Il card. Müller: «Messa in latino? Non è l’unica forma valida»
- Ultimissime
- 16 Ott 2025

Un commento all’intervista del card. Gerhard Ludwig Müller sulla Messa in latino, sulle parole del Papa riguardo migranti e pena di morte e sulla strumentalizzazione del Giubileo.
Un intervento parzialmente condivisibile quello del card. Gerhard Ludwig Müller.
Il Prefetto emerito della congregazione della fede ha risposto a diverse domande del giornalista Fabio Marchese Ragona riflettendo sulla strumentalizzazione del passaggio per la Porta Santa, sulle parole del Papa riguardo la pena di morte e sulla diatriba circa la messa in latino.
La strumentalizzazione del Giubileo
Innanzitutto il cardinale tedesco ha giustamente chiesto di non strumentalizzare l’Anno Santo e la Porta Santa con “attraversamenti” più rivolti allo scalpore che generano che per una conversione personale di chi li compie.
Di questi “abusi” abbiamo parlato anche noi criticando l’uso della Porta Santa addirittura per uno spot pubblicitario.
Müller si riferisce però in particolare al recente pellegrinaggio arcobaleno e a chi usa la Porta Santa per sollevare questioni che riguardano il conflitto tra palestinesi e israeliani.
Per queste parole ha ricevuto dure critiche da parte di aree progressiste cattoliche, le quali sostengono che si tratti di una «stortura nel modo di pensare la fede», la quale è agganciata sempre alla storia e alla politica.
E’ una critica scorretta perché, se è vero che la fede riguarda sempre tutto lo spettro umano, ciò si manifesta solo nella sua espressione culturale e sociale. Tant’è che gli stessi critici sarebbero giustamente contrari e non invocherebbero mai «la dimensione politica della fede» se, per esempio, un parroco usasse l’omelia domenicale per promuovere l’elezione di candidati di destra.
La partecipazione al Giubileo allo stesso modo non è una piattaforma per rivendicazioni di, pur legittime, agende politiche o sociali e non rappresenta un segno di appartenenza a una causa terrena, bensì il desiderio di entrare più profondamente nella grazia di Dio. Nulla di diverso.
Essere pro-life tra migranti e pena di morte
Müller ha anche interpretato correttamente il pronunciamento di Leone XIV sulla «coerenza soggettiva» richiesta a chi si dichiara pro-life, contrastando sia l’interruzione di gravidanza che la pena di morte.
L’ex prefetto ha giustamente ricordato che si tratta di questioni diverse e che in passato la Chiesa accettava la pena di morte, «entro certi limiti e in casi estremi».
Va premesso che tutto quello che dice il Papa durante un’intervista non è magistero ordinario e ha il valore di opinioni personali o pastorali, certamente importanti ma che vanno lette alla luce del magistero autentico e non al suo pari.
Inoltre, come abbiamo dettagliatamente visto in un apposito approfondimento, il tema della pena di morte non è un dogma di fede ma una questione di disciplina e di morale, per sua natura quindi riformabile al mutare delle circostanze.
Un tempo la Chiesa accettava la pena di morte per legittima difesa non essendoci altro modo per tutelare la società civile se non con la soppressione del reo. Oggi però i mezzi incruenti sono più che sufficienti ed è quindi moralmente illegittimo continuare a ritenere accettabile l’attuazione della pena di morte.
Già nel 1995 Giovanni Paolo II registrava «nella Chiesa, come nella società civile, una crescente tendenza che ne chiede un’applicazione assai limitata ed anzi una totale abolizione» in quanto, «a seguito dell’organizzazione sempre più adeguata dell’istituzione penale», i casi in cui nel passato era necessaria la pena di morte «sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti».
Rispetto ai migranti, il card. Müller sostiene che si può essere pro-life e allo stesso tempo approvare che «gli Stati abbiano tutto il diritto di fare un regolamento per l’immigrazione illegale e proteggere la propria popolazione magari da criminali che arrivano da altri Paesi».
Questo è un classico equivoco che si ripete ogni volta. Non esiste un solo documento del Magistero sociale in cui si avvalora l’immigrazione illegale o in cui si neghi il diritto agli Stati di difendersi dalla criminalità.
Se si leggono attentamente le parole di Leone XIV, egli trova contraddizione tra «chi dice “sono contro all’aborto ma sono d’accordo con il trattamento disumano dei migranti che si trovano negli Stati Uniti”». Il focus è sul trattamento disumano.
Su questo pochi conoscono anche il vero pensiero di Papa Francesco, convinti che fosse un pasdaran dell’immigrazionismo illegale. Nel nostro dossier abbiamo raccolto i suoi pronunciamenti, come quando spiegava che «un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga. Lì c’è il problema della prudenza».
Il card. Müller sulla Messa in latino
Un altro passaggio interessante (e questa volta condivisibile) nell’intervista al card. Müller è sul tema della Messa in latino.
Le sue parole che sono state semplicemente citate, senza commento, dall’area tradizionalista.
Il motivo è che effettivamente il Prefetto emerito si discosta nettamente da parte dei sostenitori della liturgia tridentina, i quali avversano il Concilio Vaticano II e ritengono illegittimo o comunque intenzionalmente peggiorativo il Messale promulgato da Paolo VI.
Per Müller, invece, «i padri del Concilio hanno deciso non di cambiare la Messa, ma solo di cambiare un po’ i riti per facilitare la partecipazione attiva dei fedeli». C’è chi è rimasto però con il rito latino e «alcuni di questi cosiddetti tradizionalisti dicono che solo questa forma è valida».
Ma ciò, conclude il cardinale tedesco, «non lo possiamo accettare, si deve trovare una soluzione più pragmatica e di tolleranza» basata «sulla base del pensiero cattolico, che distingue tra la sostanza dei sacramenti e i riti parzialmente mutevoli». Per farlo «serve una mediazione: tutte e due le parti devono muoversi un po’ l’una verso l’altra».
Una soluzione già auspicata da Leone XVI nella sua recente intervista a Elisa Ann Allen quando annunciò di voler creare un tavolo di confronto per affrontare la questione «con la sinodalità».













2 commenti a Il card. Müller: «Messa in latino? Non è l’unica forma valida»
Beh, a dirla tutta il mainstream dominante tra i vescovi, soprattutto dopo Traditionis Custodes, è quello di credere (e imporre di fatto) che la Messa in Latino non sia da considerarsi una forma valida. Tant’è che le viene fatta terra bruciata tutt’attorno, con la motivazione risibile che chi ci partecipa è o scismatico-eretico oppure, orribile delitto, è contro il CVII (manco fosse un dogma della dottrina cattolica). Ci vorrebbe sì, un riavvicinamento. Anzi c’era: era il Summorum Pontificum di Benedetto XVI. Poi qualcuno ha deciso che questo riavvicinamento, chissà com’è, non andava più bene.
Vedremo come andrà a finire, ma se “dai frutti li riconoscerete”…
Le cose sono molto più complesse di come le descrivi.
Innanzitutto il CVII non è definibile come dogma ma è vincolante per i cattolici, respingerlo significa non essere in comunione con la Chiesa cattolica.
In moltissimi casi chi difende la Messa in latino lo fa respingendo la cosiddetta chiesa modernista cioè attentando quotidianamente alla comunione e all’unità con atteggiamenti, opere e parole che dileggiano e insinuano lo scisma con i vescovi, con il Papa e con tutto ciò che è seguito il Concilio.
E’ per questo motivo che Francesco è dovuto giustamente intervenire limitando la totale libertà concessa da BXVI con Summorum Pontificum, prevedendo che siano i vescovi a concedere di volta in volta la Messa in latino ai gruppi che ne fanno richiesta.
Con la conseguenza che a Bologna la Messa in latino è stata concessa dal card. Zuppi a gruppi “sani” di tradizionalisti mentre in varie parti degli Stati Uniti legate all’ex nunzio Viganò è stata proibita.