Coscienza e neuro-libertà: il contributo di Tommaso d’Aquino (I° parte)

 

di Alberto Carrara*
*biotecnologo e neuroeticista presso la “Regina Apostolorum” di Roma

 

Il problema della coscienza, dell’identità personale e del libero arbitrio è in primo piano tra le questioni oggi più dibattute nelle scienze cognitive e nella filosofia. Il pensiero classico affrontava l’argomento da un punto di vista prevalentemente metafisico. La fenomenologia e la filosofia della mente ampliano la tematica ad aspetti quali l’intenzionalità, la soggettività in prima persona, l’inconscio, la coscienza di corpo e il rapporto con altre menti. Le neuroscienze valutano queste tematiche nella prospettiva della base neurale, introducendo in questo modo nuovi orizzonti sulla questione.

Oggi è quanto mai necessaria una riflessione profonda orientata al discernimento e all’integrazione dei diversi sensi della coscienza e della libertà umana. Sin dai tempi più remoti, il tema della coscienza e del suo rapporto con la libertà umana ha coinvolto l’interesse dei migliori pensatori. Oggigiorno, mentre da una parte vengono confermati i risultati neuroscientifici condotti, sin dagli anni settanta, da Benjamin Libet[1], dall’altra si diffonde un clima scettico relativo alla coscienza personale e alla libertà d’azione. Alcuni neuroscienziati arrivano a concludere che queste peculiarità dell’essere umano, altro non sarebbero che mere illusioni funzionali, frutto dell’ingegno evolutivo del nostro cervello. La problematica è notevole: ha la coscienza un ruolo causale diretto nell’agire libero dell’uomo? Siamo davvero esseri dotati di coscienza e libertà, o automi in balia di uno stretto determinismo neurobiologico? Nel fondo la questione si riassume nella domanda seguente: che cos’è la libertà? E qual’è il suo rapporto con la coscienza personale?

Oggigiorno, lo sviluppo delle capacità tecnologiche rende possibile studiare in vivo e visualizzare le aree del nostro cervello osservandone, anche in tempo reale la loro maggiore o minore attivazione nelle circostanze più svariate. Questo ha prodotto un vero e proprio fiume di studi scientifici. Per una corretta valutazione delle interpretazioni neuroscientifiche, la tradizione filosofica che in Tommaso d’Aquino trova uno dei massimi sintetizzatori, potrebbe contribuire a fornire alcuni concetti e chiavi di lettura che aiuterebbero a rasserenare e rendere più realistiche certe conclusioni ed inferenze. Dall’altra, un’antropologia tommasiana unitiva ed integrativa, potrebbe costituire un valido fondamento neuroetico per evitare tanto il dualismo cartesiano, quanto un monismo cerebrale uni-totalizzante.

In questa prima parte riassumerò le evidenze neuroscientifiche a disposizione, mentre nella seconda parte considererò alcune conclusioni relative a tali esperimenti, mentre nella terza e ultima parte chiarirò i concetti filosofici in gioco e concluderò se o meno essi vengano annullati dalle neuroscienze.

Il dibattito contemporaneo in quest’area è stato ben riassunto da Kerri Smith e pubblicato sulla rivista scientifica Nature nel 2011[2]. I primi esperimenti che hanno maggiormente influito alla diffusione di una visione neurodeterminista dell’agire libero dell’uomo furono realizzati da Benjamin Libet nella decade degli anni ’70-’80. I risultati di Libet sono stati successivamente pubblicati sulla rivista Behavioral and Brain Sciences nel 1985[3]. Il titolo dell’articolo mette in luce l’esistenza di una “iniziativa cerebrale incosciente” che in qualche modo vincolerebbe la volontà cosciente durante l’azione volontaria. Si può a ragione affermare che gran parte del dibattito a cui ci stiamo riferendo trova la sua origine nel noto “esperimento di Libet”. Di che cosa si tratta? Libet e i suoi collaboratori presero le mosse dalle scoperte di Hans Helmut Kornhuber e Lüder Deecke avvenute nel 1965 e di ciò che questi ultimi denominarono in tedesco “Bereitschaftspotential”, “readiness potential”, in inglese, o potenziale di preparazione o disposizione (PD), in italiano. Il PD consta di un cambiamento elettrico che si ingenera in determinate aree cerebrali e che ha la caratteristica di precedere l’esecuzione dell’azione futura[4].

Libet utilizzò un apparecchio di elettroencefalografia (EEG) col quale registrò l’attività cerebrale di una serie di volontari coinvolti nel prendere una decisione, nello specifico, la decisione di muovere un dito. Lo studio si realizzò nel modo seguente: i partecipanti avevano in una mano un orologio che potevano bloccare con l’impulso volontario di un dito; quando i soggetti sentivano la necessità di muovere le dita della mano libera e lo volevano fare, dovevano bloccare l’orologio. L’esperimento fu disegnato in modo tale da poter conoscere la relazione temporale che vi era tra il potenziale di preparazione (PD), la coscienza della decisione da attuare e l’esecuzione del movimento. Tutto mirava a conoscere quando “appare” il desiderio cosciente o intenzione di portare a compimento un’azione. I risultati furono sorprendenti: esistono dei potenziali corticali di preparazione localizzati nella corteccia motoria secondaria (corteccia premotoria) che precedono di circa 350 millisecondi l’azione cosciente al realizzare un movimento volontario. I dati di Libet furono replicati e confermati da Haggard e Eimer che li pubblicarono nel 1999[5].

Nel 2008 John-Dylan Haynes, neuroscienziato del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences di Leipzig in Germania, utilizzando tecniche di neuroimaging (fRMN o risonanza magnetica funzionale), realizzò una serie di esperimenti più sofisticati dimostrando che le intenzioni venivano codificate nella corteccia motoria secondaria (frontopolar cortex) fino a sette secondi prima che i partecipanti allo studio prendessero coscienza delle loro stesse decisioni. In pratica, si concludeva lo studio affermando che la cosiddetta libertà umana non era altro che una mera illusione[6]. Recentemente questi risultati furono confermati dallo studio più aggiornato del settore, pubblicato nel giugno 2011. Dodici studenti dell’Università di Leipzig, in parte maschi e in parte femmine, parteciparono allo studio. Nelle conclusioni, oltre a confermare i dati pubblicati nel 2008, si afferma: «questi risultati appoggiano la conclusione che la corteccia premotoria è parte di una rete di regioni cerebrali che danno forma alle decisioni coscienti molto prima che si giunga allo stato di coscienza delle stesse» [7].

Quali conclusioni possono essere desunte da questi dati sperimentali? Lo vedremo nella seconda parte che verrà pubblicata domani.

 

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Note
[1]. B. Libet, Unconscious cerebral initiative and the role of conscious will in voluntary action, «Behavioral and Brain Sciences», 8 (1985), pp. 529-566.
[2]. K. Smith, Neuroscience vs philosophy: Taking aim at free will, «Nature», 477 (2011), pp. 23-25.
[3]. B. Libet, Unconscious cerebral initiative and the role of conscious will in voluntary action, «Behavioral and Brain Sciences», 8 (1985), pp. 529-566.
[4]. H.H. Kornhuber – L. Deecke, Hirnpotentialänderungen bei Willkürbewegungen und passiven Bewegungen des Menschen: Bereitschaftpotential und reafferente Potentiale, «Pflugers Archive für die Gesamte Physiologie des Menschen und der Tiere», 284 (1965), pp. 1-17.
[5]. P. Haggard – M. Eimer, On the relation between brain potencials and the awereness of voluntary movements, «Experimental Brain Reserch», 126 (1999), pp. 128-133.
[6]. C. S. Soon (et al.), Unconscious determinants of free decisions in human brain, «Nature Neuroscience», 11 (2008), pp. 543-545
[7]. S. Bode (et al.), Tracking the Unconscious Generation of Free Decisions Using UItra-High Field fMRI, «PLoS ONE», 6 (2011).

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4 commenti a Coscienza e neuro-libertà: il contributo di Tommaso d’Aquino (I° parte)

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  1. Orbitalia ha detto

    interessante. gli esperimenti di cui si parla sopra sono uno dei ‘cavallidi battaglia’ di chi sostiene il pieno materialismo.

  2. Alcor vega ha detto

    WooooooooooWWWWWWWWWWWWW

  3. Alèudin ha detto

    A proposito di questo argomento secondo me è molto utile la lettura dei detti dei padri del deserto, eremiti intenti ad affrontare e guardare negli occhi i propri pensieri.

    http://www.padrideldeserto.net/

  4. Antonio72 ha detto

    Il problema è come si possa definire oggettivamente e quindi scientificamente quando un evento appaia nel cervello visto che non esiste nella corteccia una zona specifica in cui appare un qualsiasi fenomeno, ovvero una sede determinata della coscienza. Allora secondo quali criteri dovremmo ritenere che il flusso temporale della coscienza debba collimare con i processi di attività neurologica cerebrale? L’esperimento ancora più controverso di Libet è quello che delinea la cosidetta “retrodatazione dell’esperienza sensoriale ritardata” che apparentemente contrasta addirittura le leggi fisiche. Secondo questo esperimento una stimolazione cutanea sensoriale (per es. un pizzicotto sulla mano) richiede un’attività neurale di 500 msec perchè si generi un’esperienza sensoriale cosciente. Ma nessuno soggettivamente, almeno credo, percepisce il pizzicotto mezzo secondo dopo averlo ricevuto! Vi è appunto, secondo Libet, una retrodatazione soggettiva di 500 msec che riavvolge il nastro, per così dire, fino ad una sorta di bandierina piantata nell’istante zero in cui è verificato l’evento cutaneo. Questa interpretazione, secondo me erronea, rappresenta una sorta di “ritorno al passato” fisicamente inconcepibile. Ma l’esperimento è del tutto coerente con la catena causale, in quanto percepisco il pizzocotto un attimo dopo averlo preso e mai prima, ovvero la mia percezione (l’effetto) segue il pizzicotto (la causa). L’incoerenza è dovuta al fatto indubitabile che sono sempre io, soggetto cosciente, a percepire il pizzicotto e a vivere qualsiasi altra esperienza cosciente, e mai il cervello.

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