Respingere l’eutanasia con motivazioni laiche

eutanasiaDa persone impegnate in un cammino di fede cerchiamo spesso di utilizzare anche ragioni “laiche” per motivare le nostre posizioni su diverse questioni, con l’obiettivo di farci comprendere anche a chi non condivide il nostro percorso. Le cosiddette “ragioni laiche” hanno purtroppo il difetto di mancare di fondamenta stabili (se si scava in profondità non possono reggere, come aveva capito Norberto Bobbio), tuttavia sono utili per favorire e/o iniziare un dialogo anche con i più lontani.

In campo bioetico è fondamentale agire in questo modo, proprio perché non è indispensabile (anche se aiuta molto) vivere una fede attiva per comprendere e condividere le posizioni della Chiesa. Recentemente ci ha colpito la lucidità dell’apprezzato scrittore Claudio Magris, editorialista de “Il Corriere della Sera” e notoriamente laico, sul tema dell’eutanasia. Ne ha parlato in un articolo con il dott. Gianfranco Sinagra, cardiologo di fama internazionale, professore e direttore del Dipartimento cardiovascolare e della Scuola di specializzazione dell’Università di Trieste.

«La qualità della vita è fondamentale, ma, per una diffusa distorsione di questo concetto, può diventare un principio pericoloso, l’arroganza di decidere per gli altri quale sia il livello di tale qualità al quale la vita inizia a essere degna di venir vissuta», ha commentato Magris. «In tal modo si è giunti alla discriminazione, anche all’eliminazione di persone prive o considerate prive di tale livello. L’eutanasia nei confronti dei minorati, dei disabili…». Il dott. Sinagra ha concordato: «la qualità di vita non è una variabile assoluta, oggettiva, standardizzabile. Spesso questa argomentazione è uno scudo. Particolarmente quando ci si riferisce agli anziani o a patologie croniche o degenerative: la valutazione del livello di qualità di vita dovrebbe essere parte di una valutazione condivisa, umanamente intensa, che sappia avere attenzione a entrambi gli estremi dello spettro: evitare di intensificare le cure oltre un limite che configurerebbe inutile accanimento terapeutico, ma anche evitare di precludere trattamenti raccomandati ed efficaci sulla base di pregiudizi, discriminazioni economiche o razziali, emotività, ideologie».

«Non le sembra che l’eutanasia, in generale, stia diventando una parola d’ordine obbligata per dimostrarsi aperti e progressisti, una nuova forma di essere benpensanti?», ha domandato ancora Claudio Magris, un quesito che si potrebbe porre anche per tanti altri temi in cui sedicenti liberi pensatori si sono dimostrati esattamente l’opposto, come quello sui “diritti LGBT”. Il dott. Sinagra ha risposto: «Rifiuto l’idea di provocare la morte. La vita è per me dono, con la sua straordinaria ricchezza e generosità di esperienze, incluse la sofferenza e la malattia. La Medicina deve avere attenzione ad alleviare le sofferenze con i numerosi strumenti di cui dispone».

Argomenti chiari, precisi, brevi e pronunciati da una prospettiva diversa dalla nostra ma incredibilmente vicina. Si potrà non essere d’accordo (a patto che le ragioni contrarie si dimostrino ragionevoli e non mosse da sentimentalismi pietistici), ma si deve smettere di dire che gli unici contrari al mainstream mediatico sono la Chiesa e i cattolici. Tanti, provenienti da diverse esperienze e culture, ci fanno compagnia.

La redazione

13 commenti a Respingere l’eutanasia con motivazioni laiche

  • beppino ha detto:

    a) una società dovrebbe operare senza se e senza ma esclusivamente per migliorare la vita delle persone e preservarne quanto possibile l’integrità (fisica e psicologica);

    b) una società che legalizza procedure eutanasiche é una società che non consegue l’obiettivo principale che giustifica la sua stessa esistenza, quindi é una realtà che non ha raggiunto uno scopo e quando una realtà non raggiunge lo scopo principale per cui esiste é destinata ineluttabilmente a sparire o a perdere di significato;

    c) tra le “perdite di significato” includerei le agevolazioni e gli indubbi vantaggi di chi resta dopo aver eliminato (anche legalmente) chi ha deciso di morire; a questo punto non é più società “di tutti” ma “club” delle persone che rimangono;

    d) ricordiamoci questo aspetto, punto c), se ci capita di pensare che forse lo scopo principale della “società” ipotizzato al punto a) andrebbe rivisto o ritrattato.

    Non mi pare sia difficile estrapolare qualche conseguenza del ragionamento…

    • Klaud ha detto:

      Il punto a) è, ovviamente, condivisibile. Ma tu stesso apri una via al dubbio nel momento che dici ‘…preservarne quanto possibile l’integrità…’; e se non è possibile una vita integra? Chi si arrogherà il potere di obbligare chi non ce la fa più a sopportare una vita d’inferno a tirare avanti? Ho visto in un ospedale per lungodegenti, un uomo afflosciato in una sedia a rotelle, lasciato solo negli angoli dei corridoi, che da mattina a sera urlava ‘Lasciatemi morire!’, nessuno gli faceva caso, era normale… E non era un caso eclatante, alla Englaro. Di conseguenza cade il punto b) perché nei casi irrisolvibili non serve a nulla un’autorità che impone cose su cui non ha alcun controllo. Poi, non mi pare che ci siano schiere di individui che vogliano divertirsi a farla finita, per cui anche il vantaggio che stai insinuando per chi resta mi pare moooolto aleatorio.

      Questo come questione di principio, poi la legge deve garantire che nessuno ne abusi: tipo far fuori il nonno milionario convincendolo a suicidarsi per ereditare.

      • beppino ha detto:

        La società deve lavorare affinchè non si configuri una vita di inferno, affinché una persona non si senta dimenticata, affinchè una persona venga liberata quanto possibile dal dolore, soprattutto deve lavorare affinché una persona non arrivi a considerarsi un peso (anticamera del voler farla finita).

        Basta vedere le statistiche dei paesi in cui l’eutanasia é legale; gran parte dei casi “configura” la classica persona che di fatto é stata posta nella situazione di considerarsi un peso. E la progressione dei casi negli anni assume andamenti sempre esponenziali…

        Su questioni legate al fine vita non é possibile configurare una legge che garantisca da “abusi”; per definizione una legge é sempre aggirabile, interpretabile, obiettabile, anche “sfruttabile”, ecc… Il fine vita é una decisione senza ritorno; se anche una legge fosse talmente perfetta da limitare gli “errori” a percentuali trascurabili, sarebbe comunque un fallimento in presenza anche di un solo “errore”.

        Quanto al “guadagno”, eccome se c’é… basta banalmente osservare, ad esempio, che l’eutanasia é legale soprattutto nei paesi con sistema assistenziale pubblico sempre avanzato ma soprattutto costoso.

        • Piero ha detto:

          Le cose non sono esattamente come dici, la stragrande maggioranza di casi sono di persone che coscientemente hanno deciso di non prolungare la propria sofferenza, perchè quindi negare a costoro questo diritto? Affermare che ci sono altri “casi a rischio” non significa che venga a cadere questo principio, una questione infatti è il riconoscimento di un diritto e un’altra quella della corretta applicazione di una legge, non confondiamo quindi gli ambiti.

          • beppino ha detto:

            Decidere di “fermare” la propria sofferenza NON é configurabile come evenienza oggettiva (e quindi diritto) nel momento in cui a doverlo garantire é un soggetto terzo (nello specifico la stessa società) destinato per definizione ad altre finalità (tra le quali proprio quella di “lavorare” per non far arrivare mai le persone anche solo a pensare ad una tale decisione).

            Inoltre non potrà MAI esistere una corretta applicazione di una legge quando si é davanti a decisioni definitive e senza ritorno. Le leggi umane per definizione non possono essere che imperfette. Pensare che una legge razionalizzi in modo asettico e preciso quello che lei ritiene un presunto diritto, senza nel contempo influire unilateralmente nella dinamica delle stesse future decisioni, é pura FOLLIA. Lo spioncino é destinato nel tempo a diventare un orifizio senza più limiti di apertura…

            La sua frase in merito alla “stragrande maggioranza dei casi” di persone che “coscientemente hanno deciso” inoltre é emblematica. Vorrebbe forse dire che nella “minoranza dei casi” non c’é coscienziosa decisione? Si rende conto di quello che sta scrivendo?

          • Boomers ha detto:

            Aggiungo una cosa all’ottima risposta di beppino: la sofferenza oggi non è più un problema in quanto le terapie palliative permettono di lenire qualunque dolore e, nel caso non ci si riesca, per i malati terminali c’è la sedazione palliativa (vedi card. Martini).

            Infine c’è il diritto di chiedere di essere uccisi ma non quello di chiedere allo Stato la complicità.

            • Piero ha detto:

              Non è vero che le cure oggi possono lenire qualsiasi dolore senza effetti secondari, a questo non ci siamo ancora arrivati. Poi bisogna considerare che i casi non sono tutti uguali, ci sono persone il cui dolore è di altro tipo (come l’emblematico caso di Ramón Sampedro), qui ognuno la può pensare come vuole ed io personalmente non sono favorevole all’eutanasia ma non mi sento di proibirla ad altre persone, come non mi sentirei di obbligare una persona a seguire delle cure, anche sapendo che andrà incontro a morte certa.

              • beppino ha detto:

                Non é proprio così…
                E’ comunque interessante la frase “…a questo non ci siamo ancora arrivati…”.
                Questa é la strada… eventualmente darsi da fare per migliorare, non prendere scorciatoie.

              • Boomers ha detto:

                Capisco le tue buone intenzioni ma quello che tu rifiuti giustamente è l’accanimento terapeutico e la prima a rifiutarlo è la Chiesa cattolica: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’« accanimento terapeutico ». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire” http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s2c2a5_it.htm

                Nessuno è a favore dell’accanimento terapeutico ma questo non significa uccidere i pazienti e tanto meno chiedere allo Stato di diventare complice dell’omicidio di un suo cittadino tramite una legge apposita.

  • Il cavaliere oscuro ha detto:

    La Medicina deve togliere le sofferenze, non la vita! A questo proposito è bello leggere il giuramento di Ippocrate, in cui si dice espressamente che il medico non deve procurare né l’aborto né l’eutanasia 🙂

  • Li ha detto:

    Fatemi capire, vogliono eutanasizzare adulti e bambini e si pretende l’utero in affitto? Che vadano a ca….!