna tramite un accordo transattivo.
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