Anche il peggiore anticristiano è figlio di Dio

Come parlare di Dio oggi 
 
di Fabrice Hadjadj*
*Institut Européen d’Etudes Anthropologiques Philanthropos
 
 
da Avvenire 3/03/13
 
 

Prima della mia conversione, devo confessarlo, odiavo questa parola. Quando qualcuno diceva «Dio», mi sembrava che mettesse fine a qualsiasi discussione. Aveva introdotto con l’imbroglio un altro jolly nel mazzo di carte. Era un abracadabra, una formula magica e mi verrebbe da dire addirittura una «soluzione finale», con tutto ciò che può comportare di terrorizzante un’espressione del genere. Una soluzione finale all’interno di una discussione che, d’un tratto, veniva soffocata da questa parola grossa e massiccia.

La mia conversione consistette dapprima in una conversione di vocabolario. All’epoca del mio ateismo ero obbligato a confessare un mistero dell’esistenza. Pensavo tuttavia che la parola «Dio» non avesse nulla a che vedere con tale mistero, che fosse addirittura un modo per evitarlo. Avevo la pretesa di spiegarne l’esistenza nel lessico, sforzandomi di svicolare così: negazione della morte, volontà di potenza, fuga nell’aldilà, sublimazione nevrotica del «papà/ mamma, aiuto!»…

Cos’è accaduto oggi? Sono stato corretto riguardo a tale controsenso. Questa parola non suona più ai miei orecchi come un “tappabuchi”, ma come un “apri-abisso”. È probabile che alcuni la usino come “tappabuchi” (credenti o meno, d’altronde). Non la capiscono affatto, allora. Non ne sentono, per così dire, la musica. Perché il significante «Dio» non discende da un desiderio di soluzione finale: viene dal riconoscimento di un’assenza irrecuperabile. Non sorge tanto come risposta quanto come chiamata. Dà il nome all’evidenza di ciò che mi sfugge, all’esigenza di ciò che mi supera.

Lo ricordo spesso ai seminaristi: «Quando siete in missione di evangelizzazione e una persona vi dichiara: “Io non credo in Dio”, state attenti, non saltategli addosso dicendo: “Ma sì, bisogna credere in Dio!”, perché magari non ci credete neppure voi al “Dio” di cui sta parlando lui! Chiedetegli prima cosa intende con quella parola. E chiedetevi se vi siete mai accorti della vertigine che porta con sé».

Non si tratta di parlare di Dio amando il proprio prossimo, come se potessimo in verità separare l’uno dall’altro (separare la parola dall’amore e Dio dal prossimo). Parlare di Dio vuol dire anche amare, in maniera indissociabile, colui a cui ne parliamo, perché vuol dire riverberare su di lui la Parola che gli dà l’esistenza e che quindi desidera infinitamente che lui esista. Capite la difficoltà? Sono missionario e un bel giorno mi trovo davanti a qualcuno che mi è ostile. Vengo ad annunciargli la Parola di Dio, ma visto che tale Parola mi dice che Dio è provvidenza, mi tocca ammettere che, questo tipaccio, me lo piazza in mezzo alla strada Dio stesso. Di conseguenza, devo innanzi tutto onorarlo questo tipaccio, devo riconoscere che, anche se mi sta parecchio antipatico, anche se è tremendamente contrario ai cristiani, come persona è eternamente voluto dall’alto e ha sempre qualcosa da insegnarmi.

Basta adottare questa giusta prospettiva e ogni fanfarone si rivela essere parola di Dio. Certo, non tanto per via delle intenzioni ostili, quanto per la sua presenza. È la Parola di Dio a conferirgli l’essere. È l’amore di Dio che lo trae fuori dal nulla. Magari l’ignora, ma se sono un apostolo del Creatore, io non posso ignorarlo. Devo andare oltre l’antipatia. Meravigliarmi prima di tutto del fatto che esiste. E non è una strategia di comunicazione, in questo caso: non mi sforzo di essere gentile, di rendermi affabile, di far finta di stare attento per rivendere la mia mercanzia.

In gioco qui c’è la verità della mia identità cristiana. Se non sono capace di meravigliarmi sinceramente, di fronte all’esistenza, per esempio di Michel Onfray (prendo un ateo in Francia, ma avrei potuto scegliere allo stesso modo un fondamentalista in Iran), non sono cristiano, perché Michel Onfray, anche se con la bocca pronuncia idiozie sulla Bibbia, con il suo essere rimane ugualmente una parola di Dio, certo imbavagliata, ma comunque divina nella sua apparizione: «Ben Zoma diceva: “Chi è il sapiente?”. Colui che trova qualcosa da imparare da ogni uomo».

Dio perciò è già presente nel più anticristiano degli uomini, forse non con la presenza di grazia, ma per lo meno con la presenza di creazione, con la presenza d’immensità, tanto che, nel momento in cui parlo di Dio con il mio nemico, devo aver coscienza che Dio è impegnato interamente a creare il mio nemico con amore. Una posizione decisamente destabilizzante, devo dire: mi tocca parlargli di Dio lasciandomi prima interpellare da lui, rifiutarne l’ignoranza accogliendone la presenza, contestarne l’inimicizia attestandone la bontà originaria. Ed è proprio lo stupore davanti alla sua bontà originaria, al di là della nostra antipatia iniziale, che può permettermi di dominare fino al cuore del nemico.

Il brano è tratto da Come parlare di Dio oggi? Anti-manuale di evangelizzazione (Edizioni Messaggero 2013)

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6 commenti a Anche il peggiore anticristiano è figlio di Dio

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  1. Alèudin ha detto

    Grandissimo Fabrice!! Quanto mi piace 🙂

    Qui il video con la sua storia di conversione:
    http://www.youtube.com/watch?v=PpHsAZGY8i8

  2. Ermi Veronesi ha detto

    Quando Gesù dice “amate i vostri nemici” ci svela il fatto che essi sono amati da Dio. Questa è una delle grandi rivoluzioni portate solo dal pensiero cristiano.

  3. Gab ha detto

    Quindi la tesi è: dimentichiamo il Vangelo e andiamo appresso alle eresie come tanti pecoroni?

  4. minstrel ha detto

    Nella parte in cui parla dell’idea di Dio sbagliata di un ateo mi ha fatto venire in mente un passaggio di una splendida conferenza di Barzaghi OP dedicata all’essenza del cristianesimo. Lo riporto:
    Io non so che grado di ignoranza possa avere quella persona quindi può benissimo avere la grazia da parte di Dio, teoricamente sto parlando. Così come teoricamente devo ammettere che c’è la possibilità di uno che dica: «non ci credo, non ci vado a messa» e lo rifiuta conoscendolo perfettamente.
    Ma tenete presente che un conto è Dio, un altro conto è l’idea di Dio! L’ateo rifiuta Dio. Ma voi conoscete Dio faccia a faccia? E l’ateo conosce Dio faccia a faccia e conoscendolo gli ha detto: «non ti voglio!»? No, egli rifiuta una certa idea di Dio e se l’idea di Dio che l’ateo rifiuta fosse un’idea di Dio sbagliata, l’ateo la rifiuterebbe giustamente o ingiustamente? Giustamente poiché se è un’idea sbagliata è giusto che la rifiuti. Lei vada nella testa dell’ateo per vedere se quell’idea di Dio che rifiuta sia quella giusta o quella sbagliata. Come si fa? Non si può! Esempio: Dio è uno con la barba bianca che vive prima della nebulosa originaria e che dice «fiat lux», uno che ragiona dice: no, scusi, io non ci credo ad un Dio con la barba bianca che vive prima della nebulosa originaria, sono ateo! E come dire: se Dio ha la barba bianca, io non credo in Dio. Ma Dio ha la barba bianca? No. Quindi il suo rifiutare Dio con la barba bianca è forse ateismo? No, è giusto! Uno che crede in Dio non crede in un Dio con la barba bianca, allora anche chi crede in Dio è un ateo rispetto al Dio con la barba bianca che egli rifiuta. Tutto dipende dall’idea più o meno calibrata che si ha di Dio. Bisogna essere capaci di calibrare sempre meglio questa idea di Dio perché se non la calibriamo siamo sempre pronti ad un ateismo che non possiamo valutare come tale, poiché è giusto rifiutare un’idea sbagliata di Dio.”

    Padre Giuseppe Barzaghi OP, L’essenza del Cristianesimo, Accademia del Redentore,http://www.accademiadelredentore.it/blog-it/L%27essenza-del-cristianesimo.-Prima-conferenza-45.html, lezione 1

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