Il “caso D’Amico” e l’ombra inquietante del suicidio assistito
- Ultimissime
- 12 Lug 2013
L’American Medical Association, che come tutte le altre principali associazioni mediche si oppone fortemente ad eutanasia e suicidio assistito, ritiene esplicitamente che il «suicidio assistito è fondamentalmente incompatibile con il ruolo del medico come guaritore, sarebbe difficile o impossibile da controllare e porrebbe seri rischi sociali. Invece di partecipare al suicidio assistito, i medici devono rispondere ai bisogni dei pazienti terminali».
Difficile o impossibile da controllare, anche perché l’errore medico e, sopratutto, l’interesse ideologico del medico non si può prevedere o monitorare. E’ il caso del magistrato Pietro D’Amico, suicidatosi ad aprile nella clinica della morte svizzera chiamata EXIT, ma che si è però scoperto oggi non essere affetto da alcuna incurabile patologia, come invece dichiarato da alcuni medici italiani e confermato da medici svizzeri. Si parla di “errore medico fatale” anche se sembra che D’Amico non sia stato visitato da almeno due medici svizzeri, come chiede la Legge, ma dalla stessa “dottoressa morte”, Erika Preisig, che lo ha poi aiutato ad uccidersi. Una donna glaciale, priva di umanità come la si descrive su “Il Fatto Quotidiano”. Ora ci saranno le indagini, intanto la figlia afferma: «“Papà non era affetto da alcuna malattia inguaribile, non era un malato terminale. È stato aiutato a suicidarsi e l’istigazione o l’aiuto al suicidio è un reato anche in Svizzera. Papà andava aiutato a vivere non a morire».
L’oncologa Melania Rizzoli, dopo aver spiegato come funziona la procedura di morte in questi centri, ha scritto: «tra i pazienti affetti da malattie inguaribili solo un numero irrilevante di loro desidera con forza porre fine alle proprie sofferenze, perché il desiderio di vita quando si è malati prevarica sulla morte pur se imminente». Per questo, un conto è inneggiare all’eutanasia stando seduti nei salotti televisivi (o nel salotto di casa giovani e sani, vedi il caso Englaro, sempre che i ricordi di Beppino siano veri), un altro «è affrontare concretamente l’argomento quando si è malati, distesi su un letto attaccati alle flebo e si avverte vicino il profumo della morte. Alleviare la sofferenza sempre, in ogni caso laddove sia possibile, rispettando la libera autodeterminazione della coscienza è il compito e il dovere di noi medici, che siamo addestrati e abilitati a custodire e proteggere la vita e non a sopprimerla a richiesta». Anche lei, come ha ammesso l’oncologo Umberto Veronesi, ha aggiunto: «ho lavorato per dieci anni in un dipartimento oncologico seguendo molti malati terminali e alleviando con ogni mezzo le loro sofferenze sempre fino alla fine. Non è mai successo che qualcuno di loro mi pregasse di aiutarlo a morire. Mai. Nemmeno quando erano divorati dal cancro e vicini alla fine. Anzi. In quei momenti, la cosa che mi colpiva di più era che da quei corpi devastati, piagati e piegati dalla malattia, si accendeva uno sguardo, usciva una flebile voce che manifestava un solo terribile desiderio: quello di vivere».
Un recente studio del Bmc Medical Ethics ha concluso che l’eutanasia è rifiutata da chi ha a che fare con persone che soffrono a lungo di malattie perché «una mente più aperta verso la sofferenza porta a una maggior predisposizione ad accudire il malato e a rifiutare l’eutanasia». Ma come?, si è domandato il bioeticista Carlo Bellieni, «proprio quelli che accudiscono direttamente i malati li vogliono curare, invece che lasciarli morire? Evidentemente chi conosce i malati sa che il loro desiderio vero non è la morte, richiesta più facilmente da chi si sente abbandonato. Dunque il problema semmai è non abbandonare».
Le cure palliative sono dunque l’antidoto all’eutanasia, come ha spiegato anche la bioeticista Marina Sozzi sempre sul “Fatto Quotidiano”, opponendosi alla iniziativa popolare dei Radicali: «Leggo che il 65% degli italiani è a favore dell’eutanasia legale: come è stato rilevato questo dato? Infatti, so che oltre il 50% dei nostri connazionali non conosce le cure palliative, ignora di aver diritto a esse, non sa cosa sia un hospice e confonde eutanasia e sedazione terminale. Mi chiedo quindi: che consenso è questo? […]. Chi garantisce che la depenalizzazione dell’eutanasia non finisca per essere una scorciatoia che rallenterà ulteriormente lo sviluppo delle cure palliative? Dove sono i finanziamenti per le cure palliative? Perché chi raccoglie le firme sull’eutanasia non pone anche questa domanda al nostro governo centrale e ai governi regionali?».
La Sozzi, tuttavia, propone il testamento biologico come soluzione di tutto. Una risposta a questo arriva da un altro studio recente sul “Journal of the American Medical Association”, il quale ha mostrato che i pazienti terminali che pensano al suicidio non solo sono pochi ma che nel tempo molti di questi cambiano idea, in particolare i depressi. Questo risponde a chi propone il testamento biologico -come fa Marina Sozzi- come soluzione di tutto. Tanti cambiano idea, ma se entrano nel frattempo in una fase della malattia per cui non sono più in grado di comunicare la loro nuova volontà? Lucien Israel, agnostico luminare francese dell’oncologia, lo ha spiegato con la sua esperienza: «se fossi stato autorizzato da un “testamento” scritto ad abbreviare attivamente la vita» di coloro che dal semi-come ne sono poi usciti, «avrei commesso un vero e proprio crimine, anche se fossi stato incoraggiato dalla famiglia e dalla legge!». Mauro Zampolini, direttore del Dipartimento di riabilitazione Asl 3 della Regione Umbria lo ha detto chiaramente: «Quando una persona entra davvero nella condizione di malattia grave, anche se prima aveva chiesto di morire alla fine sceglie di vivere».
Quel che è certo, come ha rilevato l’Associazione Scienza&Vita, è che «la vicenda del magistrato Pietro D’Amico getta l’ennesima ombra inquietante sulle pratiche eutanasiche condotte da medici che alla cura sostituiscono la morte. E’ necessario costruire una rete di prevenzione e di assistenza, potenziando gli strumenti a disposizione per aiutare chi soffre di questa patologia a recuperare il bene della salute psichica e quel gusto di vivere che è risorsa personale e sociale. L’eutanasia non è mai la soluzione e questo caso dimostra con chiarezza che, alla fine, è soltanto una sconfitta per tutti».
La redazione
15 commenti a Il “caso D’Amico” e l’ombra inquietante del suicidio assistito
Stavolta la testimonianza di Veronesi è toccante.
…propone il testamento biologico come soluzione di tutto…
Scegliere vuol dire optare fra almeno due possibilità diverse; implica implicatamente il constatare “a posteriori” l’esattezza o la giustezza della propria scelta. Se però la scelta non é valutabile in un secondo tempo da parte del soggetto non é una “scelta” ma una “decisione” che, notoriamente ha le caratteristiche della determinazione. Il testamento biologico, come programmazione di una eventuale “dolce morte”, non può quindi che configurarsi come una “decisione” e per definizione le decisioni, quando possibile, vanno prese quando sono chiare e note le condizioni al cortorno. Sul tema del fine vita che senso ha decidere ora per domani, quando la “determinazione” di oggi potrebbe essere sostituita da possibile “dubbio” domani?
Se vale il ragionamento esposto il “fine vita” potrebbe quindi avere senso solo se “deciso” poco prima di essere applicato (e non tramite “programmazione” testamentaria). Ma quali sono le condizioni del soggetto poco prima che il “fine vita” sia applicato? Sono condizioni che sicuramente non “condizionano” la decisione?
La realtà é che, in definitiva, la “programmazione” del fine vita è un assurdo logico prima ancora di essere un errore etico e, forse, un obbrobrio morale.
quello che dici é giustissimo.
Aggiungo che per scegliere si deve essere liberi e conoscere la verità. Ad esempio, se sono al ristorante ed ho pochi soldi non posso sceglire perché non sono libero, come non posso sceglire se oltre al nome dei piatti non vengono elencati gli ingredienti (non conosco la verità).
Per questo Gesù disse: “la verità vi renderà liberi”
D’Amico non ha potuto scegliere, poiché è stato ingannato… Eluana poi, non solo non ha potuto scegliere, ma neppure si è potuta esprimere…
D’Amico non è morto per eroore o perchè istigato al suicidio, tutte balle. D’Amico è morto perchè in Svizzera l’eutanasia è legale. Il resto sono tutte panzane.
A prescindere da questo tragico errore medico e anche da considerazioni di ordine religioso, sono e sarò sempre contrario all’eutanasia, in quanto apre scenari potenziali molto inquietanti. Se una mentalità generale favorevole all’eutanasia portasse ad una legislazione permissiva su queste problematiche, si avrebbero a breve termine situazioni psicologiche di difficilissima gestione e segnate da sottili violenze psichiche nei confronti di soggetti deboli. A tal proposito faccio un esempio concreto. Si pensi al caso di un anziano in condizioni non ottimali di salute, ma soltanto afflitto dai normali acciacchi dell’età, magari con un discreto patrimonio da trasmettere. Alcuni eredi spregiudicati e cinici potrebbero essere tentati di convincere l’anziano della sua inutilità, del fatto che non vale più la pena di vivere se non si vive pienamente….etc..Addirittura qualche altro erede potrebbe convincere il suicidando di essere un peso x la società e x i parenti e che è ora di …. tolgiersi dai piedi… Ci sarebbe il rischio non trascurabile di invecchiare con l’idea di essere un peso per gli altri e, anche se non si arrivasse ad un suicidio assistito, sarebbe ancora più facile cadere in depressione, cosa già di per sè non infrequente nella vecchiaia. Questo è solo un esempio, i casi possibili però sono naturalmente molti.
il rischio del testamento biologico è proprio questo, lasciare la decisione a parenti che possono agire sulla base di interessi economici.
Il problema dell’eutanasia trascende, a mio parere, l’aspetto puramente legislativo e giudiziario della questione: è dal punto di vista culturale che ho le maggiori preoccupazioni. Sarebbe facile intonare il requiem della nostra società morente per la quale ormai tutta la vita è sofferenza… c’è dell’altro.
Englaro è un pusillanime… Se lo vedo di persona glielo dico in faccia.
Mia figlia, nata prematura, appena nata é stata sottoposta a trattamenti medici invasivi per diverse settimane, una volta tornata a casa ha avuto molte limitazioni per piu di un anno…
Se avessi pensato che soffriva oltre il lecito, io stesso avrei staccato il sondino… Mi sarei assunto la responsabilità di padre, senza aspettare per anni la sentenza di un giudice. Il bene dei propri figli val bene qualche anno di galera…
Peppino ha aspettato, anzi ha preteso che altri facessero quel che lui doveva fare… Non se ne è fregato di far soffrire la figlia per anni ed anni. Non merita nessun rispetto, ma solo pena.
Questa è la dimostrazione dell’esistenza della cultura della morte!
E del fatto che certe persone non si curano nemmeno più di sè stesse, tanto che preferiscono morire piuttosto che vivere ogni secondo, anche se può essere doloroso, fino in fondo.
Ha scelto lui, dunque va bene in ogni caso.
Peccato che tu non puoi scegliere e sei obbligato a portare le cinture di sicurezza (o obbligato a pagare una multa) per proteggere la tua vita, anche se tu non vuoi. Sei sei minimamente intelligente capirai da solo che la libertà assoluta che tu proclami è inesistente nel diritto, per fortuna, e tu sei la prova vivente ogni volta che sali in macchina.
Che schifo!
Certa gente se vedesse qualcuno in piedi sul parapetto di un ponte o sul cornicione di un palazzo direbbe “aspetta che ti aiuto a buttarti giù! Vuoi anche un goccio di veleno e una pallottola nel cranio per essere più sicuro?”.
Che schifo.
1)NON è una vera scelta perché lui aveva informazioni false, quindi lui ha commesso questo in virtù di un errore
2)NON si può scegliere di fare il male a sé stessi, infatti i principi liberali si basano su un aspetto filosofico importante: “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te“…
3)Quindi accettando queste violenze non si fa altro che aprire alla violenza tout court
“Ha scelto lui, dunque va bene in ogni caso.”
Questo dovrebbe essere il vero slogan delle campagne a favore dell’eutanasia altro che la preoccupazione per i malati che soffrirebbero.