Nessun paragone tra matrimonio gay e matrimonio interrazziale

http://cdn.attualissimo.it/wp-content/uploads/2011/12/matrimoni-misti-240x200.jpg“È totalmente idiota paragonare l’opposizione al matrimonio gay con quello interrazziale”. A dirlo, non un vescovo o qualche cattolico da tacciare di becero clericalismo, ma bensì l’ateo Brendan O’Neill, saggista, giornalista per numerose testate e direttore del magazine ‘spiked‘ – di posizioni non certo conservatrici.

In un articolo sul ‘Telegraph‘, O’Neill spiega infatti perché la retorica omosessualista degli slogan ripetuti ad nauseam fa -ancora una volta- acqua da tutte le parti. L’ultima trovata, -mentre lo scontro sul cosiddetto matrimonio gay diventa sempre più aspro, tanto da costare all’Arcivescovo di York una serie di mail razziste– è la tesi per cui chi si oppone alle ‘nozze’ omosessuali è come chi, negli Stati Uniti degli anni ’50, lottava contro il riconoscimento dei matrimoni misti. Tesi che O’Neill non esita a definire “idiota, storicamente infondata e politicamente opportunistica“. Per quanto gli attivisti della lobby gay possano illudersi di combattere coraggiosamente contro un ingiustizia così grande come fu quella del divieto di unione tra persone con pelle di colore diverso, la sostanziale differenza, commenta il giornalista, è che gli attivisti per la parità dei diritti nel matrimonio di una volta, «chiedevano equità democratica all’interno di un istituzione già esistente», diversamente dai militanti Lgbt che chiedono diritti per un istituzione tutta da inventare.

Non si può infatti paragonare l’impossibilità a vedersi riconosciuti all’interno di una delle fondamentali istituzioni sociali, «il legame riconosciuto e approvato dallo stato, tra un uomo e una donna», per una semplice differenza di pigmento, con «il legame riconosciuto e approvato dallo stato, tra un uomo e un altro uomo», per il semplice fatto che quest’ultimo «non è mai esistito». Va da sé, dunque, che incitare la Corte Suprema a fare nuovamente “la cosa giusta”, in riferimento alla sentenza del ’67 che dichiarò incostituzionale il divieto posto sui matrimoni interrazziali, non ha molto senso. Allo stesso modo in cui, «non ha senso che gli attivisti gay facciano finta d’essere discriminati come lo furono i neri o gli ebrei», conclude O’Neill, «perché semplicemente non lo sono». E se il giornalista e direttore si dichiara “indeciso” sull’eventuale introduzione del ‘matrimonio’ gay, è cristallino che il capriccio di una lobby non potrà mai essere uguale alla battaglia portata avanti da chi si è visto escluso dal fondamento della società per la propria pelle.

A pensarla come O’Neill, lo ha dimostrato un recente sondaggio di Zogby Analytics, c’è la maggior parte degli afro-americani che respingono qualsiasi tentativo di paragonare la militanza omosessuale con il movimento storico per l’uguaglianza razziale.

Nicola Z.

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I benefici sociali ed economici del matrimonio

FamigliaIl matrimonio ha effetti positivi per l’intera società, sopratutto dal punto di vista dei benefici per la salute sociale ed economici.  

Lo riporta un articolo comparso su Heritagecitando una serie di studi recenti. Le famiglie sposate, ad esempio, tendono ad avere  una migliore salute finanziaria, maggiori risparmi e una maggiore mobilità sociale rispetto alle famiglie non sposate. Le coppie sposate tendono anche ad avere un reddito medio più elevato e una maggiore probabilità di possedere case di proprietà rispetto a famiglie con adulti non sposati.

Sposarsi può altre sì avere un  effetto profondamente positivo  sul benessere psicologico, lo stess e l’abitudine al fumo. Il matrimonio è anche associato a  tassi di mortalità più bassi .

I bambini che crescono in famiglie formate da una coppia di coniugi sposati hanno una maggiore probabilità di andare incontro a stabilità economica, elevato rendimento scolastico e maturità emotivaAdolescenti cresciuti in queste famiglie presentano meno probabilità di essere sessualmente attivi  e meno probabilità di abusare di droghe e/o alcool, mostrano inoltre comportamenti sociali migliori e partecipano meno a crimini violenti

Purtroppo per la società i legami matrimoniali sono sempre meno, e sempre meno persone godono di questi vantaggi personali e sociali, preferendo le instabili e disimpegnate relazioni di convivenza

 

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Il senso del matrimonio? E’ nel procreare ed educare i figli

Famiglia L’argomento più ripetuto in favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso è da sempre quello basato sull’uguaglianza,  lo ha ripetuto anche  Barak Obama per il suo secondo e ultimo discorso inaugurale alla Casa Bianca.

Secondo i teorici di tale tesi, il matrimonio è un’istituzione pubblica dalla quale le coppie dello stesso sesso sono ingiustamente escluse, tanto che si sprecano imbarazzanti paragoni con il razzismo subito in passato dai neri o dagli ebrei (avversione ai matrimoni interrazziali, ecc.). Creare un diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso, si sostiene, non altera per nulla l’istituzione stessa ma fornisce semplicemente eguale accesso a una classe di persone precedentemente escluse. La tesi scorre liscia e trova facilmente plausi tra i più impreparati e tra gli amanti di slogan di facile ascolto.

In realtà è sufficientemente facile mettere in crisi tale modalità di pensiero ricordando –come abbiamo già fatto provocatoriamente- che anche riconoscendo il matrimonio omosessuale rimarrebbero dei limiti, lasciando ingiustificatamente al di fuori qualche tipo di relazione. Con quale criterio, ci siamo domandati più volte, equiparare al matrimonio naturale le relazioni omosessuali e non quelle incestuose o poligamiche (con quale criterio, si potrebbe ancora chiedere,  limitare il matrimonio a due persone?), o anche quelle basate su semplici sentimenti di amicizia e co-abitazione? Se la teoria dell’uguaglianza è efficace dovrebbe valere per tutti, è evidente che se si vuole seguirla con coerenza, qualsiasi relazione dovrebbe essere equiparata al matrimonio tra uomo e donna, pena un’insopportabile discriminazione. E’ evidente, dunque, che ci sia qualcosa che non va in tale tesi.

A chiarire ulteriormente le cose arriva un saggio scritto a sei mani da Girgis Sherif, docente di filosofia presso la Princeton University, Robert George, del dipartimento di Scienze Politiche della stessa università, e da Ryan T. Anderson, dell’University of Notre Dame, e intitolato: What Is Marriage?: Man and Woman: A Defense (Encounter Books 2012). Il merito del volume è quello di smontare la tesi dell’uguaglianza attraverso la riflessione su cosa sia davvero il matrimonio, la strada più convincente ed efficace da percorrere, secondo noi. Il libro nasce in seguito ad uno studio pubblicato sull’Harvard Journal of Law & Public Policy, in cui viene dimostrato come i revisionisti del matrimonio sbagliano perché fondono l’essere sposati (il matrimonio) all’essere partner, che è una categoria ovviamente più ampia. Un errore che non è stato compiuto dai grandi pensatori antichi, non influenzati dal giudaismo o dalla cristianità, come Aristotele, Platone, Socrate, Musonio Rufo, Senofane e Plutarco, i quali distinguevano anch’essi il legame coniugale da ogni altro.

Appellandosi alla legge naturale spiegano innanzitutto che la difesa del matrimonio non richiede l’appello all’autorità religiosa. In seguito a ragionamenti dettagliati viene dunque mostrato e confermato che il matrimonio è il tipo di unione che ha il suo senso nella procreazione e l’educazione dei figli. «Solo questo», concludono, «può spiegare le sue caratteristiche essenziali, che lo rendono differente dalle altre relazioni».

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Non essere sposati aumenta il rischio di morte prematura

MatrimonioUna recente ricerca condotta presso il Duke University Medical Center a Durham, North Carolina, ha scoperto che le persone non sposate presentano un rischio più alto di morte prematura in particolare durante la middle age, ovvero tra i quaranta e i sessant’anni.

I ricercatori, guidati dalla dott.essa Ilene Siegler, hanno analizzato i dati di 4.802 persone e hanno appunto scoperto che coloro che non si sono mai sposati avevano più del doppio di probabilità di morire prima rispetto a coloro che sono sposati. Essere single, o aver perso un partner senza averlo sostituito è correlato ad un aumentato del rischio di morte precoce durante la mezza età e riduce la probabilità di sopravvivenza durante l’anzianità. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Annals of Behavioral Medicine e una sintesi è pubblicata su Sciencedaily.

Il matrimonio, dunque, conviene anche dal punto di vista del proprio benessere psicofisico, come è stato anche riconosciuto in un recente editoriale sul British Medical Journal (qui una sintesi): «a conti fatti vale probabilmente fare lo sforzo di sposarsi», hanno concluso con un pizzico di ironia. E’ infatti chiaramente dimostrato che le donne sposate si espongono ad un abbassamento del 10-15% del tasso di mortalità e per gli uomini un calo dei rischi di andare incontro ad ictus, malattie cardiache e complicazioni dovute a stili di vita non salutari.

Una serie di studi simili è possibile trovarla in questa pagina, dove si evince che il matrimonio conviene per la coppia e anche per i figli, i quali sono invece esposti a una peggiore salute psico-fisica se i due genitori non scelgono di sposarsi.

La scelta di sposarsi è fortemente avversata dalla vulgata occidentale, la quale predilige la meno impegnativa convivenza.  La Chiesa cattolica invita invece le coppie al matrimonio per rispondere alla vocazione (compito) che Dio ha dato a loro, ovvero la cooperazione nel dono della vita e la generazione di un nuovo essere umano attraverso l’educazione.

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Le donne sposate subiscono meno abusi di quelle conviventi

abusi contro donneViolenza femminile e matrimonio. Secondo uno studio le donne conviventi o single subiscono più abusi sessuali rispetto alle donne sposate e soffrono maggiormente di depressione e abuso di sostanze stupefacenti.

 

Un interessante studio sul matrimonio è stato pubblicato lo scorso dicembre sul Journal of Public Healthed è relativo a un confronto di donne sposate in gravidanza con donne conviventi o single. L’indagine ha mostrato che le donne sposate sono meno soggette all’abuso subito dai partner, all’abuso di sostanze stupefacenti e alla manifestazione di depressioni post-partum.

Lo studio ha in particolare mostrato che su 6421 donne fertili “solo” il 10,6 per cento delle donne sposate era stata soggetta a uno dei tre mali sopracitati. Ma la percentuale saliva al 20 per cento per le donne conviventi, al 35 per cento per le donne single mai state sposate, e al 67 per cento per coloro che avevano divorziato un anno dopo la nascita del bambino. Dati allarmanti! Lo studio rileva anche che la quantità di figli nati fuori dal matrimonio in Europa ha ormai superato quella dei figli nati all’interno di un matrimonio. Il dottor Marcelo Urquia, epidemiologo promotore della ricerca, sottolinea che “la novità di questo studio è che per la prima volta abbiamo osservato la durata della convivenza delle coppie non sposate e abbiamo constatato che più breve è la convivenza maggiore è il rischio nelle donne di essere violentate, di assumere droghe e cadere in depressione per tutto il tempo della gestazione. Non abbiamo visto questo modello tra le donne sposate, che hanno avuto meno problemi psicosociali, indipendentemente dalla durata del tempo con cui hanno vissuto con i loro coniugi”

Recentemente uno studio dell’Istat, riportato da Il Foglio, ha mostrato molto chiaramente che nel Nord Italia il matrimonio religioso abbia perso 3 punti percentuali rispetto al matrimonio civile. Ma molto acutamente il giornalista Roberto Volpi ha fatto notare come, seppur ci siano più matrimoni civili, è anche vero che rispetto a 3 anni fa la percentuale di matrimoni civili sia scesa di un buon 12 per cento, e che anche questo tipo di unione stia già perdendo terreno. Ma il tema centrale dell’articolo è un altro: ciò che suscita timore è come il divorzio abbia smontato la concezione di famiglia e che ormai non si formino più nuclei familiari poiché non ci sono più certezze, in questo momento soprattutto economiche, che spingano i giovani a uscire di casa.

Nonostante i risultati dello studio sopra citato (come quelli di un’altra recente indagine scientifica), rimane verificata la presenza di numerosi omicidi in ambito familiare. Tuttavia, non è distruggendo uno degli elementi sociali più antichi o sostenendo che la famiglia è più pericolosa della criminalità organizzata che si impedirà il verificarsi di queste crudeltà. E’ soltanto ripartendo da cos’è la famiglia, cos’è il matrimonio che si può sperare di spazzare via questa serie di scandali, ripartendo da una maggior consapevolezza dei due coniugi, che si può sperare di debellare il fenomeno. Anche gli uomini di Chiesa dovrebbero prestare più attenzione alle pratiche di preparazione al matrimonio, affinché sempre più gli sposi comprendano quanto non debbano contare solo sulle loro forze e sentimenti, perché senza che Dio operi nel matrimonio, non si raggiungerà mai il motto biblico: “(l’uomo) si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”. (Gen 2:24)

Vorrei segnalare anche la pagina del nostro sito dedicata proprio ai matrimoni, per chi fosse interessato ad approfondire.

Luca Bernardi

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Ecco perché è giusto opporsi al matrimonio gay

Contro nozze gayPubblichiamo un interessante articolo di Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea all’Universita degli Studi di Roma La Sapienza, in occasione della presa di posizione favorevole al matrimonio omosessuale da parte della rivista cattolica francese “Témoignage chrétien“. Ricordiamo che la rivista francese, proprio verso la fine del 2012 ha sofferto particolarmente la crisi economica, trasformandosi in un mensile, è probabile che questo annuncio politicamente corretto sia il classico abbandono della coerenza etica a beneficio di interessi mondani ed economici

 

di Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea
da Osservatore Romano, 17 dicembre 2012

 

In varie occasioni «Témoignage chrétien» si è misurata in modo intelligente con i problemi della modernità senza allontanarsi dalla morale cattolica. Proprio per questo dispiace molto leggere sulla rivista francese una difesa senza condizioni dei “matrimoni” gay. Dispiace soprattutto perché, nel sostenere questa posizione, sono utilizzati gli argomenti più banali del politically correct, proprio quando in Francia è in corso una discussione vivace sulla loro legalizzazione, nella quale anche molti laici intervengono contro questa proposta con buoni argomenti giuridici, psicanalitici, filosofici.

Rifiutare agli omosessuali la possibilità di stabilire un contratto matrimoniale sarebbe, secondo la rivista, «aggiungere una discriminazione a quelle di cui già troppo spesso sono stati oggetto», e il progetto di legge in questione sarebbe un passo avanti nel riconoscimento dell’uguaglianza per gli omosessuali. Rimane quindi inespressa, ma logicamente deducibile, la minaccia che grava su quanti si oppongono a questi “matrimoni”: essi sarebbero contrari all’uguaglianza dei gay, quindi omofobi. Come se non si potesse difendere il diritto delle persone omosessuali a non essere sottoposti ad alcuna discriminazione e, al tempo stesso, essere contrari a concedere loro il matrimonio. Come se l’uguaglianza fra i cittadini dovesse essere ratificata dalla cancellazione di ogni differenza, negando in questo caso quella sessuale.

La storia e il diritto insegnano che l’uguaglianza fra i cittadini deve essere sempre commisurata alle differenze che la realtà stabilisce fra loro. I diritti dei bambini non sono quelli degli anziani, i diritti delle donne sono diversi per alcuni aspetti da quelli degli uomini. E questo non significa che non godano di una uguaglianza di fronte alla legge: un’uguaglianza che tiene conto delle possibilità differenti, ma non per questo meno preziosa e positiva.

Il matrimonio non è solo, come scrive «Témoignage chrétien», un contratto come tanti altri che può funzionare o meno, ma è il legame istituzionale alla base di una famiglia, è l’istituzione nata per proteggere e garantire la filiazione, stabilita in modo da determinare i diritti e i doveri che passano fra le generazioni. Dal momento che una coppia omosessuale non prevede la filiazione, è una realtà diversa. L’utopia dell’uguaglianza, che ha già portato tanti danni nel Novecento, si presenta così sotto nuove vesti, chiedendo di dichiarare uguali legami che non lo sono, e ricominciando, in questo modo, a illudere l’umanità come ha fatto in passato il socialismo reale. Dire che il matrimonio fra una donna e un uomo è uguale a quello fra due omosessuali costituisce, infatti, una negazione della verità che intacca una delle strutture base della società umana, la famiglia. Non si può fondare una società su queste basi senza pagare poi prezzi altissimi, come è già avvenuto in passato quando si è cercato di realizzare una totale uguaglianza economica  e sociale. Perché ripetere lo stesso errore per inseguire ancora una volta un’utopia ormai consunta?

Sulla possibilità degli omosessuali di allevare dei figli «Témoignage chrétien» non si esprime chiaramente: mentre da una parte afferma che «il diritto di un bambino di conoscere le proprie origini è un diritto essenziale», dall’altra fa capire che sarebbe favorevole all’adozione anche per le coppie gay, e invita a considerare i legami elettivi superiori a quelli di sangue. Chi scrive sulla rivista poi sembra non pensare alla sorte dei bambini destinati all’adozione di coppie omosessuali, già deprivati una volta dei  genitori, e poi costretti a vivere in una condizione che non offre loro neppure la simulazione di una famiglia naturale. Una doppia diversità pesante da sostenere.

Del resto sappiamo bene che il desiderio di avere un figlio del proprio sangue — o almeno del sangue di uno dei due membri della coppia — prevale nella realtà delle coppie omosessuali su quello di adozione, dando luogo a nuove forme di sfruttamento, come la compravendita dei gameti e l’utero in affitto. Se è senza dubbio vero che, oltre al problema dei matrimoni omosessuali, ci sono tanti altri «disordini antropologici» su cui intervenire, fra questi dobbiamo senza dubbio annoverare quelle forme di sfruttamento che le nuove biotecnologie suscitano e favoriscono, anche nella procreazione assistita. E sicuramente il riconoscimento dei matrimoni gay non farebbe che stimolarne altre. Non è così facile, come scrive la rivista, distinguere fra coniugalità, parentela e filiazione. E poi, perché farlo forzando il significato originario, antropologico e giuridico, della famiglia?

Linguisti e psicologi stanno mettendo in guardia la società dallo svuotare del significato proprio i termini: il concetto di famiglia non si può allargare a dismisura, senza distruggere l’identità di una delle istituzioni più importanti di una società, e altrettanto avviene per la definizione di madre e di padre. Perché non ascoltare la parola di chi segnala questi errori? Essere cattolici è molto di più che abbracciare una posizione culturale alla moda, e i responsabili di «Témoignage chrétien» — nonostante questo endorsement verso il matrimonio omosessuale — lo sanno bene.

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Il matrimonio omosessuale condannato nella Grecia classica

Lo spunto è tratto dalla recente pubblicazione de II matrimonio nella Grecia classica, saggio del filologo e grecista Francesco Colafemmina, intervistato da Valerio Pece per Tempi. Nello scritto si stigmatizza la convinzione di una generalizzata diffusione dell’omosessualità nella Grecia classicafra, da parte di chi, deformando la realtà storica a vantaggio della moderna ideologia omosessualista, reclama diritti al matrimonio omosessuale, ascrivendone spesso la nascita alla più alta cultura del mondo precristiano. Ciò è falso.

Il paganesimo greco sin dagli inizi (Omero chiama gli uomini i mortali – oi brotoi, per contrapporli agli dèi), infatti, ha una visione profondamente religiosa del mondo e della vita, che subordina sempre il piano umano al piano divino (ricordiamo il tempio eretto al Dio Ignoto in Atene). La rilettura laica che ne è stata fatta è ideologica: questo discorso si applica anche alla sfera della sessualità, che oggi pare afflitta da una sorta di pansessualismo ideologico. Per quanto l’argomento sia complesso e generatore di divisioni nel mondo laico, è il caso di fare alcune precisazioni, ad esempio ricordare che il fenomeno dell’omosessualità nell’antica Grecia è diverso da quello odierno, è soprattutto il fenomeno della pederastia ad essere diffuso ed in certo qual modo tollerato (cosa abominevole per i cristiani, ma anche per i latini) come parte dell’educazione dei giovani. Eppure, la norma, o consuetudine, non dovette essere di questo tipo, ma sincera e premurosa cura ed amicizia: l’affetto, ed anche la tenerezza che si accompagna alle migliori speranze, che spesso intercorrono fra maestro (o allenatore) ed allievo non devono essere male interpretate, come oggi anche allora; dato che la natura dell’uomo è sempre la stessa. D’altra parte dobbiamo ammettere che è difficile negare che i primi contatti omofili in tutti i tempi siano nella stragrande maggioranza dei casi fra un adulto ed un adolescente od un giovane.

Dice il Colafemmina: «Secondo il dogma ormai imperante, nell’antica Grecia la pedofilia (o efebofilia) sarebbe stata al centro di un vero e proprio rito di iniziazione: l’uomo adulto, l’erastés, aveva rapporti sessuali con l’adolescente, l’eròmenos, e così facendo lo formava anche spiritualmente. […] Di qui si è poi passati a definire il dogma dell’assenza di una “morale sessuale” nell’antichità classica attraverso la proclamazione dell’omosessualità come qualcosa di naturale. […] Attenzione però: quello dell’amore puro e spirituale non è altro che ciò che anche i gay del tempo affermavano per giustificare le loro pratiche, in un contesto sociale che invece le condannava risolutamente. L’errore madornale è che chi ripete oggi queste tesi non fa altro che ripetere ciò che dicevano gli autori omosessuali della Grecia classica. Oppure non fa altro che ridire ciò che Platone fa dichiarare ad alcuni suoi personaggi già noti come omosessuali nell’antichità (come Pausania nel Simposio) per arrivare però a smontare le loro tesi e a sostenere l’esatto contrario».

Oltretutto quando si parla di Grecia spesso ci si riferisce involontariamente ad Atene, come in sineddoche: in questo caso è da notare che i costumi delle varie poleis, le città-stato, potevano essere differenti, la pederastia era tollerata a Tebe e prevista prima del matrimonio dalla legge di Sparta (cfr. Suida), in ogni città c’erano prostituti. Mezza eccezione è Atene, dove viene ritenuta contro natura, per fare due esempi, da Platone e da Eschine. «Nelle Leggi (636, c) di Platoneprosegue Colafemmina,  «ad esempio, si legge testualmente: “II piacere di uomini con uomini e donne con donne è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere». Più chiaro di così! La verità è che nella Grecia classica l’omosessualità non era affatto così diffusa come si crede, e soprattutto, cosa che conta ancora di più, non era istituzionalizzata». Infatti gli antichi Greci mai si sognarono di rivendicare il matrimonio omosessuale!

Intendiamoci: la pederastia nella Grecia antica c’è ed è praticata. Ma resta un fatto sessuale che addirittura l’uomo comune, l’uomo della strada ritiene perverso e ridicolo, ne sono testimonianza le commedie di Aristofane: «Celebre è il repertorio, che oggi si direbbe omofobico, che il commediografo greco dedica ad Agàtone, noto gay del suo tempo. Parliamo di epiteti come lakkoproktos, katapygon, euryproktos, parole assolutamente intraducibili». Il linguaggio è di bassa lega: euryproktos, per esempio, può tranquillamente tradursi con “culaperto”.

Per quanto riguarda la teoria dell’amore platonico, l’amore è legato al bello ed al bene. Poiché per il Greco il Bello coincide con il Bene, si capisce come Platone si spinga oltre precisando che Eros rappresenta ogni forma di attività umana che tenda al Bene. Solo a causa di una sorta restrizione di carattere linguistico, viene chiamato “Eros” unicamente la tendenza al Bene nella dimensione del Bello. In particolare, Eros realizza questa tensione verso il Bene soprattutto nella dimensione del Bello, per procreare nel Bello. Dato il fatto che la bellezza è epifania del bene, Eros si realizza certamente, prima di tutto, nella dimensione del fisico: qui, tramite la bellezza e la ricerca di essa ha luogo la procreazione, mediante la quale il mortale, rigenerandosi in altri esseri, cerca di farsi immortale. Da ciò si deduce anche l’avversione di Platone per l’amore omosessuale. Ne troviamo riscontro in alcuni passi poco conosciuti:

«- E l’amore veramente giusto non è quello che con moderazione ed equilibrio ha una naturale attrazione per ciò che è armonioso e bello? – Certamente, ammise. – Sicché all’onesto amore non si dovrà aggiungere alcun elemento di follia, né qualcosa che abbia a che fare con l’intemperanza. – Allora non si dovrà aggiungergli questo piacere: di esso, insomma, non dovranno avere parte l’amante e l’amato che siano oggetto e soggetto di questo amore buono. – E lui: no per Zeus, caro Socrate, una tale aggiunta non s’ha da fare. – E così mi pare ovvio che nello Stato che andiamo istituendo tu istituirai per legge che all’amante sia bensì lecito trattare con effusione d’affetto e accarezzare il fanciullo che ama come un figlio, in grazia di sentimenti elevati, e previo il suo consenso; ma che, per il resto, egli debba frequentare l’oggetto del suo amore in modo da non dare l’impressione di volere spingersi oltre nel rapporto; in caso contrario offrirebbe il destro all’accusa di scarsa sensibilità e rozzezza». (Repubblica, III 403 a-c)

Mentre in due passi, nel Fedro e nelle Leggi, Platone si spinge ad affermare che la sessualità omofila è contro natura:

«Chi non è di recente iniziato, o è già corrotto, non si innalza prontamente di qui a lassù, versola Bellezzain sé, quando contempla ciò che quaggiù porta lo stesso nome. Di conseguenza, guardandola, non la onora, ma, dandosi al piacere come un quadrupede che cerca solo di montare e generare figli, e, abbandonandosi a eccessi, non prova timore e non si vergogna nel correre dietro a un piacere contro natura» (Fedro, 250e-251a).

«Da un lato avremo, dunque, chi è amante del corpo ed è affamato dalla sua fiorente giovinezza come di un frutto di stagione; costui si farà forza per saziarsene senza dare alcun valore allo stato d’animo dell’amato. Dall’altro lato avremo, invece, chi non dà soverchio valore alla brama del corpo e per questo, pur ammirandolo, piuttosto che amandolo, con la sua anima desidera sinceramente un’altra anima, così da ritenere un mero atto di violenza il godimento che segue al rapporto fra due corpi, e, invece, così da onorare e insieme rispettare la temperanza, il coraggio, la magnanimità e l’assennatezza, tanto che il suo ideale sarebbe quello di vivere sempre in castità con un amico casto». (Leggi, VIII 837 c-d)

Inoltre, il riferimento esplicito al giusto amore, alla temperanza ed al rapporto casto non fa che confermare la spinta anagogica insita nell’amore platonico; infatti, la stessa tendenza si realizza anche nella dimensione spirituale dell’anima, in quanto è proprio il Bello, suscitatore dell’Eros, che fa generare all’anima le sue migliori virtù e le sue opere più grandi. Quindi, Eros, nella dimensione del Bello e pur senza mai rifiutare l’amore fisico, cerca di salire sempre più in alto, percorrendo come una scala che lo conduce al vertice del Bello assoluto.

Possiamo cogliere questo concetto (ed ulteriore riprova del rifiuto dell’amore omoerotico da parte di Socrate) in estrema sintesi nelle parole di Socrate nelle pagine finali del Simposio, fra le più toccanti della letteratura mondiale, la bellezza fisica e quella spirituale sono su piani incomunicabili ed è impossibile un paragone, scambiarle sarebbe come “scambiare armi di bronzo con armi d’oro”, come maldestramente vorrebbe fare Alcibiade: «E Socrate, dopo che mi ebbe ascoltato, con molta della sua ironia e com’è solito, rispose: “Caro Alcibiade, si dà il caso che tu sia veramente un uomo non da poco, se ciò che dici di me è proprio vero, e se in me c’è una forza per la quale potresti diventare migliore. Tu vedresti in me una bellezza straordinaria, molto diversa dalla tua avvenenza fisica. E se, contemplandola, cerchi di averne parte con me, e di scambiare bellezza con bellezza, pensi di trarre non poco vantaggio ai miei danni: in cambio dell’apparenza del bello, tu cerchi di guadagnarti la verità del bello, e veramente pensi di scambiare armi d’oro con armi di bronzo» (Simposio, 217e-219a

Lo Jaeger giustamente rileva: «Per il modo di sentire greco è proprio il colmo del paradosso che il giovinetto [Alcibiade] bellissimo, oggetto dell’ammirazione di tutti, si metta ad amare quell’uomo di grottesca bruttezza [Socrate]; ma si esprime potentemente nel discorso di Alcibiade il nuovo senso, proclamato nel Simposio, per il valore della bellezza interiore, quando egli paragona Socrate con le statuette dei Sileni che gli scultori tengono nelle loro botteghe, che quando uno le apre, sono piene di belle immagini di dèi»  (W. Jaeger, Paideia, cit., Vol. II, p. 235-236).

L’altro autore citato ad esempio è Eschine, famoso politico ed oratore ateniese del IV secolo avanti Cristo, il quale – continua il grecista – “nell’orazione Contro Timarco scrive che ad Atene era vietato aprire scuole e palestre col buio affinchè i ragazzi fossero sempre sorvegliati; e che, anche se col consenso del familiare, era vietato dare un giovane a un amante omosessuale per ottenerne in cambio denaro o altri benefici. Eschine scrive che era addirittura vietato agli adulti essere apertamente omosessuali praticanti. È interessante notare che gli omosessuali erano chiamati con un appellativo decisamente forte: cinedi (kinaidos al singolare), etimologicamente “colui che smuove la vergogna” o, per altri, e in un senso ancor più realistico, “le vergogne”.

Dunque, per i classici l’amore lecito e normalmente diffuso era quello eterosessuale ed il matrimonio era scontatamente fra un uomo ed una donna, poi il Cristianesimo lo renderà indissolubile, prima non lo è nemmeno per gli ebrei – famoso il rimbrotto di Gesù: “Per la durezza dei vostri cuori…” (Mt, 19:8-18) – ed il suo fine è la procreazione. Per questo discorso “ci aiuta molto l’Economico di Senofonte. Come per il cattolicesimo, anche per la Grecia classica il fine principale del matrimonio era la procreazione. L’ateniese del IV secolo avanti Cristo considerava i figli “una grazia di Dio”. Sempre da Senofonte sappiamo che l’altro fine del matrimonio era l’educazione della prole. Per cui quanto a scopi principali siamo perfettamente in linea con quanto insegna la dottrina cattolica nella Gaudium et Spes. Non solo, nel matrimonio greco c’è anche la meta della castità coniugale. Oltre che in Senofonte, la sophrosyne, un concetto assolutamente analogo a quello di castità, lo troviamo in Plutarco e in autori come Cantone d’Afrodisia.

La virtù dei filosofi greci è la conoscenza del bene (e il Bene), che si rivela poi nell’applicazione della giusta misura nella pratica di vita, ergo anche nella castità matrimoniale. Per certi versi si può trovare nell’indissolubilità, elemento che il cristianesimo ha portato a pienezza e purificato.

”Eppure – conclude Colafemmina – anche su questo tema quello che solitamente non si legge è che il rapporto monogamico è in qualche modo insito nella cultura greca. Basterebbe leggere l’Andromaca (vv. 11-179), in cui Euripide si lancia in un nobilissimo elogio della fedeltà monogamica, come del resto fa anche nell’Alcesti”. Inoltre, per finire, “I Precetti coniugali (Gamikà Paranghélmate) sono una lettura strabiliante se pensiamo che provengono da una fonte pagana. Furono composti da Plutarco in occasione del matrimonio di due suoi allievi, Polliano ed Euridice, nel I secolo dopo Cristo. È un’opera agile e godibilissima, un trattatello sulla vita coniugale ricco di massime, amorevoli consigli pratici e racconti esemplari, quasi un libro sapienziale se non fosse per l’allegria che lo pervade. Un’opera che personalmente farei leggere nei corsi prematrimoniali, spesso così scialbi. Di certo i Precetti coniugali rappresentano bene quella che era l’etica matrimoniale per gli antichi greci, nutrita da valori saldi, da rapporti fondamentalmente monogamici propri di una solida civiltà contadina, valori poi trasferitisi nella società cristiana e nobilitati dalla sua etica. Non è certo un caso se l’opera plutarchea sarà poi ripresa da autori cristiani come Ugo da San Vittore (De amore sponsi ad sponsam) e san Girolamo (Adversus lovinianum)”.

Lo scopo di questo saggio, a detta dello stesso autore, “in realtà è un augurio. Che una sintesi alta tra una ritrovata morale ellenica e l’etica cattolica possa offrire uno specchio in cui riflettere l’eredità inestimabile che abbiamo ricevuto dal mondo classico. E in cui vedere anche il rischio che comporta l’incamminarsi a passo svelto nella direzione opposta, quella del baratro”.

Matteo Donadoni

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Il matrimonio porta un beneficio anche dal punto di vista economico

Il matrimonio non è soltanto benefico dal punto di vista psico-fisico, come dimostra un’immensa mole di dati scientifici, ma è anche la prospettiva migliore dal punto di vista economico, come stanno riconoscendo sempre più economisti e ricercatori sociali.

Si è occupato di questo un articolo apparso sul  “New York Times” spiegando che gli studi mostrano come le modificazioni sociali, con aumento di famiglie monoparentali e coppie di fatto, hanno aumentato il divario di reddito tra benestanti e non. Al contrario, secondo il demografo Mindy Scott, le famiglie basate sul matrimonio seguono “traiettorie differenti”. Andrew Cherlin, un sociologo presso la Johns Hopkins University, ha affermato: «Gli americani privilegiati si sposano, e sposarsi li aiuta a rimanere privilegiati».

Una delle ragioni è che gli uomini sposati hanno un maggior incentivo a essere coscienziosi nel lavoro per sostenere la famiglia, essi «godono di un premio economico, negli Stati Uniti, di circa il 19 per cento in più rispetto ai loro coetanei con le stesse credenziali», ha riferito W. Bradford Wilcox, direttore del National Marriage Project e professore di sociologia presso la University of Virginia . Essi «lavorano circa 160 ore in più rispetto ai loro coetanei con stesse credenziali, lavorano in modo più strategico, e di conseguenza, tendono a guadagnare di più». I benefici economici del matrimonio, ha aggiunto, sono però per entrambi i partner: «Le donne che si sposano hanno per la fine della loro vita molto di più in termini di attività, che si tratti di una casa o altri beni».

«La famiglia è assolutamente necessaria per il funzionamento del mercato», ha affermato Jennifer Roback Morse di “The Ruth Institute”. Avere entrambi i genitori biologici permette di creare un giusto mix di competenze e abilità, questa socializzazione sana aumenta anche la possibilità del bambino di diventare un cittadino produttivo. «I sostituti alla famiglia sono costosi e inefficaci, e i contribuenti finiscono per pagarne il prezzo», ha affermato durante una lezioni alla Acton University.

Occorre dunque anche per questi motivi valorizzare e sostenere sempre di più la famiglia tradizionale, basata sul matrimonio tra uomo e donna, istituzione in profonda crisi sopratutto a causa del fallimento della rivoluzione sessantottina.

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La Germania rifiuta il matrimonio omosessuale

Anche la Germania ha preferito salvaguardare la famiglia naturale e il matrimonio tradizionalmente inteso, evitando l’ingerenza politico-ideologica in questioni antropologiche antecedenti alla legge stessa. Il 28 giugno scorso infatti, il parlamento tedesco ha respinto la proposta dei Verdi di equiparare le coppie dello stesso sesso al matrimonio tra un uomo e una donna.

Qualcuno ha per caso letto questa notizia sui quotidiani italiani? Come avrebbe fatto altrimenti Paola Concia a massacrare ancora gli italiani a reti mediatiche unificate, dicendo che l’Italia deve adeguarsi al resto d’Europa? Certo, avrebbe continuato ugualmente, per lo meno per dare un senso ai 16mila euro al mese, vitalizio escluso, che porta a casa (è stata messa lì per quello, d’altra parte), ma forse con qualche impaccio maggiore. Oltretutto, è bene ricordare che soltanto dieci paesi al mondo hanno deciso di snaturare il significato antropologico di “matrimonio” e “famiglia”: Paesi Bassi, Spagna, Belgio, Sud Africa, Portogallo, Canada, Norvegia, Svezia, Islanda e Argentina.

La votazione al Bundestag è stata di 309 parlamentari contrari contro 260 favorevoli (12 astenuti). Dal 1° agosto 2001, la Germania ha permesso le cosiddette “unioni registrate” (eingetragene lebenspartnerschaft)  per le coppie dello stesso sesso, partnership che prevedono alcuni dei diritti del matrimonio, escludendo adozione e benefici fiscali completi.  

Ricordiamo le parole di Francesco D’Agostino su“Avvenire”, quando ha spiegato: «i rapporti di coppia tra omosessuali possono avere una loro tutela giuridica, non però perché simili, ma perché diversi da quelli eterosessuali». Tuttavia, come i tentativi tedeschi dimostrano, tali unioni civili sembrano servire soltanto per fare il primo passo verso il matrimonio e l’adozione omosessuale.

 

Aggiornamento 13/07/12
In seguito ad alcune e-mail arrivate in redazione, considerando il dibattito originato nei nostri gentili lettori e valutando la complessità del tema in questione, abbiamo deciso di modificare leggermente la parte finale di questo articolo rendendola più conforme al pensiero dei responsabili ultimi di questo semplice sito web.

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Convivenza e coppie di fatto? La ricerca dice no: meglio puntare sul matrimonio

Il più grande nemico del cristianesimo, il filosofo Friederich Nietzsche parlava del matrimonio come «la forma più menzognera dei rapporti sessuali, ed è per questo che gode dell’approvazione delle coscienze pure». Nemmeno su questo ci ha preso, e non è certo un caso che poi è finito in solitudine a parlare ed abbracciare un cavallo.

Esiste oggi, infatti, un’enorme mole di studi scientifici a sostegno delle convinzioni delle “coscienze pure”, i quali dimostrano senz’ombra di dubbio come le coppie di fatto, le convivenze, i rapporti pre-matrimoniali, la contraccezione, e il divorzio siano deleteri per la salute dei soggetti coinvolti, per la qualità della loro relazione sentimentale e sopratutto per i bambini che con loro crescono. Una società che metta sullo stesso piano scelte precarie, non definitive, temporanee come le coppie di fatto all’impegno pubblico della promessa dell’amore, della fedeltà, dell’onore e della durata della loro unione fino alla morte, orientandosi alla generazione ed educazione della persona umana, come fanno i due sposi nel matrimonio, commette un grave errore.

Riteniamo profondamente sbagliato trattare i “quasi matrimoni” come fossero un vero matrimonio, anche perché quest’ultimo è fondato su di una serie precisa di diritti e di doveri, che i liberi conviventi hanno volontariamente abiurato proprio nel momento stesso in cui hanno voluto esprimere il diritto di libertà – costituzionalmente garantito – di affrancare la loro vita affettiva da qualsiasi schema giuridico. Soltanto un’unione stabile e impegnata, tra l’uomo e la donna, permette un futuro equilibrato e sicuro alla società. Ogni uomo, infatti, necessità di certezza e di stabilità per costruire i suoi rapporti affettivi e sociali. Si costruisce per rafforzare e mantenere, non per fare tentativi e poi abbandonare e distruggere ciò che si è costruito.

UCCR ha voluto dimostrare oggettivamente questa convinzione, comunicata da secoli e secoli dalla saggezza della Chiesa cattolica, attraverso un dossier apposito contenente un corposo elenco di studi scientifici realizzati dal 1984 al 2012 (in costante aggiornamento):

 

La famiglia tradizionale è migliore della convivenza e la coppia di fatto

 

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