Il cristianesimo rifiuta l’imposizione della fede

Critica alla teologia politica 

di Marco Fasol*
*saggista e professore di storia e filosofia

 
 

Il 1700° anniversario dell’Editto di Milano, promulgato da Costantino nel 313, ci invita a riflettere sui rapporti tra teologia e politica. Al riguardo è uscito di recente un interessante saggio di Massimo Borghesi, docente di Filosofia morale all’Università di Perugia, dal titolo Critica della teologia politica, da Agostino a Peterson: la fine dell’era costantiniana. (Marietti 1820, Genova-Milano 2013). Questo saggio è stato presentato al Meeting di Rimini di quest’anno, con la partecipazione di Antonio Socci e del teologo Stefano Alberto.

La svolta costantiniana, sostiene Borghesi, introduce nella storia una nuova epoca, in cui per la prima volta la religione viene dissociata dalla politica. Per l’Impero romano la religione era evidentemente al servizio della politica romana di dominio e di espansione. Non per niente a partire dall’imperatore Adriano, il tempio più grande dell’Urbe era proprio quello dedicato alla dèa Roma, la protettrice dell’Impero. Ed in occasione di tutte le feste pubbliche, nelle centinaia di stadi ed arene dell’Impero, venivano esibite le statue gigantesche di Marte e Venere, la coppia divina della guerra e della fecondità dell’Impero.

Con Costantino e con il suo Editto si ha la svolta: la religione viene dissociata dalla politica ed ogni cittadino è libero di abbracciare la religione che vuole. E’ difficile per noi, uomini del Duemila, comprendere la portata giuridica, ma anche esistenziale e politica di questa novità. Finalmente viene giuridicamente sancita la separazione della politica dalla religione. “Date a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio”.  “Il mio regno non è di questo mondo”, sono due celebri sentenze evangeliche a cui si ispira questa separazione della teologia dalla politica. Borghesi evidenzia la portata di questa innovazione spiegando che il Cristianesimo è l’unica religione che prevede questa separazione della fede dalla spada. Quindi libera la fede dalla soggezione o dall’interferenza dei politici di turno.  Come afferma il teologo Stefano Alberto: “C’è, nel Vangelo, una distinzione radicale tra la fede e la spada. E’ una novità che segna uno spartiacque nella convivenza civile. Il cristianesimo non si realizza attraverso la politica. C’è una differenza tra Grazia e Natura”.  Con l’Editto di Milano è sbarrata la strada a qualsiasi “teologia politica”, a qualsiasi pretesa della politica di strumentalizzare la religione, come purtroppo succederà con il cesaropapismo successivo. Si può anche dire che viene introdotta una distinzione tra “sacro e profano” e quindi viene superato il pericolo del fondamentalismo o integralismo.

Nel 380 la politica imperiale cambia notevolmente. Infatti, l’Imperatore Teodosio, con l’Editto di Tessalonica dichiarerà il cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero romano e di lì a poco inizieranno le distruzioni dei templi pagani, le soppressioni delle scuole filosofiche ellenistiche, insomma verrà meno la libertà religiosa. Il grande Agostino, nel De civitate Dei , sosterrà che la Città di Dio e quella dell’uomo sono mescolate insieme e non possono coincidere, confermerà dunque la tradizione dei primi quattro secoli di cristianesimo che difendono la libertà religiosa. Anche se nel suo epistolario ammetterà l’uso della forza politica imperiale contro gli eretici donatisti. L’Agostino del De civitate Dei afferma chiaramente che la piena realizzazione del Regno di Dio non può avvenire su questa terra, ma solo alla fine della storia. La tensione tra il “già e non ancora” resta perennemente attuale: la Chiesa è già un principio di regno di Dio in mezzo a noi, ma non ne è ancora la piena realizzazione, non può pretendere che la politica imponga la fede cristiana.

Purtroppo, nei lunghi secoli che precedono la modernità, si è spesso affermata come vincente la pretesa di egemonia totalizzante da parte della politica che voleva imporre la “religione di Stato”. Si pensi ai due secoli di guerre di religione che hanno travagliato l’Europa dal Cinquecento al Settecento. Con l’Atto di Supremazia di Enrico VIII (1534), il re d’Inghilterra si autoproclamava capo della Chiesa anglicana, con la pace di Augusta (1555) e la pace di  Westfalia (1648), in Germania si proclamava per i sudditi l’obbligo di professare la religione del principe regionale, con la revoca dell’Editto di Nantes (1685) gli ugonotti venivano cacciati dal regno di Francia. Sono tutti momenti significativi di questa drammatica negazione della libertà religiosa da parte della politica. Ed è da queste guerre di religione che si scatena la violenza illuminista e rivoluzionaria contro l’intolleranza e il fanatismo religioso. La dissociazione della modernità dalla politica intollerante del cesaropapismo affonda le sue radici in questa pretesa di imporre la fede con la spada. Si pensi ad esempio alla strage della notte di San Bartolomeo, in Francia, episodio emblematico di queste guerre di religione.

Abbiamo dovuto attendere il Concilio Vaticano II, conclude Borghesi, con il suo documento Dignitatis Humanae, per riconoscere il messaggio originario del cristianesimo, che rifiuta l’imposizione della fede. Il bene, come venne sostenuto dai Padri conciliari, non può essere imposto, e quindi la religione non può essere imposta da una legge civile. La religione deve essere scelta liberamente, per amore. Altrimenti si scivola nell’integrismo, nella teologia politica, cioè nella pretesa di costruire uno Stato cristiano che vorrebbe anticipare la piena realizzazione del Regno di Dio in terra. Invece, dobbiamo accettare l’imperfezione dell’uomo, per cui lo Stato non è il Regno di Dio, ma il luogo della convivenza civile tra persone che hanno fedi religiose o laiche diverse, ma che si possono accordare su progetti politici di promozione umana. E’ la lezione di J. Maritain, ci ricorda Borghesi, che sosteneva questa autonomia della politica, fatta propria dal Concilio.  Naturalmente non si tratta di un’autonomia assoluta, altrimenti si aprirebbe la strada ai totalitarismi di sinistra memoria. La politica rimarrà sempre vincolata dalla legge morale, dall’etica dei diritti umani, da quell’etica che ha uno dei suoi pilastri proprio nella libertà religiosa riconosciuta dall’Editto di Milano.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

17 commenti a Il cristianesimo rifiuta l’imposizione della fede

« nascondi i commenti

  1. MALTA1991 ha detto

    Sono aagnostico ed apprezzo veramente di cuore questo articolo.
    è vero il Cristianesimo è l unica Religione che rifiuta l imposizione dela Fede , consentendo persino Matrimoni Misti tra credenti e non .
    Io vivo a Malta dove la religione di stato è quella Cattolica (siamo l unico paese d europa ad avere ancora una religione di stato) e comunque , per noi agnostici ed atei la vita qui va benissimo , mai nessuno ha cercato di imporci la Fede Cristiana.
    Io ho tantissimi amici credenti ed anche sacerdoti , io stesso mi dichiaro Agnostico Clericale , in quanto pur non credente apprezzo le opere della Chiesa , davvero un grazie di cuore per questo articolo , il quale fonda le basi per una convivenza pacifica ed in amicizia .
    Ho sempre preso le distanze dagli Atei Militanti , i quali vorrebbero imporre un ateismo di stato , di fatti non nutro una grandissima simpatia verso Uaar.

    • Roberto Dara ha detto in risposta a MALTA1991

      Concordo in pieno, anche se non mi risulta che Uaar voglia imporre l’ateismo di stato.

      • Zuckenberg ha detto in risposta a Roberto Dara

        Quindi significa che non sei mai stato nella home di quel sito . Basta un primo sguardo per vedere quanto sono aggressivi , e non se ne sono accorti solo i credenti ma ,da quanto possiamo tutti constatare ,anche gli atei .

        • Roberto Dara ha detto in risposta a Zuckenberg

          Su questo sito, nato, come il nome dimostra, come nemesi di Uaar, ovvio che si disprezzi quell’associazione. Io non ne condivido spesso i toni, ma non bisogna confondere la difesa e la tutela della laicità dello stato con l’imposizione dell’ateismo. Probabilmente tra gli iscritti (e sicuramente tra quelli che scrivono nei loro forum) di Uaar ci sarà qualcuno che vorrebbe imporre l’ateismo e mettere fuorilegge le religioni, ma ufficialmente Uaar promuove i valori della laicità e la tutela della libertà di non credere, che, a loro giudizio, e in parte anche secondo me, in Italia sono poco rispettati.

      • Emanuele ha detto in risposta a Roberto Dara

        …mi pare che qualcuno voleva togliere i crocifissi…

  2. mercuriade ha detto

    Sull’argomento, consiglio l’ottimo libro “Fu vero editto?” di Elena Percivaldi.

  3. Li ha detto

    Per il matrimonio si richiedono i sacramenti ma certo è una delle religioni più libere che ci sia.

    Cari atei/politici /politically correct, voglio vedere quando vi toccherà la mezzaluna come religione di stato: gay siete avvertiti, e anche voi ragazze con le ultraminigonne.

    Ci pensavo proprio sti gg rileggendomi la vita di “Padre Kino”.

    Quella frase appropriata: «aprì la porta, spianò il cammino e andò avanti…»,
    con cui padre Balthasar sintetizzava la figura e l’opera di padre Chini, è un invito a
    chiederci quale via preferenziale questi abbia seguito nel proclamare il Vangelo ai
    nativi della Pimería Alta.
    A rispondere a questa domanda è lo stesso padre Chini che nella Biografia di
    padre Francesco Saverio Saeta scrive così: «Se un missionario vuole riuscire nella
    sua opera con questi nativi deve essere tenace, paziente e tollerante; deve unirsi a
    loro e sedersi infinite volte su di una roccia con loro. Soltanto allora egli può dire
    con gioia estrema: “Vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo” (1 Cor 4,
    9).

    «Queste parole potrebbero sembrare non molto profonde – osserva C. W.
    Polzer -, ma è necessario ricordare che tanti missionari esigevano dagli indiani
    anzitutto l’obbedienza, la frequenza organizzata alle lezioni di catechismo,
    l’imposizione di una disciplina e di rigide regole di comportamento. Chini era più
    semplice, e tuttavia affascinò gli indigeni americani. Chini era più vivo, per
    adeguarsi all’immaginazione degli indiani. Chini sapeva istintivamente che la
    conversione non era un’assimilazione culturale, bensì una metanoia liberamente
    accettata, un radicale cambiamento di vita»12.
    Il dialogo come comunicazione e comunione.

  4. Eli Vance ha detto

    Un saggio che offre contenuto e fondamenti storici a un’importante condizione della fede, quello della libertà: dal Catechismo: “160 Perché la risposta di fede sia umana, « è elemento fondamentale […] che gli uomini devono volontariamente rispondere a Dio credendo; che perciò nessuno può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti l’atto di fede è volontario per sua stessa natura». « Dio chiama certo gli uomini a servirlo in spirito e verità, per cui essi sono vincolati in coscienza, ma non coartati. […] Ciò è apparso in sommo grado in Cristo Gesù ». Infatti, Cristo ha invitato alla fede e alla conversione, ma a ciò non ha affatto costretto. « Ha reso testimonianza alla verità, ma non ha voluto imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno […] cresce in virtù dell’amore, con il quale Cristo, esaltato in croce, trae a sé gli uomini »”, vedasi anche la dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II.

« nascondi i commenti